Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - Schede di lettura (articoli 1-63-bis) - Parte I
Riferimenti:
AC N. 1386-B/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 15    Progressivo: 7
Data: 03/10/2008
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   FINANZA PUBBLICA
ORGANIZZAZIONE FISCALE   PIANI DI SVILUPPO
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
Altri riferimenti:
L N. 133 DEL 06-AGO-08   AS N. 949/XVI


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

D.L. 25 giugno 2008, n. 112,
Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133

Schede di lettura

(articoli 1-63-bis)

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 15/7

Parte I

 

3 ottobre 2008


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le presenti schede di lettura sono aggiornate alla data del 30 settembre 2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coordinamento: Dipartimento Bilancio e politica economica

 

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: D08112f1.doc

 


I N D I C E

 

Tavola di raffronto della numerazione assunta dagli articoli del D.L. n. 112/2008 nel corso dell’esame parlamentare e nel testo definitivo come convertito dalla legge n. 133/2008  1

Schede di lettura (articoli 1-63-bis)

§      Articolo 1 (Finalità e ambito di intervento)11

§      Articolo 2 (Banda larga)15

§      Articolo 3 (Start up)20

§      Articolo 4 (Strumenti innovativi di investimento)22

§      Articolo 5 (Sorveglianza dei prezzi)25

§      Articolo 6 (Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese)29

§      Articolo 6-bis (Distretti produttivi e reti di imprese)33

§      Articolo 6-ter (Banca del Mezzogiorno)40

§      Articolo 6-quater (Concentrazione strategica degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate)44

§      Articolo 6-quinquies (Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale)46

§      Articolo 6-sexies (Ricognizione delle risorse per la programmazione unitaria)50

§      Articolo 7 (Strategia energetica nazionale)53

§      Articolo 8 (Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi)57

§      Articolo 9 (Sterilizzazione dell'IVA sugli aumenti petroliferi)61

§      Articolo 10 (Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell'energia e delle telecomunicazioni)64

§      Articolo 11 (Piano Casa)67

§      Articolo 12 (Abrogazione della revoca delle concessioni TAV)80

§      Articolo 13 (Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico)85

§      Articolo 14 (Expo Milano 2015)90

§      Articolo 14-bis (Infrastrutture militari)92

§      Articolo 15 (Costo dei libri scolastici)96

§      Articolo 16 (Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università)102

§      Articolo 17 (Progetti di ricerca di eccellenza)111

§      Articolo 18 (Reclutamento del personale delle società pubbliche)114

§      Articolo 19 (Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro)117

§      Articolo 20 (Disposizioni in materia contributiva)126

§      Articolo 21 (Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)136

§      Articolo 22 (Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio)142

§      Articolo 23 (Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato)146

§      Articolo 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica)154

§      Articolo 24 (Taglia-leggi)168

§      Articolo 25 (Taglia-oneri amministrativi)173

§      Articolo 26 (Taglia-enti)182

§      Articolo 27 (Taglia-carta)190

§      Articolo 28 (Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali)193

§      Articolo 29 (Trattamento dei dati personali)198

§      Articolo 30 (Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione)202

§      Articolo 31 (Durata e rinnovo della carta d'identità)205

§      Articolo 32, commi 1-2 (Limitazioni all’uso del contante)212

§      Articolo 32, comma 3 (Soppressione dell’obbligo di tenuta di conti correnti da parte dei lavoratori autonomi)214

§      Articolo 33, commi 1-2 (Applicabilità degli studi di settore)215

§      Articolo 33, comma 3 (Elenchi clienti e fornitori)217

§      Articolo 34 Soppresso. 219

§      Articolo 35 (Semplificazione della disciplina per l'installazione degli impianti all'interno degli edifici)220

§      Articolo 36 (Class action. Sottoscrizione dell’atto di trasferimento di partecipazioni societarie)224

§      Articolo 37, comma 1 (Certificazioni e prestazioni sanitarie)228

§      Articolo 37, comma 2 (Ambito di applicazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998)229

§      Articolo 38 (Impresa in un giorno)232

 

§      Articolo 39 (Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro)242

§      Articolo 40 (Tenuta dei documenti di lavoro ed altri adempimenti formali)254

§      Articolo 41 (Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro)261

§      Articolo 42 (Accesso agli elenchi dei contribuenti)269

§      Articolo 43 (Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d'impresa)274

§      Articolo 44 (Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all'editoria)282

§      Articolo 45 (Soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario e della Commissione tecnica per la finanza pubblica)287

§      Articolo 46 (Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione)293

§      Articolo 46-bis (Revisione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali)307

§      Articolo 47 (Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi)309

§      Articolo 48 (Risparmio energetico)315

§      Articolo 49 (Lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni)317

§      Articolo 50 (Cancellazione della causa dal ruolo)323

§      Articolo 51 (Comunicazioni e notificazioni per via telematica)325

§      Articolo 52 (Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia)328

§      Articolo 53 (Razionalizzazione del processo del lavoro)331

§      Articolo 54 (Accelerazione del processo amministrativo)333

§      Articolo 55 (Accelerazione del contenzioso tributario)336

§      Articolo 56 (Disposizioni transitorie)338

§      Articolo 57 (Servizi di Cabotaggio)339

§      Articolo 58 (Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali)344

§      Articolo 59 (Finmeccanica S.p.a.)348

§      Articolo 60, commi 1-6, 8-10, 13-15 (Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica)352

§      Articolo 60, comma 7 (Copertura delle leggi di spesa)366

§      Articolo 60, comma 11 (Riduzioni di spesa – Cooperazione allo sviluppo)370

§      Articolo 60, comma 12 (Riduzioni di spesa – Industrie difesa)372

§      Articolo 61, commi 1-7, 11-13, 15, 17 (Ulteriori misure di riduzione della spesa)373

§      Articolo 61, comma 8 (Riduzione dei compensi nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)380

§      Articolo 61, comma 9 (Destinazione del 50 per cento dei compensi per attività arbitrali e collaudi)381

§      Articolo 61, comma 10 (Indennità e gettoni di presenza degli amministratori locali)383

§      Articolo 61, comma 14 (Riduzione dei compensi nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)386

§      Articolo 61, comma 16 (Riduzione di oneri di organismi politici e di apparati amministrativi regionali)387

§      Articolo 61, comma 18 (Fondo per il potenziamento della sicurezza urbana e della tutela dell’ordine pubblico)391

§      Articolo 61, commi 19-21 (Abolizione del ticket sull’assistenza specialistica)394

§      Articolo 61, comma 22 (Assunzioni in deroga per le Forze di polizia)396

§      Articolo 61, commi 23-24 (Gestione delle somme di denaro sequestrate e dei proventi dei beni confiscati)397

§      Articolo 61, comma 25 (Abrogazione del Fondo per la legalità)401

§      Articolo 61, comma 26 (Destinazione dei beni mobili sequestrati in operazioni anticontrabbando)402

§      Articolo 61, comma 27 (Utilizzo dei conti bancari “dormienti” per il finanziamento della carta acquisti)403

§      Articolo 62 (Contenimento dell’uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali)405

§      Articolo 63, comma 1 (Partecipazioni alle missioni internazionali di pace)409

§      Articolo 63, comma 2 (Minori economie derivanti da trasformazione e soppressione di enti pubblici)411

§      Articolo 63, comma 3 (Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche)413

§      Articolo 63, comma 4 (Autorizzazione di spesa a favore di Ferrovie dello Stato S.p.a.)415

§      Articolo 63, comma 5 (Utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità giacenti)416

§      Articolo 63, comma 6 (Incremento autorizzazione di spesa Fondo per l’occupazione)418

§      Articolo 63, comma 7 (Integrazione autorizzazione di spesa Fondo per le politiche sociali)419

§      Articolo 63, comma 8 (Istituzione del Fondo per il finanziamento di misure di proroga di agevolazioni fiscali)420

§      Articolo 63, commi 9 – 9-bis (Stanziamenti a favore del CONI e del Comitato Italiano Paraolimpico)421

§      Articolo 63, comma 10 (Integrazione del Fondo interventi strutturali di politica economica)423

§      Articolo 63, comma 11 Soppresso. 425

§      Articolo 63, commi 12-13 (Istituzione del Fondo per il trasporto pubblico locale)426

§      Articolo 63, comma 13-bis (Produzioni ed allevamenti di particolare rilievo ambientale)429

§      Articolo 63, comma 13-ter (Produzioni e allevamenti di particolare rilievo ambientale)430

§      Articolo 63-bis (Cinque per mille)434


Tavola di raffronto della numerazione assunta
dagli articoli del D.L. n. 112/2008 nel corso dell’esame parlamentare e nel testo definitivo come convertito dalla legge n. 133/2008

 


Titolo

A.C.
1386

A.C.
1386-A

A.S.
949

Legge
133/2008

Finalità ed ambito di intervento

1

1

1

1

Banda larga

2

2

2

2

Start up

3

3

3

3

Strumenti innovativi di investimento

4

4

4

4

Sorveglianza dei prezzi

5

5

5

5

Sostegno all’internazionalizzazione alle imprese

6

6

6

6

Distretti produttivi e reti di imprese

 

6-quinquies

6-bis

6-bis

Banca del Mezzogiorno

 

6-sexies

6-ter

6-ter

Concentrazione strategica degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate

 

6-bis

6-quater

6-quater

Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale

 

6-ter

6-quinquies

6-quinquies

Ricognizione delle risorse per la programmazione unitaria

 

6-quater

6-sexies

6-sexies

“Strategia energetica nazionale” e stipula di accordi per ridurre le emissioni di anidride carbonica

7

7

7

7

Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi

8

8

8

8

Sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi

9

9

9

9

Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni

10

10

10

10

Piano casa

11

11

11

11

Abrogazione della revoca delle concessioni TAV

12

12

12

12

Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico

13

13

13

13

Expo Milano 2015

14

14

14

14

Infrastrutture militari

 

14-bis

14-bis

14-bis

Costo dei libri scolastici

15

15

15

15

Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università

16

16

16

16

Progetti di ricerca di eccellenza

17

17

17

17

Reclutamento del personale delle società pubbliche

18

18

18

18

Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro

19

19

19

19

Disposizioni in materia contributiva

20

20

20

20

Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato

21

21

21

21

Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio

22

22

22

22

Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato

23

23

23

23

Servizi pubblici locali di rilevanza economica

 

23-bis

23-bis

23-bis

“Taglia-leggi”

24

24

24

24

“Taglia-oneri” amministrativi

25

25

25

25

“Taglia-enti”

26

26

26,
commi 1-5

26,
commi 1-5

Soppressione dell’unità di monitoraggio

 

26-bis

26,
commi 6-7

26,
commi 6-7

“Taglia-carta”

27

27

27

27

Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali

28

28

28

28

Trattamento dei dati personali

29

29

29

29

Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione

30

30

30

30

Durata e rinnovo della carta d’identità

31

31

31

31

Strumenti di pagamento

32

32

32

32

Applicabilità degli studi di settore e elenco clienti fornitori

33

33

33

33

Tutela dei consumatori e apparecchi di misurazione

34

Soppresso

 

 

Semplificazione della disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici

35

35

35

35

Class action

36

36

36,
comma 1

36,
comma 1

Sottoscrizione dell’atto di trasferimento di partecipazioni societarie

 

36-bis

36,
comma 1-bis

36,
comma 1-bis

Certificazioni e prestazioni sanitarie

37

37

37

37

Impresa in un giorno

38

38

38

38

Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro

39

39

39

39

Tenuta dei documenti di lavoro e altri adempimenti formali

40

40

40

40

Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro

41

41

41

41

Accesso agli elenchi dei contribuenti

42

42

42

42

Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d’impresa

43

43

43

43

Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all’editoria

44

44

44

44

Soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario e della Commissione tecnica per la finanza pubblica

45

45

45

45

Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione

46

46

46

46

Revisione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali

 

46-bis

46-bis

46-bis

Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi

47

47

47

47

Risparmio energetico

48

48

48

48

Lavoro flessibile nelle Pubbliche amministrazioni

49

49

49

49

Cancellazione della causa dal ruolo

50

50

50

50

Comunicazioni e notificazioni per via telematica

51

51

51

51

Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia

52

52

52

52

Razionalizzazione del processo del lavoro

53

53

53

53

Accelerazione del processo amministrativo

54

54

54

54

Accelerazione del contenzioso tributario

55

55

55

55

Disposizioni transitorie

56

56

56

56

Servizi di Cabotaggio

57

57

57

57

Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali

58

58

58

58

Finmeccanica S.p.a.

59

59

59

59

Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica

60

60

60

60

Ulteriori misure di riduzione della spesa e abolizione della quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica

 

60-bis

61

61

Potenziamento degli strumenti di controllo e monitoraggio della spesa della Corte dei conti

61

Soppresso

 

 

Contenimento dell’uso degli strumenti derivati e dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali

62

62

62

62

Esigenze prioritarie

63

63

63

63

Cinque per mille

 

63-bis

63-bis

63-bis

Norme in materia di controllo e rendicontazione delle attività svolte ai fini del superamento delle emergenze

 

63-ter

60,
co. 8-quater

vedi
60,
co. 8-quater

Disposizioni in materia di organizzazione scolastica

64

64

64

64

Forze armate

65

65

65

65

Turn over

66

66

66

66

Norme in materia di contrattazione integrativa e di controllo dei contratti nazionali ed integrativi

67

67

67

67

Riduzione degli organismi collegiali e di duplicazioni di strutture

68

68

68

68

Differimento di dodici mesi degli automatismi stipendiali

69

69

69

69

Esclusione trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendente da causa di servizio

70

70

70

70

Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni

71

71

71

71

Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo

72

72

72

72

Part time

73

73

73

73

Riduzione degli assetti organizzativi

74

74

74

74

Autorità indipendenti

75

Soppresso

 

 

Patto di stabilità interno

77

77

77,
commi 1-2

77,
commi 1-2

Fondo unico regionale

 

77-bis

77, commi
da 2-bis
a 2-quater

77, commi
da 2-bis
a 2-quater

Patto di stabilità interno per gli enti locali

 

77-quater

77-bis

77-bis

Patto di stabilità interno delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano

 

77-ter

77-ter

77-ter

Modifiche della Tesoreria unica

 

77-quinquies

77-quater, commi 1-10

77-quater, commi 1-10

Eliminazione della rivelazione dei flussi trimestrali di cassa

 

77-sexies

77-quater, comma 11

77-quater, comma 11

Disposizioni urgenti per Roma capitale

78

78

78

78

Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria

79

79

79, commi
da 1 a 1-ter

79, commi
da 1 a 1-ter

Progetti per il perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale

 

79-bis

79,
co.1-quater

79,
co.1-quater

Revisione normativa del sistema delle tariffe e potenziamento degli strumenti di programmazione regionale

 

79-ter

79,
co.1-quinquies e 1-septies

79,
co.1-quinquies e 1-septies

Potenziamento della strumentazione gestionale nel settore sanitario

 

79-quater

79,
co.1-sexies

79,
co.1-sexies

Piano straordinario di verifica delle invalidità civili

80

80

80

80

Settori petrolifero e del gas

81

81

81

81

Banche, assicurazioni, fondi di investimento immobiliari “familiari” e cooperative

82

82

82

82

Efficientamento dell’amministrazione finanziaria

83

83

83, co. 1-
co. 28-quinquies

83, co. 1-
co. 28-quinquies

Attuazione dell’articolo 1, comma 225, della legge 24 dicembre 2007, n. 244

 

83-novies

83,
co. 28-sexies

83,
co. 28-sexies

Coordinamento del servizio nazionale di riscossione

 

83-decies

83,
co. 28-septies

83,
co. 28-septies

Procedura per il recupero dell’aiuto di Stato dichiarato incompatibile dalla decisione C(2008)869 def. dell’11 marzo 2008 della Commissione

 

83-bis

83, commi da 28-octies a 28-duodecies

83, commi da 28-octies a 28-duodecies

Tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell’autotrasporto di cose per conto di terzi

 

83-ter

83-bis, commi 1-2

83-bis, commi 1-2

Disciplina transitoria per l’adeguamento del corrispettivo per costo del carburante nei contratti di trasporto

 

83-quater

83-bis, commi 3-11

83-bis, commi 3-11

Termini di pagamento dei corrispettivi dovuti al vettore

 

83-quinquies

83-bis, commi 12-13

83-bis, commi 12-13

Sanzioni

 

83-sexies

83-bis, commi 14-16

83-bis, commi 14-16

Razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti

 

83-septies

83-bis, commi 17-22

83-bis, commi 17-22

Utilizzo del fondo per il proseguimento degli interventi a favore dell’autotrasporto

 

83-octies

83-bis, commi 23-31

83-bis, commi 23-31

Copertura finanziaria

84

84

84

84

Entrata in vigore

85

85

85

85

 

 


Schede di lettura
(articoli 1-63-bis)


 

Articolo 1
(Finalità e ambito di intervento)

 


1. Le disposizioni del presente decreto comprendono le misure necessarie e urgenti per attuare, a decorrere dalla seconda metà dell'esercizio finanziario in corso, un intervento organico diretto a conseguire, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2009:

a) un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche che risulti pari al 2,5 per cento del PIL nel 2008 e, conseguentemente, al 2 per cento nel 2009, all'1 per cento nel 2010 e allo 0,1 per cento nel 2011 nonché a mantenere il rapporto tra debito pubblico e PIL entro valori non superiori al 103,9 per cento nel 2008, al 102,7 per cento nel 2009, al 100,4 per cento nel 2010 ed al 97,2 per cento nel 2011;

b) la crescita del tasso di incremento del PIL rispetto agli andamenti tendenziali per l'esercizio in corso e per il successivo triennio attraverso l'immediato avvio di maggiori investimenti in materia di innovazione e ricerca, sviluppo dell'attività imprenditoriale, efficientamento e diversi­ficazione delle fonti di energia, potenziamento dell'attività della pubblica amministrazione e rilancio delle privatizzazioni, edilizia residenziale e sviluppo delle città nonché attraverso interventi volti a garantire condizioni di competitività per la semplificazione e l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali incidenti sul potere di acquisto delle famiglie e sul costo della vita e concernenti le attività di impresa nonché per la semplificazione dei rapporti di lavoro tali da determinare effetti positivi in termini di crescita economica e sociale.

1-bis. In via sperimentale, la legge finanziaria per l’anno 2009 contiene esclusivamente disposizioni strettamente attinenti al suo contenuto tipico con l’esclusione di disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia nonché di carattere ordinamentale, microsettoriale e localistico.


 

 

L’articolo 1 ha origine dal fatto che il decreto-legge in esame è stato approvato dal Consiglio dei ministri contestualmente al Documento di programmazione economica e finanziaria 2009-2013. Il Governo, quindi, ha inteso in primo luogo chiarire come la necessità e l’urgenza del provvedimento in esame si fondino sull’opportunità di dare tempestiva attuazione al DPEF 2009-2013. Si è voluto inoltre esplicitare il rapporto sussistente tra il DPEF ed il decreto-legge che avvia, in modo organico e sistematico, la realizzazione della manovra finanziaria relativamente all’intero periodo considerato in sede di programmazione finanziaria.

 

Il DPEF precisa che la manovra finanziaria si articolerà in quattro provvedimenti normativi: il decreto-legge in esame, un disegno di legge per il completamento degli interventi che concorrono alla realizzazione degli obiettivi indicati dallo stesso DPEF entro il 2001, due ulteriori disegni di legge concernenti rispettivamente l’attuazione del federalismo fiscale e norme volte alla costituzione di un codice delle autonomie nonché alla realizzazione di interventi per Roma capitale.

In particolare, il comma 1 chiarisce che il provvedimento in esame reca le misure necessarie ed urgenti per attuare, a decorrere (e con effetti finanziari) dalla seconda metà dell’esercizio finanziario in corso, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel DPEF per il 2009:

a)      un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,5% del PIL nel 2008, al 2% del PIL nel 2009, all’1% del PIL nel 2010, fino a giungere ad un saldo positivo pari allo 0,1% del PIL nel 2011, nonché a mantenere il rapporto debito pubblico/PIL entro valori non superiori al 103,9% nel 2008, al 102,7% nel 2009, al 100,4% nel 2010 ed al 97,2%% nel 2011;

Gli obiettivi di cui alla lettera a) sono stati peraltro rivisti dal Governo con la Nota di aggiornamento al DPEF presentata il 25 settembre 2008 (si veda a riguardo il dossier predisposto dal Servizio studi e dai Servizi bilancio di Camera e Senato n. 2 del settembre 2008).Si ricorda come negli obiettivi in termini di indebitamento netto e di rapporto debito pubblico e PIL - definiti in termini identici nel DPEF - si sostanziano i c.d. parametri di Maastricht rivelanti ai fini del rispetto del Trattato e del Patto di stabilità e crescita per i Paesi dell’area euro.

b)      la crescita del PIL (che non viene quantificata) rispetto agli andamenti tendenziali per l’esercizio in corso e per il successivo triennio attraverso maggiori investimenti in una serie di settori (innovazione e ricerca, sviluppo dell’attività imprenditoriale, efficientamento e diversificazione delle fonti di energia, potenziamento della pubblica amministrazione ecc.), interventi per semplificare ed accelerare le procedure amministrative e giurisdizionali incidenti sul potere d’acquisto e sul costo della vita, interventi per la semplificazione dei rapporti di lavoro volti a promuovere la crescita economica e sociale.

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame parlamentare del decreto legge, prevede, operando una deroga alle disposizioni generali di contabilità recanti la disciplina del contenuto della legge finanziaria (articolo 11, legge n. 468/1978), che il disegno di legge finanziaria per il 2009 possa contenere “esclusivamente disposizioni strettamente attinenti al suo contenuto tipico con l'esclusione di disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia nonché di carattere ordinamentale, microsettoriale e localistico”.

 

Il contenuto della legge finanziaria è stabilito dall’articolo 11 della legge della legge n. 468/1978, e successive modificazioni.

In base al citato articolo (comma 3), essa contiene esclusivamente norme recanti effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale, e disposizioni recanti (cd. contenuto necessario):

-        il livello massimo di saldo netto da finanziare, in termini di competenza, e di ricorso al mercato finanziario, vale a dire il tetto massimo del nuovo indebitamento aggiuntivo consentito in ciascuno degli anni del periodo considerato nel bilancio pluriennale (lett. a); con riferimento al livello massimo di saldo netto da finanziare, sono distintamente indicate le eventuali regolazioni debitorie pregresse;

-        l'importo complessivo massimo destinato, per ciascun anno, al rinnovo dei contratti del pubblico impiego ed alle modifiche del trattamento economico e normativo del personale dipendente da pubbliche amministrazioni non compreso nel regime contrattuale (lett. h);

-        altre regolazioni meramente quantitative rinviate alla finanziaria da norme vigenti (lett. i);

-        norme recanti misure correttive degli effetti finanziari delle leggi dalla cui attuazione siano derivati oneri maggiori rispetto a quelli previsti (lettera i- quater, introdotta dal comma 01, lett. a), dell'art. 1 del D.L. n. 194/2002 come modificato dalla legge di conversione n. 246/2002).

-        Di conseguenza, ai sensi del comma 01, lett. b), dell'art. 1 del D.L. n. 194/2002, come modificato dalla relativa legge di conversione, in allegato alla legge finanziaria sono indicati i provvedimenti legislativi adottati ai sensi dell’art. 11-ter, comma 7, della L. n. 468/1978, per correggere gli effetti finanziari di leggi che abbiano registrato oneri superiori a quelli previsti, e le misure correttive inserite a tal fine nella legge finanziaria medesima.

Possono inoltre essere contenute nella legge finanziaria (cd. contenuto eventuale):

-        le variazioni delle aliquote, delle detrazioni e degli scaglioni e le altre misure che incidono sulla determinazione quantitativa della prestazione, relativamente ad imposte indirette, tasse, canoni, tariffe e contributi in vigore, con effetto, di norma, dal 1° gennaio dell'anno cui essa si riferisce, nonché le correzioni delle imposte conseguenti all'andamento dell'inflazione (lett. b);

-        norme che comportino aumenti di entrata o riduzioni di spesa, escluse quelle a carattere ordinamentale o organizzatorio, a meno che si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi (lett. i-bis, introdotta dal comma 17 dell'art. 2 della legge n. 208/1999);

-        norme che comportino aumenti di spesa o riduzioni di entrata, il cui contenuto sia finalizzato direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia, con esclusione di interventi di carattere localistico o microsettoriale (lett. i-ter, introdotta dal comma 17 dell'art. 2 della legge n. 208/1999).

 

Ad eccezione dell’esclusione relativa agli intereventi di carattere localistico o micro settoriale, già prevista ai sensi del citato art. 11, comma 3, lett. i-ter, della legge di contabilità generale n. 468/1978, il citato comma 1-bis vieta tout court sia la previsione di disposizioni di carattere ordinamentale - che la lettera i-bis del citato comma 3 consente qualora le stesse si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi – sia le normefinalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia, che il comma 17 dell'art. 2 della legge di riforma n. 208/1999 aveva invece consentito con la sola esclusione degli intereventi di carattere localistico o micro settoriale.

Le disposizioni in oggetto delineano pertanto un assetto della decisione di bilancio per molti versi analogo a quello vigente prima della legge di riforma del 1999 (legge n. 208 del 1999), la quale, raggiunto il traguardo dell’ingresso nell’Euro, dispose, tra le altre cose, un ampliamento del contenuto proprio della legge finanziaria, prevedendo appunto la possibilità di introdurvi norme recanti aumenti di spesa o riduzioni di entrata finalizzate direttamente “al sostegno o al rilancio dell’economia” e sostituendo il divieto di introdurre nuove imposte, tasse o contributi e di disporre nuove e maggiori spese (previsto dalla precedente riforma di cui alla legge n. 362 del 1988) con il più labile divieto di introdurre norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio (salvo che si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi), nonché di carattere localistico o micro settoriale.

A tale ridimensionamento del contenuto della legge finanziaria corrisponde, peraltro, una significativa valorizzazione del contenuto decisionale del bilancio dello Stato, stante la possibilità - prevista anch’essa in via sperimentale per il solo 2009 dall’articolo 60, comma 3, del decreto legge in esame – di rimodulare nella legge di bilancio tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione, ivi incluse le risorse derivanti da autorizzazioni legislative di spesa, ad eccezione delle spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito.

Tale previsione, pur limitata al solo esercizio 2009 e pur soggiacendo a taluni limiti - quali il rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica, il limite per la rimodulazione tra spese di funzionamento e spese per interventi del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi e il divieto di utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti – appare intesa a rafforzare il ruolo della legge di approvazione del bilancio dello Stato come strumento di programmazione della spesa statale e di manovra finanza pubblica, potendo le singole Amministrazioni allocare con un più ampio margine di discrezionalità le risorse a disposizione tra i diversi programmi di spesa di loro pertinenza.

Per un approfondimento si rinvia alla scheda dell’articolo 60 del presente dossier.


 

Articolo 2
(Banda larga)

 


1. Gli interventi di installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività.

2. L'operatore della comunicazione ha facoltà di utilizzare per la posa della fibra nei cavidotti, senza oneri, le infrastrutture civili già esistenti di proprietà a qualsiasi titolo pubblica o comunque in titolarità di concessionari pubblici. Qualora dall'esecuzione dell'opera possa derivare un pregiudizio alle infrastrutture civili esistenti le parti, senza che ciò possa cagionare ritardo alcuno all'esecuzione dei lavori, concordano un equo indennizzo, che, in caso di dissenso, è determinato dal giudice.

3. Nei casi di cui al comma 2 resta salvo il potere regolamentare riconosciuto, in materia di coubicazione e condivisione di infrastrutture, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dall'articolo 89, comma 1, del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. All'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni compete altresì l'emanazione del regolamento in materia di installazione delle reti dorsali.

4. L'operatore della comunicazione, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico dell'Amministrazione territoriale competente la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione e dagli elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare alla normativa vigente. Con il medesimo atto, trasmesso anche al gestore interessato, indica le infrastrutture civili esistenti di cui intenda avvalersi ai sensi del comma 2 per la posa della fibra.

5. Le infrastrutture destinate all'installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

6. La denuncia di inizio attività è sottoposta al termine massimo di efficacia di tre anni. L'interessato è comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori.

7. Qualora l'immobile interessato dall'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni antecedente l'inizio dei lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti.

8. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia stato allegato alla denuncia il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al comma 4 decorre dall'esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti.

9. La sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.

10. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 4 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni legittimanti, ovvero qualora esistano specifici motivi ostativi di sicurezza, incolumità pubblica o salute, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento, contestualmente indicando le modifiche che si rendono necessarie per conseguire l'assenso dell'Amministrazione. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche e le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa vigente.

11. L'operatore della comunicazione decorso il termine di cui al comma 4 e nel rispetto dei commi che precedono dà comunicazione dell'inizio dell'attività al Comune.

12. Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività.

13. Per gli aspetti non regolati dal presente articolo si applica l'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonché il regime sanzionatorio previsto dal medesimo decreto. Possono applicarsi, ove ritenute più favorevoli dal richiedente, le disposizioni di cui all'articolo 45.

14. Salve le disposizioni di cui agli articoli 90 e 91 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, i soggetti pubblici non possono opporsi alla installazione nella loro proprietà di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ad eccezione del caso che si tratti di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni e che tale attività possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio. L'occupazione e l'utilizzo del suolo pubblico per i fini di cui alla presente norma non necessitano di autonomo titolo abilitativo.

15. Gli articoli 90 e 91 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 si applicano anche alle opere occorrenti per la realizzazione degli impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica su immobili di proprietà privata, senza la necessità di alcuna preventiva richiesta di utenza.


 

 

L’articolo 2 introduce norme per agevolare i lavori di infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche. A tal fine, il comma 1 prevede che l’installazione di reti e impianti in fibra ottica[1] sono realizzabili con la procedura della denuncia di inizio attività (DIA).

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 22 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico in materia di edilizia), sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non subordinati al permesso di costruire (di cui all’articolo 10 dello stesso D.P.R. 380), e non rientranti nella categoria dell’attività edilizia libera (di cui all’articolo 6 del D.P.R.), purché conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

La vigente normativa in materia di infrastrutture per la comunicazione elettronica è dettata dal decreto legislativo n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche). In particolare, l’articolo 87 prevede che per l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, deve essere presentata domanda all’Ente locale competente, previo accertamento - demandato all’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente – circa i limiti di esposizione e i valori di attenzione. Salvo che un’amministrazione interessataabbia espresso dissenso, con conseguente convocazione di una conferenza di servizi, l’istanza si intende accolta qualora, entro novanta giorni dalla presentazione, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego. I lavori devono essere realizzati entro dodici mesi dalla data del provvedimento di autorizzazione.

L’articolo 88 dello stesso d.lgs. n. 259/2003 dispone che, qualora l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico, i soggetti interessati sono tenuti a presentare apposita istanza conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali.Trascorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda, senza che l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con un provvedimento espresso ovvero abbia indetto un'apposita conferenza di servizi, la domanda si intende accolta. Nel caso di attraversamenti di strade e comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai duecento metri, il termine è ridotto a trenta giorni.

 

Il comma 2 prevede che l’operatore della comunicazione può utilizzare senza oneri le infrastrutture civili esistenti, ove di proprietà pubblica o in regime di concessione pubblica. Se dalla esecuzione dell’opera possano derivare pregiudizi alle infrastrutture interessate, le parti concordano un equo indennizzo, senza determinare ritardi nella prosecuzione dei lavori,

Con riferimento a tali fattispecie, il comma 3 fa salvo il potere di regolamentazione riconosciuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dall’articolo 89, comma 1, del citato d.lgs. n. 259/2003.

Tale norma prevede che, quando un operatore che fornisce reti di comunicazione elettronica ha il diritto di installare infrastrutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, in base alle disposizioni in materia di limitazioni legali della proprietà, servitù ed espropriazione previste dallo stesso decreto, l’Autorità, anche mediante l’adozione di specifici regolamenti, incoraggia la coubicazione o la condivisione di tali infrastrutture o proprietà.

Il secondo periodo del comma 3 afferma inoltre la competenza della stessa Autorità in materia di emanazione del regolamento sulla installazione delle reti dorsali.

 

In ordine alle procedure connesse ai lavori di cui all’articolo in esame, il comma 4 prevede che l’operatore della comunicazione debba presentare la denuncia, almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori, allo sportello unico dell’amministrazione competente per territorio, corredandola con una relazione ed elaborati che attestino la conformità del progetto alla normativa vigente, e che precisino le infrastrutture civili di cui intenda avvalersi secondo quanto previsto dal comma 2.

 

Il comma 5 prevede che le infrastrutture destinate alle comunicazioni in fibra ottica siano assimilate alle opere di urbanizzazione primaria, di cui all’articolo 16, comma 7, del citato D.P.R. n. 380/2001.

 

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 16 prevede, al comma 1, che il rilascio del permesso di costruire comporti la corresponsione di un contributo, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, incidenza che, ai sensi del comma 4, viene stabilita con deliberazione del consiglio comunale. Il comma 7 specifica che gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione.

 

Il comma 6 prevede un termine massimo di efficacia di tre anni per la denuncia di inizio attività e pone a carico dell’interessato l’onere di comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori.

I commi 7 e 8 regolano le ipotesi in cui l’immobile interessato dall’intervento sia sottoposto a vincolo. Ove la tutela del bene appartenga all’amministrazione comunale, dispone che il termine di trenta giorni (di cui al comma 4) decorra dalla data di rilascio dell’assenso; se tale atto non sia favorevole, la denuncia resta priva di efficacia. Se la competenza circa la tutela dell’immobile appartenga a soggetto diverso dall’amministrazione comunale, e se il parere di tale ente non sia stato allegato alla denuncia di inizio attività, deve essere convocata una conferenza di servizi, ai sensi della legge n. 241/1990. Il termine di trenta giorni decorre in questo caso dall’esito della conferenza; se tale esito non è favorevole, la denuncia resta priva di efficacia.

 

Si ricorda che la procedura ora illustrata ricalca quanto previsto dall’articolo 23 del citato D.P.R. n. 380/2001, il quale, nel disciplinare in via generale la procedura della denuncia di inizio attività, prevede appunto che, ove sia necessario acquisire atti di assenso di altre amministrazioni, l’ufficio comunale competente debba convocare un’apposita conferenza di servizi.

 

Il comma 9 precisa che la sussistenza del titolo che legittima l’operatore ad effettuare i lavori è provata dalla copia della denuncia, da cui risulti la data di ricevimento della stessa, e i relativi allegati.

Il comma 10 regola le ipotesi che possono dare luogo ad un diniego dell’intervento. A tal fine, si prevede che il dirigente del competente ufficio comunale, ove verifichi l’assenza delle condizioni legittimanti, ovvero l’esistenza di ragioni ostative di sicurezza, incolumità pubblica o salute, comunica all’interessato l’ordine motivato di non procedere ai lavori ed indica le modifiche necessarie per ottenere l’assenso dell’amministrazione. La denuncia di inizio attività può essere successivamente ripresentata, con le conseguenti modificazioni.

Il comma 11 dispone che l’operatore, decorso il termine di trenta giorni previsto dal comma 4, debba comunicare al comune l’inizio effettivo dei lavori.

Al termine dell’intervento, il comma 12 prevede che il progettista – o un tecnico qualificato – provveda al rilascio del certificato di collaudo, che va presentato allo sportello unico.

Il comma 13 fa rinvio, per gli aspetti non regolamentati, all’articolo 23 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplinain via generale la procedura della DIA per le opere edilizie, e il regime sanzionatorio previsto dallo stesso D.P.R., contenuto nel Titolo IV, Capo II. E’ prevista infine l’applicabilità, se ritenuta più favorevole dal richiedente, dell’articolo 45 del citato D.P.R., il quale regola la sospensione dell’azione penale per violazioni edilizie, in pendenza di procedure di sanatoria amministrativa, e l’estinzione dei reati contravvenzionali in seguito al rilascio in sanatoria del permesso di costruire.

 

Di particolare rilievo è la previsione di cui al comma 14, il quale stabilisce che i soggetti pubblici non possano opporsi alla installazione nelle loro proprietà di reti e impianti per la comunicazione elettronica in fibra ottica, a meno che si tratti di beni appartenenti al patrimonio indisponibile di Stato, province o comuni, ovvero che l’attività possa arrecare turbamento al pubblico servizio. Sono comunque fatte salve le previsioni di cui agli articoli 90 e 91 del D.Lgs. n. 259/2003.

 

L’articolo 90 regola le ipotesi di procedura di esproprio per la realizzazione di impianti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, o dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministero delle comunicazioni. L’articolo 91 individua specifiche limitazioni legali alla proprietà – pubblica o privata - dei beni immobili, interessati dalla realizzazione delle opere e degli impianti di cui all’articolo 90.

 

Il comma 15, infine, prevede l’applicazione degli articoli 90 e 91 del D.Lgs. n. 259/2003 - ora illustrati – anche quando le opere per la realizzazione di impianti di comunicazione in fibra ottica interessino immobili di proprietà privata.

 

 


 

Articolo 3
(Start up)

 


1. Dopo il comma 6 dell'articolo 68 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono aggiunti i seguenti commi:

«6-bis. Le plusvalenze di cui alle lettere c) e c-bis) del comma 1, dell'articolo 67 derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale in società di cui all'articolo 5, escluse le società semplici e gli enti ad esse equiparati, e all'articolo 73, comma 1, lettera a), costituite da non più di sette anni, possedute da almeno tre anni, ovvero dalla cessione degli strumenti finanziari e dei contratti indicati nelle disposizioni di cui alle lettere c) e c-bis) relativi alle medesime società, rispettivamente posseduti e stipulati da almeno tre anni, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti qualora e nella misura in cui, entro due anni dal loro conseguimento, siano reinvestite in società di cui all'articolo 5 e all'articolo 73, comma 1, lettera a), che svolgono la medesima attività, mediante la sottoscrizione del capitale sociale o l'acquisto di partecipazioni al capitale delle medesime, sempreché si tratti di società costituite da non più di tre anni.

6-ter. L'importo dell'esenzione prevista dal comma 6-bis non può in ogni caso eccedere il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei cinque anni anteriori alla cessione, per l'acquisizione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, e di beni immateriali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e sviluppo.».


 

 

L’articolo 3 interviene sulla disciplina IRPEF relativa al regime di tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni e strumenti assimilati, di cui agli articoli 67 e 68 del TUIR.

In particolare, aggiungendo i commi 6-bis e 6-ter all’articolo 68 del TUIR, viene ampliato l’ambito di esenzione dalle imposte dirette delle plusvalenze realizzate dalle persone fisiche non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo nonché dagli enti e associazioni non commerciali[2].

 

L’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR, individua le tipologie di plusvalenze conseguite da persone fisiche non imprenditori le quali, se non costituiscono redditi di capitale, sono qualificate come “Redditi diversi”. Si tratta, in linea generale, delle partecipazioni qualificate[3] (lettera c)) e non qualificate (lettera c-bis)) rappresentate da:

-        azioni, comprese quelle privilegiate e con esclusione delle azioni di godimento emesse da soggetti residenti;

-        azioni di risparmio convertibili in azioni ordinarie;

-        quote sociali e altre forme di partecipazione al capitale o al patrimonio delle società ed enti commerciali compresi gli strumenti finanziari assimilabili alle azioni[4];

-        altri titoli partecipativi, ossia titoli o diritti attraverso i quali è possibile acquisire partecipazioni sociali (es. diritto di opzione, obbligazioni convertibili).

Ai sensi dell’articolo 68, comma 3, del TUIR la plusvalenza realizzata, a decorrere dal 2009, dalla cessione di partecipazioni qualificate concorre alla formazione del reddito complessivo nella misura del 49,72%[5] del relativo ammontare (c.d. Partecipation exemption o PEX) ed è pertanto soggetto al regime di tassazione ordinaria.

Se, invece, la plusvalenza deriva da cessioni di partecipazioni non qualificate, il regime di tassazione previsto dall’articolo 5, comma 2, del D.Lgs. n. 461/1997 è rappresentato da un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi fissata in misura pari al 12,50%.

 

Il nuovo comma 6-bisdispone l’esenzione ai fini IRPEF delle plusvalenze di cui alle richiamate lettere c) e c-bis) dell’articolo 67 qualora siano presenti i seguenti requisiti:

a)      la forma giuridica della società partecipata deve essere prevista dall’articolo 5 del TUIR (società di persone e soggetti assimilati) con esclusione delle società semplici e degli enti ad esse equiparate) ovvero dall’articolo 73, comma 1, lettera a) del TUIR (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, società cooperative, società di mutua assicurazione, società europee);

b)      la società partecipata deve essere stata costituita da non più di sette anni;

c)      il periodo di possesso delle partecipazioni non deve essere inferiore a tre anni. Nel caso di cessione di contratti di associazione in partecipazione e contratti di partecipazione agli utili il requisito minimo dei tre anni si applica alla data di stipula dei contratti medesimi;

d)      le plusvalenze devono essere reinvestite entro due anni mediante l’acquisto di quote o partecipazioni al capitale di società che svolgono la medesima attività. Le nuove società partecipate devono essere costituite in una delle forme giuridiche previste nel punto sub a) e devono essere state costituite da non più di tre anni.

 

Il nuovo comma 6-ter introduce, con riferimento al regime agevolato del comma 6-bis, un limite massimo di importo esente.

Tale limite è pari a cinque volte l’ammontare degli investimenti effettuati nel quinquennio precedente la cessione delle partecipazioni, concernenti l’acquisto o la realizzazione di beni materiali e immateriali ammortizzabili (diversi dagli immobili) nonché le spese per ricerca e sviluppo.


 

Articolo 4
(Strumenti innovativi di investimento)

 


1. Per lo sviluppo di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione, anche consentendo il coinvolgimento degli apporti dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento, e alla valorizzazione delle risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti europei ed internazionali, possono essere costituiti appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le ulteriori disposizioni di attuazione.

1-bis. Per le finalità di cui al comma 1, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze la gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A. può essere autorizzata, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, ad istituire un apposito fondo, attraverso cui partecipare, sulla base di un adeguato sistema di verifica della sostenibilità economico-finanziaria delle iniziative, nonché di garanzie prestate dagli stessi soggetti beneficiari diversi dalla pubblica amministrazione, tale da escludere la garanzia dello Stato sulle iniziative medesime, anche in via sussidiaria, e di intese da stipularsi con le amministrazioni locali, regionali e centrali per l’implementazione dei programmi settoriali di rispettiva competenza, a fondi per lo sviluppo, compresi quelli di cui all’articolo 44 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, sui fondi strutturali, e quelli in cui può intervenire il Fondo europeo per gli investimenti.

2. Dalle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, sono escluse garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche sulle operazioni attivabili ai sensi del comma 1.


 

 

L’articolo 4 autorizza la costituzione di appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, all’interno di un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali, per la realizzazione di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive ad elevato contenuto innovativo, con il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento e la valorizzazione delle risorse finanziarie dedicate (anche derivanti da cofinanziamenti europei ed internazionali), nonché per la valorizzazione delle risorse finanziare - derivanti anche da cofinanziamenti europei ed internazionali- destinate a tale scopo.

In breve si ricorda che i fondi comuni sono dei patrimoni autonomi versati dai risparmiatori e investiti in titoli gestiti da società fiduciarie o di investimento mobiliare. I patrimoni conferiti dai risparmiatori non costituiscono il capitale di tali società, ma ne sono nettamente distinti dal punto di vista economico e giuridico.

I fondi comuni sono cosi regolamentati:

-        ogni fondo comune costituisce un patrimonio distinto a tutti gli effetti sia dal patrimonio della società che gestisce il fondo sia dal patrimonio dei singoli partecipanti, sia da ogni altro fondo amministrato dalla stessa società di gestione.

-        Il fondo non è regolato sola legge istitutiva, ma anche dal regolamento del fondo.

Oggetto dei fondi possono essere titoli azionari e obbligazionari, altri valori mobiliari, quotati e non quotati alle borse valori o altre attività finanziarie; è prevista inoltre la possibilità di investire in azioni o titoli esteri.

In Italia la materia è stata per la prima volta oggetto di un intervento legislativo con la L. 23 marzo 1983 n. 77 (disciplina dei fondi comuni) la quale si è preoccupata di dettare precise norme circa le modalità di gestione del fondo con l'evidente intenzione di impedire abusi speculativi. In seguito, con il Testo Unico della Finanza , di cui al decreto legislativo 24/02/1998 n. 58 e successive modificazioni, l’intera disciplina è stata rivisitata in modo organico in linea con la continua evoluzione dei mercati finanziari.

L’articolo in esame, allo scopo di consentire lo sviluppo di investimenti in iniziative con elevato contenuto innovativo, consente la costituzione di appositi fondi di investimento a partecipazione pubblica e privata articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali.

 

La definizione delle modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le altre disposizioni di attuazione, viene rimessa ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nella norma non è indicare il termine ultimo per l’adozione di tale decreto attuativo.

Il comma 1-bis prevede l’adozione di un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze che autorizzi la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa ad istituire un apposito fondo attraverso il quale partecipare a fondi per lo sviluppo, compresi quelli di cui all’art. 44 del Reg. CE n. 1083/2006 sui fondi strutturali[6] e quelli per i quali il Fondo europeo per gli investimenti[7] può essere movimentato. Stabilisce, inoltre, che la partecipazione della Cassa sia definita sulla base di un adeguato sistema di verifica della sostenibilità economico-finanziaria delle iniziative e delle garanzie prestate dai soggetti beneficiari diversi dalla PA (in modo da escludere la garanzia dello Stato sulle iniziative, anche in via sussidiaria), nonché sulla base di intese da stipularsi con le amministrazioni locali, regionali e centrali.

Il comma 2 precisa che dalle disposizioni sopra esposte, da una parte non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dall’altra sia esclusa la possibilità di attivare garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche.

 


 

Articolo 5
(Sorveglianza dei prezzi)

 


1. I commi 198 e 199 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono sostituiti dai seguenti:

«198. E' istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il Garante per la sorveglianza dei prezzi che svolge la funzione di sovrintendere alla tenuta ed elaborazione dei dati e delle informazioni segnalate agli "uffici prezzi" delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di cui al comma 196. Esso verifica le segnalazioni delle associazioni dei consumatori riconosciute, analizza le ulteriori segnalazioni ritenute meritevoli di approfondimento e decide, se necessario, di avviare indagini conoscitive finalizzate a verificare l'andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi. I risultati dell'attività svolta sono messi a disposizione, su richiesta, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.».

«199. Per l'esercizio della propria attività il Garante di cui al comma 198 si avvale dei dati rilevati dall'ISTAT, della collaborazione dei Ministeri competenti per materia, dell'Ismea, dell'Unioncamere, delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del supporto operativo della Guardia di finanza per lo svolgimento di indagini conoscitive. Il Garante può convocare le imprese e le associazioni di categoria interessate al fine di verificare i livelli di prezzo dei beni e dei servizi di largo consumo corrispondenti al corretto e normale andamento del mercato. L'attività del Garante viene resa nota al pubblico attraverso il sito dell'Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico. Nel sito sono altresì tempestivamente pubblicati ed aggiornati quadri di confronto, elaborati a livello provinciale, dei prezzi dei principali beni di consumo e durevoli, con particolare riguardo ai prodotti alimentari ed energetici, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.».

2. Ai commi 200 e 201 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, le parole «di cui al comma 199», sono sostituite dalle seguenti «di cui al comma 198».


 

 

L’articolo 5 ridefinisce, in un quadro di semplificazione e snellimento procedurale, le funzioni del Garante per la sorveglianza dei prezzi, attraverso la novella dei commi 198 e 199, art. 2, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007), prevedendo specifici poteri conoscitivi e un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria e delle amministrazioni pubbliche.

I commi 196-203 dell’articolo 2 della legge 244 del 2007 hanno introdotto una nuova disciplina in materia di sorveglianza dei prezzi praticati ai consumatori finali che affida agli “uffici prezzi” delle camere di commercio il compito di verificare le dinamiche relative alle variazioni dei prezzi al consumo (comma 196).

Tale attività di verifica può essere svolta sulla base di convenzioni non onerose, stipulate tra le camere di commercio, i comuni, gli altri enti interessati e la prefettura; le convenzioni provvederanno anche all’individuazione delle modalità di rilevazione e di messa a disposizione dei consumatori delle tariffe e dei prezzi rilevati, anche in forma comparata. Ai fini dello svolgimento delle suindicate attività le camere di commercio si avvalgono delle risorse umane, finanziarie e strumentali, disponibili a legislazione vigente (comma 197). Alla Conferenza Unificata è riconosciuta la possibilità di disciplinare la convenzione tipo e le procedure standard, d’intesa con l’Unioncamere, l’ANCI e i Ministeri dello sviluppo economico, delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell’interno e dell’economia e delle finanze (comma 198).

Alla tenuta e all’elaborazione delle informazioni richieste agli “'uffici prezzi'” delle camere di commercio, all'Istat, ai competenti uffici del Ministero delle politiche agricole e anche alla Presidenza del Consiglio (dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica) per i servizi di pubblica utilità, sovrintende il Garante per la sorveglianza dei prezzi, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico. Il Garante è incaricato, altresì, di provvedere alla circolazione delle informazioni, anche in forma comparata e telematica, avvalendosi del "Portale delle imprese”[8] gestito in rete dalle camere di commercio nell’ambito delle proprie risorse che nel testo originario del comma era destinato allo svolgimento di attività unicamente di tipo informativo e che avrebbe dovuto assumere il nome di “Portale delle imprese, dei consumatori e dei prezzi" (comma 199).

Per il suo operato il Garante, scelto tra i dirigenti di prima fascia del Ministero dello sviluppo economico e nominato con DPCM con un mandato triennale[9], svolto senza compenso e mantenendo le precedenti funzioni, si avvale delle strutture del Ministero stesso (comma 200)

Il Garante riferisce al Ministro dello sviluppo economico le dinamiche e le eventuali anomalie dei prezzi rilevate. Da parte sua il Ministro provvede – qualora si renda necessario - a formulare eventuali segnalazioni all'Antitrust e proposte normative (comma 201).

Alle informazioni riferite ai prezzi al consumo, anche se nominative, non si applica la disciplina concernente la riservatezza dei dati personali[10] (comma 202).

Ai fini dell’esercizio delle nuove funzioni le camere di commercio si avvalgono delle risorse umane, finanziarie e strumentali, disponibili a legislazione vigente (comma 203).

 

Il comma 1 sostituisce i commi 198 e 199 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 2007. Le novità introdotte dalla disposizione in esame rispetto alla normativa vigente riguardano, in particolare:

§      la soppressione della norma contenuta al comma 198, in base alla quale alla Conferenza Unificata era riconosciuta la possibilità di disciplinare, d’intesa con l’Unioncamere, l’ANCI e i Ministeri dello sviluppo economico, delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell’interno e dell’economia e delle finanze, la convenzione tipo tra camere di commercio, comuni, prefetture e altri enti interessati per lo svolgimento delle attività degli uffici prezzi delle camere di commercio, nonché le procedure standard di rilevazione e messa a disposizione dei consumatori, anche in forma comparata, delle tariffe e dei prezzi rilevati;

§      la ridefinizione delle funzioni del garante per la sorveglianza dei prezzi. In particolare si prevede:

-       la verifica da parte del Garante delle segnalazioni delle Associazioni riconosciute dai consumatori, l’analisi di ulteriori segnalazioni, e la messa a disposizione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato, su richiesta, dei risultati dell’attività svolta dal Garante (comma 198);

-       il possibile svolgimento di indagini conoscitive finalizzate a verificare l’andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi, anche avvalendosi del supporto operativo della Guardia di finanza, oltre che dei dati rilevati dall’ISTAT e della collaborazione dei Ministeri competenti, dell’Ismea, dell’Unioncamere e delle camere di commercio (comma 199);

-       la possibilità per il Garante di convocare le imprese e le associazioni di categoria al fine di verificare i livelli di prezzo di beni e servizi di largo consumo (comma 199).

§      le modalità di comunicazione al pubblico dei risultati dell’attività del Garante. La formulazione originaria del comma 199 prevedeva che il Garante rendesse note le informazioni, anche in forma comparata e telematica, avvalendosi del “Portale delle imprese, dei consumatori e dei prezzi”, gestito in rete dalle camere di commercio. La nuova formulazione del comma 199 prevede invece che l’attività del Garante sia resa nota al pubblico attraverso il sito dell’Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico[11] e la tempestiva pubblicazione e aggiornamento nel sito stesso dei quadri di confronto dei prezzi dei principali beni di consumo, specie quelli alimentari ed energetici, elaborati a livello provinciale, senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 2 modifica i commi 200 e 201 al fine di assicurare il coordinamento formale con le modifiche disposte dal comma 1.


 

Articolo 6
(Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese)

 


1. Le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati diversi da quelli dell'Unione Europea possono fruire di agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione Europea del 15 dicembre 2006, relativo agli aiuti di importanza minore (de minimis).

2. Le iniziative ammesse ai benefici sono:

a) la realizzazione di programmi aventi caratteristiche di investimento finalizzati al lancio ed alla diffusione di nuovi prodotti e servizi ovvero all'acquisizione di nuovi mercati per prodotti e servizi già esistenti, attraverso l'apertura di strutture volte ad assicurare in prospettiva la presenza stabile nei mercati di riferimento;

b) studi di prefattibilità e di fattibilità collegati ad investimenti italiani all'estero, nonché programmi di assistenza tecnica collegati ai suddetti investimenti;

c) altri interventi prioritari individuati e definiti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

3. Con una o più delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro degli affari esteri, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono determinati i termini, le modalità e le condizioni degli interventi, le attività e gli obblighi del gestore, le funzioni di controllo, nonché la composizione e i compiti del Comitato per l'amministrazione del fondo di cui al comma 4. Sino all'operatività delle delibere restano in vigore i criteri e le procedure attualmente vigenti.

4. Per le finalità dei commi precedenti sono utilizzate le disponibilità del Fondo rotativo di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394 con le stesse modalità di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo. Entro il 30 giugno di ciascun anno, il Comitato interministeriale per la programmazione economica delibera il piano previsionale dei fabbisogni finanziari del fondo. Le ulteriori assegnazioni di risorse sono stabilite in via ordinaria dalla legge finanziaria ovvero in via straordinaria da apposite leggi di finanziamento.

5. E' abrogato il decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, ad eccezione dei commi 1 e 4 dell'articolo 2 e degli articoli 10, 11, 20, 22 e 24. E' inoltre, abrogata la legge 20 ottobre 1990, n. 304 ad eccezione degli articoli 4 e 6, e sono abrogati, altresì, i commi 5, 6, 6-bis, 7 e 8, dell'articolo 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143.

6. I riferimenti alle norme abrogate ai sensi del presente articolo contenuti nel comma 1, dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, devono intendersi sostituiti dal riferimento al presente articolo.


 

 

L’articolo 6 interviene su alcune norme concernenti il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. Più specificamente, la disposizione -motivata dalla necessità di adeguare l’ordinamento interno alla normativa comunitaria, anche al fine di evitare una possibile procedura di infrazione - opera un riassetto degli interventi a valere sul Fondo rotativo per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici in Paesi non comunitari, di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 251 del 1981 (Provvedimenti per il sostegno delle esportazioni italiane), nell’ambito delle finalità e nei limiti delle risorse stabiliti dalla legislazione vigente, al fine di adeguare la politica di settore all’evoluzione recente del contesto economico e della normativa comunitaria.

Il comma 1 dispone che le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati extra UE possono fruire di agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 relativo ad aiuti di importanza minore (de minimis).

La normade minimis,recentemente aggiornata dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d'importanza minore,prevede chenon siano considerati aiuti di stato e dunque non debbano essere notificati per l’autorizzazione della Commissione Europea gli incentivi sotto i 200 mila euro, percepiti in tre anni (in precedenza il limite massimo era di 100 mila euro). Al fine di evitare abusi sono esclusi gli aiuti alle imprese in difficoltà e quelli il cui ammontare non può essere calcolato in anticipo (i cosiddetti aiuti “non trasparenti”).

A differenza della precedente disciplina, la nuova normativa sul de minimis si applica al settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli e a quello dei trasporti. Per quest’ultimo è però previsto un tetto di 100 mila euro e l’esclusione dei veicoli per il trasporto merci su strada.

Il comma 2 elenca le tipologie di iniziative che possono essere ammesse ai benefici de minimis:

§      le iniziative che, attraverso l’apertura di strutture volte ad assicurare una presenza stabile nei mercati di riferimento, mirano a realizzare investimenti finalizzati al lancio ed alla diffusione di nuovi prodotti e servizi ovvero all’acquisizione di nuovi mercati per prodotti e servizi già esistenti;

§      le iniziative aventi ad oggetto studi di prefattibilità e fattibilità collegati ad investimenti italiani all’estero, nonché programmi di assistenza tecnica collegati ai suddetti investimenti;

§      gli altri interventi prioritari individuati e definiti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

 

Il comma 3 assegna al CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e degli affari esteri, il compito di definire con una o più delibere, i termini, le modalità e le condizioni degli interventi, le attività e gli obblighi del gestore, le funzioni di controllo, nonché la composizione e i compiti del Comitato per l’amministrazione del Fondo rotativo destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici, di cui al successivo comma 4. Sino all’operatività delle delibere del CIPE – da adottarsi entro 90 gg dall’entrata in vigore del presente decreto - restano in vigore i criteri e le procedure attualmente vigenti.

 

Il comma 4 autorizza – per le finalità individuate dai precedenti commi- l’impiego delle disponibilità del Fondo rotativo di cui all’articolo 2, comma 1, DL n. 251/1981, osservando le medesime modalità di utilizzo delle risorse del Fondo. Spetta poi al CIPE deliberare il piano previsionale dei fabbisogni finanziari del Fondo entro il 30 giugno di ciascun anno. Eventuali ulteriori assegnazioni di risorse saranno stabilite in via ordinaria dalla legge finanziaria o, in via straordinaria, da apposite leggi di finanziamento.

 

L’articolo 2 del decreto-legge n. 251 del 1981, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, ha istituito presso il Mediocredito centrale un fondo a carattere rotativo destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici a fronte di programmi di penetrazione commerciale in Paesi diversi da quelli delle Comunità europee. Il fondo era originariamente amministrato da un comitato di nomina ministeriale, successivamente soppresso dal comma 7 dell’art. 25 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143, il quale ha disposto, tra l’altro, che a decorrere dal 1° gennaio 1999, la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui al suddetto DL n. 251 fosse attribuita alla SIMEST S.p.a.

Per quanto concerne le tipologie e le modalità delle garanzie a copertura dei rimborsi del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori relativi ai finanziamenti, è successivamente intervenuto il comma 6 dell'art. 7, della legge 31 marzo 2005, n. 56, il quale, novellando l’articolo 2, comma 3, del DL n. 251/81, ha stabilito che tali tipologie e modalità di garanzia siano determinate dal comitato di cui alla convenzione del 16 ottobre 1998 tra il Ministero del commercio con l'estero e la SIMEST Spa, stipulata ai sensi del citato articolo 25 del citato D.Lgs 143/98. Le condizioni per la concessione dei finanziamenti a valere sul Fondo sono state stabilite con DM 22 settembre 1999, n. 467. Ai sensi dell’articolo 11 di tale decreto, per garantire il rimborso del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori, l'impresa beneficiaria del finanziamento, a copertura dei singoli importi da erogare, deve prestare al soggetto gestore una o più delle seguenti tipologie di garanzia, da sottoporre, unitamente alla richiesta di finanziamento, all'approvazione del comitato: fideiussione bancaria, assicurativa, pegno su titoli, o fideiussione dei consorzi di garanzia collettiva fidi convenzionati con il soggetto gestore.

Successivamente ilcomma 933, art. 1, della legge 296/06 (finanziaria 2007) ha novellato il DL n. 251/81 mediante l’inserimento del nuovo articolo 2-bis. La nuova disposizione prevede, in particolare, che il fondo rotativo di cui all’art. 2 possa essere garantito dall’ente gestore (Simest S.p.a.) contro i rischi di mancato rimborso presso una compagnia di assicurazioni o un istituto di credito. Lo stesso ente gestore provvederà ad addebitare icosti di garanzia o assicurazione ai soggetti beneficiari delle agevolazioni concesse a valere sul citato Fondo. La disposizione in commento prevede, inoltre, che le condizioni e le modalità del contratto di assicurazione o di garanzia – che, peraltro, non deve comportare oneri a carico del Fondo – sia sottoposto all’approvazione da parte del Comitato di gestione del Fondo stesso

 

Il comma 5 reca una serie di abrogazioni espresse delle norme non più compatibili con la nuova disciplina. Si tratta:

§      del decreto - legge 28 maggio 1981, n. 251, ad eccezione dei commi 1 e 4 dell’articolo 2 (relativi all’istituzione del Fondo e all’inserimento delle imprese alberghiere e turistiche tra le beneficiarie), e degli articoli 10, 11, 20, 22 e 24;

§      della legge 20 ottobre 1990, n. 304, recante provvedimenti per la promozione delle esportazioni (ad eccezione degli articoli 4 e 6);

§       dei commi 5, 6, 6-bis, 7 e 8, dell’articolo 22 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143, recante disposizioni concernenticontributi e finanziamenti per lo sviluppo delle esportazioni.

 

Il comma 6, infine, precisa che tutti i riferimenti alle norme abrogate contenuti nel comma 1 dell’art. 25 del D.Lgs 143/98 devono intendersi sostituiti dal riferimento al presente articolo.

 

Il comma 1 dell’art. 25 del D.Lgs. n. 143/1998, recante norme di razionalizzazione degli interventi di sostegno finanziario, opera infatti una serie di richiami ad alcune delle leggi abrogate in forma espressa dal comma 5 dell’articolo in esame, stabilendo che a decorrere dal 1° gennaio 1999 la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui alla legge 24 maggio 1977, n. 227, al DL 251/81, alla legge 20 ottobre 1990, n. 304, alla legge 24 aprile 1990, n. 100 , e all'art. 14 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, sia attribuita alla SIMEST S.p.a. A decorrere dalla medesima data la gestione degli interventi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 19, viene attribuita alla FINEST S.p.a. Con apposita convenzione sono disciplinate le modalità di collaborazione fra SIMEST S.p.a. e FINEST S.p.a.

 


 

Articolo 6-bis
(Distretti produttivi e reti di imprese)

 


1. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura.

2. Alle reti, di livello nazionale, delle imprese e alle catene di fornitura, quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali, si applicano le disposizioni concernenti i distretti produttivi previste dall’articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come da ultimo modificati dal presente articolo, ad eccezione delle norme inerenti i tributi dovuti agli enti locali.

3. All’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 366, primo periodo, dopo le parole: «Ministro per l’innovazione e le tecnologie,» sono inserite le seguenti: «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e sentite le regioni interessate,»;

b) al comma 368, alla lettera a), i numeri da 1) a 15) sono sostituiti dai seguenti:

       «1) al fine della razionalizzazione e della riduzione degli oneri legati alle risorse umane e finanziarie conseguenti alla effettuazione degli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto, con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e sentite le regioni interessate, sono disciplinate, per le imprese appartenenti ai distretti di cui al comma 366, apposite semplificazioni contabili e procedurali, nel rispetto della disciplina comunitaria, e in particolare della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, e successive modificazioni;

       2) rimane ferma la facoltà per le regioni e gli enti locali, secondo i propri ordinamenti, di stabilire procedure amministrative semplificate per l’applicazione di tributi propri»;

c) al comma 368, lettera b), numero 1), ultimo periodo, dopo le parole: «Ministro per la funzione pubblica,» sono inserite le seguenti: «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, e sentite le regioni interessate,»;

d) al comma 368, lettera b), numero 2), ultimo periodo, dopo le parole: «Ministro dell’economia e delle finanze» sono inserite le seguenti: «, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, e sentite le regioni interessate,»;

e) il comma 370 è abrogato.

4. Al comma 3 dell’articolo 23 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, come modificato dall’articolo 1, comma 370, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le parole: «anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317» sono soppresse.

5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


L‘articolo 6-bis modifica in più parti la disciplina sui distretti produttivi introdottadall’articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), eliminando, in particolare, le disposizioni relative al consolidamento fiscale ed alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi, che sono sostituite da norme di semplificazione ai fini degli adempimenti IVA. Inoltre, estende la normativa sui distretti produttivi come modificata - ad eccezione di quelle concernenti i tributi dovuti agli enti locali - alle reti delle imprese (di livello nazionale), nonché alle catene di fornitura, (comma 2).

 

La definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle reti delle imprese è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le regioni interessate[12] (comma 1).

Lo scopo è quello di promuovere lo sviluppo del sistema imprenditoriale attraverso azioni di rete in grado di rafforzare le misure organizzative delle imprese, l’integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive appartenenti anche a regioni diverse.

Il comma 3 apporta varie modifiche alle disposizioni della legge 266/2005 disciplinanti i distretti produttivi, di seguito illustrate :

a)      si richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e che vengano sentite le regioni interessate, ai fini dell’adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui il comma 366 rinvia per la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi;

b)      si dispone la sostituzione dei numeri da 1) a 15) della lettera a) dell’articolo 1, comma 368, della citata della legge 266/2005, che attualmente recano una specifica disciplina tributaria per i distretti produttivi.

Le citate disposizioni prevedono che il regime fiscale dei distretti consenta la tassazione sulla base di due diverse aggregazioni, costituite dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES).Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali), il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

La tassazione consolidata (numeri 1 e 2) si applica alle sole imposte sul reddito e ricalca l'istituto del consolidato nazionale per la tassazione dei gruppi di imprese, le cui norme vengono espressamente richiamate in quanto applicabili. In luogo del gruppo di imprese controllate, l'unità fiscale di riferimento è il distretto, che provvede agli adempimenti dichiarativi e di pagamento, sulla base della somma algebrica dei redditi delle società partecipanti. Viene quindi consentita, ad esempio, la compensazione intradistrettuale delle perdite fiscali. Si ricorda in particolare che, secondo il disposto del numero 1) della citata lettera a), le imprese appartenenti a distretti aventi determinate caratteristiche (a norma del comma 366 dell’articolo 1 della medesima legge) possono congiuntamente esercitare l'opzione per la “tassazione (consolidata) di distretto” ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società (IRES), ovvero un modello di tassazione che configura l’estensione delle condizioni per l’applicazione dell’istituto del consolidato nazionale, previsto e disciplinato dal titolo II, capo II, sezione II (articolo da 117 a 129), del vigente testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per la tassazione di gruppo delle imprese residenti. La facoltà di opzione per la tassazione di gruppo è consentita congiuntamente alle società di capitali, cooperative, mutue assicuratrici o enti commerciali controllanti e a ciascuna società o ente controllato.

La tassazione unitaria (numeri da 3 a 15) individua il distretto quale soggetto passivo delle imposte sui redditi, dei tributi e delle altre somme dovute agli enti locali, sulla base di concordato preventivo di durata almeno triennale.

Il ricorso a tale forma di concordato preventivo è comunque ammesso anche indipendentemente dall’opzione per le suddette forme di tassazione.

Nel dettaglio, con le norme proposte (ai sensi del nuovo numero 1) viene abrogatoil suddetto gruppo di disposizioni fiscali concernenti i distretti produttivi - contenute nella legge finanziaria 2006 - e sostituito con la previsione di appositesemplificazioni contabili e procedurali in favore delle imprese appartenenti ai distretti medesimi, finalizzate a razionalizzare e ridurre gli oneri legati alle risorse umane e finanziarie conseguenti all'effettuazione degli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto, nel rispetto della disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 e successive modificazioni.

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto costituendo, pertanto, una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo. Il nuovo testo è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.

Si osserva al riguardo che le disposizioni relative all’individuazione dei distretti produttivi tramite decreto ministeriale, ai sensi del citato articolo 1, comma 366, della legge n. 266 del 2005, non sembrano sinora avere ricevuto attuazione.

La norma demanda la disciplina delle suddette semplificazioni a un regolamento di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate.

Alla luce dell’estensione disposta dal comma 2 dell’articolo in esame, tali norme di semplificazione si applicherebbero sia alle imprese facenti parti dei citati distretti, sia a quelle che opereranno entro le istituende “reti delle imprese”.

Il nuovo numero 2)reca disposizioni in materia di tributi propri delle regioni e degli enti locali, disponendo che per questi ultimi resti ferma la facoltà di stabilire procedure amministrative semplificate per l'applicazione di tributi propri.

c)/d)         si richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, viene richiesta per l’adozione dei decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze che fissano, rispettivamente, le modalità applicative delle disposizioni del numero 1 e 2, comma 368, lett. b) (al riguardo si rinvia al successivo quadro normativo):

 

Il comma 4 dell’articolo in commento sopprime le disposizioni del comma 3, art. 23, del D.Lgs. 112/98 – aggiunte dal comma 370 della legge 266/05 - che affidano lo svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, anche alle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317.

 

Il comma 5, infine, reca la clausola di invarianza di spesa.

 

Quadro normativo

La legge finanziaria per il 2006 (commi 366-372) è intervenuta in materia in materia di distretti produttivi che, come è noto, rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e che si configurando come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva.

Ai fini dell’applicazione della nuova disciplina recata dai commi da 367 a 372, ilcomma 366 dispone che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provveda a precisare le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi, qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi le finalità, da perseguirsi "secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale”, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali" di:

-        accrescimento dello sviluppo delle aree e dei settori di riferimento;

-        miglioramento dell'efficienza nell'organizzazione e nella produzione.

La disposizione prefigura dunque la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata finora nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale. I distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge. L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera

L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera.

Il comma 368determina le disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi. Con esse viene prevista, in sintesi, la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.

La lettera a) individua la disciplina tributaria.

Si ricorda che, come risulta anche dall’illustrazione contenuta nella relazione governativa all’originario disegno di legge (A.S. 3613), viene prevista – su base comunque opzionale – la possibilità di due diverse aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

La lettera b) del comma 368 individua alcune disposizioni amministrative applicabili ai distretti produttivi.

Ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono ai distretti, la norma prevede la facoltà per il distretto di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la "certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito; si prevede, inoltre, il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privato per conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato

A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo.

Viene altresì consentito ai distretti di accedere con apposita convenzione ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandando ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione.

La lettera c) individua una serie di disposizioni finanziarie applicabili ai distretti.

Si segnala che si tratta in particolare di interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto.

A tale proposito, vengono anzitutto previste forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica società.

La lettera d) detta disposizioni in materia di ricerca e sviluppo, prevedendo l'istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, che è chiamata a concorrere all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali (numero 1). All'Agenzia è assegnato il compito di promuove l'integrazione fra il sistema della ricerca e il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali su scala sia nazionale che internazionale.

Si prevede, inoltre, la stipula, da parte dell’Agenzia di convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità (numero 3).

Attraverso decreti di natura non regolamentare, la Presidenza del Consiglio dei ministri - alla cui vigilanza l’Agenzia viene sottoposta e alla quale è, altresì, rimessa l'approvazione del relativo statuto (ai sensi del numero 4) - provvede alla definizione di criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione, dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se nominati.

L'applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti viene estesa anche:

-        ai distretti rurali ed agroalimentari, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;

-        ai sistemi produttivi;

-        ai sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317;

-        ai consorzi per il commercio estero di cui alla legge 21 dicembre 1989, n. 83[13];

-        al settore della pesca[14]

Le funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, possano essere svolte “anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (comma 370).

In un primo tempo si prevedeun’applicazione in via sperimentale delle disposizioni di cui ai commi 366-372, limitatamente ad uno o più distretti che saranno individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. A questa fase sperimentale seguirà, comunque, una realizzazione progressiva dell’applicazione delle disposizioni in oggetto.

Infine, per l’attuazione dei commi 366-371 viene fissato un limite massimo di spesa pari a 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2006(comma 372).

La legge finanziaria per il 2007, attraverso la novella della legge n. 266/05, ha introdotto disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

La novella alla legge finanziaria per il 2006 è volta, in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi, a prevedere la possibilità di riconoscere un contributo statale a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

I commi 889-891 recano disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

Novellando la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) mediante l’aggiunta dei commi 371-bis e 371-ter, tali disposizioni prevedono - in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi - la possibilità di riconoscere una agevolazione a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50 per cento delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto. I progetti regionali ammessi al beneficio, i relativi oneri ed eventuali ulteriori progetti di carattere nazionale (come precisato in aggiunta nel testo approvato dal Senato), saranno individuati con decreto del Ministro dello sviluppo economico.

 


 

Articolo 6-ter
(Banca del Mezzogiorno)

 


1. Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d’Italia di un istituto bancario in grado di sostenere lo sviluppo economico e di favorirne la crescita, è costituita la società per azioni "Banca del Mezzogiorno".

2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da adottare, nel rispetto delle disposizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nominato il comitato promotore, con oneri a carico delle risorse di cui al comma 4.

3. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinati:

a) i criteri per la redazione dello statuto, nel quale è previsto che la Banca abbia necessariamente sede in una regione del Mezzogiorno d’Italia;

b) le modalità di composizione dell’azionariato della Banca, in maggioranza privato e aperto all’azionariato popolare diffuso, e il riconoscimento della funzione di soci fondatori allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti e organismi pubblici, aventi sede nelle regioni meridionali, che conferiscono una quota di capitale sociale;

c) le modalità per provvedere, attraverso trasparenti offerte pubbliche, all’acquisizione di marchi e di denominazioni, entro i limiti delle necessità operative della Banca, di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari;

d) le modalità di accesso della Banca ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse prestate da organismi sopranazionali per lo sviluppo delle aree geografiche sottoutilizzate.

4. E' autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2008 per l’apporto al capitale della Banca da parte dello Stato, quale soggetto fondatore. Entro cinque anni dall’inizio dell’operatività della Banca tale importo è restituito allo Stato, il quale cede alla Banca stessa tutte le azioni ad esso intestate ad eccezione di una.

5. All’onere di cui al comma 4 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,5 milioni di euro, l’accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 2,5 milioni di euro, l’accantonamento relativo al Ministero della salute.

6. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 6-ter prevede la costituzione della società per azioni “Banca del Mezzogiorno”, con lo scopo di assicurare la presenza nelle regioni del Mezzogiorno di un istituto bancario in grado di sostenerne lo sviluppo economico e di favorirne la crescita.

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, viene nominato il Comitato promotore.

Il decreto dovrà fissare, altresì, i criteri per la redazione dello Statuto, le modalità di composizione dell’azionariato (in maggioranza privato e aperto all’azionariato popolare diffuso), per l’acquisizione di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari, le modalità di accesso a fondi e finanziamenti internazionali.

La Banca dovrà avere sede in una regione del Mezzogiorno.

 

Ai sensi dell’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB), emanato con decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, la Banca d'Italia autorizza l'attività bancaria quando ricorrano le seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata; a-bis) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica; b) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia; c) venga presentato un programma concernente l'attività iniziale, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto; d) i titolari di partecipazioni rilevanti abbiano i requisiti di onorabilità stabiliti dall'articolo 25 del medesimo testo unico e sussistano i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione prevista dall'articolo 19 dello stesso; e) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo abbiano i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza indicati nell'articolo 26 del citato testo unico; f) non sussistano, tra la banca o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l'effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. La Banca d'Italia nega l'autorizzazione quando dalla verifica delle predette condizioni non risulti garantita la sana e prudente gestione.

Le “Istruzioni di vigilanza per le banche”, emanate dalla Banca d’Italia (Titolo I, cap. 1, pag. 6), specificano, fra l’altro, che nel programma iniziale debbano essere indicati i settori di intervento, le operazioni e i servizi che la banca intende svolgere, l’indicazione delle aree economiche e territoriali di intervento, della tipologia della clientela sia nell’attività di raccolta (mercato al dettaglio, mercato all’ingrosso, altro) sia in quella di impiego (finanziamento alle famiglie, alle imprese, altro), della struttura tecnica, organizzativa e gestionale.

La presentazione di tale programma consente alla Banca d’Italia di conoscere i progetti industriali e finanziari che la costituenda banca si ripromette di realizzare, anche in relazione al mercato di riferimento (v. così R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, pag. 298).

 

Viene autorizzata la spesa di 5 milioni per il 2008, quale apporto dello Stato al capitale sociale. Tale importo dovrà essere restituito allo Stato entro 5 anni dall’inizio dell’operatività della Banca, a seguito della cessione alla Banca delle azioni ad esso intestate, salvo una.

Si ricorda che la costituzione della "Banca del Mezzogiorno" era già stata prevista dalla legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005: art. 1, commi 376-378), al cui capitale avrebbe partecipato lo Stato, quale soggetto fondatore.

La "Banca del Mezzogiorno" sarebbe stata organizzata in forma di società per azioni e avrebbe avuto l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico del Sud d'Italia.

Come si legge nella relazione governativa al disegno di legge finanziaria (XIV legislatura - A.S. 3613), la disposizione era diretta a creare una banca radicata nel territorio meridionale, espressione della classe imprenditoriale locale, che sia in grado di praticare "una politica selettiva del credito volta a incoraggiare le imprese meritevoli facendo così da volano per l'avvio di un circolo virtuoso che rilanci lo sviluppo del territorio stesso".

La legge finanziaria per il 2006 disponeva che con decreto, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore, si procedeva all’istituzione del Comitato promotore, cui veniva affidato il compito di dare attuazione alle disposizioni in oggetto. A tal fine è stato emanato il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 2 marzo 2006 (non pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale).

Veniva rimessa ad un successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l'individuazione degli elementi caratterizzanti la Banca. Si disponeva, comunque, che la futura disciplina avrebbe dovuto essere coerente con la normativa comunitaria in materia, nonché con le disposizioni del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, recante il testo unico bancario (TUB).

Venivano, infine, elencate le caratteristiche della futura Banca del Mezzogiorno.

Per quanto riguarda lo statuto della Banca, questo si sarebbe dovuto ispirare ai princìpi già contenuti negli statuti dei banchi meridionali e insulari.

Per quanto concerne il capitale della Banca, si prevedeva che:

-        i soci fondatori sarebbero stati prevalentemente soggetti pubblici, e specificamente lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le camere di commercio. A questi si sarebbero aggiunti altri enti e organismi;

-        nonostante la natura pubblica dei principali soci fondatori, il capitale sarebbe stato in maggioranza privato. Il capitale, inoltre, sarebbe stato aperto, secondo le ordinarie procedure e con criteri di trasparenza, all’azionariato popolare diffuso;

-        fosse riservato un privilegio patrimoniale in favore dei vecchi soci dei banchi meridionali.

La Banca avrebbe dovuto inoltre provvedere all’acquisizione di marchi e denominazioni di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari. L'acquisizione, da realizzarsi ricorrendo a offerte pubbliche (che si prescrive debbano essere “trasparenti”), dovrà essere effettuata entro i limiti delle necessità operative della stessa Banca.

Veniva poi prefigurato un ruolo per la Banca del Mezzogiorno nelle politiche di sviluppo delle aree sottoutilizzate.

In particolare, si prevedeva che la Banca potesse accedere, secondo le modalità dettate dall’emanando decreto ministeriale, ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate prestate da organismi sopranazionali.

Veniva infine autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'apporto al capitale della banca da parte dello Stato quale socio fondatore[15].

 


 

Articolo 6-quater
(Concentrazione strategica degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate)

 


1. Al fine di rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, su indicazione dei Ministri competenti sono revocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006 in favore di amministrazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma quadro sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria. In ogni caso è fatta salva la ripartizione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15% alle regioni del Centro-Nord.

2. Le disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse assegnate, costituiscono norme di principio per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce, di concerto con i Ministri interessati, i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse disponibili previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

3. Le risorse oggetto della revoca di cui al comma 1 che siano già state trasferite ai soggetti assegnatari sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate alla unità previsionale di base in cui è iscritto il Fondo per le aree sottoutilizzate.


 

 

L’articolo 6-quater dispone la revoca, su indicazione dei Ministri competenti delle assegnazioni effettuate dal CIPE fino al 31 dicembre 2006 a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) a favore di amministrazioni centrali e regionali relativamente al periodo 2000-2006, che alla data del 31 maggio 2008 non risultano ancora impegnate ovvero programmate nell’ambito delle Accordi di programma quadro (APQ) sottoscritti entro tale termine.

Sono escluse dalla revoca le assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria.

 

L’intesa istituzionale di programma è costituita dall'accordo con il quale l’amministrazione centrale e le amministrazioni regionali (o province autonome) con cui tali soggetti si impegnano a collaborare, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d'interesse comune o funzionalmente collegati sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti.

Le Intese, istituite con legge n. 662/1996, rappresentano uno strumento di programmazione degli investimenti pubblici che, attraverso una stretta collaborazione tra Governo centrale e regioni (o province autonome), mira a coordinare le molteplici iniziative promosse dai diversi soggetti pubblici e privati.

L’intesa istituzionale di programma prevede, per ciascun settore d’intervento, la stipula di un Accordo di Programma Quadro, rimandando a quest’ultimo la definizione puntuale delle opere e dei finanziamenti, nonché le procedure per il monitoraggio dell’attuazione degli investimenti.

L’istituto dell’accordo di programma quadro si configura, pertanto, come lo strumento di attuazione dell’intesa istituzionale di programma.

 

La relazione illustrativa dell’emendamento che ha introdotto l’articolo 6-quater stima in circa 700 milioni di euro l’ammontare delle risorse recuperate.

Tali risorse potranno conseguentemente essere concentrate su interventi di rilevanza strategica nazionale.

L’ultimo periodo del comma 1 fa salvo il principio di ripartizione delle risorse nella misura dell’85% alle regioni del Mezzogiorno e del 15% a quelle del Centro-Nord.

 

La concentrazione delle risorse non utilizzate rappresenta, inoltre, norma di principio da applicare alle regioni e alle province autonome, per le risorse loro assegnate nell'ambito della programmazione 2000-2006: pertanto, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano si provvederà a definire i criteri e le modalità per la riprogrammazione delle risorse disponibili.

 

Nel caso in cui le risorse oggetto di revoca siano già state trasferite ai soggetti assegnatari, sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate alla unità previsionale di base in cui è iscritto il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).


 

Articolo 6-quinquies
(Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale)

 


1. E' istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere dall’anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese. Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, fatte salve le risorse che, alla data del 31 maggio 2008, siano state vincolate all’attuazione di programmi già esaminati dal CIPE o destinate al finanziamento del meccanismo premiale disciplinato dalla delibera CIPE 3 agosto 2007, n. 82.

2. Con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, fermo restando il vincolo di concentrare nelle regioni del Mezzogiorno almeno l’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Lo schema di delibera del CIPE è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Nel rispetto delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’11 luglio 2006, e successive modificazioni, i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui al presente articolo.

3. Costituisce un principio fondamentale, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la concentrazione, da parte delle regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all’articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, e di ridefinizione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 6-quinquies istituisce, a decorrere dal 2009, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, un Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale (comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche).

Nel Fondo confluiscono le risorse nazionali del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) previste per l’attuazione del Quadro strategico nazionale (QSN) 2007-2013[16] in favore di programmi infrastrutturali di rilevanza strategica nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali definite dal CIPE con delibera n. 166 del 2007.

Sono escluse le risorse che alla data del 31 maggio 2008 sono già state vincolate all’attuazione di programmi già esaminati dal CIPE o destinate al finanziamento della “premialità”.

 

Con la delibera n. 166 del 21 dicembre 2007 il CIPE ha ripartito l’ammontare complessivo delle risorse FAS, per il periodo 2007-2013, pari 63.273 milioni di euro tra le due macroaree del Mezzogiorno e del Centro Nord, secondo il tradizionale criterio dell’85-15 per cento e per ciascuna area ha proceduto:

-        all’accantonamento di una quota di risorse per la riprogrammazione di metà periodo, da ripartire entro il primo semestre del 2011, nonché per finanziare progetti strategici speciali, meccanismi premiali e incentivanti;

-       all’individuazione delle risorse assegnate ai programmi di interesse strategico e alla ulteriore ripartizione delle stesse tra programmi nazionali, regionali e interregionali (questi ultimi relativi al solo Mezzogiorno).


 

 

Programmazione FAS 2007- 2013 – Mezzogiorno
(in milioni di euro)

 

A

Totale risorse disponibili Mezzogiorno

53.782,050

B

Accantonamento per particolari destinazioni e riserva di programmazione

16.134,615

B1

Progetto "obiettivi di servizio"

3.012,000

B2

Fondo premiale per progetti innovativi e di qualità

1.500,000

B3

Destinazione a Progetti strategici speciali

3.699,269

B31

Progetto Salute, sicurezza e sviluppo nel Mezzogiorno

1.500,000

B32

Programma straordinario nazionale per il recupero economico-produttivo di siti industriali inquinati

2.149,269

B33

Progetto straordinario per la tutela delle collettività residenti in aree a rischio

50,000

B4

Riserva di programmazione

7.923,346

C

Risorse Programmi FAS in attuazione Priorità del QSN 2007-2013

37.647,435

C1

Programmi di interesse strategico nazionale

17.817,981

C2

Programmi di interesse strategico regionale

18.069,164

C3

Programmi interregionali

1.760,290

 

 

Programmazione FAS 2007- 2013 - Centro-Nord
(in milioni di euro)

 

A

Totale risorse disponibili Centro-Nord

9.490,950

B

Accantonamento per destinazioni particolari e riserva di programmazione

1.728,190

B1

Progetti strategici speciali

630,000

B11

Programma straordinario nazionale per il recupero economico-produttivo di siti industriali inquinati

450,000

B12

Progetto Valle del Fiume PO

180,000

B2

Riserva di programmazione

1.098,190

C

Risorse Programmi FAS in attuazione Priorità del QSN 2007-2013

7.762,760

C1

Programmi di interesse strategico nazionale

2.218,779

C2

Programmi di interesse strategico regionale

5.543,981

 

 

Il comma 2 prevede che la dotazione del Fondo venga ripartita con delibera del CIPE, su proposta delMinistero dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata.

E’ fatto salvo il principio in base al quale la ripartizione delle risorse del Fondo sia effettuata nella percentuale dell’85% in favore delle regioni del Mezzogiorno e del restante 15% in favore delle regioni del Centro-Nord.

Lo schema di delibera del CIPE di ripartizione del Fondo è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari.

E’ prevista la possibilità di ridefinizione dei programmi operativi nazionali (PON) finanziati con risorse comunitarie.

 

Il comma 3 riconosce alla concentrazione da parte delle Regioni sulle infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del QSN il valore di “principio fondamentale” ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione; tale principio sarà applicato in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) e in sede di ridefinizione dei programmi finanziati dai fondi comunitari.

 

L’articolo 117 indica, al comma 2, le materie di esclusiva competenza dello Stato, mentre al comma 3 riporta l’indicazione delle materie di legislazione concorrente[17] per le quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

 


 

Articolo 6-sexies
(Ricognizione delle risorse per la programmazione unitaria)

 


1. Per promuovere il coordinamento della programmazione statale e regionale ed in particolare per garantire l’unitarietà dell’impianto programmatico del Quadro strategico nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 e favorire il tempestivo e coordinato utilizzo delle relative risorse, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministero dello sviluppo economico, effettua la ricognizione delle risorse generate da progetti originariamente finanziati con fonti di finanziamento diverse dai Fondi strutturali europei ed inseriti nei programmi cofinanziati che siano oggetto di rimborso a carico del bilancio comunitario e del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, in particolare individuando le risorse che non siano state impegnate attraverso obbligazioni giuridicamente vincolanti correlate alla chiusura dei Programmi operativi 2000-2006 e alla rendicontazione delle annualità 2007 e 2008 dei Programmi operativi 2007-2013, anche individuando modalità per evitare il disimpegno automatico delle relative risorse impegnate sul bilancio comunitario.

2. All’esito della ricognizione di cui al comma 1 e comunque entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta la riprogrammazione che definisce le modalità di impiego delle risorse, i criteri per la selezione e le modalità di attuazione degli interventi che consentano di assicurare la qualità della spesa e di accelerarne la realizzazione anche mediante procedure sostitutive nei casi di inerzia o inadempimento delle amministrazioni responsabili. L’intesa, tenuto conto del vincolo delle precedenti assegnazioni alle amministrazioni centrali e regionali, in attuazione dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, individua gli interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economici e sociali, con priorità per gli interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale e regionale di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione.

3. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) approva l’intesa di cui al comma precedente ed assume con propria deliberazione gli atti necessari alla riprogrammazione delle risorse e all’attuazione della stessa. Prima dell’approvazione da parte del CIPE, la riprogrammazione delle risorse di cui al periodo precedente è trasmessa al Parlamento, ai fini dell’espressione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.

4. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base dell’intesa di cui ai commi 2 e 3 e della riprogrammazione delle risorse disponibili approvata dal CIPE, promuove con le singole regioni interessate la stipula delle intese istituzionali di programma di cui all’articolo 2, comma 203, lettera b), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, per individuare il programma degli interventi e le relative modalità di attuazione. Ai fini del conseguimento degli obiettivi ed in coerenza con le modalità di attuazione del Quadro strategico nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 le intese saranno sottoscritte anche dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni.

5. Le intese istituzionali di programma di cui al comma precedente costituiscono lo strumento di attuazione di quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 6-quinquies del presente decreto.


Il comma 1 autorizza la Presidenza del Consiglio, sentito il Ministero dello sviluppo economico, ad effettuare una ricognizione delle risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate relative a progetti finanziati a valere sui fondi di cofinanziamento nazionale e che siano oggetto di rimborso a carico del bilancio comunitario e del fondo di rotazione. La Presidenza dovrà individuare quelle risorse che non sono state impegnate attraverso obbligazioni giuridicamente vincolanti correlate alla chiusura dei Programmi Operativi 2000-2006 e alla rendicontazione delle annualità 2007 e 2008 dei Programmi Operativi 2007-2013, anche individuando modalità per evitare il disimpegno automatico delle relative risorse impegnate sul bilancio comunitario.

 

In sostanza si tratta dei c.d. progetti “sponda” (definiti anche progetti “coerenti”), cioè di quegli interventi già finanziati a valere sulle risorse nazionali (ad esempio il Fondo per le aree sottoutilizzate - FAS) che vengono poi inseriti nei rendiconti da inviare agli uffici comunitari, con lo scopo di ottenere un secondo pagamento, stavolta a valere sulle risorse dell’Unione europea. Le risorse così incassate, sono liberamente spendibili dalle amministrazioni regionali e centrali per altri interventi.

Secondo la relazione illustrativa dell’emendamento che ha introdotto l’articolo 6-quater, le risorse considerate ammonterebbero a circa 14,5 miliardi di euro, di cui 11 miliardi relativi alla chiusura (31 dicembre 2008) dell’ultima annualità della programmazione comunitaria 2000-2006.

Analogo trattamento è previsto per le risorse relative alle annualità 2007 e 2008 del ciclo di programmazione comunitaria 2007-2013, avendo cura di individuare le modalità per evitare il disimpegno automatico delle relative risorse impegnate sul bilancio comunitario.

 

I successivi commi definiscono una serie di adempimenti.

All'esito della ricognizione e comunque nel termine massimo di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (22 agosto 2008), la Presidenza del Consiglio adotta la riprogrammazione che definisce le modalità di impiego delle risorse, i criteri per la selezione e le modalità di attuazione degli interventi (comma 2).

La riprogammazione delle risorse è definita:

§      su proposta dei Ministri competenti

§      d’'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico;

§      previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. In particolare l’intesa, tenuto conto del vincolo delle precedenti assegnazioni alle amministrazioni centrali e regionali, individua gli interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economici e sociali, con priorità per gli interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale e regionale di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione.

 

II CIPE approva l'intesa e delibera gli atti necessari alla riprogrammazione delle risorse e all'attuazione dell’intesa stessa.

Precedentemente alla deliberazione del CIPE, la riprogrammazione delle risorse deve essere trasmessa al Parlamento ai fini dell’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti (comma 3).

 

La Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base dell'intesa e della riprogrammazione delle risorse disponibili approvata dal CIPE promuove con le singole regioni interessate la stipula delle intese istituzionali di programma, sottoscritte anche dal Ministro dello sviluppo economica, di concerto con il Ministro degli affariregionali (comma 4).

 

Ai sensi del comma 5, le intese istituzionali di programma costituiscono la sede di attuazione di quanto previsto dall'articolo 6-quinquies, comma 3, del presente decreto-legge.

La disposizione richiamata riconosce alla concentrazione da parte delle Regioni sulle infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del QSN il valore di “principio fondamentale” ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione: tale principio sarà applicato in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) e in sede di ridefinizione dei programmi finanziati dai fondi comunitari.

 

L’articolo 117 indica, al comma 2, le materie di esclusiva competenza dello Stato, mentre al comma 3 riporta l’indicazione delle materie di legislazione concorrente[18] per le quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

 


 

Articolo 7
(Strategia energetica nazionale)

 


1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce la «Strategia energetica nazionale», che indica le priorità per il breve ed il lungo periodo e reca la determinazione delle misure necessarie per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, i seguenti obiettivi:

a) diversificazione delle fonti di energia e delle aree geografiche di approvvigionamento;

b) miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo;

c) promozione delle fonti rinnovabili di energia e dell'efficienza energetica;

d) realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare;

d-bis) promozione della ricerca sul nucleare di quarta generazione o da fusione;

e) incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica;

f) sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra;

g) garanzia di adeguati livelli di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori.

2. Ai fini della elaborazione della proposta di cui al comma 1, il Ministro dello sviluppo economico convoca, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente.

3. (Soppresso).

2. (Soppresso).

3. (Soppresso).

4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

L’articolo 7 è volto ad introdurre uno strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, cui pervenire a seguito di una Conferenza nazionale dell’energia e dell’ambiente, contemplando anche la possibilità di realizzare sul territorio nazionale impianti di produzione di energia nucleare.

 

Il comma 1 stabilisce che, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, il Consiglio dei ministri definisca la «Strategia energetica nazionale» entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.

Il suddetto piano energetico, lungo le tre direttrici della diversificazione, nuove infrastrutture ed efficienza energetica, ha lo scopo di indicare lepriorità per il breve ed il lungo periodo, recando la determinazione delle misure necessarie per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, gli obiettivi di seguito elencati:

§      diversificazione delle fonti di energia e delle aree geografiche di approvvigionamento;

§      miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo;

§      promozione delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza energetica;

§      realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare;

§      promozione della ricerca sul nucleare pulito, di quarta generazione o da fusione;

§      incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica;

§      sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra;

§      garanzia di adeguati livelli di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori.

 

In merito agli obiettivi sopra esposti giova segnalare che le conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2007 trattano diffusamente dell’esigenza di una politica climatica ed energetica integrata. A questo proposito, il Consiglio ha sottolineato che l'integrazione dovrebbe essere perseguita mediante una politica energetica per l'Europa che, rispettando pienamente il mix energetico scelto dagli Stati membri e la loro sovranità sulle fonti di energia primaria e sostenuta da uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, persegua i tre obiettivi seguenti:

-        aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento;

-        garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili;

-        promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

A riguardo il Consiglio ha fissato obiettivi al 2020 con il cosiddetto pacchetto 3x20 come di seguito specificato:

-        un obiettivo vincolante che prevede una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'UE entro il 2020; nell’ambito di questo 20% è incluso un obiettivo vincolante che prevede una quota minima del 10% per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione 20, che dovrà essere conseguito da tutti gli Stati membri e che sarà introdotto in maniera efficiente in termini di costi: questo obiettivo viene però subordinato a una produzione sostenibile e alla reperibilità sul mercato di biocarburanti di seconda generazione;

-        una riduzione dei consumi energetici del 20% rispetto alle proiezioni per il 2020;

-        una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai valori del 1990.

Sull’efficienza energetica, il Consiglio ha invitato a una rapida attuazione di iniziative nei settori dei trasporti, dei requisiti minimi di efficienza dei prodotti che consumano energia, dell’informazioni ai consumatori, dell’innovazione tecnologica e dell’edilizia: alcuni di questi temi sono già stati oggetti di direttive comunitarie, altri (in particolare i trasporti) sono oggetto di proposte in fase di elaborazione.

Per l’attuazione delle conclusioni del Consiglio, a gennaio 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto di iniziative, che includono una proposta di direttiva sulle fonti rinnovabili (inclusi i biocarburanti), due proposte relative ai gas serra e uno schema di direttiva in materia di cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Fa parte del pacchetto il nuovo regolamento sugli aiuti di stato in materia di ambiente, definitivamente emanato a marzo 2008. Sul versante relativo all’efficienza energetica non si registrano ancora ulteriori proposte.

Con particolare riferimento al gas serra si ricorda che gli ambiti specifici di riferimento per la tematica in oggetto sono costituiti da un lato dal Protocollo di Kyoto e dall’altro dalla direttiva “emissions trading. E’ opportuno specificare, in breve, che gli obblighi derivanti dai due provvedimenti sono diversi in quanto a destinatari di essi. Mentre infatti per il Protocollo di Kyoto gli obblighi, e le relative sanzioni, riguardano l’Italia, per la direttiva “emissions trading” gli obblighi, e le relative sanzioni, riguardano esclusivamente le installazioni industriali sul territorio nazionale che rientrano nel campo di applicazione della direttiva (centrali elettriche, raffinerie, acciaierie, ecc.).

Per il rispetto del Protocollo di Kyoto l’Italia, in base all’accordo europeo di “burden sharing” (decisione del Consiglio 2002/358/CE), è obbligata a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 6,5% rispetto al 1990. Tale obbiettivo deve essere raggiunto come risultato medio del quinquennio 2008 – 2012 (periodo di “compliance”). Relativamente alle emissioni di gas serra del nostro Paese, si ricorda che, le emissioni sono passate da 516,85 a 579,55 milioni di tonnellate di CO2eq nel periodo 1990-2005, con un incremento del 12,1%, mentre secondo il Protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe riportare le proprie emissioni nel periodo 2008-2012 a livelli del 6,5% inferiori rispetto alle emissioni del 1990, ossia a 483,26 Mt CO2eq; quindi nel 2005 le emissioni di gas serra risultano superiori a quelle previste dall’obiettivo di Kyoto di poco più di 96 milioni di tonnellate (circa 20%).

 

Ai sensi del comma 2, il Ministro dello sviluppo economico è tenuto a convocare, d’intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una Conferenza Energia - Ambiente al fine di elaborare il suddetto piano strategico.

 

Si ricorda che nel corso del 2006 si sarebbe dovuta tenere la 3a Conferenza nazionale Energia e Ambiente[19], poi rinviata a data da definirsi. Nel corso del 2007 si è invece tenuta a Roma la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici[20], che si ricorda per la stretta interrelazione intercorrente con il tema delle politiche energetiche.

 

Il comma 4 pone il divieto di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 8
(Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi)

 


1. Il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, come modificata dall'articolo 26 della legge 31 luglio 2002, n. 179, si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, d’intesa con la regione Veneto, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l'uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione. Ai fini della suddetta attività di accertamento, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si avvale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), di cui all’articolo 28 del presente decreto.

2. I titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi nel cui ambito ricadono giacimenti di idrocarburi definiti marginali ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, attualmente non produttivi e per i quali non sia stata presentata domanda per il riconoscimento della marginalità economica, comunicano al Ministero dello sviluppo economico entro il termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'elenco degli stessi giacimenti, mettendo a disposizione dello stesso Ministero i dati tecnici ad essi relativi.

3. Il Ministero dello sviluppo economico, entro i sei mesi successivi al termine di cui al comma 2, pubblica l'elenco dei giacimenti di cui al medesimo comma 2, ai fini della attribuzione mediante procedure competitive ad altro titolare, anche ai fini della produzione di energia elettrica, in base a modalità stabilite con decreto dello stesso Ministero da emanare entro il medesimo termine.

4. E' abrogata ogni incentivazione sancita dall'articolo 5 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, per i giacimenti marginali.


 

 

L’articolo 8 è volto a riaprire, a condizione che si accerti la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, la possibilità di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dell’Alto Adriatico, nonché ad agevolare lo sfruttamento dei giacimenti marginali.

 

Il comma 1 modifica la disciplina relativa al divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all’art. 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, disponendo che esso si applichi fino a quando il Consiglio dei ministri, d’intesa con la regione Veneto e su proposta del Ministro dell’ambiente, non pervenga in modo definitivo all’accertamento della non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste.

Tale accertamento, secondo lo stesso comma, dovrà essere basato su nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l’uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione. Ai fini dell’attività di accertamento suddetta, il Ministro dell’ambiente si avvale, altresì, dell’Istituto di ricerca per la protezione ambientale (IRPA) di cui all’art. 28 del presente decreto.

 

Si ricorda che ai sensi dell’art. 4 della legge n. 9/1991, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono vietate nelle acque indicate dal medesimo comma, vale a dire in quelle del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi (fatti salvi i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in atto) nonché – in seguito alla novella operata dall’art. 26, comma 2, della legge n. 179/2002 - nelle acque del Golfo di Venezia, nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.

Per la ricostruzione delle vicende, anche normative, relative alle prospezioni e alla ricerca di idrocarburi nell’area dell’Alto Adriatico indicate dalla disposizione in esame, occorre richiamare i passaggi principali di una articolata vicenda, iniziata con il decreto legge 29 marzo 1995, n. 96, il cui art. 2-bis sospendeva “le attività di coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi nel sottosuolo del tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po” fino all’esito positivo di una specifica valutazione di compatibilità ambientale prevista dal medesimo articolo volto ad escludere che esse possano contribuire a provocare fenomeni di subsidenza. Il 3 ottobre 1996 l'AGIP depositò presso il Ministero dell'ambiente e la regione Veneto lo studio di impatto ambientale del progetto "Alto Adriatico". Su tale studio si è pronunciato (in termini negativi), nel maggio 1997, il gruppo di lavoro istituito dal comune di Venezia in accordo con altre amministrazioni locali. A seguito di quella pronuncia, il D.M. Ambiente 3 dicembre 1999 ha disposto (art. 1) il divieto dell'attività di coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi entro le 12 miglia nautiche dalla linea di costa del tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.

Si ricorda, inoltre, che la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121 attuativa della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. legge obiettivo) prevedeva, alla tabella 4 dell’allegato 4, fra infrastrutture per la coltivazione di idrocarburi, il progetto dell’Alto Adriatico. Tale progetto vede coinvolte l’ENI-AGIP, l’Edison Gas e la British Gas, per lo sviluppo e la messa in coltivazione di circa 15 giacimenti gassiferi attraverso la perforazione di circa 83 pozzi e l'installazione di 19 piattaforme fisse per la produzione, l'iniezione e il monitoraggio della subsidenza. La realizzabilità del progetto – secondo quanto specificato nella stessa tabella 4 - è sottoposta ai vincoli a tutela della subsidenza imposti dal citato DM ambiente 3 dicembre 1999. Tale progetto, per cui si stima si possano recuperare circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno, prevede un investimento di 671,394 milioni di euro.

 

Il comma 2 prevede che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi nel cui ambito ricadono giacimenti di idrocarburi definiti marginali, attualmente non produttivi e per i quali non sia stata presentata domanda per il riconoscimento della marginalità economica, comunicano al Ministero dello sviluppo economico l’elenco degli stessi giacimenti, mettendo a disposizione del Ministero i dati tecnici ad essi relativi.

 

Il decreto legislativo n. 164 del 2000, adottato in attuazione della direttiva 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, disciplina, all’articolo 5, le misure di incentivazione alla coltivazione di giacimenti marginali.

Si ricorda che l’attività di coltivazione consistente nell’estrazione di gas naturale dai giacimenti è stata liberalizzata con il D.Lgs. 625/96. Inerenti all’attività di coltivazione sono le attività di prospezione (consistente in rilievi geografici, geologici e geofisici) e di ricerca (rivolta al rinvenimento di giacimenti).

Ai sensi dell’art. 4 del citato D.Lgs. 164 l’attività di prospezione è libera, mentre l’esecuzione di rilievi geofisici ai sensi del D.Lgs. 625/96 è soggetta ad autorizzazione da parte del MICA o delle autorità competenti alla tutela territoriale e ambientale. Il provvedimento prevede incentiviper l’attività di ricerca, volti ad incrementare le riserve nazionali di gas. A tale scopo viene destinato, a decorrere dal 1° gennaio 2000, il 5% delle entrate derivanti allo Stato dal versamento delle aliquote di prodotto della coltivazione (royalties) da parte dei titolari di concessione.

Ulteriori misure sono previste per incentivare la coltivazione di giacimenti cd. marginali(art. 5). Si tratta in genere di giacimenti di modeste dimensioni o contenenti idrocarburi di scarsa qualità, individuati dal Ministero, la cui messa in produzione e coltivazione risultino “di economicità critica e fortemente dipendente dalle variabili tecnico-economiche e dal rischio minerario”.

La domanda per il riconoscimento della marginalità deve essere corredata da una relazione tecnico-economica sulle opere necessarie a rendere economicamente attuabile lo sviluppo del giacimento (comma 2).

 

Il comma 3 prescrive che, entro i sei mesi successivi al termine di cui al comma 2, il Ministero dello sviluppo economico pubblica l’elenco dei giacimenti di idrocarburi marginali allo scopo di conferirli, mediante procedura competitiva, ad altri titolari, anche per la destinazione degli stessi alla produzione di energia elettrica.

Entro il medesimo termine di sei mesi, il Ministero stabilisce, con proprio decreto, le modalità in base alle quali procedere all’attribuzione.

 

Il comma 4 abroga qualunque forma di incentivazione riconosciuta dall’art. 5 del D.Lgs. 164/2000 in favore dei giacimenti marginali.

 

L’incentivo oggetto dell’intervento abrogativo consiste nella detrazione dal reddito imponibile dei titolari di concessione di una quota ulteriore degli investimenti necessari per lo sviluppo dei giacimenti, oltre a quella degli ordinari ammortamenti. L’incentivo è applicato direttamente dai concessionari ai propri bilanci, secondo il piano illustrato nella relazione tecnico-economica allo schema di decreto, e sempre che il prezzo di vendita effettivamente realizzato non sia superiore al 20% di quello previsto nel piano stesso (comma 4).

Il riconoscimento della marginalità, l’approvazione della percentuale di incremento degli ammortamenti e la data di inizio dei lavori necessari – il cui mancato rispetto fa decadere dal diritto all’incentivo – sono affidati al Ministro dell’industria (ora dello Sviluppo Economico), sentita la Commissione che ai sensi dell’art. 19, comma 7, del D.Lgs. 625/1996 esprime parere sui provvedimenti di variazione delle aliquote per le concessioni di coltivazione. Della Commissione fa parte anche un rappresentante del Ministero delle finanze (ora economia e finanze), ministero che è chiamato a vigilare sulla corretta applicazione delle norme in esame.

L’intervento si aggiunge alle agevolazioni fiscali già previste dalla legislazione vigente in favore delle coltivazioni marginali. In particolare, si ricorda che l’art. 19, commi 6 e 7, del D.Lgs. n. 625 del 1996 prevede che il Ministero dell’industria (ora dello Sviluppo economico), di concerto con quello delle finanze, stabilisca annualmente una riduzione delle aliquote per le concessioni di coltivazione per le produzioni di idrocarburi con caratteristiche di marginalità economica causata da speciali trattamenti necessari per portare tali produzioni a “specifiche di commerciabilità”.


 

Articolo 9
(Sterilizzazione dell'IVA sugli aumenti petroliferi)

 


1. All'articolo 1, comma 291, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole «può essere» sono modificate con le parole: «è adottato»;

b) al primo periodo, dopo le parole «a due punti percentuali rispetto» è aggiunta la seguente parola: «esclusivamente».

2. Per fronteggiare la grave crisi dei settori dell'agricoltura, della pesca professionale e dell'autotrasporto conseguente all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e fino al 31 dicembre 2008, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa provvede con proprie risorse, nell'ambito dei compiti istituzionali, alle opportune misure di sostegno volte a consentire il mantenimento dei livelli di competitività, previa apposita convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e l'Agenzia.

3. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole alimentari e forestali è approvata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la convenzione di cui al comma 2, che definisce altresì le modalità e le risorse per l'attuazione delle misure di cui al presente articolo. Restano ferme le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all'Agenzia.

4. L'applicazione delle disposizioni del presente articolo è subordinata alla preventiva approvazione da parte della Commissione europea.


 

 

L’articolo 9, comma 1, modificando il comma 291 dell’articolo 1 della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), interviene sulla disciplina relativa alla “sterilizzazione” fiscale relativa agli aumenti del petrolio greggio.

Ai sensi dei commi da 290 a 295 del citato articolo 1, il maggiore gettito IVA derivante dall’aumento dei prezzi dei carburanti e degli altri prodotti petroliferi può essere compensato con una riduzione delle aliquote di accisa sui medesimi prodotti. In particolare, tenuto conto che le accise sui prodotti petroliferi sono rapportate alla quantità e che l’IVA è determinata sul valore, l’aumento dei costi petroliferi comporta un incremento della base imponibile e, quindi, dell’imposta sul valore aggiunto mentre l’aliquota di accisa rimane immutata per ciascuna quantità venduta.

In particolare, il citato comma 291, nel testo previgente le modifiche in esame, disponeva la possibilità di variare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, le misure delle aliquote di accisa sui prodotti energetici usati come carburanti ovvero come combustibili per riscaldamento per usi civili, al fine di compensare le maggiori entrate dell’imposta sul valore aggiunto derivanti dagli aumenti del prezzo internazionale del petrolio greggio. Tale DM può essere emanato se il prezzo medio del periodo aumenta in misura non inferiore al 2% rispetto al valore di riferimento indicato nel DPEF.

In attuazione della predetta norma, è stato emanato il decreto interministeriale 7 marzo 2008 il quale ha disposto, per il periodo compreso fra il 20 marzo e il 30 aprile 2008 le seguenti riduzioni di aliquote di accisa:

a) benzina: 547,17 euro per mille litri;

b) oli da gas o gasolio usato come carburante: 406,17 euro per mille litri;

c) gas di petrolio liquefatti (GPL) usati come carburante: 210,94 euro per mille Kg;

d) gas naturale per autotrazione: euro 0 per metro cubo.

 

Le modifiche introdotte dal comma 1 sono dirette, in primo luogo, a rendere automatico il processo di compensazione tra la maggiore IVA e le minori accise sui prodotti petroliferi in presenza di un aumento dei prezzi.

In secondo luogo, in riferimento alla condizione posta dal richiamato comma 291 in merito all’emanazione del decreto ministeriale, si precisa che l’incremento medio dei prezzi rilevati deve essere non inferiore al 2% esclusivamente rispetto al valore indicato nel DPEF.

In proposito, la relazione illustrativa allegata al provvedimento chiarisce che tale ultima modifica è diretta ad evitare che eventuali aggiornamenti in alto dei valori previsionali, effettuati in corso d’anno, vanifichino l’effetto politico della misura e ne rendano incerta l’attuazione.

 

La seguente tabella riporta le stime effettuate e pubblicate dall’Unione petrolifera[21] relative all’andamento del gettito IVA sui prodotti petroliferi.

(valori in miliardi di euro)

Anni

2003

2004

2005

2006

2007

 

10,050

11,650

11,630

12,300

12,100

 

I dati indicati evidenziano una inversione di tendenza del gettito IVA a decorrere dal 2007 nonostante il continuo aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi. Tale andamento è dovuto alla contrazione dei consumi prodotta dall’aumento dei prezzi. Infatti, se da un lato l’incremento dei costi del petrolio si riflette in una maggiore base imponibile – e quindi maggiore imposta – ai fini IVA, dall’altro lato la domanda subisce, in presenza di aumento dei prezzi, una contrazione.

 

I commi 2 e 3 recano disposizioni volte a fronteggiare la crisi nei settori dell’agricoltura, della pesca professionale e dell’autotrasporto conseguenti all’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi. In particolare il comma 2 assegna all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. (ex Sviluppo Italia S.p.A.) il compito, dal 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del decreto-legge) sino al 31 dicembre 2008, di provvedere utilizzando le proprie risorse, nell’ambito dei compiti istituzionali, alle opportune misure al fine di mantenere i livelli di competitività dei suddetti settori. A tal fine, ai sensi del comma 3, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i ministri competenti (Economia e finanze, Infrastrutture e trasporti, Politiche agricole, alimentari e forestali), dovrà essere approvata entro il 24 agosto 2008 (60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge) una convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A., che dovrà definire le modalità attuative e indicare le risorse necessarie. Il comma 3 ribadisce l’applicazione delle modalità di utilizzo delle disponibilità giacenti sui conti correnti intestati all’Agenzia previste dalla normativa vigente.

L’Agenzia, ai sensi della direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007, opera nei settori dell’attrazione di investimenti esteri, dell’innovazione e della competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali, e della promozione della competitività e delle potenzialità attrattive dei territori.

 

La disposizione in esame riveste natura meramente procedurale poiché l’individuazione degli strumenti da utilizzare a sostegno dei settori in crisi richiamati e delle risorse necessarie è integralmente demandata alla predetta convenzione.

 

Infine il comma 4 subordina l’applicazione delle disposizioni contenute nel presente articolo alla preventiva autorizzazione da parte della Commissione europea.

 


 

Articolo 10
(Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell'energia e delle telecomunicazioni)

 

1. Al comma 355 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311è aggiunta la seguente lettera:

«c-ter) infrastrutture nel settore energetico ed in quello delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico.».

 

 

L’articolo 10 integra le disposizioni del comma 355, comma 1, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in cui sono indicati i progetti di investimento considerati prioritari ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi al finanziamento a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca, di cui alla citata legge, come modificata dal DL 35/05 (c.d. competitività).

Ai progetti attualmente previsti, si aggiungono, con l’inserimento della lettera c-ter, le infrastrutture relative al settore energetico e delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico.

 

Si ricorda che la legge 311/04 (legge finanziaria per il 2005), comma 354 dell’art. 1, ha istituito il “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese”presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti spa, con una dotazione iniziale di 6 miliardi di euro finanziata con le risorse del risparmio postale. Il Fondo, alla cui ripartizione provvede il CIPE con proprie delibere, è destinato ad interventi agevolativi a favore delle imprese individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio.

Al Ministro competente è attribuita la funzione di stabilire, con decreto di natura non regolamentare - da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - quali siano, in relazione ai singoli interventi previsti dal comma 355, i requisiti e le condizioni per l'accesso ai finanziamenti agevolati (comma 357), mentre al Ministro dell'economia e delle finanze è attribuita la competenza a determinare il tasso di interesse da applicare alle somme erogate in anticipazione. La differenza risultante tra il tasso così fissato e quello di finanziamento agevolato è posta a carico del bilancio statale, a valere sull’autorizzazione di spesa di cui al comma 361, come pure a carico dello Stato risultano gli oneri riferiti alle spese gestionali del Fondo sostenuti dalla stessa Cassa depositi e prestiti (comma 358)[22]. Il decreto di cui al presente comma, relativamente agli interventi relativi alle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale di cui al comma 355, lettera c-bis), è emanato dal Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (Modifica introdotta dall’art. 20-bis del DL 159/07).

Sull’attività del Fondo, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati in forma dianticipazione di capitali, rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale, è successivamente intervenuto il decreto-legge n. 35/05[23](art. 6, commi 1-4) che ne ha modificato la disciplina al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni volte alla promozione di un'economia basata sulla conoscenza.

Il decreto-legge, oltre a estendere la sfera dei potenziali beneficiari del Fondo, (le imprese anche associate in appositi organismi, anche di natura cooperativa, costituiti o promossi dalle Associazioni imprenditoriali e dalle Camere di commercio) ha provveduto a ridenominarlo “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca”, in quanto una quota - pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria del fondo medesimo - è stata destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppodelle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica[24].

La ripartizione del Fondo è rimessa a delibere del CIPE sottoposte al controllo preventivo della Corte dei conti: il Fondo è ripartito per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio (comma 355, art. 1 della legge 311/04).

Ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi al finanziamento sono considerati prioritariamente i seguenti progetti di investimento:

a)    interventi finalizzati ad innovazioni, attraverso le tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali, su proposta del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro delle attività produttive;

b)    programmi di innovazione ecocompatibilefinalizzati al risparmio energetico secondo le specifiche previste dalla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale, di cui alla comunicazione della Commissione europea 2001/C 37/03 (GUCE n. C/37 del 3 febbraio 2001), su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle attività produttive(oggi Sviluppo economico);

c)    realizzazione dei corridoi multimodali transeuropei n. 5, n. 8 e n. 10 e connesse bretelle di collegamento, nonché delle reti infrastrutturali marittime, logistiche ed energetiche comunque ad essi collegate.

c-bis)           infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 ( lettera inserita dall’art. 20-bis del DL 159/07).

 


 

Articolo 11
(Piano Casa)

 


1. Al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana, è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, un piano nazionale di edilizia abitativa.

2. ll piano è rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinate prioritariamente a prima casa per:

a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;

b) giovani coppie a basso reddito;

c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;

d) studenti fuori sede;

e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;

f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1 della legge 8 febbraio 2007, n. 9;

g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione.

3. ll piano nazionale di edilizia abitativa ha ad oggetto la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente ed è articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, attraverso i seguenti interventi:

a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all’incremento dell’offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l’acquisizione e la realizzazione di immobili per l’edilizia residenziale;

b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia con le risorse anche derivanti dalla alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le modalità previste dall’articolo 13;

c) promozione da parte di privati di interventi anche ai sensi della parte II, titolo III, capo III, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell’esigenza abitativa;

e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale.

4. ll Ministero delle infrastrutture e dei trasporti promuove la stipulazione di appositi accordi di programma, approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del CIPE, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica, anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati. Decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati.

5. Gli interventi di cui al comma 4 sono attuati anche attraverso le disposizioni di cui alla parte II, titolo III, capo III, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante:

a) il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo;

b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di costruzione;

d) la costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a), con la possibilità di prevedere altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili;

e) la cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate di cui al comma 2.

6. I programmi di cui al comma 4 sono finalizzati a migliorare e a diversificare, anche tramite interventi di sostituzione edilizia, l’abitabilità, in particolare, nelle zone caratterizzate da un diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano.

7. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 3, lettera e), l’alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, è identificato, ai fini dell’esenzione dall’obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunità europea, come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie.

8. In sede di attuazione dei programmi di cui al comma 4, sono appositamente disciplinati le modalità e i termini per la verifica periodica delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie, potendosi conseguentemente disporre, in caso di scostamenti, la diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti. Le abitazioni realizzate o alienate nell’ambito delle procedure di cui al presente articolo possono essere oggetto di successiva alienazione decorsi dieci anni dall’acquisto originario.

9. L’attuazione del piano nazionale può essere realizzata, in alternativa alle previsioni di cui al comma 4, con le modalità approvative di cui alla parte II, titolo III, capo IV, del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

10. Una quota del patrimonio immobiliare del demanio, costituita da aree ed edifici non più utilizzati, può essere destinata alla realizzazione degli interventi previsti dal presente articolo, sulla base di accordi tra l’Agenzia del demanio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa in caso di aree ed edifici non più utilizzati a fini militari, le regioni e gli enti locali.

11. Per la migliore realizzazione dei programmi, i comuni e le province possono associarsi ai sensi di quanto previsto dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. I programmi integrati di cui al comma 4 sono dichiarati di interesse strategico nazionale. Alla loro attuazione si provvede con l’applicazione dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni.

12. Per l’attuazione degli interventi previsti dal presente articolo è istituito un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse finanziarie di cui all’articolo 1, comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché di cui agli articoli 21, 21-bis, ad eccezione di quelle già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate, e 41 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni. Gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti. A tale scopo le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decreto-legge n. 159 del 2007 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sul Fondo di cui al presente comma, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa.

13. Ai fini del riparto del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, di cui all’articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, i requisiti minimi necessari per beneficiare dei contributi integrativi come definiti ai sensi del comma 4 del medesimo articolo devono prevedere per gli immigrati il possesso del certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione.


 

 

L’articolo reca i contenuti fondamentali di un Piano nazionale di edilizia abitativa (cd. Piano casa)volto a “garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana”.

 

Il Piano intende realizzare una strategia di azione complessiva volta a riconoscere il carattere strategico per il Paese della riqualificazione urbana e a coinvolgere, oltre alle risorse pubbliche, soprattutto quelle private, attraverso il ricorso a modelli di intervento limitati, fino ad oggi, al settore delle opere pubbliche (project financing), oppure a strumenti finanziari immobiliari innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residenziale quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale, cd. social housing.

 

A tal fine, il comma 1 prevede, al fine di contrastare le diverse forme di disagio abitativo, l’avvio di un piano nazionale di edilizia abitativa, che dovrà essere adottato con DPCM, previa delibera del CIPE e previa intesa in sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (entro il 21 ottobre 2008[25]).

 

Giova rammentare che il tema dell’emergenza abitativa, aggravatosi negli ultimi anni, è stato oggetto di un’apposita indagine sulla condizione abitativa in Italia condotta dal Ministero delle infrastrutture in relazione ai fattori di disagio e alle strategie di intervento[26], con l’obiettivo di quantificare la dimensione reale dei fenomeni di disagio abitativo delle famiglie.

Si ricorda anche che nel corso della XV legislatura è stata adottata una serie di provvedimenti con la finalità di dare nuovo impulso alle politiche a tutela del disagio abitativo. Tra essi le disposizioni della legge n. 9 del 2007 che hanno previsto la predisposizione, da parte delle regioni, di un piano straordinario pluriennale per l’edilizia sovvenzionata e agevolata da inviare ai Ministeri delle infrastrutture, della solidarietà sociale e delle politiche della famiglia. Accanto a tale piano straordinario, è stato previsto anche l’avvio di un programma nazionale di edilizia residenziale pubblica da parte del Ministero delle infrastrutture, di concerto con gli altri Ministeri indicati e d’intesa con la Conferenza unificata, sulla base delle indicazioni emerse nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative.

Successivamente è stato previsto anche l’avvio di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, introdotto con l’art. 21 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, cui destinare una spesa massima di 550 milioni di euro per l'anno 2007 e a cui si è data attuazione con il decreto del Ministero delle infrastrutture del 28 dicembre 2007.

 

Il comma 2 individua i destinatari del piano e chiarisce che quest’ultimo dovrà essere rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.

Tali alloggi, che dovranno inoltre essere destinati prioritariamente a prima casa, saranno rivolti alle seguenti categorie sociali:

a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;

b) giovani coppie a basso reddito;

c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;

d) studenti fuori sede;

e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;

f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 9 del 2007;

g) immigrati regolari a basso reddito residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nel territorio regionale.

 

Si ricorda che i requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 9 del 2007 sono: un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, essere o avere nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza o avere, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.

 

Per quanto riguarda l’individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione del piano, si rileva l’ampliamento della platea dei beneficiari rispetto ai provvedimenti, sia d’urgenza che ordinari, adottati negli ultimi anni per contrastare il fenomeno del disagio abitativo.

Sono stati, infatti, inclusi, per la prima volta, gli immigrati regolari a basso reddito e gli studenti fuori sede, finora destinatari, questi ultimi, di agevolazioni di carattere fiscale sui canoni di locazione.

La platea risulterebbe ampliata anche dall’inclusione, con un riferimento generico, di tutti i soggetti “sottoposti a procedure esecutive di rilascio” (lett. e), senza ulteriori distinzioni. Pertanto sembrerebbero inclusi non solo coloro che hanno beneficiato della sospensione delle procedure esecutive di sfratto per finita locazione (destinatari dei provvedimenti d’urgenza di sospensione degli sfratti emanati nel passato[27]), ma anche quelli per morosità (destinatari del numero maggiore di sentenze di sfratto[28]).

Si osserva, in linea generale, che appare piuttosto generica la formulazione di alcune definizioni, tra le quali l’entità del basso reddito e la specificazione del numero di anni per rientrare nella categoria degli “anziani” (lett. c)); non sono inoltre definite le modalità con cui dovrebbe essere dimostrata la sussistenza dei requisiti richiesti per rientrare tra i beneficiari del piano.

Si ricorda che l’art. 1 della legge n. 9 del 2007 sospende le procedure esecutive di sfratto nei confronti di conduttori con un “reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro”. Per quanto riguarda la categoria degli “anziani” l’art. 1 del decreto legge n. 261 del 2006, ha innalzato, rispetto a precedenti provvedimenti d’urgenza, il requisito dell'età di cinque anni (da 65 a 70 anni), mentre con la legge n. 9 del 2007 si è tornati al requisito dei 65 anni. Per quanto riguarda la dimostrazione della sussistenza dei requisiti, il decreto legge n. 261 del 2006 e la legge n. 9 del 2007 prevedevano l'autocertificazione degli inquilini interessati.

 

Il comma 3 definisce l’ambito oggettivo del piano che dovrà riguardare sia il recupero del patrimonio abitativo esistente, che la costruzione di nuovi alloggi e dovrà essere articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell’effettivo bisogno abitativo esistente, attraverso una serie di interventi che dovranno coinvolgere, oltre all’intervento pubblico, anche quello privato[29]. Tra essi vengono indicati:

a) la creazione di fondi immobiliari o la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residenziale;

b) l’incremento del patrimonio abitativo di edilizia sociale con le risorse derivanti dalla vendita degli IACP, da attuarsi con le modalità previste dal successivo articolo 13;

c) la promozione da parte di privati di interventi attraverso il ricorso al project financing, la cui disciplina è ora contenuta nella parte II, titolo III, del Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (cd. Codice appalti);

d) alcune agevolazioni in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi;

e) la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale.

 

Il comma in esame è volto, pertanto, ad introdurre alcuni degli strumenti più recenti di mercato posti in essere per dare soluzione al disagio abitativo, tra i quali rilevano la costituzione di riserve fondiarie da destinare all’edilizia pubblica e alla domanda sociale con il coinvolgimento di tutti gli operatori proprietari di aree oggetto di futura trasformazione, oppure la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale, cd. social housing.

 

La necessità di dare risposte articolate e differenziate al disagio abitativo è emersa anche nel recente intervento del Presidente dell’ANCE del 20 maggio 2008 “Costruzioni: ancora un anno di ciclo positivo ma il futuro si gioca su casa e infrastrutture”, dal quale emerge la necessità di una nuova politica abitativa che rilanci, da un lato, il sistema dell’edilizia sociale e, dall’altro, programmi di housing sociale con interventi che prevedono l’integrazione tra intervento pubblico e iniziativa privata, al fine di “mettere a frutto il più possibile le risorse scarse da investire e raggiungere al meglio l'obiettivo di aumentare l'offerta di alloggi da destinare all'affitto a canone sostenibile”. La necessità di tali interventi è avvalorata dai dati preoccupanti relativi all’offerta di abitazioni sociali. In Italia, nel 2004, c'erano 4,5 abitazioni di edilizia sociale per 100 abitazioni occupate. Una quota nettamente inferiore a quella di molti Paesi europei, pari a 34,6% nei Paesi Bassi, a 21% in Svezia, a 14,3% in Austria, a circa 17% in Francia e Finlandia.

 

I commi 4, 5 e 6 riguardano i “programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana”, che costituiscono una delle due modalità del Piano casa (oltre agli interventi di costruzione e recupero previsti dal comma 3).

Il comma 4 prevede, pertanto, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa nei singoli contesti, promuova la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, che dovranno essere caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale.

A tal fine il Ministero promuove la stipula di appositi accordi di programma che dovranno essere approvati con DPCM, previa delibera CIPE, d’intesa con la Conferenza unificata. Decorsi 90 giorni senza l’acquisizione dell’intesa, gli accordi di programma possono comunque essere approvati.

Per la realizzazione di tali programmi integrati viene prevista la partecipazione di soggetti pubblici e privati[30], con principale intervento finanziario privato (si vedano le modalità attuative previste dal successivo comma 5).

 

Il comma 5 prevede che gli interventi relativi ai programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana possano essere realizzati anche attraverso le disposizioni contenute nella parte II, titolo III, del Capo III del Codice appalti(project financing, società di progetto e disciplina della locazione finanziaria per i lavori).

 

Si ricorda, in merito al project financing, che la relativa disciplina è stata oggetto di recente modifica da parte del Governo con lo schema di decreto legislativo concernente ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. n. 163 del 2006 (n. 12 ), sul quale la VIII Commissione (Ambiente) ha espresso un parere favorevole con condizioni nella seduta del 29 luglio 2008.

 

Inoltre, lo stesso comma 5 reca una serie di modalità attuative:

§      trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo;

§      incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e miglioramento della qualità urbana nel rispetto dei vincoli degli standard urbanistici minimi (D.M. n. 1444 del 1968);

§      misure di riduzione del prelievo fiscale comunale e degli oneri di costruzione;

§      costituzione di fondi immobiliari cui eventualmente conferire i canoni di locazione;

§      cessione, in tutto o in parte, di diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica, da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie sociali svantaggiate.

 

Il comma 6 definisce l’obiettivo di tali programmi integrati che consiste nel migliorare e diversificare l’abitabilità, in particolare nelle zone caratterizzate da un diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano.

 

Il comma 7 reca la definizione di alloggio sociale”, ai fini dell’esenzione dell’obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli artt. 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, inteso “come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie”.

 

Al riguardo si rammenta che è stato recentemente emanato il decreto ministeriale del 22 aprile 2008, con il quale è stata data un’articolata definizione di alloggio sociale”[31], in attuazione dell’art. 5 della legge n. 9 del 2007, colmando, nel contempo, una lacuna normativa che esponeva l’Italia al rischio di procedure di infrazione a livello comunitario.

 

La legge n. 9 del 2007, all’art. 5, aveva demandato ad uno specifico decreto la definizione delle caratteristiche e dei requisiti dell’alloggio sociale”, ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli artt. 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea. Infatti, il settore edilizio, in quanto settore ove operano soggetti economici, è soggetto al generale divieto di concessione di aiuti di Stato di cui agli art. 87 e 88 del Trattato Ce. Tale circostanza espone i soggetti che operano nell’edilizia sociale al rischio di dover restituite gli eventuali benefici ricevuti direttamente o indirettamente dallo Stato (sotto forma di contributo o agevolazione) in quanto “aiuti di Stato” non compatibili con il Trattato Ce. Per tale ragione la Commissione europea, con decisione 2005/842/Ce, ha stabilito le condizioni alle quali gli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi alle imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale, sono considerati compatibili con il mercato comune. La decisione ha precisato che l’edilizia sociale, avendo forti connotazioni sociali è un servizio di interesse economico e generale e come tale è esentato dall’obbligo di notifica. La stessa decisione stabilisce che l’esenzione dall’obbligo di comunicazione trova applicazione solo qualora lo Stato abbia definito ciò che costituisce “servizio di interesse economico generale”, intendendo come tali anche i servizi di edilizia sociale. In assenza di tale definizione, lo Stato membro deve notificare alla Commissione le eventuali agevolazioni che intende concedere agli operatori del settore.

 

La norma peraltro non chiarisce se le abitazioni da realizzare con il piano casa dovranno soddisfare le specifiche contenute nel decreto interministeriale citato.

 

Il comma 8 prevede, in sede di attuazione dei programmi integrati, una verifica periodica e ricorrente delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie e la possibilità di disporre, in caso di scostamenti, una diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti.

E’ inoltre stabilito che le abitazioni realizzate o alienate nell’ambito delle procedure di cui al presente articolo non possono essere oggetto di successiva alienazione prima di dieci anni dall’acquisto originario.

Il comma 9 dispone che l’attuazione del piano possa avvenire, in alternativa alla procedura prevista dal comma 4 per i programmi integrati, anche con le modalità approvative previste dalla legislazione in materia di infrastrutture strategiche, contenuta nella parte II, titolo III, del Capo IV del Codice appalti.

Si ricorda, in estrema sintesi, che la legislazione in materia di infrastrutture strategiche, introdotta con la legge n. 443 del 2001 e con i successivi decreti attuativi, poi confluita nel d.lgs. n. 163 del 2006 (cd. Codice appalti), mira ad accelerare, snellire e razionalizzare le procedure per la programmazione, il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale. Tre sono, infatti, le principali finalità perseguite dal nuovo regime normativo: l’accelerazione delle procedure amministrative, l’incentivazione dell’afflusso di capitali privati (tramite l’introduzione della disciplina sul contraente generale) e la programmazione annuale degli interventi.

 

Il comma 10 prevede la stipula di accordi tra l’Agenzia del demanio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa se coinvolto, le Regioni e gli enti locali per la destinazione di una quota del patrimonio immobiliare del demanio, costituito da aree ed edifici non più utilizzati per scopi militari, agli interventi previsti nel presente articolo.

 

Per la migliore attuazione dei programmi, che potrebbero riguardare ambiti territoriali più estesi, il comma 11 dà la possibilità ai comuni e alle province di associarsi, ai sensi di quanto previsto dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

 

Si ricorda che l’articolo 33 del predetto Testo unico disciplina l’esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni, attribuendo alle regioni il compito di individuare i livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative. Nell'àmbito della previsione regionale, i comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale, decorso il quale la regione esercita un potere sostitutivo.

 

Inoltre, i programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana sono dichiarati di interesse strategico nazionale al momento della sottoscrizione dell’accordo di programma. Alla loro attuazione, sotto il profilo urbanistico, si provvede con l’applicazione dell’art. 81 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 che prevede sostanzialmente poteri sostitutivi dello Stato in materia urbanistica[32].

Il comma 12 dispone in merito alla copertura finanziaria degli interventi previsti dall’articolo in esame, che dovrà essere attuata attraverso la costituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alimentato con le risorse finanziarie derivanti da alcuni provvedimenti adottati nella precedente legislatura, in particolare:

§      dall’art. 1, comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

§      dall’art. 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222;

§      dagli artt. 21, 21-bis e 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n 222, ad eccezione di quelle già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e, quindi, già impegnate.

 

Le risorse saranno, pertanto, quelle previste:

§      dall’art. 1, comma 1154, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) con cui è stato disposto il finanziamento di un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata, con un’autorizzazione di spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. La disposizione demandava ad un successivo decreto del Ministro delle infrastrutture, che tuttavia non è stato ancora emanato, la definizione delle modalità di applicazione e di erogazione dei finanziamenti;

§      dall’art. 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, che prevede la costituzione di una apposita società di scopo con il compito di promuovere la formazione di nuovi strumenti finanziari immobiliari finalizzati all'acquisizione, il recupero, la ristrutturazione o la realizzazione di immobili ad uso abitativo, cui destinare, per l'anno 2007, la spesa massima di 100 milioni di euro

§      dagli artt. 21, 21-bis e 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n 222, non iscritte nei bilanci degli enti destinatari e, quindi, non ancora impegnate.

 

Resterebbero, pertanto, escluse le risorse già iscritte nei bilanci degli enti destinatari ed impegnate[33] previste dall’art. 21 del decreto legge n. 159 del 2007 per il programma straordinario di edilizia residenziale pubblica[34], cui si è data attuazione con il decreto del Ministero delle infrastrutture del 28 dicembre 2007.

 

Si ricorda che con il citato DM 28 dicembre 2007 è stata ripartita tra le regioni e le province autonome una cifra complessiva di 543,9 milioni di euro[35] da destinare agli interventi prioritari e immediatamente realizzabili individuati sulla base degli elenchi trasmessi dalle regioni e province autonome. Gli interventi riguarderanno: 818 alloggi da acquistare (quasi 7% del totale), 2.229 alloggi (circa il 19% del totale) da destinare all’affitto, 7.282 (61,5% circa) alloggi da ristrutturare e 1.532 (12,5% circa) alloggi per nuove unità abitative.

 

Sono state altresì escluse le risorse già iscritte nei bilanci degli enti destinatari ed impegnate previste dall’art. 21-bis del citato decreto legge n. 159 del 2007 relative al rifinanziamento dei programmi innovativi in ambito urbano “Contratti di quartiere II”, con le risorse originariamente destinate alla realizzazione di alcuni programmi straordinari di edilizia residenziale a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata[36].

 

A tali risorse dovrebbero poi aggiungersi anche quelle derivanti dalle dismissioni degli immobili IACP (comma 3, lett. b).

 

Lo stesso comma 12 dispone, infine, che gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti e che, pertanto, le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decreto-legge n. 159 del 2007, dovranno essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sull’istituendo Fondo, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa.

 

L’ultimo comma 13 reca una norma relativa al Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione istituito dall’art. 11 della legge n. 431 del 1998. Ai fini del riparto del Fondo, viene introdotto, tra i requisiti minimi per beneficiare dei contributi integrativi per il pagamento del canone di locazione, il possesso, per gli immigrati, del certificato storico di residenza da almeno 5 anni nel territorio regionale.

 

Si rammenta che il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione rappresenta il principale strumento previsto dalla normativa nazionale in materia di agevolazioni alle locazioni, in quanto le sue risorse sono utilizzate per la concessione di contributi integrativi a favore dei conduttori appartenenti alle fasce di reddito più basse per il pagamento dei canoni di locazione ed i cui requisiti minimi sono stati stabiliti dal DM 7 giugno 1999. La dotazione del Fondo viene quantificata ogni anno dalla legge finanziaria, mentre le singole Regioni ed i comuni possono mettere a disposizione ulteriori risorse. L’ultima ripartizione delle risorse del Fondo è stata disposta con il DM 3 settembre 2007, con il quale si è provveduto a ripartire, per l’anno 2007, tra le varie regioni uno stanziamento complessivo pari a circa 211 milioni di euro. La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008) ha previsto una dotazione complessiva di 205,59 milioni di euro che non è stata ancora ripartita.


 

Articolo 12
(Abrogazione della revoca delle concessioni TAV)

 


1. All'articolo 13 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 8-sexiesdecies è sostituito dal seguente:

«8-sexiesdecies. Per effetto delle revoche di cui al comma 8-quinquiesdecies i rapporti convenzionali stipulati da TAV S.p.A. con i contraenti generali in data 15 ottobre 1991 ed in data 16 marzo 1992 continuano senza soluzione di continuità, con RFI S.p.A. e i relativi atti integrativi prevedono la quota di lavori che deve essere affidata dai contraenti generali ai terzi mediante procedura concorsuale conforme alle previsioni delle direttive comunitarie»;

b) i commi 8-septiesdecies ed 8-undevicies sono abrogati.

1-bis. All’articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, è aggiunto, in fine, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il seguente comma:

«1-ter. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.».


 

 

L’articolo 12 interviene in materia di alta velocità ferroviaria, modificando la normativa recentemente adottata con l’articolo 13 del D.L. n. 7/2007, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, convertito in legge dalla legge n. 40/2007.

Va ricordato che tale articolo ha disposto – al comma 8-quinquiesdecies - la revoca di alcune concessioni rilasciate dall’Ente ferrovie dello Stato alla società TAV S.p.a.:

§      la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV s.p.a. del 7 agosto 1991 limitatamente alle tratte Milano-Verona e Verona-Padova, comprese le relative interconnessioni;

§      la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV s.p.a. del 16 marzo 1992 relativo alla linea Milano-Genova, comprese le relative interconnessioni.

Lo stesso articolo ha inoltre revocato l’autorizzazione rilasciata a Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., nella parte in cui consente di proseguire il rapporto convenzionale con TAV S.p.a. relativamente alla progettazione e costruzione della linea Terzo Valico dei Giovi/Milano-Genova, della tratta Milano-Verona e della tratta Verona-Padova.

Il comma 8-sexiedecies del medesimo articolo prevede inoltre che gli effetti di tali revoche si estendono a tutti i rapporti convenzionali derivanti o collegati, stipulati dalla società TAV S.p.a. con i “contraenti generali” in data 15 ottobre 1991 e in data 16 marzo 1992.

L’articolo 12 in esame, lettera a), sostituisce il comma 8-sexiedecies, ora illustrato, prevedendo che, per effetto delle revoche delle concessioni stabilite dal comma 8-quinquiesdecies, i rapporti convenzionali stipulati da TAV S.p.a. in data 15 ottobre 1991 e in data 16 marzo 1992, continuano con RFI (Rete Ferroviaria Italiana) S.p.a. Gli atti integrativi di tali convenzioni individueranno la quota di lavori che i contraenti generali affideranno a terzi, mediante procedura concorsuale.

La lettera b) dello stesso articolo 12 provvede ad abrogare i commi 8-seprtiesedecies e 8-undevicies del medesimo articolo 13 del citato decreto legge n. 7/2007:

§      il comma 8-septiesdecies disciplinava i criteri e la procedura per i rimborsi dovuti dalla Società Ferrovie dello Stato

§      il comma 8-undevicies prevedeva che il Governo trasmettesse al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sugli effetti economici finanziari derivanti dall’attuazione delle norme in materia di alta velocità.

 

Il testo originale del decreto legge disponeva inoltre l’abrogazione del comma 8-duodevicies, poi soppressadalla legge di conversione. Il comma – mediante l’aggiunta del comma 1-bis all’articolo 21-quinquies della legge n. 241/1990 -prevede che l’indennizzo dovuto dalla pubblica amministrazione, nei casi di revoca di un atto amministrativo che incida su rapporti negoziali, venga parametrato al solo danno emergente e tenga conto sia della conoscenza - o conoscibilità – da parte dei contraenti della contrarietà all’interesse pubblico dell’atto stesso, sia dell’eventuale concorso dei contraenti alla erronea valutazione della compatibilità dell’atto con l’interesse pubblico;

La stessa legge di conversione ha introdotto il comma 1-bis, con il quale si inserisce all’articolo 21-quinquies della legge n. 241/1990, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legge in esame, il comma 1-ter, il cui testo è identico al comma 1-bis dello stesso articolo 21-quinquies, sopra illustrato.

Si rileva, in proposito,che tale intervento ha inteso ripristinare retroattivamente la disposizione alla data di entrata in vigore del d.l. n. 112 in esame; tale effetto non si sarebbe infatti realizzato con la sola soppressione della norma abrogativa, in quanto questa avrebbe avuto decorrenza solo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. A seguito di tali modifiche, nel testo attuale dell’articolo 21-quinquies della legge n. 241/1990, risultano pertanto un comma 1-bis e un comma 1-ter di contenuto identico.

 

Si ricorda che la realizzazione di una rete europea di treni ad alta velocità è stata individuata già dal primo Piano Generale dei Trasporti del 1986 come intervento in grado di rilanciare il ruolo della ferrovia, riequilibrare il sistema di trasporto e facilitare il processo di integrazione europea.

Il contratto di programma 1991-1992 tra Ministero dei trasporti e FS s.p.a. ha stabilito che il finanziamento della realizzazione del sistema Alta Velocità dovesse essere ripartito tra Stato e privati, nella misura rispettiva del 40% e 60%, lasciando allo Stato il pagamento dei costi, più gli oneri per gli interessi, relativi alle fasi di costruzione delle opere, di avviamento e di pre-esercizio.

In data 19 luglio 1991 è stata costituita la società TAV (Treno Alta velocità s.p.a.), avente per oggetto sociale la progettazione esecutiva e la costruzione delle linee e delle infrastrutture e di quant'altro occorra ai fini del Sistema Alta Velocità, nonché lo sfruttamento economico delle stesse, finalizzato al recupero ed alla remunerazione del capitale investito da parte della società stessa. L'esercizio dell'attività di trasporto ferroviario è stato escluso dall'oggetto sociale e riservato alla gestione unitaria di Ferrovie dello Stato. Al capitale sociale della società hanno partecipato per il 55,5% istituti di credito italiani ed esteri, e per il restante 45,5% FS.

Con atto di concessione del 7 agosto 1991 e successiva convenzione attuativa del 24 settembre 1991, Ferrovie dello Stato ha trasferito alla società TAV s.p.a. la progettazione, la costruzione e lo sfruttamento economico del sistema Alta Velocità Milano-Napoli e Torino-Venezia, prevedendo, inoltre, che all'adempimento delle prestazioni la società concessionaria provvedesse "avvalendosi di general contractor che dovranno essere - o dovranno essere interamente garantiti da - uno dei principali gruppi industriali italiani" e che i rapporti tra la TAV s.p.a. e i general contractor fossero regolati da apposite convenzioni.

Nel 1998 Ferrovie dello Stato - ormai trasformatasi da ente pubblico in società per azioni - ha acquisito il controllo del 100% della società TAV s.p.a., che è diventata così la società di scopo di FS s.p.a. - Rete Ferroviaria Italiana (RFI) per la progettazione e la costruzione delle linee ferroviarie veloci (Alta Velocità/Alta Capacità) da realizzare lungo le principali direttrici di trasporto del Paese, ossia la dorsale Milano-Napoli, la trasversale Torino-Milano-Padova ed il collegamento Milano-Genova.

L’ultimo atto di concessione del Ministero dei trasporti a FS s.p.a. ha previsto il proseguimento del rapporto convenzionale tra le due società FS s.p.a. (in veste di gestore dell’infrastruttura) e TAV s.p.a., estendendo a tale rapporto l’applicazione delle norme ivi previste in materia di vigilanza del Ministero dei trasporti e di decadenza e revoca della concessione.

La normativa sopravvenuta - articolo 131 della legge finanziaria 2001[37] - ha disposto l’applicazione della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici ai lavori di costruzione delle tratte ad alta velocità, specificamente per i lavori di costruzione non ancora iniziati alla data di entrata in vigore della legge, i cui corrispettivi ancorché determinabili non fossero stati ancora definiti, e per le connesse opere di competenza di Ferrovie dello Stato s.p.a..

Contestualmente, veniva disposta la revoca delle concessioni rilasciate dall’ente Ferrovie dello Stato alla TAV s.p.a., per la parte concernente i lavori in questione, ad eccezione di quelli per i quali fosse stata applicata o fosse applicabile la disciplina generale relativa all’affidamento dei lavori pubblici.

Nel complesso, la disposizione comportava l’obbligo per TAV s.p.a. di effettuare gare di appalto europee per la realizzazione o il completamento dei lavori individuati dallo stesso articolo 131, facendo venire meno il rapporto tra la TAV e i general contractor. Per i lavori relativi alla tratta ferroviaria ad alta capacità Torino-Milano, approvati in conferenza di servizi il 14 luglio 2000, veniva prevista un’eccezione: pertanto i lavori avrebbero dovuto proseguire secondo il sistema concessione TAV - convenzione con il general contractor.

Successivamente - con l’articolo 11 della legge n. 166/2002 (c.d. collegato infrastrutture)[38] – è stato abrogatoil comma 2 dell’articolo 131della legge finanziaria 2001: con tale abrogazione si è inteso riaffermare, per quanto concerne la costruzione delle tratte ad “alta velocità”, la validità del meccanismo della concessione alla società TAV - convenzione con il general contractor, facendo venir meno la prescrizione dell’affidamento dei lavori mediante gara europea introdotta dall’articolo 131. L’articolo prevedeva quindi che proseguissero, senza soluzione di continuità, le concessioni rilasciate alla TAV s.p.a. dall'ente Ferrovie dello Stato ed i sottostanti rapporti di general contracting instaurati dalla TAV s.p.a., riguardanti le opere individuate dall’articolo 131 della legge finanziaria per il 2001[39].

Da ultimo è intervenuto l’articolo 13 del D.L. 7/2007[40], il quale ha disposto larevoca di alcune concessioni rilasciate dall’Ente ferrovie dello Stato alla società TAV s.p.a., allo scopo di garantire, nella realizzazione del sistema Alta velocità, che i criteri e gli affidamenti dei lavori risultino competitivi, secondo la normativa vigente, e che i tempi e le spese risultino compatibili con priorità e programmi di investimento delle infrastrutture ferroviarie, nel rispetto dei vincoli dettati al gestore delle infrastrutture ferroviarie dal D.Lgs. 188/2003 e degli impegni assunti con l’Unione europea in tema di riduzione del disavanzo e del debito pubblico. Come sopra ricordato, la revoca ha riguardato la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV s.p.a. del 7 agosto 1991 limitatamente alle tratte Milano-Verona e Verona-Padova, comprese le relative interconnessioni; la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV s.p.a. del 16 marzo 1992 relativo alla linea Milano-Genova, comprese le relative interconnessioni;           l’autorizzazione rilasciata al Concessionario Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. relativa al rapporto convenzionale con la TAV s.p.a. per la progettazione e costruzione della linea Terzo Valico dei Giovi/Milano-Genova, della tratta Milano-Verona e della tratta Verona-Padova.


 

Articolo 13
(Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico)

 


1. Al fine di valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti.

2. Ai fini della conclusione degli accordi di cui al comma 1, si tiene conto dei seguenti criteri:

a) determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari in proporzione al canone di locazione;

b) riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto, purché i soggetti interessati non siano proprietari di un’altra abitazione, in favore dell'assegnatario non moroso nel pagamento del canone di locazione o degli oneri accessori unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi;

c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo.

3. Nei medesimi accordi, fermo quanto disposto dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, può essere prevista la facoltà per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di settore per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli beni immobili.

3-bis. Al fine di consentire alle giovani coppie di accedere a finanziamenti agevolati per sostenere le spese connesse all’acquisto della prima casa, a partire dal 1° settembre 2008 è istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della gioventù, un Fondo speciale di garanzia per l’acquisto della prima casa da parte delle coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La complessiva dotazione del Fondo di cui al primo periodo è pari a 4 milioni di euro per l’anno 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010. Con decreto del Ministro della gioventù, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità operative di funzionamento del Fondo di cui al primo periodo.

3-ter. Gli alloggi realizzati ai sensi della legge 9 agosto 1954, n. 640, non trasferiti ai comuni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai sensi della legge 23 dicembre 2000, n. 388, possono essere ceduti in proprietà agli aventi diritto secondo le disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 1993, n. 560, a prescindere dai criteri e requisiti imposti dalla predetta legge n. 640 del 1954.

3-quater. Presso il Ministero dell’economia e delle finanze è istituito il Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio. La dotazione del fondo è stabilita in 60 milioni di euro per l’anno 2009, 30 milioni di euro per l’anno 2010 e 30 milioni di euro per l’anno 2011. A valere sulle risorse del fondo sono concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il risanamento e il recupero dell’ambiente e lo sviluppo economico dei territori stessi. Alla ripartizione delle risorse e all’individuazione degli enti beneficiari si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Al relativo onere si provvede, quanto a 30 milioni di euro per l’anno 2009, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero e, quanto a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.


 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame è finalizzato:

§      alla valorizzazione degli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), comunque denominati;

§      a favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi.

Si ricorda che con l’art. 93, comma 2, del DPR n. 616/1977, sono state trasferite alle regioni le funzioni statali relative agli IACP, per cui tali istituti sono divenuti enti regionali.

Ai sensi del medesimo articolo 93 è stato altresì attribuito alle regioni il potere di organizzare il “servizio della casa” in conformità ai principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (riforma attuata successivamente, con l’approvazione della legge n. 142/1990, poi trasfusa nel d.lgs. n. 267/2000 recante Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). Ciò ha indotto alcune regioni ad adottare per gli IACP il modulo organizzativo dell’ente pubblico economico in sostanziale conformità con quello dell’azienda speciale previsto, per la gestione dei servizi pubblici locali, dalla citata legge n. 142/1990: in tali regioni[41] gli IACP sono stati quindi trasformati in Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale (ATER). Altre regioni hanno, invece, preferito scegliere il modulo organizzativo dell’ente pubblico non economico o quello, del tutto opposto, della società di capitali. Vi sono, infine, anche delle regioni che non si sono avvalse della facoltà conferita dall’art. 93 del d.p.r. 616/1977 per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria.

 

Per i fini indicati viene previsto che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali inerenti la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti.

Il comma 2 elenca i seguenti criteri da considerare ai fini della conclusione dei predettiaccordi:

a) determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari in proporzione al canone di locazione;

b) riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto, purché i soggetti interessati non siano proprietari di un’altra abitazione, in favore dell'assegnatario non moroso nel pagamento del canone di locazione o degli oneri accessori unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi;

c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo.

 

Si fa notare che i primi due commi dell'articolo in esame riproducono, nella sostanza, i commi 597-598 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 (n. 266/2005), dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 94 del 2007[42], in seguito ai ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Veneto, Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.

In particolare si ricorda che il comma 597 prevedeva che la valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli IACP avvenisse mediante una semplificazione delle procedure in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli istituti medesimi sulla base di modalità definite con apposito DPCM.

Secondo la Corte, il fine del comma 597 non è quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, bensì “quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili. Si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprietà degli IACP (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalità di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle Regioni”. Si profila, pertanto, una ingerenza nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. Di conseguenza “la fonte regolamentare, destinata dalla disposizione impugnata a disciplinare le procedure di alienazione degli immobili, è stata prevista in una materia non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione del sesto comma del medesimo art. 117”.

La disposizione recata dal comma 1 dell'articolo in esame si differenzia da quella, dichiarata illegittima, contenuta nel citato comma 597, per il fatto che l’individuazione delle modalità di semplificazione non è più demandata ad un DPCM, ma alla conclusione di accordi con regioni ed enti locali.

 

In base al comma 3, negli accordi stessi può essere prevista la facoltà per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di settore per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli beni immobili, fermo quanto disposto dall’art. 1, comma 6, del DL n. 351/2001.

Si ricorda che il comma 6 dell’articolo 1 del DL n. 351/2001 dispone che le disposizioni del medesimo articolo “si applicano ai beni di regioni, province, comuni ed altri enti locali che ne facciano richiesta, nonché ai beni utilizzati per uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, con il consenso dei proprietari”.

Le restanti disposizioni dell’articolo 1 (ad eccezione dei commi da 6-bis a 6-quater, che riguardano i beni immobili di proprietà delle Ferrovie dello Stato S.p.A.) sono volte a consentire la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, quale prerequisito per il suo riordino e la sua gestione e valorizzazione, da parte dell’Agenzia del demanio.

Si ricorda, altresì, che una disposizione analoga a quella recata dal comma in esame era contenuta nel comma 599 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2006, anch’esso dichiarato costituzionalmente illegittimo con la citata sentenza n. 94/2007. Tuttavia nel citato comma 599 non vi era un rinvio a singole parti del decreto-legge n. 351 in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ma a tutte le disposizioni da esso recate. Tale comma 599 prevedeva, infatti, che “agli immobili degli Istituti proprietari, che ne facciano richiesta attraverso le regioni, si applicano le disposizioni previste dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351”.

 

Il comma 3-bis istituisce, a partire dal 1° settembre 2008, un fondo speciale di garanzia per l’acquisto della prima casa da parte di coppie o nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Tale fondo avrà una dotazione pari a 4 milioni di euro per l’anno 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010.

Per la disciplina delle modalità operative di funzionamento del fondo si prevede un decreto del Ministro della gioventù, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

La disposizione in esame riproduce, nella sostanza, quella recata dall’art. 1, comma 111, della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005), istitutiva di un fondo "prima casa" a destinazione vincolata, giudicata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 118/2006 della Corte costituzionale.

Con tale sentenza la Corte ha escluso che la previsione di un fondo nel bilancio dello Stato possa essere ricondotto alla materia “sistema tributario e contabile dello Stato”, di competenza legislativa esclusiva statale: secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’istituzione dei fondi a destinazione vincolata, ad opera delle leggi dello Stato, deve essere valutata in relazione alle specifiche materie sulle quali tali fondi vanno ad incidere (sentenze n. 231/2005, n. 51/2005 e n. 31/2005, n. 423/2004). La Corte ribadisce che allo Stato è preclusa l’istituzione di fondi speciali in materie riservate alla competenza esclusiva o concorrente delle Regioni, o comunque la destinazione, in modo vincolato, di risorse finanziarie, senza lasciare alle Regioni e agli enti locali un qualsiasi spazio di manovra. E ciò anche nell’ipotesi in cui siano previsti interventi finanziari statali, nelle medesime materie, destinati direttamente a soggetti privati.

 

Il comma 3-ter prevede che gli alloggi realizzati ai sensi della legge n. 640 del 1954 per l'eliminazione delle abitazioni malsane, i quali non siano stati ancora trasferiti ai comuni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, possono essere ceduti in proprietà agli aventi diritto secondo le norme dettate dalla legge n. 560/1993, in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, senza adottare i criteri ed i requisiti imposti dalla citata legge n. 640 del 1954.

 

Il comma 3-quater prevede l’istituzione, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, di un Fondo per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio, con una dotazione di 60 milioni di euro per il 2009, 30 milioni di euro per ciascuno degli anni del biennio 2010-2011.

Attraverso tale Fondo saranno concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il risanamento ed il recupero dell’ambiente e lo sviluppo economico dei territori stessi. La ripartizione delle risorse e l’individuazione degli enti beneficiari sarà disposta con DM dell’economia e delle finanze, emanato previo atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il comma in commento prevede altresì la relativa norma di copertura finanziaria.

 

Tale disposizione sembra riprodurre, nella sostanza, quelle recate dagli abrogati commi 28 e 29 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 (cd. legge mancia).

Si ricorda che tali commi sono stati abrogati, a decorrere dal 1° agosto 2008, dall’articolo 3, comma 24, della legge finanziaria 2008, come modificato dall’art. 47 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248.


 

Articolo 14
(Expo Milano 2015)

 


1. Per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 in attuazione dell'adempimento degli obblighi internazionali assunti dal Governo italiano nei confronti del Bureau International des Expositions (BIE) è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2009, 45 milioni di euro per l'anno 2010, 59 milioni di euro per l'anno 2011, 223 milioni di euro per l'anno 2012, 564 milioni di euro per l'anno 2013, 445 milioni di euro per l'anno 2014 e 120 milioni di euro per l'anno 2015.

2. Ai fini di cui al comma 1 il Sindaco di Milano pro tempore, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, è nominato Commissario straordinario del Governo per l'attività preparatoria urgente. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il presidente della regione Lombardia e sentiti i rappresentanti degli enti locali interessati, sono istituiti gli organismi per la gestione delle attività, compresa la previsione di un tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali presieduto dal presidente della regione Lombardia pro tempore e sono stabiliti i criteri di ripartizione e le modalità di erogazione dei finanziamenti.


 

 

Il comma 1 dell'articolo 14 reca le seguenti autorizzazioni di spesa per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 in attuazione dell’adempimento degli obblighi internazionali assunti dal governo italiano nei confronti del Bureau International des Expositions (BIE):

 

Anno

Importo

(milioni di euro)

2009

30

2010

45

2011

59

2012

223

2013

564

2014

445

2015

120

Totale

1.486

 

Come è noto, il 31 marzo 2008 a Parigi, i Paesi membri del BIE hanno scelto Milano come sede dell'edizione 2015 dell'Expo[43], preferendola all’unica concorrente, la città turca di Smirne. L’Esposizione, che è intitolata Nutrire il pianeta:energia per la vita, si svolgerà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015. Tra gli obiettivi quello di dare visibilità alla tradizione, alla creatività e all’innovazione nel settore dell’alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate da precedenti edizioni e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali, al centro dei quali c’è il tema del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il Pianeta.

Si ricorda che l’Expo 2015 di Milano è stata dichiarata “grande evento” con il DPCM 30 agosto 2007 (GU 11 settembre 2007, n. 211), ai sensi dell’art. 5-bis, comma 5, del DL n. 343/2001.

Nelle premesse di tale DPCM la citata dichiarazione viene motivata, tra l’altro, alla luce della “particolare complessità organizzativa dell'evento sotto il profilo della sicurezza, dell'ordine pubblico, della mobilità, della ricezione alberghiera, per la quale dovranno essere attuati interventi infrastrutturali e predisposte strutture ricettive adeguate o riconvertite le strutture esistenti, anche ai fini dell'accoglienza e dell'assistenza sanitaria”.

Successivamente è stata emanata l’OPCM 18 ottobre 2007, n. 3623, con la quale, tra l’altro, si è provveduto alla nomina del sindaco del comune di Milano a Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura della Città di Milano quale sede del grande evento «Expo 2015» e ne sono stati definiti i compiti.

Quanto all’art. 5-bis, comma 5, del DL n. 343/2001, si ricorda che esso ha esteso il campo di applicazione previsto per la dichiarazione dello stato di emergenza, includendovi anche Ia dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile, diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza (art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225).

 

Ai sensi del comma 2, per i fini di cui al comma 1, il Sindaco di Milano pro-tempore, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, è nominato Commissario straordinario del Governo per l’attività preparatoria urgente.

Viene altresì prevista l’emanazione, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, di apposito DPCM (non ancora emanato), sentito il Presidente della Regione Lombardia e i rappresentanti degli enti locali interessati, volto alla:

§      istituzione degli organismi per la gestione delle attività, compresa la previsione di un tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali presieduto dal Presidente della Regione Lombardia pro-tempore;

§       fissazione dei criteri di ripartizione e delle modalità di erogazione dei finanziamenti.

 


 

Articolo 14-bis
(Infrastrutture militari)

 


1. All’articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 13-ter:

       1) le parole: «31 ottobre 2008» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2008»;

       2) le parole: «entro il 31 dicembre, nonché altre strutture, per un valore complessivo pari almeno a 2.000 milioni di euro» sono sostituite dalle seguenti: «ad avvenuto completamento delle procedure di riallocazione concernenti i programmi di cui ai commi 13-ter e 13-ter.1»;

b) al comma 13-ter.2, dopo le parole: «a procedure negoziate con gli enti territoriali» sono inserite le seguenti: «, società a partecipazioni pubbliche e soggetti privati»;

c) al comma 13-ter.2, l’ultimo periodo è sostituito dai seguenti: «Per consentire la riallocazione delle predette funzioni nonché per le più generali esigenze di funzionamento, ammodernamento e manutenzione e supporto dei mezzi, dei sistemi, dei materiali e delle strutture in dotazione alle Forze armate, inclusa l’Arma dei carabinieri, sono istituiti, nello stato di previsione del Ministero della difesa, un fondo in conto capitale ed uno di parte corrente le cui dotazioni sono determinate dalla legge finanziaria in relazione alle esigenze di realizzazione del programma di cui al comma 13-ter.1. Al fondo in conto capitale concorrono anche i proventi derivanti dalle attività di valorizzazione effettuate dall’Agenzia del demanio con riguardo alle infrastrutture militari, ancora in uso al Ministero della difesa, oggetto del presente comma. Alla ripartizione dei predetti fondi si provvede mediante uno o più decreti del Ministro della difesa, da comunicare, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell’economia e delle finanze»;

d) dopo il comma 13-ter.2 è inserito il seguente:

«13-ter.3. Ai proventi di cui al comma 13-ter.2 non si applica l’articolo 2, comma 615, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ed essi sono riassegnati allo stato di previsione del Ministero della difesa integralmente nella misura percentuale di cui al citato comma 13-ter.2».

2. All’articolo 3, comma 15-ter, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, e successive modificazioni, sono apportare le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, le parole: «con gli enti territoriali» sono sostituite dalle seguenti: «di beni e di servizi con gli enti territoriali, con le società a partecipazione pubblica e con i soggetti privati»;

b) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Le procedure di permuta sono effettuate dal Ministero della difesa, d’intesa con l’Agenzia del demanio, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico contabile».

3. ll Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze - Agenzia del demanio, individua con apposito decreto gli immobili militari, non ricompresi negli elenchi di cui all’articolo 27, comma 13-ter, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, da alienare secondo le seguenti procedure:

a) le alienazioni, permute, valorizzazioni e gestioni dei beni, che possono essere effettuate anche ai sensi dell’articolo 58 del presente decreto, in deroga alla legge 24 dicembre 1908, n. 783, e successive modificazioni, e al regolamento di cui al regio decreto 17 giugno 1909, n. 454, e successive modificazioni, nonché alle norme della contabilità generale dello Stato, fermi restando i principi generali dell’ordinamento giuridico contabile, sono effettuate direttamente dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio che può avvalersi del supporto tecnico-operativo di una società pubblica o a partecipazione pubblica con particolare qualificazione professionale ed esperienza commerciale nel settore immobiliare;

b) la determinazione del valore dei beni da porre a base d’asta è decretata dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, previo parere di congruità emesso da una commissione appositamente nominata dal Ministro della difesa, presieduta da un magistrato amministrativo o da un avvocato dello Stato e composta da rappresentanti dei Ministeri della difesa e dell’economia e delle finanze, nonché da un esperto in possesso di comprovata professionalità nella materia. Dall’istituzione della commissione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e ai componenti della stessa non spetta alcun compenso o rimborso spese;

c) i contratti di trasferimento di ciascun bene sono approvati dal Ministero della difesa. L’approvazione può essere negata per sopravvenute esigenze di carattere istituzionale dello stesso Ministero;

d) i proventi derivanti dalle procedure di cui alla lettera a) possono essere destinati, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, al soddisfacimento delle esigenze funzionali del Ministero della difesa previa verifica della compatibilità finanziaria e dedotta la quota che può essere destinata agli enti territoriali interessati;

e) le alienazioni e permute dei beni individuati possono essere effettuate a trattativa privata, qualora il valore del singolo bene, determinato ai sensi della lettera b), sia inferiore a quattrocentomila euro;

f) ai fini delle permute e delle alienazioni degli immobili da dismettere, con cessazione del carattere demaniale, il Ministero della difesa comunica, insieme alle schede descrittive di cui all’articolo 12, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l’elenco di tali immobili al Ministero per i beni e le attività culturali che si pronuncia, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione, in ordine alla verifica dell’interesse storico-artistico e individua, in caso positivo, le parti degli immobili stessi soggette a tutela, con riguardo agli indirizzi di carattere generale di cui all’articolo 12, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Per i beni riconosciuti di interesse storico artistico, l’accertamento della relativa condizione costituisce dichiarazione ai sensi dell’articolo 13 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Le approvazioni e le autorizzazioni previste dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 sono rilasciate o negate entro novanta giorni dalla ricezione della istanza. Le disposizioni del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, parti prima e seconda, si applicano anche dopo la dismissione.

4. Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 568, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, i proventi derivanti dalle alienazioni di cui all’articolo 49, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sono integralmente riassegnati al fondo di parte corrente istituito nello stato di previsione del Ministero della difesa, in relazione alle esigenze di realizzazione del programma di cui al comma 13-ter.2 dell’articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dal comma 1 del presente articolo.


 

 

L’articolo 14-bis, novella in più parti il comma 13-ter dell'articolo 27 del decreto legge n. 269 del 2003 che, tra l'altro, ha attribuito al Ministero della difesa il compito di individuare i beni immobili non più utili ai propri fini istituzionali, da dismettere e consegnare all'Agenzia del demanio.

 

Le modifiche riguardano:

§      la proroga al 31 dicembre 2008 del termine entro il quale individuare gli immobili da dismettere;

§      la soppressione del riferimento al valore complessivo di 2.000 mln di euro da conseguire in relazione alla dismissione da realizzare nell'anno 2008;

§      la previsione che la riallocazione degli immobili possa avvenire anche attraverso il ricorso ad accordi o a procedure negoziate con società a partecipazione pubblica e con soggetti privati;

§      la previsione concernente l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero della difesa, di un fondo in conto capitale e di un fondo di parte corrente destinati al finanziamento della suddette riallocazione, nonché delle esigenze di funzionamento, ammodernamento e manutenzione dei mezzi delle Forze armate, inclusa l'Arma dei carabinieri. I fondi sono determinati dalla legge finanziaria.

 

Al fondo in conto capitale concorrono anche i proventi derivanti dalle attività di valorizzazione immobiliare effettuate dall'Agenzia del demanio con particolare riguardo alle infrastrutture militari ancora in uso alle strutture del Ministero della difesa; al fondo di parte corrente affluiscono anche i proventi derivanti dalle alienazioni dei materiali fuori uso della Difesa.

 

Inoltre, al comma 3, si attribuisce al Ministero della difesa il compito di individuare, con apposito decreto, ulteriori immobili da alienare, non ricompresi negli elenchi di cui all'articolo 27, comma 13-ter del citato decreto legge n. 269 del 2003, stabilendo, al riguardo, le procedure concernenti le operazioni di vendita, permuta, valorizzazione e gestione dei citati beni. I proventi derivanti dalle suddette procedure possono essere destinati al soddisfacimento delle esigenze funzionali del Ministero della difesa previa verifica della compatibilità finanziaria e dedotta la quota che può essere destinata agli enti territoriali interessati.

 

La Relazione tecnica precisa che i fondi citati devono essere annualmente quantificati dalla legge finanziaria in coerenza con il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica. Inoltre le rassegnazioni in aumento sul fondo di parte corrente dei proventi derivanti dalla alienazione di beni mobili e attrezzature, anche dismessi in occasione di missioni internazionali ed altre attività umanitarie, non comportano effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica.

Anche le procedere di alienazione, permuta, valorizzazione e gestione dei beni immobili di cui al comma 3 secondo la relazione tecnica non sono suscettibili di determinare effetti sui saldi di finanza pubblica. Infatti, i proventi derivanti da tali procedure potranno essere destinati alle esigenze funzionali del Ministero della difesa solo se derivanti dalla gestione corrente.


 

Articolo 15
(Costo dei libri scolastici)

 


1. A partire dall'anno scolastico 2008-2009, nel rispetto della normativa vigente e fatta salva l'autonomia didattica nell'adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado, tenuto conto dell'organizzazione didattica esistente, i competenti organi individuano preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. Gli studenti accedono ai testi disponibili tramite internet, gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente.

2. Al fine di potenziare la disponibilità e la fruibilità, a costi contenuti di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole, degli alunni e delle loro famiglie, nel termine di un triennio, a decorrere dall'anno scolastico 2008-2009, i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell'istruzione, di cui al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e per gli istituti di istruzione di secondo grado sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet, e mista. A partire dall'anno scolastico 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista. Sono fatte salve le disposizioni relative all'adozione di strumenti didattici per i soggetti diversamente abili.

3. I libri di testo sviluppano i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio e possono essere realizzati in sezioni tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento, di costo contenuto e suscettibili di successivi aggiornamenti e integrazioni. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono determinati:

a) le caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso;

b) le caratteristiche tecnologiche dei libri di testo nelle versioni on line e mista;

c) il prezzo dei libri di testo della scuola primaria e i tetti di spesa dell'intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell'autore e dell'editore.

4. Le Università e le Istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel rispetto della propria autonomia, adottano linee di indirizzo ispirate ai principi di cui ai commi 1, 2 e 3.


 

 

L’articolo 15 stabilisce nuove modalità di fruizione dei libri scolastici, prevedendo una disciplina finalizzata a ridurre progressivamente i costi per le famiglie, a partire dall’anno scolastico 2008-2009[44].

Pertanto, il comma 1, facendo salva l’autonomia didattica nell’adozione dei libri di testo delle scuole di ogni ordine e grado, prevede che dall’anno scolastico 2008-2009 sia data preferenza, nelle scelte degli organi competenti, a libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. L’accesso a tali testi da parte degli studenti avviene gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente.

Tale ultima condizione si riferisce, presumibilmente, alla disciplina sulla gratuità dei libri di testo (vedi infra).

 

Si ricorda che l’articolo 7 del D.Lgs. n. 297/2004[45], c.d. T.U. sulla scuola, affida l’adozione dei libri di testo alla competenza del collegio dei docenti, sentiti i consigli di interclasse (nelle scuole elementari: ora, scuole primarie) o di classe (negli istituti di istruzione secondaria).

L’articolo 156 del medesimo D.Lgs. prevede che agli alunni delle scuole elementari (ora, scuole primarie) i libri di testo sono forniti gratuitamente dai comuni, secondo modalità stabilite dalla legge regionale[46].

L’art. 27 della l. n. 448/1998[47] ha, poi, stabilito che nell’A.S. 1999-2000 i comuni provvedessero a garantire la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo in favore degli alunni che adempivano l’obbligo scolastico, purché in possesso dei requisiti individuati da uno specifico DPCM[48]ed ha autorizzato, a tal fine, la spesa di 100 miliardi di lire.

Successivamente, l’articolo 53 della l. n. 488/1999[49] (finanziaria 2000) ha stabilito che le disposizioni sopra citate continuassero ad applicarsi anche nell'anno scolastico 2000-2001, confermando la spesa di lire 100 miliardi, finanziamento poi integrato con altri 100 miliardi dalla tabella D della stessa legge finanziaria. La fornitura gratuita dei libri di testo è stata quindi rifinanziata per gli anni seguenti, sempre per l’importo di 200 miliardi di lire - divenuti 103,3 milioni di euro con l’introduzione della nuova moneta - con la tabella D di successive leggi finanziarie[50].

L’art. 27 della legge n. 448/1999 ha, inoltre, previsto che con decreto del Ministro della pubblica istruzione fossero individuati i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno della scuola dell’obbligo, da assumere quale limite all’interno del quale i docenti dovevano collocare le proprie scelte.

A tale previsione ha dato seguito il DM n. 547/1999, che ha fissato i criteri in questione, a decorrere dall’A.S. 2000-2001[51]. Il medesimo D.M., inoltre – essendo nel frattempo intervenuta la l. n. 9/1999[52] che elevava l’obbligo di istruzione a 10 anni prevedendo, però, che fino ad un riordino generale del sistema scolastico l’obbligo di istruzione avesse durata novennale - ha fissato i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per le discipline del primo anno di corso della scuola secondaria superiore.

Nel prosieguo, è intervenuto l’art. 1, c. 628, della l. n. 296/2006[53], che ha esteso agli studenti del primo e secondo anno dell’istruzione secondaria superiore la gratuità parziale dei testi prevista dall’art. 27 della l. 448/1998.

Il medesimo articolo ha, inoltre, previsto che con decreto del Ministro della pubblica istruzione fossero stabiliti i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria per gli anni successivi al secondo dell’istruzione secondaria superiore.

È, quindi, intervenuto il Decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 febbraio 2008, n. 28, che ha stabilito per l’A.S. 2008-2009 il prezzo massimo complessivo delle dotazione libraria necessaria per ciascun anno di ciascuna tipologia di scuola secondaria superiore (l’importo massimo, di 370 euro, è riferito al III anno del liceo classico), all’interno del quale i docenti sono tenuti ad effettuare le proprie scelte[54].

 

Il comma 2, primo periodo,stabilisce, quindi,che nel termine di un triennio a decorrere dall’A.S. 2008-2009 (quindi, entro l’A.S. 2010-2011), i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell’istruzione e per gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet e mista (ovvero, presumibilmente, cartacea e digitale).

Il secondo periodo del medesimo comma 2 stabilisce che, a decorrere dall’A.S. 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabile da internet o mista.

 

L’ultimo periodo fa salve le disposizioni relative all’adozione di strumenti didattici per i soggetti diversamente abili.

 

Si ricorda che la l. n. 4/2004[55]stabilisce che la Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona, in particolare della persona disabile, ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici. L’art. 5 prevede, quindi, che le relative disposizioni si applichino anche al materiale formativo e didattico utilizzato nelle scuole di ogni ordine e grado.

Il regolamento attuativo della legge citata[56] ha, quindi, demandato ad un decreto interministeriale l’individuazione delle specifiche regole tecniche che disciplinano l’accessibilità, da parte degli utenti, agli strumenti didattici e formativi di cui all’articolo 5 sopra richiamato.

Il decreto in questione è intervenuto il 30 aprile 2008[57].

 

Il comma 3 interviene, anzitutto, sul contenuto e sulla struttura dei libri di testo. Quanto al primo aspetto, stabilisce che essi debbano sviluppare i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio.

 

Si ricorda che l’art. 7, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2003[58] prevede che alla definizione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale, relativamente, fra l’altro, agli obiettivi specifici di apprendimento, si provveda mediante regolamenti di delegificazione[59].

In attesa dell’emanazione del regolamento governativo, il D.Lgs. n. 59/2004[60], in via transitoria, ha previsto le indicazioni nazionali con riferimento alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione (artt. 12, 13 e 14). Con DM 3 luglio 2007 sono state emanate Indicazioni - da utilizzare sperimentalmente - per l’ elaborazione dei curricoli per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, ordini di scuole per i quali è entrata a regime la cosiddetta “riforma Moratti” (di cui alla legge 53/2003).

Con riferimento al secondo ciclo, il D.Lgs n. 226 del 2005[61] ha provveduto direttamente ad individuare, fra gli altri, le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati dei percorsi liceali e dei rispettivi indirizzi; tuttavia, non essendo stata avviata la riforma citata[62], occorre fare riferimento ancora ad orari e piani di studio indicati da decreti ministeriali.

Si ricorda, peraltro che il DM 26 giugno 2000, n. 234 aveva disposto che gli ordinamenti (e le relative sperimentazioni) funzionanti nell'anno scolastico 1999/2000, sia con riferimento ai programmi di insegnamento che agli orari di funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa la scuola materna, costituissero, in prima applicazione dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, i curricoli delle istituzioni scolastiche autonome.

 

Quanto al secondo aspetto, si prevede che i libri di testo possano essere realizzati in sezioni tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento, suscettibili di successivi aggiornamenti.

Si affida, quindi, ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca la determinazione:

§      delle caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso[63];

§      delle caratteristiche tecniche dei libri di testo nelle versioni on line e mista;

§       del prezzo dei libri di testo della scuola primaria e dei tetti di spesa dell’intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore.

 

Il comma 4, infine, stabilisce che le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel rispetto della loro autonomia, adottano linee di indirizzo ispirate ai principi recati dai commi precedenti.

 

Per completezza di informazione, si evidenzia che alle disposizioni recate dall’art. 15 in commento si sono di recente aggiunte quelle recate dall’art. 5 del dl. 137/2008[64], all’esame della Camera in prima lettura.

Sempre con la dichiarata finalità di contenere il disagio economico costituito dal costo dei libri scolastici, l’articolo citato prevede che gli organi scolastici adottino libri di testo in relazione ai quali l’editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio, salvo l’eventualità che si rendano necessarie appendici di aggiornamento, che comunque dovranno essere disponibili separatamente.

Si prevede, inoltre, che l’adozione dei libri di testo avvenga con cadenza quinquennale, salvo che ricorrano specifiche e motivate esigenze.

Si attribuisce, infine, al dirigente scolastico l’obbligo di vigilare affinché i collegi dei docenti assumano le proprie determinazioni in materia di libri scolastici nel rispetto della normativa vigente.


 

Articolo 16
(Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università)

 


1. In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La trasformazione opera a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di adozione della delibera.

2. Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università. Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie è trasferita, con decreto dell'Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate.

3. Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili e tutte le operazioni ad essi connesse sono esenti da imposte e tasse.

4. Le fondazioni universitarie sono enti non commerciali e perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica e operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. Non è ammessa in ogni caso la distribuzione di utili, in qualsiasi forma. Eventuali proventi, rendite o altri utili derivanti dallo svolgimento delle attività previste dagli statuti delle fondazioni universitarie sono destinati interamente al perseguimento degli scopi delle medesime.

5. I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento.

6. Contestualmente alla delibera di trasformazione vengono adottati lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità delle fondazioni universitarie, i quali devono essere approvati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Lo statuto può prevedere l'ingresso nella fondazione universitaria di nuovi soggetti, pubblici o privati.

7. Le fondazioni universitarie adottano un regolamento di Ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.

8. Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo.

9. La gestione economico-finanziaria delle fondazioni universitarie assicura l'equilibrio di bilancio. Il bilancio viene redatto con periodicità annuale. Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico; a tal fine, costituisce elemento di valutazione, a fini perequativi, l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione.

10. La vigilanza sulle fondazioni universitarie è esercitata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nei collegi dei sindaci delle fondazioni universitarie è assicurata la presenza dei rappresentanti delle Amministrazioni vigilanti.

11. La Corte dei conti esercita il controllo sulle fondazioni universitarie secondo le modalità previste dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 e riferisce annualmente al Parlamento.

12. In caso di gravi violazioni di legge afferenti alla corretta gestione della fondazione universitaria da parte degli organi di amministrazione o di rappresentanza, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nomina un Commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente ed entro sei mesi da tale nomina procede alla nomina dei nuovi amministratori dell'ente medesimo, secondo quanto previsto dallo statuto.

13. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale amministrativo delle fondazioni universitarie si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

14. Alle fondazioni universitarie continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le Università statali in quanto compatibili con il presente articolo e con la natura privatistica delle fondazioni medesime.


 

 

L’articolo 16 prevede la facoltà per le università pubbliche di trasformarsi in fondazioni di diritto privato (comma 1).

 

A tal proposito, si ricorda che, nell’ordinamento giuridico italiano, la fondazione è una figura giuridica soggettiva di diritto privato. L’istituto viene classicamente definito come «stabile organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio ad un determinato scopo di pubblica utilità»[65].

Al pari delle associazioni, la fondazione rientra, dunque, nel novero delle organizzazioni collettive mediante le quali i privati perseguono scopi che superano la sfera individuale. Secondo la tradizionale ricostruzione della dottrina, a differenza delle società, fondazioni e associazioni si caratterizzano per l’assenza di uno scopo di lucro (distribuzione di utili). Tuttavia, per quanto concerne la fondazione, l’opinione dominante nella dottrina ne individua la peculiarità non tanto in questo criterio negativo, quanto piuttosto nel perseguimento di fini di rilevante interesse collettivo.

Una disciplina di carattere generale delle fondazioni (insieme con quella delle associazioni riconosciute) è contenuta nel Libro I del Codice civile (artt. 14-35)[66]. Tale disciplina è completata dalle norme del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, con il quale è stato riordinato il procedimento per l’acquisto della personalità giuridica ed il sistema dei controlli sulle persone giuridiche private[67].

Accanto al modello codicistico, occorre però sottolineare che, negli ultimi anni, il legislatore ha più volte fatto ricorso alla forma organizzativa della fondazione, dettando singole discipline settoriali per specifiche categorie di enti. Con riferimento ai più recenti e significativi interventi, si ricorda, ad esempio, la normativa relativa alle fondazioni bancarie[68] e alle fondazioni lirico-sinfoniche[69].

Con specifico riferimento all’articolo in commento, si sottolinea, in particolare, che l’art. 59 della l. finanziaria per il 2001 (l. n. 388/2000) ha stabilito la possibilità per una o più università di costituire fondazioni di diritto privato, con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca. Tali fondazioni sono state ampiamente disciplinate da un regolamento adottato con successivo D.P.R. n. 254/2001[70]. Con tale innovazione si è inteso consentire agli atenei di essere affiancati da una struttura di supporto, presso la quale fosse possibile trasferire tutta una serie di attività strumentali, da svolgere anche con l'apporto finanziario di privati, lasciando alle università le attività istituzionali relative alla didattica e alla ricerca[71].

La possibilità introdotta dalla l. finanziaria per il 2001 configura, pertanto, un’ipotesi diversa da quella considerata nell’articolo in esame, il quale, invece, prevede la possibilità di un cambiamento della natura giuridica delle università, da enti pubblici dotati di autonomia funzionale – secondo la qualificazione prevista dall’art. 1, co. 4, lett. d), della legge 15 marzo 1997, n. 59 – a enti di diritto privato organizzati in forma di fondazioni.

 

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la norma fa riferimento alle “università pubbliche”. In tale categoria dovrebbero, dunque, ritenersi incluse anche le università non statali[72], che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, sono qualificate come “enti pubblici non economici”[73].

 

Le disposizioni in commento disciplinano:

§      la procedura di trasformazione delle università in fondazioni;

§      alcuni principi relativi allo status delle fondazioni e al regime giuridico applicabile;

§      le forme di vigilanza e controllo statali sulle università costituite in fondazioni.

 

Per quanto riguarda la procedura di trasformazione, è richiesta una delibera del Senato accademico[74], adottata a maggioranza assoluta, successivamente approvata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La trasformazione produce effetti a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di adozione della delibera (comma 1).

Contestualmente alla delibera di trasformazione, sono adottati lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità della fondazione, ugualmente sottoposti ad approvazione con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con del Ministro dell’economia (co. 6). Lo statuto può prevedere l’ingresso nella fondazione di nuovi soggetti, pubblici o privati.

 

In proposito, si ricorda che le università hanno autonomia statutaria e regolamentare. Infatti, l’art. 33 Cost., secondo comma, dispone che le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. In attuazione del disposto costituzionale, l’art. 6, co. 1, della l. n. 168/1989[75] ha individuato gli strumenti per l’esercizio della riconosciuta autonomia normativa, stabilendo che, in attuazione dell’art. 33 Cost., le università si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.

In riferimento allo statuto, si prevedono contenuti minimi e limiti negativi delle norme statutarie. In particolare, l’art. 16 della l. n. 168/1989 ha previsto che gli statuti debbano obbligatoriamente prevedere: l’elettività del rettore; una composizione del Senato accademico che assicuri la rappresentanza delle facoltà; una composizione del c.d.a. che assicuri la rappresentanza delle componenti presenti in base alla normativa precedente; criteri organizzativi che garantiscano l’efficienza nell’erogazione dei servizi e la responsabilità degli amministratori[76]. Un secondo aspetto di rilievo riguarda la procedura di approvazione. Lo statuto è deliberato, sentito il consiglio di amministrazione, da un organo appositamente previsto dall’art. 16, co. 2, della l. n. 168/1989, costituito dal Senato accademico integrato in una particolare composizione[77].

Accanto allo statuto, sono poi previsti i regolamenti di ateneo e quelli interni di ciascuna struttura, che sono emanati con decreto del rettore nel rispetto dei principi e delle procedure stabiliti dallo statuto (art. 6, co. 6). Solo per i regolamenti di ateneo è richiesta la deliberazione da parte degli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei componenti.

Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore (art. 6, co. 9)[78].

 

Per effetto della trasformazione, la fondazione subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dell’università, ivi inclusa la titolarità del patrimonio. Inoltre, la fondazione acquista la proprietà dei beni immobili già in uso all’università mediante decreto di trasferimento dell’Agenzia del demanio al fondo di dotazione della medesima fondazione (comma 2). Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili sono esenti da imposte e tasse (comma 3).

 

Quanto agli elementi distintivi delle università costituite in fondazione, l’articolo 16 precisa che si tratta di enti non commerciali che operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. Inoltre – in analogia agli aspetti che, secondo l’opinione prevalente in dottrina, caratterizzano gli enti del libro I del codice civile – non viene ammessa in alcun modo la distribuzione degli utili (assenza di c.d. lucro soggettivo). Eventuali rendite, proventi o utili derivanti dallo svolgimento delle attività statutarie della fondazione (c.d. lucro oggettivo) devono essere interamente reimpiegati in funzione degli scopi istituzionali dell’ente (comma 4).

 

Il carattere distintivo degli enti non commerciali è costituito dal fatto di avere come oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un’attività di "natura non commerciale", intendendosi per tale l’attività che determina reddito d'impresa.

Per economicità delle gestione s’intende lo svolgimento della gestione in modo tale da garantire l’equilibrio tra i ricavi dei beni e servizi prodotti e i costi di produzione.

 

Nei confronti delle università costituite in fondazioni sono, inoltre, previste alcune esenzioni ed agevolazioni fiscali (comma 5). In particolare, sono esenti da tasse, imposte indirette ed eventuali ulteriori diritti, i trasferimenti, a titolo di contributo o di liberalità, in loro favore, mentre le spese notarili per gli atti di donazione sono ridotte del 90 per cento. I contributi e le liberalità sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante.

 

Il comma 8 riconosce esplicitamente alle fondazioni universitarie:

1) autonomia contabile: è, infatti, specificato che le fondazioni adottano un regolamento di ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (comma 7);

2) autonomia organizzativa;

3) autonomia gestionale, precisando che la gestione economica finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio e che il bilancio viene redatto con periodicità annuale (comma 9).

 

In relazione all’assetto ordinamentale delle università, si ricorda che l’art. 6, co. 1, l. n. 168/1989 ha individuato gli ambiti in cui si esplica l’autonomia, indicando a tal fine i settori dell’autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, sia gli strumenti per l’esercizio della riconosciuta autonomia normativa (statuti e regolamenti).

Disposizioni di legge successive hanno poi definito contenuto e limiti delle forme di autonomia riconosciute: cfr, in particolare l’art. 5, l. n. 537/1993 (autonomia finanziaria) e l’art. 17, co. 95, della L. n. 127/1997 e successivi regolamenti di attuazione (autonomia didattica).

Per quanto concerne l’autonomia gestionale e contabile, l’art. 7, l. n. 168/1989 prevede lo strumento del regolamento di amministrazione e finanza, che per ciascun ateneo disciplina le materie della contabilità, relative alla disciplina del bilancio e della sua gestione, del regime dei beni, dei contratti e dei controlli di legittimità, del procedimento amministrativo, dei criteri di gestione delle università, dei controlli interni sull’efficacia e dei risultati della gestione. I limiti dell’autonomia in questa materia, sono stabiliti dall’art. 7, co. 7, che dispone che i regolamenti di amministrazione possano derogare alle norme dell’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, nel rispetto dei relativi principi della contabilità pubblica.

 

È altresì precisato che «resta fermo il sistema di finanziamento pubblico» e che, in tale ambito, l’entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione costituisce elemento di valutazione «a fini perequativi» (comma 9).

Dalla lettura della norma, si evince dunque che le università costituite in fondazioni rimangono destinatarie dei finanziamenti statali e che si applica un modello di ripartizione dei contributi pubblici che tiene in considerazione l’ammontare dei contributi privati alle singole fondazioni per garantire criteri di equità (nella ripartizione delle medesime risorse).

 

Si ricorda, sul punto, che il sistema di finanziamento pubblico delle università, complessivamente riformato dall’art. 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537[79], si basa, a decorrere dal 1994, su tre distinti fondi:

a) Fondo per il finanziamento ordinario delle università, che attiene al funzionamento degli atenei e comprende anche le spese per il personale docente e non docente e per la ricerca scientifica universitaria, nonché quelle per la manutenzione ordinaria[80];

b) Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, che comprende la quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti;

c) Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, che include le risorse destinate al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, ivi comprese le nuove iniziative didattiche.

L’ammontare di tutti e tre i fondi è determinato annualmente dalla tabella C della legge finanziaria e le relative risorse sono ripartite con decreti ministeriali.

 

In relazione al personale amministrativo delle fondazioni si prevede, in via transitoria, l’applicazione del trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata del decreto, fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro (comma 13).

 

In proposito, si ricorda che, a differenza del personale docente delle università (che rientra nell’area del pubblico impiego), la disciplina del personale tecnico amministrativo dipendente dagli atenei è stata contrattualizzata con la riforma di cui al D.Lgs. n. 29/1993 (ora confluito nel testo unico approvato con D.Lgs. n. 165/2001). Il personale in questione è quindi compreso in uno specifico comparto «università», istituito in base all’art. 10, D.P.C.M. 30 dicembre 1993, n. 593.

 

Quanto alla vigilanza sulle fondazioni, le relative funzioni sono attribuite al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che le esercita di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Oltre all’approvazione ministeriale della delibera di trasformazione, dello statuto e dei regolamenti (v., supra, co. 1 e 6), si prevede una rappresentanza obbligatoria delle due amministrazioni vigilanti all’interno del collegio sindacale di ciascuna fondazione (comma 10).

È, inoltre, disciplinata l’ipotesi di commissariamento della fondazione: qualora il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca riscontri gravi violazioni di legge relative alla corretta gestione della fondazione stessa da parte dei suoi organi di amministrazione o di rappresentanza, nomina un commissario straordinario (senza oneri a carico della finanza pubblica) ed entro sei mesi procede alla nomina dei nuovi amministratori della fondazione, nel rispetto delle norme previste nel relativo statuto (comma 12).

Il controllo sulla gestione finanziaria delle fondazioni è, invece, attribuito alla Corte dei Conti, che lo esercita nelle forme previste dalla l. n. 259/1958[81] e riferisce annualmente al Parlamento (comma 11).

 

Anche in questo caso, è opportuno un confronto con il regime applicabile alle università. In relazione alle attuali forme di vigilanza, si ricorda che il rango costituzionale dell’autonomia ad esse garantita (art. 33 Cost.) determina un particolare regime dei controlli sulle stesse. Le norme, infatti, privilegiano forme di controllo interno o a gestione interna – disciplinate da statuto e regolamenti - e circoscrivono a determinati oggetti e procedimenti le forme di controllo esterno.

In particolare, a seguito del riconoscimento dell’autonomia organizzativa, didattica e finanziaria delle università, in capo al Ministero competente residuano i seguenti poteri:

a) controllo di legittimità e di merito sugli statuti e sui regolamenti di Ateneo, che si esercita sia in sede di adozione, sia in sede di modifica dei medesimi, ai sensi dell’articolo 6 della l. n. 168/1989;

b) i Ministro nomina il rettore con proprio decreto, dopo l’elezione che avviene secondo le norme previste dai singoli statuti e può, per gravi motivi, sentito il Consiglio dei Ministri, revocare il rettore, invitando gli organi competenti a procedere ad una nuova elezione[82];

c) ai sensi della legge n. 400/1988, articolo 2, co. 3, lett. p), il Ministro può proporre al Consiglio dei ministri l’annullamento straordinario di atti assunti dalle università, per motivi di legittimità. L’annullamento è disposto con delibera del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato.

Non vi sono, invece, norme esplicite per quanto riguarda il riconoscimento di un potere di sostituzione del Ministro nei confronti dei competenti organi accademici in caso di irregolarità amministrative.

Infine, ai sensi dell’articolo 7, comma 10, della L. n. 168/1989 e dell’articolo 5, comma 21, della L. n. 537/1993, è esplicitamente escluso il controllo da parte della Corte dei conti sui singoli atti di gestione (sia esso di legittimità o di regolarità contabile), mentre la Corte effettua il controllo sui risultati della gestione, di cui dà conto al Parlamento mediante relazione annuale, unica per tutte le università.

Da ultimo, in relazione alla disciplina applicabile alle fondazioni universitarie, si prevede, con un rinvio di carattere generale, che continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le università statali, in quanto compatibili con le disposizioni dell’articolo in esame e con la natura privatistica delle fondazioni medesime (comma 14).


 

Articolo 17
(Progetti di ricerca di eccellenza)

 


1. Al fine di una più efficiente allocazione delle risorse pubbliche volte al sostegno e all'incentivazione di progetti di ricerca di eccellenza ed innovativi, ed in considerazione del sostanziale esaurimento delle finalità originariamente perseguite, a fronte delle ingenti risorse pubbliche rese disponibili, a decorrere dal 1° luglio 2008 la Fondazione IRI è soppressa.

2. A decorrere dal 1° luglio 2008, le dotazioni patrimoniali e ogni altro rapporto giuridico della Fondazione IRI in essere a tale data, ad eccezione di quanto previsto al comma 3, sono devolute alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è disposta l'attribuzione del patrimonio storico e documentale della Fondazione IRI ad una società totalitariamente controllata dallo Stato che ne curerà la conservazione. Con il medesimo decreto potrà essere altresì disposta la successione di detta società in eventuali rapporti di lavoro in essere con la Fondazione IRI alla data di decorrenza di cui al comma 1, ovvero altri rapporti giuridici attivi o passivi che dovessero risultare incompatibili con le finalità o l'organizzazione della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

4. Le risorse acquisite dalla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia ai sensi del comma 3 sono destinate al finanziamento di programmi per la ricerca applicata finalizzati alla realizzazione, sul territorio nazionale, di progetti in settori tecnologici altamente strategici e alla creazione di una rete di infrastrutture di ricerca di alta tecnologia localizzate presso primari centri di ricerca pubblici e privati.

5. La Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia provvederà agli adempimenti di cui all'articolo 20 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318.


 

 

L’articolo 17 prevede la soppressione della Fondazione IRI disponendo, da un lato, il trasferimento delle dotazioni patrimoniali e dei rapporti giuridici alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, dall’altro, l’attribuzione del patrimonio storico e documentale ad una società a totale controllo statale.

 

Il comma 1 dispone la soppressione della Fondazione IRI dal 1° luglio 2008, allo scopo di realizzare una redistribuzione di ingenti risorse pubbliche verso il sostegno e l’incentivazione di progetti di ricerca d’eccellenza ed innovativi considerato, altresì, l’esaurimento delle finalità originariamente perseguite dall’istituto.

 

La Fondazione IRI, nata al momento della liquidazione dell’IRI s.p.a. nel giugno 2000, è stata istituita con il compito, previsto dal suo statuto, di promuovere:

-        la ricerca storica sulle vicende dell’IRI, anche attraverso la gestione attiva del patrimonio documentario, archivistico, iconografico e culturale;

-        programmi ad elevato contenuto professionale nel campo della formazione manageriale;

-        progetti di ricerca in campo economico-finanziario ed istituzionale, con riferimento, in particolare, all’evoluzione del rapporto tra settore pubblico e mercato.

La Fondazione, dopo il compimento degli atti relativi alle procedure di autorizzazione amministrativa e di formazione del Consiglio di Amministrazione, ha di fatto iniziato la sua attività nella seconda parte del 2001. Nel giugno del 2003 il Consiglio ha istituito tre Comitati consultivi (ciascuno presieduto da un componente del Consiglio in carica nel periodo 2001-2005) per seguenti i programmi relativi alle attività istituzionali:

-        Valorizzazione Archivi e Ricerca storico-economica;

-        Alta Formazione Manageriale;

-        Ricerca economica.

Nel campo della valorizzazione archivi e ricerca storico-economicala Fondazione svolge una funzione di ricostruzione del complesso fenomeno di cui l’IRI è stato al centro della storia economica italiana. A questo fine sono stati definiti due ordini di intervento: fornire la documentazione di base per la ricerca ed avviare un processo di riflessione e di analisi sulle vicende storiche dell’IRI.

Nel campo dell’Alta formazione manageriale è stata sviluppata un’iniziativa che intende contribuire all’innalzamento qualitativo ed all’apertura internazionale del nostro sistema formativo. Il progetto si è articolato con un programma di due sezioni: quello di borse di studio e quello delle borse di ricerca.

Nel campo della ricerca economicail tema generale preso in considerazione - l’evoluzione del rapporto tra settore pubblico e mercato - è stato affrontato con iniziative relative: al processo di privatizzazione; alle problematiche connesse ai settori regolamentati; alle problematiche della corporate governance.

 

Il comma 2 stabilisce che le dotazioni patrimoniali e ogni altro rapporto giuridico della Fondazione IRI, in essere al 1° luglio 2008, sono devolute alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

 

L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), istituito con l’articolo 4 del D.L. n. 269/2003 è una fondazione, con sede a Genova, finalizzata alla promozione della ricerca tecnologica, favorendo lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, in collegamento con organismi similari operanti in Italia e all’estero. Essa è posta sotto la vigilanza congiunta del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Lo statuto della fondazione, approvato con D.P.R. 31 luglio 2005[83], individua i compiti dell’IIT, gli organi e la loro composizione.

Sono obbiettivi primari dell’IIT sia la creazione e la disseminazione di conoscenza scientifica sia il rafforzamento della competitività tecnologica dell’Italia. Per raggiungere questi obbiettivi l’Istituto collabora con istituzioni accademiche e organizzazioni private, perseguendo, attraverso queste interazioni sviluppo scientifico, progresso tecnologico e formazione avanzata.

Merita ricordare che, per l’anno 2007, l’istituto non ha fruito di risorse statali in relazione al definanziamento operato dalla tabella E della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006). Per l’esercizio 2008 all’Istituto sono stati attribuiti 80 milioni di euro sul cap. 7380 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze[84], nell’ambito del Programma Ricerca di base e applicata (12.5) e della Missione Ricerca e innovazione. Sul cap. 7381 sono inoltre allocati 10 milioni di euro destinati al rimborso della Cassa depositi e prestiti per finanziamenti all’istituto.

Si ricorda infine che l’art. 1, comma 2, della legge 27 settembre 2007, n. 165 (recante delega al Governo per riordino degli enti di ricerca posti sotto la vigilanza del Ministero dell’università e della ricerca[85]) ha autorizzato il Governo a procedere alla riorganizzazione dell’Istituto (il termine per l’esercizio della delega verrà a scadenza nell’aprile 2009).

 

Il comma 3 prevede che il patrimonio storico e documentale della Fondazione IRI sia devoluto, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ad una società totalitariamente controllata dallo Stato al fine di curarne la conservazione. Con lo stesso decreto il Ministro è autorizzato a disporre la successione della predetta società in eventuali rapporti di lavoro che sono ancora in essere con la Fondazione IRI al 1° luglio 2008, ovvero altri rapporti giuridici attivi o passivi che dovessero risultare incompatibili con le finalità o l’organizzazione della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

 

Il comma 4 specifica che le risorse devolute alla Fondazione IIT devono essere destinate esclusivamente al finanziamento di programmi per la ricerca applicata finalizzati alla realizzazione di progetti in settori tecnologici altamente strategici e alla creazione di una rete di infrastrutture di ricerca di alta tecnologia localizzate presso primari centri di ricerca pubblici e privati.

 

Il comma 5, infine, stabilisce che la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia provvede agli adempimenti di cui all’articolo 20 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 20 delle disposizioni attuative del codice civile, una volta chiusa la liquidazione, spetta al presidente del tribunale ordinare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche.


 

Articolo 18
(Reclutamento del personale delle società pubbliche)

 


1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

2. Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle società quotate su mercati regolamentati.


 

 

L’articolo 18 reca disposizioni in materia di reclutamento del personale delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo.

 

In particolare, il comma 1 dispone l’obbligo, per le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, di adottare con propri provvedimenti, a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, i criteri e le modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 165/2001[86].

 

Il richiamato articolo 35 reca disposizioni in materia di reclutamento del personale nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, il comma 3 stabilisce che le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono conformarsi ai seguenti principi:

a)       adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l'imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;

b)       adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

c)       rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;

d)       decentramento delle procedure di reclutamento;

e)       composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.

 

La disciplina generale dei servizi pubblici locali si rinviene principalmente nel testo unico delle disposizioni in materia di enti locali, adottato con il D.Lgs. 267/2000, come modificato dall’articolo 35 della L. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) e dall’articolo 14 del D.L. 269/2003[87].

La normativa prevede un diverso regime tra la gestione dei servizi di rilevanza economica (art. 113) e di quelli privi di rilevanza economica (art. 113-bis).

Tuttavia, occorre precisare fin d’ora che le disposizioni dell’art. 113-bis del testo unico (introdotto dalla citata L. 448/2001) sono state giudicate illegittime dalla Corte costituzionale[88]. Pertanto, solamente i servizi pubblici di rilevanza economica risultano disciplinati a livello statale.

In particolare, il richiamato articolo 113 ha disciplinato la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica[89].

Il comma 1 dell’articolo 113 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni successive, specificando che esse:

-        si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale;

-        concernono la tutela della concorrenza;

-        sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi pubblici locali;

-        lasciano ferme le disposizioni prevista per i singoli settori;

-        lasciano ferme le disposizioni necessarie all’attuazione di specifiche normative comunitarie in materia;

-        non si applicano ai settori dell’energia elettrica e del gas (disciplinati, rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999 e dal D.Lgs. 164/2000).

Successivamente, anche il settore del trasporto pubblico locale è stato escluso espressamente dal regime generale dei servizi pubblici locali[90].

Pertanto, le maggiori attività di erogazione di servizi pubblici locali (elettricità, gas e trasporto pubblico locale) sono esclusi dall’ambito di applicazione delle norme del testo unico. La proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni, destinati all’esercizio dei servizi pubblici di rilevanza economica deve comunque rimanere pubblica (articolo 113, comma 2).

Agli enti locali è rimessa la scelta tra il possesso diretto delle reti ovvero il loro conferimento a società di capitali delle quali, in ogni caso, debbono detenere la maggioranza. Inoltre, le normative di settore possono introdurre regole che assicurino la concorrenzialità nella gestione dei servizi, al fine di superare assetti monopolistici, prevedendo criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio[91].

Si ricorda, infine, che la legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007, articolo 2, comma 461), in base alla quale gli enti locali sono tenuti, in sede di stipula dei contratti di servizio, ad emanare una "Carta della qualità dei servizi", che espliciti gli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni erogate, nonché le modalità di accesso ad informazioni rilevanti per la tutela dei diritti degli utenti.

 

Analoga previsione è contenuta nel successivo comma 2 per le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo, le quali hanno l’obbligo di adottare - in questo caso non viene fissato espressamente un termine - con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

 

Infine, le disposizioni dell’articolo in esame non trovano applicazione nei confronti delle società quotate su mercati regolamentati (comma 3).

 


 

Articolo 19
(Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro)

 


1. A decorrere dal 1° gennaio 2009 le pensioni dirette di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente. A decorrere dalla medesima data di cui al primo periodo del presente comma sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini e ai 60 anni per le donne a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima nonché della gestione separata di cui all'articolo 1, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, a condizione che il soggetto abbia maturato i requisiti di cui all'articolo 1, commi 6 e 7 della legge 23 agosto 2004, n. 243 e successive modificazioni e integrazioni fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti disciplinato dall'articolo 1, comma 6, della predetta legge n. 243 del 2004. Con effetto dalla medesima data di cui al primo periodo del presente comma relativamente alle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo:

a) sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni di vecchiaia anticipate liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni;

b) sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni di vecchiaia liquidate a soggetti con età pari o superiore a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

2. I commi 21 e 22 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono soppressi.

3. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1965, n. 758.


 

 

L’articolo 19 è volto a prevedere dal 1° gennaio 2009 l’integrale cumulabilità delle pensioni di anzianità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente nonché a riformare la disciplina relativa al cumulo tra pensione e reddito da lavoro nel caso di pensione calcolata con il sistema contributivo uniformandola a quella prevista nel regime retributivo e misto, in considerazione dell’uniformità dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in tutti e tre i regimi[92].

 

L'istituto del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro costituisce il meccanismo che regola il concorso della retribuzione con il trattamento pensionistico ed è stato soggetto a numerosi interventi legislativi ispirati dapprima al principio dell'integrale cumulabilità del trattamento di pensione con la retribuzione e successivamente diretti a ridurre o eliminare del tutto tale cumulabilità, anche in funzione deterrente rispetto al ricorso al pensionamento di anzianità.

La disciplina in materia di cumulo presenta quindi una notevole articolazione, a causa delle successive modifiche normative che hanno fatto salvi, entro alcuni limiti temporali e a determinate condizioni, i regimi previgenti se più favorevoli.

Per quanto riguarda invece le differenze tra i diversi regimi previdenziali, l'art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), ha stabilito che, con effetto sulle prestazioni liquidate a decorrere dal 1° gennaio 1998, in tutti gli ordinamenti pensionistici obbligatori relativi a lavoratori dipendenti (nonché ai lavoratori autonomi iscritti all'INPS) si applichino le normative (articolate per le ragioni appena ricordate) vigenti nell'assicurazione generale INPS.

La disciplina in vigore prima della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) prevedeva che per la pensione di vecchiaia e di invalidità e gli assegni di invalidità (art. 10, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni e integrazioni) il cumulo con i redditi da lavoro sia autonomo sia subordinato fosse ammesso in misura piena fino all’importo minimo del trattamento previdenziale e nella misura del 50% per quanto riguarda l’eventuale quota eccedente; la misura dell'importo così trattenuto non poteva superare, tuttavia, l'ammontare dei medesimi redditi[93].

Riguardo alla pensione di anzianità, occorre distinguere tra redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo. Per la prima fattispecie vigeva un divieto totale di cumulo, con talune eccezioni; alla seconda fattispecie si applicava invece una disciplina identica a quella posta per la pensione di vecchiaia, che cioè prevede una parziale cumulabilità, con una riduzione del trattamento pensionistico in misura pari al 50% della quota di pensione eccedente il trattamento minimo fermo restando che la misura dell'importo così trattenuto non poteva superare l'ammontare dei medesimi redditi (art. 10, comma 6 e 6-bis, del D.Lgs. n. 503/1992, e successive modificazioni e integrazioni; art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997, n. 449)[94].

Nel sistema contributivo integrale[95] - dove, ai sensi dell’art. 1, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, scompare l’istituto della pensione di anzianità - il trattamento previdenziale è cumulabile, per i soggetti di età rispettivamente pari ad almeno 63 anni o inferiore a 63 anni, secondo una disciplina identica a quella prevista dal D.Lgs. 503/1992 per la pensione di vecchiaia ovvero per il trattamento di anzianità (art. 1, commi 21-22, della legge 335/1995).

La normativa sopra riassunta è stata modificata dall'art. 72 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), le cui disposizioni riguardano i trattamenti pensionistici a carico sia dell'assicurazione generale obbligatoria (ivi compresi i lavoratori autonomi iscritti all'INPS) sia delle altre forme obbligatorie relative a lavoratori dipendenti (pubblici e privati).

A decorrere dal 1° gennaio 2001 è stata consentita la totale cumulabilità tra il trattamento di vecchiaia - nonché quello liquidato con un'anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni[96] - e i redditi di lavoro (sia dipendente che autonomo).

La norma si applica anche alle pensioni liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2001.

Inoltre è stata ampliata, sempre con decorrenza 1° gennaio 2001, la possibilità di cumulare le pensioni di anzianità e di invalidità e gli assegni di invalidità con i redditi da lavoro autonomo. Il cumulo, per le quote delle pensioni eccedenti il trattamento minimo[97], è ammesso nella misura del 70% (anziché del 50%); inoltre, la trattenuta della pensione, conseguente all'applicazione della norma in esame, non può comunque superare il 30% (anziché il 100%) dei redditi da lavoro autonomo.

Anche in questo caso la disciplina viene estesa ai trattamenti già liquidati al 1° gennaio 2001, ferma restando l'applicazione della relativa disciplina previgente, se più favorevole.

Si ricorda che comunque, a decorrere dal compimento dell’età pensionabile, alle pensioni di anzianità si applica la stessa disciplina in materia di cumulo prevista per le pensioni di vecchiaia.

Da ultimo con l’articolo 44 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) è stata disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2003, la totale cumulabilità tra il trattamento di anzianità e i redditi da lavoro sia autonomo sia dipendente, a condizione che all’atto del pensionamento il soggetto abbia maturato 58 anni di età anagrafica e 37 anni di contributi (comma 1).

Tale norma si applica anche in favore delle persone già in quiescenza, in possesso - al momento del pensionamento - dei predetti requisiti anagrafici e contributivi, sempre con effetto sui ratei del trattamento decorrenti dal 1° gennaio 2003.

Inoltre il medesimo articolo 44 della L. 289/2002, al comma 2, consente l'accesso al regime di totale cumulabilità, anche per l'ipotesi in cui manchino i requisiti di cui al comma 1, in favore dei soggetti già pensionati alla data del 1° dicembre 2002 o che abbiano maturato il diritto al trattamento di anzianità, interrotto il rapporto di lavoro e presentato domanda di pensionamento entro il 30 novembre 2002. Tale estensione – nel caso in cui alla data del pensionamento non fossero stati raggiunti i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al comma 1 - è subordinata al versamento di un contributo una tantum, determinato secondo i criteri posti dallo stesso comma 2.

Infine il comma 3 del menzionato articolo 44 della L. 289/2002 prevede una forma di "sanatoria" per i soggetti che non abbiano in precedenza ottemperato alle disposizioni in materia di divieto totale o parziale di cumulo. Essi debbono a tal fine versare un importo pari al 70% della pensione relativa al mese di gennaio 2003, moltiplicato per ogni anno per cui si sia verificato l'inadempimento; la misura del versamento non potrà comunque essere superiore a 4 volte la pensione di gennaio 2003.

 

In particolare, il primo periodo del comma 1 prevede la totale cumulabilità, a decorrere dal 1° gennaio 2009, tra pensioni dirette di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima e redditi da lavoro autonomo e dipendente.

Si ricorda che i commi 6 e 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 avevano modificato i requisiti[98] per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità e al trattamento pensionistico di vecchiaia liquidato esclusivamente con il sistema contributivo, per coloro che avessero maturato tali requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2008.

In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, la L. 243/2004 aveva mantenuto la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento di anzianità in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica, innalzando però l’età anagrafica necessaria al pensionamento in presenza di 35 anni di anzianità contributiva. In particolare, in presenza, come ricordato, di 35 anni di contributi:

-        per gli anni 2008 e 2009 l’età anagrafica era elevata a 60 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 61 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        per gli anni dal 2010 al 2013 l’età anagrafica era elevata a 61 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 62 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS.

Peraltro, a decorrere dal 2014 l’età anagrafica richiesta risultava ulteriormente elevata a 62 anni per i lavoratori dipendenti e a 63 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS. Era stato previsto, comunque, che il Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, potesse tuttavia differire tale ulteriore innalzamento, qualora, sulla base di una verifica da effettuare nel 2013, risultasse il conseguimento di risparmi di spesa superiori alle previsioni ed in grado di garantire il raggiungimento di effetti finanziari equivalenti a quelli originariamente previsti come conseguenti all’innalzamento dell’età previsto dal 2014.

La L. 247/2007, eliminando il cd. “scalone”, ha previsto una maggiore gradualità nell’innalzamento del requisito dell’età anagrafica per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità a decorrere dal 2008.

In particolare - ferma restando la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica - in presenza di almeno 35 anni di contribuzione si può accedere al pensionamento di anzianità, per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, con una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS.

Invece, a decorrere dal 1° luglio 2009 viene introdotto il sistema delle “quote”, date dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva.

Pertanto - ferma restando la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica – si può accedere al pensionamento di anzianità:

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” (come detto, somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni.

Riformulando il comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004, si prevede tuttavia (comma 2, lettera b)) che con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, da emanarsi entro il 31 dicembre dell’anno 2012, possa essere differito l’innalzamento dei requisiti previsto a decorrere dal 2013, qualora, sulla base di una verifica da effettuare entro il 30 settembre 2012, risulti il conseguimento di risparmi di spesa superiori alle previsioni ed in grado di garantire il raggiungimento di effetti finanziari equivalenti a quelli originariamente previsti come conseguenti all’innalzamento dell’età previsto a regime dal 2013.

 

I periodi secondo e terzo del comma 1 disciplinano invece la cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro nel caso di pensione calcolata con il sistema contributivo.

In particolare, al secondo periodo del comma in esame, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2009, viene prevista l’integrale cumulabilità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente per le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini e ai 60 anni per le donne a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata INPS di cui all’articolo 1, comma 26, della L. 335/1995, purché il soggetto sia in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 6 e 7, della L. 243/2004[99], fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti disciplinato dall’articolo 1, comma 6, della predetta L. 243/2004.

A decorrere dal 1° gennaio 2008, la L. 243/2004 (art. 1, commi 6 e 7) aveva innalzato i requisiti di età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia liquidata esclusivamente con il sistema contributivo.

Da tale data, i lavoratori dipendenti potevano andare in pensione in presenza, alternativamente, di una delle seguenti situazioni:

ipotesi 1)      età anagrafica pari a 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini; versamento e accreditamento di almeno 5 anni di contribuzione effettiva; importo della pensione non inferiore a 1,2 volte l’assegno sociale;

ipotesi 2)      anzianità contributiva non inferiore a 40 anni (in questo caso si prescinde dal requisito anagrafico);

ipotesi 3)      anzianità contributiva non inferiore a 35 anni; età anagrafica pari a:

-        per gli anni 2008 e 2009, 60 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e 61 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        per gli anni dal 2010 al 2013, 61 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 62 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        a decorrere dal 2014, nella disciplina a regime, 62 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e 63 anni per i lavoratori autonomi (a meno che il Ministro non avesse emanato il decreto di cui al comma 7 al fine di mantenere l’età a 61 anni per i dipendenti e a 62 per gli autonomi).

La L. 247/2007, novellando la L. 243/2004, ha modificato i requisiti per l‘accesso alla pensione di vecchiaia di cui all’ipotesi 3), ferme restando le ipotesi 1) e 2).

Pertanto, a seguito di tale modifica, a decorrere dal 2008, per accedere alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo in base all’ipotesi 3), è necessario possedere i seguenti requisiti:

-        per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, almeno 35 anni di anzianità contributiva insieme ad una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” (data dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 97 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (a meno che il Ministro del lavoro non emani il decreto di cui al comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 al fine di differire l’innalzamento dei requisiti pensionistici).

 

Infine, al terzo periodo del comma in esame si dispone, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2009, con riferimento alle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo, la totale cumulabilità con i redditi da lavoro per le pensioni di vecchiaia anticipate liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni, nonché per le pensioni di vecchiaia liquidate a soggetti con età pari o superiore a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

 

Al comma 2 vengono abrogati i commi 21 e 22 dell’articolo 1 della L. 335/1995[100], che, con riferimento alle pensioni di vecchiaia liquidate interamente con il sistema contributivo, disponevano:

§      per i pensionati di età inferiore ai 63 anni il divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro dipendente nella loro interezza e con quelli da lavoro autonomo nella misura del 50% per la parte eccedente il trattamento minimo INPS e fino a concorrenza con i redditi stessi (comma 21);

§      per i pensionati di età pari o superiore ai 63 anni il divieto di cumulo della pensione con redditi da lavoro dipendente ed autonomo nella misura del 50% per la parte eccedente il trattamento minimo INPS e fino a concorrenza dei redditi stessi (comma 22).

 

Infine, nel comma 3 viene fatto salvo il disposto dell’articolo 4 del D.P.R. 758/1965[101].

 

Si ricorda che il D.P.R. 758/1965, all’articolo 1, ammette il cumulo di una pensione normale diretta o di un assegno equivalente con un trattamento di attività derivante da servizi resi ad Amministrazioni statali, comprese quelle con ordinamento autonomo, di Regioni, di Province, di Comuni o di Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, di Enti parastatali, di Enti o Istituzioni di diritto pubblico, nonché di aziende annesse o direttamente dipendenti dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni o dagli altri Enti suindicati.

Tale cumulo, secondo l’articolo 4 del medesimo D.P.R., richiamato dalla disposizione in esame, è vietato se il nuovo servizio costituisce derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto che aveva dato luogo alla pensione. In particolare il divieto di cumulo in questione riguarda i seguenti casi:

a)  riammissione in servizio di personale civile;

b)  richiamo di ufficiale, sottufficiale o militare di truppa titolare di pensione per il precedente servizio militare;

c)  immissione nell'impiego civile di sottufficiale o graduato, in applicazione delle particolari disposizioni concernenti riserva di posti in favore di dette categorie di militari;

d)  nomina conseguita mediante concorso riservato esclusivamente a soggetti che hanno già prestato servizio ovvero a tali soggetti insieme con appartenenti a particolari categorie di professionisti;

e)  conferimento di incarichi di insegnamento in scuole o istituti dello stesso grado di quelli presso cui è stato prestato il servizio precedente da incaricato;

f)   nomina senza concorso nello Stato o negli Enti di cui al precedente art. 1, conseguita in derivazione o in continuazione o, comunque, in costanza di un precedente rapporto di impiego, rispettivamente, con lo Stato o con gli Enti stessi.

Inoltre, la norma prevede la sospensione del trattamento di pensione se originato dal precedente rapporto. Infine, si dispone che al termine del nuovo servizio viene liquidato il trattamento di quiescenza i base al disposto del terzo comma dell'art. 2, secondo cui, all'atto della cessazione del nuovo rapporto, il trattamento di quiescenza spetta sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme relative all'ultimo impiego.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge in esame si stima in circa 300-310 mln di euro annui l’ammontare delle trattenute per divieto di cumulo, comprendendo in tale cifra anche quelle derivanti dagli assegni di invalidità. Pertanto, considerando che queste ultime ammontano a circa 100 mln di euro annui, ne conseguono maggiori oneri, per effetto dell’incremento di spesa pensionistica per il venir meno delle trattenute per divieto di cumulo, pari a circa 200-210 mln di euro annui al lordo degli effetti fiscali, rideterminati al netto degli effetti fiscali (con aliquota marginale media attorno al 27%) in circa 150 mln di euro annui.

Nella stessa relazione si sottolinea la necessità di aggiungere a tale onere quello derivante dall’anticipo del pensionamento di quei soggetti (soprattutto lavoratori dipendenti, perché i lavoratori autonomi già manifestano la propensione ad accedere al pensionamento in corrispondenza dei requisiti minimi) che attualmente manifestano la propensione a proseguire l’attività lavorativa una volta maturato il requisito anagrafico congiunto con i 35 anni di anzianità contributiva. Pertanto, nella nota tecnica si fa presente che dal momento che trattasi di una quota dei soggetti attivi che maturano i 59 anni di età nel 2009 e i 36 anni di contributi nello stesso anno, si stima prudenzialmente in circa 8 mila l’insieme dei lavoratori interessati per un anticipo di circa un anno. Sulla base di questi dati, tenendo conto di un importo medio di pensione di 23 mila euro, si ottiene una maggiore spesa pensionistica lorda di circa 185 mln di euro, che, al netto degli effetti fiscali indotti, dà luogo ad un onere di circa 140 mln di euro su base annua. Viene evidenziato che per gli anni successivi la stima presenta sufficienti elementi di prudenzialità considerato il progressivo ulteriore innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anticipato e del relativo regime delle decorrenze.

Pertanto, dalla disposizione in esame conseguono i seguenti maggiori oneri:

 

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

al lordo effetti fiscali

-390

-390

-390

al netto effetti fiscali

-290

-290

-290

 

Infine, la relazione tecnica, con riferimento alle disposizioni in materia di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro nel sistema contributivo, pone in rilievo che la continuità della copertura garantita agli oneri di breve periodo è sufficiente a compensare anche i maggiori oneri nel medio-lungo periodo conseguenti alle modifiche introdotte dall’articolo in esame.


 

Articolo 20
(Disposizioni in materia contributiva)

 


1. Il secondo comma, dell'articolo 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell'Istituto nazionale della previdenza sociale dall'erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009.

2. A decorrere dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto sono tenute a versare, secondo la normativa vigente:

a) la contribuzione per maternità;

b) la contribuzione per malattia per gli operai.

3. A decorrere dal 1° gennaio 2009 la lettera a) del comma 2 dell’articolo 16 della legge 23 luglio 1991, n. 223, è sostituita dalla seguente: «a) al versamento di un contributo nella misura dello 0,30% delle retribuzioni che costituiscono imponibile contributivo».

4. Sono abrogate le disposizioni di cui all'articolo 40, n. 2, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155.

5. All'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 aprile 1957, n. 818, sono soppresse le parole: «dell'articolo 40, n. 2, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e».

6. L'estensione dell'obbligo assicurativo di cui al comma 4 si applica con effetto dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.

7. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive che frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi dell'articolo 151 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368.

8. In mancanza della riunificazione di cui al comma 7, l’improcedibilità delle domande successive alla prima è dichiarata dal giudice, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Analogamente, il giudice dichiara la nullità dei pignoramenti successivi al primo in caso di proposizione di più azioni esecutive in violazione del comma 7.

9. Il giudice, ove abbia notizia che la riunificazione non è stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto, sospende il giudizio e l’efficacia esecutiva dei titoli eventualmente già formatisi e fissa alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità della domanda.

10. A decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.

11. A decorrere dal 1° gennaio 2009, al primo comma dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, dopo la parola: «regionali» sono soppresse le seguenti parole: «e provinciali».

12. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'Istituto nazionale della previdenza sociale mette a disposizione dei Comuni modalità telematiche di trasmissione per le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento.

13. In caso di ritardo nella trasmissione di cui al comma 12 il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde a titolo di danno erariale.

14. Il primo periodo dell'articolo 31, comma 19, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 è soppresso.


 

 

L’articolo 20 reca disposizioni in materia contributiva.

Al comma 1 si interviene con una norma interpretativa sul secondo comma dell’articolo 6 della legge 138/1943.

L’articolo 6, comma 2 sopra richiamato, stabilisce che l’indennità di malattia non è dovuta quando il trattamento economico di malattia è corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro o da altri enti in misura pari o superiore a quella fissata dai contratti collettivi ai sensi del medesimo articolo. Viene inoltre precisato che le prestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore a quella della indennità di malattia sono integrate dall'ente sino a concorrenza dell’importo della medesima indennità.

 

In particolare il comma in esame dispone che la citata disposizione si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’INPS dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione al medesimo Istituto. Si precisa inoltre che restano acquisite alla gestione previdenziale e conservano la loro efficacia le contribuzioni versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009.

 

Al comma 2 si prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto siano tenute a versare, secondo la normativa vigente:

a)      la contribuzione per maternità;

b)      la contribuzione per malattia per gli operai.

 

Tale disposizione è diretta ad estendere l’assicurazione per la maternità e la malattia (limitatamente ai soli lavoratori con qualifica di operai) ai dipendenti delle imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto attualmente escluse dall’obbligo di assicurazione.

 


Nella relazione tecnica allegata al provvedimento, con riferimento alla disposizione in esame si stimano i seguenti effetti finanziari:

 

Effetti in termini di Conto delle PA

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

58

60

62

Entrate contributive nette

58

34

46

Maggiori prestazioni

-10

-10

-10

Effetto complessivo

48

24

36

 

Effetti in termini di Fabbisogno settore statale

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

49

59

61

Entrate contributive nette

49

38

44

Maggiori prestazioni

-10

-10

-10

Effetto complessivo

39

28

34

 

Nel successivo comma 3 si interviene a modifica dell’articolo 16, comma 2, lett. a), della L. 223/1991[102], che, nel caso di corresponsione dell’indennità di mobilità ai lavoratori disoccupati in conseguenza di licenziamento per riduzione di personale, pone a carico del datore di lavoro il versamento di un contributo nella misura dello 0,30 % delle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.

La legislazione vigente (L. 223/1991) prevede una apposita procedura ai fini della collocazione in mobilità dei lavoratori. Si ricorda, al riguardo, che hanno diritto all’indennità di mobilità i lavoratori (con eccezione dei dirigenti) con rapporto a tempo indeterminato licenziati da imprese in CIGS che non siano in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, ovvero licenziati da imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS qualora ricorrano i presupposti del licenziamento collettivo (cfr. infra).

Più in dettaglio, ai sensi dell’articolo 4 della citata L. 223/1991, le aziende in CIGS che nel corso o al termine del programma non possano garantire il reimpiego di tutti i lavoratori precedentemente sospesi, prima di effettuare il licenziamento anche di un solo dipendente devono seguire una particolare procedura di riduzione del personale, che si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori licenziati.

Analoga procedura deve essere seguita, come accennato, qualora si verifichi la fattispecie del licenziamento collettivo, cioè, ai sensi dell’articolo 24 della L. 223/1991, nel caso in cui le imprese che occupano più di 15 dipendenti[103], in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare nell’arco temporale di 120 giorni almeno 5 licenziamenti in stabilimenti produttivi dislocati nella stessa provincia. Qualora sia assente il requisito quantitativo o quello temporale, si applica invece la disciplina sui licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

In entrambi i casi sopra indicati (riduzione di personale da parte di aziende in CIGS o licenziamento collettivo), ai sensi dell’articolo 4 della L. 223/1991, la procedura di riduzione del personale, preventiva rispetto al licenziamento e alla messa in mobilità, consta di una fase sindacale e di una fase amministrativa, nel corso delle quali il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali tentano prima tra loro ed eventualmente presso la Direzione provinciale del lavoro di trovare sbocchi alternativi al licenziamento. Se le parti non dovessero raggiungere alcun accordo, allora la procedura si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori.

Più in dettaglio, in primo luogo, è previsto che il datore di lavoro deve versare un contributo d’ingresso[104] e deve comunicare alle RSA la propria intenzione di effettuare una riduzione di personale e di collocare i lavoratori in esubero in mobilità. Dopo aver ricevuto al comunicazione le RSA, entro 7 giorni, possono chiedere un esame congiunto della situazione di esubero con il datore di lavoro, al fine di giungere a soluzioni alternative. Dopo tale fase, il datore di lavoro comunica alla DPL competente l’esito del confronto con i sindacati e i motivi dell’eventuale mancato accordo. La DPL può tentare una mediazione ma, se anche in tale sede non si giunga ad una soluzione condivisa, il datore di lavoro può procedere al licenziamento dei lavoratori in esubero, che usufruiscono del trattamento di mobilità.

Se non vengono osservati tutti i passaggi procedurali sinteticamente descritti, può derivarne l’inefficacia dei licenziamenti, per cui i lavoratori avrebbero diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, da far valere entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di licenziamento, con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale.

Per quanto riguarda il trattamento di mobilità, l’articolo 7 della richiamata L. 223/1991, al comma 1, prevede che i lavoratori collocati in mobilità, in possesso di determinati requisiti, anche di anzianità aziendale[105], hanno diritto ad una indennità per un periodo massimo di dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni.

L'indennità spetta nella seguente misura percentuale del trattamento di CIGS che hanno percepito ovvero che sarebbe loro spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro:

-        per i primi dodici mesi: 100 per cento;

-        dal tredicesimo al trentaseiesimo mese: 80 per cento.

Il comma 2 del medesimo articolo 7 dispone che nelle aree del Mezzogiorno, l’indennità di mobilità è corrisposta per un periodo massimo di ventiquattro mesi, elevato a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a quarantotto per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni. Essa spetta nella seguente misura:

-        per i primi dodici mesi: 100 per cento;

-        dal tredicesimo al quarantottesimo mese: 80 per cento.

Tutti i lavoratori collocati in mobilità, anche se non in possesso dei requisiti che danno diritto all’indennità di mobilità (cfr. supra), sono iscritti nelle liste di mobilità regionali, in modo da agevolarne la ricollocazione lavorativa.

Si ricorda, al riguardo, che gli incentivi per l’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, previsti dalla L. 223/1991, sono i seguenti:

a)       ai sensi dell’articolo 25, comma 9, in caso di conclusione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un lavoratore in mobilità, è concesso al datore di lavoro il beneficio della riduzione della relativa contribuzione a suo carico, che viene equiparata, per i primi 18 mesi, a quella dovuta per gli apprendisti dipendenti da aziende non artigiane;

b)       ai sensi dell’articolo 8, comma 2, in caso di stipulazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per una durata non superiore a 12 mesi, viene riconosciuto, per l’intero periodo, il medesimo beneficio di cui alla precedente lett. a). Il beneficio è concesso per ulteriori 12 mesi qualora, nel corso del suo svolgimento, tale contratto venga trasformato a tempo indeterminato[106].

 

A seguito della modifica disposta dal comma in esame, il versamento del contributo dello 0,30% non è più riferito alle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, ma alle retribuzioni che costituiscono imponibile contributivo.

 

Nei commi da 4 a 6 si interviene in materia di assicurazione contro la disoccupazione involontaria e mobilità per i dipendenti delle aziende esercenti pubblici servizi (settore industria - energia elettrica, gas e acqua).

In particolare, con l’abrogazione dell’articolo 40, n. 2, del R.D.L. 1827/1935[107] (comma 4) e, a fini di coordinamento, l’eliminazione del suo riferimento contenuto nell’articolo 36 del D.P.R. 818/1957(comma 5), si estende l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria e la mobilità ai dipendenti delle aziende esercenti pubblici servizi.

Infine, il comma 6 stabilisce che tale estensione dell’obbligo assicurativo si applica con effetto dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.

L’articolo 40, n. 2, del R.D.L. 1827/1935 stabilisce che non sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, tra gli altri, gli impiegati, agenti e operai stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d'impiego.

L’articolo 36 del D.P.R. 818/1957 stabilisce che, ai fini dell’applicazione di determinate norme in materia di assicurazione contro la disoccupazione involontaria (tra cui precedentemente figurava l’art. 40, n. 2, del R.D.L. 1827/1935 abrogato dai commi in esame), la sussistenza della stabilità d'impiego, quando non risulti da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e dalle aziende esercenti pubblici servizi, è accertata in sede amministrativa su domanda del datore di lavoro, con provvedimento del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale decorrente a tutti gli effetti dalla data della domanda medesima.

 

Nella relazione tecnica allegata al provvedimento, con riferimento alle disposizioni esaminate vengono stimati i seguenti effetti finanziari:

 

Effetti in termini di Conto delle PA

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

75

78

80

Entrate contributive nette

75

45

62

Maggiori prestazioni

-10

-15

-20

Effetto complessivo

65

30

42

 


 

Effetti in termini di Fabbisogno settore statale

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

63

77

80

Entrate contributive nette

63

49

58

Maggiori prestazioni

-10

-15

-20

Effetto complessivo

53

34

38

 

I commi da 7 a 9 recano norme riguardanti la riunificazione dei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale.

 

Al comma 7 si prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, nei procedimenti sopra richiamati, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive che frazionino un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, il giudice disponga d’ufficio la riunificazione ai sensi dell’art. 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

Nell’articolo 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile si prevede che la riunione dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza e a controversie dinanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione, debba essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo. In tali ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, viene disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello.

 

Il successivo comma 8 dispone che, in mancanza della suddetta riunificazione, il giudice dichiara, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, l’improcedibilità delle domande successive alla prima. In modo analogo il giudice dichiara la nullità dei pignoramenti successivi al primo qualora siano proposte più azioni esecutive.

 

Infine, ai sensi del comma 9, laddove la riunificazione non sia stata osservata, il giudice, anche sulla base dell’eccezione del convenuto, sospende il giudizio e l’efficacia esecutiva dei titoli già formatisi fissando alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità della domanda.

 

Nella relazione tecnica allegata al provvedimento si evidenza di come l’INPS lamenti la pratica di molti legali nel presentare più cause relative allo stesso credito, frazionando le relative domande: una per ogni anno del credito principale, una per ogni anno di interessi, e avverso una stessa sentenza, un atto ingiuntivo per la sorte capitale, uno per gli interessi e uno per competenze e onorari professionali.

Inoltre, si ricorda che tale artificio è stato censurato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione[108].

Nella relazione si ipotizzano risparmi sulla base del contenzioso INPS di circa 800 mila cause in corso e tenendo presente che il fenomeno sopra citato si riferisce al 30% della cause. Pertanto, tale riunificazione obbligatoria consentirebbe, sulla base dei dati INPS, di stimare le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

60

60

60

 

 

Il comma 10 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale, disciplinato dall’articolo 3, comma 6, della L. 335/1995[109], sia corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale[110].

L’assegno sociale è una prestazione assistenziale, cioè prescinde da qualsiasi versamento contributivo. E’ stato introdotto dalla legge n. 335 del 1995[111] (articolo 3, commi 6 e 7) in sostituzione della precedente pensione sociale di cui comunque continuano a beneficiare le persone che l’abbiano ottenuta prima del 31 dicembre 1995.

Possono farne richiesta, purché residenti in Italia, i cittadini italiani, i cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea ovvero i cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno. L’assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età a condizione di non superare una certo limite di reddito e non è reversibile.

Il limite reddituale preso a riferimento, per il 2008, è di 5.142,67 euro. Se il richiedente è coniugato invece il limite di reddito è raddoppiato (10285,34 euro). L’importo dell’assegno sociale per il 2008 è pari a 395,59 euro per 13 mensilità (5.142,67 euro annui), cui vanno aggiunte, se ricorrono particolari condizioni, alcune maggiorazioni sociali.

 

Il comma 11è volto a razionalizzare la spesa relativa ai compensi dei componenti degli organi collegiali dell’INPS, novellando il primo comma dell’art. 43 del D.P.R. 63/1970.

In particolare il comma in esame esclude i componenti degli organi provinciali[112] dalla platea dei soggetti a cui spettano emolumenti per l’esercizio delle funzioni inerenti alle rispettive cariche.

Si ricorda che il menzionato primo comma dell’art. 43 del D.P.R. 63/1970 prevede che al presidente dell'INPS, ai vice presidenti ed ai componenti il consiglio di amministrazione, i collegi dei sindaci e gli organi centrali, regionali e provinciali sono dovuti, per l'esercizio delle funzioni inerenti alle rispettive cariche, emolumenti stabiliti con apposito decreto ministeriale.

 

La relazione tecnica allegata al decreto-legge evidenzia che, sulla base dei dati dell’INPS, le spese di funzionamento degli organi collegiali relativamente ai Comitati provinciali riguardano 853 organismi per un totale di circa 5.800 componenti, il che produce spese di funzionamento pari a circa 3-3,5 mln di euro su base annua. Pertanto, tenuto conto degli effetti fiscali indotti, vengono previste le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

2

3

3

 

Infine, i commi da 12 a 14 recano norme in materia di trasmissione di dati anagrafici da parte dei comuni all’INPS.

 

In particolare, il comma 12 prevede che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, l’INPS metta a disposizione dei comuni una piattaforma informatica per la trasmissione delle comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell’evento.

 

Tale obbligo viene rafforzato precisando al comma 13 che, in caso di ritardo nella trasmissione di tali dati anagrafici, il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde a titolo di danno erariale.

Conseguentemente, con il comma 14 viene soppresso il primo periodo dell’articolo 31, comma 19, della L. 289/2002[113], il quale prevedeva l’effettuazione da parte dei Comuni delle comunicazioni relative ai matrimoni ed ai decessi entro 15 giorni dall’evento.

Nel menzionato comma 19, inoltre, si prevede che i Comuni effettuino le comunicazioni all’INPS secondo specifiche definite dall’INPS che, a sua volta, invia le comunicazioni agli enti erogatori di pensioni, sulla base dei dati del Casellario delle pensioni che viene messo, contestualmente, a disposizione dei Comuni.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge viene evidenziato che la norma di cui ai commi da 12 a 14 è volta a rendere più efficiente il sistema per la trasmissione da parte dei comuni all’INPS delle variazioni anagrafiche relative a decessi ed altre variazioni dello stato civile, per evitare il fenomeno del pagamento di prestazioni indebite a soggetti che in realtà sono già deceduti o non più diritto alle prestazioni a seguito della variazione di stato civile.

La relazione sottolinea quindi come la norma in esame sia diretta a ridurre il periodo nel quale vengono indebitamente erogate prestazioni per decesso, specie per i casi in cui l’attuale schema procedurale ancora consente la formazione di indebito di difficile recupero. Pertanto, sulla base dei dati forniti dall’INPS, si valuta che tale disposizione consenta per circa 50 mila partite con importo medio mensile di circa 700 euro un recupero di circa 3 mesi di erogazione, evitando la formazione di un indebito, per il quale in molti casi non è possibile effettuare concretamente il recupero.

In tal modo, vengono valutate le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

80

80

80

 

 


 

Articolo 21
(Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)

 


1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo le parole «tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» sono aggiunte le seguenti: «, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro».

1-bis. Dopo l’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è inserito il seguente:

«Art. 4-bis. - (Disposizione transitoria concernente l’indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). - 1. Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni».

2. All'articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti» sono inserite le seguenti: «e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

3. All'articolo 5, comma 4-quater, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ha diritto di precedenza» sono inserite le seguenti: «, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale,».

4. Decorsi 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni contenute nei commi che precedono e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza.


 

 

L’articolo 21 reca modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine di cui al D.Lgs. 368/2001, come da ultimo modificata dalla L. 247/2007.

Il D.Lgs. 368/2001 che, in attuazione della delega di cui alla L. 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria per il 2000), ha recepito la direttiva 1999/70/CE sul contratto di lavoro a tempo determinato, ha introdotto una disciplina del lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante la disciplina previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l’abrogazione.

Successivamente, incisivi interventi sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato sono stati attuati dalla L. 247/2007, che ha modificato in vari punti la disciplina in materia recata dal D.Lgs. 368/2001. In primo luogo, è stato introdotto espressamente nell’ordinamento il principio secondo cui il rapporto di lavoro subordinato di norma debba essere instaurato a tempo indeterminato. Con un'altra rilevante modifica è stata introdotta una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore, in modo da evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine: se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore supera complessivamente una certa durata, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato a decorrere dal momento in cui viene superata la medesima durata.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame è volto a novellare l’articolo 1, comma 1, del menzionato D.Lgs. 368/2001, ai sensi del quale l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Con la modifica in esame viene precisato che l’apposizione del termine è consentita anche se tali ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

 

Il comma 1-bis invece introduce nel D.Lgs. 368/2001 l’articolo 4-bis, recante una norma transitoria volta a sostituire, per alcune fattispecie di violazione della disciplina del contratto a termine, il principio della trasformazione del medesimo in contratto a tempo indeterminato con l'obbligo del pagamento di un'indennità.

In particolare si dispone che, con riferimento solamente ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine (artt. 1 e 2 del D.Lgs. n. 368/2001) o alla proroga del medesimo (art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001) il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il lavoratore con un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604/1966, cioè al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

 

Si ricorda che l’articolo 1 del D.Lgs. 368/2001, in primo luogo, pone il principio secondo cui il contratto di lavoro subordinato di regola è stipulato a tempo indeterminato (comma 01[114]). Invece, l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro (comma 1). Inoltre, l'apposizione del termine deve risultare, direttamente o indirettamente, da atto scritto che specifichi le ragioni che la giustificano. In caso contrario, cioè in mancanza dell'atto scritto ovvero dell'indicazione nel medesimo delle ragioni giustificative, il termine non ha efficacia (articolo 1, comma 2) e quindi il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato sin dall’origine. Il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore - entro 5 giorni lavorativi - copia dell'atto scritto (comma 3). L'atto scritto non è necessario in caso di rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni (comma 4).

L’articolo 2 consente di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato alle aziende del trasporto aereo o esercenti i servizi aeroportuali, ai fini dello svolgimento di servizi operativi di terra, di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e alle merci, nonché alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per cento dell’organico aziendale[115].

Infine, per quanto riguarda la disciplina della proroga, l’articolo 4 stabilisce che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solamente nel caso in cui la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi, la durata complessiva del rapporto a termine non può in ogni modo essere superiore ai tre anni. Viene posto a carico del datore di lavoro l'onere della prova relativa all'effettiva esistenza delle ragioni che giustificano la proroga del termine del contratto.

 

Si ricorda inoltre che l'articolo 8 della L. 604/1966 disciplina la “tutela obbligatoria” contro i licenziamenti ingiustificati (per mancanza della giusta causa o del giustificato motivo). La disciplina in questione si applica nei casi di licenziamento ingiustificato non rientranti nell’ambito di applicazione della “tutela reale”[116] di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), quindi essenzialmente nel caso di imprese fino a 15 dipendenti[117].

In particolare, il menzionato articolo 8 della L. 604/1966 dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

 

La norma in esame, quindi, con riferimento esclusivamente ai giudizi in corso, è volta a prevedere in sostanza una deroga all’applicazione della disciplina generale di cui al D.Lgs. 368/2001 secondo cui, nei casi di violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine o alla proroga del medesimo, si determina la trasformazione ex tunc del medesimo in contratto a tempo indeterminato.

Pertanto, poiché la norma in esame riguarda esclusivamente i giudizi in corso, in tutte le altre ipotesi (violazioni commesse antecedentemente all’entrata in vigore della legge di conversione per le quali non sia stato ancora instaurato un giudizio e tutte le violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione), allorché si verifica la violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine o alla proroga del medesimo, continuerà ad applicarsi la “regola” generale che prevede con effetto retroattivo la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro.

 

Il comma 2 è volto a novellare il comma 4-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla citata L. 247/2007.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 40, della L. 247/2007, con una rilevante modifica, novellando l’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha introdotta una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore, in modo da evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine.

Si consideri al riguardo che, ai sensi della normativa previgente, il datore di lavoro non incontrava limiti nella stipulazione di successivi contratti a termine con lo stesso lavoratore, purché stipulasse il successivo contratto dopo l’intervallo temporale (10 giorni o 20 giorni a seconda della durata del contratto precedente) previsto dall’articolo 5, comma 3, del D.Lgs. 368/2001.

Invece la L. 247/2007, inserendo il nuovo comma 4-bis all’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha stabilito che, ferma restando la disciplina della successione di contratti contenuta nei commi precedenti del medesimo articolo 5, se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore superi complessivamente i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato, ai sensi del precedente comma 2, a decorrere dal superamento del predetto periodo (quindi non retroattivamente).

Peraltro, in deroga a tale disciplina, si prevedela possibilità di stipula di un ulteriore contratto a termine fra gli stessi soggetti. Tale contratto può stipularsi per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Spetta alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con appositi avvisi comuni, stabilire la durata dell’ulteriore contratto. Nel caso in cui la su indicata procedura relativa alla stipula non sia rispettata, nonché in caso di superamento del termine stabilito nello stesso contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

Con il nuovo comma 4-ter si prevede tuttavia la non applicazione delle norme sopra illustrate per determinate categorie di attività, cioè per le attività stagionali definite dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e per le quelle che saranno eventualmente individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

 

Con la modifica in esame si dispone che la disciplina di cui al menzionato comma 4-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a termine con lo stesso lavoratore, non si applica nel caso in cui dispongano diversamente i contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

Il comma 3 è invece volto a novellare il comma 4-quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, anch’esso introdotto dalla citata L. 247/2007.

Il già citato articolo 1, comma 40, della L. 247/2007, sempre novellando l’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha introdotto una disciplina relativa alla precedenza nelle assunzioni che sostituisce la più restrittiva disciplina previgente, contenuta nei commi 9 e 10 dell’articolo 10 del D.Lgs. 368/2001 (che vengono conseguentemente abrogati)[118]. In particolare, con il nuovo comma 4-quater viene garantito al lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso lo stesso datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a tempo determinato. In sostanza, il comma 4-quater introdotto dalla L. 247/2007, rispetto alla previgente disciplina, è volto ad estendere in maniera generalizzata, a prescindere da una specifica previsione della contrattazione collettiva e indipendentemente dalla natura dell’attività lavorativa e produttiva[119], il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato presso la stessa impresa, prevedendo ope legis la possibilità di fruire di tale diritto di precedenza (per le assunzioni effettuate entro i successivi 12 mesi) per tutti i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato, con riferimento alle medesime mansioni a cui si riferisce l’assunzione, per un periodo superiore a sei mesi. Ai sensi del successivo nuovo comma 4-sexies, il lavoratore può avvalersi del diritto di precedenza in questione purché manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro a termine; il diritto di precedenza, peraltro, si estingue entro un anno dalla data di cessazione dello stesso rapporto di lavoro.

Inoltre, con il nuovo comma 4-quinquies si prevede, in favore del lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali, il diritto di precedenza in relazione alle eventuali nuove assunzioni a termine poste in essere dallo stesso datore di lavoro per le stesse attività stagionali. Ai sensi del successivo nuovo comma 4-sexies, il lavoratore può avvalersi del diritto di precedenza in questione purché manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto a termine; il diritto di precedenza, peraltro, si estingue entro un anno dalla data di cessazione dello stesso rapporto di lavoro.

 

Con la modifica in esame si dispone che la disciplina relativa alla precedenza nelle assunzioni, di cui al menzionato comma 4-quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, può essere derogata dalle eventuali diverse previsioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

Infine il comma 4 prevede che, dopo 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, il Ministro del lavoro procede ad una verifica degli effetti delle norme di cui ai commi precedenti dell’articolo in esame con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e ne riferisce al Parlamento entro 3 mesi per la valutazione dell’ulteriore vigenza di tali norme.


 

Articolo 22
(Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio)

 


1. L'articolo 70, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente: «1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito: a) di lavori domestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; c) dell'insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà; e) dei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado; f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani di cui alla lettera e), ovvero delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; g) dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi; h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica.».

2. All'articolo 72, comma 4-bis del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le parole «lettera e-bis)» sono sostituite dalle seguenti: «lettera g)».

3. L'articolo 72, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente: «5. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali individua con proprio decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 4 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'I.N.P.S. e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3 del presente decreto».

4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto è abrogato l'articolo 71 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.


 

 

L’articolo 22 modifica la disciplina delle prestazioni occasionali di tipo accessorio, al fine di semplificarne il regime giuridico e di ampliarne l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione.

 

Al comma 1, si interviene per modificare l’articolo 70, comma 1, del D.Lgs. 276/2003[120], il quale definisce le prestazioni di lavoro accessorio.

In primo luogo, viene sostanzialmente confermata la possibilità di utilizzare l’istituto delle prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito: di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; insegnamento privato supplementare; di manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà; dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis c.c., limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi.

Viene inoltre ampliata la possibilità di utilizzare prestazioni di lavoro accessorio in agricoltura. Difatti, si è previsto che rientrano nell'istituto in esame le attività agricole a carattere stagionale se svolte da pensionati, o da giovani con meno di 25 anni di età regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, nonché le attività agricole svolte (da qualsiasi soggetto) in favore dei produttori agricoli aventi un volume di affari annuo non superiore a 7.000 euro. Si ricorda che invece la normativa previgente, in maniera più limitata, faceva rientrare nella disciplina in esame solamente l’esecuzione di vendemmie di breve durata e a carattere saltuario, purché effettuata da studenti e pensionati[121].

Analogo ampliamento della possibilità di utilizzare prestazioni di lavoro accessorio si verifica per il settore del lavoro domestico, poiché la norma non fa più riferimento ai “piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap” ma più in generale ai “lavori domestici”.

Peraltro, la norma è volta anche introdurre ex novo ulteriori tipologie di lavoro accessorio, includendovi anche:

§      le attività lavorative rese nei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado (in tal modo, viene ripresa sostanzialmente l’idea dei tirocini estivi);

§      le attività lavorative rese nell’ambito della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica.

 

Un’altra rilevante modifica introdotta dal combinato disposto dei commi 1 e 4 consiste nella eliminazione dei requisiti soggettivi per poter svolgere prestazioni di lavoro accessorio.

A tal fine, nella nuova formulazione dell’articolo 70, comma 1, del D.Lgs. 276/2003 viene espunta la precisazione secondo cui erano considerate prestazioni di lavoro accessorio esclusivamente le prestazioni occasionali rese dasoggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne.

Inoltre, il comma 4 dell’articolo in esame dispone l’abrogazione dell’articolo 71 del D.Lgs. 276/ 2003, che conteneva una tassativa elencazione delle categorie di soggetti che potevano rendere prestazioni di lavoro accessorio.

Il menzionato articolo 71 individuava i seguenti soggetti che potevano svolgere attività di lavoro accessorio: disoccupati da oltre un anno; casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. Per tali soggetti, interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio, la norma prevedeva l’onere di comunicare la loro disponibilità ai servizi per l'impiego delle province, nell'ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti accreditati ad operare nel mercato del lavoro . A seguito di tale comunicazione la norma prevedeva la consegna di una tessera magnetica che attestava la loro condizione.

 

Nel comma 2 si introduce una modifica di mero coordinamento formale all’articolo 72, comma 4-bis, del D.Lgs. 276/2003, sostituendo il riferimento alla lettera e-bis) dell’articolo 70 con quello alla lettera g) del medesimo articolo, poiché nell’articolo 70, così come modificato dal provvedimento in esame, l’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis c.c figura appunta alla lettera g).

Si ricorda che il menzionato comma 4-bis dell’articolo 72 prevede che per l’impresa familiare trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.

 

Nel comma 3 si interviene sull’articolo 72, comma 5, del D.Lgs. 276/2003 al fine di poter rendere immediatamente operativa la disciplina sulle prestazioni di lavoro accessorio.

In particolare, si prevede che il Ministro del lavoro individua con apposito decreto il concessionario del servizio e stabilisce i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture previdenziali e assicurative. Peraltro, nelle more dell’emanazione del decreto, i concessionari del servizio sono individuati nell’INPS e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1 lett. a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3, del D.Lgs. 276/2003.

Il menzionato D.Lgs. 276/2003 ha attuato la revisione della disciplina relativa agli intermediari nel mercato del lavoro, con l’identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento differenziato solo in funzione del tipo di attività svolta.

In particolare, l’articolo 4 prevede l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, nonché supporto alla ricollocazione professionale. Nella norma si prevede l’articolazione di tale albo in cinque sezioni. Di esse, nell’articolo 22 del provvedimento in esame si fa riferimento alle agenzie di somministrazione di lavoro abilitate (lettera a)) e alle agenzie di intermediazione (lettera c)).

L’articolo 6 del D.Lgs. 276/2003 estende la platea dei soggetti abilitati a svolgere attività di intermediazione, includendovi anche soggetti istituzionalmente chiamati a svolgere altre attività:

-        le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie, che svolgano tale attività finalità di lucro e con l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro,

-        i comuni singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro,

-        le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o delle disabilità, e gli enti bilaterali.

 

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge si evidenzia che, pur non discendendo sul piano previdenziale un maggior onere per prestazioni, perché correlate ai contributi versati nel sistema contributivo, nel breve periodo la norma in esame determina minori incassi contributivi per effetto delle ridotte aliquote (rispetto a quelle ordinarie) per i soggetti che svolgono lavoro accessorio. Tali minori incassi contributivi afferiscono primariamente al settore agricolo, dal momento che per il lavoro domestico il carico contributivo si attesta sui 20 punti percentuali.

Pertanto, dalla norma esaminata conseguono minori entrate contributive, valutate decuplicando l’onere stimato riguardo l’attività agricola con riferimento esclusivo alle vendemmie di breve durata e a carattere saltuario. Quindi, tenuto conto dei tempi per l’entrata a regime della norma, si ipotizzano le seguenti minori entrate contributive:

(milioni di euro)

2008

2009

2010

2011

-0.5

-2

-2

-2

 


 

Articolo 23
(Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato)

 


1. All'articolo 49, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 le parole da «inferiore a due anni e superiore a sei» sono sostituite con «superiore a sei anni».

2. All'articolo 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 è aggiunto il seguente comma: «5-ter. In caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo».

3. Al comma 1 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «alta formazione» sono inserite le seguenti: «, compresi i dottorati di ricerca».

4. Al comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «e le altre istituzioni formative» sono aggiunti i seguenti periodi: «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le Università e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione, per quanto compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma 4, nonché le disposizioni di cui all'articolo 53».

5. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati:

a) l'articolo 1 del decreto ministeriale 7 ottobre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 15 ottobre 1999;

b) l'articolo 21 e l'articolo 24, commi terzo e quarto, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1956, n. 1668;

c) l'articolo 4 della legge 19 gennaio 1955, n. 25.


 

 

L’articolo 23 interviene sulla disciplina del contratto di apprendistato e in particolare sulle disposizioni in materia contenute nel Titolo VI, Capo I, del D.Lgs. 276/2003[122] (artt. 47-53)[123].

L'apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro riguardante ogni settore di attività, in forza del quale l'imprenditore è obbligato ad impartire all'apprendista assunto alle sue dipendenze la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato.

Si ricorda che modifiche rilevanti alla disciplina dell’apprendistato sono stati introdotte dal menzionato D.Lgs. 276/2003, adottato in attuazione della delega di cui alla L. 30/2003.

Prima di tale intervento di riforma, la disciplina in materia di apprendistato era dettata dalla L. 19 gennaio 1955, n. 25[124] e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668, nonché dall’articolo 16 della L. 196/1997[125] (cd. “legge Treu”) che era intervenuto con modifiche sulla normativa originaria.

In base a tale previgente disciplina, per instaurare un rapporto di apprendistato il datore di lavoro doveva ottenere l'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro territorialmente competente, precisando le condizioni della prestazione richiesta agli apprendisti, il genere di addestramento al quale saranno adibiti e la qualifica che essi potranno conseguire al termine del rapporto. Il numero degli apprendisti in un'azienda non poteva superare il 100% delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso l'azienda stessa. Rilevanti agevolazioni contributive erano concesse al datore di lavoro, subordinatamente alla partecipazione degli apprendisti alle iniziative di formazione esterna all’azienda.

Riguardo ai limiti di età, in base alla disciplina previgente al D.Lgs. 276/2003, potevano essere assunti come apprendisti i giovani che avevano compiuto i 16 anni (ovvero 14 anni con adempimento dell’obbligo scolastico, fino alla modifica della disciplina sui limiti di età per l'adempimento di quest’ultimo) e non superato i 24 anni, ovvero a 26 nelle aree svantaggiate (articolo 16 della L. 196/1997). Per i portatori di handicap i suddetti limiti di età erano elevati di due anni. Si prevedeva che la durata dell’apprendistato venisse stabilita dai contratti collettivi di lavoro e comunque non potesse essere inferiore a 18 mesi, né superiore a 4 anni.

Una delle novità già introdotte dall'articolo 16 della L. 196/1997 è rappresentata dalla figura del tutore che, ai sensi del successivo DM 28 febbraio 2000, ha il compito di affiancare l'apprendista per trasmettergli le competenze necessarie all'esercizio dell'attività lavorativa e per favorire l'integrazione tra le attività formative esterne all'azienda e la formazione sul luogo di lavoro. Il tutore collabora con la struttura di formazione esterna ed è chiamato ad esprimere le proprie valutazioni sulle competenze acquisite dall'apprendista ai fini delle attestazioni di competenza del datore di lavoro.

 

In seguito il D.Lgs. 276/2003, riformando la disciplina dell’apprendistato, ha previsto (articolo 47) l’introduzione di tre differenti tipologie di contratto di apprendistato, a seconda della qualità e del livello della formazione insita nel rispettivo rapporto:

-        il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;

-        il contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;

-        il contratto di apprendistato per percorsi di alta formazione[126].

Viene precisato che, nelle more della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi del D.Lgs. 276/2003, continua ad applicarsi la già vigente normativa in materia.

 

Con riferimento al rapporto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, si prevede (articolo 48) che possono essere assunti con contratto di apprendistato di questo tipo i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni di età. La normativa previgente (articolo 16, comma 1, della legge n. 196/1997) prevedeva come età minima sedici anni.

Tale tipologia di contratto di apprendistato potrà concorrere a garantire il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione ai sensi della normativa vigente.

La durata massima del contratto in esame è fissata in tre anni ed è finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale. La durata del contratto è determinata in considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonché del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l’impiego e dai soggetti privati accreditati. Invece la normativa previgente prevedeva che la durata dell’apprendistato fosse fissata dai contratti collettivi nazionali e, comunque, sempre in coerenza con le finalità formative, non potesse essere inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni.

La regolamentazione del contratto di apprendistato in questione è rimessa ad una intesa da raggiungere tra Regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative. Tale intesa deve comunque rispettare una serie di criteri direttivi fissati dalla legge (articolo 48, comma 3).

 

Il D.Lgs. 276/2003 prevede (articolo 49) che possono essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, i soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni.

Tuttavia per i soggetti in possesso di una qualifica conseguita ai sensi della legge n. 53/2003[127] il limite minimo di età è ridotto a diciassette anni.

E’ rimesso ai contratti collettivi stabilire la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, che in ogni caso non può essere inferiore a due anni e superiore a sei anni.

La regolamentazione dell’apprendistato professionalizzante è rimessa alle Regioni, d’intesa con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano regionale, nel rispetto di principi e criteri direttivi per la maggior parte coincidenti con quelli previsti per l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione. Se ne differenzia per il fatto di non fare riferimento alla qualifica professionale e per il fatto di prevedere un monte ore di formazione di almeno 120 ore per anno.

Si ribadisce che il numero degli apprendisti presso ciascuna azienda non può superare il numero dei lavoratori specializzati e qualificati ma, se tali lavoratori mancano o sono meno di tre, è consentita comunque l’assunzione di tre apprendisti.

 

Per quanto riguarda invece l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma universitario, per percorsi di alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore di cui all’articolo 69 della legge n. 144/1999, si prevede (articolo 50) che possono essere assunti come apprendisti soggetti tra 18 e 29 anni; il limite di età minimo si abbassa a 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale.

La disciplina e la durata del rapporto di apprendistato in esame è rimessa alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

 

Più in generale, il D.Lgs. 276/2003 dispone (articolo 51) che la qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione, e istruzione e formazione professionale.

Inoltre, si prevede (articolo 53) che la categoria di inquadramento dell’apprendista non potrà essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto.

Altre misure, che confermano quanto già previsto dalla disciplina previgente, sono indirizzate ad incentivare l’occupazione giovanile escludendo gli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi di lavoro per l'applicazione di particolari normative ed istituti.

Inoltre, in attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione, si confermano gli attuali incentivi contributivi per l’utilizzazione del rapporto di apprendistato (cfr. infra). Tuttavia l’effettiva spettanza degli stessi sarà soggetta alla verifica che la formazione sia effettivamente e regolarmente svolta. In caso di inadempimento nella erogazione della formazione da parte del datore di lavoro, sono previste specifiche sanzioni pecuniarie a carico del medesimo.

Si dispone altresì che resta ferma la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla L. 25/1955, e successive modificazioni e integrazioni[128].

L’articolo 21 della richiamata L. 25/1955 stabilisce, al riguardo, che per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:

-        assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per gli appartenenti alle categorie per le quali è previsto l'obbligo di tale assicurazione;

-        assicurazione contro le malattie, prevista dalla L. 11 gennaio 1943, n. 138, per determinate prestazioni;

-        assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;

-        assicurazione contro la tubercolosi, prevista dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827.

 

Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale ed assicurativa relativa al rapporto di apprendistato, si consideri che la normativa è stata sempre improntata ad un atteggiamento di agevolazione, prevedendo obblighi contributivi in misura inferiore rispetto alla generalità dei rapporti di lavoro dipendente.

Bisogna al riguardo distinguere tra la quota di contribuzione a carico dei datori di lavoro rispetto a quella a carico degli apprendisti. Mentre la disciplina relativa a quest’ultima è rimasta sostanzialmente immutata sino ad oggi[129], la disciplina relativa alla quota di contribuzione a carico del datore di lavoro ha subito una rilevante modifica a seguito della legge finanziaria per il 2007.

Difatti, nella normativa previgente alla legge finanziaria 2007 (valida per i periodi contributivi sino al 31 dicembre 2006) i contributi previdenziali ed assicurativi per gli apprendisti a carico dei datori di lavoro erano previsti in misura estremamente ridotta. In particolare, i contributi settimanali a carico del datore di lavoro erano stabiliti in misura fissa e ammontavano, per il 2006, a 2,98 euro (2,89 euro nei casi in cui non era previsto l’obbligo dell'assicurazione INAIL)[130].

Successivamente, l’articolo 1, comma 773, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296 del 2006), ha rideterminato, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, le aliquote contributive dovute dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani, nella misura complessiva del 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Al fine di rendere più graduale l’impatto dell’incremento della contribuzione per le aziende di minori dimensioni, inoltre, si prevede che, per i datori di lavoro che occupano complessivamente meno di 10 dipendenti, la suddetta aliquota complessiva del 10% a loro carico relativa agli apprendisti è ridotta di 8,5 punti percentuali per i contributi maturati nel primo anno di contratto e di 7 punti percentuali per i contributi maturati nel secondo anno di contratto. Resta fermo il livello di aliquota del 10% per i contributi maturati negli anni successivi al secondo.

Lo stesso comma ha inoltre disposto che la ripartizione del predetto contributo tra le gestioni previdenziali sia stabilita con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007 (cioè entro il 28 febbraio 2007)[131].

Ancora, viene prevista l’applicazione della rideterminazione contributiva stabilita dal comma in esame anche alle contribuzioni erogate in misura pari a quelle degli apprendisti (come, per esempio, nel caso di assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità).

Contestualmente, con riferimento ai periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, si dispone la cessazione, per le regioni, dell’obbligo del pagamento delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani di cui all’articolo 16 della L. 21 dicembre 1978, n. 845[132].

Infine, è stato disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2007, l’estensione delle disposizioni in materia di indennità giornaliera di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati, ai lavoratori assunti con contratto di apprendistato ai sensi del D.Lgs. 276/2003. Si prevede che la relativa contribuzione sia stabilita con lo stesso decreto che provvede alla ripartizione del contributo, in precedenza richiamato[133].

 

In primo luogo, i commi 1 e 2 intervengono sulla disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante, contenuta nell’articolo 49 del D.Lgs. 276/2003.

In particolare, con il comma 1, novellando il comma 3 del menzionato articolo 49, si stabilisce che la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, stabilita nei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o regionale, non possa essere superiore a sei anni.

Viene quindi eliminato il limite minimo di durata, pari a due anni, previsto dalla disciplina previgente. Pertanto, le parti sociali sono ora libere di determinare una durata anche inferiore, se funzionale alle esigenze del settore o alle caratteristiche del percorso formativo.

Con il successivo comma 2 viene introdotto nell’articolo 49 il comma 5-ter il quale prevede che in caso di formazione esclusivamente aziendale non si applica il precedente comma 5.

Si ricorda che il menzionato comma 5 attribuisce alle regioni la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale.

 

Pertanto, nel caso di formazione esclusivamente aziendale, i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante vengono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo[134].

 

Il comma 3 dell’articolo in esame è volto a novellare l’articolo 50, comma 1, del D.Lgs. 276/2003, riguardante l’apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. In particolare, a seguito di tale modifica, si dispone che possono essere assunti con contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, nonché per la specializzazione tecnica superiore, i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni.

Il riferimento ai dottorati di ricerca è stato aggiunto, appunto, con il comma in esame.

 

Invece il comma 4 dell’articolo in esame novella il comma 3 del medesimo articolo 50, il quale prevede che la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

Con la modifica introdotta, al fine di evitare che l’applicazione dell’istituto sia impedita nelle more della disciplina regionale, si prevede che, in assenza di regolamentazioni regionali, l'attivazione dell’apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le università e le altre istituzioni formative. Si dispone inoltre che trovano applicazione, in quanto compatibili, l’articolo 49, comma 4 del D.Lgs. 276/2003 (contenente i principi per la disciplina dell’apprendistato professionalizzante), nonché le disposizioni dell’articolo 53 dello stesso decreto (riguardanti gli incentivi economici e normativi e i profili previdenziali del contratto di apprendistato).

 

Infine, il comma 5 dispone che, dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, vengono abrogate le seguenti disposizioni:

§         l’articolo 1 del decreto ministeriale 7 ottobre 1999[135], nel quale si prevedeva che la comunicazione all'amministrazione competente da parte delle imprese dei dati dell'apprendista e di quelli del tutore aziendale avvenisse entro trenta giorni dalla data di assunzione. Tali comunicazioni potevano essere svolte anche dai soggetti iscritti all’albo dei consulenti del lavoro, nonché degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali;

§         l’articolo 21 del D.P.R. 1668/1956[136], il quale stabiliva che determinate informazioni alla famiglia dell’apprendista o a chi esercita legalmente su di lui la patria potestà, dovessero essere date a intervalli non superiori a sei mesi;

§         l’articolo 24, commi 3 e 4, del D.P.R. 1668/1956. In tale articolo si prevede che l’attribuzione della qualifica professionale agli apprendisti da parte del datore di lavoro avvenga entro il termine previsto dai contratti collettivi e, comunque, non oltre il quinquennio. Nei commi abrogati era stabilito che l’attribuzione della qualifica dovesse essere comunicata all’Ufficio di collocamento competente per territorio, il quale ne dava comunicazione agli Istituti previdenziali ed assistenziali interessati, entro 10 giorni (comma 3). Inoltre, nello stesso termine i datori di lavoro comunicavano all’Ufficio di collocamento competente i nominativi degli apprendisti, che avessero compiuto 18 anni di età ed effettuato un biennio di addestramento pratico, ai quali non fosse stata attribuita la qualifica (comma 4);

§         l’articolo 4 della L. 25/1955[137], il quale prevedeva che l'assunzione dell'apprendista dovesse essere preceduta da visita sanitaria per accertare che le sue condizioni fisiche ne consentano la occupazione nel lavoro per il quale deve essere assunto.

 


 

Articolo 23-bis
(Servizi pubblici locali di rilevanza economica)

 


1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

2. ll conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.

4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione.

5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.

6. E' consentito l’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell’affidamento, unica per tutti i servizi, non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

7. Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, nonché l’integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

8. Salvo quanto previsto dal comma 10, lettera e), le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate ai sensi del comma 3.

9. I soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. ll divieto di cui al periodo precedente non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l’affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato. In ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l’affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.

10. ll Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni ed entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:

a) prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;

b) prevedere, in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;

c) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d) armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e) disciplinare, per i settori diversi da quello idrico, fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall’evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3, la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alle disposizioni di cui al presente articolo, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti di retti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

f) prevedere l’applicazione del principio di reciprocità ai fini dell’ammissione alle gare di imprese estere;

g) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

h) prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

i) disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l) prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

m) individuare espressamente le norme abrogate ai sensi del presente articolo.

11. L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni di cui al presente articolo.

12. Restano salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

L’articolo 23-bisdisciplina organicamente il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con l'intendimento di sostituire la normativa precedente anche settoriale. L'articolo prevede il principio della gara ma regola anche le situazioni in deroga, che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato"; inoltre reca ( al comma 10) un'ampia disposizione di delegificazione del settore.

 

In precedenza, la disciplina generale in materia di servizi pubblici locali era contenuta principalmente nell’articolo 113 del testo unico degli enti locali del 2000[138]. Tale articolo viene abrogato dall’articolo in esame (comma 11) con una formula di abrogazione esplicita innominata: “é abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni del presente articolo”, senza indicare espressamente le disposizioni dell’art. 113 da considerare sostituite dalla nuova disciplina. D’altra parte una diversa disposizione (comma 10, lettera m)) demanda al regolamento di delegificazione l’individuazione puntuale delle norme abrogate: non necessariamente solo (ma presumibilmente anche) quelle dell’art. 113.

Pertanto, la disciplina di cui all’art. 113 non può considerarsi del tutto sostituita da quella recata dall’articolo in esame e sarà necessario attendere l’adozione dei regolamenti delegificati per avere un quadro definitivo delle regole in materia di servizi pubblici locali.

 

L’articolo in esame disciplina, dunque, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della normativa comunitaria ed al fine di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale (comma 1).

Finalità ulteriore è quella di garantire il diritto di tutti gli utenti all'universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione.

 

La giurisprudenza della Corte costituzionale non considera la materia dei servizi pubblici locali riferibile alla competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera p), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale.

L'orientamento è nel senso di ricondurre la materia dei servizi pubblici locali alla competenza statale sulla "tutela della concorrenza" (art. 117, secondo comma, lett. e) Cost.), senza che ciò escluda interventi normativi delle Regioni e senza che ciò legittimi lo Stato ad intervenire con norme di eccessivo dettaglio, che porrebbero in essere una illegittima compressione dell’autonomia regionale, ingiustificata e non proporzionata rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza.

Nella sentenza 272/2004 la Corte ha avuto occasione di giudicare della legittimità di disposizioni statali in tema di servizi pubblici locali.

La Corte non ha accolto la tesi volta a distinguere ’’tutela’’ e ’’promozione’’ della concorrenza: la configurazione della tutela della concorrenza - ha ritenuto la Corte - ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato (n. 14/2004).

Ciò premesso, la Corte ravvisa nella norma impugnata una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame, ed identifica nella disciplina complessiva un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L’accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l’indicato titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale e, dall’altro lato, che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali.

La Corte rileva poi che, dal momento che spetta allo Stato dettare disposizioni di carattere generale sui servizi pubblici locali di rilevanza economica, non risultano censurabili le norme contestate che invece garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza in fatto di regime delle gare, di modalità di gestione o di conferimento dei servizi, fermo restando il vaglio del criterio di proporzionalità ed adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato.

La Corte si astiene dal valutare in concreto la rilevanza degli effetti economici derivanti dalle previsioni statali e dallo stabilire se una determinata regolazione abbia effetti così importanti, sull’economia di mercato, da postulare misure di tutela della concorrenza, tali da trascendere l’ambito regionale; ma si riserva il sindacato sulla ragionevolezza e sulla proporzione nella relazione tra i vari "strumenti di intervento e gli obiettivi attesi" (sentenza n. 14/2004). Il criterio della proporzionalità e dell’adeguatezza appare quindi essenziale per definire l’ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente alla "tutela della concorrenza", materia-funzione di competenza esclusiva dello Stato, che non ha un’estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma è, per così dire, "trasversale" (cfr. sentenza n. 407/2002), poiché si intreccia inestricabilmente con una pluralità di altri interessi – alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese; emerge con evidenza la necessità di basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato.

Alla luce di questo criterio, la Corte ha dichiarato incostituzionale la norma troppo dettagliata sui criteri di aggiudicazione, criteri che - ha affermato la Corte - appaiono sufficientemente garantiti dalle norme comunitarie.

Viene poi osservato come la tutela della concorrenza e l’inderogabilità della disciplina da parte di norme regionali siano però esplicitamente evocate in riferimento ai soli servizi pubblici locali "di rilevanza economica", e non già in riferimento ai servizi "privi di rilevanza economica": già tale denominazione può di per sé indicare che il titolo di legittimazione statale non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale. Di conseguenza la disciplina della gestione dei servizi pubblici locali "privi di rilevanza economica" (art. 113-bis TU) si configura come illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale.

Con la sentenza n. 29/2006 la Corte ha dichiarato legittime alcune disposizioni regionali che integrano la normativa statale disciplinante – sotto il profilo della tutela della concorrenza - i servizi pubblici locali di rilevanza economica, in quanto coerenti con i principi della legge statale; anche quelle in materia di conflitto di interessi e di assunzioni con concorso pubblico sono legittime. E’ invece illegittima la mancata previsione di un regime transitorio per l’assunzione della gestione del servizio pubblico e la previsione di un caso di ineleggibilità alle cariche elettive in enti locali territoriali.

Nella sentenza n. 80/2006, la Corte si è occupata di trasporti pubblici locali, valutando una disposizione che, nel quadro del nuovo Titolo V, è riconducibile all’ambito della competenza legislativa esclusiva statale in tema di «tutela della concorrenza», che ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato» (sentenza n. 272/2004). La Corte non condivide l’opinione secondo la quale la riconducibilità – già affermata nella sentenza n. 222/2005 – della disciplina del trasporto pubblico locale ad una materia legislativa regionale di tipo residuale ridurrebbe la possibilità di incidere dello Stato o comunque permetterebbe alle Regioni di modificare “ragionevolmente” le disposizioni. Al contrario, le competenze statali che si configurino come «trasversali» incidono naturalmente sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano.

Da ciò la Corte dichiara costituzionalmente illegittime le disposizioni regionali.

 

Ai sensi dello stesso comma 1 le disposizioni in esame si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

Tale disposizione modifica profondamente l’assetto precedente contribuendo a chiarire il rapporto tra disciplina generale e norme di settore.

Infatti, il comma 1 dell’art. 113 nel circoscrivere l’ambito di applicazione delle disposizioni successive, le definisce quali norme inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi pubblici locali. Allo stesso tempo, tuttavia, sono state progressivamente esclusi dall’applicazione delle norme generali diversi settori: dapprima l’energia elettrica e il gas (disciplinati, rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999[139] e dal D.Lgs. 164/2000[140]) esclusi ad opera dello stesso comma 1 dell’art. 113; successivamente, il settore del trasporto pubblico locale (si veda art. 1, comma 48, della L. 308/2004[141], che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del testo unico); lo stesso art. 1, co. 48, ha sottratto al regime generale anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane.

Le maggiori attività di erogazione di servizi pubblici locali (elettricità, gas e trasporto pubblico locale) risultavano dunque escluse dall’ambito di applicazione delle norme del testo unico.

La reale portata dell’estensione della nuova disciplina ai singoli settori è tuttavia demandata al regolamento di attuazione che dovrà individuare le nuove norme che possono essere applicate ai servizi pubblici di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica, gas e acqua (comma 10, lett. d).

 

Secondo la Corte costituzionale, la disposizione che definisce la normativa generale come inderogabile e integrativa delle regole di settore “si può [...] sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale” (sen. 272/2004).

 

Per quanto riguarda la gestione dei servizi pubblici locali l’articolo in esame prevede due modalità di affidamento: una, ordinaria, mediante gara pubblica, l’alta, in deroga, senza gara attraverso un conferimento diretto.

Viene così semplificato il quadro definito dall’art. 113 (che in questa parte potrebbe considerarsi superato dalla nuova disciplina) che prevede invece tre tipologie di soggetto affidatario (comma 5):

§      società di capitali scelte con gara;

§      società miste pubblico - private, in cui il socio privato è scelto mediante gara;

§      società interamente pubbliche con modalità in house[142].

 

Il comma 2, come accennato, prevede il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, quale modalità ordinaria, a imprenditori o società, in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto di una serie di principi (quali ed esempio economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza) inclusi i principi del Trattato della Comunità europea.

Tale modalità ordinaria riproduce la prima delle tre tipologie sopra citate, con una sostanziale differenza: viene rimosso il requisito della costituzione in forma di società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata disciplinate dall’art. 2325 e seguenti del codice civile) e viene esplicitamente consentita la partecipazione alle gare di singoli imprenditori e delle società di qualunque tipo, anche le società di persone - quali società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice - in precedenza escluse.

 

Con tale modifica viene recepito un principio posto dalla giurisprudenza europea: la Corte di giustizia delle Comunità europee ha stabilito, infatti, che alcune norme interne, tra cui il citato comma 5 dell’art. 113, sono in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto “impediscono ad operatori economici di presentare offerte, soltanto per il fatto che tali offerenti non abbiano la forma giuridica corrispondente ad una determinata categoria di persone giuridiche, ossia quella delle società di capitali. Il giudice nazionale, in tal caso, è obbligato a dare un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto comunitario e, qualora siffatta interpretazione conforme non sia possibile, a disapplicare ogni disposizione di diritto interno contraria a tali prescrizioni"[143].

 

Il comma 3 dispone in deroga alle modalità di affidamento ordinario previste dal comma precedente e prevede, per situazioni che non permettano un efficace ed utile ricorso al mercato, che l'affidamento diretto possa avvenire "nel rispetto dei principi della normativa comunitaria".

Il richiamo generico alla normativa comunitaria, può essere presumibilmente riferito alla cosiddetta procedura in house, ossia la terza procedura prevista dalla normativa previgente (art. 113, comma 5).

 

Tale tipologia di affidamento è espressamente esclusa dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006, art. 15).

Per quanto riguarda questa particolare modalità di esercizio dei servizi pubblici locali è opportuno richiamare la circolare del Dipartimento politiche comunitarie 1° marzo 2002, n. 3944 Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2002) dove viene chiarito che “la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, in house (cfr. Corte di giustizia, sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal). In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate. Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed economico dell’ente pubblico sul soggetto gestore ma l’affidamento riguardi un servizio in cambio della gestione dello stesso come corrispettivo (e dunque configuri, secondo l’interpretazione della commissione, una concessione di servizi) l’aggiudicazione del servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e di parità di trattamento che impongono la necessità di seguire procedure di evidenza pubblica”.

 

Nel complesso, dunque, sembrerebbe esclusa la seconda tipologia di affidamento prevista dall’art. 113, comma 5, ossia quello a società a capitale misto pubblico - privato, in cui solamente il socio privato sia scelto con gara. Tuttavia, in altra parte dell’articolato si fa menzione delle società miste, laddove (comma 10, lett. a) si stabilisce che il regolamento di attuazione ne preveda l’assoggettamento alle procedure pubbliche per l’approvvigionamento di beni e servizi e per l’assunzione di personale.

 

Anche in questo caso è opportuno richiamare la giurisprudenza della Corte di giustizia europea in base alla quale (si veda da ultimo la sentenza 6 aprile 2006 nella causa C-410-04) l’affidamento in house, per il quale è ammessa la deroga alla regola della procedura di evidenza pubblica, è figura distinta dall’affidamento a società a capitale misto per il quale sembra, in linea di principio, da escludere l’ammissibilità della predetta deroga (in questo senso v. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 3 marzo 2008, n. 1; in precedenza, Consiglio di Stato, sez. 2, parere n. 456/2007 del 18 aprile 2007 il quale non è sembrato invece escludere la possibilità di affidamenti diretti a società miste).

L’Autorità antitrust nel suo parere sul testo del disegno di legge approvato in sede referente alla Camera (A.C. 1386-A) - pur prendendo atto del tentativo di aprire al mercato il settore - ha rimarcato che la deroga recata al comma 2, riproducendo almeno in parte la normativa previgente, non evita “il determinarsi di quelle situazioni di conflitto di interessi in capo agli enti pubblici controllori/azionisti dei gestori di servizi pubblici”[144]. Al riguardo va precisato che il testo esaminato, poi modificato, prevedeva ancora espressamente la possibilità di affidamento diretto a società miste.

 

Il comma 4 provvede a dettare alcune condizioni per l’esercizio della deroga di cui al comma 3, prevedendo che, nei casi di affidamento diretto l'ente affidante debba dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola e verificandola, e trasmettere una relazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, e all'autorità di regolazione del settore, ove costituita, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro 60 giorni dalla ricezione della relazione.

Il valore giuridico del parere non appare espressamente previsto: in base a principi generali potrebbe dunque essere valutato come obbligatorio ma non vincolante[145]; dovrebbero restare peraltro fermi gli ordinari poteri spettanti alle Autorità coinvolte.

Collegato con i commi 3 e 4, il comma 9 che introduce alcune limitazioni per i soggetti affidatari diretti (vedi oltre).

 

Anche su tale punto l’Autorità antirust è intervenuta nel suo parere: le disposizioni di cui al comma 4 - scrive l’Autorità al Parlamento - “benché mosse dall’apprezzabile intento di arginare il diffondersi di deroghe ingiustificate, rischiano tuttavia di non risultare sufficienti a conseguire tale risultato. Il meccanismo di controllo di cui al comma 4 rappresenta l’unico argine amministrativo a interpretazioni troppo estensive sulla derogabilità. L’Autorità si impegna a svolgere al meglio la funzione, sia pure solo consultiva, che le viene assegnata, ma rileva con preoccupazione come l’attribuzione di tali nuove competenze non si accompagni all’assegnazione di risorse aggiuntive le quali, invece, risultano assolutamente necessarie ai fini dello svolgimento dei nuovi compiti istituzionali, pena il pregiudizio nell’efficiente adempimento anche di quelli già esistenti”.

 

Il comma 5 prevede inoltre che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione possa essere affidata a soggetti privati.

 

L’art. 113 del testo unico contiene una articolata disciplina che distingue tra proprietà delle reti, gestione delle stesse ed erogazione del servizio.

La modalità ordinaria consiste nell’esercizio congiunto della gestione delle reti e degli impianti con l’erogazione del servizio. Alle singole discipline di settore è demandata la definizione dei casi in cui le due attività possano essere svolte separatamente e in tal caso viene definita una disciplina speciale (art. 113, co. 2, 3, 5-ter).

Riguardo questo profilo, l’articolo in esame sembra non interferire con la normativa previgente, in quanto non distingue tra gestione delle reti e erogazione del servizio limitandosi a stabilire il principio di non esclusione della gestione privata delle reti, già presente nell’art. 113. L’unico riferimento in materia è contenuto nel comma 9 laddove si vieta l’esercizio di altre attività ai soggetti cui è affidata la gestione delle reti, qualora sia separata dall’erogazione del servizio.

Sembrerebbe, dunque, che le disposizioni dell’art. 113 sopra citate non siano incompatibili con la nuova disciplina e che, pertanto, debbano rimanere in vigore.

Relativamente alla proprietà delle reti, invece, la norma in esame sembra introdurre un principio, quello dell’obbligo della proprietà pubblica delle reti, che innova la normativa previgente. Infatti, l’art. 113, al comma 2, si limita a vietare agli enti locali di cedere le proprietà delle reti e degli impianti, senza pregiudicare la possibilità da parte dei privati di possedere reti di distribuzione o di realizzarne di nuove. Tanto è vero che lo stesso art. 113 (comma 14) contempla espressamente tale ipotesi stabilendo che se le reti sono di proprietà di soggetti diversi dagli enti locali, essi possono esercitarne anche la gestione ad alcune precise condizioni.

 

L’Autorità è intervenuta anche su questo punto, con il citato parere, auspicando un chiarimento in proposito, “nel senso di affermare che non viene imposta la pubblica proprietà delle reti che sino ad oggi sono private, fermo restando il principio che la gestione sia aperta ai privati”.

Infatti, stante la diffusa presenza di privati nella proprietà di reti ed impianti, la disposizione in esame implicherebbe un programma di riacquisto (o acquisto) di queste da parte degli enti locali con un notevole aggravio sulla finanza locale.

 

Il comma 6 riguarda l'affidamento simultaneo di una pluralità di servizi pubblici locali, che viene consentito ad una duplice condizione:

§      che venga esperita una gara;

§      che possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa.

La durata dell'affidamento simultaneo non può essere superiore alla durata media, calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

 

La questione dell’attività cosiddetta di multiutility è stata oggetto dell’ultima osservazione contenuta nel più volte citato parere dell’Antitrust che ritiene: “andrebbero stabiliti dalla legge rigorosi criteri di considerazione e dimostrazione dell’effettivo vantaggio economico di tale scelta organizzativa”, ciò al fine “di consentire l’effettiva emersione di economie di gamma e di produzione congiunta dei diversi servizi nonché, al contempo, evitare che tali gare agevolino determinate imprese già predisposte o atte all’esercizio di attività c.d. multiutility“. Inoltre, la concorrenza del sistema sarebbe garantita consentendo alle imprese di concorrere all’aggiudicazione anche di un solo distinto servizio tra quelli posti a gara.

 

Le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, d'intesa con la Conferenza unificata, possono definire i bacini di gara per i diversi servizi (comma 7), a condizione del rispetto di una serie di parametri di natura funzionale.

E' anche previsto il rispetto della normativa settoriale che, ai sensi del comma 1, sembrerebbe doversi identificare in quella che eventualmente residui dal confronto con la prevalente disciplina qui dettata.

In proposito, si ricorda che il disegno di legge A.C. 1441-bis, collegato alla manovra 2009, definisce una dimensione minima dei bacini di utenza per i servizi pubblici locali pari a 20.000 abitanti[146].

 

I commi 8 e 9, e la lettera e) del comma 10 delineano nel complesso un articolato sistema transitorio.

In via generale, ai sensi dell’articolo 10, lett. e), al regolamento di attuazione viene demandata la definizione della fase transitoria ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alla nuova disciplina, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo. Tale fase transitoria riguarda però esclusivamente le gestioni affidate con gare o in deroga, secondo la procedura comunitaria di cui al comma 2, dal momento che sono espressamente esclusi i soggetti affidatari con procedure diverse da queste due. Parimenti è escluso il servizio idrico.

Al servizio idrico è dedicata una apposita disposizione recata dal comma 8. Per quanto concerne le concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica se ne dispone la cessazione al 31 dicembre 2010 ex iure e dunque senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante delle concessioni

Le concessioni dirette (quelle di cui al comma 3) sono escluse da detta cessazione e presumibilmente cesseranno alla scadenza contrattuale.

Inoltre, non si fa alcun riferimento all’affidamento mediante gara.

Il comma fa altresì salvo quanto previsto dal citato comma 10, lettera e) che disciplina - ma per i settori diversi da quello idrico e fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3 - la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alla nuova disciplina, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo.

Per quanto riguarda le gestioni affidate con procedure diversa dalla gara - relativa a tutti i settori ad eccezione di quello idrico - l’articolo in esame contiene due disposizioni non direttamente correlate tra loro: da un lato (comma 10, lett. e) si fa rinvio alla disciplina di settore mantenendo ferma la durata massima ivi stabilita; dall’altro (comma 9, ultimo periodo) si introduce una norma “ghigliottina” che dispone che “in ogni caso”, si procede a gara per l’affidamento dei servizi entro il 31 dicembre 2010.

Dal combinato disposto delle due disposizioni, sembrerebbe che laddove la disciplina di settore preveda un termine anteriore al 2010 per la cessazione dell’affidamento senza gara si applichi tale disciplina; qualora preveda un termine posteriore, o nessun termine, si applichi la scadenza del 2010.

 

Il comma 9, inoltre, come anticipato a proposito del comma 3, stabilisce che i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive (previste dal comma 2), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti separata dall'attività di erogazione, non possano:

§      acquisire la gestione di servizi ulteriori,

§      acquisire la gestione di servizi in ambiti territoriali diversi,

§      svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare.

Il divieto non si applica alle società quotate in borsa.

 

Il comma 10 autorizza la delegificazione di una serie di ambiti inerenti l'attività di servizio pubblico locale, in house e non.

Il Governo è conseguentemente autorizzato ad emanare - entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame (entro il 17 febbraio 2008) - uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400[147], con il seguente procedimento:

§         proposta del ministro per i rapporti con le regioni;

§         parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-città e autonomie locali;

§         parere delle le competenti Commissioni parlamentari.

L’art. 17, co. 2, L. 400/1988 prevede che la norma che autorizza la delegificazione determini le norme generali regolatrici della materia. Il comma in esame reca piuttosto un’elencazione delle finalità degli emanandi regolamenti:

a)  assoggettare gli affidatari diretti al patto di stabilità interno e le società in house e le società a partecipazione mista alle procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e per l’assunzione di personale; si tratta in sostanza di tratti pubblicistici attribuiti a carico delle "meno private" tra le società di servizi;

b)  consentire ai comuni con minor popolazione residente di ricorrere a servizi pubblici locali in forma associata;

c)  distinguere "nettamente" tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d)  "armonizzare" la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando, come accennato, le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e)  disciplinare per i settori diversi da quello idrico la fase transitoria (vedi sopra);

f)   applicare il principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere;

g)  limitare i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

h)  prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

i)   disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l)   prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

m)       individuare espressamente le norme abrogate ai sensi dell'articolo in esame.

 

Il comma 11 dispone l’abrogazione delle disposizioni contenute nell'art. 113 del D.Lgs. 267/2000 (testo unico sugli enti locali) recante la disciplina in materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nelle parti incompatibili con la normativa introdotta.

Il comma non indica espressamente quali parti dell'art. 113 sono abrogate (l’individuazione è dunque sostanzialmente lasciata all'interprete), diversamente da quanto prevedono le regole per la formulazione tecnica dei testi legislativi[148].

 

Il comma 12 fa salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (22 agosto 2008).


 

Articolo 24
(Taglia-leggi)

 

1. A far data dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato A e salva l’applicazione dei commi 14 e 15 dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246.

1-bis. ll Governo individua, con atto ricognitivo, le disposizioni di rango regolamentare implicitamente abrogate in quanto connesse esclusivamente alla vigenza degli atti legislativi inseriti nell’Allegato A.

La disposizione abrogativa

L’articolo 24, nel testo risultante dalle modifiche apportate durante l’iter parlamentare, dispone, al comma 1, l’abrogazione di 3.370 atti normativi di rango primario, riportati nell’allegato A al decreto-legge.

La disposizione – per la quantità delle abrogazioni previste – costituisce una novità a livello statale, mentre a livello regionale sono diverse le leggi di abrogazione generale che sono state approvate, utilizzando una formula analoga a quella qui utilizzata: “sono o restano abrogate”. Si tratta di una formula cautelativa, invero giustificata, considerando che non mancano, tra quelli elencati, i provvedimenti già formalmente abrogati anche nel recente passato (cfr. infra, il paragrafo relativo all’allegato).

 

Le abrogazioni decorrono dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto.

Oggetto di abrogazione – come chiarisce la relazione illustrativa – sono “un gran numero di atti di forza di legge che hanno esaurito i propri effetti:

§      leggi provvedimento ad efficacia temporanea;

§      leggi implicitamente abrogate che appesantiscono l’ordinamento vigente;

§      leggi tuttora vigenti considerate, tuttavia, dalle amministrazioni di riferimento palesemente obsolete”.

E’ fatta salva l’applicazione dei commi 14 e 15 dell’articolo 14 della legge n. 246 del 2005, che delega il Governo all’individuazione della normativa vigente adottata antecedentemente al 1970, disponendo l’automatica abrogazione, salve eccezioni, di tutti gli atti normativi non espressamente indicati come vigenti.

Per dare attuazione alla delega è stata compiuta una ricognizione a tappeto delle norme vigenti, che ha costituito la base per la disposizione in commento, come chiarito nella relazione illustrativa.

Il riferimento alla citata disposizione di delega, nota come taglia-leggi (analogamente alla rubrica dell’articolo in esame), che scadrà il 16 dicembre 2009, sembrerebbe implicare la volontà del Governo di non rinunciare alla sua attuazione, pur avendola in parte anticipata con l’articolo in esame, che utilizza un meccanismo speculare rispetto alla delega medesima (l’elencazione delle disposizioni da abrogare in luogo della indicazione delle disposizioni vigenti).

 

Il comma 1-bis autorizza il Governo ad individuare, con atto ricognitivo, le disposizioni di rango regolamentare implicitamente abrogate in quanto connesse esclusivamente alla vigenza degli atti legislativi inseriti nell’allegato A.

La disposizione fa riferimento ad un non meglio specificato “atto ricognitivo”, senza chiarire la forma che dovrebbe assumere. Si può tuttavia ritenere che esso debba essere adottato con decreto del Presidente della Repubblica, per poter procedere all’abrogazione di atti ad esso equiordinati, cioè di regolamenti adottati per l’appunto in forma di D.P.R.

 

La delega taglia-leggi

L'articolo 14, commi 12-24, della legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, reca una duplice, concorrente delega legislativa, avente ad oggetto:

§      l'individuazione delle disposizioni legislative statali (anteriori al 1970) delle quali si ritenga indispensabile la permanenza in vigore, così sottraendole all'abrogazione automatica e generalizzata, disposta dal medesimo articolo;

§      la semplificazione e il riassetto delle materie di volta in volta considerate.

 

Quanto al procedimento disegnato dalla citata legge n. 246, esso si articola in tre 'tempi':

§      la individuazione (entro il 16 dicembre 2007) delle disposizioni statali vigenti per settori legislativi e delle loro incongruenze o antinomie, da parte del Governo che ne trasmette relazione al Parlamento;

§      la individuazione con decreti legislativi (entro il 16 dicembre 2009) delle disposizioni legislative statali (anteriori al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi) ritenute indispensabili, da sottrarre pertanto all'effetto di abrogazione generalizzata statuito dal medesimo articolo 14 (effetto al quale sono sottratte, inoltre, alcune disposizioni direttamente indicate dalla medesima legge n. 246). Con i predetti decreti legislativi (emanati previo parere della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione) si provvede altresì "alla semplificazione o al riassetto della materia che ne è oggetto";

§      l'adozione di disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi sopra rammentati, entro due anni successivi alla data di loro entrata in vigore.

 

Al meccanismo di abrogazione automatica sono sottratti due insiemi di disposizioni:

§      disposizioni codicistiche o di testi unici; di disciplina degli organi costituzionali o aventi rilevanza costituzionale o dell'ordinamento delle magistrature; di esplicitazione dei principi fondamentali della legislazione dello Stato nelle materie di legislazione concorrente; di adempimento di accordi internazionali o di obblighi comunitari; in materia previdenziale e assistenziale; tributarie e di bilancio (questa la previsione dell'articolo 14, comma 17 della legge n. 246);

§      le disposizioni individuate nei decreti legislativi delegati, che le 'salvano' in quanto indispensabili, riconoscendo così per esse la non fondatezza di una, per così dire, 'presunzione di obsolescenza’ basata su criterio temporale.

 

In ottemperanza alla prima delle fasi sopra ricordate - quella ricognitiva per settori normativi - il Governo (come già preannunziato nel suo Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione) ha trasmesso al Parlamento apposita relazione (Documento XXVII, n. 7 della XV legislatura), che contiene il censimento delle norme formalmente vigenti effettuato – con la direzione del Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione – attraverso due principali canali informativi: un lavoro di ricognizione effettuato da ciascuna amministrazione ministeriale; un’attività ricognitiva svolta da un gruppo di esperti, sulla scorta delle banche dati giuridiche esistenti (pubbliche o private).

Complessivamente, sono stati censiti circa 21.000 atti normativi (quasi esclusivamente) di rango primario, di cui circa 7.000 emanati nel periodo antecedente al 1° gennaio 1970.

"Una prima proiezione consente di prevedere che almeno un quarto dei circa 21.000 atti censiti potranno essere eliminati", si legge nella relazione.

Ora, il provvedimento in esame, utilizzando un meccanismo speculare a quello previsto dalla delega, e cioè ricorrendo alla elencazione delle disposizioni abrogate (piuttosto che delle disposizioni considerate vigenti), dispone l’abrogazione di 3.370 atti normativi, cioè di poco meno di un quinto dei 21.000 provvedimenti censiti.

Il provvedimento in esame, inoltre, si muove in un ambito più vasto rispetto al dispositivo previsto dalla delega, sia dal punto di vista temporale (le abrogazioni riguardano atti normativi non soltanto antecedenti al 1970 ma anche successivi, fino al 1997), sia dal punto di vista materiale (include infatti tra le abrogazioni anche disposizioni escluse dall’applicazione della delega, quali i testi unici, le leggi di bilancio, di ratifica, etc.) .

L’allegato

Per quanto riguarda l’allegato, esso presenta gli atti normativi abrogati in ordine cronologico. Si segnala in proposito che alcune delle leggi regionali di abrogazione generale sopra richiamate hanno utilizzato il criterio cronologico in seconda istanza, procedendo dapprima ad una opportuna classificazione delle leggi per settori. Si rammentano, tra le altre, le leggi regionali della Campania 5 dicembre 2005, n. 21 (“Riordino normativo ed abrogazione espressa di leggi tacitamente abrogate o prive di efficacia”) e della Toscana 2 aprile 2002, n. 11 (“Semplificazione del sistema normativo regionale – anno 2002. Abrogazione di disposizioni normative”).

 

Dal punto di vista cronologico, si può rilevare quanto segue:

§      49 atti normativi risalgono all’Ottocento;

§      907 sono antecedenti alla entrata in vigore della Costituzione;

§      2.514 sono antecedenti al 1° gennaio 1970 (la data indicata come discrimine dalla delega taglia-leggi);

§      l’ultimo atto normativo abrogato risale al 1997.

 

Si segnala la presenza nell’allegato di numerosi atti normativi che risultano già abrogati e di qualche imprecisione riguardante sia i titoli, sia le date dei provvedimenti.

A titolo esemplificativo, per limitarsi a pochi casi:

-        la legge 25 giugno 1865, n. 2359, Espropriazioni per causa di pubblica utilità, indicata al n. 2 dell’elenco, risulta già abrogata ad opera dell’articolo 58 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità) e dell’articolo 58 del DPR 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità);

-        la legge 30 agosto 1868, n. 4577, Legge concernente i marchi ed i segni distintivi di fabbrica, indicata al n. 6, è stata abrogata dall'articolo 85 del regio decreto 21 giugno 1942, n. 929 (che abroga anche il regio decreto n. 1970 del 29 luglio 1923, riportato al n. 180, ma limitatamente agli articoli da 5 in poi, ed è stato a sua volta abrogato dal codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30);

-        la legge 29 maggio 1873, n. 1387, Legge sui consorzi di irrigazione, indicata al n. 9 dell’elenco, è confluita nel testo unico approvato con regio decreto 2 ottobre 1922, n. 1747, che è stato abrogato dall’articolo 119 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215;

-        il regio decreto 10 luglio 1924, n. 1256, Impiego della radiotelegrafia e radiotelefonia nei porti del Regno e delle Colonie da parte di navi da guerra estere, indicato al n. 227, risulta già abrogato dall'articolo 19 del regio decreto 24 agosto 1933, n. 2423;

-        il regio decreto 3 agosto 1928, n. 2139 figura due volte nell’allegato, ai numeri 359 e 361 mentre è omesso il numero d’ordine 360 che, nella versione originaria, si riferiva alla legge 3 agosto 1928, n. 1961;

-        la legge abrogata al n. 619 è la legge 17 giugno (e non 7 giugno, come indicato) 1937, n. 1019.

-        la legge abrogata al n. 2567 è la legge 3 dicembre (e non 23 dicembre, come indicato) 1970, n. 1053.

 


 

Articolo 25
(Taglia-oneri amministrativi)

 


1. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, è approvato un programma per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato, con l'obiettivo di giungere, entro il 31 dicembre 2012, alla riduzione di tali oneri per una quota complessiva del 25%, come stabilito in sede europea. Per la riduzione relativa alle materie di competenza regionale, si provvede ai sensi dell'articolo 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dei successivi accordi attuativi.

2. In attuazione del programma di cui al comma 1, il Dipartimento della funzione pubblica coordina le attività di misurazione in raccordo con l'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione e le amministrazioni interessate per materia.

3. Ciascun Ministro, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro per la semplificazione normativa, adotta il piano di riduzione degli oneri amministrativi, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo di cui al comma 1, assegnando i relativi programmi ed obiettivi ai dirigenti titolari dei centri di responsabilità amministrativa. I piani confluiscono nel piano d'azione per la semplificazione e la qualità della regolazione di cui al comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, che assicura la coerenza generale del processo nonché il raggiungimento dell'obiettivo finale di cui al comma 1.

4. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, si provvede a definire le linee guida per la predisposizione dei piani di cui al comma 3 e delle forme di verifica dell'effettivo raggiungimento dei risultati, anche utilizzando strumenti di consultazione pubblica delle categorie e dei soggetti interessati.

5. Sulla base degli esiti della misurazione di ogni materia, congiuntamente ai piani di cui al comma 3, e comunque entro il 30 settembre 2012, il Governo è delegato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro o i Ministri competenti, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei settori misurati e a semplificare e riordinare la relativa disciplina. Tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

6. Degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti con le attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese è data tempestiva notizia sul sito web del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa e dei Ministeri e degli enti pubblici statali interessati.

7. Del raggiungimento dei risultati indicati nei singoli piani ministeriali di semplificazione si tiene conto nella valutazione dei dirigenti responsabili.


 

 

La disposizione taglia-oneri amministrativi

L’articolo 25 è finalizzato alla misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato ed alla loro riduzione, entro il 31 dicembre 2012, per una quota complessiva del 25 per cento, ottemperando all’impegno assunto in sede di Unione europea dallo Stato italiano.

Tale finalità è perseguita attraverso tre passaggi:

§      l’approvazione – evidentemente da parte del Consiglio dei ministri, anche se non viene esplicitato – di un programma di misurazione degli oneri amministrativi, predisposto dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e dal Ministro per la semplificazione normativa (comma 1). Il coordinamento delle attività di misurazione è affidato, dal comma 2, al Dipartimento della funzione pubblica, in raccordo con l’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione[149] e le amministrazioni interessate a ciascun settore ove viene effettuata la misurazione stessa;

§      l’adozione da parte di ciascun Ministro, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione ed il Ministro per la semplificazione normativa, di un piano di riduzione degli oneri amministrativi, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo della riduzione stessa. I piani elaborati dai singoli Ministri confluiscono nel piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione, che assicura la coerenza generale del processo (comma 3);

§      sulla base degli esiti della misurazione degli oneri amministrativi gravanti su ciascun settore (così va senz’altro interpretata l’espressione “misurazione di ogni materia”, utilizzata al comma 5), congiuntamente ai piani di cui al comma 3, e comunque entro il 30 settembre 2012, il Governo è delegato rectius, autorizzato – ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro o i Ministri competenti, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei diversi settori ed a semplificare e riordinare la relativa disciplina. L’esclusivo riferimento agli oneri gravanti sulle imprese potrebbe far pensare ad una restrizione dell’ambito di intervento, rispetto alla previsione del comma 1, che si riferisce in generale agli oneri amministrativi, inclusi – dunque – quelli gravanti sui cittadini. Peraltro, già la Commissione europea, nel programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi dell’Unione europea, presentato a tutte le istituzioni europee nel gennaio 2007, ha ristretto il campo d’intervento comunitario ai soli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, pur riconoscendo che il programma possa portare benefici anche ai consumatori (attraverso una riduzione dei prezzi).

Gli interventi di riduzione – con formula invero di difficile comprensione – confluiscono nel processo di riassetto normativo di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59[150]. Obiettivo della norma sembrerebbe quello di definire per relationem – conformemente al modello di cui all’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, il quale impone al legislatore di definire le norme generali regolatrici della materia devoluta a regolamenti di delegificazione – i principi e criteri cui devono conformarsi i regolamenti stessi, che nel comma 8 del citato articolo 20 vengono così esposti:

1)        trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti amministrativi di funzioni anche decisionali, che non richiedono, in ragione della loro specificità, l'esercizio in forma collegiale, e sostituzione degli organi collegiali con conferenze di servizi o con interventi, nei relativi procedimenti, dei soggetti portatori di interessi diffusi;

2)        individuazione delle responsabilità e delle procedure di verifica e controllo;

3)        soppressione dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in contrasto con i princìpi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario;

4)        soppressione dei procedimenti che comportino, per l'amministrazione e per i cittadini, costi più elevati dei benefìci conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell'attività amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati, prevedendone comunque forme di controllo;

5)        adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio;

6)        soppressione dei procedimenti che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non sussistano più le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale;

7)        regolazione, ove possibile, di tutti gli aspetti organizzativi e di tutte le fasi del procedimento.

 

In particolare, il principio di cui al punto 2) circa l’individuazione delle responsabilità sembrerebbe speculare alla previsione del comma 7 dell’articolo in esame, in base alla quale il raggiungimento dei risultati costituisce parametro di valutazione dei dirigenti responsabili.

Il comma 6, infine, prevede un costante aggiornamento degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti con le attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese (si conferma anche qui la delimitazione del campo alle sole imprese, come già al comma 5).

I risultati attesi dalla riduzione degli oneri amministrativi

Il Dipartimento della funzione pubblica, nel documento “Un taglio ai costi della burocrazia. Primi risultati del programma di misurazione e riduzione degli oneri”, elaborato in collaborazione con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e pubblicato sul sito del Dipartimento stesso, dà conto delle attività fin qui svolte nel processo di misurazione degli oneri amministrativi in alcune aree dove si è proceduto in via sperimentale (cfr. quanto detto nel paragrafo relativo al Piano per la semplificazione).

I primi esiti di tali attività hanno portato – tra l’altro – all’introduzione, nel provvedimento in esame, dell’articolo 39, che sostituisce al libro paga il libro unico del lavoro. La semplificazione operata in relazione a questo specifico adempimento a carico delle imprese comporta, secondo le stime del Dipartimento della funzione pubblica, una riduzione dei costi da 6 miliardi di euro a 2,7 miliardi l’anno.

L’impatto complessivo in termini di prodotto interno lordo è stimato, a regime, in una percentuale pari all’1,7 per cento del PIL stesso, per una cifra complessiva di circa 75 miliardi di euro, come risulta dalla seguente tabella pubblicata a pag. 7 del documento:

 

Voce

2009

2010

2011

2012

(a regime)

Riduzione % oneri ammini­strativi (*)

6,3%

12,5%

18,8%

25%

Contributo alla crescita del PIL

0,4%

0,9%

1,3%

1,7%

Crescita in valore del PIL (milioni di euro)

6.981,55

14.456,54

22.459,35

30.967,94

(*)    Si ipotizza un percorso lineare di riduzione degli oneri.

La cornice comunitaria e la dimensione regionale

La disposizione in esame, come già accennato, fa seguito all’impegno assunto dagli Stati membri dell’Unione europea, inclusa l’Italia, in occasione del Consiglio europeo riunitosi l'8-9 marzo 2007.

Le conclusioni della Presidenza, rese al suo termine, così recitano:

Il Consiglio europeo sottolinea che la riduzione degli oneri amministrativi costituisce una misura importante per stimolare l'economia europea, specialmente attraverso il suo impatto sulle piccole e medie imprese. È necessario un forte sforzo congiunto per ridurre in maniera significativa gli oneri amministrativi all'interno dell'Unione europea. Il Consiglio europeo concorda pertanto sulla necessità di ridurre del 25 per cento entro il 2012 gli oneri amministrativi derivanti dalla legislazione dell'Unione europea.

Tenendo conto delle diverse posizioni iniziali e tradizioni, il Consiglio europeo invita gli Stati membri a fissare i loro obiettivi nazionali con livello di ambizione comparabile nei rispettivi ambiti di competenza entro il 2008.

 

Fedelmente all’impegno assunto, l’articolo in esame definisce l’obiettivo perseguito a livello nazionale, dettando i diversi passaggi da seguire a livello statale e rimandando, per il livello regionale, a quanto previsto dall’articolo 20-ter della citata legge n. 59/1997 e dai successivi accordi attuativi. Il riferimento, in particolare, è all’Accordo tra Governo, Regioni e Autonomie locali in materia di semplificazione e miglioramento della qualità della regolamentazione, siglato in sede di Conferenza unificata il 29 marzo 2007.

 

L’accordo ha dato attuazione al disposto dell’articolo 2 della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, che ha introdotto, nell’ambito della legge 15 marzo 1997, n. 59, l’articolo 20-ter, prevedendo, per l’appunto, “in attuazione del principio di leale collaborazione”, la conclusione, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, di accordi volti al “perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità normativa nell'ambito dei rispettivi ordinamenti”.

L'articolo 9 dell'accordo ha per oggetto la misurazione e riduzione degli oneri amministrativi.

Vi si formula l'impegno per lo Stato e le regioni di ridurre gli oneri amministrativi del 25 per cento entro il 2012, recependo per la prima volta nell'ordinamento italiano tale impegno, già concordato, in sede di Unione europea, nella riunione del Consiglio dei ministri svoltasi venti giorni prima.

 

Nella cornice dell’articolo 9 dell’accordo si inscrivono:

-       l’indagine condotta dal Formez e presentata nell’ambito del Forum della pubblica amministrazione nel maggio 2008;

L’indagine, condotta su dodici Regioni, ha evidenziato “un ritardo, seppur con dei distinguo da regione a regione, nell’acquisizione e applicazione di strumenti di semplificazione, sia dal punto di vista organizzativo che procedimentale”[151].

-       le attività sperimentali in materia di riduzione degli oneri amministrativi avviate in quattro Regioni campione, sempre in collaborazione con il Formez (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana).

La riduzione degli oneri amministrativi nel Piano d’azione per la semplificazione 2007 e le previsioni per il prossimo Piano

A distanza di due mesi e mezzo dalla sigla dell’accordo, il Consiglio dei ministri ha approvato, il 15 giugno 2007, il "Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione", predisposto dal Comitato interministeriale per l'indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione (istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2006).

La elaborazione del Piano è stata prevista dal decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante "Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione" (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80), che all'articolo 1, comma 2, statuisce che il Piano di azione ogni anno sia, sentito il Consiglio di Stato, approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso al Parlamento.

Ampia parte delle linee d'azione del Piano 2007 concerne la riduzione degli oneri amministrativi.

Quale atto programmatico il Piano non reca, salvo alcune eccezioni, "una indicazione dettagliata degli strumenti per conseguire i risultati. La scelta di tali strumenti è pertanto in gran parte lasciata ai singoli Ministeri in fase di direttiva ai propri uffici di gabinetto, legislativi e amministrativi, per l'attuazione del piano" (evidenzia il Consiglio di Stato nel suo parere). A differenza del Piano. la disposizione in esame definisce invece i passaggi e la cornice cui si devono attenere tutte le amministrazioni.

La politica di semplificazione si intreccia, nel disegno del Piano, con quelle di liberalizzazione delle attività economiche e di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un tema di particolare rilevanza, in connessione con l’obbligo che grava sullo Stato italiano di dare attuazione alla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta “direttiva servizi” o “Bolkestein”).

In quella politica si iscrive la riduzione degli oneri amministrativi, definibili quali i costi sostenuti dalle imprese, dal terzo settore, dalle pubbliche amministrazioni e dai cittadini per soddisfare l’obbligo giuridico di fornire informazioni sulle proprie attività, alle autorità pubbliche o ai privati.

Il Piano individua le aree prioritarie di misurazione per il 2007 (privacy; ambiente; paesaggio e beni culturali; fisco e dogane; sicurezza civile (prevenzione incendi); codice della navigazione; previdenza e lavoro) e pone l’obiettivo di riduzione degli oneri amministrativi entro il 2008.

Le sette materie indicate nel Piano, innanzi rammentate, sono parzialmente diverse rispetto a quelle individuate dalla Commissione europea nell’ambito del suo piano di riduzione degli oneri amministrativi (diritto societario; legislazione farmaceutica; ambiente di lavoro e rapporti di lavoro; legislazione fiscale; statistiche; agricoltura e sovvenzioni agricole; sicurezza alimentare; trasporti; pesca; servizi finanziari; ambiente; politica di coesione; appalti pubblici).

La sperimentazione ha riguardato effettivamente la misurazione degli obblighi informativi sia delle imprese sia dei cittadini nei seguenti ambiti:

§      area privacy: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali;

§      area ambiente: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale;

§      area prevenzione incendi: obblighi informativi derivanti dal rilascio degli attestati di conformità alla normativa in materia di sicurezza (decreto legislativo n. 139/2006; DPR n. 12/1998; decreti del Ministro dell’interno in data 12 febbraio 1982, e successive modificazioni, e 9 maggio 1997);

§      area paesaggio e beni culturali: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio”;

§      area lavoro e previdenza: la misurazione è stata effettuata distintamente per il settore lavoristico e per quello previdenziale ed assistenziale.

Sul sito Internet del Dipartimento per l’innovazione nella pubblica amministrazione – nel documento sopra segnalato – sono disponibili i risultati della misurazione effettuata in ciascuna delle cinque aree, che si è tradotta in ulteriori misure contenute nel provvedimento in esame, volte alla semplificazione in materia di privacy, di controlli per le aziende certificate e di lavoro.

Come già accennato, il comma 3 della disposizione in esame stabilisce la confluenza dei piani predisposti dai singoli Ministri nel Piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione (senza precisare se ci si intenda riferire al Piano per il 2008, come tuttavia sembrerebbe) confermandone la valenza strategica.

Il metodo di misurazione degli oneri amministrativi: lo Standard Cost Model[152]

Lo Stato e le Regioni italiane hanno adottato il metodo di misurazione degli oneri amministrativi messo a punto, con alcune varianti ed adattamenti, dalla Commissione europea sulla base dell’esperienza dei Paesi Bassi.

Gli oneri amministrativi sono definiti come i costi sostenuti dalle imprese, dal terzo settore, dalle pubbliche amministrazioni e dai cittadini per soddisfare l’obbligo giuridico di fornire alle autorità pubbliche o ai privati informazioni sulle proprie attività.

Secondo tale accezione, la riduzione degli oneri amministrativi riguarda la semplificazione delle procedure di fornitura delle informazioni da parte dei soggetti obbligati.

Nel lessico di cui si avvale la Commissione europea, vi è distinzione tra costiamministrativi e oneriamministrativi. I primi si riferiscono alle informazioni che i soggetti raccolgono anche in assenza di un preciso obbligo giuridico; i secondi alle informazioni che non verrebbero rilevate in assenza di apposite prescrizioni in materia.

L’obiettivo formulato dalla Commissione è di misurare i costi e ridurre gli oneri.

La complessità normativa comporta la necessità di un meccanismo di misurazione che riguardi i singoli obblighi di informazione.

La Commissione europea ritiene che siffatto strumento di misurazione possa essere dato dallo Standard Cost Model, in una versione comunitaria.

Si tratta di un modello analitico-matematico per effettuare una quantificazione dei cosiddetti administrative burdens secondo regole per quanto possibile oggettive.

 

La stima degli oneri amministrativi è realizzata partendo dal presupposto che la legislazione sia rispettata da tutte le imprese ed i soggetti interessati.

Stabilito quel che si intenda per onere amministrativo ed individuati gli oneri normativamente previsti, si può procedere alla quantificazione.

 

In sintesi, l'equazione dello Standard Cost Model consiste nel moltiplicare il Prezzo (Tariffa moltiplicato Tempo) per la Quantità (Numero dei soggetti tenuti a trasmettere l'informazione moltiplicato la Frequenza della trasmissione di informazione).

 

L’attività di ricerca e di misurazione si conclude con una relazione “a struttura aperta”, che consente una valutazione ed una verifica: dell’obbligo di informazione che si sta esaminando; dell'attività amministrativa che deve essere svolta per ottemperare all’obbligo di informazione; delle modalità di calcolo dei costi.

La struttura aperta consente il calcolo in situazioni differenti, relative alla variazione della normativa.

Scopo dello Standard Cost Model propugnato dalla Commissione europea è quello di fornire un modello di misurazione degli oneri amministrativi il più uniforme possibile, al fine di garantire una valutazione cross country delle normative dei singoli ordinamenti.

Per quanto riguarda l’individuazione degli obblighi di informazione, la Commissione prospetta una mappatura di tutti gli obblighi di informazione, per armonizzare la misurazione del relativo onere.

Relativamente al confronto tra i diversi risultati, soprattutto per i dati già raccolti, è sollecitato un livello minimo di armonizzazione tra i diversi Stati membri, in base ai parametri indicati dalla Commissione stessa, in particolare circa: classificazione degli obblighi di informazione secondo la fonte normativa; quozienti dei costi standardizzati; tipo di attività amministrativa e soggetti interessati; definizione di impresa efficiente e di soggetti interessati.

Forte rilievo assume in tale prospettiva - rileva la Commissione europea - la sinergia tra Unione europea e Stati membri (così come è prevista la costituzione di un gruppo internazionale di esperti, col compito di assistere la Commissione e le amministrazioni pubbliche nazionali sia nella misurazione sia nella riduzione degli oneri amministrativi).

L'obiettivo indicato dalla Commissione è una generale riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi.

 

Si tratta dunque (in via esemplificativa) di perseguire: la riduzione della frequenza di trasmissione delle informazioni; la verifica che la stessa informazione non venga richiesta più volte; la richiesta di informazioni in formato elettronico; l’introduzione di soglie di esclusione per le prescrizioni in materia di informazione; la valutazione della possibilità di sostituire gli obblighi generalizzati con un’impostazione in funzione del rischio, limitando l'obbligo di fornire informazioni agli operatori che sopportano i rischi maggiori; la riduzione o soppressione di prescrizioni di trasmissione di informazioni, qualora queste si riferiscono a disposizioni legislative non più in vigore o successivamente modificate.

 


 

Articolo 26
(Taglia-enti)


1. Gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle 50 unità, con esclusione degli ordini professionali e loro federazioni, delle federazioni sportive e degli enti non inclusi nell’elenco ISTAT pubblicato in attuazione del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, degli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni, anche con riferimento alle leggi 20 luglio 2000, n. 211, istitutiva della Giornata della memoria, e 30 marzo 2004, n. 92, istitutiva del Giorno del ricordo, nonché delle Autorità portuali, degli enti parco e degli enti di ricerca, sono soppressi al novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad eccezione di quelli confermati con decreto dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, da emanarsi entro il predetto termine. Sono, altresì, soppressi tutti gli enti pubblici non economici, per i quali, alla scadenza del 31 marzo 2009, non siano stati emanati i regolamenti di riordino ai sensi del comma 634 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Nei successivi novanta giorni i Ministri vigilanti comunicano ai Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa gli enti che risultano soppressi ai sensi del presente comma.

2. Le funzioni esercitate da ciascun ente soppresso sono attribuite all’amministrazione vigilante ovvero, nel caso di pluralità di amministrazioni vigilanti, a quella titolare delle maggiori competenze nella materia che ne è oggetto. L’amministrazione così individuata succede a titolo universale all’ente soppresso, in ogni rapporto, anche controverso, e ne acquisisce le risorse finanziarie, strumentali e di personale. I rapporti di lavoro a tempo determinato, alla prima scadenza successiva alla soppressione dell’ente, non possono essere rinnovati o prorogati.

3. Il comma 636 dell’articolo 2 e l’allegato A della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché i commi da 580 a 585 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.

4. All’alinea del comma 634 del medesimo articolo 2 della predetta legge n. 244 del 2007 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione» sono sostituite dalle seguenti: «Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa»;

b) le parole: «amministrative pubbliche statali» sono sostituite dalle seguenti: «pubbliche statali o partecipate dallo Stato, anche in forma associativa,»;

c) le parole: «termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2008».

5. All’articolo 1, comma 4, della legge 27 settembre 2007, n. 165, le parole: «e con il Ministro dell’economia e delle finanze» sono sostituite dalle seguenti: «, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la semplificazione normativa».

6. L’Unità per il monitoraggio, istituita dall’articolo 1, comma 724, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è soppressa a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e la relativa dotazione finanziaria, pari a due milioni di euro annui, comprensiva delle risorse già stanziate, confluisce in apposito fondo da istituire nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

7. Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni, sono determinate le finalità e le modalità di utilizzazione delle risorse di cui al comma 6.


L’articolo 26 delinea una nuova procedura per addivenire alla soppressione di enti pubblici, destinata ad aggiungersi e ad integrare i precedenti interventi in materia, ed in particolare il più recente, quello introdotto dai co. 634 e seguenti dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244).

 

Le più recenti misure di ordine generale in materia di riordino degli enti pubblici hanno trovato collocazione nelle due ultime leggi finanziarie.

I co. 482-484 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), novellando il previgente art. 28 della L. 448/2001 (legge finanziaria 2002), già intervenuto in materia, affidavano a uno o più regolamenti di delegificazione il compito di procedere al riordino, alla trasformazione o alla soppressione e messa in liquidazione degli enti ed organismi pubblici, nonché di strutture amministrative pubbliche, entro il 30 giugno 2007, e definiva i princìpi e criteri direttivi per l’adozione dei regolamenti[153].

La legge finanziaria 2008 (art. 2, co. 634-640), al fine di conseguire obiettivi di stabilità e crescita, ridurre il complesso della spesa di funzionamento delle amministrazioni pubbliche, incrementare l’efficienza e migliorare la qualità dei servizi, ha previsto l’adozione, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima (cioè entro il 29 giugno 2008), di regolamenti di delegificazione per il riordino, la trasformazione o la soppressione e messa in liquidazione di enti ed organismi pubblici statali e la conseguente soppressione di taluni enti, organismi e strutture, previsti nell’allegato A della legge, che non siano stati riordinati entro il citato termine.

I regolamenti sono adottati – secondo un procedimento analogo a quello già dettato dall’art. 28 (e successive modificazioni) della legge finanziaria 2002 – su proposta del ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e del ministro per l’attuazione del programma di Governo, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze e con il ministro interessato, sentite le organizzazioni sindacali per quanto riguarda i riflessi sulla destinazione del personale; i relativi schemi sono soggetti al parere della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione, istituita dalla legge di semplificazione 2005[154] (L. 246/2005), da rendersi entro trenta giorni (con possibilità di una proroga di venti giorni) decorsi i quali il parere si intende espresso favorevolmente.

I regolamenti devono attenersi ai seguenti “princìpi e criteri direttivi”:

-        fusione degli enti, organismi e strutture pubbliche comunque denominate che svolgono attività analoghe o complementari, con conseguente riduzione della spesa complessiva e corrispondente riduzione del contributo statale di funzionamento;

-        trasformazione degli enti ed organismi pubblici che non svolgono funzioni e servizi di rilevante interesse pubblico in soggetti di diritto privato ovvero soppressione e messa in liquidazione degli stessi. Per la soppressione e messa in liquidazione si rinvia alle modalità previste dalla L. 1404/1956[155]. Resta fermo quanto previsto dalla successiva lett. e) (v. infra) in ordine alla responsabilità finanziaria dello Stato per gli enti soppressi o liquidati, nonché dall’art. 9, co. 1-bis, lett. c), del D.L. 63/2002[156], a seguito del quale è stata approvata la convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze e la Fintecna Spa per l’affidamento della gestione della liquidazione e del contenzioso degli enti soppressi[157];

-        fusione, trasformazione o soppressione degli enti che svolgono attività in materie devolute alla competenza legislativa regionale ovvero attività relative a funzioni amministrative conferite alle regioni o agli enti locali;

-        razionalizzazione degli organi di indirizzo amministrativo, di gestione e consultivi, nonché riduzione del numero dei componenti degli organi collegiali in misura non inferiore al 30 per cento ma compatibile con la funzionalità degli stessi;

-        limitazione dellaresponsabilità finanziaria dello Stato per gli enti soppressi o liquidati all’attivo della singola liquidazione;

-        abrogazione delle disposizioni legislative che prescrivono il finanziamento, diretto o indiretto, a carico del bilancio dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, degli enti ed organismi pubblici soppressi e posti in liquidazione o trasformati in soggetti di diritto privato;

-        trasferimento delle funzioni degli enti soppressi all’amministrazione con “preminente competenza” nella materia.

Una norma “di chiusura” prevede che una serie di enti e organismi, elencati nell’allegato A alla legge finanziaria, siano soppressi ex legeove, alla scadenza del termine di 180 giorni per l’adozione dei regolamenti, non risultino oggetto di alcun intervento di razionalizzazione. Le funzioni degli enti soppressi ex lege dovranno essere attribuite – con regolamenti di delegificazione adottati con le procedure sopra descritte – all’amministrazione con competenza “primaria” nella materia. Sempre con regolamento di delegificazione è previsto si disponga in ordine alla destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi. L’elenco di cui all’allegato A reca gli 11 enti che seguono:

-        Unione italiana di tiro a segno (UITS), istituita con regio decreto-legge 16 dicembre 1935, n. 2430, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1936, n. 1143;

-        Unione nazionale ufficiali in congedo d'Italia (UNUCI), istituita con regio decreto-legge 9 dicembre 1926, n. 2352, convertito dalla legge 12 febbraio 1928, n. 261;

-        Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia (EIPLI), istituito con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 18 marzo 1947, n. 281, ratificato, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1952, n. 1005;

-        Ente irriguo umbro toscano, istituito con legge 18 ottobre 1961, n. 1048;

-        Unione accademica nazionale (UAN)[158], istituita con regio decreto 18 novembre 1923, n. 2895;

-        Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”[159], istituita con regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1447, convertito dalla legge 27 dicembre 1937, n. 2254;

-        Opera nazionale per i figli degli aviatori (ONFA), istituita con regio decreto 21 agosto 1937, n. 1585;

-        Ente opere laiche palatine pugliesi, istituito con regio decreto-legge 23 gennaio 1936, n. 359, convertito dalla legge 14 maggio 1936, n. 1000;

-        Istituto nazionale di beneficenza “Vittorio Emanuele III”;

-        Pio istituto elemosiniere;

-        Comitato per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo dei BalcaniUnità tecnico-operativa, istituiti con legge 21 marzo 2001, n. 84 (artt. 1 e 2).

Entro i successivi sei mesi, con D.P.C.M. soggetto a previo parere delle Commissioni parlamentari, si provvede in ordine alla destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi. Sono irrilevanti a fini fiscali tutti gli atti connessi alle “operazioni di trasformazione”[160].

Non risultano adottati regolamenti di delegificazione in attuazione della disciplina sin qui descritta.

 

Il comma 1 dell’articolo in commento dispone la soppressione ipso iure, senza necessità di ulteriori adempimenti, degli enti pubblici non economici aventi una dotazione organica inferiore alle 50 unità. La soppressione è destinata ad acquistare efficacia il novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (22 agosto 2008) cioè alla data del 20 novembre 2008, a meno che, entro il medesimo termine, un decreto dei ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa provveda a confermare la sussistenza di taluni tra questi enti.

Restano comunque esclusi dalla soppressione di diritto:

§      gli ordini professionali e le loro federazioni;

§      le federazioni sportive;

§      le autorità portuali;

§      gli enti parco;

§      gli enti di ricerca;

§      gli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni;

§      gli enti non inclusi nell’elenco ISTAT pubblicato in attuazione dell’art. 1, co. 5, della legge finanziaria 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311). Il menzionato elenco individua le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato.

 

Sulla base del Sec95, il sistema europeo dei conti, l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) predispone l'elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle amministrazioni pubbliche (settore s13), i cui conti concorrono alla costruzione del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche. Ai sensi del citato art. 1, co. 5, della legge finanziaria 2005, l’ISTAT è tenuto, con proprio provvedimento, a pubblicare tale elenco nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno.

Il più recente elenco è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 178 del 31 luglio 2008[161].

Il medesimo comma 1 dispone inoltre la soppressione ex lege, con decorrenza 31 marzo 2009, di tutti gli enti pubblici non economici per i quali alla stessa data non siano stati emanati i regolamenti di riordino ai sensi del sopra menzionato art. 2, co. 634, della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008).

L’individuazione degli enti soppressi è effettuata ex post dai ministri vigilanti che, entro i novanta giorni successivi (alla scadenza, è da ritenere, di ciascuno dei due termini sopra riportati) ne danno comunicazione ai ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa.

 

Le funzioni esercitate dagli enti soppressi, con le relative risorse finanziarie ed umane, sono attribuite all’amministrazione vigilante (comma 2). Quest’ultima succede all’ente “a titolo universale” in ogni rapporto, “anche controverso”. Diversamente da quanto previsto dalla disciplina recata nella legge finanziaria 2008, il trasferimento di funzioni e risorse e la successione nei rapporti giuridici non è rimessa a successivi atti di natura regolamentare o amministrativa, ma discende direttamente dalla disposizione legislativa. È fatto il divieto alle amministrazioni subentranti di rinnovare o prorogare rapporti di lavoro a tempo determinato in essere alla data della soppressione.

La concreta individuazione dell’amministrazione subentrante è dunque rimessa all’amministrazione medesima, con la sola precisazione che, qualora gli enti da sopprimere siano sottoposti alla vigilanza di più amministrazioni, le funzioni sono attribuite a quella titolare delle “maggiori competenze” nella materia.

Il comma 3 dispone l’abrogazione:

dell’art. 2, co. 636, e dell’allegato A della legge finanziaria 2008, che prevedeva la soppressione ex lege di 11 enti e organismi, qualora non riordinati entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria; la disciplina di tali enti è quindi assimilata a quella generale, recata dal comma 1;

dell’art. 1, co. 580-585, della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006), che hanno istituito e disciplinato l’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche – Scuola nazionale della pubblica amministrazione.

 

I commi 580-586 della legge finanziaria 2007 istituivano e disciplinavano l’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche – Scuola nazionale della pubblica amministrazione, destinata a sostituire la preesistente Scuola superiore della pubblica amministrazione, della quale si disponeva la soppressione a decorrere dal 31 marzo 2007 (termine prorogato al 15 giugno dal D.L. 300/2006).

Si prevedeva inoltre che altre istituzioni di formazione facenti capo a diverse amministrazioni, quali l’Istituto diplomatico, la Scuola Superiore dell’amministrazione dell’interno e la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, pur mantenendo la propria autonomia organizzativa e rimanendo inquadrate nelle rispettive amministrazioni, entrassero a far parte dell’Agenzia per la formazione e fossero soggette al suo coordinamento.

Le disposizioni attribuivano alla nuova Agenzia, tra gli altri compiti, quelli relativi alla raccolta, elaborazione e sviluppo delle metodologie formative e all’accreditamento delle strutture di formazione.

 

Il comma 4 dell’articolo in commento novella il più volte citato art. 2, co. 634, della legge finanziaria 2008 modificando, in conformità all’attuale composizione del Governo, l’indicazione dei ministri competenti a proporre i regolamenti di riordino o trasformazione degli enti pubblici: al ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione subentrano i ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa.

Un’ulteriore modifica alla stessa disposizione estende il processo di riordino ivi previsto alle “strutture pubbliche statali o partecipate dallo Stato, anche in forma associativa”.

Una terza modifica differisce al 31 dicembre 2008 il termine per l’adozione dei regolamenti di riordino.

 

Il comma 5 apporta una modifica all’art. 1, co. 4, della L. 165/2007[162], recante una delega legislativa al Governo per il riordino degli enti di ricerca. Ai sensi del citato co. 4, i decreti legislativi attuativi della delega sono emanati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e con il ministro dell'economia e delle finanze; il comma in esame prevede, in aggiunta, anche il concerto del ministro per la semplificazione normativa.

 

Il comma 6 sopprime l’Unità per il monitoraggio sull’azione di governo degli enti locali, istituita dall’art. 1, co. 724, della legge finanziaria 2007 L. 296/2006. La relativa dotazione finanziaria, (2 milioni di euro annui) confluisce in un apposito fondo presso il bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio. Il comma 7 rimette a un decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del ministro per i rapporti con le regioni, la scelta sulle finalità e modalità di utilizzazione di tali risorse.

 

Al fine di assicurare un controllo indipendente e continuativo della qualità dell'azione di governo degli enti locali, l’art. 1, co. 724, della legge finanziaria 2007 ha istituito un’Unità per il monitoraggio finalizzata all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento delle misure premiali previste dalla normativa vigente, alla verifica delle loro dimensioni organizzative ottimali, nonché alla valutazione delle attività di tali enti, alla misurazione dei livelli delle prestazioni e dei servizi resi ai cittadini e all’apprezzamento dei risultati conseguiti, anche alla luce del patto di stabilità interno. Per il funzionamento dell'Unità si istituito un fondo, nell'ambito del bilancio della Presidenza del Consiglio, con dotazione finanziaria pari a 2 milioni di euro a decorrere dal 2007.


 

Articolo 27
(Taglia-carta)

 


1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta, dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche riducono del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.

2. Al fine di ridurre i costi di produzione e distribuzione, a decorrere dal 1° gennaio 2009, la diffusione della Gazzetta Ufficiale a tutti i soggetti in possesso di un abbonamento a carico di amministrazioni o enti pubblici o locali è sostituita dall'abbonamento telematico. Il costo degli abbonamenti è conseguentemente rideterminato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

L’articolo 27 intende ridurre, dal 1° gennaio 2009, la produzione e la circolazione di documentazione cartacea nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, anche attraverso il rafforzamento del ricorso alle tecnologie informatiche.

A tale ultimo riguardo, si prevede in particolare che l’abbonamento in formato cartaceo alla Gazzetta Ufficiale, a carico di una pluralità di soggetti appartenenti al settore pubblico, sia sostituito da un abbonamento telematico.

 

Gli interventi destinati a snellire e modernizzare la produzione, circolazione e gestione della documentazione nella pubblica amministrazione, sostituendo quella cartacea in favore di quella informatica, sono contenuti principalmente nel Codice dell’Amministrazione digitale[163]. L’intento innovativo del Codice in questo settore è espressamente evidenziato nelle disposizioni del Capo III, in base alle quali:

-        le pubbliche amministrazioni che dispongono di idonee risorse tecnologiche formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici (art. 40, co. 1);

-        la redazione di documenti originali su supporto cartaceo, nonché la copia di documenti informatici sul medesimo supporto è consentita solo ove risulti necessaria e comunque nel rispetto del principio dell'economicità (art, 40, co. 2);

-        le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 41, co. 1).

Nel disegno codicistico, dunque, l’uso delle tecnologie informatiche dovrebbe giungere a costituire la modalità ordinaria di gestione dei procedimenti amministrativi, i quali dovrebbero pertanto essere ripensati alla luce del più efficiente utilizzo delle nuove tecnologie. Il Codice elenca i requisiti che deve soddisfare ogni sistema di gestione informatica dei documenti, e prevede l’articolazione di questo nell’ambito di aree organizzative omogenee (non necessariamente coincidenti con le esistenti strutture amministrative). Alcune disposizioni pongono le premesse per la progressiva sostituzione dell’attuale archiviazione su carta con modalità di conservazione informatizzate.

Tali processi, indicati nel loro complesso con il termine dematerializzazione, hanno come obiettivo “il progressivo incremento della gestione documentale informatizzata all’interno delle strutture amministrative pubbliche e private e la sostituzione dei supporti tradizionali della documentazione amministrativa in favore del documento informatico”[164]. Come evidenziato nel Libro Bianco per la dematerializzazione della documentazione tramite supporto digitale[165], le finalità della dematerializzazione sono due: “da una parte si punta ad eliminare i documenti cartacei attualmente esistenti negli archivi, sostituendoli con opportune registrazioni informatiche e scartando la documentazione non soggetta a tutela per il suo interesse storico-culturale; dall’altra si adottano criteri per evitare o ridurre grandemente la creazione di nuovi documenti cartacei”.

La parte dedicata alla conservazione e archiviazione dei documenti di interesse storico-culturale è stata altresì normata dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio[166].

In materie particolari, ove esiste una produzione considerevole di documenti cartacei (quali i settori di interesse sanitario e fiscale), disposizioni specifiche regolano le procedure di gestione dei documenti.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame reca una norma di principio in base alla quale, a decorrere dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche[167] riducano del 50% rispetto al 2007 la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente o inviata ad altra amministrazione.

La disposizione non prevede espressamente forme di monitoraggio sul raggiungimento di tale obiettivo, né introduce sanzioni in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo stesso.

 

Come evidenziato nel Libro Bianco per la dematerializzazione “la gestione documentale vale oltre il 2% del PIL: un obiettivo di dematerializzazione di appena il 10% genererebbe un risparmio di 3 miliardi di euro, ripetibile ogni anno”. Una rilevazione effettuata dal Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) nel 2004 su 61 amministrazioni centrali, ha evidenziato la produzione di 110 milioni di documenti, dalla quale discendono 160 milioni di registrazioni di protocollo e 147 milioni di documenti archiviati.

 

Sempre a partire dal 1° gennaio 2009, al fine di ridurre i costi di produzione e distribuzione della Gazzetta Ufficiale, il comma 2 determina una diversa modalità di abbonamento a carico delle amministrazioni o enti pubblici a livello centrale e locale, stabilendo la sostituzione degli abbonamenti in formato cartaceo con abbonamenti telematici. Conseguentemente, si prevede che il costo degli abbonamenti sia rideterminato entro 60 giorni dalla data di conversione del decreto in esame.

 


 

Articolo 28
(Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali)

 


1. E' istituito, sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).

2. L’ISPRA svolge le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie strumentali e di personale, dell'Agenzia per la protezione dell'Ambiente e per i servizi tecnici di cui all'articolo 38 del Decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 e successive modificazioni, dell'Istituto Nazionale per la fauna selvatica di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e successive modificazioni, e dell'Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, i quali, a decorrere dalla data di insediamento dei commissari di cui al comma 5 del presente articolo, sono soppressi.

3. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti in materia di ambiente, che si esprimono entro venti giorni dalla data di assegnazione, sono determinati, in coerenza con obiettivi di funzionalità, efficienza ed economicità, gli organi di amministrazione e controllo, la sede, le modalità di costituzione e di funzionamento, le procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi per l'assunzione e l'utilizzo del personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente, nonché per l'erogazione delle risorse dell’ISPRA. In sede di definizione di tale decreto si tiene conto dei risparmi da realizzare a regime per effetto della riduzione degli organi di amministrazione e controllo degli enti soppressi, nonché conseguenti alla razionalizzazione delle funzioni amministrative, anche attraverso l'eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, e al minor fabbisogno di risorse strumentali e logistiche.

4. La denominazione «Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA)» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, le denominazioni: «Agenzia per la protezione dell'Ambiente e per i servizi tecnici (APAT)», «Istituto Nazionale per la fauna selvatica (INFS)» e «Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM)».

5. Per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio dell’ISPRA, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nomina un commissario e due subcommissari.

6. Dall'attuazione dei commi da 1 a 5 del presente articolo, compresa l'attività dei commissari di cui al comma precedente, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

6-bis. L’Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’ISPRA nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali.

7. La Commissione istruttoria per l'IPPC, di cui all'articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, è composta da ventitre esperti, provenienti dal settore pubblico e privato, con elevata qualificazione giuridico-amministrativa, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, oppure tecnico-scientifica.

8. Il presidente viene scelto nell'ambito degli esperti con elevata qualificazione tecnico-scientifica.

9. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procede, con proprio decreto, alla nomina dei ventitre esperti, in modo da adeguare la composizione dell'organo alle prescrizioni di cui al comma 7. Sino all'adozione del decreto di nomina dei nuovi esperti, lo svolgimento delle attività istituzionali è garantito dagli esperti in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto.

10. La Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla programmazione e gestione degli interventi ambientali di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, è composta da ventitre membri di cui dieci tecnici, scelti fra ingegneri, architetti, biologi, chimici e geologi, e tredici scelti fra giuristi ed economisti, tutti di comprovata esperienza, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

11. I componenti sono nominati ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

12. La Commissione continua ad esercitare tutte le funzioni di cui all'articolo 2, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, provvedendovi, sino all’adozione del decreto di nomina dei nuovi componenti, con quelli in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto.

13. Dall'attuazione dei commi da 7 a 12 del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 28 prevede, ai commi 1 e 2, l’istituzione, sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), cui sono trasferite le funzioni e le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, dei seguenti enti, i quali sono soppressi a decorrere dall’insediamento dei commissari di cui al successivo comma 5:

§      Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

Si ricorda che l’APAT è stata istituita con l’art. 38 del d.lgs. n. 300/1999 e svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell'ambiente, per la tutela delle risorse idriche e della difesa del suolo, nonché le funzioni relative al coordinamento tecnico nei confronti delle Agenzie regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché degli altri organismi eventualmente costituiti per lo svolgimento di analoghe funzioni. Inoltre, nei settori di propria competenza, essa svolge attività di collaborazione, consulenza e supporto alle altre P.A., definite con apposite convenzioni.

§      Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS);

L'INFS è un organismo nazionale di ricerca e consulenza istituito ai sensi della legge n. 157/1992 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) che ha competenza nel settore della conservazione e gestione della fauna selvatica omeoterma, assolve i compiti previsti dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, dal DPR 8 settembre 1997, n. 357 di attuazione della direttiva 92/43/CEE (cd. direttiva Habitat), nonché da specifiche leggi regionali in materia, ed opera quale organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni, le Province e gli Enti gestori delle aree protette.

§      Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM).

L'ICRAM è un ente pubblico di ricerca e sperimentazione che fornisce istituzionalmente supporto alle politiche delle amministrazioni centrali competenti e agli enti territoriali nella risoluzione delle problematiche ambientali marine anche attraverso la predisposizione di linee di indirizzo per lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia della biodiversità in ambiente marino e costiero e nelle politiche per la pesca e la maricoltura sostenibili. Attualmente, l'attività dell'ICRAM spazia su una vasta serie di temi di attualità e di rilevanza nazionale; in particolare l'Istituto supporta, in sinergia con l'APAT (art. 1-bis, comma 6, del DL n. 496/1993), assumendo un ruolo di primo piano, il Ministero dell'ambiente nei controlli sulla qualità dell'ambiente marino nell'ambito dell'unità di crisi per le emergenze in mare istituita in seno allo stesso Ministero.

Si fa notare che tutti gli enti indicati sono sottoposti alla vigilanza del Ministero dell’ambiente.

 

Il comma 3 del medesimo articolo demanda ad un successivo decreto interministeriale (adottato di concerto dai ministri dell’ambiente e dell’economia) l’individuazione delle modalità organizzative e di funzionamento dell’ISPRA.

In particolare viene stabilito che tale decreto (per il quale viene anche previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia di ambiente, che si esprimono entro venti giorni dalla data di assegnazione) provveda alla determinazione:

§      degli organi di amministrazione e controllo;

§      della sede;

§      delle modalità di costituzione e di funzionamento dell’ISPRA;

§      delle procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi per l'assunzione e l'utilizzo del personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente;

§      delle procedure per l'erogazione delle risorse dell’istituto.

 

Lo stesso comma dispone, altresì, che in sede di definizione di tale decreto si tiene conto dei risparmi da realizzare a regime per effetto della riduzione degli organi di amministrazione e controllo degli enti soppressi, nonché conseguenti alla razionalizzazione delle funzioni amministrative, anche attraverso l’eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, e al minor fabbisogno di risorse strumentali e logistiche.

 

Il comma 4 dispone in ordine alla sostituzione, ad ogni effetto e ovunque presenti, delle denominazioni degli enti di cui si prevede la soppressione (APAT, INFS, ICRAM) con la denominazione “Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA)”.

Il comma 5, invece, per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio dell'ISPRA, prevede la nomina di un commissario e di due subcommissari, mediante decreto del Ministro dell'ambiente, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 6 dispone che dall'attuazione dei commi da 1 a 5 del presente articolo, compresa l'attività dei commissari di cui al comma precedente, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 6-bis affida all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e la difesa dell’ISPRA nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali.

 

I commi 7 e 8 riducono di 2 unità (da 25 a 23) il numero dei componenti della Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata - IPPC, prevista dall'art. 10 del DPR n. 90/2007, e introducono alcuni criteri per la nomina dei componenti stessi, prevedendo che:

§      almeno tre degli esperti con elevata qualificazione giuridico-amministrativa siano scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili (comma 7);

§      il presidente venga scelto nell'ambito degli esperti con elevata qualificazione tecnico-scientifica (comma 8).

Si ricorda, in proposito, che l’art. 10 del citato DPR n. 90/2007 prevede, al comma 1, che la Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata - IPPC è composta da venticinque esperti di elevata qualificazione giuridico-amministrativa e tecnico-scientifica scelti nel settore pubblico e privato, di cui uno con funzioni di presidente, e che per le attività relative a ciascuna domanda di autorizzazione, la Commissione è integrata da un esperto designato da ciascuna regione, da un esperto designato da ciascuna provincia e da un esperto designato da ciascun comune territorialmente competenti.

 

Il comma 9 prevede l’emanazione, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un decreto del Ministro dell'ambiente volto alla nomina dei ventitre esperti, in modo da adeguare la composizione dell'organo alle prescrizioni dei commi 1 e 2.

Lo stesso comma reca, inoltre, una disposizione transitoria secondo cui, sino all'adozione del decreto di nomina dei nuovi esperti, lo svolgimento delle attività istituzionali è garantito dagli esperti in carica alla data di entrata in vigore della presente legge.

Si ricorda che gli esperti in carica sono stati nominati con il decreto del Ministro dell’ambiente 25 settembre 2007, n. 153.

Il comma 10 modifica la composizione della Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla programmazione e gestione degli interventi ambientali di cui all’art. 2 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 90.

Tale Commissione - istituita ai sensi dell'articolo 14, comma 7, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e del DPR 23 novembre 1991, n. 438, e composta da 33 membri di comprovata esperienza e competenza - esprime pareri in merito alla valutazione di fattibilità tecnico-economica con particolare riferimento all'analisi costi benefici in relazione alle iniziative, piani e progetti di prevenzione, protezione e risanamento ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

Il numero dei componenti viene ridotto di dieci unità (da 33 a 23) e vengono indicate le professionalità cui attingere nella scelta dei membri.

Viene infatti previsto che dei ventitre membri, dieci siano tecnici, scelti fra ingegneri, architetti, biologi, chimici e geologi, e tredici scelti fra giuristi ed economisti, tutti di comprovata esperienza, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

 

Il comma 11 dispone che i componenti sono nominati ai sensi dell’art. 2, comma 3, del citato D.P.R., entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore del presente decreto legge.

Si rammenta che l’art. 2, comma 3, del D.P.R. n. 90/2007 dispone, tra l’altro, che i membri della Commissione sono nominati, con decreto del Ministro dell'ambiente, “con incarico di esperto anche tra il personale delle pubbliche amministrazioni”.

 

Il comma 12 prevede, infine, che la Commissione continua ad esercitare tutte le funzioni attribuitegli dall’art. 2, comma 2, del D.P.R. n. 90/2007, provvedendovi, sino all’adozione del decreto di nomina dei nuovi componenti, con quelli in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Da ultimo, al comma 13 viene stabilito che anche per l’attuazione delle disposizioni relative alle citate Commissioni (disciplinate ai commi da 7 a 12) non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 


 

Articolo 29
(Trattamento dei dati personali)

 


1. All'articolo 34 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Per i soggetti che trattano soltanto dati personali non sensibili e che trattano come unici dati sensibili quelli costituiti dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti e collaboratori anche a progetto, senza indicazione della relativa diagnosi, ovvero dall’adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale, la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza è sostituita dall’obbligo di autocertificazione, resa dal titolare del trattamento ai sensi dell’articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di trattare soltanto tali dati in osservanza delle altre misure di sicurezza prescritte. In relazione a tali trattamenti, nonché a trattamenti comunque effettuati per correnti finalità amministrative e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani, il Garante, sentito il Ministro per la semplificazione normativa, individua con proprio provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità semplificate di applicazione del disciplinare tecnico di cui all’Allegato B) in ordine all’adozione delle misure minime di cui al comma 1.».

2. In sede di prima applicazione del presente decreto, il provvedimento di cui al comma 1 è adottato entro due mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso.

3. (Soppresso).

4. All'articolo 38 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. La notificazione è validamente effettuata solo se è trasmessa attraverso il sito del Garante, utilizzando l'apposito modello, che contiene la richiesta di fornire tutte e soltanto le seguenti informazioni:

a) le coordinate identificative del titolare del trattamento e, eventualmente, del suo rappresentante, nonché le modalità per individuare il responsabile del trattamento se designato;

b) la o le finalità del trattamento;

c) una descrizione della o delle categorie di persone interessate e dei dati o delle categorie di dati relativi alle medesime;

d) i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati possono essere comunicati;

e) i trasferimenti di dati previsti verso Paesi terzi;

f) una descrizione generale che permetta di valutare in via preliminare l'adeguatezza delle misure adottate per garantire la sicurezza del trattamento.».

5. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Garante di cui all'articolo 153 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 adegua il modello di cui al comma 2 dell'articolo 38 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 alle prescrizioni di cui al comma 4.

5-bis. All’articolo 44, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono aggiunte le seguenti parole: «o mediante regole di condotta esistenti nell’ambito di società appartenenti a un medesimo gruppo. L’interessato può far valere i propri diritti nel territorio dello Stato, in base al presente codice, anche in ordine all’inosservanza delle garanzie medesime». All’articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dopo le parole: «Ministro per le innovazioni e le tecnologie», sono inserite le seguenti: «e il Ministro per la semplificazione normativa».


 

 

L’articolo 29, comma 1, aggiunge un comma 1-bis all’art. 34 del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, di seguito il "Codice") prevedendo un’ipotesi di sostanziale semplificazione degli adempimenti a carico di soggetti che:

§      non trattano dati sensibili;

§      trattano i soli dati sensibili costituiti dallo stato di salute o malattia, senza indicazione della diagnosi ovvero dall'adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale dei propri dipendenti e dei propri collaboratori, anche a progetto.

 

Si ricorda, infatti, che, ai sensi del comma 1 dell'art. 34 del Codice, il trattamento di dati personali effettuato con strumenti elettronici è consentito solo se sono adottate, nei modi previsti dal disciplinare tecnico contenuto nell'allegato B) al Codice stesso, una serie di specifiche misure minime di sicurezza. Tra queste ultime è compresa la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza, descritto al punto 19 del citato allegato B) che prevede che, entro il 31 marzo di ogni anno, il titolare di un trattamento di dati sensibili o di dati giudiziari redige anche attraverso il responsabile, se designato, un documento programmatico sulla sicurezza contenente idonee informazioni relativamente a: l'elenco dei trattamenti di dati personali; la distribuzione dei compiti e delle responsabilità nell'àmbito delle strutture preposte al trattamento; l'analisi dei rischi che incombono sui dati; le misure da adottare per garantire l'integrità e la disponibilità dei dati, nonché la protezione delle aree e dei locali, rilevanti ai fini della loro custodia e accessibilità; la descrizione dei criteri e delle modalità per il ripristino della disponibilità dei dati in seguito a distruzione o danneggiamento; la previsione di interventi formativi degli incaricati del trattamento, per renderli edotti dei rischi che incombono sui dati, delle misure disponibili per prevenire eventi dannosi, dei profili della disciplina sulla protezione dei dati personali più rilevanti in rapporto alle relative attività, delle responsabilità che ne derivano e delle modalità per aggiornarsi sulle misure minime adottate dal titolare; la descrizione dei criteri da adottare per garantire l'adozione delle misure minime di sicurezza in caso di trattamenti di dati personali affidati, in conformità al codice, all'esterno della struttura del titolare; per i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l'individuazione dei criteri da adottare per la cifratura o per la separazione di tali dati dagli altri dati personali dell'interessato.

 

Il nuovo comma 1-bis prevede che la tenuta del suddetto documento programmatico sulla sicurezza sia sostituita, nelle ipotesi descritte, da un’autocertificazione in cui il titolare del trattamento, ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445[168], dichiari "di trattare soltanto tali dati in osservanza delle altre misure di sicurezza prescritte".

Viene inoltre previsto che il Garante per la protezione dei dati personali, sentito il Ministro per la semplificazione normativa, individui con proprio provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità semplificate di applicazione del già ricordato disciplinare tecnico in materia di misure minime di sicurezza di cui all'allegato B) al Codice, in relazione sia ai suddetti trattamenti sia a trattamenti comunque effettuati per correnti finalità amministrative e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame prevede che, in sede di prima applicazione del decreto-legge, il citato provvedimento del Garante sia adottato entro due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (ossia entro il 22 ottobre 2008).

 

Un ulteriore intervento concerne il comma 2 dell’art. 38 del Codice, relativo alla notificazione obbligatoria[169] per via telematica al Garante della privacy del trattamento dei dati personali cui il titolare intende procedere (comma 4).

In tali ipotesi, sempre con finalità di semplificazione, la novella limita il numero delle informazioni da fornire ai fini della citata notificazione, da effettuare utilizzando l’apposito modello informatico presente sul sito internet.

Tali informazioni riguardano ora:

§      i dati identificativi del titolare del trattamento ed, eventualmente, del suo rappresentante nonché le modalità per individuare il responsabile del trattamento;

§      le finalità del trattamento;

§      una descrizione delle categorie di interessati cui si riferiscono i dati nonché dei dati (o delle categorie di dati) medesimi;

§      i destinatari (o le categorie di destinatari) a cui i dati possono essere comunicati;

§      i trasferimenti di dati personali previsti verso Paesi terzi;

§      una descrizione generale che permetta di valutare in via preliminare l’adeguatezza delle misure di sicurezza predisposte.

 

Ai sensi del comma 5, il modello per la notificazione di cui al comma 4 deve essere tecnicamente adeguato dal Garante entro due mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (anche in questo caso, quindi, entro il 22 ottobre 2008).

 

Il comma 5-bis integra, infine, la formulazione dell’art. 44, comma 1, lett. a) del Codice. La norma prevedeva in origine che il trasferimento di dati personali oggetto di trattamento, diretto verso un Paese non appartenente all'Unione europea, fosse autorizzato dal Garante sulla base di adeguate tutele per i diritti dell'interessato individuate dal Garante stesso anche in relazione a garanzie di natura contrattuale.

La novità riguarda la possibilità di individuare le citate garanzie per i diritti dell'interessato anche mediante regole di condotta esistenti nell'ambito di società appartenenti a un medesimo gruppo.

Viene inoltre chiarito che l'interessato può far valere i propri diritti nel territorio dello Stato, in base al Codice, anche in ordine all'inosservanza delle garanzie suddette.

Lo stesso comma 5-bis modifica l’art. 36 del citato Codice, specificando che il decreto con il quale il Ministro della giustizia aggiorna periodicamente il disciplinare tecnico di cui all'allegato B) al Codice stesso, deve essere adottato con il concerto, oltre che del Ministro per le innovazioni e le tecnologie, anche del Ministro per la semplificazione normativa.


 

Articolo 30
(Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione)

 


1. Per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell'eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l'esercizio dell'attività. Le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l'attualità e la completezza della certificazione. Resta salvo il rispetto della disciplina comunitaria.

2. La disposizione di cui al comma 1 è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle Regioni e degli Enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

3. Con regolamento, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1, con l'obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli, nonché le modalità necessarie per la compiuta attuazione della disposizione medesima.

4. Le prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 entrano in vigore all'atto di emanazione del regolamento di cui al comma 3.


 

 

L’articolo 30 dispone, al comma 1, che per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività, nel rispetto della normativa comunitaria.

Viene altresì disposto che le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione.

Si ricorda che le certificazioni ambientali volontarie più diffuse sono quelle relative alla normativa internazionale ISO 14001 e al Regolamento comunitario EMAS n. 761/2001, che sono finalizzati al miglioramento del sistema di gestione ambientale di un’organizzazione al fine di prevederne e migliorarne continuamente gli impatti ambientali.

Il Regolamento n. 761/2001/CE disciplina il sistema comunitario di ecogestione ed audit (EMAS)[170], che si propone l'obiettivo di promuovere il costante miglioramento dei risultati ambientali di tutte le organizzazioni europee definite dall’art. 2 del regolamento - attraverso l'introduzione e l'attuazione di sistemi di gestione ambientale (SGA) ed una valutazione sistematica, obiettiva e periodica della loro efficacia - nonché l'informazione del pubblico e delle parti interessate. La procedura prevista dal regolamento EMAS si conclude con la registrazione presso l'organismo competente dello Stato membro in seguito all’ottenimento della verifica indipendente da parte di un verificatore EMAS accreditato.

La ISO 14001 è una norma internazionale di carattere volontario, applicabile a tutte le tipologie di imprese, che definisce come deve essere sviluppato un efficace sistema di gestione ambientale. Tale norma richiede che l'azienda definisca i propri obiettivi e target ambientali e implementi un sistema di gestione ambientale che permetta di raggiungerli. La logica volontaristica della ISO 14001 lascia la libertà all'azienda di scegliere quali e quanti obiettivi di miglioramento perseguire, anche in funzione delle possibilità economiche e del livello tecnologico già esistente in azienda.

La norma ISO 14001 è stata recepita dal Regolamento n. 761/2001/CE. L’Allegato I del regolamento EMAS prevede, infatti, che il sistema di gestione ambientale di una organizzazione che voglia registrarsi, sia attuato in conformità con i requisiti della norma ISO 14001, sezione 4[171].

Esistono altre tipologie di certificazioni ambientali, tuttavia le recenti norme approvate in materia ambientale (si pensi ad esempio al cd. codice ambientale recato dal D.Lgs. n. 152/2006 o al D.Lgs. n. 59/2005 di recepimento integrale della direttiva 96/61/CE in materia di IPPC[172]) hanno sempre fatto riferimento alle certificazioni EMAS e ISO 14001.

In particolare, per le imprese dotate di tali certificazioni le norme citate già prevedono agevolazioni e semplificazioni.

Si ricordano, ad esempio, gli articoli 194, comma 3, e 212, comma 7 del codice ambientale, che riconoscono una decurtazione del 40-50% sulle garanzie finanziarie da prestare per lo svolgimento di alcune attività in materia di rifiuti, o ancora l’art. 209 del medesimo decreto, ai sensi del quale le imprese che risultino registrate EMAS o certificate UNI-EN ISO 14001 possono sostituire l’autorizzazione alla gestione di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti o il certificato di iscrizione al suddetto Albo con una semplice autocertificazione.

L’art. 9 del D.Lgs. n. 59/2005 prevede, inoltre, che il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’esercizio dell’impianto avvenga non dopo 5 anni, bensì dopo 6 o 8 anni qualora l’impresa sia certificata ISO 14001 o registrata EMAS.

 

Il comma 2 chiarisce che la disposizione di cui al comma 1 è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Ciononostante, lo stesso comma lascia ferma la potestà delle Regioni e degli Enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

 

Il comma 3 demanda ad un successivo regolamento - da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, previo parere della Conferenza permanente Stato-Regioni - l’individuazione:

§      delle tipologie dei controlli e degli ambiti interessati dall’applicazione del comma 1, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli;

§      delle modalità necessarie per la compiuta attuazione del medesimo comma 1.

 

Il comma 4 dispone che le prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 entrano in vigore all’atto di emanazione del regolamento di cui al comma 3.

 


 

Articolo 31
(Durata e rinnovo della carta d'identità)

 


1. All'articolo 3, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, le parole: «cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci anni» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le carte di identità rilasciate a partire dal 1° gennaio 2010 devono essere munite della fotografia e delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono».

2. La disposizione di cui all'articolo 3, secondo comma, del citato testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applica anche alle carte d'identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. Ai fini del rinnovo, i Comuni informano i titolari della carta d'identità della data di scadenza del documento stesso tra il centoottantesimo e il novantesimo giorno antecedente la medesima data.


 

 

L’articolo 31 prolunga da 5 a 10 anni il periodo di validità della carta d’identità e stabilisce che essa debba essere munita - oltre che della fotografia - anche delle impronte digitali del titolare (comma 1). Si precisa che l’estensione della durata riguarda anche le carte di identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto in esame (26 giugno 2008) e non solo quelle emesse dopo (comma 2). Inoltre, viene posto in capo ai comuni l’obbligo di informare i titolari della carta di identità della data di scadenza della stessa ai fini del rinnovo(comma 3).

Per effetto dell’articolo in esame verrà ridotta la frequenza e il numero delle procedure di rinnovo delle carte di identità con l’obiettivo di semplificare in questo settore i rapporti tra cittadini e amministrazione.

Da rilevare anche l’impatto sulla definitiva sostituzione della carta di identità cartacea con quella elettronica. Infatti, la carta d’identità in formato cartaceo è destinata a scomparire: a decorrere del 1° gennaio 2006 tutte le carte d’identità di cui viene fatta richiesta (come primo rilascio o per smarrimento o furto) sono in formato elettronico e quelle in scadenza, e di cui è chiesto il rinnovo, sono progressivamente sostituite con quelle elettroniche (vedi oltre). La disposizione in esame, pertanto, incide anche sulla piena diffusione della carta d’identità elettronica diluendo nel tempo la sostituzione delle carte d’identità in formato cartaceo con quelle elettroniche.

È, invece, da valutare la portata della norma sul piano finanziario: essa porterà ad una diminuzione degli introiti derivanti dal costo del rinnovo della carta sostenuto dal richiedente e, per altro verso, ad una riduzione dei costi amministrativi connessi.

 

I primi due commi dell’articolo in commento riproducono testualmente i commi 1 e 2 dell’art. 17 di un disegno di legge approvato dalla Camera nella passata legislatura: si tratta del disegno di legge di iniziativa governativa recante Disposizioni volte alla modernizzazione e all’incremento dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche nonché alla riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, il cosiddetto “progetto Nicolais” dal nome del ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione pro-tempore (A.S. 1859). Il disegno di legge venne approvato dalla Camera il 14 giugno 2007 e trasmesso al Senato, dove l’esame in sede referente non andò oltre la fase della discussione generale.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame reca la disposizione che prevede il prolungamento a 10 anni della validità della carta di identità. La modifica è opportunamente operata attraverso una novella dell’art. 3, 2° comma, del testo unico di pubblica sicurezza del 1931 (TULPS)[173] che costituisce ancora oggi la base normativa della materia e che fissa, appunto in 5 anni, la durata di validità della carta di identità.

La disposizione in commento sembrerebbe riguardare esclusivamente la carta di identità in formato cartaceo e non anche la carta di identità elettronica che dovrà progressivamente sostituire la prima. Ciò in quanto il TULPS, come si è detto novellato dalla norma in esame, riguarda la carta di identità cartacea, mentre la disciplina della carta di identità elettronica è recata da fonti diverse (vedi oltre). In particolare, la durata è stabilita – in 5 anni anch’essa – dal decreto del Presidente della Repubblica 437/1999 (art. 5)[174].

Un chiarimento in proposito viene fornito sia dalla relazione illustrativa del disegno di legge originario del provvedimento in esame (A.C. 1386), sia dalla prassi amministrativa (Circolare 8/2008 del Ministero dell’interno[175]) che comprendono nell’ambito di applicazione della norma anche la carta di identità elettronica (CIE).

Si segnala, inoltre, che l’estensione della durata della validità della CIE comporta l'aggiornamento delle relative regole tecniche[176].

 

Il comma 1 reca anche una ulteriore innovazione al TULPS: attraverso l’inserimento di un nuovo periodo alla fine del comma secondo dell’articolo 3, si prevede come obbligatoria la presenza sul documento delle impronte digitali del soggetto, nonché della fotografia di quest’ultimo.

In proposito, si segnala che, mentre la previsione della presenza obbligatoria delle impronte digitali è innovativa, quella relativa alla presenza della fotografia è già contenuta nella norma novellata (art. 3, 2° comma, TULPS).

 

Prima dell’entrata in vigore della disposizione in commento, l’apposizione delle impronte digitali sulla carta di identità era prevista in via facoltativa (Regio Decreto 635/1940, art. 289).

Era facoltativa anche l’apposizione delle impronte digitali, da effettuarsi su richiesta dell’interessato, sulla carta di identità elettronica, (decreto legislativo 82/2005[177], art. 66).

È invece obbligatoria la rilevazione dei dati fotodattiloscopici (fotografia e impronte digitali) degli stranieri al momento della richiesta o del rinnovo del permesso di soggiorno (D.Lgs. 286/1998[178], art. 5, co. 2-bis e 4-bis, introdotti dalla L. 189/2002[179], cosiddetta “Bossi-Fini”). L’obbligo è circoscritto praticamente ai soli permessi di soggiorno per motivo di lavoro (decreto legge 195/2002[180], art. 2, comma 5). Il permesso di soggiorno (che dal 2006 è rilasciato unicamente in formato elettronico[181]) deve contenere in formato digitale, per l'accesso da parte dei soli organi pubblici autorizzati, dei dati fotodattiloscopici[182].

Proprio in occasione dell’introduzione dell’obbligo dei rilievi dattiloscopici per gli stranieri non comunitari nel 2002, il Parlamento ha discusso sulla legittimità dell’uso dei sistemi di identificazione biometrica, ed in particolare sull’opportunità di prevederne l’uso esclusivamente per gli stranieri[183]. Da tale discussione originò la decisione di estendere la previsione della apposizione delle impronte digitali anche ai cittadini italiani al momento del rilascio della carta di identità elettronica, come stabilito dal citato decreto legge 195/2002 (art. 2, comma 7). Tuttavia, tale disposizione non trovò applicazione perché lo stesso decreto 195 faceva rinvio all’adozione di norme specifiche relative alle modalità di rilevazione delle impronte e di utilizzazione, conservazione e accesso ai dati raccolti. Tali norme avrebbero dovuto essere introdotte nel decreto del Presidente del Consiglio relativo alle caratteristiche e modalità per il rilascio della carta d'identità elettronica (D.P.C.M. 22 ottobre 1999, n. 437) che però non fu modificato in tal senso.

Successivamente, la disciplina in materia è stata raccolta nel Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 82/2005) che ha stabilito che la carta d’identità elettronica può contenere i dati biometrici a richiesta dell’interessato (art. 66, comma 4).

Si ricorda, infine, che l’apposizione delle impronte digitali sul passaporto è prevista dalle norme europee che definiscono le caratteristiche di sicurezza dei passaporti (Regolamento (CE) 13 Dicembre 2004, n. 2252[184]).

 

Il comma 2 precisa l’ambito di applicazione dell’estensione a 10 anni della durata di validità della carta: l’ampliamento della durata riguarda anche la carte di identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto (26 giugno 2008), e quindi non soltanto le carte rilasciate la prima volta o rinnovate dopo l’emanazione del decreto.

 

Anche tale disposizione riproduce testualmente il contenuto del comma 2 dell’art. 17 del citato ddl Nicolais della scorsa legislatura. La disposizione venne introdotta nel corso dell’esame in sede referente accogliendo una osservazione puntuale del Comitato per legislazione. Nella formulazione precedente il comma 1 si limitava a disporre che «a decorrere dal 1° gennaio 2007, la carta d'identità ha validità di dieci anni». Il Comitato, nel parere reso alla I Commissione, riteneva che andasse chiarito se le scadenza operasse in relazione anche alle carte già rilasciate prima di tale data[185].

 

La carta di identità elettronica riporta, oltre alla data di rilascio, anche la data di scadenza (D.P.R. 437/1999, art. 3, co. 1, lett. g), così come, a decorrere dal 1° gennaio 1999, sulla carta di identità cartacea deve essere indicata la data di scadenza (art, 3, 4° co. TULPS[186]). Un analogo obbligo vige per la carta di identità cartacea rilasciata ai cittadini all'estero, iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero - AIRE (D.M. 15 maggio 2007[187]).

Per l’aggiornamento della data di scadenza delle carte emesse prima del 26 giugno, secondo quanto disposto dal Ministero dell’interno, i comuni devono convalidare i documenti originari per gli ulteriori cinque anni apponendo una apposita postilla sulla carta d’identità cartacea. Mentre ai titolari della carta di identità elettronica viene consegnato un attestato cartaceo recante l’indicazione della nuova validità[188].

 

Infine, il comma 3 prevede l’obbligo da parte dei comuni di informare i titolari della carta di identità della data di scadenza del documento in un periodo compreso tra il 180° e il 90° giorno prima della scadenza.

Si ricorda che la carta di identità, sia su supporto cartaceo, sia elettronico, può essere rinnovata a decorrere dal 180° giorno precedente la scadenza[189] e che diversi comuni hanno attivato già da anni una procedura di avviso con lettera dell’imminente scadenza della carta di identità.

 

La carta d’identità è stata introdotta in Italia negli anni ’30 del secolo scorso e ha la sua regolamentazione giuridica nel citato testo unico di pubblica sicurezza del 1931 e nel relativo regolamento di attuazione[190].

La carta d’identità ha durata di 5 anni (art. 3, co. 2, R.D. 773/1931).

La carta d’identità costituisce un mezzo di identificazione ai fini di polizia. Essa ha carattere facoltativo e il suo ottenimento costituisce un diritto del cittadino. Tuttavia l’autorità di polizia può obbligare le persone pericolose o sospette di dotarsi della carta d’identità.

Quantunque regolata da norme statali, la materia è di competenza comunale. Il documento, infatti, è rilasciato dagli uffici comunali, cui compete eseguire i necessari accertamenti relativi alla identità della persona che richiede il documento. Il modello della carta è stabilito dalla legge e le eventuali modifiche sono apportate del Ministro dell’interno.

La legge prevedeva come facoltativa l’apposizione delle impronte digitali (R.D. 635/1940, art. 289, per la carta di identità cartacea e D.Lgs. 82/2005, art. 66 per la carta di identità elettronica.

I dati contenuti nelle carte d’identità sono conservati dalla segreteria del comune che ne invia copia all’autorità provinciale di pubblica sicurezza (questura). Un terzo data base è conservato dal Ministero dell’interno, limitatamente ai dati delle persone pericolose e sospette.

L’integrazione e la centralizzazione di tutti i dati anagrafici dei comuni è alla base del progetto Sistema di accesso e di interscambio anagrafico (SAIA), strettamente collegato alla diffusione della carta d’identità elettronica.

 

La carta d’identità elettronica (CIE) costituisce uno dei principali progetti del disegno di informatizzazione della pubblica amministrazione.

Essa, oltre a mantenere la funzione del documento cartaceo attestante l’identità della persona, ha la funzione di strumento di accesso ai servizi innovativi che le pubbliche amministrazioni locali e nazionali metteranno a disposizione per via telematica (pagamenti di tasse e tributi, accesso al servizio sanitario, richiesta di documenti ecc.). Inoltre, la carta dovrà poter essere utilizzata e dovrà funzionare nello stesso modo in qualsiasi punto del territorio nazionale.

L’art. 2, co. 10, della L. 127/1997[191] ha previsto, per la prima volta, la sostituzione della carta di identità cartacea con un documento realizzato su supporto informatico, contenente, oltre ai dati personali, il codice fiscale e, con l’accordo dell’interessato, l’indicazione del gruppo sanguigno.

Il passaggio decisivo verso la definizione della carta d’identità quale carta di servizi si ha con la modifica alla legge n. 127 operata dalla L. 191/1998[192], con cui viene previsto che la carta possa contenere, oltre ai dati personali, codice fiscale e gruppo sanguigno, anche altri dati che consentano l’erogazione al cittadino di quei servizi che ne richiedano l’identificazione, nonché tutte le informazioni, tra cui la chiave biometrica, necessarie per il suo utilizzo assieme alla firma digitale. Tra gli obiettivi dell’informatizzazione del documento di identità, la legge individua la possibilità del trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni.

Le disposizioni sulla carta di identità e sui documenti elettronici sono in seguito confluite nell’art. 36 del testo unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000[193]) e, successivamente, nell’art. 66 del codice dell’amministrazione digitale[194] che costituisce la norma di riferimento per la materia.

Il quadro normativo è stato completato con due provvedimenti attuativi: l’uno finalizzato ad individuare le caratteristiche e le modalità di rilascio da parte dei comuni della carta d’identità elettronica (D.P.R. 437/1999[195]), l’altro diretto a dettare le regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie ed ai materiali utilizzati per la produzione delle carte medesime (D.M. 8 novembre 2007[196]).

La validità della carta d’identità elettronica è fissata, come per la carta d’identità, in 5 anni (art. 5 del citato D.P.R. 437/1999).

La fase di sperimentazione, avviata nel 2001, può considerarsi ormai conclusa.

Infatti, il D.L. 7/2005[197] ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2006, la sostituzione della carta d’identità, all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo del documento, dalla carta d'identità elettronica, classificata carta valori (art. 7-vicies ter).

A tal fine tutti i comuni avrebbero dovuto provvedere entro il 31 ottobre 2005 alla predisposizione dei necessari collegamenti all'Indice nazionale delle anagrafi presso il Centro nazionale per i servizi demografici (CNSD) ed alla redazione del piano di sicurezza per la gestione delle postazioni di emissione secondo le regole tecniche fornite dal Ministero dell'interno.

 

Si ricorda, inoltre, che in via transitoria è stata istituita, con una novella all’art. 36 del D.P.R. 445/2000 introdotta dall’art. 8 del D.Lgs. n. 10 del 2002[198], la carta nazionale dei servizi (CNS). Si tratta di uno strumento provvisorio, affine alla carta d’identità elettronica, che permette l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione e di altri enti senza svolgere anche la funzione di documento di identità. La CNS, che ha validità fino a sei anni, costituisce per il cittadino lo strumento principale per accedere ai dati in possesso delle pubbliche amministrazioni (dati fiscali, previdenziali, sanitari).

L’art. 27, comma 8, della L. 3/2003[199], ha demandato ad un regolamento di delegificazione l’introduzione delle norme necessarie per la diffusione e l’uso della carta nazionale dei servizi. In attuazione di tale previsione è stato emanato il D.P.R. 117/2004[200].

Successivamente è stato adottato il decreto del ministro dell’Interno 9 dicembre 2004[201] che detta le regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie e ai materiali utilizzati per la produzione della CNS. Da ultimo, le Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione per il 2005[202] individuano la CNS tra i settori di intervento prioritario per le amministrazioni.

 


 

Articolo 32, commi 1-2
(Limitazioni all’uso del contante)

 

1. All'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) ai commi 1, 5, 8, 12 e 13, le parole «5.000 euro» sono sostituite dalle seguenti: «12.500 euro»;

b) l'ultimo periodo del comma 10 è soppresso.

2. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 66, comma 7 del citato decreto legislativo n. 231 del 2007.

 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 32 apportano modifiche all’articolo 49 del D.Lgs. n. 231/2007[203] elevando da 5.000 a 12.500 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore. La predetta modifica interessa, in particolare, i commi 1, 5, 8, 12 e 13 del citato articolo 49.

Viene, inoltre, abrogato l’ultimo periodo del comma 10 del medesimo articolo 49 che disponeva l’obbligo di indicare il codice fiscale nelle girate degli assegni.

 

Il citato articolo 49, recante “limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore”, nella versione previgente le modifiche apportate dalla norma in commento, dispone fra l’altro:

-        il divieto di trasferimento di denaro contante, libretti o titoli al portatore di importo pari o superiore a 5.000 euro (comma 1);

-        l’obbligo di indicare i dati anagrafici del beneficiario (nominativo o ragione sociale) nonché la clausola “non trasferibile” sugli assegni bancari e postali di importo superiore a 5.000 euro (comma 5);

-        la possibilità per gli istituti bancari e postali, su richiesta del cliente, di rilasciare assegni circolari e vaglia di importo inferiore a 5.000 euro senza la clausola “non trasferibile” (comma 8);

-        il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo superiore a 5.000 euro. In via transitoria, relativamente ai libretti che alla data del 29 dicembre 2007[204] presentavano un saldo superiore al predetto limite, i clienti hanno tempo fino al 30 giugno 2009 per estinguere o ridurre il saldo al di sotto della soglia fissata (commi 12 e 13).

Il comma 10 aveva introdotto l’applicazione di un’imposta di bollo in misura pari a 1,50 euro per ciascun assegno bancario o postale non contenente la clausola “non trasferibile”; inoltre, in caso di girata dell’assegno era necessario, a pena di nullità della girata, indicare anche il codice fiscale del girante.

Si segnala, infine, che il comma 20 fissa al 30 aprile 2008 la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nell’articolo 49.

 

La modifica introdotta dal comma 1 reintroduce i limiti di importo all’uso del contante - finalizzati al contrasto del riciclaggio e del terrorismo – vigenti prima del 30 aprile 2008 (data di entrata in vigore del richiamato articolo 49).

 

Il comma 2 conferma l’applicazione dell’articolo 66, comma 7, del D.Lgs. n. 231/2007, ai sensi del quale i limiti di importo fissati dall’articolo 49 possono essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 32, comma 3
(Soppressione dell’obbligo di tenuta di conti correnti da parte dei lavoratori autonomi)

 

3. Le disposizioni di cui ai commi 12 e 12-bis dell'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono abrogate.

 

 

Il comma 3 dell’articolo 32, abrogando i commi 12 e 12-bis dell’articolo 35 del DL n. 223/2006[205], sopprime l’obbligo a carico dei lavoratori autonomi consistente nella tenuta di un apposito conto corrente bancario o postale da utilizzare per la gestione dell’attività professionale (c.d. tracciabilità dei professionisti).

 

I citati commi 12 e 12-bis avevano introdotto, con finalità antielusive, disposizioni in materia di obblighi contabili per i lavoratori autonomi.

In particolare, il comma 12, introducendo due commi all’articolo 19 del DPR n. 600/1973[206], ha posto l’obbligo, a carico dei contribuenti esercenti arti e professioni, di tenere un conto corrente bancario o postale da utilizzare per la gestione dell’attività professionale, ossia per il pagamento delle spese sostenute e il versamento dei compensi riscossi nell’esercizio della funzione professionale. I movimenti finanziari, pertanto, dovevano essere effettuati esclusivamente attraverso strumenti finanziari tracciabili e non in contanti, fatta eccezione per le somme unitarie inferiori a 100 euro (comma 12).

Tuttavia, in via transitoria, il comma 12-bis ha elevato il limite di importo per la tracciabilità a 1.000 euro per il periodo compreso tra il 4 luglio 2006 e il 30 giugno 2008, e a 500 euro per il periodo compreso tra il 1° luglio 2008 e il 30 giugno 2009.

 

Si segnala che il comma 12 dell’articolo 35 del DL n. 223/2006, abrogato dalla norma in esame, introduce una novella all’articolo 19 del D.P.R. n. 600/1973 la quale non risulta espressamente abrogata.

 


 

Articolo 33, commi 1-2
(Applicabilità degli studi di settore)

 


1. Il comma 1 dell'articolo 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, è sostituito dal seguente: «1. Le disposizioni previste dall'articolo 10, commi da 1 a 6, della legge 8 maggio 1998, n. 146, si applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore gli studi di settore. A partire dall'anno 2009 gli studi di settore devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre del periodo d'imposta nel quale entrano in vigore. Per l'anno 2008 il termine di cui al periodo precedente è fissato al 31 dicembre».

2. Resta ferma la disposizione di cui all'articolo 10, comma 9, della legge 8 maggio 1998, n. 146, concernente la emanazione di regolamenti governativi nella materia ivi indicata. I regolamenti previsti dal citato articolo 10 della legge n. 146, del 1998, possono comunque essere adottati qualora disposizioni legislative successive a quelle contenute nel presente decreto regolino la materia, a meno che la legge successiva non lo escluda espressamente.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 33, modificando l’articolo 1 del D.P.R. n. 195/1999[207], anticipano il termine entro il quale gli studi di settore devono essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale per consentire il loro utilizzo ai fini dell’accertamento fiscale.

 

L’articolo 1, comma 1, del D.P.R. n. 195 del 1999, nel testo previgente le modifiche introdotte dalla norma in commento, individua il collegamento fra l’entrata in vigore degli studi di settore e la loro utilizzazione in sede di accertamento. In particolare, si stabilisce la regola generale in base alla quale gli studi di settore si applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore purché i relativi decreti ministeriali di approvazione siano pubblicati nella Gazzetta ufficiale entro il 31 marzo del periodo di imposta successivo a quello della loro entrata in vigore.

 

Il comma 1 della norma in esame, sostituendo il comma 1 dell’articolo 1 del D.P.R. n. 195/1999, dispone che, a decorrere dal 2009, è anticipato dal 31 marzo dell’anno successivo al 30 settembre del medesimo anno il termine entro il quale gli studi di settore devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale per poter trovare applicazione.

Inoltre, limitatamente all’anno 2008, il termine viene anticipato dal 31 marzo 2009 al 31 dicembre 2008.

 

Il comma 2 conferma, in primo luogo, l’applicazione dell’articolo 10, comma 9, della legge n. 146/1998 che prevede, in materia di studi di settore, l’emanazione di regolamenti di attuazione di cui all’articolo 3, comma 136, della legge n. 662/1996.

Ai sensi del citato comma 136, le procedure di attuazione delle norme tributarie, gli adempimenti contabili e formali dei contribuenti sono disciplinati con regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400/88 (c.d. regolamenti di delegificazione).

Il comma in esame rinvia, quindi, alla emanazione di “regolamenti governativi” in materia di studi di settore i quali “possono comunque essere adottati qualora disposizioni legislative successive a quelle contenute nella presente legge regolino la materia, a meno che la legge successiva non lo escluda espressamente”.

Tale ultima disposizione appare volta a chiarire la possibilità di ricorrere ai regolamenti in questione al fine di dare attuazione a future disposizioni di legge in materia di studi di settore.

 


 

Articolo 33, comma 3
(Elenchi clienti e fornitori)

 

3. All'articolo 8-bis del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 4-bis è abrogato;

b) al comma 6, le parole: «ovvero degli elenchi» sono soppresse e le parole: «degli stessi» sono sostituite dalle seguenti: «della stessa».

 

 

Il comma 3, alla lettera a), abroga le disposizioni contenute nel comma 4-bis dell’articolo 8-bis del regolamento che disciplina la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'IRAP e all’IVA (DPR n. 322 del 1998), in materia di comunicazione dei dati ai fini dell’IVA mediante gli elenchi dei clienti e dei fornitori.

 

Il comma 4-bis, introdotto con il decreto-legge D.L. n. 223 del 2006 in materia di entrate e contrasto all’evasione fiscale[208], ha stabilito che, entro 60 giorni dal termine previsto per la comunicazione dei dati IVA[209], i contribuenti sono tenuti a presentare un elenco dei soggetti nei cui confronti sono state emesse fatture nell’anno cui si riferisce la comunicazione (c.d. elenco clienti), nonché, in relazione al medesimo periodo, un elenco dei soggetti titolari di partita IVA da cui sono stati effettuati acquisti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (c.d. elenco fornitori). Per ciascun soggetto, gli elenchi devono essere indicati il codice fiscale e l’importo complessivo delle operazioni effettuate, al netto delle relative note di variazione, con l’evidenziazione dell’imponibile, dell’imposta, nonché dell’importo delle operazioni non imponibili e di quelle esenti[210].

Il successivo comma 6 aveva esteso l’applicazione della sanzione prevista dall’articolo 11 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471[211], alla fattispecie di mancata presentazione degli elenchi dei clienti e dei fornitori e di invio dei suddetti elenchi con dati incompleti o non veritieri. Pertanto, ai fini sanzionatori, l'omessa presentazione degli elenchi, nonché l'invio degli stessi con dati falsi o incompleti, comportava l'applicazione della sanzione amministrativa in misura fissa (da un minimo di 258 ad un massimo di 2.065 euro).

 

La lettera b) del comma 3 modifica il comma 6 dell’articolo 8 del DPR n. 322 del 1998, sopprimendo la previsione della sanzione per l’omissione della presentazione degli elenchi dei clienti e fornitori o l’invio con dati incompleti o non veritieri, in coerenza con l’abrogazione del comma 4-bis disposta dalla lettera a).

 

Resta vigente la previsione contenuta al richiamato comma 6, circa l’applicazione di tale sanzione in caso di omissione o invio di dati incompleti o non veritieri della comunicazione dei dati relativi all’IVA[212].

 

Infine, si ricorda che la presentazione degli elenchi oggetto dell’abrogazione in esame aveva peraltro beneficiato di due sanatorie:

-        la sanatoria della legge finanziaria per il 2007[213], per la quale si consideravano validamente effettuate, qualora presentate entro l’anno 2006, le comunicazioni dell’elenco dei fornitori nelle quali il contribuente avesse indicato il numero di partita IVA dei soggetti dai quali sono stati effettuati acquisti rilevanti, anziché il numero di codice fiscale;

-       la sanatoria della legge finanziaria per il 2008[214] in relazione alle presentazioni degli elenchi dei clienti e fornitori relative all’anno 2006 da parte dei soggetti obbligati alla dichiarazione IVA mensile, per i quali sono state rese valide le trasmissioni degli elenchi effettuate entro il 15 novembre 2007, in luogo della scadenza fissata al 15 ottobre 2007. La predetta legge finanziaria[215] aveva altresì previsto che i contribuenti minimi fossero esonerati dall’obbligo di presentazione degli elenchi di cui si prevede la soppressione[216].

 


 

Articolo 34
Soppresso

 


 

Articolo 35
(Semplificazione della disciplina per l'installazione degli impianti all'interno degli edifici)

 


1. Entro il 31 dicembre 2008 il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, emana uno o più decreti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, volti a disciplinare:

a) il complesso delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici prevedendo semplificazioni di adempimenti per i proprietari di abitazioni ad uso privato e per le imprese;

b) la definizione di un reale sistema di verifiche di impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;

c) la revisione della disciplina sanzionatoria in caso di violazioni di obblighi stabiliti dai provvedimenti previsti alle lettere a) e b).

2. L'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, è abrogato.

2-bis. Sono abrogati i commi 3 e 4 dell’articolo 6 e i commi 8 e 9 dell’articolo 15 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192.


 

 

L’articolo 35 è volto a semplificare la disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici.

Il comma 1 rimette a uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione, da adottare entro il 31 dicembre 2008, la semplificazione della disciplina concernente l’installazione di impianti all’interno degli edifici.

 

I decreti sono volti, in particolare, a disciplinare:

a) il complesso delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici prevedendo semplificazioni di adempimenti per i proprietari di abitazioni ad uso privato e per le imprese;

b) la definizione di un reale sistema di verifiche di impianti con l’obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori garantendo una effettiva sicurezza;

c) la revisione della disciplina sanzionatoria in caso di violazione di obblighi.

 

Si fa presente che l’articolo 11-quaterdecies, comma 13, del decreto-legge n. 203 del 2005[217] aveva attribuito al Governo una autorizzazione analoga. La norma prevedeva, in particolare, che con uno o più decreti del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente, si provvedesse a disciplinare:

a) il riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici

b) la definizione di un reale sistema di verifiche degli impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;

c) la determinazione delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali secondo i princípi di sussidiarietà e di leale collaborazione, anche tramite lo strumento degli accordi in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

d) la previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi stabiliti dai provvedimenti previsti dalle lettere a) e b).

La disposizione fissava a 24 mesi dalla sua entrata in vigore il termine per l’adozione dei decreti attuativi. Tale termine è stato successivamente prorogato al 1° gennaio 2007 dall’articolo 1-quater del decreto-legge n. 173 del 2006 e, da ultimo, al 31 marzo 2008 dall’articolo 3 del decreto-legge n. 300 del 2006.

Entro tale termine è stato adottato il decreto interministeriale 22 gennaio 2008, n. 37, che ha dato attuazione al solo punto a)[218]. Per i rimanenti profili (di cui alle lettere b), c) e d)) la disposizione è rimasta pertanto inattuata.

 

Merita altresì ricordare che tra i provvedimenti di rango legislativo di maggior rilevanza in tema di disciplina dell’attività di impiantistica si segnala la legge 5 marzo 1990, n. 46 (Norme per la sicurezza degli impianti), che impone l'osservanza di particolari obblighi e il rispetto di prescrizioni tecniche, al fine di evitare incidenti dovuti alla non corretta installazione o manutenzione degli impianti in funzione negli edifici. La legge è stata successivamente modificata dal DPR 18 aprile 1994, n. 392 relativamente alle disposizioni che disciplinano il procedimento previsto per l'accertamento, riconoscimento e certificazione dei requisiti tecnico-professionali delle imprese abilitate alla trasformazione, all'ampliamento e alla manutenzione degli impianti soggetti alla disciplina della L. n. 46/90

Il contenuto delle disposizioni della legge 46/90 è stato ripreso negli articoli da 107 a 121 del DPR n. 380 del 2001 (Testo unico in materia di edilizia- Capo V).

Una delle novità più rilevanti introdotte dal T.U. è contenuta nell’art. 107 che estende il campo d’applicazione della legge n. 46 agli impianti relativi agli edifici “quale che ne sia la destinazione d’uso”, annullando la distinzione prevista dalla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del TU - tra “edifici ad uso civile” ed edifici destinati ad altri usi (industriale, commerciale, terziario, ecc.).

Gli impianti interessati dalle disposizioni recate dal Capo V in esame sarebbero pertanto:

-        gli impianti di produzione, di trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell’energia elettrica all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’energia fornita dall’ente distributore;

-        gli impianti radiotelevisivi ed elettronici in genere, le antenne e gli impianti di protezione da scariche atmosferiche;

-        gli impianti di riscaldamento e di climatizzazione azionati da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura o specie;

-        gli impianti idrosanitari nonché quelli di trasporto, di trattamento, di uso, di accumulo e di consumo di acqua all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’acqua fornita dall’ente distributore;

-        gli impianti per il trasporto e l’utilizzazione di gas allo stato liquido o aeriforme all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna del combustibile gassoso fornito dall’ente distributore;

-        gli impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;

-        gli impianti di protezione antincendio.

Sono altresì previste norme in materia di progettazione e di collaudo (artt. 110 e 111), che tuttavia non si applicano ai lavori concernenti l’ordinaria manutenzione, nonché per le installazioni di apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari, fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità (art. 116).

Sono infine previste norme in tema di verifiche degli impianti (art. 118) da parte dei comuni, delle unità sanitarie locali, dei comandi provinciali dei vigili del fuoco e dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), nonché disposizioni sanzionatorie a carico del committente o del proprietario (art. 120).

 

Il comma 2 sopprime l’articolo 13 del decreto interministeriale n. 37 del 2008.

 

L’articolo 13 prevede l’obbligo di conservazione della documentazione amministrativa e tecnica, nonché del libretto di uso e manutenzione (nonché, in caso di trasferimento dell'immobile, a qualsiasi titolo, di consegna all'avente causa). L'atto di trasferimento deve riportare la garanzia del venditore in ordine alla conformità degli impianti alla vigente normativa in materia di sicurezza e contiene in allegato, salvo espressi patti contrari, la dichiarazione di conformità. Copia della documentazione è consegnata anche al soggetto che utilizza, a qualsiasi titolo, l'immobile.

 

Il comma 2-bis,reca l’abrogazione di alcune disposizioni (articolo 6, commi 3 e 4 e articolo 15, commi 8 e 9) del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, in materia di certificazione energetica degli edifici.

 

In particolare, l’art. 6, comma 3 del D.Lgs. 192/2005, stabilisce che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità, l’attestato di certificazione energetica deve essere allegato all'atto di trasferimento. Il comma 4, dispone che in caso di locazione lo stesso attestato deve essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale.

Conseguentemente, l’art. 15, comma 8, prevede che, in caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, co. 3, il contratto è nullo e la nullità può essere fatta valere solo dall'acquirente. Il comma 9, invece, dispone che caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, co. 4, la nullità del contratto può essere fatta valere solo dal conduttore.

 


 

Articolo 36
(Class action. Sottoscrizione dell’atto di trasferimento di partecipazioni societarie)

 


1. Anche al fine di individuare e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 2, comma 447, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, le parole «decorsi centottanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «decorso un anno».

1-bis. L’atto di trasferimento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell'articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del presente comma. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente comma.


 

 

L’articolo 36 contiene due disposizioni di diversa natura: la prima proroga di sei mesi l’entrata in vigore della disciplina della cd. “class action”, introdotta nell’ordinamento dalla legge finanziaria per il 2008; la seconda è relativa al trasferimento di partecipazioni societarie nelle società a responsabilità limitata.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame, proroga al 1° gennaio 2009 l’entrata in vigore della disciplina dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori, introdotta nel Codice del consumo dall’art. 2, commi 445-449, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria per il 2008).

La finalità della proroga è motivata dalla necessità dell’individuazione e messa a punto di strumenti normativi adatti a estendere la tutela risarcitoria (anche in forma specifica) di cui all’azione collettiva anche nei confronti della pubblica amministrazione.

L’azione collettiva risarcitoria consiste in un’azione giudiziale di gruppo, attivabile da associazioni rappresentative di consumatori e utenti nei confronti delle imprese per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali. Il nuovo art. 140-bis del Codice del consumo disciplina e scandisce le diverse fasi dell’azione collettiva, che mira ad ottenere dal giudice una pronuncia di accertamento della lesione degli interessi di una determinata categoria di persone ed il loro diritto ad un risarcimento.

Il procedimento prevede una doppia fase:

-        la prima, volta alla sentenza di accertamento;

-        la seconda, conciliativa, finalizzata alla quantificazione del risarcimento individuale.

Per quanto concerne l’oggetto della tutela, il nuovo art. 140-bis fa riferimento:

-        in ambito contrattuale, ad illeciti relativi ai rapporti giuridici originati dai contratti cd. di massa o per adesione, conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile (con moduli o formulari);

-        ad atti illeciti extracontrattuali (risarcimento ex art. 2043 c.c.);

-        a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali, quando ledano i diritti di una pluralità di consumatori o utenti.

Il medesimo art. 140-bis prevede – come eventuali – sia la semplice adesione dei singoli consumatori all’azione collettiva sia l’intervento in causa con proprie domande sul medesimo oggetto: ai consumatori che aderiscono è estesa la tutela derivante dal processo; i consumatori che intervengono acquistano la qualità di parte con relativi vantaggi ed oneri. La norma, oltre ad individuare le modalità per l’adesione (scritta) all’azione collettiva da parte dei singoli consumatori, stabilisce che il suo esercizio ha effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell'art. 2945 c.c. Il termine ultimo per l’adesione è fissato, anche in appello, “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”.

A seguito della presentazione della domanda da parte dei citati organismi associativi, il Tribunale competente – che la nuova disciplina precisa essere il tribunale in composizione collegiale – nel corso della prima udienza, dopo aver sentito le parti e, ove necessario, dopo l’assunzione di sommarie informazioni, è chiamato a pronunciarsi sulla ammissibilità della domanda; la decisione può essere differita in pendenza, sul medesimo oggetto, di istruttoria da parte di un’Autorità indipendente.

Non sussistendo tale ipotesi di differimento, il Tribunale si pronuncia sull’ammissibilità della domanda con ordinanza reclamabile davanti alla Corte d'appello che decide in camera di consiglio. La domanda deve essere dichiarata inammissibile quando sia manifestamente infondata, quando sussista un conflitto di interessi o quando il giudice non ravvisi l'esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela.

Il tribunale svolge, in definitiva, una doppia azione di filtro sull’ammissibilità della domanda dal punto di vista sia soggettivo che oggettivo, sia in relazione alla legittimazione ad agire del soggetto associativo che propone l’azione risarcitoria, sia in relazione all’ammissibilità della domanda nel merito.

Superata tale fase e ammessa la domanda, il tribunale dispone che i proponenti l'azione collettiva diano «idonea pubblicità» dei contenuti dell’azione proposta, assumendo nel contempo disposizioni per la prosecuzione del giudizio. Tale pubblicità appare, ovviamente, propedeutica alla conoscibilità del procedimento in atto ai fini dell’adesione-intervento degli interessati.

Per quanto riguarda i successivi passaggi, il giudice se accoglie l’azione collettiva con la sentenza di condanna, determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori e utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono intervenuti in giudizio, individuando, ove possibile, la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. L’impresa soccombente, nei 60 giorni successivi alla notifica della sentenza, propone il pagamento di una somma e l’accettazione da parte del consumatore o utente costituisce titolo esecutivo (comma 4).

L’art. 140-bis precisa che la sentenza che definisce il giudizio fa stato nei confronti di tutti i consumatori e utenti che hanno aderito all'azione collettiva.

Tutti coloro che non hanno aderito all’azione e che non sono intervenuti nel giudizio potranno comunque agire individualmente. Il legislatore nazionale ha, quindi, adottato come in molti Paesi europei, il sistema dell’opt-in ovvero la soggezione del membro della classe al giudicato soltanto nel caso in cui manifesti esplicitamente una volontà in tal senso (aderendo all’azione collettiva o intervenendo in causa).

Se l'impresa non formula alcuna proposta entro i citati 60 giorni, ovvero nel caso in cui tale proposta non sia stata accettata, si apre un’ulteriore fase conciliativa; in tali ipotesi, infatti, il giudice costituisce presso lo stesso tribunale un’apposita Camera di conciliazione[219] per la determinazione del quantum dei singoli risarcimenti in favore dei consumatori. Spetta alla Camera di conciliazione definire, con verbale, i modi, i termini e l’entità del risarcimento. Tale verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo. Da ciò consegue il diritto del singolo consumatore e utente di chiedere al giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti del debitore.

In alternativa alla Camera di conciliazione, su concorde richiesta del promotore dell'azione collettiva e dell'impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5[220], operante presso il comune in cui ha sede il tribunale.

La nuova disciplina sulla class action avrebbe dovuto applicarsi trascorsi 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria (1° gennaio 2008).

 

Il comma 1-bis – come accennato – prevede che l’atto di trasferimento delle partecipazioni di una società a responsabilità limitata possa essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione dei documenti informatici.

Si ricorda che, ai sensi dell'art. 2470, secondo comma, c.c., l'atto di trasferimento delle partecipazioni di una s.r.l., con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

Il comma introdotto dispone altresì in ordine alle modalità di deposito dell’atto presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, prevedendo:

§      che il deposito debba avere luogo entro 30 giorni (analogamente a quanto previsto dal suddetto art. 2470 c.c.);

§      che esso avvenga a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell'art. 31, comma 2-quater, della legge n. 340/2000[221] (ovvero a cura di iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, muniti della firma digitale e allo scopo incaricati dai legali rappresentanti della società).

Nel caso di sottoscrizione con firma digitale dell’atto di trasferimento della partecipazione, l'iscrizione del medesimo trasferimento nel libro dei soci avrà luogo, su richiesta dell'alienante e dell'acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dall'intermediario che vi ha provveduto.

La norma fa, infine, salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di trasferimento in oggetto.

Sulla disposizione in oggetto è intervenuta una Circolare di Unioncamere del 22 settembre 2008 (prot. 14288). La circolare ha chiarito, in particolare, che, nelle ipotesi in cui per la cessione di quote della s.r.l. ci si rivolge ad un iscritto nell’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili, solo il professionista incaricato è autorizzato al deposito degli atti presso il registro delle imprese. Grava, quindi, solo ed esclusivamente su quest’ultimo la sanzione amministrativa fino a 516 euro per l’inosservanza dell’obbligo di iscrizione di cui all’art. 2194 del codice civile.


 

Articolo 37, comma 1
(Certificazioni e prestazioni sanitarie)

 

1. Al fine di garantire la riduzione degli adempimenti meramente formali e non necessari alla tutela della salute a carico di cittadini ed imprese e consentire la eliminazione di adempimenti formali connessi a pratiche sanitarie obsolete, ferme restando comunque le disposizioni vigenti in tema di sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sono individuate le disposizioni da abrogare.

 

 

Al fine di eliminare e ridurre gli adempimenti formali connessi a pratiche sanitarie obsolete, l’articolo 37, al comma 1, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro del Lavoro, della Salute e della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131[222], che individua le disposizioni da abrogare.

 

L’articolo 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003 stabilisce che il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni; in tale caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281[223], che prevedono in specifici casi il potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri rispetto al raggiungimento della suddetta Intesa.


 

Articolo 37, comma 2
(Ambito di applicazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998)

 


2. Il comma 2 dell’articolo 1 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «2. Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario».


 

 

Il comma 2 interviene sul testo unico in materia di immigrazione, estendendone l’applicazione anche ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea nel solo caso in cui questo sia previsto da norme di attuazione del diritto comunitario, mentre in precedenza l’applicazione ai cittadini comunitari era prevista in presenza di norme a loro più favorevoli.

 

Il testo unico emanato con il D.Lgs. 286/1998[224] si applica, come esplicitamente previsto dall’art. 1, co. 1, esclusivamente ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi.

La condizione giuridica dei cittadini dell’Unione europea è invece regolata da disposizioni diverse, di derivazione comunitaria; la disciplina relativa alla libera circolazione e al soggiorno è contenuta nel D.Lgs. 30/2007[225], emanato in attuazione della direttiva 2004/38/CE.

L’esclusione dei cittadini comunitari dall’ambito di applicazione del testo unico è esplicitata dall’art. 1, co. 2, del testo unico, oggetto di novella da parte del comma in esame, ove si prevede espressamente che il testo unico non si applica ai cittadini comunitari, salvo in presenza di norme a loro più favorevoli. La disposizione in esame ha abrogato tale eccezione, sostituendola, come si è detto, con la previsione di applicazione in presenza di norme di attuazione del diritto comunitario che espressamente lo prevedano.

 

La sopra citata clausola di maggior favore, eliminata dalla disposizione in esame, riflette una condizione sovente contenuta nelle direttive comunitarie: anche la citata direttiva 2004/38/CE, all’art. 37, prevede che le disposizioni in essa contenute non pregiudicano la disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno eventualmente più favorevoli nei confronti dei cittadini comunitari.

 

La ratio della norma in commento risiede, come esplicitato nella relazione tecnica che ha accompagnato il disegno di legge di conversione, nell’intenzione di escludere i cittadini comunitari dal miglior trattamento previsto – in particolari situazioni – per i cittadini extracomunitari dal testo unico del 1998, con specifico riguardo al settore sanitario.

 

Si vuole infatti impedire – sempre secondo la relazione tecnica – che i cittadini dell’Unione “non titolari presso il Paese di origine di diritti a fruire di prestazioni sociali (in particolare sanitarie), né titolari di assicurazione sanitaria privata o di iscrizione al Servizio sanitario nazionale italiano” possano beneficiare di tali prestazioni in Italia, determinando così oneri a carico del Servizio sanitario nazionale.

Si ricorda che le norme generali in materia di assistenza sanitaria relative ai cittadini comunitari e ai non comunitari sono simili: il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiorno in Italia per un periodo superiore a tre mesi se assolve ad una serie di condizioni, tra cui il disporre di una assicurazione sanitaria per sé e per i propri familiari (art. 7, D.Lgs. 30/2007). Tale condizione non è richiesta per i soggiorni inferiori a tre mesi.

Analogamente, i cittadini non comunitari hanno l’obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale se regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro, asilo politico, motivi familiari, attesa adozione, affidamento e per acquisto della cittadinanza. Gli altri sono tenuti a stipulare una assicurazione contro infortuni e malattie (art. 34 T.U.). Gli stranieri non comunitari che non sono iscritti al servizio sanitario nazionale sono tenuti al pagamento delle prestazioni. Sono, comunque, assicurate le cure urgenti o essenziali (tra cui l’assistenza al parto), anche agli irregolari e ai clandestini. Anche tali prestazioni devono essere pagate a meno che il richiedente non disponga di risorse economiche sufficienti e in tal caso viene richiesto unicamente il ticket (art. 35, T.U. ).

Da quanto sopra esposto sembrerebbe, dunque, che l’abolizione della clausola di maggior favore comporterebbe l’obbligo del cittadino comunitario, ancorché privo di risorse sufficienti, di corrispondere interamente il pagamento dovuto per le prestazioni urgenti ed essenziali, fermo restando che non sembra da porsi in dubbio – in base ai princìpi dell’ordinamento italiano che sanciscono la tutela della salute e garantiscono cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.) – il diritto dei cittadini comunitari alle prestazioni indifferibili e urgenti, anche per quelli privi di assicurazione, fatta salva l’attivazione della procedura di recupero dei costi nei confronti degli Stati competenti[226].

 

Si osserva peraltro che l’abolizione della clausola suddetta – essendo riferita all’intero campo di applicazione del testo unico, potrebbe avere conseguenze anche al di fuori del campo sanitario, incidendo (ad esempio) nei settori della protezione sociale, dell’accesso all’abitazione o del diritto allo studio.

Va in ogni caso segnalato che l’ambito di efficacia della disposizione appare non facilmente determinabile a priori, in considerazione del fatto che l’art. 19 del citato D.Lgs. 30/2007 dispone (co. 2) che ogni cittadino dell’Unione residente, in base al decreto, nel territorio nazionale “gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato”, derogando a tale principio (co. 3) solo con riguardo al diritto a prestazioni di assistenza sociale nei primi tre mesi di soggiorno o comunque in caso di ingresso finalizzato alla ricerca di un posto di lavoro.

 

Riguardo alla nuova formulazione introdotta dal provvedimento in esame, ossia l’esclusione dei cittadini comunitari dall’applicazione del testo unico salvo quanto previsto dalla norme di attuazione del diritto comunitario si rileva che il D.Lgs. 30/2007 contiene diverse disposizioni concernenti i cittadini comunitari che fanno rinvio al testo unico dell’immigrazione; tra queste si segnalano le seguenti[227]:

-        il cittadino dell’Unione che richiede l’iscrizione anagrafica in Italia deve dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, secondo i criteri fissati dal testo unico (art. 9, co. 3, D.Lgs. 30/2007);

-        le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell’Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell’articolo 6, comma 7, del testo unico a cura delle amministrazioni comunali alla questura competente per territorio (art. 9, co. 7, D.Lgs. 30/2007);

-        in caso di decesso del cittadino dell’Unione viene esclusa la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e, si applica l’articolo 30, comma 5, del testo unico (art. 11, co. 3, D.Lgs. 30/2007);

-        anche in caso di divorzio, in situazioni particolari si applicano le disposizioni del testo unico (art. 12, co. 4, D.Lgs. 30/2007);

-        in presenza di un provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, che è immediatamente eseguito dal questore, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico (art. 20, co. 11, D.Lgs. 30/2007)[228];

-        se il destinatario del provvedimento di allontanamento sia sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico (art. 20-bis, co. 1, D.Lgs. 30/2007).


 

Articolo 38
(Impresa in un giorno)

 


1. Al fine di garantire il diritto di iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione, l'avvio di attività imprenditoriale, per il soggetto in possesso dei requisiti di legge, è tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio.

2. Le disposizioni del presente articolo attengono ai livelli essenziali delle prestazioni per garantire uniformemente i diritti civili e sociali ed omogenee condizioni per l'efficienza del mercato e la concorrenzialità delle imprese su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione.

3. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, si procede alla semplifi­cazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, e successive modificazioni, in base ai seguenti principi e criteri, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 19, comma 1, e 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241:

a) attuazione del principio secondo cui, salvo quanto previsto per i soggetti privati di cui alla lettera c) e dall’articolo 9 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, lo sportello unico costituisce l'unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva e fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241;

a-bis) viene assicurato, anche attraverso apposite misure telematiche, il collegamento tra le attività relative alla costituzione dell’impresa di cui alla comunicazione unica disciplinata dall’articolo 9 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 e le attività relative alla attività produttiva di cui alla lettera a) del presente comma;

b) le disposizioni si applicano sia per l'espletamento delle procedure e delle formalità per i prestatori di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sia per la realizzazione e la modifica di impianti produttivi di beni e servizi;

c) l'attestazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa può essere affidata a soggetti privati accreditati («Agenzie per le imprese»). In caso di istruttoria con esito positivo, tali soggetti privati rilasciano una dichiarazione di conformità che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività. Qualora si tratti di procedimenti che comportino attività discrezionale da parte dell'Amministrazione, i soggetti privati accreditati svolgono unicamente attività istruttorie in luogo e a supporto dello sportello unico;

d) i comuni che non hanno istituito lo sportello unico, ovvero il cui sportello unico non risponde ai requisiti di cui alla lettera a), esercitano le funzioni relative allo sportello unico, delegandole alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura le quali mettono a disposizione il portale "impresa.gov" che assume la denominazione di "impresainungiorno", prevedendo forme di gestione congiunta con l’ANCI;

e) l'attività di impresa può essere avviata immediatamente nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività allo sportello unico;

f) lo sportello unico, al momento della presentazione della dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione dell'intervento, rilascia una ricevuta che, in caso di dichiarazione di inizio attività, costituisce titolo autorizzatorio. In caso di diniego, il privato può richiedere il ricorso alla conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241;

g) per i progetti di impianto produttivo eventualmente contrastanti con le previsioni degli strumenti urbanistici, è previsto un termine di trenta giorni per il rigetto o la formulazione di osservazioni ostative, ovvero per l'attivazione della conferenza di servizi per la conclusione certa del procedimento;

h) in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l'amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell'avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi.

4. Con uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa e previo parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono stabiliti i requisiti e le modalità di accreditamento dei soggetti privati di cui al comma 3, lettera c), e le forme di vigilanza sui soggetti stessi, eventualmente anche demandando tali funzioni al sistema camerale, nonché le modalità per la divulgazione, anche informatica, delle tipologie di autorizzazione per le quali è sufficiente l'attestazione dei soggetti privati accreditati, secondo criteri omogenei sul territorio nazionale e tenendo conto delle diverse discipline regionali.

5. Il Comitato per la semplificazione di cui all'articolo 1 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80, predispone un piano di formazione dei dipendenti pubblici, con la eventuale partecipazione anche di esponenti del sistema produttivo, che miri a diffondere sul territorio nazionale la capacità delle amministrazioni pubbliche di assicurare sempre e tempestivamente l'esercizio del diritto di cui al comma 1 attraverso gli strumenti di semplificazione di cui al presente articolo.

6. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 38 detta norme volte a semplificare le procedure per l’avvio e lo svolgimento delle attività imprenditoriali, mediante autorizzazione al Governo a modificare, nel rispetto di specifici principi e criteri, la disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.

 

Il comma 1 reca una disposizione di principio, sancendo che anche l’attività inerente l’avvio d’impresa gode della copertura costituzionale relativa alla libertà di iniziativa economica sancita dall’articolo 41 della Costituzione[229].

Il comma 2 riconduce alla garanzia su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che l’articolo 117, comma 2, lettera m) e p) della Costituzione, rimette alla competenza legislativa esclusiva statale, la materia oggetto della disposizione in esame.

 

Il comma 3 demanda a un regolamento di delegificazione, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988[230], su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8, D.Lgs. n. 281/1997[231], la semplificazione e il riordino della disciplina dello sportello unico delle attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.

 

L’istituzione di uno sportello unico per le attività produttive presso ogni comune è stata prevista dagli articoli 23-25 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”, adottato in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. legge Bassanini).

L’articolo 23 attribuisce ai comuni le competenze in materia di localizzazione degli impianti produttivi. Le regioni provvedono al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell'assistenza alle imprese, con particolare riferimento alla localizzazione e autorizzazione degli impianti produttivi e alla creazione di aree industriali. Le funzioni di assistenza sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive.

L'articolo 24 impone ai comuni di organizzarsi in modo da assicurare che un'unica struttura sia responsabile dell'intero procedimento per la localizzazione dell'impresa. Questa struttura - presso la quale è istituito uno sportello unico - garantisce informazioni e svolge gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatorie. Per la realizzazione di questi sportelli unici i comuni possono stipulare convenzioni con le camere di commercio. Gli enti locali possono inoltre avvalersi, nelle forme concordate, di altre amministrazioni ed enti pubblici, cui possono anche essere affidati singoli atti istruttori del procedimento. Infine, laddove siano stipulati patti territoriali o contratti d'area, l'accordo tra gli enti locali coinvolti può prevedere che la gestione dello sportello unico sia attribuita al soggetto pubblico responsabile del patto o del contratto.

L'articolo 25 dispone che il procedimento amministrativo in materia di autorizzazione all'insediamento di attività produttive sia unico. La relativa istruttoria deve avere per oggetto soprattutto i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.

I principi ispiratori della normativa sul provvedimento amministrativo di autorizzazione all'insediamento di attività produttive - che costituiscono principi generali dell'ordinamento dello Stato - sono espressamente elencati dallo stesso art. 25 (comma 2). I principi riportati riprendono le innovazioni sul procedimento amministrativo tipiche della legislazione più recente, quali lo snellimento delle procedure, soprattutto con l'individuazione di un responsabile del procedimento e la creazione del già accennato "sportello unico", nonché con il ricorso all'autocertificazione, a meccanismi di silenzio-assenso e alla convocazione di conferenze di servizi per accelerare i momenti decisionali; l'inserimento di regole di trasparenza, tra le quali la partecipazione alla fase istruttoria dei provvedimenti di tutti i portatori di interessi coinvolti e l'effettuazione del collaudo da parte di soggetti abilitati in posizione di terzietà rispetto all'impresa richiedente l'autorizzazione.

Le funzioni dello sportello unico sono state definite nel dettaglio dall'articolo 3 del DPR 20 ottobre 1998, n. 447, recante disposizioni di semplificazione dei procedimenti autorizzatori concernenti gli impianti produttivi di beni e servizi tra i quali, a seguito delle modifiche introdotte dal DPR 7 dicembre 2000, n. 440[232] (art. 1 comma 1-bis), sono stati inclusi anche quelli relativi alle attività agricole, commerciali e artigiane, alle attività turistiche ed alberghiere, ai servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari, ai servizi di telecomunicazioni.

Ai fini del rilascio dell’'autorizzazione, l'articolo 3, comma 1, prevede che i comuni predispongano una apposita struttura unica alla quale viene affidato l'intero procedimento. La struttura, che può essere articolata in appositi uffici, deve essere dotata di uno sportello unico, ai fini della cui realizzazione i comuni possono stipulare convenzioni con le camere di commercio ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del D.Lgs. 112/98.

Il comma 2 dell'art. 3 dispone che la struttura comunale si doti di uno sportello unico per le attività produttive, previa predisposizione di un archivio informatico contenente le informazioni sugli adempimenti necessari per le procedure previste dal regolamento, l'elenco delle domande di autorizzazione presentate, lo stato del loro iter procedurale, nonché tutte le informazioni utili - comprese quelle concernenti le attività promozionali - disponibili presso le strutture di coordinamento regionale (contemplate dall'articolo 23, comma 2, del citato decreto legislativo 112/98). E' garantito l'accesso gratuito all'archivio informatizzato a chiunque vi abbia interesse, anche in via telematica. Tutti gli interessati si possono rivolgere allo sportello unico per gli adempimenti connessi ai procedimenti di cui al presente regolamento.

E' prevista anche una verifica intermedia dei progetti per l'insediamento di attività produttive rispetto agli strumenti urbanistici. Più esattamente, gli interessati possono richiedere alla citata struttura comunale di pronunciarsi sulla conformità (allo stato degli atti in suo possesso), dei progetti preliminari sottoposti al suo parere, con gli strumenti di pianificazione paesistica, territoriale e urbanistica vigenti, senza che ciò pregiudichi la definizione del successivo procedimento autorizzatorio. La struttura deve pronunciarsi in tal senso entro 90 giorni.

Il termine concesso ai comuni per dotarsi della struttura e nominare il responsabile del procedimento è fissato dal comma 4 dell'articolo 2 del D.P.R. in 90 giorni dalla entrata in vigore del provvedimento stesso[233].

 

Sempre in tema di semplificazioni burocratiche per l’avvio dell’attività d’impresa, occorre ricordare l’articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2007[234], il quale ha stabilito che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione nel registro delle imprese, a fini previdenziali (iscrizione all’Inps), assistenziali (iscrizione all’Inail) e per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano sostituiti da una comunicazione unica all’Ufficio del registro delle imprese delle camere di commercio.

Il suddetto Ufficio rilascia contestualmente una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e informa le amministrazioni competenti dell’avvenuta presentazione della comunicazione unica. Queste, da parte loro, comunicano immediatamente all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.

La disposizione prevede, inoltre, che la procedura si applichi anche in caso di modifiche o di cessazioni dell’attività d’impresa e che la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi, siano di norma adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica. A tal fine le camere di commercio, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, assicurano gratuitamente ai privati l’assistenza e il supporto tecnico di cui necessitano.

L’individuazione del modello di comunicazione unica è stata demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico[235].

L’individuazione delle regole tecniche per l’attuazione delle disposizioni recate dall’articolo 9 del DL. 7/07 e delle modalità di presentazione e di trasferimento telematico dei dati tra le amministrazioni interessate (anche ai fini dei necessari controlli) è stata demandata a un DPCM o a un decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’economia e delle finanze e del lavoro e della previdenza sociale. Al momento il DPCM non risulta ancora pubblicato.

Le nuove procedure trovano applicazione a partire da 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di individuazione del modello di comunicazione unica. A partire dalla stessa data viene abrogata la previgente normativa in materia di comunicazioni a carattere previdenziale e assistenziale, nonché per il rilascio del codice fiscale e della partita IVA.

 

Il regolamento deve essere adottato, in primo luogo, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990.

 

L’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990, nella sua originaria formulazione, aveva introdotto nell’ordinamento la denuncia di inizio attività (DIA), quale istituto inteso a semplificare il complesso regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private, attraverso la sostituzione degli atti amministrativi ampliativi – nei soli settori tassativamente indicati a livello regolamentare – con dichiarazioni sostitutive da parte dei privati interessati (alle condizioni e con i limiti indicati dal medesimo articolo 19).

Successivamente l’articolo 3, comma 1, della legge n. 537/1993 (di conversione in legge del DL n. 80 del 2005), ha sostituito l’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990, trasformando la DIA da istituto eccezionale a istituto generale, ammesso in tutti i casi in cui il provvedimento ampliativo è configurabile come atto vincolato, con le sole eccezioni stabilite a livello regolamentare.

A seguito della presentazione della dichiarazione del privato la P.A. competente aveva, entro e non oltre 60 giorni, il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti (salva l’eventuale possibilità per l’interessato di conformare alla normativa vigente l’attività ed i suoi effetti).

Con la novella introdotta dal citato DL 35/05, la “Dichiarazione di inizio di attività” (DIA) può surrogare una serie di atti amministrativi ampliativi (autorizzazioni, licenze, concessioni “non costitutive”, permessi o nulla-osta comunque denominati), fra i quali le “domande” per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale .

Presupposti della dichiarazione di inizio attività sono:

-        la natura vincolata dell’atto amministrativo surrogato (il rilascio del provvedimento deve dipendere solo dalla verifica della esistenza dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi generali);

-        l’assenza di alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio dell’atto.

Non possono essere surrogati dalla dichiarazione di inizio attività, in quanto” atti rilasciati dalle amministrazioni preposte ad interessi particolarmente sensibili”, i solo atti autorizzativi rilasciati dalle amministrazioni preposte:

-        alla difesa nazionale;

-        alla pubblica sicurezza;

-        all’immigrazione;

-        all’amministrazione della giustizia;

-        alla amministrazione delle finanze (ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco);

-        alla tutela della salute e della pubblica incolumità;

-        alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente.

Sono inoltre non surrogabili dalla DIA gli atti amministrativi imposti dalla normativa comunitaria.

L’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, esclude l’applicazione dei principi in materia di silenzio assenso in una serie di ipotesi tassativamente elencate. Si tratta degli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, dei casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, dei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché degli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

 

Il regolamento, inoltre, deve essere adottato in base a specifici principi e criteri, espressamente indicati.

§      configurazione dello sportello unico quale unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento[236], salvo quanto disposto dalla successiva lettera c) e dall’articolo 9 del D.L. n. 7 del 2007[237], recante norme sulla comunicazione unica al registro delle imprese a fini previdenziali, assistenziali e fiscali (lettera a));

§      garanzia di un collegamento, anche per via telematica, tra le attività relative alla costituzione dell’impresa di cui all’articolo 9 del D.L. n. 7 del 2007, e le attività relative alla attività produttiva di cui alla predetta lettera a) (lettera a)-bis));

§      applicazione sia alla realizzazione di impianti produttivi di beni e servizi, sia alle procedure per i prestatori di servizi[238] (lettera b));

§      possibilità di affidare l’istruttoria (nel caso di attività discrezionale della P.A.) e l’attestazione della sussistenza dei requisiti normativi previsti (nel caso di attività non discrezionale della P.A.) a soggetti privati accreditati (Agenzie per le imprese) (lettera c));

§      la previsione che, per i Comuni che non istituiscono lo sportello unico ovvero qualora questo non risponda ai requisiti di cui alla lettera a), le funzioni inerenti lo sportello unico siano esercitate mediante delega alle camere di commercio le quali, a tal fine, mettono a disposizione un apposito portale denominato “impresainungiorno” gestito congiuntamente con l’ANCI (lettera d));

§      possibilità di avviare immediatamente l’attività d’impresa nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), con rilascio da parte dello sportello unico di una ricevuta che vale come titolo autorizzatorio (e possibilità per il privato, in caso di diniego, di ricorrere alla conferenza di servizi) (lettere e) e f));

§      previsione di un termine di 30 giorni per il rigetto dell’istanza, per la formulazione di osservazioni ostative o per l’attivazione della conferenza di servizi, nei casi in cui il progetto di impianto produttivo contrasti con gli strumenti urbanistici (lettera g));

§      facoltà per l’amministrazione procedente di concludere il procedimento anche in mancanza dei pareri delle altre amministrazioni una volta scaduto il termine ad esse assegnato per esprimersi, con esclusione di ogni responsabilità a carico del responsabile del procedimento in ordine ai danni eventualmente connessi alla mancata espressione dei pareri (lettera h)).

 

Il comma 4 demanda a uno o più regolamenti di delegificazione, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988[239], previoparere della Conferenza unificata, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa:

§      l’individuazione dei requisiti, delle modalità di accreditamento e della verifica dell’attività dei soggetti privati (Agenzie per le imprese) ai quali può essere affidata l’istruttoria (nel caso di attività discrezionale della P.A.) e l’attestazione della sussistenza dei requisiti normativi previsti (nel caso di attività non discrezionale della P.A.) in ordine all’istanze dei privati (in attuazione del comma 3, lettera c)), con possibilità di demandare tali funzioni anche al sistema camerale;

§      la definizione delle modalità di divulgazione, anche informatica, delle tipologie di autorizzazione per le quali è sufficiente l’attestazione dei soggetti privati accreditati, secondo criteri omogenei sul territorio nazionale e tenendo conto delle diverse discipline regionali.

 

Il comma 5 rimette al Comitato per la semplificazione di cui all’articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2006 il compito di predisporre un piano di formazione dei dipendenti pubblici, con la eventuale partecipazione di esponenti del sistema produttivo, al fine di assicurare la piena applicazione delle nuove norme relative all’attività degli sportelli unici.

 

L’articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2006 ha istituito il Comitato interministeriale per l'indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro da lui delegato, con il compito di svolgere l’attività di indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione. I componenti del Comitato sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro[240]. Possono essere invitati a partecipare a riunioni del Comitato, secondo l'oggetto della discussione, altri componenti del Governo, esponenti di autorità regionali e locali e delle associazioni di categoria. Il Comitato predispone, entro il 31 marzo di ogni anno, un piano di azione per il perseguimento degli obiettivi del Governo in tema di semplificazione, di riassetto e di qualità della regolazione per l'anno successivo. Il piano, sentito il Consiglio di Stato, è approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso alle Camere[241]. Il Comitato verifica, durante l'anno, lo stato di realizzazione degli obiettivi, che viene reso pubblico ogni sei mesi.

 

Il comma 6 dispone che le nuove disposizioni non devono comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (invarianza della spesa).

 


 

Articolo 39
(Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro)

 


1. Il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro nel quale sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l'anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

2. Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, compresi le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l'indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo la giornata di presenza al lavoro.

3. Il libro unico del lavoro deve essere compilato coi dati di cui ai commi 1 e 2, per ciascun mese di riferimento, entro il giorno 16 del mese successivo.

4. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali stabilisce, con decreto da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina il relativo regime transitorio .

5. Con la consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro il datore di lavoro adempie agli obblighi di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4.

6. La violazione dell'obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro di cui al comma 1 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L'omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all'articolo 1, quarto comma, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000 euro.

7. Salvo i casi di errore meramente materiale, l'omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. La violazione dell'obbligo di cui al comma 3 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

8. Il primo periodo dell'articolo 23 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 è sostituito dal seguente: «Se ai lavori sono addette le persone indicate dall'articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all'Istituto assicuratore nominativamente, prima dell'inizio dell'attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto».

9. Alla legge 18 dicembre 1973, n. 877 sono apportate le seguenti modifiche: a) nell'articolo 2, è abrogato il comma 3; b) nell'articolo 3, i commi da 1 a 4 e 6 sono abrogati, il comma 5 è sostituito dal seguente: «Il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda è obbligato a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro»; c) nell'articolo 10, i commi da 2 a 4 sono abrogati, il comma 1 è sostituito dal seguente: «Per ciascun lavoratore a domicilio, il libro unico del lavoro deve contenere anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito, la specificazione della quantità e della qualità di esso»; d) nell'articolo 13, i commi 2 e 6 sono abrogati, al comma 3 sono abrogate le parole «e 10, primo comma», al comma 4 sono abrogate le parole «3, quinto e sesto comma, e 10, secondo e quarto comma».

10. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati, fermo restando quanto previsto dal decreto di cui al comma 4:

a) l'articolo 134 del regolamento di cui al regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422;

b) l'articolo 7 della legge 9 novembre 1955, n. 1122;

c) gli articoli 39 e 41 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797;

d) il decreto del Presidente della Repubblica 24 settembre 1963, n. 2053;

e) gli articoli 20, 21, 25 e 26 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

f) l'articolo 42 della legge 30 aprile 1969, n. 153;

g) la legge 8 gennaio 1979, n. 8;

h) il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 1981, n. 179;

i) l'articolo 9-quater del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla legge 28 novembre 1996, n. 608;

j) il comma 1178 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

k) il decreto ministeriale 30 ottobre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 2002;

l) la legge 17 ottobre 2007, n. 188;

m) i commi 32, lettera d), 38, 45, 47, 48, 49, 50, dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247;

n) i commi 1173 e 1174 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

11. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto trovano applicazione gli articoli 14, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modifiche e integrazioni.

12. Alla lettera h) dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le parole «degli articoli 18, comma 1, lettera u)» sono soppresse.


 

 

L’articolo 39 è volto ad introdurre alcune misure di semplificazione per quanto riguarda gli adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro.

A tal fine si prevede l’istituzione del libro unico del lavoro, il quale sostituisce i libri che il datore di lavoro doveva obbligatoriamente istituire ai sensi della normativa precedente e cioè, in particolare, il libro matricola e il libro paga (nel settore agricolo, il registro d’impresa).

Conseguentemente si dispone l’abrogazione delle norme relative all’obbligo e alle modalità di tenuta del libro matricola e del libro paga, nonché del registro d’impresa nel settore agricolo (cfr. infra).

 

Si ricorda che, in base alla normativa previgente, il datore di lavoro doveva tenere e conservare una serie di libri e documenti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, cioè il libro matricola e il libro paga (che, come detto, vengono soppressi e sostituiti dal libro unico del lavoro con l’articolo in esame), oltre al registro infortuni e al registro delle visite mediche.

Il libro matricola, nel quale dovevano essere iscritti tutti i dipendenti nell'ordine cronologico della loro assunzione in servizio e prima dell’ammissione in servizio, doveva riportare per ciascun lavoratore il numero d’ordine di iscrizione, i dati anagrafici, la data di immissione in servizio e di risoluzione del rapporto di lavoro, la posizione professionale e la misura del trattamento retributivo, al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro agli enti previdenziali e assicurativi.

Nel libro paga dovevano essere annotati per ciascun dipendente, il numero delle ore lavorate in ciascuna giornata (con distinta indicazione delle ore di lavoro straordinario), la retribuzione corrispostagli sia in denaro sia sotto altra forma, le trattenute operate e l’importo dell’assegno per il nucleo familiare corrispostogli.

Nel settore agricolo, in luogo del libro matricola e del libro paga, era previsto ai fini dell’iscrizione degli operai il registro d’impresa, formato dalla sezione matricola e paga[242] e dalla sezione presenze[243].

Nel registro infortuni il datore di lavoro deve annotare cronologicamente tutti gli infortuni accaduti ai lavoratori che comportino l’assenza dal lavoro almeno di un giorno (senza considerare quello dell’infortunio), indipendentemente dal fatto che l’infortunio sia o meno coperto dall’assicurazione INAIL.

La tenuta del registro delle visite mediche è obbligatoria in determinati casi previsti dalla legge, al fine di segnalare l’effettuazione e l’esito delle visite mediche prescritte prima dell’assunzione o delle visite periodiche.

 

In particolare, con il comma 1 viene introdotto il libro unico del lavoro, che deve essere istituito e tenuto da ogni datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico. In questo documento sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Inoltre, per ciascun lavoratore devono essere indicati il nominativo, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

Per quanto riguarda gli obblighi relativi alla tenuta del libro unico del lavoro, il successivo comma 2 stabilisce che nel medesimo deve essere annotata ogni dazione in danaro o in natura corrisposta o gestita dal datore di lavoro, indicando distintamente le somme erogate a titolo di premio o per lavoro straordinario. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze del lavoratore, da cui deve risultare, per ogni giornata, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore dipendente, nonché l’indicazione delle ore di lavoro straordinario, delle assenze dal lavoro, delle ferie e dei riposi.

I dati sopra indicati, secondo il comma 3, devono essere riportati per ciascun mese di riferimento ed entro il 16 del mese successivo.

Il comma 4 rinvia a un decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, la disciplina delle modalità e dei tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché del relativo regime transitorio.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 09/07/2008[244], che, all’articolo 7 (Regime transitorio e disposizioni finali), dispone che, fino al periodo di paga relativo al mese di dicembre 2008 i datori di lavoro, in via transitoria, possono adempiere agli obblighi di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro, secondo le disposizioni dettate dall'art. 39 del D.L. 112/2008 e dal presente D.M., mediante la corretta e regolare tenuta del libro paga, nelle sue sezioni paga e presenze o del registro dei lavoranti e del libretto personale di controllo per i lavoranti a domicilio, debitamente compilati e aggiornati. Viene inoltre precisato che dalla data di entrata in vigore del presente D.M. le disposizioni normative ancora vigenti che fanno richiamo ai libri obbligatori di lavoro o ai libri di matricola e di paga, devono essere riferite al libro unico del lavoro, per quanto compatibile. Infine, si dispone che il libro matricola e il registro d'impresa s'intendono immediatamente abrogati[245].

 

Si ricorda, inoltre, che con la circolare 21 agosto 2008, n. 20[246], il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha emanato le prime istruzioni operative al personale ispettivo e di vigilanza a seguito dell’abolizione dei libri paga e matricola e di altri libri obbligatori e della loro sostituzione, a decorrere dal 18 agosto 2008, con il libro unico del lavoro, ai sensi degli artt. 39 e 40 del D.L. 112/2008.

 

Il comma 5 stabilisce che la consegna in copia al lavoratore delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro comporta per il datore di lavoro l’adempimento degli obblighi di cui alla L. 4/1953[247], relativi alla consegna dei prospetti di paga.

La legge richiamata impone l’obbligo ai datori di lavoro di consegnare ai lavoratori dipendenti, all'atto della corresponsione della retribuzione, un prospetto di paga dove risulta il nominativo, la qualifica professionale e tutte le componenti della retribuzione nonché il suo periodo di riferimento. Le annotazioni sul prospetto di paga devono corrispondere alle registrazioni effettuate sui libri di paga o registri equipollenti.

Vengono escluse da tale obbligo le Amministrazioni dello Stato e le relative Aziende autonome, le regioni, le province e i comuni, le aziende agricole che impiegano mano d’opera per un numero di giornate lavorative inferiori a 3000, nonché i privati datori di lavoro per il personale addetto esclusivamente ai servizi familiari. Sono previste sanzioni per il datore di lavoro in caso di irregolarità nella consegna del prospetto, mentre la vigilanza di tali adempimenti è esercitata dall'Ispettorato del lavoro.

 

Nel comma 6 sono stabilite le sanzioni da applicare in caso di omissioni nella istituzione, tenuta ed esibizione del libro unico del lavoro:

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro in caso di mancata istituzione e tenuta;

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro nei casi di omessa esibizione agli organi di vigilanza;

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 2.000 euro per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, della L. 12/1979[248] che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso; in caso di recidiva di tale violazione, la stessa sanzione va da 500 a 3000 euro. I soggetti cui si riferisce la norma sono i servizi o i centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettiva associazioni di categoria cui le imprese artigiane, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti.

 

Il successivo comma 7 prevede specifiche sanzioni per irregolarità nella tenuta del libro unico del lavoro:

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1.500 euro nei casi di omessa o infedele registrazione dei dati relativi ai nominativi dei lavoratori impiegati, alle retribuzioni e alle dazioni in danaro o in natura, nonché quelle relative alle presenze (di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame), qualora tali violazioni determinano differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali. Tale sanzione va da 500 a 3000 euro se tale violazione si riferiscea più di dieci lavoratori.

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro se la violazione si riferisce all’obbligo di riportare i dati per ciascun mese di riferimento (di cui al comma 3 dell’articolo in esame). Tale sanzione va da 150 a 1.500 euro se tale violazione si riferiscea più di dieci lavoratori.

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro nel caso di mancata conservazione del libro unico del lavoro per il periodo temporale stabilito nel decreto del Ministro del lavoro recante la disciplina di attuazione (di cui al comma 4 dell’articolo in esame).

Al riguardo il menzionato D.M. 09/07/2008, all’articolo 6 (Obbligo di conservazione), stabilisce che il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare il libro unico del lavoro per un periodo di 5 anni dalla data dell'ultima registrazione e di custodirlo nel rispetto del D.Lgs. 196/2003, in materia di protezione dei dati personali.

L'obbligo di conservazione in questione è esteso ai libri obbligatori in materia di lavoro dismessi in seguito all'entrata in vigore della disciplina relativa al libro unico del lavoro di cui all'art. 39 del D.L. 112/2008 e alle disposizioni del medesimo D.M.

 

Infine, nel comma in esame si precisa che alla contestazione delle sanzioni amministrative esaminate provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza e che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della L. 689/1981[249] è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

 

Il comma 8 reca disposizioni in materia di comunicazioni del datore di lavoro all’Istituto assicuratore (si tratta, per la quasi generalità dei lavoratori, dell’INAIL), per quanto riguarda l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, con la novella introdotta dal comma in esame all’articolo 23 del D.P.R. 1124/1965[250] si stabilisce che il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non soggetto a comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996[251] deve denunciare l’impiego delle persone indicate dall’articolo 4, primo comma, numeri 6 e 7, del D.P.R. 1124/1965 (cfr. infra), in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto.

 

Nell’articolo 4 del D.P.R. 1124/1965 si fa riferimento, tra le persone comprese nell’assicurazione obbligatoriacontro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali:

-        al n. 6, al coniuge, ai figli, anche naturali o adottivi, agli altri parenti, agli affini, agli affiliati e agli affidati del datore di lavoro che prestino con o senza retribuzione alle sue dipendenze opera manuale, ed anche non manuale nel sovraintendere al lavoro di altri;

-        al successivo n. 7, ai soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita od esercitata, i quali prestino opera manuale, oppure non manuale nel sovraintendere al lavoro di altri.

 

Si ricorda che il comma 1180 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), sostituendo il comma 2 dell’articolo 9-bis del D.L. 510/1996 con i nuovi commi 2 e 2-bis, ha esteso a tutti i datori di lavoro pubblici e privati, ivi compresi i datori di lavoro agricoli, l’obbligo della comunicazione preventiva dell’assunzione dei lavoratori (entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto), introdotta precedentemente dall’articolo 36-bis, comma 6, del D.L. 223/2006 per il solo settore dell’edilizia. In caso di urgenze connesse ad esigenze produttive, la comunicazione relativa all’instaurazione del rapporto di lavoro può essere effettuata entro cinque giorni dall’assunzione, fermo restando l’obbligo di comunicare entro il giorno antecedente all’assunzione, anche in via telematica mediante documentazione avente data certa, la data di inizio della prestazione e le generalità del lavoratore e del datore di lavoro.

 

Il comma 9 interviene con una serie di modifiche alla L. 877/1973[252], in materia di lavoro a domicilio:

§      viene abrogato il comma 3 dell’articolo 2, il quale prevedeva che le domande di iscrizione al registro dei committenti istituito presso l'ufficio provinciale del lavoro dovevano essere respinte se fosse risultato che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio era stata fatta a seguito della cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e che questa intendesse in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti;

§      all’articolo 3 vengono abrogati i commi da 1 a 4, nonché il comma 6, mentre il comma 5 viene modificato.

Nei commi abrogati si prevedeva, per i datori di lavoro che intendessero affidare lavoro a domicilio, l’iscrizione obbligatoria al registro dei committenti istituito presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Quest’ultimo organo aveva il compito di classificare in apposito schedario i datori di lavoro, suddivisi per tipi di lavoro a domicilio, nonché di trasmettere alle dipendenti sezioni comunali l’elenco dei datori di lavoro committenti. Se il datore di lavoro doveva distribuire o far eseguire lavoro a domicilio in più province avrebbe dovuto iscriversi nei registri di ciascuna provincia. Inoltre, era prevista l’obbligatoria vidimazione presso l’Ispettorato provinciale del lavoro (attualmente: Direzione provinciale del lavoro) di un apposito registro dove erano trascritti il nominato e il domicilio dei lavoratori esterni all'unità produttiva impiegati dal datore di lavoro per l’esecuzione di lavoro al di fuori della propria azienda.

Con il comma 5 dell’articolo 3, come riscritto dalla norma in commento, per il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda si dispone l’obbligo di trascrivere nel libro unico del lavoro il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione;

§      nell’articolo 10 sono abrogati i commi da 2 a 4, mentre il comma 1 viene riscritto.

Nel comma 1, come riscritto, per il lavoratore a domicilio si prevede che il libro unico del lavoro contenga anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito e la specificazione della quantità e della qualità di esso. In precedenza, tali informazioni dovevano essere riportate in uno speciale libretto di controllo di cui doveva essere munito il lavoratore a domicilio, a cura dell'imprenditore, indicato nella norma previgente. Tale norma, prevedeva a carico del lavoratore a domicilio anche la tenuta del libretto di lavoro di cui alla L. 112/1935.

Nei commi da 2 a 4 abrogati si prevedeva che il libretto personale di controllo, sia all'atto della consegna del lavoro affidato sia all'atto della riconsegna del lavoro eseguito, dovesse essere firmato dall'imprenditore e dal lavoratore a domicilio e che tale libretto sostituiva a tutti gli effetti il prospetto di paga;

§      infine, si interviene sull’articolo 13 che detta sanzioni per il committente lavoro a domicilio.

In primo luogo, viene abrogato il comma 2 il quale prevedeva una sanzione amministrativa di lire cinque milioni per il committente lavoro a domicilio che contravveniva alle disposizioni di cui al precedente articolo 3, primo e terzo comma, in materia di registro dei committenti e di lavoro a domicilio eseguito in più province.

Viene abrogato anche il comma 6 il quale, nei casi di cui all’articolo 3, prevedeva la comunicazione dell’ordinanza di ingiunzione alla commissione per il controllo del lavoro a domicilio affinché provvedesse senza ritardo all'iscrizione d'ufficio degli imprenditori inadempienti nel registro dei committenti lavoro a domicilio, prevista all’articolo 5, comma 2.

Inoltre, viene modificato il comma 3, eliminandosi dalla previsione della fattispecie sanzionatoria il riferimento alla violazione dell’articolo 10, primo comma, relativo alla tenuta dello speciale libretto di controllo ora soppresso.

Infine, viene modificato il comma 4, nel senso di eliminare dalla previsione sanzionatoria il riferimento alla violazioni degli articoli 3, commi quinto e sesto (riguardanti il registro a cura del datore di lavoro che facesse eseguire lavoro al di fuori della propria azienda dove riportare i dati relativi ai lavoratori esterni) e dell’articolo 10, secondo e quarto comma (che recavano prescrizioni relative allo sullo speciale libretto di controllo ora soppresso).

 

Con il comma 10 vengono abrogate una serie di norme.

Alcune di tali abrogazioni sono connesse all’istituzione del libro unico del lavoro: si tratta delle norme relative all’obbligo e alle modalità di tenuta del libro matricola e del libro paga (articolo 134 del R.D. 1422/1924[253]; articolo 7 della L. 1122/1955[254]; articoli 39 e 41 del D.P.R. 797/1955[255]; artt. 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 1124/1965; art. 42 della L. 153/1969[256]; art. 1, comma 1178, della L. 296/2006; D.M. 30 ottobre 2002[257]), nonché del registro d’impresa nel settore agricolo (art. 9-quater del D.L. 510/1996[258]).

 

Altre abrogazioni invece intervengono in ambiti differenti dalla materia principale trattata dall’articolo in esame.

Vengono abrogati il D.P.R. 2053/1963[259], la L. 8/1979[260], il D.P.R. 179/1981[261], in materia di collocamento ed impiego del personale artistico e tecnico.

Si provvede inoltre ad abrogare la L. 188/2007[262], in materia di modalità per le dimissioni volontarie della lavoratrice e del lavoratore;

Si ricorda che con la L. 188/2007 sono state introdotte disposizioni in materia di dimissioni volontarie dei lavoratori subordinati nonché dei soggetti le cui prestazioni sono riconducibili al lavoro “parasubordinato”, con lo scopo di eliminare, o almeno contrastare, la pratica di far firmare al lavoratore le dimissioni “in bianco” al momento dell’assunzione e quindi nel momento in cui la posizione dello stesso lavoratore è più debole, pratica riguardante prevalentemente le donne lavoratrici. A tal fine la L. 188/2007 prevede che la validità della lettera di dimissioni volontarie, presentata dal lavoratore e volta a dichiarare l'intenzione del medesimo soggetto di recedere dal contratto di lavoro, sia subordinata all’utilizzo di appositi moduli - predisposti e realizzati secondo specifiche direttive definite con apposito decreto – che hanno una validità massima di quindici giorni dalla data di emissione.

 

Altre abrogazioni riguardano i commi 32, lett. d), 38, 45, da 47 a 50, dell’art. 1 della L. 247/2007[263], recante norme di attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007.

Si ricorda che i commi da 30 a 33 dell’articolo 1 della L. 247/2007 recano deleghe legislative finalizzate al riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato. Il comma 32 reca i criteri e principi direttivi per la delega relativa agli incentivi all’occupazione,e la relativa lettera d) era volta a prevede aumenti contributivi per i contratti di lavoro a tempo parziale con orario inferiore alle dodici ore settimanali al fine di promuovere, soprattutto nei settori dei servizi, la diffusione di contratti di lavoro con orario giornaliero più elevato.

Il comma 38 dell’art. 1 della L. 247/2007 aveva abrogato l’articolo 14 del D.Lgs. 276/2003, concernente la stipula di apposite convenzioni quadro da parte dei competenti uffici regionali con le associazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro e le cooperative sociali ed i relativi consorzi, aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali da parte delle imprese associate o aderenti, al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili.

Il comma 45 dell’art. 1 della L. 247/2007 aveva abrogato gli articoli da 33 a 40 del D.Lgs. 276/2003, che disciplinavano il lavoro intermittente (o a chiamata).

Si ricorda che il D.Lgs. 276/2003, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a) della L. 30/2003, ha introdotto il nuovo istituto del lavoro intermittente (o a chiamata), definito (dall’articolo 33) come il contratto di lavoro (anche a tempo determinato) mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa secondo determinate modalità e in determinate limiti (stabiliti dal successivo articolo 34).

I commi da 47 a 50 dell’art. 1 della L. 247/2007 invece recavano una disciplina relativa alle prestazioni di carattere discontinuo nel settore del turismo e dello spettacolo, rimettendone l’attuazione ai contratti collettivi.

Infine, si provvede ad abrogare i commi 1173 e 1174 dell’art. 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007).

I commi 1173-1174 prevedevano che in via sperimentale, con uno o più decreti ministeriali, si provvedesse alla definizione di indici di congruità intesi a valutare la congruità del rapporto tra qualità dei beni e servizi offerti e quantità di ore di lavoro impiegate, al fine di promuovere la regolarità contributiva quale requisito per la concessione dei benefici e degli incentivi previsti dall’ordinamento. Gli indici dovevano essere articolati per settore, per categorie di imprese e per territorio.

Il decreto ministeriale a cui era affidata la definizione degli indici avrebbe dovuto in primo luogo individuare i settori più critici, nei quali risultano maggiormente estese le violazioni delle norme in materia di incentivi e agevolazioni contributive ed in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per tali settori più critici si darebbe quindi provveduto a definire gli indici volti a fissare la congruità del rapporto tra la qualità dei beni prodotti e dei servizi offerti e la quantità delle ore di lavoro necessarie nonché il margine di scostamento tollerabile.

 

Il comma 11 prevede la “reviviscenza” di una serie di disposizioni del D.Lgs. 276/2003, abrogate da provvedimenti precedenti al decreto-legge in esame. Ciò si pone in connessione all’abrogazione, disposta dal precedente comma 10, proprio della normativa previgente che a sua volta aveva abrogato le disposizioni che si fanno “rivivere”.

Si tratta in particolare dell’art. 14, relativo alla stipula di convenzioni quadro al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, e degli artt. da 33 a 40 in materia di lavoro intermittente (o a chiamata).

 

Con il comma 12 dell’articolo in esame, infine, viene modificato l’articolo 55, comma 4, lettera h), del D.Lgs. 81/2008[264], in materia di sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente conseguenti alla violazione delle norme sulla salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare, dalla previsione sanzionatoria di cui al menzionata lettera h), che contempla la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10.000 euro per determinate violazioni, viene espunto il riferimento alla fattispecie di cui all’articolo 18, comma 1, lettera u), che impone ai datori di lavoro e ai dirigenti, nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, di munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.

Si ricorda che il menzionato D.Lgs. 81/2008, in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della L. 123/2007, ha provveduto al riassetto e alla riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Il provvedimento, pur non assumendo formalmente la natura di “testo unico”, in realtà nella sostanza opera il riassetto e la riforma della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima disciplina in un unico testo normativo.

 


 

Articolo 40
(Tenuta dei documenti di lavoro ed altri adempimenti formali)

 


1. L'articolo 5 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 è sostituito dal seguente: «Art. 5. - (Tenuta dei libri e documenti di lavoro). - 1. Per lo svolgimento della attività di cui all'articolo 2 i documenti dei datori di lavoro possono essere tenuti presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti di cui all'articolo 1, comma 1. I datori di lavoro che intendono avvalersi di questa facoltà devono comunicare preventivamente alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio le generalità del soggetto al quale è stato affidato l'incarico, nonché il luogo ove sono reperibili i documenti. 2. Il consulente del lavoro e gli altri professionisti di cui all'articolo 1, comma 1, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro 15 giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso, sono puniti con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 1000 euro. In caso di recidiva della violazione è data informazione tempestiva al Consiglio provinciale dell'Ordine professionale di appartenenza del trasgressore per eventuali provvedimenti disciplinari».

2. All'articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, come inserito dall'articolo 6 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. All'atto della assunzione, prima dell'inizio della attività di lavoro, i datori di lavoro pubblici e privati, sono tenuti a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, adempiendo in tal modo anche alla comunicazione di cui al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. L'obbligo si intende assolto nel caso in cui il datore di lavoro consegni al lavoratore, prima dell'inizio della attività lavorativa, copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni previste dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. La presente disposizione non si applica per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

3. All'articolo 8 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 234 sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 2 sono soppresse le parole «I registri sono conservati per almeno due anni dopo la fine del relativo periodo»; b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «Gli obblighi di registrazione di cui al comma 2 si assolvono mediante le relative scritturazioni nel libro unico del lavoro».

4. Il comma 6 dell'articolo 9 della legge 12 marzo 1999, n. 68, è sostituito dal seguente: «6. I datori di lavoro pubblici e privati, soggetti alle disposizioni della presente legge sono tenuti ad inviare in via telematica agli uffici competenti un prospetto informativo dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva di cui all'articolo 3, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori di cui all'articolo 1. Se, rispetto all'ultimo prospetto inviato, non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da modificare l'obbligo o da incidere sul computo della quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto. Al fine di assicurare l'unitarietà e l'omogeneità del sistema informativo lavoro, il modulo per l'invio del prospetto informativo, nonché la periodicità e le modalità di trasferimento dei dati sono definiti con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e previa intesa con la Conferenza Unificata. I prospetti sono pubblici. Gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico».

5. Al comma 1 dell'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68 sono soppresse le parole «nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l'ottemperanza alle norme della presente legge».

6. Gli armatori e le società di armamento sono tenute a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di imbarco o sbarco, agli Uffici di collocamento della gente di mare nel cui ambito territoriale si verifica l'imbarco o lo sbarco, l'assunzione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al personale marittimo iscritto nelle matricole della gente di mare di cui all'articolo 115 del Codice della Navigazione, al personale marittimo non iscritto nelle matricole della gente di mare nonché a tutto il personale che a vario titolo presta servizio, come definito all'articolo 2, comma 1, lettera a) del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 2001, n. 324.


 

 

L’articolo 40 reca disposizioni in materia di tenuta dei libri ed altri documenti relativi al personale nonché di altri adempimenti formali.

 

In particolare, il comma 1 è volto a modificare la disciplina di cui all’articolo 5 della L. 12/1979[265], relativa alla tenuta dei libri e dei documenti relativi al personale dipendente[266].

In particolare, si prevede che per lo svolgimento, da parte dei professionisti a ciò abilitati, dell’attività relativa all'amministrazione del personale dipendente per conto dei datori di lavoro, i relativi libri e documenti dei datori di lavoro possono essere tenuti presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti di cui all’art. 1, comma 1, della menzionata L. 12/1979 (avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali). Si evidenzia che invece la previgente disciplina faceva espresso riferimento solamente ai consulenti del lavoro.

Si consideri inoltre che, rispetto alla normativa previgente, viene eliminata la disposizione che, nel caso in questione, prevedeva l’obbligo di tenere sul luogo di lavoro, a disposizione degli incaricati alla vigilanza, una copia del libro matricola ed un registro sul quale effettuare le scritturazioni relative al libro paga. Ciò, evidentemente, consegue alla soppressione dei libri matricola e paga e alla loro sostituzione con il libro unico del lavoro, ai sensi del precedente articolo 39 (alla cui scheda di lettura si rinvia).

I datori di lavoro che intendono avvalersi della facoltà di tenuta dei libri e documenti presso lo studio del consulente del lavoro o dell’altro professionista a ciò abilitato devono comunicare in maniera preventiva alla Direzione provinciale del lavoro le generalità del professionista al quale è stato attribuito l’incarico, nonché il luogo ove è reperibile la documentazione in questione.

Si evidenzia infine che, rispetto alla disciplina previgente, vengono inasprite le sanzioni che si applicano al consulente del lavoro o all’altro professionista abilitato che, senza giustificato motivo, non ottemperi entro 15 giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso. In particolare, si prevede l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 1.000 euro, disponendosi altresì che, in caso di recidiva, ne è data tempestiva informazione all’Ordine professionale di appartenenza del trasgressore per l’adozione di eventuali provvedimenti disciplinari.

 

Il comma 2 modifica la disciplina relativa alle informazioni e comunicazioni che i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai lavoratori all’atto dell’assunzione, al fine di semplificare e razionalizzare tali adempimenti. A tale scopo viene novellato il comma 2 dell’art. 4-bis del D.Lgs. 181/2000[267].

Si ricorda che il previgente comma 2 dell’art. 4-bis del D.Lgs. 181/2000 prevedeva che all'atto dell'assunzione i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici fossero tenuti a consegnare ai lavoratori una dichiarazione sottoscritta contenente i dati di registrazione effettuata nel libro matricola, nonché la comunicazione di cui al D.Lgs. 152/1997[268] contenente le informazioni relative alle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

 

In particolare, si prevede che al momento dell’assunzione, prima di iniziare ad impiegare i lavoratori, i datori di lavoro pubblici e privati sono obbligati a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996[269]. Viene precisato che in tal modo gli stessi datori di lavoro adempiono anche alla comunicazione di cui al D.Lgs. 152/1997relativa alle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

Si dispone altresì che l’obbligo in questione si intende assolto anche nel caso in cui il datore di lavoro consegni al lavoratore, prima dell’inizio dell’impiego lavorativo, una copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni stabilite dal D.Lgs. 152/1997.

Si ricorda che i commi 1180-1185 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007) hanno recato modifiche ad alcuni aspetti della disciplina relativa alle comunicazioni agli uffici competenti relative al rapporto di lavoro.

In particolare il comma 1180, sostituendo il comma 2 dell’articolo 9-bis del D.L. 510/1996 con i nuovi commi 2 e 2-bis, ha esteso a tutti i datori di lavoro pubblici e privati, ivi compresi i datori di lavoro agricoli, l’obbligo della comunicazione preventiva dell’assunzione dei lavoratori (entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto), introdotta precedentemente dall’articolo 36-bis, comma 6, del D.L. 223/2006 per il solo settore dell’edilizia. In caso di urgenze connesse ad esigenze produttive, la comunicazione relativa all’instaurazione del rapporto di lavoro può essere effettuata entro cinque giorni dall’assunzione, fermo restando l’obbligo di comunicare entro il giorno antecedente all’assunzione, anche in via telematica mediante documentazione avente data certa, la data di inizio della prestazione e le generalità del lavoratore e del datore di lavoro.

Si ricorda altresì che il D.Lgs. 152/1997, dando attuazione alla direttiva 91/533/CEE, ha introdotto una disciplina concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

 

Viene precisato infine che la norma in esame non si applica al personale delle pubbliche amministrazioni in regime di diritto pubblico, di cui all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico e rimangono quindi disciplinati dai rispettivi ordinamenti in deroga alle norme generali sulla “privatizzazione” e “contrattualizzazione” dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, commi 2 e 3 del medesimo decreto): i magistrati ordinari, amministrativi e contabili; gli avvocati e procuratori dello Stato; il personale militare e le Forze di polizia di Stato; il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del D.Lgs. Capo provv. dello Stato 691/1947, dalla L. 281/1985 e dalla L. 287/1990, cioè sostanzialmente nelle materie della vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, della tutela del risparmio e della tutela della concorrenza e del mercato (quali Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato); il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, escluso il personale volontario; il personale della carriera dirigenziale penitenziaria; i professori e i ricercatori universitari.

 

Il comma 3 provvede a novellare l’articolo 8 del D.Lgs.19 novembre 2007, n. 234, in materia di organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto.

Il D.Lgs. 234/2007, emanato in base alla delega contenuta nell’articolo 1 della legge n. 77 del 2007, ha dato attuazione alla direttiva 2002/15/CE, concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Il provvedimento, come evidenziato dall’articolo 1, è volto a disciplinare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, al fine di proteggere la salute e garantire la sicurezza di tali lavoratori e di migliorare la sicurezza stradale.

L’articolo 8 reca disposizioni concernenti l’informazione dei lavoratori mobili e l’istituzione di registri su cui viene annotato l’orario di lavoro dei medesimi soggetti.

In particolare il comma 1 prevede il diritto dei lavoratori mobili all’informazione circa la disciplina del proprio orario di lavoro contenuta in fonti normative nazionali, nel regolamento interno dell’impresa e nei contratti collettivi (anche aziendali) stipulati sulla base del provvedimento in esame. Le modalità di informazione, ai sensi del successivo comma 4, sono definite dalla contrattazione collettiva.

Il successivo comma 2, fermo restando quanto previsto dall’articolo 14, comma 2, del Regolamento (CEE) 3821/85[270], prevede l’istituzione da parte dei datori di lavoro di appositi registri in cui deve essere riportato l'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Si dispone l’obbligo di conservazione dei registri per almeno 2 anni dopo la fine del relativo periodo lavorativo. I datori di lavoro sono responsabili della registrazione e sono altresì obbligati, fermo restando quanto disposto dall’articolo 14, comma 2, del richiamato Regolamento (CEE) n. 3821/85, a rilasciare copia della registrazione su richiesta del lavoratore.

Ai sensi del comma 3, a tali registri, da tenersi presso la sede legale dell’impresa e sottoposti alla vidimazione da parte della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, si applicano gli obblighi di tenuta e registrazione di cui agli articoli 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 1124/1965[271].

 

In particolare, con la modifica di cui alla lettera a), viene soppressa, al comma 2 del menzionato articolo 8, la disposizione secondo cui i registri su cui viene annotato l’orario di lavoro devono essere conservati per almeno due anni dopo la fine del relativo periodo.

Invece la lettera b), sostituendo il comma 3 del menzionato articolo 8, è volta a semplificare gli obblighi di registrazione, prevedendo che tali obblighi si assolvono mediante le relative scritturazioni nel libro unico del lavoro istituito dall’articolo 39 del decreto-legge in esame (si rinvia alla relativa scheda di lettura).

 

Il comma 4 è volto a razionalizzare la disciplina delle comunicazioni che i datori di lavoro sono tenuti ad inviare nell’ambito degli obblighi relativi all’assunzione dei lavoratori disabili. A tal fine si provvede a sostituire il comma 6 dell’art. 9 della L. 68/1999[272].

Si ricorda che l’art. 9 della L. 68/1999 reca disposizioni relative alle richieste di avviamento al lavoro dei datori di lavoro obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili.

In particolare, il comma 6 prevede che i datori di lavoro, pubblici e privati, soggetti alla disciplina della L. 68/1999 sono tenuti ad inviare agli uffici competenti un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva relative alle assunzioni obbligatorie, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili. Si prevede inoltre che con apposito decreto ministeriale sia stabilita la periodicità dell'invio dei prospetti e possa altresì essere disposto che i prospetti contengano altre informazioni utili per l'applicazione della disciplina delle assunzioni obbligatorie. I prospetti sono pubblici e gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico.

 

A seguito delle modifiche introdotte dal comma in esame, rispetto alla normativa previgente, in primo luogo si dispone che il menzionato prospetto informativo deve essere inviato agli uffici competenti in via telematica. Inoltre, si prevede che il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto informativo se, rispetto all’ultimo prospetto inviato, non si sono verificati cambiamenti nella situazione del personale occupato tali da modificare l’obbligo di assunzione o da incidere sul calcolo della quota di riserva.

Viene altresì stabilito che, al fine di garantire l’unitarietà e l’omogeneità del sistema informativo lavoro (S.I.L.), con apposito decreto siano definiti il modulo per l’invio del prospetto informativo, nonché la periodicità e le modalità di trasferimento dei dati.

Infine viene confermato quanto già previsto dalla disciplina previgente relativamente alla pubblicità dei prospetti e all’obbligo degli uffici competenti di rendere possibile la loro consultazione nelle proprie sedi.

 

Il comma 5 reca un'altra disposizione volta a semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei datori di lavoro nell’ambito della disciplina relativa al collocamento obbligatorio dei lavoratori disabili. A tal fine si provvede a novellare l’art. 17, comma 1, della L. 68/1999.

L’art. 17, comma 1, della L. 68/1999 prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse, a pena di esclusione, la dichiarazione del rappresentante legale che attesti di essere in regola con la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti che attesti l'ottemperanza alle norme della L. 68/1999.

 

Con la modifica in esame si provvede quindi ad eliminare l’obbligo per le imprese, nei casi menzionati, di presentare preventivamente apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti relativa all’ottemperanza alle norme della L. 68/1999.

 

Infine, il comma 6 interviene in materia di comunicazioni relative all’instaurazione e alla cessazione dei rapporti di lavoro della gente di mare.

In particolare, si stabilisce che gli armatori e le società di armamento sono obbligati a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di imbarco o sbarco, agli uffici di collocamento della gente di mare l’assunzione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al personale marittimo iscritto nelle matricole della gente di mare di cui all’art. 115 c.n., al personale marittimo non iscritto nelle matricole della gente di mare, nonché comunque a tutto il personale che a qualsiasi titolo presta servizio a bordo di una nave.


 

Articolo 41
(Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro)

 


1. All'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga», sono inserite le seguenti: «per almeno tre ore».

2. All'articolo 1, comma 2, lettera h), del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «passeggeri o merci», sono inserite le seguenti: «sia per conto proprio che per conto di terzi».

3. All'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «attività operative specificamente istituzionali», sono aggiunte le seguenti: «e agli addetti ai servizi di vigilanza privata».

4. All'articolo 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «frazionati durante la giornata», sono aggiunte le seguenti: «o da regimi di reperibilità».

5. All'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, dopo le parole «di cui all'articolo 7.», sono aggiunte le parole «Il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni».

6. La lettera a) dell'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituita dalla seguente: «a) attività di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi turno o squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l'inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale».

7. Il comma 1 dell'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «1. Le disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 12 e 13 possono essere derogate mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

8. Il comma 3, dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «3. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 4, commi 2, 3, 4, dall'articolo 9, comma 1, e dall'articolo 10, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 130 a 780 euro per ogni lavoratore, per ciascun periodo di riferimento di cui all'articolo 4, commi 3 o 4, a cui si riferisca la violazione».

9. Il comma 4 dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «4. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 7, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 25 euro a 100 euro in relazione ad ogni singolo lavoratore e ad ogni singolo periodo di 24 ore,».

10. Il comma 6 dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «6. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 5, commi 3 e 5, è soggetta alla sanzione amministrativa da 25 a 154 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata nel corso dell'anno solare per più di cinquanta giornate lavorative, la sanzione amministrativa va da 154 a 1.032 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta».

11. All'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 le parole: «ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, considerando le specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio,» sono soppresse.

12. All'articolo 14, comma 4, lettera b), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 le parole: «di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o» sono soppresse.

13. Al personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l'impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell'incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66. La contrattazione collettiva definisce le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

14. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati gli articoli 4, comma 5, 12, comma 2, e l'articolo 18-bis, comma 5, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.


 

 

L’articolo 41 reca varie modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro.

In primo luogo si provvede a novellare varie disposizioni del D.Lgs. 66/2003[273], recante una disciplina generale in materia di orario di lavoro.

Si ricorda che il D.Lgs. 66/2003, dando attuazione alla direttiva n. 93/104/CE come modificata dalla direttiva n. 2000/34/CE, ha provveduto ad attuare un generale riordino della normativa sull’orario di lavoro.

Il D.Lgs. 66/2003 (art. 3) ha fissato l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali, recuperando, quasi letteralmente, il disposto di cui all’articolo 13, comma 1, primo e secondo periodo, della legge 24 giugno 1997, n. 196, cui si dà una valenza generale, volta a superare le discipline particolari per vari settori.

Viene quindi confermata:

-        la durata normale dell'orario di lavoro, pari a 40 ore settimanali;

-        l'attribuzione di ampi poteri alla contrattazione collettiva nazionale, che potrà:

a)       ridurre l'orario normale (a tutti gli effetti legali);

b)       riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni in periodi plurisettimanali fino al massimo di un anno.

E’ da ritenere che rimanga in vigore la previsione di incentivi per la riduzione o rimodulazione contrattata dell'orario di lavoro, con particolare riguardo ai casi in cui il ricorso all'orario ridotto sia finalizzato a permettere nuove assunzioni oppure per affrontare situazioni di eccedenza di personale (articolo 13, commi 2 e 3, della legge n. 197/1996). Si tratta di interventi volti ad agevolare una gestione più flessibile del tempo di lavoro, per adattarsi alle esigenze dell'azienda nell'arco dell'anno, nell'ottica di una miglior produttività e di un abbassamento dei costi. Ciò tuttavia potrà avvenire solo sulla base di un accordo sindacale di livello nazionale[274].

Inoltre vengono introdotti i nuovi concetti, rispetto alla disciplina previgente, di durata massima e di durata media. In particolare:

-        si demanda alla contrattazione collettiva la fissazione della durata massima settimanale dell’orario di lavoro, che si ottiene sommando la durata normale del lavoro con l’aggiunta delle ore di straordinario ammissibili;

-        si prevede che la durata media dell’orario di lavoro non può superare le 48 ore per ogni periodo di sette giorni. La durata media è data dalla somma di ore lavorative effettivamente svolte (compresi gli straordinari) dal lavoratore in un dato periodo di tempo, divisa per il numero di settimane presenti in quel periodo. In ogni caso la durata media non potrà essere superiore alla durata massima.

Poiché la durata massima dell’orario di lavoro viene stabilita dalla contrattazione collettiva, essa terrà conto delle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta nei vari settori. La durata media invece è fissata dalla legge per tutti i settori economici. Per evitare che, in relazione alle particolari modalità di svolgimento di alcune attività lavorative, si superino le 48 ore settimanali, è previsto che la durata media dell’orario di lavoro debba essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. Il riferimento all’arco temporale dei quattro mesi per il rispetto della durata media settimanale comporta il superamento o meglio l’”assorbimento” del limite trimestrale delle 80 ore di straordinario previsto dall’accordo interconfederale del 12 novembre 1997. Inoltre i contratti collettivi nazionali di lavoro possono elevare il periodo di riferimento per il calcolo della media fino a sei mesi o anche fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate nei contratti stessi.

Un’altra novità è costituita dall’estensione a tutti i settori produttivi del diritto del lavoratore a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore (salve le deroghe previste dalla contrattazione collettiva), precedentemente previsto per il solo settore industriale. Per alcuni settori tale previsione potrebbe dimostrarsi eccessivamente rigida (si pensi alle imprese del settore turistico); tuttavia a tale esigenza potrebbe sopperire la contrattazione collettiva o, in mancanza di quest’ultima, il decreto ministeriale di cui all’articolo 17, comma 2, del D.Lgs. 66/2003.

La nuova disciplina sull’orario di lavoro estende in via generale il periodo di ferie retribuite, che non può essere inferiore a 4 settimane. Precedentemente, in base alla legge 10 aprile 1981, n. 157, i contratti collettivi non potevano di regola prevedere periodi di ferie inferiori alle tre settimane lavorative.

 

In particolare, il comma 1 reca una novella all’art. 1, comma 2, lett. e), n. 2, del D.Lgs. 66/2003, con riferimento alla definizione di lavoratore notturno.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, lettera e), del richiamato D.Lgs. 66/2003, nella formulazione previgente, definiva come “lavoratore notturno”:

1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;

2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva. In difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro part-time.

 

A seguito della modifica in esame, nell’ipotesi di cui al n. 2, in difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva, si considera lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, per almeno 3 ore (tale precisazione è stata introdotta dal comma in esame), lavoro notturno per almeno 80 giorni lavorativi all’anno; tale limite è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

 

Il comma 2 invece novella l’art. 1, comma 2, lett. h), che reca la definizione di lavoratore mobile.

La menzionata lett. h), come modificata, prevede che si considera lavoratore mobile qualsiasi lavoratore impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci sia per conto proprio che per conto di terzi (precisazione introdotta dal comma in esame) su strada, per via aerea o per via navigabile, o a impianto fisso non ferroviario.

 

Il comma 3 novella l’art. 2, comma 3, che esclude alcune categorie di personale dal campo di applicazione del D.Lgs. 66/2003.

Il citato art. 2, comma 3, come modificato, esclude dal campo di applicazione del D.Lgs. 66/2003 il personale della scuola, nonché il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate e gli addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificamente istituzionali, e gli addetti ai servizi di vigilanza privata. Il riferimento agli addetti ai servizi di vigilanza privata è stato introdotto dal comma in esame.

 

Il comma 4 novella l’art. 7, con riferimento al riposo giornaliero dei lavoratori.

Il menzionato art. 7, come modificato, stabilisce che, ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore, precisando che il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità. Il riferimento alle attività caratterizzate da regimi di reperibilità è stato introdotto dal comma in esame.

 

Il comma 5 invece modifica tramite novella l’art. 9, comma 1, relativo ai riposi settimanali.

Il citato art. 9, comma 1, stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all'articolo 7 (undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore). Vengono tuttavia previste una serie di eccezioni a tale norma.

 

In particolare, con la modifica in esame, aggiungendo un periodo al menzionato art. 9, comma 1, si dispone che il previsto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.

 

Anche il comma 6 è volto a novellare il menzionato art. 9 relativo ai riposi settimanali, sostituendo la lett. a) del comma 2 relativa ad un caso di non applicazione della norma sui riposi settimanali, con particolare riferimento alle attività di lavoro a turni.

A seguito di tale modifica, si dispone che la norma sui riposi settimanali di cui all’art. 9, comma 1, non si applica alle attività di lavoro a turni ogni qualvolta il lavoratore cambi turno o squadra e non possa beneficiare, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l’inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale. In sostanza, rispetto alla formulazione precedente, si è aggiunto il riferimento al cambio di turno.

 

Il comma 7 provvede invece a sostituire il comma 1 dell’art. 17, recante deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale.

Si ricorda che il citato comma 1 dell’art. 17, nella formulazione previgente, stabiliva che le disposizioni di cui agli artt. 7 (risposo giornaliero), 8 (pause), 12 (modalità di organizzazione del lavoro notturno) e 13 (durata del lavoro notturno) potevano essere derogate mediante contratti collettivi o accordi stipulati a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro o, conformemente alle regole fissate nelle medesime intese, mediante contratti collettivi o accordi conclusi al secondo livello di contrattazione.

 

In sostanza con la modifica in questione si intende prevedere che, per il settore privato, in assenza di specifiche previsioni nella contrattazione collettiva, le menzionate disposizioni del D.Lgs. 66/2003 possono essere derogate direttamente ad opera dei contratti collettivi di secondo livello (territoriali o aziendali) stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

I commi 8, 9 e 10 sono volti a novellare l’art. 18-bis, che reca le disposizioni sanzionatorie per la violazione delle norme del D.Lgs. 66/2003.

In particolare, i commi 8 e 9 sono volti in sostanza a rafforzare la sanzione prevista nel caso di violazione dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 66/2003, in materia di riposi settimanali.

A tal fine il comma 8, intervenendo sul comma 3 del citato art. 18-bis, prevede la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro (per ogni lavoratore e per ciascun periodo di riferimento a cui si riferisca la violazione) anche nel caso di violazione del menzionato art. 9, comma 1. Tale disposizione stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero[275], precisando che tale periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni (cfr. supra).

Il comma 9 invece, sostituendo il comma 4 dell’art. 18-bis, prevede che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1 (riposo giornaliero) comporta la sanzione amministrativa da 25 a 100 euro in relazione ad ogni lavoratore e ad ogni periodo di 24 ore.

Si ricorda che invece la previgente formulazione del comma 4 dell’art. 18-bis prevedeva la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro non solamente per la violazione dell’art. 7, comma 1, ma anche per la violazione dell’art. 9, comma 1 (riposi settimanali).

Il comma 10 inoltre, sostituendo il comma 6 dell’art. 18-bis, provvede ad escludere l’applicazione della sanzione di cui al medesimo comma nel caso di violazione dell’art. 3, comma 1 (orario normale di lavoro).

Pertanto, a seguito di tale modifica, si prevede che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 5. commi 3 e 5, relative al lavoro straordinario, è soggetta alla sanzione amministrativa da 25 a 154 euro, e che, qualora la violazione riguarda più di cinque lavoratori ovvero si è verificata durante l’anno solare per più di cinquanta giornate di lavoro, si applica la sanzione amministrativa da 154 a 1.032 euro e non è possibile effettuare il pagamento della sanzione in misura ridotta.

 

I commi 11 e 12 provvedono a novellare l’art. 14 del D.Lgs. 81/2008[276], recante disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Si ricorda che il menzionato D.Lgs. 81/2008, in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della L. 123/2007, ha provveduto al riassetto e alla riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Il provvedimento, pur non assumendo formalmente la natura di “testo unico”, in realtà nella sostanza opera il riassetto e la riforma della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima disciplina in un unico testo normativo.

In particolare, l’art. 14 ha previsto una serie di misure per contrastare il lavoro sommerso e per promuovere la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro prevedendo, tra l’altro, che le violazioni di una certa gravità della disciplina relativa alla regolarità delle assunzioni, all’orario di lavoro e alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro possano condurre all’emanazione di provvedimenti di sospensione dei lavori e di interdizione alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni (compresa la partecipazione a gare pubbliche).

In particolare, il comma 1, nella formulazione previgente, prevedeva che, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il personale ispettivo del Ministero del lavoro, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche competenti, potesse disporre la sospensione di un’attività imprenditoriale allorché venisse riscontrato l’impiego di personale non assunto regolarmente, poiché non risultante dalla documentazione obbligatoria relativa i lavoratori, in una misura almeno pari al 20 per cento dei lavoratori regolarmente assunti occupati nel cantiere, ovvero nel caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di durata massima dell’orario di lavoro, di riposo giornaliero e di riposo settimanale, di cui agli art. 4, 7 e 9 del D.Lgs. 66/2003, considerando le specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio, nonché nel caso di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Inoltre, si disponeva che gli uffici del Ministero del lavoro informassero con tempestività l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e il Ministero delle infrastrutture dell’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’emanazione di un provvedimento di interdizione alla contrattazione con le PP.AA. e alla partecipazione a gare pubbliche.

I poteri di sospensione dell’attività ora illustrati spettano anche agli organi ispettivi delle ASL, per quanto riguarda le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (comma 2).

Per la revoca della sospensione dei lavori la norma (comma 3) richiede il ripristino della situazione di rispetto sostanziale della disciplina da parte del datore di lavoro[277], oltre al pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto alle sanzioni già previste dalla normativa vigente.

 

In particolare, con le modifiche in esame, si provvede ad escludere il caso delle reiterate violazioni della disciplina in materia di durata massima dell’orario di lavoro, di riposo giornaliero e di riposo settimanale, di cui agli art. 4, 7 e 9 del D.Lgs. 66/2003, dalle fattispecie che legittimano l’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale.

Il comma 13 dispone invece che al personale delle qualifiche dirigenziali degli enti e delle aziende del SSN, in ragione della qualifica posseduta e della necessità di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità connessa all’incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli artt. 4 e 7 del D.Lgs. 66/2003, relativi rispettivamente alla durata massima dell’orario di lavoro e al riposo giornaliero. Si rimette comunque ai contratti collettivi la definizione di modalità volte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata sul piano della tutela della salute e sicurezza ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

 

Infine il comma 14 dispone l’abrogazione di alcune disposizioni del D.Lgs. 66/2003 e in particolare:

§      del comma 5 dell’art. 4, che poneva in capo al datore di lavoro, per le unità produttive con più di dieci dipendenti, in caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale attraverso prestazioni di lavoro straordinario, l’obbligo di informare i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio;

§      del comma 2 dell’art. 12, secondo cui il datore di lavoro era tenuto ad informare per iscritto i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, con periodicità annuale, della esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, salvo che esso fosse disposto dal contratto collettivo;

§      del comma 5 dell’art. 18-bis, che puniva con la sanzione amministrativa da 103 euro a 200 euro la violazione del comma 5 dell’art. 4 (tale abrogazione è consequenziale all’abrogazione appunto del comma 5 dell’art. 4).


 

Articolo 42
(Accesso agli elenchi dei contribuenti)

 


1. Nel rispetto del codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, al fine di attuare il principio di trasparenza nell'ambito dei rapporti fiscali in coerenza con la disciplina prevalente negli altri Stati comunitari:

a) all'articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono apportate le seguenti modificazioni:

       1) il comma 6 è sostituito dal seguente: «Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Per l'accesso non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648»;

       2) dopo il comma 6 è aggiunto il seguente: «6-bis. Fuori dei casi previsti dal comma 6, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore»;

b) all'articolo 66-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modificazioni:

       1) nel primo periodo del secondo comma le parole «e pubblicano» sono soppresse;

       2) il secondo periodo del secondo comma è sostituito dal seguente: «Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo, è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Per l'accesso non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648»;

       3) al quarto comma la parola «pubblicano» è sostituita dalle seguenti: «formano, per le finalità di cui al secondo comma»;

       4) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.».

1-bis. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, relativamente agli elenchi, anche già pubblicati, concernenti i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2004, e comunque fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, la consultazione degli elenchi previsti dagli articoli 66-bis, commi secondo e terzo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e 69, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come da ultimo modificati dal comma 1 del presente articolo, può essere effettuata anche mediante l’utilizzo delle reti di comuni­cazione elettronica come definite dall’articolo 4, comma 2, lettera c), del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.


L’articolo 42 interviene in tema di accesso agli elenchi dei contribuenti, novellando ed integrando l’articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 (Imposte sui redditi) e l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (IVA), recanti, entrambi, la disciplina della pubblicazione degli elenchi dei contribuenti.

 

L’articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno precedente. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a 10 milioni di lire e al 20 per cento del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a 50 milioni di lire.

Il centro informativo delle imposte dirette (ora Agenzia delle entrate), entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per ciascun comune, gli elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti: elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi; elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elenchi.

Il sesto comma stabilisce che gli elenchi sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972. Si prevede, infine la possibilità di trasmissione su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici.

 

Analogamente l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'IVA ha proceduto a rettifica o ad accertamento. Sono ricompresi nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti. Gli uffici formano e pubblicano annualmente per ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono in ogni caso depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso l'ufficio che ha proceduto alla loro formazione, sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972. Gli stessi uffici pubblicano, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti.

 

Il comma 1, sostituisce con il medesimo testo sia il comma 6 dell’articolo 69 del D.P.R. n. 600/1973 (Imposte sui redditi), sia il secondo periodo del secondo comma dell’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633/1972 (IVA), confermando il deposito degli elenchi per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio dell’Agenzia delle entrate, sia presso i comuni interessati, già attualmente previsto.

La novella dispone che nel predetto periodo é ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Viene ribadita l’esenzione dai tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972 per l’accesso agli elenchi.

 

Analogamente le disposizioni novellate sono integrate da un ulteriore identico comma, in base al quale, fuori dai casi sopra descritti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 5.000 euro a 30.000 euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.

 

Vengono inoltre disposte due modifiche al primo periodo del secondo comma e al quarto comma dell’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633/1972, limitando l’attività degli uffici alla “formazione” degli elenchi ed eliminando il riferimento alla “pubblicazione” dei medesimi.

 

L’articolo 42, in una sorta di preambolo alle novelle introdotte, richiama il decreto legislativo n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nonché il principio di trasparenza nell'ambito dei rapporti fiscali in coerenza con la disciplina prevalente negli altri Stati comunitari.

 

Si ricorda che, a seguito della pubblicazione nel sito Internet dell’Agenzia delle entrate degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni IVA relativamente all’anno 2005, il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 6 maggio 2008 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008), oltre a confermare la sospensione della pubblicazione degli elenchi disposta con proprio provvedimento del 30 aprile 2008, ha affermato che “il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate poteva stabilire solo «i termini e le modalità» per la formazione degli elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica modalità, la distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia e la loro trasmissione, anche mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli contribuenti dell'ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro deposito per la durata di un anno e della loro consultazione - senza che sia prevista la facoltà di estrarne copia - da parte di chiunque. Il Codice dell'amministrazione digitale, incentiva l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il Codice stesso fa espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti, nonché le norme e le garanzie in tema di protezione dei dati personali (articoli 2, comma 5 e 50 decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). La predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica e disposta senza metterne a conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l'attuale disciplina prevede una relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non presso ciascun ambito territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all'estero. L'innovatività di tale modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell'Agenzia, non traspariva dalla generica informativa resa ai contribuenti nei modelli di dichiarazione per l'anno 2005. L'Agenzia non ha previsto «filtri» nella consultazione on-line e ha reso possibile ai numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della consultazione a livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in cui la predetta sezione del sito web é risultata consultabile, di accedere a innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere tali informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni casi, in vendita. Con ciò ponendo anche a rischio l'esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di garantire che essi non siano consultabili trascorso l'anno previsto dalla menzionata norma. Infine, va rilevato che questa Autorità non é stata consultata preventivamente dall'Agenzia stessa, come prescritto rispetto ai regolamenti e agli atti amministrativi attinenti alla protezione dei dati personali (art. 154, comma 4, del Codice)”.

 

Il comma 1-bis prevede che, fermo restando la nuova disciplina generale disposta dal comma 1, l’accesso agli elenchi dei contribuenti concernenti i periodi d’imposta dal 2004 fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge in oggetto (25 giugno 2008), anche con riferimento a quelli già pubblicati, possa essere effettuata anche mediante l’utilizzo delle reti di comunicazione elettronica come definite dall’articolo 2, lett. c) del codice in materia di protezione dei dati personali (sistemi di trasmissione, apparecchiature che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, incluse le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto, compresa Internet, reti per la diffusione dei programmi sonori e televisivi, sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui sono utilizzati per trasmettere i segnali, reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato).

 


 

Articolo 43
(Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d'impresa)

 


1. Per favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti i criteri, le condizioni e le modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. Con tale decreto, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per quanto riguarda le attività della filiera agricola e della pesca e acquacoltura, e con il Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede, in particolare a:

a) individuare le attività, le iniziative, le categorie di imprese, il valore minimo degli investimenti e le spese ammissibili all'agevolazione, la misura e la natura finanziaria delle agevolazioni concedibili nei limiti consentiti dalla vigente normativa comunitaria, i criteri di valutazione dell'istanza di ammissione all'agevolazione;

b) affidare, con le modalità stabilite da apposita convenzione, all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. le funzioni relative alla gestione dell'intervento di cui al presente articolo, ivi comprese quelle relative alla ricezione, alla valutazione ed alla approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo contratto di ammissione, all'erogazione, al controllo ed al monitoraggio dell'agevolazione, alla partecipazione al finanziamento delle eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato;

c) stabilire le modalità di cooperazione con le Regioni e gli enti locali interessati, ai fini della gestione dell'intervento di cui al presente articolo, con particolare riferimento alla programmazione e realizzazione delle eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato;

d) disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilità per l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. di chiedere al Ministero dello sviluppo economico l'indizione di conferenze di servizi ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti competenti all'adozione dei provvedimenti necessari per l'avvio dell'investimento privato ed alla programmazione delle opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento stesso, la predetta Agenzia nonché, senza diritto di voto, il soggetto che ha presentato l'istanza per la concessione dell'agevolazione. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui all'articolo 14-ter, comma 3, della citata legge n. 241 del 1990, il Ministero dello sviluppo economico adotta, in conformità alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che sostituisce, a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria non disponga diversamente, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato necessario all'avvio dell'investimento agevolato e di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza;

e) le agevolazioni di cui al presente comma sono cumulabili, nei limiti dei massimali previsti dalla normativa comunitaria, con benefici fiscali.

2. Il Ministero dello sviluppo economico definisce, con apposite direttive, gli indirizzi operativi per la gestione dell'intervento di cui al presente articolo, vigila sull'esercizio delle funzioni affidate all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. ai sensi del decreto di cui al comma 1, effettua verifiche, anche a campione, sull'attuazione degli interventi finanziati e sui risultati conseguiti per effetto degli investimenti realizzati.

3. Le agevolazioni finanziarie e gli interventi complementari e funzionali di cui al comma 1 possono essere finanziati con le disponibilità assegnate ad apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, dove affluiscono le risorse ordinarie disponibili a legislazione vigente già assegnate al Ministero dello sviluppo economico in forza di Piani pluriennali di intervento e del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nell'ambito dei programmi previsti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 ed in coerenza con le priorità ivi individuate. Con apposito decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, viene effettuata una ricognizione delle risorse di cui al presente comma per individuare la dotazione del Fondo.

4. Per l'utilizzo del Fondo di cui al comma 3, il Ministero dello sviluppo economico si avvale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa.

5. Dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, non possono essere più presentate domande per l'accesso alle agevolazioni e agli incentivi concessi sulla base delle previsioni in materia di contratti di programma, di cui all'articolo 2, comma 203, lettera e), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ivi compresi i contratti di localizzazione, di cui alle delibere CIPE 19 dicembre 2002, n. 130, e del 9 maggio 2003, n. 16. Alle domande presentate entro la data di cui al periodo precedente si applica la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto, fatta salva la possibilità per l'interessato di chiedere che la domanda sia valutata ai fini dell'ammissione ai benefici di cui al presente articolo.

6. Sono abrogate le disposizioni dell'articolo 1, commi 215, 216, 217, 218 e 221, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dell'articolo 6, commi 12, 13, 14 e 14-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, è abrogato l'articolo 1, comma 13, del citato decreto-legge n. 35 del 2005.

7. Per gli interventi di cui al presente articolo effettuati direttamente dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa, si può provvedere, previa definizione nella convenzione di cui al comma 1, lettera b), a valere sulle risorse finanziarie, disponibili presso l'Agenzia medesima, ferme restando le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all'Agenzia.

7-bis. Il termine di cui all’articolo 1, comma 862, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, è prorogato al 31 dicembre 2009.


 

 

L’articolo 43 interviene in materia di attrazione degli investimenti e di sviluppo di impresa, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno.

In particolare il comma 1 prevede l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, al fine di stabilire i criteri, le condizioni e le modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. Il decreto sarà adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro delle politiche agricole e forestali per ciò che attiene alle attività della filiera agricola e all’acquacoltura, e con il Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il Documento di programmazione economico-finanziaria 2003-2006 indicava in Sviluppo Italia S.p.a. il soggetto destinatario della missione di attrazione degli investimenti nel Mezzogiorno, da effettuarsi anche attraverso la stipula di contratti di localizzazione a natura privatistica fra i soggetti investitori e i soggetti pubblici.

Il principale strumento di attrazione degli investimenti veniva identificato nel “contratto di localizzazione”. Si tratta di uno strumento previsto nel “Programma operativo pluriennale di marketing territoriale per l’attrazione degli investimenti esteri”, finanziato dal CIPE con la delibera n. 130/2002 e richiamato dall’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.

La disciplina normativa dell’attrazione di investimenti nelle aree sottoutilizzate è stata prevista dall’articolo 1, commi 215-218, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004), che autorizzava Sviluppo Italia S.p.A. a concedere agevolazioni alle imprese capaci di produrre effetti economici addizionali e durevoli e tali da generare esternalità positive sul territorio, indicando le diverse tipologie di agevolazione concedibile. Tale regime agevolativo non è mai divenuto operativo.

Successivamente il citato D.L. n. 35 del 2005 prevedeva la costituzione del CIPE in Comitato per l'attrazione delle risorse in Italia, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di stabilire le modalità semplificate di funzionamento del Comitato. Il Comitato avrebbe dovuto definire la strategia e fissare gli obiettivi generali che sarebbero stati attuati da Sviluppo Italia S.p.a. Anche tali disposizioni non sono divenute operative.

Da ultimo la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia. In particolare la direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007 ha stabilito che l’azione dell’Agenzia dovrà essere diretta, con particolare riferimento al Mezzogiorno, a conseguire le seguenti priorità:

1.  favorire l’attrazione degli investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale;

2.  sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali;

3.  promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

Dal luglio 2008 l’Agenzia ha assunto la denominazione “INVITALIA”.

 

A seguito del piano di riordino dell’Agenzia e di dismissioni previsto dalla legge finanziaria 2007 e dalla direttiva ministeriale la struttura dell’Agenzia si articola, ora, in 3 aree strategiche di affari (ASA): Impresa, Territorio e Investimenti esteri. Le società “controllate strategiche” sono confluite in 3 società denominate “Newco”:

-       La “Newco Reti” opera per realizzare infrastrutture a sostegno della competitività dei territori.

-       La “Newco Finanza” si occupa di acquisire sul mercato capitali da convogliare verso nuove opportunità di investimento;

-       La “Newco Progetti” è costituita da Italia Navigando.

-       INVITALIA opera, inoltre, nel settore turistico attraverso la società partecipata Italia Turismo.

Delle 17 società regionali, 6 sono state cedute alle Regioni o sono in corso di cessione, 7 sono in liquidazione e per 4 si stanno definendo le modalità del trasferimento.

Le partecipazioni del Gruppo sono passate da 216 a 22.

 

Il comma 1 in esame stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dovrà, in particolare:

a)      individuare le attività, le iniziative, le categorie di imprese, il valore minimo degli investimenti e le spese ammissibili all’agevolazione, la misura e la natura finanziaria delle agevolazioni concedibili nei limiti consentiti dalla normativa comunitaria, i criteri di valutazione dell’istanza di ammissione all’agevolazione;

b)      affidare, con le modalità stabilite da apposita convenzione, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. le funzioni relative alla gestione degli interventi, ivi comprese quelle relative alla ricezione, alla valutazione ed alla approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo contratto di ammissione, all’erogazione, al controllo ed al monitoraggio dell’agevolazione, alla partecipazione al finanziamento dell’eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento;

c)      stabilire le modalità di cooperazione con le Regioni e gli enti locali interessati, con particolare riferimento alla programmazione e realizzazione di eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento;

d)      disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilità per l’Agenzia di chiedere al Ministero dello sviluppo economico l’indizione di conferenze di servizi, con la partecipazione di tutti i soggetti competenti all’adozione dei provvedimenti necessari per l’avvio dell’investimento privato ed alla programmazione delle opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento. Completati i lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine massimo di 90 giorni (previsto dall’articolo 14-ter, comma 3, della legge n. 241 del 1990) il Ministero dello sviluppo economico adotterà, in conformità alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che sostituirà, a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria non disponga diversamente, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato, necessario all’avvio dell’investimento agevolato e di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla conferenza di servizi;

e)      le agevolazioni sono cumulabili, nei limiti dei massimali previsti dalla normativa comunitaria, con benefici fiscali.

Il riferimento riguarda l’utilizzo da parte delle imprese di agevolazioni fiscali, quali, ad esempio, il credito di imposta per gli investimenti (articolo 1, commi da 271-279, della legge finanziaria 2007), il credito di imposta per nuovi occupati (articolo 2, commi da 539-548, della legge finanziaria 2008), il credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo (articolo 1, commi da 280-284, della legge finanziaria 2007). I massimali di aiuto, espressi in equivalente sovvenzione lordo (ESL), sono distintamente indicati per i singoli territoribeneficiari (aree in deroga annesse agli aiuti di stato ai finalità regionale) in base alla Carta degli aiuti a finalità regionale, come indicati nel decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 marzo 2008, correttivo del precedente decreto del 7 dicembre 2007.

 

Ai sensi del comma 2 il Ministero dello sviluppo economico definisce, con apposite direttive, gli indirizzi operativi per la gestione dell’interventi di attrazione degli investimenti, vigila sull’esercizio delle funzioni affidate all’Agenzia, effettua verifiche, anche a campione, sull’attuazione degli interventi finanziati e sui risultati conseguiti per effetto degli investimenti realizzati.

 

Il comma 3 istituisce nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo per il finanziamento delle agevolazioni e degli interventi complementari e funzionali, nel quale affluiscono le risorse ordinarie disponibili già assegnate al Ministero dello sviluppo economico in forza di Piani pluriennali di intervento e delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate nell’ambito dei programmi previsti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 ed in coerenza con le priorità ivi individuate.

L’individuazione delle risorse di dotazione del Fondo è demandata ad un decreto del Ministero per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge stesso.

Si ricorda che le risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate relative al periodo 2007-2013 (che sono peraltro contabilizzate anche nel QSN) sono state ripartite con la deliberazione CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007.

 

Il Ministero per lo sviluppo economico si avvale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti per l’utilizzo del Fondo (comma 4).

 

Il comma 5 dispone che dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, non possono essere più presentate domande per l’accesso alle agevolazioni e agli incentivi concessi sulla base delle previsioni in materia di contratti di programma, ivi compresi i contratti di localizzazione. Alle domande presentate entro tale data si applica la disciplina vigente prima dell’entrata in vigore della presente legge, fatta salva la possibilità per l’interessato di chiedere che la domanda sia valutata ai fini dell’ammissione ai benefici disciplinati dal presente articolo.

In sostanza, con l’emanazione del nuovo regime di agevolazioni, vengono “superati” gli strumenti del contratto di programma e del contratto di localizzazione. Si tratta di due strumenti dedicati allo sviluppo territoriale, il primo rivolto sia ad investitori nazionali che esteri, il secondo esclusivamente ad investitori stranieri.

 

Il contratto di programma è un contratto stipulato tra l’Amministrazione statale e una o più imprese, di piccola, media o grande dimensione, per la realizzazione di un progetto industriale. Si tratta di uno strumento di intervento operativo dal 1986, che è stato più volte oggetto di riforma circa le modalità di concessione delle agevolazioni. Da ultimo, Con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 gennaio 2008 sono stati emanati i “nuovi criteri, condizioni e modalità per la concessione delle agevolazioni finanziarie attraverso la sottoscrizione dei contratti di programma”, prevedendo l’attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa delle funzioni inerenti la presentazione e la valutazione della domanda di accesso.

Il contratto di localizzazione si realizza attraverso l’inserimento di un tradizionale contratto di programma all’interno di un “Accordo di programma quadro” sottoscritto dai Ministeri dell’economia e finanze e delle attività produttive, dalla regione ospitante l’investimento e dalla Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti. L’accordo consente di affiancare ai tradizionali incentivi all’investimento, previsti nel contratto di programma, accordi operativi per la realizzazione mirata di infrastrutture materiali ed immateriali, per la garanzia di servizi amministrativi e di semplificazioni procedurali da parte degli enti locali.

 

Il comma 6 dispone l’abrogazione “immediata” delle disposizioni contenute all’articolo 1, commi 215, 216, 217, 218 e 221, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004), e all’articolo 6, commi 12, 13, 14 e 14-bis, del D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80/2005.

Si tratta di quelle norme che hanno precedentemente disciplinato l’attrazione di investimenti e che, tuttavia, non sono divenute operative (cfr. comma 1).

Alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale previsto dal comma 1, viene disposta l’abrogazione dell’articolo 1, comma 13, del richiamato decreto legge n. 35 del 2005, concernente l’estensione del regime di agevolazioni e incentivi previsti dai contratti di localizzazione in favore delle imprese italiane che, pur avendo trasferito la propria attività all'estero in data antecedente al 17 marzo 2005, intendono reinvestire sul territorio nazionale.

 

Infine, il comma 7 prevede che per gli interventi di attrazione degli investimenti effettuati direttamente dall’Agenzia per l’attrazione degli investimenti, si possa provvedere, previa definizione nella convenzione, a valere sulle risorse finanziarie, disponibili presso l’Agenzia stessa, ferme restando le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all’Agenzia.

 

Infine, il comma 7-bis reca la proroga al 31 dicembre 2009 del termine entro il quale possono essere completate le iniziative agevolate finanziate a valere sugli strumenti della programmazione negoziata, non ancora completate alla data di scadenza prevista, qualora risultino realizzate in misura non inferiore al 30 per cento degli investimenti ammessi.

 

Il termine era stato fissato al 31 dicembre 2007 dall’articolo 1, comma 862, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2007).

Per programmazione negoziata si intende la regolamentazione concordata tra soggetti istituzionali (enti locali, ministeri, imprese pubbliche, apparati amministrativi ) e soggetti economici e sociali (imprenditoriali, sindacali, culturali, finanziari, associativi) che hanno influenza nei processi di sviluppo su scala locale e sovralocale, per l'attuazione di interventi di sviluppo e la promozione di attività produttive all'interno di un territorio. Il fine è la creazione di percorsi amministrativi semplificati e il raccordo dei molteplici interessi che agiscono a livello territoriale attraverso la collaborazione interistituzionale e la concertazione economica e sociale.

La programmazione negoziata viene introdotta nel 1995 (decreto-legge n. 32/1995) e ridefinita con la legge n. 662/1996, provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997, e con le relative deliberazioni del CIPE.

Sono quattro gli strumenti principali di intervento: patti territoriali, contratti d'area, contratti di programma, intese istituzionali di programma.

Ai sensi della legge n. 662/1996 l'ambito territoriale di applicazione della programmazione negoziata non si limita alle aree depresse del territorio nazionale ma coinvolge l’intero territorio nazionale, ad eccezione del contratto d’area, la cui applicazione è limitata a territori circoscritti. Riguardo alle aree depresse, specifiche risorse sono comunque riservate dal CIPE per il ricorso a contratti d’area e a patti territoriali.

 

Quanto alla vigente normativa sulle proroghe per le agevolazioni, il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 31 luglio 2000, n. 320, novellato dal D.M. del 27 aprile 2006, n. 215, ha disciplinato l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali.

Per ciò che concerne la revoca delle agevolazioni, l'articolo 12, comma 3, lett. e), prevede che essa operi qualora l'iniziativa non venga ultimata entro quarantotto mesi dalla data di inizio dell'istruttoria, convenzionalmente identificata con la data di presentazione della richiesta, salvo che il termine non sia prorogato. Tale termine può essere prorogato una sola volta e per un periodo non superiore ai dodici mesi.

Per ciò che concerne il differimento dei termini per il completamento dei programmi, l'articolo 12-ter prevede per le iniziative imprenditoriali agevolate a valere sui patti territoriali e sui contratti d'area che, qualora queste alla data di ultimazione, ovvero alla scadenza dei 48 mesi o, in caso di rimodulazioni, dei 24 mesi, entrambi eventualmente prorogati di 12 mesi, risultino realizzate in misura non inferiore al 50% degli investimenti ammessi, sia disposto, su richiesta dell'impresa interessata, un differimento dei termini per il completamento del programma, comunque non superiore a ulteriori 12 mesi.

 


 

Articolo 44
(Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all'editoria)

 


1. Con regolamento di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentito anche il Ministro per la semplificazione normativa, sono emanate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e tenuto conto delle somme complessivamente stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell'editoria, che costituiscono limite massimo di spesa, misure di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi all'editoria di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, e alla legge 7 marzo 2001, n. 62, nonché di ogni altra disposizione legislativa o regolamentare ad esse connessa, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) semplificazione della documenta­zione necessaria per accedere al contributo e dei criteri di calcolo dello stesso, assicurando comunque la prova dell'effettiva distribuzione e messa in vendita della testata, nonché l'adeguata valorizzazione dell'occupazione professionale;

b) semplificazione delle fasi del proce­dimento di erogazione, che garantisca, anche attraverso il ricorso a procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l'anno successivo a quello di riferimento;

b-bis) mantenimento del diritto all’intero contributo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 250 e dalla legge 14 agosto 1991, n. 278, anche in presenza di riparto percentuale tra gli altri aventi diritto, per le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 250.


 

 

L’articolo 44 prevede il riordino, mediante un regolamento di delegificazione, della disciplina di erogazione dei contributi all’editoria. La materia[278] è attualmente regolata, in via principale, dalle disposizioni contenute nelle leggi n. 250/1990[279] e n. 62/2001[280] (più volte modificate), nonché da ulteriori norme legislative e regolamentari successivamente intervenute.

 

Si ricorda che nel corso della XIV legislatura sono stati adottati interventi specifici che hanno riguardato principalmente le misure di sostegno in favore delle imprese editrici. In particolare, si segnalano le misure di agevolazione fiscale, contenute nella legge finanziaria per il 2002[281] (art. 52, co. 75) e nella legge finanziaria per il 2004[282] (art. 4, co. 181-186), nonché quelle previste dal d.l. n. 353/2003[283] in materia di agevolazioni postali.

Anche nel corso della XV legislatura sono stati approvati singoli e specifici interventi, volti soprattutto a razionalizzare la spesa nel settore, rivedendo, di conseguenza, i parametri ed i criteri di erogazione di alcune provvidenze pubbliche a favore del settore (cfr. art. 20, co 1, d.l. 4 luglio 2006, n. 223; art. 2, co. 119-135, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262; art. 10, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159[284]; art. 2, co. 293-298, l. 24 dicembre 2007, n. 244).

Peraltro, si ricorda che non sono mancati negli anni più recenti tentativi di un riordino complessivo della materia. In particolare, nel corso della XIV legislatura, è stato approvato da un ramo del Parlamento un disegno di legge di iniziativa governativa di riforma del settore[285]. Tale provvedimento non ha poi concluso l’iter parlamentare, anche se alcune disposizioni sono confluite in successivi provvedimenti legislativi.

Da ultimo, il collegato alla manovra finanziaria per il 2007 (art 2, co. 117 e 118, d.l. n. 262/2006[286]) aveva delegato il Governo a procedere, con regolamenti di delegificazione, al riordino e alla semplificazione della disciplina delle provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici, nonché di quelle radiofoniche e televisive e, successivamente, la stessa legge finanziaria per il 2007[287] aveva previsto (art. 1, co. 1245) che il Governo elaborasse, entro sei mesi, una proposta di riforma del settore dell’editoria e dei prodotti editoriali. In attuazione di ciò, il Governo ha istituito una commissione di giuristi, professori universitari ed esperti nel settore editoriale; tale commissione ha promosso numerose audizioni ed ha delineato un progetto di riforma, approvato, come disegno di legge, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 2007. Tali riforme non hanno poi visto la luce per lo scioglimento anticipato delle Camere.

 

Il regolamento deve essere emanato previo parere del Ministro per la semplificazione normativa, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge[288].

 

Si ricorda in proposito, che, ai sensi dell’art. 17, co. 2, della l. n. 400/1988[289], i regolamenti di delegificazione sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Sono previsti tre principi direttivi ai quali il regolamento di riordino della materia deve uniformarsi.

Il primo riguarda la semplificazione della documentazione necessaria per accedere ai contributi e dei criteri di calcolo dei contributi stessi. In ogni caso, per accedere ai contributi si richiede:

a)  la prova dell’effettiva distribuzione e messa in vendita della testata (al posto della attuale dichiarazione relativa alla tiratura);

b)  l’adeguata valorizzazione dell’occupazione professionale.

 

Il secondo principio attiene alla semplificazione delle fasi del procedimento di erogazione. In particolare, la nuova disciplina dovrà garantire, anche mediante l’ausilio delle procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l’anno successivo a quello di riferimento.

 

La disciplina procedurale per la concessione dei contributi è contenuta nel D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 525[290], ed è stata oggetto di numerose modifiche ed integrazioni intervenute successivamente alla sua approvazione nonché, in alcuni casi, contenute in disposizioni di legge.

Per quanto riguarda i tempi di erogazione, si ricorda che l’articolo 1, co. 454, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha soppresso – con decorrenza a partire dai contributi per l’anno 2005 - l’anticipazione sui contributi all’editoria (di cui all’art. 3, co. 15-bis della l. n. 250/1990), prevedendo al contempo che questi ultimi siano erogati in un'unica soluzione entro l'anno successivo a quello di riferimento. Solo nel caso in cui le erogazioni delle provvidenze siano state effettuate mediante il riparto percentuale dei contributi tra gli aventi diritto, le quote restanti possono essere erogate anche oltre il termine dell’anno successivo a quello di riferimento (art. 1, co. 1246, l. finanziaria per il 2007).

 

Il terzo principio riguarda il diritto delle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale ai sensi della l. n. 250/1990 a percepire l’intero contributo, anche nell’ipotesi di riparto percentuale tra gli aventi diritto.

 

In relazione ai destinatari della disposizione, occorre segnalare che l’unica fonte normativa che qualifica le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale è rappresentata dalla l. n. 230/1990[291] (e non, invece, la l. n. 250/1990, richiamata nel corpo della disposizione). Ai sensi di tale legge (art. 1), è stato concesso un contributo per il solo triennio 1990-92 alle imprese radiofoniche private che nel triennio 1987-1989 avessero:

a)    trasmesso quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterali per non meno di nove ore comprese tra le ore sette e le ore venti;

b)    utilizzato esclusivamente per la diffusione dei propri programmi, in ciascuno dei tre anni, almeno 60 impianti di trasmissione ubicati in almeno 35 province e in almeno 14 regioni italiane e che, quantomeno nel terzo anno, abbiano esteso il numero di impianti al 50 per cento delle province e all’85 per cento delle regioni;

c)    usufruito delle agevolazioni e dei rimborsi o dei contributi di cui all’articolo 11 della l. n. 67 del 1987[292].

La disposizione in commento prevede, dunque, che le imprese che hanno percepito contributi come radio di interesse generale ai sensi della l. n. 230/1990, abbiano diritto all’intero contributo pubblico, anche qualora si proceda al riparto percentuale tra gli aventi diritto. Tale possibilità è, infatti, ammessa dall’articolo 1, comma 1246, della legge n. 296/2006 (l. finanziaria per il 2007), ove necessario, sia per l’erogazione dei contributi diretti all’editoria, sia per quelli alle imprese radiofoniche e televisive. Ai fini dell’attuazione di tale disposizione, l’articolo 2, comma 294, della l. finanziaria per il 2008[293] stabilisce che la liquidazione della somma disponibile per i contributi avviene, una volta accertata la sussistenza dei requisiti per l’erogazione, in quote proporzionali all’ammontare del contributo spettante a ciascun avente diritto.

 

Infine, l’articolo 44 stabilisce che il riordino non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell’editoria costituiscono limite massimo di spesa per il settore.

In proposito, si ricorda che le spese per interventi di sostegno concernenti i settori dell’informazione e dell’editoria, di competenza del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, trovano ora collocazione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (tabella 2), all’interno della missione 11 ‘Comunicazioni’ e del programma ‘Sostegno all’editoria’[294].

Nel bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2008 sono complessivamente stanziate per tale programma risorse pari a 450,3 milioni di euro[295].

 


 

Articolo 45
(Soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario e della Commissione tecnica per la finanza pubblica)

 


1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Servizio consultivo ed ispettivo tributario è soppresso e, dalla medesima data, le relative funzioni sono attribuite al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ed il relativo personale amministrativo è restituito alle amministrazioni di appartenenza ovvero, se del ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze, assegnato al Dipartimento delle finanze di tale Ministero.

2. A decorrere dalla data di cui al comma 1, sono o restano abrogate tutte le disposizioni incompatibili con quelle di cui al medesimo comma 1 e, in particolare:

a) gli articoli 9, 10, 11, 12 della legge 24 aprile 1980, n. 146, e successive modificazioni;

b) l'articolo 22 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 2001, n. 107;

c) gli articoli 2, comma 1, lettera d), e 3, comma 1, lettere d) ed e), limitatamente al primo periodo, del decreto legislativo 3 luglio 2003, n. 173;

d) gli articoli 4, comma 1, lettera c), e 18 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43;

e) gli articoli da 14 a 29 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287, e successive modificazioni.

3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'organismo previsto dall'articolo 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è soppresso. Conseguentemente, sono abrogati i commi 477, 478 e 479 del medesimo articolo. Le risorse rivenienti dall'abrogazione del comma 477 sono iscritte in un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono adottate le variazioni degli assetti organizzativi e funzionali conseguenti alla soppressione del predetto organismo e si provvede anche con riferimento al relativo personale, tenuto conto delle attività di cui al comma 480 del medesimo articolo 1.


 

 

L’articolo 45 dispone la soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario - SECIT (commi 1 e 2)nonché della Commissione tecnica per la finanza pubblica (comma 3).

 

Il comma 1 dell’articolo in esame dispone la soppressione del SECIT a decorrere dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame ed il trasferimento delle relative funzioni al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché la restituzione del personale amministrativo alle amministrazioni di appartenenza ovvero, se del ruolo del Ministero dell’economia e delle finanze, l’assegnazione al Dipartimento delle finanze.

Il Servizio consultivo e ispettivo tributario è un ufficio che opera alle dirette dipendenze del Ministro dell’ Economia e delle Finanze (articolo 25, comma 1, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300[296]), istituito dall'articolo 9 della legge 24 aprile 1980, n. 146[297] con funzioni in parte ispettive ed in parte di controllo contribuenti, di programmazione e di studio.

Le prerogative del servizio sono stabilite dall' articolo 22 del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107[298]. Esso è costituito da cinquanta esperti e si occupa di elaborare studi di politica economica e tributaria e di analisi fiscale in conformità agli indirizzi stabiliti dal Ministro per la definizione degli obiettivi e dei programmi, anche nell’esercizio delle funzioni di indirizzo politico ed amministrativo, acquisendo informazioni e utilizzando dati in possesso dell'amministrazione finanziaria, ivi comprese le agenzie. Il SECIT, a richiesta del Ministro e sulla base di specifiche direttive, effettua valutazioni sulle modalità complessive dell'esercizio delle funzioni fiscali da parte del corpo della Guardia di finanza e delle agenzie, ai fini della vigilanza generale da parte del Ministro stesso.

Al servizio sono addetti non più di cento impiegati (articolo 3, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 3 luglio 2003 n. 173[299]), designati con decreto del Ministro delle finanze, per una metà tra il personale appartenente alla carriera direttiva dell'amministrazione finanziaria e per l'altra metà alla carriera di concetto della stessa amministrazione (articolo 12 della citata legge n. 146 del 1980).

 

Si ricorda al riguardo che con D.P.R. 30 gennaio 2008 n. 43 è stato emanato il Regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze[300]. La sezione III del Capo II (articoli 14 e 15) del regolamento disciplina le funzioni del Dipartimento delle finanze (ex Dipartimento delle politiche fiscali) al quale, tra l’altro, sono affidati compiti di analisi, elaborazione e valutazione delle politiche economico-fiscali (articolo 14, comma 1, lett. a) nonché di vigilanza, in relazione alla quale valuta - ferma restando l'attività del Ministro di alta vigilanza - le modalità complessive dell'esercizio delle funzioni fiscali da parte delle agenzie e degli altri soggetti operanti nel settore della fiscalità di competenza dello Stato, sotto il profilo della trasparenza, imparzialità e correttezza nell'applicazione delle norme (articolo 14, comma 1, lettera l) del D.P.R. n. 43 del 2008).

 

Il comma 2 dell’articolo in esame, con funzioni di coordinamento, prevede l’abrogazione delle disposizioni incompatibili con la disciplina contestualmente introdotta e, in particolare, di una serie di norme legislative e regolamentari espressamente indicate.

Il comma 3 dispone altresì la soppressione della Commissione tecnica per la finanza pubblica[301], istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze dal comma 474 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), con compiti di studio e analisi riferiti al processo di armonizzazione e di coordinamento della finanza pubblica e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Con specifico riferimento al bilancio dello Stato, alla Commissione è stato assegnato il compito di disegnare una diversa classificazione della spesa, anche mediante ridefinizione delle unità elementari ai fini dell'approvazione parlamentare, finalizzata al miglioramento della scelta allocativa e ad una efficiente gestione delle risorse, rafforzando i processi di misurazione delle attività pubbliche e la responsabilizzazione delle competenti amministrazioni[302].

Conseguentemente, la norma in esame dispone l’abrogazione dei commi 477, 478 e 479 dell’articolo 1 della citata legge finanziaria per il 2007.

In particolare, il comma 477 prevedeva che, per l'espletamento della sua attività, la Commissione tecnica per la finanza pubblica si avvalesse della struttura di supporto dell'Alta Commissione di studio[303] per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, istituita dalla legge finanziaria per il 2003, la quale veniva contestualmente soppressa.

Era altresì stabilito che, ai fini dello svolgimento delle proprie funzioni, la Commissione potesse avvalersi degli strumenti di supporto previsti per la soppressa Commissione tecnica per la spesa pubblica[304] (soppressa a suo tempo contestualmente alla istituzione dell’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale), ivi incluso l'accesso ai sistemi informativi della Ragioneria generale dello Stato[305], e l’istituzione di una segreteria tecnica, ai sensi dell'articolo 8, commi 4 e 5, della legge 17 dicembre 1986, n. 878[306], nonché disporre la stipula di contratti di consulenza con esperti, enti o società specializzate. Per la costituzione della Commissione in esame il comma 477 aveva autorizzato la spesa di 1.200.000 euro annui a decorrere dal 2007.

Il comma 478, richiamando la disposizione del comma 474 che definiva nel numero di 10 membri la composizione della predetta Commissione, prevedeva che essi fossero scelti tra esperti di alto profilo tecnico-scientifico e di riconosciuta competenza in materia di finanza pubblica, tre dei quali in rappresentanza delle regioni e degli enti locali e scelti tra una rosa di nomi indicati dalla Conferenza unificata[307].

Il comma 479, infine, disponeva che i membri della Commissione fossero nominati per tre anni, con possibilità di rinnovo, alla scadenza, per una sola volta.

 

La norma prevede inoltre che le risorse finanziarie derivanti dall’abrogazione del comma 477, pari a 1,2 milioni di euro a partire dall’anno in corso (2008), siano iscritte in un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Si dispone, infine, che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze siano adottate le variazioni degli assetti organizzativi e funzionali conseguenti alla soppressione della Commissione. Anche con riferimento al personale, si dispone che tali variazioni siano effettuate tenuto conto delle attività di cui al comma 480, articolo 1, della citata legge finanziaria per il 2007.

Si ricorda che il comma 480 ha previsto che, per l’anno 2007, il Ministro dell'economia, avvalendosi anche della Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita dal comma 474, promuove la realizzazione di un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali, anche in relazione alla applicazione delle disposizioni del comma 507 della citata legge finanziaria per il 2007[308], individuando le criticità, le opzioni di riallocazione delle risorse, le possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse stanziate, sul piano della qualità e dell'economicità[309].

 

Si rileva che, dalla data della sua istituzione (16 marzo 2007), la Commissione tecnica per la finanza pubblica ha elaborato documenti tecnici[310], tra i quali il Libro verde sulla spesa pubblica (settembre 2007) ed il Rapporto intermedio sulla revisione della spesa (dicembre 2007), che si inseriscono nell’ambito del generale processo di riforma del bilancio dello Stato e della finanza pubblica, con particolare riferimento allo strumento della revisione della spesa (spending review) e alla nuova classificazione del bilancio dello Stato per missioni e per programmi.

Si rammenta, infatti, che in data 6 febbraio 2007, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha trasmesso alle Camere copia della relazione sugli orientamenti del Ministero dell’economia e delle finanze in materia di struttura del bilancio e di valutazione della spesa, illustrate nel corso del Consiglio dei ministri del 2 febbraio 2007, sulla base del mandato affidato al Ministro dell’economia dai commi 474, 476, 480 e 507 della legge finanziaria 2007.

In particolare, il Ministro ha inteso avviare due azioni parallele, tra loro coordinate, avvalendosi anche della Commissione tecnica per la finanza Pubblica:

1)  attivare un programma di analisi e valutazione della spesa pubblica (cd. spending review), a sua volta articolato in due processi simultanei: a) riesamina delle priorità e dell’efficacia dei principali programmi di spesa dello Stato; b) esame degli aspetti organizzativi comuni per il complesso delle amministrazioni, includendo il piano di attuazione delle misure previste dal comma 507 della legge finanziaria per il 2007.

2)  proporre linee generali per la revisione del sistema di classificazione del bilancio.

 

Con particolare riferimento a quest’ultimo punto, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha dettato alcuni indirizzi di massima, tra i quali:

a)       semplificazione del bilancio, in modo che la struttura del bilancio riconduca ad una classificazione per funzioni dello Stato, utilizzando in maniera flessibile l’approccio funzionale definito negli standard internazionali (COFOG), in particolare avvicinandosi all’articolazione dei Ministeri e delle Commissioni parlamentari “di merito”;

b)       piena attuazione dell’informatizzazione del sistema della contabilità di finanza pubblica (SIOPE, codice unico);

c)       ristrutturazione della legge finanziaria, in modo da ricalcare la classificazione del bilancio, richiamando le dotazioni di risorse per funzioni già assegnate con la legge di bilancio e individuando le relative variazioni;

d)       diminuzione della mole complessiva degli interventi connessi alla manovra di bilancio, definendo in tale sede le misure per il raggiungimento degli obiettivi;

e)       migliore controllo del contenuto della legge finanziaria, proponendo la tecnica delle “risorse di settore” per funzioni e del controllo interno per aggregati di norme omogenee.

f)         disponibilità a collaborare per un disegno di revisione della procedura di esame parlamentare dei disegni di legge di bilancio e finanziaria.

 

 


Articolo 46
(Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione)


1. Il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e da ultimo dall'articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è così sostituito: «6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso».

2. L'articolo 3, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall'oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».

3. L'articolo 3, comma 56, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali.».


 

L’articolo 46, che nel corso dell’esame parlamentare è stato oggetto di modifiche avente carattere esclusivamente formale,reca misure in tema di collaborazioni e consulenze nelle pubbliche amministrazioni e negli enti locali, apportando in particolare modifiche alla disciplina introdotta in materia dalla legge finanziaria 2008[311], anche allo scopo di superare alcune incertezze interpretative che si erano determinate in sede di prima applicazione della nuova disciplina.

Più specificamente, il comma 1 interviene sulla disciplina generale degli incarichi di collaborazione occasionale e coordinata e continuativa nelle pubbliche amministrazioni[312], sostituendo integralmente il comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001[313], attraverso un intervento su una disposizione che era stata già oggetto di una prima riscrittura ad opera dell’art. 32 del D.L. 223/2006[314] (c.d. “decreto Bersani 1”), e successivamente modificata dal co. 76 dell’art. 3 della legge finanziaria 2008.

 

D.Lgs. 165/2001
testo risultante dalle modifiche apportate, da ultimo, dalla L. 244/2007

D.Lgs. 165/2001
testo modificato dal D.L. 112/2008

Art. 7

Art. 7

Gestione delle risorse umane

Gestione delle risorse umane

[…]

[…]

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le ammini­strazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria, in presenza dei seguenti presupposti:

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le ammini­strazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

a) l'oggetto della prestazione deve cor­rispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione con­ferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’am­ministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere prelimi­narmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

Identica.

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

Identica.

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Identica.

 

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universi­taria in caso di stipulazione di contratti d’opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso.

6-bis. Le amministrazioni pubbliche disci­plinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

6-bis. Identico.

6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6.

6-ter. Identico.

6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144.

6-quater. Identico.

 

Nel suo testo originario il comma 6 dell’art. 7 si limitava a prevedere che le amministrazioni pubbliche, per far fronte ad esigenze non fronteggiabili con il personale in servizio, potessero conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

A seguito delle modifiche introdotte dal “decreto Bersani 1” il comma 6 nello specificare che il conferimento degli incarichi individuali dovesse avvenire con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa[315], prevede che l’attribuzione dovesse essere effettuata nel rispetto dei seguenti presupposti:

-        corrispondenza dell’oggetto della prestazione alle competenze proprie dell’amministrazione interessata, nonché ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

-        preliminare accertamento da parte dell’amministrazione conferente dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane a disposizione;

-        natura temporanea e altamente qualificata della prestazione;

-        preventiva determinazione della durata, del luogo, dell’oggetto e del compenso della collaborazione.

Il successivo comma 6-bis prevede, inoltre, che tutte le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

La legge finanziaria 2008 ha infine precisato che gli incarichi individuali esterni possono esser conferiti solamente a soggetti di particolare e comprovata professionalità a livello di specializzazione universitaria[316].

 

La riscrittura operata dalla disposizione in esame, nel precisare che i requisiti indicati dall’art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001 costituiscono presupposti di legittimità per l’affidamento dell’incarico[317], prevede in primo luogo che la particolare e comprovata specializzazione non debba necessariamente essere di natura universitaria.

In quest’ottica si dispone, infatti, che il carattere universitario della specializzazione richiesto non abbia natura esclusiva (la disposizione fa ora riferimento a una specializzazione “anche” universitaria) e si introducono, in un nuovo periodo del comma 6, deroghe al requisito della formazione universitaria per le fattispecie di contratti d’opera stipulati con:

§      professionisti iscritti in ordini o albi;

§      soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali.

Per entrambe le fattispecie, la disposizione richiede comunque che sia accertato che l’esperto abbia maturato un’esperienza nel settore.

 

Con riferimento alle fattispecie oggetto della deroga, si segnala che la disposizione in esame fa espressamente riferimento ai soli “contratti d’opera”, che in base all’articolo 2222 c.c. sussistono ogniqualvolta una persona si obbliga, dietro la corresponsione di un corrispettivo, a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Nell’ambito applicativo della disposizione dovrebbero peraltro rientrare anche i contratti di prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 c.c., tenuto conto dell’esplicito riferimento a contratti stipulati con professionisti iscritti in ordini o albi.

Per quanto attiene all’esperienza richiesta, la disposizione sembra richiamare, in particolare, quanto previsto nell’alinea del comma 6 in ordine alla “particolare e comprovata specializzazione”.

 

La disposizione non chiarisce in modo espresso se le deroghe abbiano natura tassativa ovvero se – anche in relazione alla formulazione dell’alinea del comma 6 - possano darsi ulteriori casi nei quali non sia richiesta una specializzazione di carattere universitario.

 

Al riguardo si segnala che a seguito dell’entrata in vigore della legge finanziaria 2008 si sono poste numerose questioni interpretative e applicative con riferimento al requisito della “comprovata specializzazione universitaria” introdotto per le collaborazioni e le consulenze.

In materia era intervenuta, in particolare, la circolare della Presidenza del Consiglio n. 2/2008[318], che aveva evidenziato in via generale come l’innovazione introdotta rendesse in primo luogo impossibile il ricorso a qualsiasi rapporto di collaborazione esterna per attività non altamente qualificate, con la conseguente illegittimità di qualsiasi tipologia di contratto stipulato in violazione di tali presupposti, rafforzando, pertanto, quanto già indicato alla lettera c) del comma 6 dell’articolo 7.

Con più specifico riferimento alla specializzazione universitaria, la circolare evidenziava come l’espressione utilizzata dovesse far ritenere quale requisito minimo necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente, attinente l’oggetto dell’incarico. Non sono tuttavia da escludere percorsi didattici universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti, finalizzati alla specializzazione richiesta, in aggiunta alla laurea triennale.

In via generale, quindi, si riteneva che alle amministrazioni pubbliche non fosse consentito stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualificazione professionale inferiore. L’articolo 7, tuttavia, costituiva la disciplina generale in tema di ricorso alle collaborazioni esterne, e, pertanto, rimanevano vigenti tutte quelle previsioni normative che, per specifiche attività, determinano i requisiti dei collaboratori o anche le procedure per l’affidamento dell’incarico[319].

 

La disposizione in esame modifica altresì il contenuto della lettera a) del comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001, al fine di circoscrivere ulteriormente le prestazioni che possono essere oggetto del contratto di lavoro autonomo.

A seguito delle innovazioni introdotte dall’articolo in esame, per la legittimità del conferimento dell’incarico ad un esperto esterno si richiede che la prestazione, oltre a corrispondere ad un ambito di competenze attribuito all’amministrazione conferente e a precisi obiettivi e progetti, debba anche essere coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione che attribuisce l’incarico.

Da ultimo, al comma 6 viene inserito un terzo periodo, volto a prevedere una disciplina sanzionatoria per l’illegittima stipulazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Non sono previste invece espresse innovazioni con riferimento alle sanzioni per la violazione delle disposizioni in materia di stipulazione di contratti di lavoro autonomo di natura occasionale.

In particolare, la novella introduce una nuova fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha fatto ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa:

§      per svolgere funzioni ordinarie dell’amministrazione;

§      utilizzando i collaboratori come lavoratori subordinati.

 

In linea generale si evidenzia come l’esame dei più recenti interventi normativi in materia di responsabilità amministrativa pare evidenziare come negli ultimi anni si sia realizzato un processo di tipizzazione delle fattispecie di responsabilità erariale, che si è andato consolidando nel corso della XV legislatura, ed in particolare con le previsioni della legge finanziaria 2008.

In diverse disposizioni recentemente approvate, in particolare nell’ambito delle leggi finanziarie, infatti, il legislatore ha stabilito a priori la condotta illecita da cui scaturisce la responsabilità erariale, affidando in sostanza al giudice contabile esclusivamente il compito di verificare l’integrazione della fattispecie nel caso concreto e l’individuazione dell’effettivo responsabile della violazione. In molti casi, inoltre, oltre alla tipizzazione della fattispecie, la norma speciale provvede anche ad individuare misure di carattere demolitorio per gli atti dannosi (prevedendone la nullità), nonché sanzioni pecuniarie che superano la tradizionale ottica risarcitoria della responsabilità amministrativa, prevedendo la predeterminazione della sanzione in un multiplo del danno arrecato o di un parametro altrimenti rilevante.

Di recente, le sezioni riunite della Corte dei conti[320] hanno ricostruito il descritto fenomeno, evidenziando appunto come negli ultimi anni si sia venuto delineando un sistema tipizzato di fattispecie di responsabilità sanzionatoria. Tale sistema è il risultato della previsione, sul piano legislativo, di fattispecie tipizzate di illeciti amministrativo-contabili, che si aggiungono alle tradizionali fattispecie di responsabilità sanzionatoria già conosciute dall'ordinamento e rientranti nella giurisdizione della Corte dei conti. Secondo la Corte, le nuove fattispecie di responsabilità previste dalla legge stanno dando luogo ad un vero e proprio sistema sanzionatorio contabile che si affianca, nella tutela delle risorse pubbliche, al sistema tradizionale della responsabilità amministrativa di tipo risarcitorio basato sulla clausola generale del risarcimento dei danni cagionati.

In sostanza, per la Corte sussistono, quindi, due species di responsabilità amministrativa:

-        una responsabilità amministrativa per danno, di tipo risarcitorio, che configura una responsabilità generica, nel senso che non è tipizzata né nei comportamenti, né nella quantificazione del debito. Tale responsabilità sorge ogniqualvolta vi sia un danno patrimoniale risarcibile, economicamente valutabile, attuale e concreto, sofferto dall'amministrazione pubblica, purché il comportamento omissivo o commissivo del soggetto cui il danno è ricollegabile sia connotato dall'elemento psicologico del dolo o della colpa grave;

-        una responsabilità amministrativa a carattere sanzionatorio, che invece è tipizzata, in quanto, essendo di tipo sanzionatorio, le relative fattispecie devono necessariamente corrispondere al principio di stretta legalità di cui all’art. 25 Cost. Tali fattispecie sono tassative (non sono pertanto suscettibili di interpretazione analogica), e devono essere determinate e specifiche (nel senso che la legge deve molto puntualmente indicare ogni elemento dell'intera fattispecie sanzionatoria).

 

Con specifico riferimento alle ipotesi di responsabilità per il conferimento degli incarichi di collaborazione in assenza dei requisiti stabiliti dall'art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001, la ricordata circolare n. 2/2008 evidenziava come – già prima della modifica introdotta dalla disposizione in esame - ci si trovasse dinanzi ad una responsabilità amministrativa del dirigente che avesse conferito l'incarico in violazione delle norme vigenti, con possibili risvolti anche sul piano della responsabilità disciplinare.

Più in particolare, la circolare evidenziava che qualora l'incarico di collaborazione si traducesse nella sostanza in un rapporto di lavoro subordinato si profilasse una responsabilità civile nei confronti del prestatore d'opera ex art. 2126 c.c., in relazione alla stipulazione di un contratto di lavoro nullo, che comunque dà titolo al prestatore di lavoro di richiedere la retribuzione da parte dell'amministrazione pubblica. Tale responsabilità dell’amministrazione rileverebbe peraltro sotto il profilo del danno erariale cagionato dal dirigente in quanto, sebbene l'amministrazione si sia giovata della prestazione lavorativa, e quindi non possa considerarsi danneggiata in senso lato, la pubblica amministrazione sarebbe comunque danneggiata poiché essa è in ogni caso tenuta a porre in essere comportamenti legittimi.

Quanto ai presupposti soggettivi per l’integrazione di tali fattispecie di responsabilità, la circolare evidenziava che la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti avesse spesso escluso la possibilità di riscontrare una colpa lieve quando ha valutato l'attribuzione di incarichi in assenza dei presupposti di legge e avesse spesso operato un contemperamento fra potere di riduzione e necessità di rispetto dei canoni di legittimità e, quindi, fra il parametro della cosiddetta «utilità gestoria», ove presente, e il parametro pubblicistico di buon andamento e tutela degli interessi pubblici.

In questa ottica, la circolare riteneva che fosse applicabile anche all’utilizzo illegittimo dei contratti di collaborazione il comma 6 dell'art. 36 del D.Lgs. 165/2001[321] qualora detti contratti fossero stati stipulati in luogo dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato con l'intento di eludere i limiti imposti dal medesimo articolo. La disposizione richiamata, nel prevedere che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro svolta, imponendo alle amministrazioni interessate l’obbligo di recuperare le somme pagate, a danno dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Per le amministrazioni pubbliche che abbiano operato in violazione della disciplina in materia di contratti di lavoro flessibile è previsto il divieto di effettuare assunzioni per il triennio successivo alla violazione commessa[322].

 

In relazione alle modifiche introdotte, la novella prevede infine, in un ulteriore periodo, l’abrogazione del secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del D.L. 168/2004[323], che prevedeva per l’affidamento degli incarichi di studio, di ricerca o delle consulenze una disciplina parzialmente difforme da quella dell’art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001.

 

La norma abrogata richiedeva che l'affidamento degli incarichi e delle consulenze a soggetti estranei all'amministrazione dovesse riferirsi a materie ed oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'amministrazione pubblica, essere adeguatamente motivato e potesse avvenire solo nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari.

Tale formulazione aveva indotto taluni enti a ritenere che nel vigore della disciplina previgente fosse possibile conferire incarichi di collaborazione per funzioni ordinarie, conformemente a quanto in un primo tempo indicato anche dalla magistratura contabile, la quale aveva rilevato[324] come i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa fossero utilizzabili per le esigenze ordinarie proprie del funzionamento delle strutture amministrative in quanto essi, per la loro stessa natura che prevede la continuità della prestazione e un potere di direzione dell'amministrazione, appaiono distinti dalla categoria degli incarichi esterni, caratterizzata dalla temporaneità e dall'autonomia della prestazione. Tale interpretazione era peraltro contrastata dalle Sezioni giurisdizionali e delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, che già prima della novella ritenevano che le collaborazioni coordinate e continuative non potessero in alcun modo coprire i fabbisogni ordinari e le esigenze di carattere duraturo delle pubbliche amministrazioni.

 

I commi 2 e 3 dell’articolo in esame sostituiscono integralmente i commi 55 e 56 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2008, che recano una disciplina volta a rafforzare i controlli sulle spese degli enti locali per incarichi di collaborazione.

 

L. 244/2007
testo originario

L. 244/2007
testo modificato dal D.L. 112/2008

[…]

[…]

Art. 3

Art. 3

Disposizioni in materia di: Fondi da ripartire; Contenimento e razionalizzazione delle spese valide per tutte le missioni; Pubblico impiego; Norme finali.

Disposizioni in materia di: Fondi da ripartire; Contenimento e razionalizzazione delle spese valide per tutte le missioni; Pubblico impiego; Norme finali.

[…]

[…]

55. L’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

55. Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

56. Con il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi emanato ai sensi dell’articolo 89 del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione, di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione. Con il medesimo regolamento è fissato il limite massimo della spesa annua per gli incarichi e consulenze. L’affidamento di incarichi o consulenze effettuato in violazione delle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del presente comma costituisce illecito disciplinare e determina respon­sabilità erariale.

56. Con il regolamento di cui all’articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle dispo­sizioni regolamentari richiamate costi­tuisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali.

 

In particolare, il comma 55 nel testo previgente stabiliva che gli incarichi di studio, di ricerca e le consulenze potessero essere conferiti dall’ente locale solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio dell’ente stesso.

La norma richiama espressamente i programmi approvati ai sensi dell’art. 42, co. 2, lett. b) del testo unico sugli enti locali (T.U.E.L.[325]). Tale disposizione riporta un elenco delle attribuzioni dei Consigli comunali e provinciali, nella quale la competenza dell’organo consiliare ècircoscritta agli atti fondamentali di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre sono affidati alle Giunte comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo. In particolare, la lettera b) richiamata dalla disposizione in esame prevede che spetti ai Consigli la competenza su atti di programmazione e su documenti di bilancio (“programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”). Il comma 4 del medesimo art. 42 esclude che deliberazioni in ordine alle materia affidate alla competenza dei Consigli possano essere adottate in via d’urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo per quanto attinente alle variazioni di bilancio adottate dalla Giunta, che devono essere sottoposte a ratifica del Consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

In altri termini, come evidenziato nella più volte ricordata circolare n. 2/2008, i dirigenti possono valutare il ricorso ad una collaborazione solo nell'ambito della programmazione delle attività dell'amministrazione, con riferimento ad aspetti o fasi della medesima programmazione, così come determinata dall'art. 42 del T.U.E.L.

Il comma 56 demanda al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali[326] la definizione, in conformità alla legislazione vigente in materia, dei limiti, dei criteri e delle modalità per il conferimento di incarichi esterni, nonché del limite massimo della relativa spesa annua.

La disposizione reca inoltre una specifica norma sanzionatoria, prevedendo che il conferimento di incarichi esterni in violazione delle norme del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità amministrativa.

Il successivo comma 57, non modificato dal decreto in esame, prevede le disposizioni del regolamento dei servizi e del personale adottate in materia di incarichi esterni in attuazione del comma 56 devono essere trasmesse per estratto alla sezione regionale della Corte dei conti entro 30 giorni dalla loro adozione, senza precisare in modo espresso il contenuto dell’attività di controllo affidata alla magistratura contabile.

Al riguardo, nelle linee guida per l’applicazione della nuova disciplina[327], la sezione delle autonomie della Corte dei conti ha preliminarmente rilevato che l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte dei conti e deve escludersi quindi l’effetto tipico del controllo preventivo di legittimità, che è quello di integrare l’efficacia dell’atto. Nella logica del sistema dei controlli, così come delineato dalla giurisprudenza costituzionale, l’obbligatoria trasmissione in termini temporali ravvicinati ad un organo di controllo esterno come la Corte dei conti deve piuttosto intendersi come strumentale all’esercizio di forme di controllo di natura “collaborativa”.

In base alle linee guida, tenuto conto della natura dell’atto, il controllo della Corte deve in questa fattispecie ascriversi alla categoria del “riesame di legalità e regolarità, in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità e regolarità), ma dinamica, volta a finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive”[328]. Quanto alle procedure da utilizzare nel procedimento di controllo, le linee guida ritengono applicabile, per analogia, quanto previsto dall’art. 1, comma 168, della legge finanziaria 2006 (L. 266/2005) con riferimento alla gestione finanziaria degli enti locali.

 

Con le disposizioni in esame, si provvede in primo luogo a ridefinire e ad uniformare il campo di applicabilità della disciplina introdotta dai co. 55 e 56, che facevano riferimento a fattispecie non del tutto coincidenti: mentre, infatti, il co. 55 menzionava incarichi di studio o di ricerca e consulenze, il successivo comma 56 indicava anche, più genericamente, gli “incarichi di collaborazione”.

 

Le differenze tra le tre fattispecie individuate da entrambe le disposizioni (incarichi di studio, ricerca e consulenze) sono state in passato oggetto di ricostruzione, in particolare da parte della giurisprudenza contabile.

In particolare, si è evidenziato[329] come gli incarichi di studio possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal D. P. R. n. 338/1994[330] che, all’articolo 5, determina il contenuto dell’incarico nello svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse dell’amministrazione. In particolare, si individua come requisito essenziale, per il corretto svolgimento di un incarico di studio la consegna di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte.

Per gli incarichi di ricerca, invece, la Corte dei Conti riteneva invece necessaria la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione, in modo analogo a quanto ora disposto dal comma 55 della disposizione in esame.

Le consulenze vengono, infine, identificate più genericamente nelle richieste di pareri ad esperti.

 

A seguito delle modifiche introdotte dalle disposizioni in esame, i commi 55 e 56 sono ora applicabili a tutti i contratti di collaborazione autonoma indipendentemente dalla natura delle prestazioni oggetto del contratto, con una estensione analoga a quella prevista in via generale dal comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001, che si applica a tutti gli incarichi individuali attributi con contratti di lavoro autonomo.

 

Il comma 2, nel procedere ad una riscrittura di carattere formale dell’art. 3, co. 55 della finanziaria 2008[331], prevede inoltre che i contratti di collaborazione possano essere stipulati non solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio dell’ente, ma anche con riferimento alle attività istituzionali dell’ente previste dalla legge.

 

Al riguardo, sembrerebbe che la novella abbia inteso fornire una soluzione di carattere legislativo a questioni interpretative emerse in sede di applicazione delle disposizioni della legge finanziaria 2008. Già la circolare n. 2/2008 precisava, infatti, che anche sulla base della previgente formulazione del comma 55 restava comunque ferma la possibilità per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi di collaborazione per le competenze e le attività specificamente previste da norme di legge, nel rispetto di tutte le altre disposizioni in materia, compresa la necessità della verifica tecnica sulla mancanza della professionalità interna necessaria[332]. Tale interpretazione deriva - secondo la circolare - da una lettura sistematica della disposizione della passata legge finanziaria e delle previsioni generali contenuta nell'art. 7, co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, le quali richiedono che l'oggetto dell'incarico deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame, oltre ad alcune modifiche di carattere formale rispetto al precedente testo del comma 56 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2008, rimette al bilancio preventivo dell’ente locale, anziché ai regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, la definizione della spesa massima annua per gli incarichi di collaborazione.

 

La ratio dell’innovazione sembra essere quella di affidare l’individuazione del limite massimo di spesa per le attività di collaborazione ad uno strumento di carattere annuale, e quindi maggiormente flessibile rispetto ad atti di organizzazione tendenzialmente stabili, quali i regolamenti previsti dall’art. 89 del T.U.E.L.

In questa ottica la circolare n. 2/2008 precisava che per l'individuazione del limite di spesa vi era l’esigenza di assumere a riferimento la spesa registrata in un anno base, ad esempio stabilendo un tetto ricavabile dall'attuazione dei principi in materia di riduzione della spesa per il personale, oppure stabilendo una percentuale in riferimento alla spesa per servizi e per collaborazioni sostenuta in un dato periodo annuale, in modo da porre limiti certi a regime alla discrezionalità dell'ente di ricorrere alle collaborazioni ed evitare futuri incrementi delle relative spese.


 

Articolo 46-bis
(Revisione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali)

 


1. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni e di pervenire a riduzioni di spesa, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è disposta una razionalizzazione e progressiva riduzione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali. Le somme rivenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al primo ed al secondo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale. Le somme versate ai sensi del secondo periodo sono riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i Ministri dell’interno e dell’economia e delle finanze, le risorse del fondo sono destinate al finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni indicate nell’articolo 67, comma 5, ovvero delle amministrazioni interessate dall’applicazione dell’articolo 67, comma 2.


 

 

L’articolo 46-bis, al fine di valorizzare le professionalità del personale delle amministrazioni pubbliche e conseguire riduzioni di spesa, affida ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, il compito di provvedere ad una razionalizzazione e progressiva riduzione dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali.

Le risorse derivanti dalle riduzioni di spesa in questione devono essere versate annualmente dalle amministrazioni con autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato per essere poi riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente.

Le risorse di tale fondo sono poi destinate, con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i Ministri dell’interno e dell’economia e delle finanze, al finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni interessate dalla riduzione dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa ai sensi dell’articolo 67 (amministrazioni dello Stato, agenzie, enti pubblici non economici, enti di ricerca, università).

Le disposizioni in esame non si applicano agli enti territoriali e agli enti di competenza regionale del SSN.

 

La relazione tecnica integrativa[333] precisa che per il 2008 non si prevedono risparmi tenuto conto che la disposizione in esame non è immediatamente operativa rinviando ad un decreto l’attuazione dell’intervento, mentre per gli anni successivi si possono solo ipotizzare risparmi che però dipenderanno in concreto dalle previsioni dell’emanando decreto. Peraltro gli eventuali risparmi derivanti dall’intervento confluiranno in un apposito fondo di parte corrente per poi essere destinate al finanziamento della contrattazione integrativa.


 

Articolo 47
(Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi)

 

1. Dopo il comma 16 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 è aggiunto il seguente: «16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, può disporre verifiche del rispetto della disciplina delle incompatibilità di cui al presente articolo e di cui all'articolo 1, comma 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale scopo quest'ultimo stipula apposite convenzioni coi servizi ispettivi delle diverse amministrazioni, avvalendosi, altresì, della Guardia di Finanza e collabora con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine dell'accertamento della violazione di cui al comma 9.».

 

 

L’articolo 47, che non è stato oggetto di modifiche nel corso dell’esame parlamentare, reca una novella all’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001[334], introducendo misure volte a rafforzare i controlli sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità e di limiti al cumulo degli incarichi per i pubblici dipendenti.

In particolare, si attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica il compito di disporre – per il tramite dell’Ispettorato della funzione pubblica – verifiche in ordine al rispetto alla disciplina delle incompatibilità prevista in via generale dal medesimo art. 53 e, con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento, dall’art. 1, co. 56 e segg., della L. 662/1996 (c.d. “collegato alla finanziaria 1997”)[335].

 

L’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, che riprende con talune modifiche il contenuto dell’art. 58 del D.Lgs. 29/1993[336], contiene la disciplina di carattere generale in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Regimi speciali sono peraltro previsti per determinate categorie di dipendenti pubblici richiamate dalla disposizione (personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, personale docente dei conservatori, personale degli enti lirici e personale del servizio sanitario nazionale) .

Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente, che trova una sua traduzione normativa nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato[337], richiamato espressamente dal comma 1 dell’articolo 53.

In base a tale disposizione i dipendenti pubblici non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. In base al successivo articolo 61 il divieto di non si applica nei casi di società cooperative e agli impieghi come perito o arbitro, purché vi sia una previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato.

Il divieto è sostanzialmente ribadito dall’art. 1, co. 60, della L. 662/1996, il quale prevede, al di fuori dei casi di rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50%, un divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa.

Una deroga di carattere generale al principio è peraltro contenuta nell’art. 23-bis dello stesso D.Lgs. 165[338], che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

La violazione delle norme in materia di incompatibilità è sanzionata dall’articolo 1, co. 61, della L. 662/1996 costituisce giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituisce causa di decadenza dall'impiego per il restante personale, purché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro.

Si ritiene pertanto superato il sistema previsto dall’art. 63 del T.U. del 1957 che prevedeva una diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità.

L’articolo 53, commi 2-16, del D.Lgs. 165/2001 reca poi una articolata disciplina del cumulo di impieghi ed incarichi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, incentrata sul principio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico[339] da parte dell’amministrazione di competenza, che deve decidere sulla base di criteri oggettivi e predeterminati che garantiscano in particolare l’assenza di casi di incompatibilità.

Si prevedono inoltre (art. 53, co. 7-9) specifiche sanzioni per l’inosservanza della richiesta di autorizzazione all’incarico. In particolare:

-        il conferimento da parte di un’altra pubblica amministrazione costituisce una infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento e causa di nullità del provvedimento. L'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;

-        per gli enti pubblici economici e i soggetti privati il conferimento, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, determina l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al dipendente pubblico. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza;

-        per quanto riguarda il dipendente, l’inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, comporta che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

 

Sono inoltre previsti (art. 53, co. 11-16) meccanismi volti a garantire la visibilità e la trasparenza degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici attraverso la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della c.d. anagrafe degli incarichi, già istituita dall'art. 24 della legge n. 412/1991[340].

 

Il comma 56 dell'articolo 1 della L. 662/1996, ha stabilito, allo scopo di incoraggiare il part-time nelle pubbliche amministrazioni, che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del D.Lgs 2 9/1993 (ora art. 53 del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165) non si applichino ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Il comma 57 della stessa L. 662 ha inoltre previsto che il rapporto di lavoro part-time può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Su tale disciplina è intervenuto, a conferma, il D.L. 79/97[341] che, aggiungendo il comma 56-bis all'articolo 1 della citata legge 662/1996, ha previsto l’abrogazione delle disposizioni che vietano l'iscrizione ad albi e l'esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56, lasciando ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per l'iscrizione ad albi professionali e per l'esercizio delle relative attività. Come norma di garanzia, si è previsto il divieto per le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi professionali ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale. E’ altresì previsto per i dipendenti, il divieto di assunzione del patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione. Successivamente, peraltro, la L. 339/2003[342] ha previsto l’inapplicabilità della disciplina in esame all’iscrizione all’albo degli avvocati.

 

Per quanto riguarda l’Ispettorato per la funzione pubblica, si ricorda che l’articolo 60, comma 6, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attribuisce a questa struttura funzioni ispettive di vigilanza sulla organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sull’utilizzazione delle risorse umane, sulla conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, sull’efficacia dell’attività amministrativa, con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, nonché sull’osservanza delle disposizioni in materia di controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati e sulla verifica dei carichi di lavoro.

Nelle sue attività di verifica l’Ispettorato può avvalersi della collaborazione del Ispettorato generale di finanza della Ragioneria generale dello Stato, nonché degli uffici territoriali di Governo e della Guardia di finanza.

L'Ispettorato si articola in due servizi, competenti rispettivamente per la programmazione e l'analisi dell'attività ispettiva e per l'attività di vigilanza sulle pubbliche amministrazioni[343].

Con specifico riferimento alle verifiche sulle incompatibilità e sul cumulo di impieghi, che sono svolte anche d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, il comma 6 dell’art. 60 prevede che l'ispettorato possa avvalersi dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'articolo 53.

In via generale la legge prevede, inoltre, che l'ispettorato possa richiedere chiarimenti e riscontri alle pubbliche amministrazioni a fronte a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni stesse. L'amministrazione interessata ha l'obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro 15 giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall'ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell'individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all'articolo 55, per l'amministrazione medesima.

Gli ispettori, che nell'esercizio delle loro funzioni hanno piena autonomia funzionale, hanno inoltre l'obbligo di denunciare alla procura generale della Corte dei conti le irregolarità eventualmente riscontrate nella loro attività di verifica.

 

Con riferimento ai profili operativi della attività di controllo sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità[344], l’articolo in esame prevede che l’Ispettorato per la funzione pubblica possa stipulare convenzioni con i servizi ispettivi delle amministrazioni interessate e possa avvalersi altresì della Guardia di finanza. L’Ispettorato collabora inoltre con il Ministero dell’economia e delle finanze ai fini dell’accertamento della violazione da parte di enti pubblici economici e soggetti privati del divieto di conferimento di incarichi retribuiti ad un dipendente pubblico in assenza dell’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza (per la ricostruzione di tale fattispecie v. supra).

 

Al riguardo si segnala che, con riferimento ai controlli sull’attuazione dell’art. 1, co. 56 e segg., della L. 662/1996, sono già in vigore disposizioni analoghe a quella introdotta dalla novella in esame. In particolare, il co. 62 dell’art. 1 della L. 662/1996 prevede che il Dipartimento della funzione pubblica può effettuare verifiche a campione dell'osservanza delle disposizioni di cui all’art. 1, co. 56-65 della L. 662/1996, avvalendosi, d'intesa con le amministrazioni interessate, dei servizi ispettivi di tali amministrazioni, nonché, d'intesa con il Ministero delle finanze ed anche ai fini dell'accertamento delle violazioni tributarie, della Guardia di finanza.

Per quanto riguarda i controlli su quanto previsto dalla L. 662/1996, l’innovazione rispetto a tale disposizione, che non è oggetto di abrogazione espressa, sembra essere costituito dalla previsione della stipula di convenzioni con i servizi ispettivi, in luogo della facoltà di avvalersi di detti servizi, di intesa con le amministrazioni interessate.

Con riferimento ai servizi ispettivi delle pubbliche amministrazioni, si ricorda che per lungo tempo è mancata una disciplina di carattere generale in materia e che servizi ispettivi (o ispettorati) erano costituiti all’interno delle amministrazioni statali, in particolare nei Ministeri, sulla base di disposizioni di carattere speciale[345]. E’ successivamente intervenuto l’art. 1, co. 62, della L. 662/1996, il quale – nell’affidare ai servizi ispettivi il compito di effettuare verifiche a campione sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni, finalizzate all'accertamento dell'osservanza delle disposizioni in materia di incompatibilità – imponeva alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di costituire tali servizi entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge.

L’art. 2 della L. 286/1999[346], ridisegnando i confini del sistema dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni, ha poi previsto che i servizi ispettivi concorrano ai controlli di regolarità amministrativa e contabile unitamente agli organi di revisione, agli uffici di ragioneria e, nell'ambito delle competenze stabilite dalla legislazione vigente, ai servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato e a quelli con competenze di carattere generale.

 


 

Articolo 48
(Risparmio energetico)

 

1. Le pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera z), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 sono tenute ad approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi nonché di energia elettrica mediante le convenzioni Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati dalla Consip.

2. Le altre pubbliche amministrazioni adottano misure di contenimento delle spese di cui al comma 1 in modo da ottenere risparmi equivalenti.

 

 

L’articolo 48 obbliga le pubbliche amministrazioni statali – indicate dall’articolo 1, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) quali destinatarie delle disciplina in esso recata – ad approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi, nonché di energia elettrica, mediante le convenzioni Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati da Consip.

 

L’articolo 1, comma 1, lettera z) del Codice dell’amministrazione digitale indica le seguenti pubbliche amministrazioni centrali: le amministrazioni dello Stato compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al Decreto legislativo di riforma dell’organizzazione del Governo, D.Lgs. n. 300/1999.

 

Il comma 2 stabilisce che le altre pubbliche amministrazioni adottano misure di contenimento delle spese relative all’approvvigionamento energetico, di cui al comma1, in modo da ottenere risparmi equivalenti.

 

In proposito si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (l. n. 296/2006, articolo 1, comma 449) interviene sulla disciplina degli acquisti di beni e servizi tramite convenzioni Consip, nel modo così sintetizzabile:

§      per le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze l’individuazione, entro il mese di gennaio di ogni anno, delle tipologie di beni e servizi per le quali le suddette amministrazioni sono obbligate ad approvvigionarsiutilizzando le convenzioni – quadro stipulate dalla Consip s.p.a.

Le tipologie di beni e servizi per le quali vi è l’obbligo di aderire alle convenzioni Consip sono state individuate dal D.M. 23 gennaio 2008.

Tale D.M. indica l’energia elettrica e il combustibile da riscaldamento tra i beni e i servizi per cui per le amministrazioni statali vige l’obbligo di utilizzare le convenzioni Consip[347].

Per completezza espositiva, si rammenta come, sempre secondo l’articolo 1, comma 449 citato, le restanti amministrazioni pubbliche, tra cui rientrano gli enti territoriali, possono ricorrere alle convenzioni Consip e a quelle stipulate dalle centrali regionali di acquisto, ovvero hanno l’obbligo di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipula dei contratti[348].

 


 

Articolo 49
(Lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni)

 


1. L'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 è sostituito dal seguente:

«36. (Utilizzo di contratti di lavoro flessibile). - 1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.

2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

3. Al fine di evitare abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell'arco dell'ultimo quinquennio.

4. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.».


 

 

L’articolo 49 reca significative e incisive modifiche alle disposizioni di cui all’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001, concernente l’utilizzo di contratti di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni.

 

Il richiamato articolo 36, come di recente significativamente modificato dall’articolo 3, comma 79, della L. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), disponeva (comma 1) che le pubbliche amministrazioni effettuassero assunzioni di personale utilizzando esclusivamente il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e potevano avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dalla disciplina privatistica al solo scopo di fronteggiare esigenze stagionali o per periodi non superiori a 3 mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità attuate dalle autonomie territoriali.

Inoltre, non si ammetteva in nessun caso il rinnovo del contratto o l’utilizzo dello stesso lavoratore con altra tipologia contrattuale (comma 2) e si prevedeva che per fronteggiare esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni ricorressero all’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo massimo di 6 mesi, non rinnovabili (comma 3).

Veniva precisato che le disposizioni in precedenza richiamate non erano derogabili dalla contrattazione collettiva (comma 4).

Il comma 5 prevedeva per le amministrazioni pubbliche un obbligo di comunicazione, alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento della funzione pubblica) e al Ministero dell’economia (Ragioneria Generale dello Stato), delle convenzioni concernenti l’utilizzazione di lavoratori socialmente utili.

Al comma 6, confermandosi la disposizione secondo cui eventuali violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non possono comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (mentre il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro eseguita in violazione di disposizioni imperative e le amministrazioni avranno l’obbligo di rivalersi sui dirigenti responsabili in caso di dolo o colpa grave), era stata introdotta ex novo la previsione del divieto di assunzione per le amministrazioni che violano la disciplina relativa all’utilizzo delle forme di lavoro flessibile di cui all’articolo 36 per il triennio successivo alla violazione stessa.

Al comma 7 veniva precisato che la disciplina di cui all’articolo in esame non si applicava agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali ad alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni, ivi inclusi gli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

Il comma 8, ai fini dell’attuazione di programmi di tutela e valorizzazione delle aree marine protette di cui alla L. 979/1982 e alla L. 394/1991, autorizzava il parco nazionale dell’arcipelago de La Maddalena ad assumere, in deroga alla normativa vigente, personale con contratto di lavoro a termine, della durata massima di 2 anni eventualmente rinnovabili, per un contingente complessivo sarebbe stato stabilito con successiva disposizione legislativa e la cui ripartizione tra gli enti interessati sarebbe stata definita con apposito decreto.

I commi da 9 a 11 disponevano, per gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno con organico inferiore a 15 unità, per gli enti del Servizio sanitario nazionale e per gli enti di ricerca e le università, la possibilità di utilizzare forme contrattuali flessibili, oltre che per le finalità su indicate, anche in relazione ad ulteriori esigenze specificamente e tassativamente indicate e diverse a seconda degli enti interessati.

In particolare, il comma 9 prevedeva che gli locali non sottoposti al patto di stabilità interno e con una dotazione organica inferiore o pari alle quindici unità potevano avvalersi di contratti flessibili, oltre che per le finalità di cui al comma 1, anche per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, a condizione che nel contratto di lavoro a termine fosse indicato il lavoratore sostituito e la causa della sostituzione.

Il comma 10 stabiliva che gli enti del Servizio sanitario nazionale, con riferimento alle figure infungibili del personale medico, al personale infermieristico e al personale di supporto alle attività infermieristiche, potevano ricorrere a forme di lavoro flessibile anche per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio, nei limiti dei casi in cui ricorressero urgenti e indifferibili esigenze legate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Veniva peraltro precisato che tali assunzioni dovevano essere compatibili con i vincoli previsti dall’art. 1, comma 565, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), in materia di contenimento della spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale.

Il comma 11, in primo luogo, disponeva la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di avvalersi di contratti di lavoro flessibile ai fini dello svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell’Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate (primo periodo).

Si prevedeva, inoltre, che le università e gli enti di ricerca potessero ricorrere a forme contrattuali flessibili per svolgere progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultassero a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo ordinario di finanziamento delle università (secondo periodo).

Il medesimo comma disponeva altresì che gli enti del Servizio sanitario nazionale potevano ricorrere a forme contrattuali flessibili per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati in base alle modalità di cui all’art. 1, comma 565, lettera b), secondo periodo della legge finanziaria 2007, cioè con fondi comunitari o privati (terzo periodo).

Veniva infine precisato che la stipula di contratti di lavoro flessibile per finalità diverse da quelle indicate dal comma in esame comportava la responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto (quarto periodo), nonché la nullità del provvedimento con cui si era stabilito di stipulare il contratto flessibile (quinto periodo) .

 

Rispetto al testo previgente, il nuovo testo dell’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001, nel ribadire che le assunzioni presso le pubbliche amministrazioni avvengono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35 dello stesso D.Lgs. 165/2001 (comma 1), prevede:

§      la possibilità, per le amministrazioni pubbliche, in caso di esigenze temporanee ed eccezionali, di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti (comma 2). Lo stesso comma demanda altresì, ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalla vigenti disposizioni di legge, ai contratti collettivi nazionali la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, di contratti di formazione e lavoro, di altri rapporti formativi e di somministrazione di lavoro (alla quale comunque non è possibile ricorrere per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali), in applicazione di quanto previsto dai provvedimenti legislativi riguardanti tali materie, con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile;

§      l’obbligo, da parte delle amministrazioni pubbliche, di rispettare, nell’ambito delle rispettive procedure selettive, i principi di imparzialità e trasparenza, al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile. Inoltre - rendendo meno stringenti i precedenti limiti temporali relativi alla possibilità di utilizzazione del lavoro flessibile - si prevede che le richiamate amministrazioni non possano ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori ai tre anni nell’arco dell’ultimo quinquennio (comma 3);

§      infine, confermando la disposizione secondo cui eventuali violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non possono comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (mentre il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro eseguita in violazione di disposizioni imperative e le amministrazioni avranno l’obbligo di rivalersi sui dirigenti responsabili in caso di dolo o colpa grave), il nuovo testo dell’articolo 36 (comma 5) sopprime la previsione del divieto di assunzione, per le amministrazioni che violano la disciplina relativa all’utilizzo delle forme di lavoro flessibile di cui all’articolo 36, per il triennio successivo alla violazione stessa. Viene invece introdotta una ulteriore previsione – per lo più di natura ricognitoria rispetto alla normativa previgente - relativa alla responsabilità dei dirigenti che operino in violazione delle disposizioni dell’articolo in esame, da considerare responsabili anche ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 165/2001 (relativo alla responsabilità dirigenziale per mancato raggiungimento degli obiettivi o per inosservanza delle direttive). Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 286/1999[349], concernente la valutazione del personale con incarico dirigenziale.

Tale articolo dispone che le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, hanno l’obbligo di valutare, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative). In particolare, nella valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti, che ha cadenza annuale, si deve tenere conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione.

 

Restano invece confermate le disposizioni inerenti alla trasmissione delle convenzioni concernenti l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili (comma 4).

 

Rispetto al testo previgente, in conseguenza della sostanziale e significativa modifica della disciplina per quanto riguarda la possibilità di avvalersi di forme di lavoro flessibile, sono state soppresse alcune disposizioni che prevedevano l’utilizzo del lavoro flessibile in deroga alla disciplina generale, concernenti, rispettivamente:

§      la non applicazione delle disposizioni sull’impiego di forme contrattuali flessibili agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali ad alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni(comma 7 del testo previgente);

§      l’autorizzazione ad assumere personale con contratto di lavoro a termine, in deroga alla normativa vigente, per l’ente parco nazionale dell’arcipelago de La Maddalena (comma 8 del testo previgente);

§      deroghe alla possibilità di utilizzare forme contrattuali flessibili per specifici enti anche in relazione ad ulteriori esigenze specificamente e tassativamente indicate e diverse a seconda degli enti interessati (commi 9-11 del testo previgente).

 

Secondo la relazione tecnica allegata, le disposizioni dell’articolo in esame, intese sostanzialmente a garantire una maggiore funzionalità delle amministrazioni pubbliche ripristinando la formulazione dell’art. 36 D.Lgs. 165/2001 precedente alle modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2008, comportano un maggiore onere di 10 milioni di euro lordi annui.

“Ciò in quanto”, prosegue la relazione tecnica, “in relazione alla precedente formulazione introdotta con l’articolo 92 del d.d.l. finanziaria per l’anno 2008 (AS n. 1817) era stato stimato un risparmio aggiuntivo di 10 milioni di euro annui”. La stessa relazione, infine, afferma che, tenendo conto dei tempi di entrata in vigore del provvedimento, l’onere per il 2008 possa stimarsi in 5 milioni di euro.

Pertanto, si stimano i seguenti oneri lordi annui:

(milioni di euro)

§           2008

§           2009

§           2010

§           5

§           10

§           10

 

 


 

Articolo 50
(Cancellazione della causa dal ruolo)

 

1. Il primo comma dell'articolo 181 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un'udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo.».

 

 

L’articolo 50, che non è stato modificato in sede di conversione, novella l’art. 181, primo comma, c.p.c. relativo agli effetti della mancata comparizione delle parti all’udienza.

 

L’art. 181 c.p.c., prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, disponeva che, in caso di mancata comparsa delle parti alla prima udienza, il giudice fosse obbligato a fissare una nuova udienza, di cui il cancelliere avrebbe dato comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti fosse comparsa alla nuova udienza, il giudice, con ordinanza non impugnabile, avrebbe disposto la cancellazione della causa dal ruolo.

Inoltre, ai sensi dell'art. 307 (Estinzione del processo per inattività delle parti), primo comma, c.p.c., nelle ipotesi previste dalla legge (tra cui quella di cui all’art. 181), una volta che il giudice abbia cancellato la causa dal ruolo, il processo deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di un anno dalla data del provvedimento di cancellazione, altrimenti il processo si estingue.

 

L'articolo in esame introduce due novità:

§      stabilisce che alla mancata comparizione alla nuova udienza consegua l’obbligo del giudice non solo di ordinare la cancellazione della causa dal ruolo, ma anche di dichiarare l’estinzione del processo (senza possibilità di riassunzione);

§      conseguentemente, elimina il riferimento alla non impugnabilità dell'ordinanza con la quale il giudice disponeva la cancellazione della causa dal ruolo.

 

Si ricorda, infatti, che al provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ex art. 181, primo comma, c.p.c. era riconosciuta natura meramente ordinatoria, in quanto la parte aveva la facoltà di chiedere la riassunzione del procedimento, sicché, essendo privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, non era impugnabile con ricorso per cassazione (Cass. civ., 20 febbraio 2004, n. 3388).

 

In sintesi, in caso di mancata comparizione sia dell’attore sia del convenuto alla seconda udienza, che già costituiva autonoma causa di cancellazione della causa dal ruolo, risulta ora esclusa la possibilità di riassunzione.

Va rilevato, tra l’altro, che, ai sensi dell'art. 309 c.p.c., l'art. 181, primo comma, c.p.c. trova applicazione anche nel caso in cui la mancata comparizione delle parti si verifichi successivamente nel corso del processo.

Le nuove disposizioni si applicano ai giudizi istaurati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge in esame (in virtù di quanto disposto dall’art. 56 del decreto stesso, v. infra).


 

Articolo 51
(Comunicazioni e notificazioni per via telematica)

 


1. A decorrere dalla data fissata con uno o più decreti del Ministro della giustizia, le notificazioni e comunicazioni di cui al primo comma dell'articolo 170 del codice di procedura civile, la notificazione di cui al primo comma dell'articolo 192 del codice di procedura civile e ogni altra comunicazione al consulente sono effettuate per via telematica all'indirizzo elettronico comunicato ai sensi dell'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, relativa al processo telematico, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

2. Il Ministro della giustizia adotta il decreto di cui al comma 1 sentiti l'Avvocatura Generale dello Stato, il Consiglio Nazionale Forense e i Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, previa verifica della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici degli uffici giudiziari, individuando i circondari di tribunale nei quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1.

3. A decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alla parte costituita e al consulente che non hanno comunicato l'indirizzo elettronico di cui al medesimo comma, sono fatte presso la cancelleria.

4. A decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni e le comunicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, si effettuano ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile.

5. All'articolo 16 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il primo comma è aggiunto il seguente:

«Nell'albo è indicato l'indirizzo elettronico attribuito a ciascun professionista dal punto di accesso ai sensi dell'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123»;

b) il quarto comma è sostituito dal seguente: «A decorrere dalla data fissata dal Ministro della giustizia con decreto emesso sentiti i Consigli dell'Ordine, gli albi riveduti debbono essere comunicati per via telematica, a cura del Consiglio, al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile».


 

 

L’articolo 51 dispone che, nell’ambito del processo civile, le notificazioni e le comunicazioni debbano essere effettuate per via telematica all’indirizzo e-mail fornito da difensori e consulenti.

In particolare, il comma 1 prevede che il Ministro della giustizia adotti uno o più decreti ministeriali con i quali determinare la data a decorrere dalla quale le seguenti notificazioni e comunicazioni dovranno essere effettuate per via telematica a un indirizzo elettronico (e-mail):

§      notificazioni e comunicazioni, dopo la costituzione in giudizio, al procuratore costituito (art. 170, primo comma, c.p.c.);

§      notificazione dell’ordinanza di nomina del consulente tecnico, con invito a comparire all’udienza fissata (art. 192, primo comma, c.p.c.);

§      ogni ulteriore comunicazione al consulente.

L’indirizzo elettronico cui si fa riferimento è quello comunicato dal difensore al Consiglio dell'ordine e dal consulente al proprio ordine professionale o all'albo dei consulenti presso il tribunale.

 

Il comma 1 richiama, infatti, l’art. 7 del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti), il quale precisa che tali indirizzi elettronici devono essere "comunicati tempestivamente dagli ordini professionali al Ministero della giustizia".

 

La disposizione stabilisce che le notificazioni e comunicazioni devono essere effettuate per via telematica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, relativa al processo telematico, soprattutto per quanto riguarda la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti.

 

Come affermato nel Piano triennale per l'informatica 2004/2006 della giustizia, per processo civile telematico si intende la gestione “integrale” e “integrata” della documentazione e delle comunicazioni prodotte nell'ambito di un qualsiasi procedimento di contenzioso civile in forma digitale e telematica. Concretamente questo comporta, una volta che il sistema sarà a regime, le seguenti attività:

-        gestire tutte le informazioni connesse a un procedimento civile prioritariamente in forma digitale (dall'atto di citazione alla sentenza);

-        gestire tutte le comunicazioni e gli scambi informativi tra i diversi “attori” coinvolti in un procedimento civile (giudici, avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari, commercialisti, notai, ecc.) in forma telematica;

-        semplificare le attività di ogni attore coinvolto nei procedimenti civili favorendo la diffusione delle informazioni e la loro fruizione, eliminando la ridondanza delle operazioni, riducendo le attività a basso valore aggiunto connesse alla continua manipolazione delle carte;

-        dare trasparenza e dimensione temporale certa agli atti e al procedimento.

Il progetto per la realizzazione del processo civile telematico consiste nella realizzazione di un insieme di applicazioni informatiche e infrastrutture tecnologiche che renda accessibile via web il sistema informatico civile sia per il deposito di atti sia per l’attività di consultazione dello stato delle cause e del fascicolo elettronico; inoltre è prevista anche la trasmissione per via telematica di comunicazioni, notifiche e copie di atti dagli uffici giudiziari ai soggetti coinvolti.

Il progetto prevede una prima fase di sperimentazione che coinvolge attualmente le seguenti sedi pilota: Tribunale di Bari; Tribunale di Bergamo; Tribunale di Bologna; Tribunale di Catania; Tribunale di Genova; Tribunale di Lamezia Terme; Tribunale di Padova. Presso ciascuna sede pilota è costituito un laboratorio di sperimentazione composto da avvocati, magistrati, cancellieri ed esperti informatici.

Per quanto riguarda i riferimenti normativi, occorre segnalare, oltre al già citato D.P.R. 123/2001, il D.M. 14 ottobre 2004, recante Regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, che individua, in particolare, le modalità per la gestione della posta elettronica.

 

Il comma 2 prevede che il Ministro della giustizia adotti i suddetti decreti dopo aver sentito l’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense e i Consigli dell’ordine degli avvocati interessati, individuando i circondari di tribunale ai quali si applica quanto disposto dal comma 1. L’individuazione di tali circondari dovrà essere effettuata tenuto conto della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici degli uffici giudiziari.

 

Il comma 3 precisa che le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento ai difensori e consulenti che non abbiano comunicato l’indirizzo elettronico saranno effettuate in cancelleria.

 

Il comma 4 estende l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 al rito societario. Esso, infatti, stabilisce che, a decorrere dalla data fissata con il citato decreto del Ministro della giustizia, le notificazioni e le comunicazioni previste dall’art. 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5[350] notificazioni e comunicazioni alle parti costituite nel corso dei suddetti procedimenti siano effettuate ai sensi dell’art. 170 c.p.c.

 

Attualmente, ai sensi del suddetto art. 17, tutte le notificazioni e comunicazioni alle parti costituite possono essere fatte, oltre che a norma degli artt. 136 e ss. c.p.c., via fax, via posta elettronica o con scambio diretto tra difensori, attestato da sottoscrizione per ricevuta sull'originale, apposta anche da parte di collaboratore o addetto allo studio del difensore.

 

Il comma 5 novella l’art. 16 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, che disciplina la professione di avvocato[351].

In particolare, si prevede che nell’albo degli avvocati debba essere indicato, per ogni professionista, il relativo indirizzo di posta elettronica.

Inoltre, si dispone che, a decorrere dalla data fissata da un apposito decreto del Ministro della giustizia, gli albi – rivisti e integrati con l’informazione di cui sopra – debbano essere comunicati al medesimo Ministero per via telematica.

 


 

Articolo 52
(Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia)

 


1. Alla parte VII, titolo II, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo l’articolo 227, è aggiunto il seguente capo:

«Capo VI-bis

Riscossione mediante ruolo

Articolo 227-bis (L) (Quantificazione dell'importo dovuto). - 1. Per la quantificazione dell'importo si applica la disposizione di cui all'articolo 211.

Articolo 227-ter (L) (Riscossione a mezzo ruolo). 1. Entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l'obbligo, l'ufficio procede all'iscrizione a ruolo.

2. L'agente della riscossione notifica al debitore una comunicazione con l'intimazione a pagare l'importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l'intimazione ad adempiere entro il termine di giorni venti successivi alla scadenza del termine di cui alla comunicazione con l'avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata.

3. Se il ruolo è ripartito in più rate, l'intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate.».


 

 

L’articolo 52 novella il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante il Testo unico in materia di spese di giustizia[352] (di seguito, il "Testo unico"), per introdurvi due nuove disposizioni volte a disciplinare, nell’ambito della riscossione delle spese di giustizia, le fasi della quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis) e della riscossione a mezzo ruolo (art. 227-ter).

 

Si ricorda che il Testo unico disciplina la riscossione delle spese maturate nel processo penale (art. 200)[353], nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario (art. 201)[354], nonché le modalità di recupero delle somme dovute (art. 202), in base alle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, per sanzioni pecuniarie, condanna alla perdita della cauzione e dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili.

Per quanto riguarda la procedura per la riscossione, l’art. 212 del Testo unico prevede che entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo o - per le spese di mantenimento - dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto, inizia la procedura di recupero del credito vantato dall'erario. Quantificato il credito (art. 211), l'ufficio competente notifica l'invito al pagamento dell'importo dovuto. Entro un mese dalla notifica, l'interessato deve effettuare il pagamento al concessionario, all’ufficio postale o allo sportello bancario ed, entro 10 giorni dal pagamento, depositare copia della ricevuta all'ufficio riscossione.

Se, trascorsi un mese e 10 giorni dalla notifica, il pagamento non è avvenuto, l'ufficio riscossione iscrive a ruolo il credito (art. 213), aprendo così la riscossione esattoriale. Il concessionario notifica la cartella esattoriale, che contiene l'intimazione ad adempiere entro 60 giorni dalla notifica, e l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. In caso di inadempimento, il concessionario provvede direttamente al pignoramento mobiliare o immobiliare, a mezzo degli ufficiali della riscossione[355].

Su questa disciplina, tuttora vigente, è intervenuta la legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244), la quale, all’art. 1, commi 367-373, ha previsto che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge il Ministero della giustizia provvedesse alla stipula di una o più convenzioni con una società interamente posseduta da Equitalia spa (ex Riscossione s.p.a.) per la gestione e la riscossione dei crediti derivanti da spese di giustizia previste dal Testo unico[356].

Con riferimento alle spese ed alle pene pecuniarie previste dal Testo unico, risultanti dai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi a decorrere dal 1° gennaio 2008, la citata Società stipulante dovrà provvedere alla gestione dei relativi crediti attraverso:

-        l'acquisizione dei dati anagrafici del debitore e il supporto all'attività di quantificazione del credito effettuata dall'ufficio competente;

-        la notifica al debitore di un invito al pagamento entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l'obbligo o dalla cessazione dell'espiazione della pena;

-        l'iscrizione a ruolo del credito, scaduto inutilmente il termine per l’adempimento spontaneo.

Il comma 372 dispone, dalla data di stipula della convenzione di cui al comma 367, l'abrogazione degli artt. 211, 212 e 213 del Testo unico relativi all’iscrizione a ruolo del credito. Tale abrogazione è connessa alle nuove competenze previste in capo alla Società stipulante la convenzione con il Ministero della Giustizia.

Si evidenzia che, ad oggi, le convenzioni non sono state stipulate e che pertanto gli artt. 211, 212 e 213 devono ritenersi in vigore.

 

In questo contesto normativo, il decreto-legge in esame inserisce nel testo unico un nuovo capo (Capo VI-bisRiscossione mediante ruolo) recante due nuovi articoli (artt. 227-bis e 227-ter).

Tale nuovo capo, peraltro, chiude il Titolo II del testo unico, che già contempla un Capo II con il medesimo titolo (“Riscossione mediante ruolo”).

Il nuovo art. 227-bis stabilisce che per la quantificazione dell’importo dovuto si applica la disposizione dell’art. 211. Tale disposizione (v. supra) prevede che il funzionario quantifichi l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri e delle norme che individuano la somma da recuperare e prenda atto degli importi stabiliti nei provvedimenti giurisdizionali per le pene pecuniarie, per le sanzioni amministrative pecuniarie e per le sanzioni pecuniarie processuali, specificando le varie voci dell’importo complessivo.

Il nuovo art. 227-ter disciplina la riscossione a mezzo ruolo, che tuttavia è attualmente già disciplinata dagli artt. 213-216 del Testo unico.

La disposizione elimina la fase del c.d. adempimento spontaneo per prevedere che, dopo la quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis), si procede entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo all’adempimento coattivo mediante iscrizione a ruolo (comma 1). L’agente della riscossione notifica quindi al debitore una comunicazione con l’intimazione a pagare l’importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l’intimazione ad adempiere entro 20 giorni, con l’avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata (comma 2). La disposizione precisa che se il ruolo è ripartito in più rate, l’intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate (comma 3).

 

Si segnala che sarebbe opportunoassicurareun maggiore coordinamento fra le disposizioni introdotte dal decreto-legge in esame e quelle dettate dal Titolo II della Parte VII del Testo unico. Si rileva, infatti, che ad oggi coesistono, nel medesimo titolo, due capi analogamente rubricati (Capo II e Capo VI-bis) e che l’art. 211 del testo unico, richiamato dall’art. 227-bis, è abrogato (unitamente agli artt. 212 e 213) con effetto dal momento della stipula delle convenzioni previste dalla legge finanziaria per il 2008 (v. supra).

Con riferimento ai profili di coordinamento normativo, si segnala che è all’esame della Camera il disegno di legge A.C. 1441-bis-A[357], che, intervenendo nuovamente sulle spese di giustizia, prevede modalità di riscossione diversificate a seconda che le suddette spese siano maturate in processi amministrativi, contabili e tributari ovvero in giudizi civili e penali (art. 63, comma 5).

Il disegno di legge diversifica i procedimenti, applicando l’attuale normativa (artt. 211-227 del Testo unico) ai giudizi amministrativi, contabili e tributari – contestualmente rinominando la rubrica del Titolo II della Parte VII – e inserisce uno specifico Titolo II-bis per disciplinare le spese che fanno capo al Ministero della giustizia (ovvero spese di mantenimento in carcere, spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni pecuniarie processuali nel processo civile e penale).

 


 

Articolo 53
(Razionalizzazione del processo del lavoro)

 


1. Nel secondo comma dell'articolo 421 del Codice di Procedura Civile le parole «dell'articolo precedente» sono sostituite dalle parole «dell'articolo 420».

2. Il primo comma dell'articolo 429 del Codice di Procedura Civile è sostituito dal seguente: «Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza».


 

 

L’articolo 53, che non è stato modificato dalla legge di conversione, novella gli artt. 421, secondo comma, e 429, primo comma, del codice di procedura civile, relativi, rispettivamente, ai poteri istruttori del giudice e alla pronuncia della sentenza nell’ambito del processo del lavoro.

La modifica del secondo comma dell’art. 421 c.p.c. ha mera finalità di coordinamento normativo.

 

Il secondo comma dell’art. 421 c.p.c. prevede che il giudice può disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti.

Prima dell’entrata in vigore del decreto legge, tale disposizione si chiudeva erroneamente con il rinvio al sesto comma “dell'articolo precedente”.

 

La novella chiarisce la disposizione cui rinvia il citato secondo comma dell’art. 421 è il sesto comma dell’art. 420 e non dell’articolo 420-bis (recentemente introdotto dal decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40[358]).

Conseguentemente, nei casi sopra descritti, il giudice procede con le modalità definite dal citato sesto comma dell’art. 420, ossia, quando non è possibile l’immediata assunzione dei mezzi di prova, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive.

 

Con la modifica del primo comma dell’art. 429 c.p.c. il legislatore interviene sul contenuto della sentenza del processo del lavoro.

 

Il previgente art. 429, primo comma, c.p.c., stabiliva che il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronunciasse sentenza con cui definiva il giudizio dando lettura del dispositivo.

 

Al fine di garantire maggiore trasparenza e tempi certi per la decisione, si è invece previsto che, in sede di pronuncia della sentenza, il giudice debba dare lettura anche dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Viene, inoltre, stabilito un termine massimo di 60 giorni per il deposito della sentenza nei casi di particolare complessità della controversia.

Le nuove disposizioni si applicano ai giudizi istaurati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge in esame (in virtù di quanto disposto dell’art. 56 dello stesso decreto-legge).

 


 

Articolo 54
(Accelerazione del processo amministrativo)

 


1. All'articolo 9, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205, le parole «dieci anni» sono sostituite con le seguenti: «cinque anni».

2. La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata presentata un'istanza ai sensi del secondo comma dell'articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642.

3. Alla legge 27 aprile 1982, n. 186, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, secondo comma, le parole: «: le prime tre con funzioni consultive e le altre con funzioni giurisdizionali» sono sostituite dalle parole: «con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa istituita dall'articolo 17, comma 28, della legge 15 maggio 1997, n. 127»;

b) all'articolo 1, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Il Presidente del Consiglio di Stato, con proprio provvedimento, all'inizio di ogni anno, sentito il Consiglio di Presidenza, individua le sezioni che svolgono funzioni giurisdizionali e consultive, determina le rispettive materie di competenza e la composizione, nonché la composizione della Adunanza Plenaria ai sensi dell'articolo 5, primo comma.»;

c) all'articolo 5, primo comma, le parole da «dal consiglio» sino alla parola: «giurisdizionali.» sono sostituite dalle seguenti parole: «dal Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di Presidenza.»;

d) all'articolo 5, comma secondo, le parole «in modo da assicurare in ogni caso la presenza di quattro consiglieri per ciascuna sezione giurisdizionale» sono soppresse.


 

 

L’articolo 54 contiene disposizioni volte ad incidere sul processo amministrativo con le seguenti finalità:

§      prevedere la perenzione dei ricorsi amministrativi ultraquinquennali (comma 1);

§      subordinare alla presentazione di un’istanza di urgenza la proponibilità della domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo (comma 2);

§      modificare la struttura del Consiglio di Stato, eliminando la previsione che voleva le 6 sezioni del Consiglio ripartite rigidamente in 3 sezioni con funzioni consultive e 3 con funzioni giurisdizionali. Spetta al Presidente del Consiglio di Stato indicare all’inizio di ogni anno quante e quali sezioni svolgeranno funzioni consultive e quante e quali funzioni giurisdizionali, oltre a designare i componenti dell’Adunanza plenaria (comma 3).

 

In particolare, il comma 1 interviene sull’art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (recante Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), relativo alla perenzione dei ricorsi.

 

L’art. 9 della legge 205/2000 (nel testo vigente prima del decreto-legge in esame) prevedeva che, se dopo 10 anni dal deposito il ricorso amministrativo era ancora pendente, la segreteria del giudice amministrativo notificava alla parte ricorrente un avviso con il quale la invitava a presentare entro i successivi 6 mesi una nuova istanza di fissazione dell’udienza, con la firma delle parti. In assenza di tale nuova istanza era dichiarata la perenzione del ricorso[359].

 

Il decreto-legge riduce da 10 a 5 anni il periodo di tempo decorso il quale si attiva la procedura di perenzione del ricorso volta a verificare la persistenza dell’interesse delle parti alla pronuncia del giudice.

 

Il comma 2 subordina la domanda di equa riparazione per il danno derivante dall’eccessiva durata del processo amministrativo (art. 2, comma 1, della legge 89/2001, c.d. legge Pinto) alla presentazione al giudice amministrativo di un’istanza volta a far dichiarare il ricorso urgente (in base all’art. 51 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642[360]).

 

L'art. 51 del R.D. 642/1907 prevede che il segretario, ricevuta la domanda di fissazione dell'udienza per la discussione del ricorso, ne fa annotazione in apposito registro e ne rilascia dichiarazione, se richiesta. Indi presenta la domanda stessa con il ricorso, il contro-ricorso, il ricorso incidentale, le carte e i documenti al Presidente della sezione, il quale nomina il relatore ed assegna il giorno dell'udienza. Nello stesso decreto di fissazione di udienza il Presidente può, ad istanza di parte o d'ufficio, dichiarare il ricorso urgente.

 

Il comma 3 interviene sulla legge 27 aprile 1982, n. 186[361], in tema di ordinamento della giurisdizione amministrativa e del relativo personale, per apportarvi le seguenti modifiche:

§      la lettera a) stabilisce che il Consiglio di Stato si divide in sei sezioni, con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa prevista dalla legge 15 maggio 1997, n. 127[362]. Il decreto elimina la previsione dell’obbligatoria presenza di 3 sezioni con funzioni consultive - modifica che va letta alla luce dell’intervento disposto dalla lettera b) - e aggiunge il richiamo alla sezione normativa;

§      la lettera b) stabilisce che all’inizio di ogni anno il presidente del Consiglio di Stato debba individuare le sezioni che svolgeranno funzioni consultive e quelle che, invece, svolgeranno funzioni giurisdizionali, determinando le rispettive materia di competenza e definendo altresì la composizione dell’Adunanza plenaria (ai sensi dell’art. 5 della legge 186/1992, come novellato dalla lettera c) del comma in esame);

§      la lettera c) stabilisce che spetta al Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di presidenza, individuare i 12 magistrati che comporranno l’Adunanza plenaria (poi presieduta dallo stesso Presidente del Consiglio di Stato). Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in esame la scelta era sempre di competenza del Presidente, che però doveva individuare i 12 consiglieri traendone 4 da ciascuna delle 3 sezioni giurisdizionali;

§      la lettera d) stabilisce che con le medesime modalità, il Presidente debba designare i membri supplenti dell’Adunanza plenaria.


 

Articolo 55
(Accelerazione del contenzioso tributario)

 


1. Relativamente ai soli processi pendenti, su ricorso degli uffici dell'Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione tributaria centrale alla data di entrata in vigore dell'articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per i quali non è stata ancora fissata l'udienza di trattazione alla data di entrata in vigore del presente decreto, i predetti uffici depositano presso la competente segreteria, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita dichiarazione di persistenza del loro interesse alla definizione del giudizio. In assenza di tale dichiarazione i relativi processi si estinguono di diritto e le spese del giudizio restano a carico della parte che le ha sopportate.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto non si fa luogo alla nomina di nuovi giudici della Commissione tributaria centrale e le sezioni della stessa, ove occorrente, sono integrate esclusivamente con i componenti delle commissioni tributarie regionali presso le quali le predette sezioni hanno sede.


 

 

L’articolo 55 reca disposizioni in materia di accelerazione del processo tributario ed organizzazione della Commissione tributaria centrale.

 

In particolare, il comma 1 disciplina uno specifico meccanismo di estinzione automatica dei processi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale.

L’estinzione opera con riguardo ai processi pendenti innanzi alla suddetta Commissione centrale alla data del 1° gennaio 2008 (ovvero la data di entrata in vigore dell’articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) promossi dagli uffici dell’Amministrazione finanziaria, per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza di trattazione al momento dell’entrata in vigore della norma in commento.

 

Si ricorda che la riforma del 1992[363] ha soppresso la Commissione Tributaria Centrale e ne ha disposto la cessazione del funzionamento, tenuto conto dei ricorsi pendenti e, dunque, con prosecuzione della sua attività fino all’esaurimento del contenzioso in corso di definizione.

Da ultimo, nell’ottica di razionalizzazione e riordino degli organi di giustizia tributaria, la legge finanziaria per il 2008 (articolo 1, commi 351-354 legge 24 dicembre 2007 n. 244) ha introdotto disposizioni organizzative della suddetta Commissione centrale.

In particolare, il comma 351 ha – tra l’altro - ridotto a 21 le sezioni della Commissione tributaria centrale a decorrere dal 1° maggio 2008, disponendone l’incardinazione presso ciascuna commissione tributaria regionale avente sede nei capoluoghi regionali, nonché presso le commissioni tributarie di secondo grado di Trento e Bolzano.

 

Al fine di evitare l’estinzione del processo, gli uffici sono tenuti a depositare presso la competente segreteria, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della norma in esame, apposita dichiarazione di persistenza del loro interesse alla definizione del giudizio.

La mancata presentazione della dichiarazione comporta infatti l’estinzione di diritto del processo e la permanenza delle spese di giudizio a carico della parte che le ha sopportate sino al momento dell’estinzione medesima.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame dispone il blocco della nomina di nuovi giudici della Commissione tributaria centrale, con eventuale integrazione delle sezioni tramite i componenti delle commissioni tributarie regionali presso le quali le predette sezioni hanno sede.

 

Si ricorda a tal proposito che tra le disposizioni introdotte dal citato articolo 1, comma 351 della legge finanziaria per il 2008 rientra l’applicazione alle sezioni della Commissione tributaria centrale incardinate presso i capoluoghi regionali e le province autonome, in qualità di componenti, dei presidenti di sezione, dei vice presidenti di sezione e dei componenti delle commissioni tributarie regionali istituite nelle stesse sedi[364].

 

Il Sole 24 Ore[365] ha rilevato che, alla data del 1° febbraio 2008, i ricorsi pendenti presso la Commissione tributaria centrale erano 301.677, a fronte di 20.653 ricorsi definiti dalla Commissione medesima tra il 1° gennaio 2007 ed il 1° febbraio 2008.

 


 

Articolo 56
(Disposizioni transitorie)

 

1. Gli articoli 181 e 429 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto-legge, si applicano ai giudizi instaurati dalla data della sua entrata in vigore.

 

 

L’articolo 56 chiarisce che le disposizioni di cui agli artt. 181 (relativo alla mancata comparizione delle parti) e 429 c.p.c. (relativo alla pronuncia della sentenza), come novellate rispettivamente dagli artt. 50 e 53 del decreto-legge in esame, si applicano esclusivamente ai giudizi instaurati dalla data dell’entrata in vigore del decreto stesso (27 giugno 2008).

 


 

Articolo 57
(Servizi di Cabotaggio)

 


1. Le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all'interno di una Regione sono esercitati dalla Regione interessata. Per le Regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto degli statuti speciali. La gestione dei servizi di cabotaggio è regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni, in quanto applicabili al settore.

2. Le risorse attualmente previste nel bilancio dello Stato per il finanziamento dei contratti di servizio pubblico di cabotaggio marittimo sono altresì destinate alla compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione di tali servizi. Con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è disposta, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente pro tempore, la ripartizione di tali risorse. Al fine di assicurare la congruità e l'efficienza della spesa statale, le Regioni, per accedere al contributo, stipulano i contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

3. Su richiesta delle Regioni interessate, da effettuarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'intera partecipazione detenuta dalla Società Tirrenia di Navigazione S.p.a. nelle società Caremar - Campania Regionale Marittima S.p.a., Saremar - Sardegna Regionale Marittima S.p.a., Toremar - Toscana Regionale Marittima S.p.a., Siremar - Sicilia Regionale Marittima S.p.a. è trasferita, a titolo gratuito, rispettivamente alle Regioni Campania, Sardegna, Toscana, Sicilia. Entro il medesimo termine, la Regione Puglia e la Regione Lazio possono richiedere il trasferimento gratuito, a società da loro interamente partecipate, del complesso dei beni, delle attività e delle risorse umane utilizzate rispettivamente dalla Tirrenia di Navigazione S.p.a. e dalla Caremar S.p.a. per l'esercizio dei collegamenti con le Isole Tremiti e con l'arcipelago Pontino.

4. In deroga agli articoli 10, 17 e 18 del decreto legislativo n. 422 del 1997 e sussistendo comprovate esigenze economiche sociali, ambientali, anche al fine di assicurare il rispetto del principio della continuità territoriale e la domanda di mobilità dei cittadini, le Regioni possono affidare l'esercizio di servizi di cabotaggio a società di capitale da esse interamente partecipate secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario.

5. All'articolo 2, comma 192, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il secondo periodo è soppresso.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 57 dispone che le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una Regione siano esercitati dalla Regione interessata. Per le Regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto degli statuti speciali. La gestione dei servizi di cabotaggio è regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del D.Lgs. 422/1997 in quanto applicabili al settore.

 

La legge 59/1997 esclude dal conferimento a Regioni ed enti locali le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti i trasporti aerei e marittimi e ferroviari di interesse nazionale (articolo 1, comma 3, lett. r-bis).

Il D.Lgs. 422/1997[366] - in attuazione della delega di cui alla legge 59/1997:

-        individua i servizi pubblici di trasporto regionale e locale (articolo 1) e quelli di interesse nazionale (articolo 3)[367]: sono di interesse nazionale tutti i trasporti marittimi con la eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell’ambito di una regione;

-        conferisce alle Regioni e agli enti locali tutti i relativi compiti, compresi quelli concernenti la definizione degli oneri di servizio pubblico e la relativa imposizione nonché la conclusione dei contratti di servizio pubblico;

-        stabilisce i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale;

-        dispone che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il conferimento delle funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione.

Il regolamento comunitario 3577/92 ha fissato il principio della libera prestazione di servizi di cabotaggio marittimo negli Stati comunitari per tutti gli armatori comunitari che impiegano navi comunitarie. La sola deroga prevista riguarda l’imposizione di obblighi di servizio pubblico e/o il contratto di servizio pubblico, nell’ipotesi in cui manchi, su una o più rotte e/o linee, un servizio sufficiente a garantire la continuità territoriale.

 

Il comma 2 dispone che le risorse statali destinate al finanziamento del servizio pubblico di cabotaggio marittimo siano altresì destinate ad integrare la compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l’erogazione del servizio. Le risorse sono ripartite con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente pro-tempore. Per accedere al contributo le Regioni stipulano contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la conferenza Stato-Regioni.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 998, della legge finanziaria per il 2007[368] - allo scopo di completare il processo di liberalizzazione del settore del cabotaggio marittimo,nonché la privatizzazione delle società esercenti i predetti servizi – ha autorizzato la spesa di 50 milioni di euro a decorrere dal 2009 per la stipula di nuove convenzioni con le società marittime esercenti:

-        i servizi di collegamento con le isole maggiori e minori nonché eventuali prolungamenti ritenuti necessari allo sviluppo delle aree interessate ed in particolare del Mezzogiorno;

-        i servizi postali e commerciali con le isole dell'Arcipelago toscano, Partenopee, Pontine, Eolie, Egadi, Pelagie, di Ustica e di Pantelleria;

-        i servizi marittimi sovvenzionati di carattere locale nella costa adriatica orientale.

L’articolo 2, comma 223 della legge finanziaria per il 2008[369] ha autorizzato ulteriori spese (5 milioni di euro per il 2008 e di 15 milioni di euro per il 2009) per rifinanziare il comma 998.

 

Il comma 3 prevede che, su richiesta delle Regioni interessate, da effettuarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge (ovvero entro il 22 ottobre 2008), l’intera partecipazione detenuta dalla Società Tirrenia di Navigazione Spa nelle società Caremar – Campania Regionale Marittima S.p.a., Saremar – Sardegna Regionale Marittima S.p.a., Toremar – Toscana Regionale Marittima S.p.a. e Siremar – Sicilia Regionale Marittima S.p.a. è trasferita, a titolo gratuito, rispettivamente alle Regioni Campania, Sardegna, Toscana, Sicilia. Entro il medesimo termine, la Regione Puglia e la Regione Lazio possono richiedere il trasferimento gratuito, a società da loro interamente partecipate, del complesso dei beni, delle attività e delle risorse umane utilizzate rispettivamente dalla Tirrenia di Navigazione S.p.a. e dalla Caremar S.p.a. per l’esercizio dei collegamenti con le Isole Tremiti e con l’arcipelago Pontino.

 

Tirrenia di Navigazione S.p.a. è una società soggetta alla attività di direzione e coordinamento di Fintecna S.p.a. e per suo tramite del Ministero dell’economia e delle finanze, unico azionista.

Il gruppo Tirrenia effettua servizi marittimi di continuità territoriale tra l'Italia continentale e le sue principali isole, nonché cabotaggio merci sulle dorsali adriatica e tirrenica. La gestione dei suddetti servizi è disciplinata da Convenzioni (la cui scadenza è prevista al 31 dicembre 2008) stipulate tra le società del Gruppo e i Ministeri competenti che prevedono, tra l'altro, il riconoscimento a favore delle stesse società di un corrispettivo annuo d'equilibrio a fronte degli obblighi di servizio pubblico, da determinarsi sulla base di precisi criteri, tenuto conto di particolari parametri di spesa.

Il gruppo Tirrenia risulta attualmente così articolato:

-        la Tirrenia, capogruppo, esercita i collegamenti con Sardegna, Sicilia e, tramite flotta della Divisione Adriatica, con Albania e Tremiti;

-        la Caremar con le isole del Golfo di Napoli e le Ponziane;

-        la Saremar con isole minori sarde e Corsica;

-         la Siremar con Eolie, Egadi, Pelagie, Ustica e Pantelleria;

-        la Toremar infine con l’Elba e l’arcipelago toscano.

 

Come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge, il trasferimento delle azioni detenute dalla Tirrenia Spa nelle società svolgenti i servizi di cabotaggio di interesse regionale è diretto ad agevolare la privatizzazione della Tirrenia stessa. L’intenzione del Governo di attivare tempestivamente tale privatizzazione è affermata anche nel Documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2009-2013 (doc. LVII n. 1).

 

Il comma 4, prevede, in deroga agli articoli 10, 17 e 18 del D.Lgs. 422/1997 e sussistendo comprovate esigenze economiche sociali, ambientali, anche al fine di assicurare il rispetto del principio della continuità territoriale e la domanda di mobilità dei cittadini, la possibilità che le Regioni affidino l’esercizio di servizi di cabotaggio a società di capitale da esse interamente partecipate.

 

Il comma 5 dispone infine la soppressione del secondo periodo del comma 192, dell’articolo 2, della legge 662/1996[370] (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997).

Tale disposizione prevedeva l’obbligo del Governo di trasmettere un piano industriale relativo agli effetti della cessione di quote azionarie checomportassero la perdita della maggioranza del capitale sociale in società di trasporto aereo ovvero di servizi marittimi nazionali e internazionali, nonché in società di supporto di queste ultime, partecipate da IRI Spa e FINMARE Spa.

La trasmissione al Parlamento del citato piano industriale, in via preventiva rispetto all’avvio delle procedure di alienazione delle partecipazioni, aveva la finalità di consentire alle competenti Commissioni parlamentari di esprimere un parere relativo alla cessione delle quote di capitale sociale.

 

La disposizione soppressa, ove figura l’espressione “predette società”, era collegata al primo periodo del richiamato comma 192, articolo 2, che ha abrogato le disposizioni legislative che obbligavano l’IRI Spa (società per azioni all’epoca interamente posseduta dal Ministero del tesoro) a detenere direttamente o indirettamente partecipazioni di maggioranza in società di trasporto aereo, nonché in società esercenti servizi marittimi nazionali ed internazionali e relative società di supporto. Per queste ultime società esercenti servizi marittimi e di supporto a tali servizi, in particolare, l’obbligo di detenere direttamente o indirettamente partecipazioni di maggioranza era esteso altresì alla FINMARE Spa.

 

E’ da segnalare che sia per l’IRI Spa, sia per la FINMARE Spa sono state concluse le procedure di riorganizzazione e liquidazione del gruppo.

In particolare, l’IRI, dopo che il decreto-legge 333/1992[371] ne aveva disposto la trasformazione in società per azioni, attribuita al Ministero del tesoro(ora dell’economia e delle finanze) che ne esercitava i diritti dell’azionista, è stato sottoposto alla procedura di liquidazione dal 27 giugno 2000. Successivamente, a far data dal 30 novembre 2002, l’Istituto è stato cancellato dal Registro delle imprese per effetto della fusione per incorporazione nella FINTECNA Spa, società in precedenza posseduta al 100% dall’IRI stesso. Fintecna ha acquisito in tal modo il residuo portafoglio di attività in capo all’IRI Spa, costituito principalmente dalle partecipazioni in Fincantieri e Tirrenia.

La costituzione di quest’ultima società operante nel settore cabotiero, inoltre, derivava dal processo di riorganizzazione del Gruppo FINMARE, nell’ambito del quale si era già provveduto alla dismissione delle società operanti nel settore di linea (Lloyd Triestino e Italia di Navigazione)[372].


 

Articolo 58
(Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali)

 


1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione.

2. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente.

3. Gli elenchi di cui al comma 1, da pubblicare mediante le forme previste per ciascuno di tali enti, hanno effetto dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell'iscrizione del bene in catasto.

4. Gli uffici competenti provvedono, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura.

5. Contro l'iscrizione del bene negli elenchi di cui al comma 1 è ammesso ricorso amministrativo entro sessanta giorni dalla pubblicazione, fermi gli altri rimedi di legge.

6. La procedura prevista dall'articolo 3-bis del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, per la valorizzazione dei beni dello Stato si estende ai beni immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1. In tal caso, la procedura prevista al comma 2 dell’articolo 3-bis del citato decreto-legge n. 351 del 2001 si applica solo per i soggetti diversi dai Comuni e l'iniziativa è rimessa all'Ente proprietario dei beni da valorizzare. I bandi previsti dal comma 5 dell’articolo 3-bis del citato decreto-legge n. 351 del 2001 sono predisposti dall'Ente proprietario dei beni da valorizzare.

7. I soggetti di cui al comma 1 possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi.

8. Gli enti proprietari degli immobili inseriti negli elenchi di cui al comma 1 possono conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4 e seguenti del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.

9. Ai conferimenti di cui al presente articolo, nonché alle dismissioni degli immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1, si applicano le disposizioni dei commi 18 e 19 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.


Il comma 1 prevede che regioni, province, comuni e altri enti locali dispongano l’individuazione, con delibera del proprio organo di Governo e in base della documentazione dei propri archivi ed uffici (e limitatamente ad essi), dei singoli beni immobili che ricadono nel territorio di propria competenza, redigendo un apposito elenco. Tali beni devono essere non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e suscettibili di essere valorizzati ovvero dismessi.

La finalità della norma è di procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni ed enti locali e di redigere un “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” da allegare al bilancio di previsione dell’ente.

 

Si ricorda che disposizioni di analogo tenore sono contenute all’articolo 1 del decreto-legge n. 351 del 2001[373] che rimetteva ad appositi “decreti dirigenziali” dell'Agenzia del demanio l’individuazione dei beni immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici non territoriali, dei beni ubicati all'estero e di quelli, non strumentali, attribuiti a società integralmente controllate dallo Stato, distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile. Tale ricognizione del patrimonio immobiliare era, tra l’altro, finalizzata alla redazione del conto patrimoniale dello Stato.

Anche tali decreti, così come i predetti elenchi approvati dagli organi esecutivi di regioni ed enti locali (cfr. esame comma 3 più avanti), hanno effetti dichiarativi della proprietà e, in caso di assenza di precedenti trascrizioni nei pubblici registri immobiliari, producono gli stessi effetti relativi alla trascrizione.

Rispetto alla previsione del comma 1 sopra esaminato, tuttavia, volto a disporre l’introduzione obbligatoria in capo a regioni ed enti locali del “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari”, il sopra esaminato articolo 1 del decreto-legge n. 351 prevede una semplice facoltà degli enti territoriali, qualora lo ritengano opportuno, di avvalersi delle disposizioni relative alla ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, al fine di dare maggiore certezza alla titolarità dei beni di loro proprietà.

 

Il comma 2 inoltre stabilisce che l’inserimento degli immobili nel Piano, come sopra disposto, ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica.

In particolare, la norma prevede che la deliberazione del predetto Piano delle Alienazioni da parte del consiglio comunale, costituisca una variante dello strumento urbanistico generale. Si specifica altresìche tale variante, poiché riferita ai singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. Nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi di variazioni volumetriche superiori al 10% dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico, la verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro il termine perentorio di 30 giorni dal ricevimento della richiesta.

 

Ai sensi del comma 3 gli “elenchi” degli immobili devono essere pubblicati secondo le forme previste per ciascuno degli enti richiamati (regioni, province, comuni e altri enti locali). Inoltre, si stabilisce che tali elenchi abbiano effetto dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti trascrizioni e producano gli effetti previsti dall’articolo 2644 del codice civile relativi agli effetti della trascrizione, oltre che gli effetti sostitutivi dell’iscrizione del bene in catasto.

 

Al riguardo, il comma 4 dispone altresì che gli uffici competenti siano chiamati a provvedere, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione[374] e voltura.

 

Il comma 5 stabilisce la possibilità di ricorrere in via amministrativa avverso l’iscrizione del bene negli elenchi, entro 60 giorni dalla pubblicazione degli stessi, fatti salvi gli altri rimedi previsti dalla legge.

 

Il comma 6 estende ai beni immobili inclusi nei predetti elenchi la procedura prevista dall’articolo 3-bis del decreto-legge n. 351 del 2001, relativa alla valorizzazione dei beni dello Stato e utilizzazione a fini economici tramite concessione o locazione.

Il particolare, il richiamato articolo 3-bis dispone che i beni immobili di proprietà dello Stato individuati ai sensi dell'articolo 1 del D.L. n. 351 del 2001 possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini, ferme restando le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

In comma 6 prevede che la procedura contenuta al comma 2 del citato articolo 3-bis (conferenza di servizi o accordo di programma)[375], si applica esclusivamente ai soggetti diversi dai comuni e l’iniziativa di tali attività viene rimessa all’ente proprietario dei beni da valorizzare. Quest’ultimo ente predispone altresì i bandi previsti dal comma 5 del citato articolo 3-bis, con i quali vengono stabiliti i criteri di assegnazione e le condizioni delle concessioni o delle locazioni.

 

Il comma 7 prevede che regioni, province, comuni e gli altri enti locali possano in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell’interesse pubblico e mediante l’utilizzo di strumenti competitivi.

 

Il comma 8 dispone che gli enti proprietari degli immobili inseriti negli appositi elenchi possano conferire i propri beni immobili, anche residenziali, a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articolo 4 e seguenti del citato decreto-legge n. 351.

Si rammenta che l’articolo 4 del citato decreto-legge n. 351 interviene in materia di conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento immobiliare. A tal fine, si autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, cui possono essere conferiti beni immobili a uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali, individuati con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze. I decreti disciplinano altresì le procedure per l'individuazione o l'eventuale costituzione della società di gestione, per il loro funzionamento e per il collocamento delle quote del fondo, nonché i criteri di attribuzione dei proventi derivanti dalla vendita delle quote.

 

Infine, il comma 9 estende la disciplina dell’articolo 3, commi 18 e 19, del citato decreto-legge n. 351 ai conferimenti e alle dismissioni degli immobili inclusi negli elenchi.

I richiamati comma 18 e 19 dispongono taluni esoneri a favore dello Stato e degli altri enti pubblici, nonché delle società c.d. “veicolo” con le quali essi operano nel campo immobiliare. In particolare, il comma 18 esonera dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale; il comma 19esonera la società veicolo dal fornire per la rivendita dei beni immobili ad essa trasferiti, la garanzia per vizi e per evizione e dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale.


 

Articolo 59
(Finmeccanica S.p.a.)

 


1. In caso di delibera di aumenti di capitale nel corso del corrente esercizio, da parte della società Finmeccanica S.p.a., finalizzati ad iniziative strategiche di sviluppo, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere azioni di nuova emissione della stessa società per un importo massimo di 250 milioni di euro, attraverso l'esercizio di una quota dei diritti di opzione spettanti allo Stato, mediante utilizzo delle risorse derivanti, almeno per pari importo, dalla distribuzione di riserve disponibili da parte di società controllate dallo Stato e che vengono versate su apposita contabilità speciale per le finalità del presente articolo. In ogni caso, la quota percentuale del capitale sociale detenuta dallo Stato non può risultare inferiore al 30 per cento.


 

 

L’articolo 59 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze alla sottoscrizione di azioni di nuova emissione di Finmeccanica S.p.a. nel caso in cui la società deliberi, nel corso del corrente esercizio, aumenti di capitale finalizzati ad iniziative strategiche di sviluppo.

La sottoscrizione è autorizzata per un importo massimo di 250 milioni di euro, attraverso l’esercizio di una quota dei diritti di opzione spettanti allo Stato, mediante utilizzo delle risorse derivanti, almeno per pari importo, dalla distribuzione di riserve disponibili da parte di società controllate dallo Stato e che vengono versate su apposita contabilità speciale. La norma prescrive che la quota percentuale di capitale sociale detenuta dallo Stato non può, in ogni caso, risultare inferiore al 30 per cento.

 

Nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione si afferma che la disposizione è diretta a consentire all’amministrazione la sottoscrizione di azioni di nuova emissione connesse all’esecuzione di possibili aumenti di capitale di Finmeccanica S.p.a. La Società è infatti impegnata a sviluppare importanti iniziative di rafforzamento della propria presenza, in Italia e all’estero, nei settori strategici presidiati che potrebbero richiedere, già nel corrente anno, un finanziamento parziale attraverso il ricorso al mercato dei capitali. In tale ambito, la partecipazione almeno parziale del socio pubblico di maggioranza relativa, oltre a preservare l’entità della quota di possesso, costituirebbe un importante segnale al mercato in sede di esecuzione dell’operazione di ricapitalizzazione[376].

La Società Finanziaria Meccanica Finmeccanica è stata costituita dall'Istituto per la Ricostruzione industriale (IRI) nel 1948, con l’originario compito di gestire le partecipazioni nell'industria meccanica e cantieristica acquisite nei primi 15 anni di vita dell'IRI. Oggi il gruppo Finmeccanica controlla l’80% delle capacità industriali italiane nel settore della difesa.

Nei primi anni di vita di Finmeccanica l'attenzione del gruppo si è concentrata su settori come l'automotoristico, la cantieristica, il ferroviario ed il macchinario industriale e l'emergente elettronica, con la gestione di aziende quali Ansaldo, Alfa Romeo, San Giorgio, Sant'Eustachio, Navalmeccanica, Cantieri Navali dell'Adriatico. Negli anni Sessanta erano scorporate da Finmeccanica le aziende ferroviarie e quelle elettroniche, mentre venivano invece acquisite quelle elettromeccaniche.

Negli anni Settanta Finmeccanica era presente in diversi settori industriali: automotoristico (con l'Alfa Romeo), termo-elettro-meccanico (con l'Ansaldo) ed aerospaziale (con l'Aeritalia, costituita al 50% con la FIAT nel 1969).

Negli anni Ottanta le attività del gruppo si sono concentrate gradualmente nei settori elettromeccanico ed aerospaziale.

Nel 1989 l'IRI riportava in ambito Finmeccanica Selenia, Elsag e SGS, aziende a prevalente tecnologia elettronica precedentemente trasferite alla STET. Finmeccanica ha fatto così ingresso in mercati come i sistemi civili, la fabbrica automatica, i sistemi di comando e controllo, la missilistica, le apparecchiature biomedicali, la robotica complessa, la componentistica microelettronica.

Negli anni Novanta è avvenuta la fusione di Aeritalia e Selenia, che ha dato vita ad Alenia, società che oggi riunisce le attività delle due aziende nell'aeronautica, nell'elettronica per la difesa, nella missilistica e nel controllo del traffico aereo. Intanto Elsag ha acquisito Bailey, ampliando le già rilevanti presenze nell'automazione dei processi e dei servizi. Nel 1991 è stata costituita Ansaldo Energia, in cui sono confluite Ansaldo GIE e Ansaldo Componenti.

Nel 1992 è avvenuta la fusione di Finmeccanica con la società controllata Società Immobiliare e Finanziaria per Azioni - SIFA Spa[377] ed il contestuale ingresso in borsa con denominazione di “Finmeccanica Società per Azioni”.

Al momento dell’avvio del processo di dismissione (fine degli anni Novanta), il Ministro del tesoro era titolare dell'intero capitale sociale dell'IRI S.p.A., che a sua volta deteneva direttamente il controllo maggioritario, pari al 59,7%, del capitale sociale di Finmeccanica S.p.A.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999 il Ministero del tesoro è stato autorizzato ad emanare le disposizioni per l’attribuzione dei poteri speciali, secondo quanto previsto dalla già citata l. 474/94, di conversione del DL n. 332/94)[378]. In detto decreto si dava atto dell’avvio del progetto di privatizzazione di Finmeccanica S.p.a. da parte dell’IRI; si dava atto altresì che per mezzo di esso, attraverso aumenti di capitale sociale di quest'ultima e/o collocamento di azioni e/o integrazioni della stessa con altre società pubbliche, la partecipazione del Tesoro avrebbe raggiunto una quota non maggioritaria del capitale stesso, sia pure non inferiore al 30%.

Nella medesima ottica del rafforzamento patrimoniale della società, in data 20 dicembre 1999 è stata perfezionata la fusione della MEI[379] nella Finmeccanica, con efficacia a decorrere dal 31 dicembre 1999 ed effetti contabili dal 1 gennaio 2000. Finmeccanica, previo annullamento delle vecchie azioni, ha emesso complessive n. 8.392.324.500 azioni ordinarie, assegnate in parte ai precedenti azionisti (IRI ed azionisti terzi) e, quanto alle residue, ai soci MEI (IRI e Ministero del tesoro, con quote, rispettivamente, del 50,06% e del 49,04%). Pertanto, a seguito dell’operazione la quota pubblica detenuta nel capitale Finmeccanica è cresciuta a circa l’83%, destinata però ad una successiva dismissione, salvo il mantenimento di una quota minima del 30% in capo al tesoro.

Il Consiglio di Amministrazione dell’IRI nel maggio del 2000 ha deliberato di fissare in 3.200 milioni di azioni il quantitativo di azioni oggetto di vendita tramite offerta globale; di tale ammontare, almeno 1.280 milioni di azioni sarebbero state destinate ad essere cedute mediante offerta pubblica di vendita (OPV). Il 22 maggio del medesimo anno è stato avviato il book-buiding[380], concluso il 2 giugno contestualmente all’offerta pubblica di vendita (avviata il 29 maggio 2000).L’Assemblea degli azionisti IRI del 3 giugno 2000, tenuto conto delle positive risultanze del book-building e delle raccomandazioni espresse dai consulenti, ha deliberato quindi di fissare il prezzo dell’OPV in 1,50 Euro per azione e di determinare in 3.300 milioni di azioni l’ammontare definitivo dell’offerta globale.Sono state dunque trasferite al Ministero del tesoro, in coerenza alla premessa del D.P.C.M. del 28 settembre 1999 sopra citato, circa 300 milioni di azioni Finmeccanica da parte dell’IRI.

A seguito dell’offerta il Ministero del tesoro deteneva 2.723,9 milioni di azioni, corrispondenti ad una partecipazione del 32,45% del capitale sociale di Finmeccanica. Ciò a seguito dell’eventuale integrale conversione del prestito obbligazionario convertibile; dell’aumento di capitale connesso all’assegnazione delle residue stock options al management di Finmeccanica, nonché dell’ulteriore aumento di capitale ipotizzato dalla Finmeccanica per sostenere iniziative di razionalizzazione societaria.

Il 18 luglio 2005 hanno avuto inizio le azioni di raggruppamento delle azioni ordinarie. Secondo dati recentila partecipazione del Ministero dell’economia e delle finanze in Finmeccanica S.p.A. è del 33,78%.

Le attività di Finmeccanica, prima organizzate come divisioni, sono state riaggregate negli ultimi anni in società operative omogenee e coerenti con la strategia di sviluppo internazionale, lasciando a Finmeccanica le funzioni di indirizzo e controllo strategico e industriale. Sono così nate Alenia Spazio e Agusta nel 2000, Galileo Avionica e Oto Melara nel 2001, Alenia Aeronautica nel 2002.

Nel settore trasporto, nel 2001 sono state costituite Ansaldo Breda e Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari. Nel 2002 sono state acquisite Marconi Mobile (oggi SELEX Communications), OTE e Telespazio.

Nel settore aerospazio e difesa Finmeccanica ha rafforzato il proprio ruolo con le acquisizioni di Aermacchi e del 30% di Fiat Avio (oggi Avio Group, per la parte restante controllato da The Carlyle Group).


 

Articolo 60, commi 1-6, 8-10, 13-15
(Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica)

 


1. Per il triennio 2009-2011 le dotazioni finanziarie, a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, sono ridotte per gli importi indicati nell'elenco n. 1, con separata indicazione della componente relativa a competenze predeterminate per legge.

2. Dalle riduzioni di cui al comma 1 sono escluse le dotazioni di spesa di ciascuna missione connesse a stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; alle spese per interessi; alle poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili con le Regioni; ai trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria; del fondo ordinario delle università; delle risorse destinate alla ricerca; delle risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche; nonché quelle dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.

3. Fermo restando quanto previsto in materia di flessibilità con la legge annuale di bilancio, in via sperimentale, limitatamente al prossimo esercizio finanziario, nella legge di bilancio, nel rispetto dell’invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica e dell’obiettivo di pervenire ad un consolidamento per missioni e per programmi di ciascuno stato di previsione, possono essere rimodulate tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa, fatta eccezione per le spese di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito. Le rimodulazioni tra spese di funzionamento e spese per interventi sono consentite nel limite del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi. Resta precluso l’utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti. In apposito allegato a ciascuno stato di previsione della spesa sono esposte le autorizzazioni legislative ed i relativi importi da utilizzare per ciascun programma.

4. Ciascun Ministro prospetta le ragioni della riconfigurazione delle autorizzazioni di spesa di propria competenza nonché i criteri per il miglioramento della economicità ed efficienza e per la individuazione di indicatori di risultato relativamente alla gestione di ciascun programma nelle relazioni al Parlamento di cui al comma 68 dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Il termine di cui al citato comma 68 dell’articolo 3 della legge n. 244 del 2007 è differito, per l’anno 2008, al 30 settembre 2008.

5. Le rimodulazioni di spesa tra i programmi di ciascun Ministero di cui al comma 3 possono essere proposte nel disegno di legge di assestamento e negli altri provvedimenti di cui all’articolo 17 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. In tal caso, dopo la presentazione al Parlamento dei relativi disegni di legge, le rimodulazioni possono essere comunque attuate, limitatamente all’esercizio finanziario 2009, in via provvisoria ed in misura tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali e comunque non superiore al 10 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate dalle medesime leggi, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro competente. Gli schemi dei decreti di cui al precedente periodo sono trasmessi al Parlamento per l’espressione del parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. I pareri devono essere espressi entro quindici giorni dalla data di trasmissione. Decorso inutilmente il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono essere adottati. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento ai profili finanziari, ritrasmette alle Camere gli schemi di decreto corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro dieci giorni. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 2, comma 4-quinquies, della citata legge n. 468 del 1978, e 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni, nel caso si tratti di dotazioni finanziarie direttamente determinate da disposizioni di legge, i pareri espressi dalle Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario sono vincolanti. I decreti di cui al secondo periodo perdono efficacia fin dall’inizio qualora il Parlamento non approvi la corrispondente variazione in sede di esame del disegno di legge di assestamento o degli altri provvedimenti di cui all’articolo 17 della legge n. 468 del 1978. Le rimodulazioni proposte con il disegno di legge di assestamento o con gli altri provvedimenti adottabili ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 468 del 1978 o con i decreti ministeriali si riferiscono esclusivamente all’esercizio in corso.

6. Il comma 3 dell’articolo 5 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, è abrogato.

(omissis)

8. Il fondo di cui all'articolo 5, comma 4, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, è integrato di 100 milioni di euro per l'anno 2009, 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, da utilizzare a reintegro delle dotazioni finanziarie dei programmi di spesa. L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 5, comma 4, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, come rideterminata ai sensi del presente comma, è ridotta dell’importo di 6 milioni di euro per l’anno 2008, di 12 milioni di euro per l’anno 2009 e di 10 milioni di euro per l’anno 2010.

8-bis. Nello stato di previsione del Ministero della difesa è istituito un fondo con una dotazione pari a 3 milioni di euro per l’anno 2008, da utilizzare per far fronte alle esigenze prioritarie del Ministero stesso.

8-ter. Agli oneri derivanti dal comma 8-bis, si provvede mediante corrispondente riduzione, per l’anno 2008, della dotazione del fondo di cui all’articolo 5, comma 4, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.

8-quater. All’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:

«5-bis. Al fine del rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la situazione analitica dei crediti e dei debiti derivanti dalle operazioni poste in essere dai Commissari delegati, a qualsiasi titolo, anche in sostituzione di altri soggetti, deve essere rendicontata annualmente, nonché al termine della gestione, e trasmessa entro il 31 gennaio di ciascun anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato e all’ISTAT per la valutazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica. Per l’omissione o il ritardo nella rendicontazione si applica la sanzione prevista dall’articolo 337 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, e successive modificazioni.».

9. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

10. Per l'anno 2009 non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 507 e 508, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e la quota resa indisponibile per detto anno, ai sensi del citato comma 507, è portata in riduzione delle relative dotazioni di bilancio.

(omissis)

13. All'articolo 1, comma 21, primo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 le parole «a singoli capitoli,» sono sostituite dalle seguenti: «ai singoli programmi».

14. Fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 21 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ai fini del controllo e monitoraggio della spesa pubblica, la mancata segnalazione da parte del funzionario responsabile dell'andamento della stessa in maniera tale da rischiare di non garantire il rispetto delle originarie previsioni di spesa costituisce evento valutabile ai fini della responsabilità disciplinare. Ai fini della responsabilità contabile, il funzionario responsabile risponde del danno derivante dal mancato rispetto dei limiti della spesa originariamente previsti, anche a causa della mancata tempestiva adozione dei provvedimenti necessari ad evitare efficacemente tale esito, nonché delle misure occorrenti per ricondurre la spesa entro i predetti limiti.

15. Al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dall'esercizio finanziario 2009, le amministrazioni dello Stato, escluso il comparto della sicurezza e del soccorso, possono assumere mensilmente impegni per importi non superiori ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna unità previsionale di base, con esclusione delle spese per stipendi, retribuzioni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria ovvero non frazionabili in dodicesimi, nonché per interessi, poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili, accordi internazionali, obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, annualità relative ai limiti di impegno e rate di ammortamento mutui. La violazione del divieto di cui al presente comma rileva agli effetti della responsabilità contabile.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 60 dispongono una riduzione delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente, delle missioni di spesa del bilancio di ciascun Ministero, per il triennio 2009–2011, secondo gli importi fissati nell’elenco 1 allegato al provvedimento. Per ciascuna riduzione, l’elenco 1 fornisce separata indicazione della componente relativa alle spese predeterminate per legge.

 

Il comma 2 esclude dalle riduzioni le dotazioni di spesa di ciascuna missione relative alle seguenti voci:

§      stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse;

§      spese per interessi;

§      poste correttive e compensative delle entrate[381], comprese le regolazioni contabili con le regioni;

§      trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria;

§      fondo ordinario delle università;

§      le risorse destinate alla ricerca;

§      le risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche;

§      le risorse dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.

 

Nonostante non siano espressamente elencate nel comma 2, la Relazione tecnica considera tra le voci escluse dalle riduzioni anche:

§      il Fondo per la riassegnazione dei residui passivi della spesa di parte corrente perenti in via amministrativa[382] il Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine[383], il Fondo per la riassegnazione dei residui passivi della spesa di conto capitale perenti in via amministrativa[384] e il Fondo di riserva per le spese impreviste[385] – disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 7, 8 e 9 della legge generale di contabilità (legge n. 468/1978).

I suddetti Fondi sono iscritti nell’ambito della Missione “Fondi da ripartire”, del Ministero dell’economia e delle finanze, che risulta peraltro ridotta dall’elenco 1;

§      le risorse destinate alla Camera dei deputati, al Senato della Repubblica e alla Presidenza della Repubblica, nonché le quote di spese di trasferimento ad enti ed organismi pubblici, relative ad oneri del personale.

 

Dall’esame dell’elenco 1 allegato al decreto–legge si evince che oggetto di riduzione sono prevalentemente le dotazioni relative a spese predeterminate per legge.

In particolare, il totale delle riduzioni operate alle dotazioni del bilancio a legislazione vigente è pari a:

§      8.435 milioni di euro per il 2009, di cui 6.600 milioni sono riduzioni apportate a spese da fattore legislativo;

§      8.929 milioni di euro per il 2010, di cui 6.753 milioni sono riduzioni relative a spese predeterminate per legge;

§      15.611 milioni di euro per il 2011, di cui 11.810 milioni sono relativi a spese da fattore legislativo.

 


Tali riduzioni, in valori assoluti, risultano, ai sensi dell’elenco 1, così distribuite per ciascun Ministero:

milioni di euro

 

2009

2010

2011

Ministero

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

economia e finanze

2.995,8

2.570,4

3.307,0

2.796,8

5.895,1

4986,0

sviluppo economico

2.247,8

2.235,5

2.459,0

2.444,4

4.310,8

4.286,0

lavoro

220,0

187,6

261,1

222,5

452,5

385,6

giustizia

218,6

1,6

262,1

3,2

454,2

5,5

esteri

202,4

153,4

225,4

167,0

388,0

286,5

istruzione

447,0

214,4

456,4

200,2

790,1

346,4

interno

413,7

78,4

462,2

55,2

799,0

95,6

ambiente

249,7

241,3

166,2

156,3

261,9

244,5

infrastrutture

519,6

405,3

463,0

332,9

770,4

544,7

difesa

503,7

158,0

478,1

59,0

834,5

101,7

politiche agricole

180,0

137,0

137,4

88,4

220,2

135,2

beni culturali

236,7

216,8

251,3

227,1

434,6

392,5

totale

8.435

6.599,7

8.929,2

6.753

15.611,3

11.810,2

 

 

Il comma 1 precisa che le riduzioni sono effettuate sulle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa di ciascun Ministero.

A tale riguardo, la Relazione tecnica precisa che nella definizione degli stanziamenti iniziali, su cui sono state apportate le riduzioni, si è tenuto conto, per il 2009, degli effetti derivanti dalla trasformazione in riduzioni di spesa degli accantonamenti sulle dotazioni di bilancio, disposte ai sensi dell’art. 1, commi 507-508, dalla legge finanziaria per il 2007, trasformazione recata dal successivo comma 10 dell’articolo 60.

Nel complesso, la relazione tecnica indica in 37.142 milioni per il 2009, a 37.176 milioni per il 2010 e a 37.562 milioni per il 2011, il complesso degli stanziamenti iniziali passibili di riduzione, considerati cioè al netto delle esclusioni di cui al comma 2.

In base dunque a quanto riportato nella stessa Relazione, le riduzioni di spesa delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa sono state effettuate in maniera lineare sulle categorie di spesa indicate nella relazione stessa (consumi intermedi, trasferimenti ad enti pubblici, famiglie e imprese, trasferimenti ad estero, e altre partite correnti, per quanto riguarda la parte corrente; investimenti fissi lordi, contributi ad enti pubblici, famiglie e imprese e estero e altre partite di conto capitale).

Sulla base del totale delle riduzioni operate, la percentuale di riduzione lineare è pari al 22,7 per cento nel 2009, al 24,0 per cento nel 2010 e al 41,6 per cento nel 2011[386].

 

I commi 3 e 5 introducono, in via sperimentale e limitatamente all’esercizio finanziario 2009, la possibilità di apportare, nella legge di bilancio, rimodulazione delle dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa tra i relativi programmi, fatta eccezione per le spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito.

Possono pertanto essere oggetto di rimodulazione le spese del bilancio 2009 predeterminate per legge.

 

La norma prevede espressamente che la rimodulazione deve avvenire nel rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica, e dell’obiettivo di un consolidamento della riclassificazione del bilancio per missioni/programmi.

 

La rimodulazione tra spese di funzionamento e spese per interventi è consentita nel limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi.

Rimane precluso – in quanto intervento dequalificativo della spesa - l’utilizzo degli stanziamenti in conto capitale per finanziare spese correnti.

 

Il comma mantiene inoltre fermo quanto previsto in materia di flessibilità con la legge annuale di bilancio.

 

In proposito si ricorda che nella legge di approvazione del bilancio per il 2008 (l. n. 245 del 2008), l’articolo 22, comma 22, al fine di assicurare alle Amministrazioni la necessaria flessibilità nella gestione delle risorse a seguito della ristrutturazione del bilancio, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, ad effettuare con propri decreti variazioni compensative tra capitoli delle unità previsionale di base di parte corrente «funzionamento, interventi, oneri comuni, oneri del debito pubblico» e di conto capitale «investimenti e oneri comuni», che sono stati frazionati per la loro allocazione sui diversi programmi dello stesso stato di previsione.

Inoltre, l’articolo 22, comma 19, della citata legge n. 245/2007 autorizza, per l’esercizio 2008, variazioni compensative tra capitoli delle unità previsionali di base afferenti il medesimo stato di previsione, fatta comunque eccezione per le autorizzazioni di spesa di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate con legge[387]

Sempre per una migliore flessibilità gestionale, si possono effettuare variazioni compensative in termini di cassa, nell’ambito di ciascun titolo di bilancio, tra capitoli delle u.p.b del medesimo stato di previsione.

 

Il comma 3 prevede, infine, che in apposito allegato a ciascuno stato di previsione della spesa del bilancio a legislazione vigente per il 2009 siano esposte le autorizzazioni legislative di spesa ed i relativi importi da utilizzare, a seguito delle rimodulazioni, per ciascun programma.

 

Il comma 4 dispone che ciascun Ministro è tenuto a dare conto delle ragioni della riconfigurazione delle autorizzazioni di spesa di propria competenza, nonché dei criteri per il miglioramento dell’economicità e dell’efficienza della spesa e per l’individuazione degli indicatori di risultato relativamente alla gestione di ciascun programma nella relazioni sull’utilizzo delle risorse e l’efficienza dell’azione amministrativa, che ciascun Ministero deve presentare al Parlamento ai sensi dell’articolo 3, comma 68, della legge n. 244/2007.

Il termine per la presentazione al Parlamento delle suddette relazioni relative all’esercizio finanziario 2008, è peraltro differito dal 15 giugno al 30 settembre 2008 (ultimo periodo del comma 4).

 

Ai sensi del comma 5, le rimodulazioni di spesa tra i programmi di ciascun Ministero, previste dal comma 3, possono essere proposte nel disegno di legge di assestamento e nelle ulteriori variazionidelle dotazioni di competenza e di cassa da presentare al Parlamento non oltre il termine del 31 ottobre[388].

Tali rimodulazioni, dopo la presentazione dei relativi disegni di legge, possono essere attuate in via provvisoria con decreto del Ministro competente, adottato di concerto con il Ministro dell’economia. Le rimodulazioni “provvisorie” soggiacciono agli stessi limiti sopra descritti (ossia, operatività limitata all’esercizio finanziario 2009, limite del 10 per cento alle rimodulazioni tra spese di funzionamento e spese per interventi e divieto di dequalificazione della spesa). Esse, inoltre, devono essere effettuate in misura tale da non pregiudicare il conseguimento delle finalità definite dalle relative norme sostanziali e comunque non possono movimentare una quota superiore al 10 per cento delle risorse finanziarie complessivamente stanziate dalle medesime leggi.

 

E’ prevista l’espressione del parere parlamentare sugli schemi dei decreti di rimodulazione da parte delle commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Tale parere deve essere reso entro 15 giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto può essere adottato. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento ai profili finanziari, ritrasmette alle Camere gli schemi di decreto corredati dei necessari elementi integrativi, per l’espressione dei pareri definitivi da parte delle Commissioni che devono essere espressi entro dieci giorni. Nel caso in cui si operino rimodulazioni di dotazioni direttamente determinate da disposizioni di legge, il parere parlamentare, limitatamente ai profili finanziari, ha carattere vincolante.

E’ fatto comunque salvo quanto previsto dalle norme generali di contabilità (legge n. 468/1978, articolo 2, comma 4-quinquies e D.Lgs. n. 279/1997) relativamente alla possibilità di effettuare, a livello gestionale, con decreto ministeriale, variazioni compensative:

-        tra capitoli della stessa unità previsionale di base, fatta eccezione per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate con legge;

-        tra capitoli di una stessa u.p.b di conto capitale, nel caso di spese per investimenti, anche tra stanziamenti disposti da diverse leggi purché di finanziamento o rifinanziamento dello stesso intervento (articolo 2, comma 4-quinquies, legge n. 468/1978)[389].

 

I decreti di rimodulazione perdono efficacia sin dall’inizio qualora il Parlamento non approvi la corrispondente variazione in sede di esame del disegno di legge di assestamento o degli altri provvedimenti di assestamento adottabili.

 

Rispetto al testo originario del decreto legge, è stata limitata la possibilità, nell’ipotesi in cui si evidenzi l’esigenza di interventi tempestivi, di effettuare rimodulazioni con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, da inviare alla Corte dei conti per la registrazione.

 

Si segnala che la Circolare n. 21 del 24 luglio 2008 del Ministero dell’economia e finanze – dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - avente ad oggetto la definizione dei criteri generali per la definizione delle nuove previsioni per l’anno 2009 e per il triennio 2009 -2011, ha interpretato l’impatto del combinato disposto dei commi 1-3 dell’articolo 60 sulla formazione del bilancio previsionale, nel senso che le dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa si distinguono in due parti:

1.una concernente risorse rimodulabili sotto il controllo diretto delle Amministrazioni, sulla quale è stata operata la riduzione prevista dal comma 1, il cui ammontare complessivo rappresenta il plafond massimo a disposizione delle amministrazioni, che potrà essere rimodulato tra i programmi di ciascuna missione;

2. l’altra relativa alle risorse fuori del controllo diretto delle amministrazioni e non rimodulabili tra i programmi, per la quale la quantificazione definitiva dovrà formare oggetto di proposta da parte della amministrazioni stesse e di revisione a cura del dipartimento della Ragioneria per verificare la corretta applicazione dei parametri e dei meccanismi previsti dalla legge per la relativa quantificazione ( es. competenze fisse al personale, spese per interessi ed altre classificabili come oneri inderogabili).

 

Contestualmente all’introduzione della disposizione di flessibilità relativa al bilancio di esercizio 2009, l’articolo 60, al comma 6 ha disposto l’abrogazione della disposizione di flessibilità contenuta nell’articolo 5, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2008, che consentiva, senza carattere di temporalità, di effettuare rimodulazioni tra programmi appartenenti ad una missione di spesa, attraverso decreti del Ministro dell'economia, su proposta del Ministro competente, da comunicare alle Commissioni parlamentari ed inviare alla Corte dei Conti per la registrazione.

 

Il comma 8 stabilisce un incremento delle risorse del Fondo per le esigenze gestionali - istituito nell’ambito del Ministero dell’economia dall’art. 5, comma 4, del D.L. n. 93/2008 - di 100 milioni di euro per il 2008 e di 300 milioni di euro per il 2009 e 2010. Lo stesso comma dispone una riduzione le risorse del suddetto fondo sono state ridotte di 6 milioni di euro per il 2008, di 12 milioni per il 2009 e di 10 milioni per il 2010.

 

I commi 8-bis e 8-ter al fine di soddisfare le esigenze prioritarie del Ministero della difesa, istituiscono nello stato di previsione del citato Ministero un apposito fondo con una dotazione pari a 3 milioni di euro per l’anno 2008.

A tal fine, è ridotta in modo corrispondente per l’anno 2008, la dotazione stabilita per il suddetto fondo per le esigenze gestionali del Ministero dell’economia.

 

Il comma 9 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 10 prevede che, per l’anno 2009, sia portata ad effettiva riduzione la quota delle dotazioni di bilancio di previsione per il predetto anno resa indisponibile (“accantonata”) ai sensi dell’articolo 507 e 508 della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006).

 

Si ricorda che il citato comma 507ha disposto l’accantonamento in maniera lineare di quote pari a 4.572 milioni di euro per il 2007, a 5.031 milioni di euro per il 2008 e a 4.922 milioni di euro per il 2009 sul totale degli stanziamenti di spesa iscritti nel bilancio dello Stato. Pertanto, a seguito del calcolo proporzionale delle quote rispetto ai predetti stanziamenti, sono state rese indisponibili per ciascuno stato di previsione somme corrispondenti alla percentuale fissa - ad eccezione dello stato di previsione relativo alla Pubblica istruzione[390]- di 12,57% nel 2007, 14,34% nel 2008 e 12,82% nel 2009, relativamente alle previsioni delle dotazioni del bilancio triennale 2007-2009.

Le voci di bilancio oggetto di accantonamenti appartengono alle seguenti categorie, rientranti altresì tra le autorizzazioni di spesa predeterminate legislativamente [391]:

-        consumi intermedi (categoria 2);

-        trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche (categoria 4), con esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli organi costituzionali, nonché dei trasferimenti a favore della protezione civile e del Fondo ordinario delle università statali;

-        trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private (categoria 5), a imprese (categoria 6) e a estero (categoria 7), con esclusione dei trasferimenti all'estero aventi natura obbligatoria, delle pensioni di guerra e altri assegni vitalizi, delle erogazioni agli istituti di patronato e di assistenza sociale, nonché alle confessioni religiose di cui alla legge 20 maggio 1985, n. 222, e successive modificazioni[392];

-        altre uscite correnti (categoria 12);

-        tutte le categorie di spese in conto capitale, con esclusione dei limiti di impegno già attivati, delle rate di ammortamento mutui, dei trasferimenti agli enti territoriali e delle acquisizioni di attività finanziarie, nonché dei trasferimenti a favore della protezione civile e del 50 per cento dello stanziamento del Fondo per le aree sottoutilizzate[393].

In virtù di quanto previsto dallo stesso comma 507, secondo cui possono essere disposte variazioni dei predetti accantonamenti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare, su proposta dei ministri competenti, entro il 31 marzo di ciascun anno del triennio 2007-2009, previa acquisizione del parere da parte delle Commissioni competenti per le conseguenze di carattere finanziario, anche per l’anno in corso[394] è stato adottato un decreto di rimodulazione delle risorse oggetto di accantonamento, D.M. 41484 registrato dalla Corte dei conti in data 12 settembre 2008.

Si ricorda, infine, che al comma 507 erano stati complessivamente ascritti effetti positivi in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, pari, rispettivamente, a 2.678 milioni di euro e 4.180 milioni per il 2007, a 4.600 milioni e 3.198 milioni per il 2008, a 4.510 milioni e 4.574 milioni per il 2009.

 

Il comma 13 modifica l’articolo 1, comma 21, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), che detta una disposizione di controllo della spesa in sede di gestione del bilancio, mediante il riconoscimento della facoltà al Ministro competente di disporre, con proprio decreto[395], anche in via temporanea, la sospensione dell'assunzione di impegni di spesa o dell'emissione di titoli di pagamento a carico di uno o più capitoli di bilancio.

La norma in esame novella il testo della citata disposizione del comma 21, prevedendo che tale facoltà possa esercitarsi laddove l’Ufficio centrale del bilancio segnali che l’andamento della spesa riferita allo stato di previsione nel complesso, ovvero ai programmi (e non più ai capitoli)che lo compongono sia tale da non assicurare il rispetto delle originarie previsioni di spesa.

L’articolo 1, comma 21 citato prevede inoltre che la facoltà di sospensione di impegni di spesa o di emissione di titoli di pagamento da parte del Ministro possa esercitarsi anche qualora, su segnalazione del servizio di controllo interno, la prosecuzione dell'attività non risponda a criteri di efficienza e di efficacia, tenendo conto del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati e del grado di realizzazione dei programmi da attuare.

Non possono in ogni caso essere oggetto di sospensione le spese relative ai seguenti capitoli (si tratta in sostanza di spese obbligatorie o aventi natura obbligatoria):

-        stipendi, assegni, pensioni ed altre spese fisse o aventi natura obbligatoria;

-        spese per interessi;

-        spese relative alle poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili;

-        spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria;

-        spese riferite alle annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui.

Non sono stimati effetti finanziari derivanti dall’applicazione di tale comma.

 

Si segnala peraltro che la facoltà di sospensione dell’assunzione di impegni di spesa o all’emissione di titoli di pagamento a carico di uno o più capitoli di bilancio va letta in combinato disposto all’obbligo per le amministrazioni statali del rispetto del limite dell’assunzione mensile di impegni di spesa in misura non superiore ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna u.p.b, ripristinato dal successivo comma 15.

 

Il comma 14, fermo restando il meccanismo di sospensione dell'assunzione di impegni di spesa o dell'emissione di titoli di pagamento di cui al novellato e sopra descritto articolo 1, comma 21, della l. finanziaria per il 2006 prevede, quale elemento valutabile ai fini di responsabilità disciplinare, la mancata segnalazione da parte del funzionario dell’andamento della spesa tale da non garantire il rispetto delle originarie previsioni

Sotto il profilo della responsabilità contabile, il funzionario responsabile è chiamato a rispondere dell’eventuale danno derivante:

§      dal mancato rispetto dei limiti di spesa originariamente previsti, anche per la non tempestiva adozione dei provvedimenti necessari a rispettare tali limiti;

§      dall’adozione delle misure idonee a ricondurre la spesa entro i limiti originariamente previsti.

 

Il comma 15 reintroduce la norma, originariamente prevista dalla legge finanziaria per il 2006[396] ed abrogata dal comma 626, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), che prevedeva un limite per le amministrazioni dello Stato all’assunzione mensile di impegni di spesain misura non superiore ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna U.P.B. (unità previsionale di base) degli stati di previsione del bilancio.

Dal punto di vista soggettivo, sono esplicitamente esclusi dal rispetto del limite il comparto della sicurezza e del soccorso.

Dal punto di vista oggettivo sono esclusi dal predetto limite le seguenti spese, sostanzialmente riconducibili alla categoria delle spese obbligatorie o aventi natura obbligatoria:

§      stipendi, retribuzioni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria ovvero non frazionabili in dodicesimi;

§      interessi;

§      poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili;

§      spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria;

§      annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui.

 

Appare rilevante notare come il limite del dodicesimo all’assunzione mensile di impegni di spesa operi per tutte quelle tipologie di spesa per le quali ai sensi del già citato articolo 1, comma 21 della legge finanziaria per il 2006, il Ministro può esercitare, con riferimento a singoli capitoli delle u.p.b, la facoltà di sospendere l’assunzione di impegni di spesa .

 

Si ricorda, in proposito, che la Circolare del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato n. 7 del 10 febbraio 2006, “Gestione del bilancio dello Stato - Implicazioni derivanti da talune disposizioni della legge finanziaria 2006 volte ad agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica” ha fornito alcuni chiarimenti e precisazioni in ordine al limite all’assunzione mensile di impegni di spesa previsto dal comma in esame e ad altre disposizioni di contenimento della spesa contenute nella legge finanziaria.

In particolare, la circolare ha precisato che per comparto della sicurezza pubblica e del soccorso si intende quello costituito dalle Forze di polizia civili e militari, dai Vigili del fuoco e dalle Capitanerie di porto.

La circolare n. 7/2006 inoltre ha precisato che sono escluse dall’applicazione della norma, in quanto aventi natura obbligatoria, le spese relative ai trasferimenti agli enti territoriali e alle università. La limitazione alla assunzione degli impegni trova invece applicazione con riferimento alle spese per trasferimenti agli enti e organismi della pubblica amministrazione diversi dallo Stato. Tuttavia, nel caso in cui nelle somme oggetto di trasferimento rientrino altresì spese per le quali è prevista l'esclusione dal limite, i soggetti beneficiari dovranno formalmente rappresentare tale circostanza alla competente Amministrazione e all'Ufficio centrale del bilancio.

 

La disposizione del comma 15, infine, precisa che la violazione del limite rileva anche con riferimento ai profili di responsabilità contabile.


 

Articolo 60, comma 7
(Copertura delle leggi di spesa)

 


7. Ai fini di assicurare il rispetto effettivo dei parametri imposti in sede internazionale e del patto di stabilità e crescita, nel definire la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi, qualora siano prevedibili specifici e rilevanti effetti sugli andamenti tendenziali del fabbisogno del settore pubblico e dell’indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, il Ministero dell’economia e delle finanze fornisce i relativi elementi di valutazione nella relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter della legge n. 468 del 1978, con specifico riferimento agli effetti che le innovazioni hanno sugli andamenti tendenziali, o con apposita nota scritta negli altri casi. Entro il 31 gennaio 2009, il Ministro dell’economia e delle finanze presenta al Parlamento, ai fini dell’adozione di atti di indirizzo da parte delle competenti Commissioni parlamentari, una relazione contenente informazioni sulle metodologie per la valutazione degli effetti sul fabbisogno e sull’indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni in ciascun settore di spesa.


 

 

Il comma 7, modificato in corso di conversione, impone al Ministro dell’economia e finanze di presentare al Parlamento, in sede di relazione tecnica, gli elementi di valutazione relativi a quei provvedimenti legislativi per i quali siano prevedibili effetti specifici e rilevanti sugli andamenti tendenziali del fabbisogno del settore pubblico e dell’indebitamento netto.

Inoltre, è prevista la presentazione al Parlamento, entro il 31 gennaio 2009, di una Relazione da parte del Ministro dell’economia in cui siano esposte le metodologie usate per la valutazione degli effetti sui due saldi suddetti, ai fini dell’adozione di atti di indirizzo da parte delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Con particolare riferimento all’indebitamento netto, si ricorda che esso costituisce il parametro di riferimento principale ai fini del rispetto dei vincoli comunitari introdotti dal Trattato di Maastricht e specificati dal Patto di stabilità e crescita, che impone un limite del deficit pubblico al 3 percento del PIL, pena l’avvio della procedura per disavanzo eccessivo.

L’indebitamento netto è dato dalla differenza tra il totale delle entrate finali e il totale delle uscite finali del conto della P.A., al netto delle operazioni finanziarie attive, calcolate in termini di competenza economica.

Esso riguarda l’intero comparto della pubblica amministrazione e non già solo il comparto statale. Vi sono pertanto incluse le amministrazioni centrali, gli enti territoriali, gli enti di previdenza e assistenza.

Gli enti rientranti nel conto economico sono annualmente individuati per l’Italia dall’ISTAT[397] – secondo i criteri del Sistema europeo dei conti economici integrati (Sec 95)[398].

Organo competente a elaborare i dati di consuntivo sull’indebitamento netto è sempre l’Istat, il quale applica al riguardo integralmente i criteri definiti dalla norme del Sec95.

Una volta pubblicati, i dati di consuntivo sull’indebitamento netto sono comunicati alla Commissione europea, in applicazione del protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi, annessa al Trattato di Maastricht [399].

 

Il criterio di contabilizzazione è la competenza economica: le operazioni vengono cioè registrate nel momento in cui se ne verificano gli effetti economici, piuttosto che il momento in cui la transazione avviene formalmente, o dà luogo a flussi di fondi.

 

Il fabbisogno del settore statale è il saldo congiunto del conto economico e della parte attiva (“attività finanziarie”) del conto finanziarie. Il saldo è riferito agli incassi e i pagamenti del settore statale nel momento in cui le risorse entrano ed escono dalla Tesoreria cioè nel momento in cui le transazioni hanno impatto sulla liquidità dello Stato. Esso non riguarda solo le risorse del bilancio statale ma anche ulteriori risorse di soggetti che hanno – in base ad obblighi normativi - conti aperti presso la Tesoreria.

Esso è dunque calcolato in termini di cassa [400]dal Dipartimento della Ragioneria generale del Ministero dell’economia e finanze.

All’andamento del fabbisogno relativo all’intera PA, calcolato dalla Banca d’Italia, sono strettamente legate le variazioni del debito pubblico anch’esso, come noto, oggetto di valutazioni sulla base dei parametri contenuti nel Trattato di Maastricht. Il Trattato prevede che il debito pubblico deve essere inferiore al 60 percento del prodotto interno lordo, ovvero diminuire in modo soddisfacente verso tale livello. Anche il fabbisogno del settore statale appare a tali fini una grandezza da tenere in attenta considerazione.

A riguardo si ricorda che già a partire dal 2004, era stata sottolineata la necessità di copertura sia con riferimento al saldo netto da finanziare, sia al fabbisogno che all’indebitamento netto. In particolare, il D.P.C.M 6 giugno 2006 [401] ha previsto che le coperture finanziarie dei nuovi provvedimenti devono essere idonee a garantire il rispetto dell'art. 81 Cost, nonché degli obiettivi contenuti nel Patto di stabilità, e che nella relazione tecnica ne va dimostrato l'equilibrio con riguardo al saldo netto da finanziare del bilancio statale, al fabbisogno e all'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. Ha inoltre previsto che iniziative legislative non possono essere prese in considerazione se prive di relazioni tecniche o, comunque, se le stesse siano redatte in difformità dal modello prescritto.

 

L’articolo 11-ter della legge n. 468/1978, prevede al comma 1, che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, Cost., ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime[402].

Il comma 2 poi prevede che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica[403], sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture[404].

 

Il comma 7 in esame, dunque, opera una integrazione della disciplina contabile generale relativa alla copertura finanziaria.


 

Articolo 60, comma 11
(Riduzioni di spesa – Cooperazione allo sviluppo)

 

11. L'autorizzazione di spesa di cui alla legge 3 gennaio 1981, n. 7 e alla legge 26 febbraio 1987, n. 49 relativa all'aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo è ridotta di 170 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009.

 

 

Il comma 11 riduce di 170 milioni di euro l’autorizzazione di spesa, a decorrere dall’anno 2009, prevista dalla legge 3 gennaio 1981, n. 7 e dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49.

 

La legge 3 gennaio 1981, n. 7, ha autorizzato una spesa per il 1980 (di 200 miliardi di lire), per far fronte ad oneri connessi con le attività di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, in particolare per la lotta contro la fame nel mondo. La medesima legge ha poi stabilito che, per gli anni successivi al 1980, gli importi da destinare ai medesimi fini sarebbero stati determinati annualmente con la legge di bilancio.

Fra i destinatari, indicati nell’art. 1:il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP); l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO); l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNCHR); il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR); il fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF); il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM); il Fondo di rotazione delle Nazioni Unite per l'esplorazione delle risorse naturali (UNRFNRE); il Fondo delle Nazioni Unite per le attività relative alla popolazione (UNFPA); il Fondo delle Nazioni Unite per la scienza e la tecnologia (UNCSTD); il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (CGLAR); l'Agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti ai rifugiati palestinesi (UNRWA); il Fondo comune per la stabilizzazione dei prezzi e dei mercati delle materie prime (in ambito UNCTAD).

 

La legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, disegna un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali. Essa traccia le linee portanti dell'intervento di cooperazione, rinviando la disciplina di dettaglio ad atti normativi secondari del Governo e alle delibere degli organi istituiti dalla legge stessa, ossia il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), organo ad hoc subentrato nelle funzioni già assegnate al CIPE prima e al CIPES poi, ed il Comitato direzionale.

I principali strumenti d'intervento per realizzare le iniziative di cooperazione bilaterale sono il dono e il credito d'aiuto: la scelta dello strumento da utilizzare nei singoli casi dipende essenzialmente dalle condizioni economiche del paese beneficiario e dal tipo e dimensione dell'intervento, secondo criteri stabiliti dal CICS con proprie delibere.

Da un punto di vista finanziario, i mezzi per provvedere sia ai doni che ai crediti d’aiuto vengono decisi su base annuale, con legge finanziaria: mentre gli stanziamenti per i crediti d’aiuto vengono destinati al Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale, quelli per i doni (ed è il caso che interessa la norma in esame) sono distribuiti in 19 capitoli nell’ambito della rubrica Cooperazione allo sviluppo e gestione sfide globali.

La legge n. 49 del 1987 prevede inoltre attività di cooperazione multilaterale, che si sostanziano nella partecipazione alle iniziative comunitarie e nei contributi obbligatori e finanziamenti a banche e fondi di sviluppo. Per tali attività sono previsti appositi stanziamenti, attribuiti a vari capitoli in diversi stati di previsione.

 

La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) fissa nella tabella C[405] gli stanziamenti aggiuntivi per l’aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo - previsti dalla legge n. 7 del 1981 e dalla legge n. 49 del 1987 - in 739,341 milioni di euro per il 2009. Con l’approvazione della norma in esame, viene dunque operata una riduzione su questo importo pari al 23 per cento circa.

 


 

Articolo 60, comma 12
(Riduzioni di spesa – Industrie difesa)

 

12. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 896, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è ridotta di 183 milioni di euro per l'anno 2009.

 

 

Il comma 12 dell’articolo 60, riduce di 183 milioni di euro l’autorizzazione di spesa per l’anno 2009, prevista dall’art. 1, comma 896, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).

 

L’art. 1, comma 896, della legge n. 296/2006, ha istituito, nell’ambito dello stato di previsione del Ministero della difesa, un apposito fondo destinato al finanziamento degli interventi a sostegno dell'economia nel settore dell'industria nazionale ad elevato contenuto tecnologico.

Il fondo è iscritto con una dotazione di 1.700 milioni di euro per l'anno 2007, di 1.550 milioni di euro per l'anno 2008 e di 1.200 milioni di euro per l'anno 2009, per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali. Dall'anno 2010, per la dotazione del fondo si provvede ai sensi dell'art. 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. I programmi in esecuzione, o da avviare con le disponibilità del fondo sono individuati, nell'ambito della predetta pianificazione, con uno o più decreti del Ministro della difesa, che dispongono le conseguenti variazioni di bilancio e sono comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Corte dei conti.

La norma prevede infine che con decreti del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano individuate le modalità e le procedure di assunzione di spesa anche a carattere pluriennale per i programmi derivati da accordi internazionali.


 

Articolo 61, commi 1-7, 11-13, 15, 17
(Ulteriori misure di riduzione della spesa)

 


1. A decorrere dall’anno 2009 la spesa complessiva sostenuta dalle ammini­strazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Isti­tuto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con esclusione delle Autorità indipendenti, per organi collegiali e altri organismi, anche mono­cratici, comunque denominati, operanti nelle predette amministrazioni, è ridotta del 30 per cento rispetto a quella sostenuta nell’anno 2007. A tale fine le ammini­strazioni adottano con immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa.

2. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze, all’articolo 1, comma 9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «al 40 per cento», sono sostituite dalle seguenti: «al 30 per cento»;

b) in fine, è aggiunto il seguente periodo: «Nel limite di spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti».

3. Le disposizioni introdotte dal comma 2 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2009.

4. All’articolo 53, comma 14, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza».

5. A decorrere dall’anno 2009 le am­ministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità. La disposizione del presente comma non si applica alle spese per convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca.

6. A decorrere dall’anno 2009 le am­ministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non possono effettuare spese per sponso­rizzazioni per un ammontare superiore al 30 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità.

7. Le società non quotate a totale partecipazione pubblica ovvero comunque controllate dai soggetti tenuti all’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 2, 5 e 6 si conformano al principio di riduzione di spesa per studi e consulenze, per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché per sponsorizzazioni, desumibile dai predetti commi. In sede di rinnovo dei contratti di servizio, i relativi corrispettivi sono ridotti in applicazione della disposizione di cui al primo periodo del presente comma. I soggetti che esercitano i poteri dell’azionista garantiscono che, all’atto dell’approvazione del bilancio, sia comunque distribuito, ove possibile, un dividendo corrispondente al relativo risparmio di spesa.

(omissis)

11. I contributi ordinari attribuiti dal Ministero dell’interno a favore degli enti locali sono ridotti a decorrere dall’anno 2009 di un importo pari a 200 milioni di euro annui per i comuni ed a 50 milioni di euro annui per le province.

12. All’articolo 1, comma 725, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nel primo periodo, le parole: «all’80 per cento» e le parole «al 70 per cento» sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: «al 70 per cento» ed «al 60 per cento»;

b) nel secondo periodo, le parole: «e in misura ragionevole e proporzionata» sono sostituite dalle seguenti: «e in misura comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al primo periodo»;

c) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le disposizioni del presente comma si applicano anche alle società controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, dalle società indicate nel primo periodo del presente comma».

13. Le disposizioni di cui al comma 12 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2009.

(omissis)

15. Fermo quanto previsto dal comma 14, le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 5 e 6 non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome, agli enti, di rispettiva competenza, del Servizio sanitario nazionale ed agli enti locali. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 5 e 6 non si applicano agli enti previdenziali privatizzati.

(omissis)

17. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale. Le somme versate ai sensi del primo periodo sono riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente. La dotazione finanziaria del fondo è stabilita in 200 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009; la predetta dotazione è incrementata con le somme riassegnate ai sensi del periodo precedente. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze una quota del fondo di cui al terzo periodo può essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa l’assunzione di personale in deroga ai limiti stabiliti dalla legislazione vigente ai sensi e nei limiti di cui al comma 22; un’ulteriore quota può essere destinata al finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni indicate nell’articolo 67, comma 5, ovvero delle amministrazioni interessate dall’appli­cazione dell’articolo 67, comma 2. Le somme destinate alla tutela della sicurezza pubblica sono ripartite con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tra le unità previsionali di base interessate. La quota del fondo eccedente la dotazione di 200 milioni di euro non destinata alle predette finalità entro il 31 dicembre di ogni anno costituisce economia di bilancio.


 

 

Il comma 1dispone che, a decorrere dal 2009, le spese delle amministrazioni pubbliche per organi collegiali e altri organismi, anche monocratici, comunque denominati, operanti nelle predette amministrazioni, siano ridotte del 30 per cento rispetto a quelle sostenute nel 2007.

Il limite di spesa si applica alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato predisposto dall’ISTAT, ai sensi del comma 5, articolo 1, della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004), con proprio provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale[406].

 

La norma esclude esplicitamente dall’obbligo del contenimento delle spese le Autorità indipendenti.

 

Ai sensi del successivo comma 15 dell’articolo in esame, è inoltre disposta la non applicazione in via diretta delle disposizioni del comma 1 alle regioni, alle province autonome, agli enti del Servizio sanitario nazionale, di rispettiva competenza, ed agli enti locali, nonché applicano agli enti previdenziali privatizzati.

 

Il comma 2, lett. a) e b), ed il comma 3 apportano alcune modifiche al comma 9, articolo 1, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) in materia di limiti alla spesa annua delle pubbliche amministrazioni per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione.

In particolare, anche al fine valorizzare le professionalità interne alla amministrazioni, la lett. a) del comma 2 abbassa dal 40 al 30 per cento il limite entro cui le amministrazioni pubbliche devono ridurre la predetta tipologia di spesa rispetto all’ammontare speso nell’anno 2004.

La lett. b) del comma 2 chiarisce che entro tale limite deve essere altresì compreso l’ammontare della spesa annua sostenuta per studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti.

 

Ai sensi del successivo comma 15 tali disposizioni non si applicano alle regioni, alle province autonome, agli enti del Servizio sanitario nazionale, di rispettiva competenza, ed agli enti locali, nonché applicano agli enti previdenziali privatizzati.

 

Il comma 3 dispone, infine, che le norme suddette si applichino a decorrere dal 2009.

 

Si ricorda che, per la validità del conferimento, gli incarichi a soggetti estranei alle amministrazioni pubbliche (intese nella loro generalità, con l’esclusione delle università, degli enti di ricerca e degli organismi equiparati) debbono avere per oggetto materie rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, un’adeguata motivazione degli atti di affidamento, nonché la possibilità di procedere all’affidamento stesso solo nei casi previsti da legge o se sussistono eventi eccezionali. In ogni caso l’atto di affidamento deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi di studio e ricerca e di consulenze in assenza dei presupposti previsti dà luogo ad illecito disciplinare e determina responsabilità erariale.

In particolare, è intervenuta al riguardo la circolare del Ministero dell’economia e delle finanzen. 5 dell’11 febbraio 2005 che ha precisato che, ai fini della determinazione del limite della spesa, l’espressione “spesa sostenuta nell’anno 2004” va intesa nel senso di assumere come termine di riferimento la spesa impegnata nel medesimo anno. La circolare ha inoltre precisato che gli incarichi di consulenzaoggetto della disposizione sono quelli affidati mediante la stipula di convenzioni o di contratti di collaborazione coordinata e coordinativa. Si tratta, in particolare, delle fattispecie riconducibili agli articoli 2222 (contratto d’opera) e 2229 (esercizio delle professioni intellettuali) del codice civile, in cui si presentano condizioni di elevata professionalità e particolare autonomia nello svolgimento delle prestazioni. La Circolare, infine, per garantire una puntuale applicazione della norma, invita le amministrazioni a gestire le risorse relative alle spese interessate mediante specifici piani gestionali, da istituire con riferimento ai pertinenti capitoli di spesa.

 

Il comma 4, mediante una novella all’articolo 53, comma 14, del D.Lgs. n. 165 del 2001, dispone che, a decorrere dal 2009, il Dipartimento della funzione pubblica trasmetta alla Corte dei conti, entro la fine di ogni anno, l’elenco delle amministrazioni pubbliche che hanno omesso di comunicare i compensi percepiti dai propri dipendenti per incarichi d'ufficio e dai collaboratori esterni cui sono stati affidati incarichi di consulenza.

 

Si ricorda che l’articolo 53 del richiamato D.Lgs. n. 165, disciplina i casi di incompatibilità, cumulo di impieghi ed incarichi nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, il comma 14 dispone che tali amministrazioni siano tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico.

 

I commi 5 e 6 prevedono, a decorrere dal 2009, ulteriori riduzioni delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza da parte delle amministrazioni pubbliche inserite nel sopra citato elenco dell’ISTAT.

In particolare, il comma 5 stabilisce il limite del 50% delle citate tipologie di spesa rispetto all’ammontare impegnato nel 2007, escludendo tuttavia le spese per convegni organizzati da università ed enti di ricerca.

Il comma 6 prevede un limite analogo, pari al 30%, con riferimento alle spese per sponsorizzazioni.

Anche tali disposizioni non si applicano alle regioni, alle province autonome, agli enti del Servizio sanitario nazionale, di rispettiva competenza, ed agli enti locali, nonché applicano agli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del successivo comma 15.

 

Il comma 7 dispone che le società non quotate a totale partecipazione pubblica ovvero controllate dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto della PA si conformino ai limiti di spesa disposti dai precedenti commi 2, 5 e 6 (con particolare riferimento alle riduzioni della spesa riferite agli studi, consulenze, relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché sponsorizzazioni). La norma prevede, inoltre, che in sede di rinnovo dei contratti di servizio, i relativi corrispettivi siano ridotti e che i relativi risparmi di spesa, ove possibile, siano distribuiti sotto forma di dividendo.

 

Il comma 11 dispone che i contributi ordinari attribuiti agli enti locali siano ridotti, a decorrere dal 2009, di 200 milioni di euro per i comuni e di 50 milioni di euro per le province.

 

Al riguardo, si ricorda che gli stanziamenti relativi ai trasferimenti di parte corrente attribuiti agli enti locali risultano iscritti su appositi capitoli nello stato di previsione del Ministero dell’interno, secondo lo schema generale delineato dal D.Lgs. n. 504/1992.

Con particolare riferimento ai contributi ordinari, lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci di province e comuni mediante l'assegnazione del “Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali”.

La legge di bilancio n. 245 del 2008 ed il relativo DM dell’Economia e finanze del 28 dicembre 2007 che ne dispone la ripartizione in capitoli, prevede uno stanziamento in conto competenza per il 2008 del Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali pari a 4.569 milioni di euro, iscritto nel capitolo 1316 dell’UPB 2.3.2 di parte corrente (“Interventi”)[407].

 

Il comma 12, lett. da a) a c),prevede che il tetto massimo del compenso lordo annuale del presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione nelle società a totale partecipazione di comuni o province, previsto dal comma 725, articolo 1, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006) venga rispettivamente ridotto dall’80% al 70% delle indennità spettanti al sindaco e dal 70% al 60% di quelle del presidente della provincia (lett.a).

La lett. b) altresì prevede che l’indennità di risultato concessa solo a seguito del conseguimento di utili non possa comunque superare il doppio del compenso onnicomprensivo lordo annuale corrisposto ai predetti amministratori.

Viene pertanto implicitamente abrogata la disposizione che prevedeva che la predetta indennità di risultato potesse essere concessa più genericamente “in misura ragionevole e proporzionata”. Si ricorda inoltre che la determinazione della misura delle indennità di funzione per i sindaci e i presidenti delle province è demandata, ai sensi dell’art. 82 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000) ad un regolamento ministeriale, adottato con le modalità e nel rispetto dei criteri indicati dal medesimo art. 82.

 

Il comma 13 fa decorrere le disposizioni di cui al precedente comma a partire dal 2009.

 

Il comma 15 dispone la non applicazione in via diretta dei precedenti commi 1, 2, 5 e 6 alle regioni, alle province autonome, agli enti, di rispettiva competenza, del Servizio sanitario nazionale ed agli enti locali, nonché applicano agli enti previdenziali privatizzati.

 

Il comma 17 dispone che le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e dalle maggiori entrate derivanti dall’articolo in esame, ad esclusione dei commi 14 e 16 (vedi infra), siano versate dagli enti annualmente ad apposito capitolo dell’entrata di bilancio e riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente.

La norma prevede l’esclusione dai soggetti cui si applica la precedente disposizione degli enti territoriali e degli enti del Servizio sanitario nazionale di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano.

La dotazione del fondo è stabilita in 200 milioni di euro annui a decorrere dal 2009, oltre alle quote riassegnate che provengono dalle riduzioni di spesa e dalle maggiori entrate derivanti dall’articolo in esame.

Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, diconcerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze, una quota del predetto fondo che comprende la dotazione di 200 milioni e la riassegnazione delle riduzioni di spesa e delle maggiori entrate, può essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa l’assunzione di personale in deroga ai limiti stabiliti dalla legislazione vigente ai sensi e nei limiti di cui al comma 22 dell’articolo 61(vedi relativa scheda di lettura).

Le somme destinate alla tutela della sicurezza pubblica sono ripartite con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tra le unità previsionali di base interessate

 

Un’ulteriore quota dello stesso può essere destinata al finanziamento della contrattazione integrativa, con specifico riferimento alle amministrazioni interessate dall’articolo 67, comma 5 ovvero di quelle di cui al comma 2 del medesimo articolo 67.

 

Infine, la norma prevede che sia da intendersi come economia di bilancio quella quota-parte del fondo che risulti eccedente la dotazione di 200 milioni di euro che non venga destinata alle finalità sopra richiamate entro il 31 dicembre di ogni anno.

 


 

Articolo 61, comma 8
(Riduzione dei compensi nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)

 

8. A decorrere dal 1° gennaio 2009, la percentuale prevista dall’articolo 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è destinata nella misura dello 0,5 per cento alle finalità di cui alla medesima disposizione e, nella misura dell’1,5 per cento, è versata ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato.

 

 

Il comma 8 riduce allo 0,5 per cento l’originaria quota del 2 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro prevista come corrispettivo e incentivo per la progettazione dell’art. 92, comma 5, del Codice appalti, destinando il restante 1,5 per cento all’entrata del bilancio dello Stato.

 

Si ricorda che il comma 5 dell’articolo 92 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, stabilisce che una somma non superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, sia ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo del due per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere.

 

Si segnala, con riferimento al collaudo, che il successivo comma 9 riduce tale compenso di un ulteriore 50 per cento.

 


 

Articolo 61, comma 9
(Destinazione del 50 per cento dei compensi
per attività arbitrali e collaudi)

 


9. Il 50 per cento del compenso spettante al dipendente pubblico per l’attività di componente o di segretario del collegio arbitrale è versato direttamente ad apposito capitolo del bilancio dello Stato; il predetto importo è riassegnato al fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell’Avvocatura dello Stato ove esistenti; la medesima disposizione si applica al compenso spettante al dipendente pubblico per i collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai corrispettivi non ancora riscossi relativi ai procedimenti arbitrali ed ai collaudi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.


 

 

Il comma 9 dispone il versamento ad apposito capitolo del bilancio statale del 50 per cento del compenso che spetta al dipendente pubblico per l’attività di segretario o componente del collegio arbitrale; tali versamenti sono riassegnati al Fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti, ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell’Avvocatura dello Stato. La stessa disposizione si applica altresì ai compensi dei dipendenti pubblici per collaudi[408]svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nonché ai corrispettivi non ancora riscossi dei procedimenti arbitrali e dei collaudi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in oggetto.

 

L’istituto del collaudo è regolato dagli articolo 120 e 141 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

In particolare, l’articolo 120, per i contratti relativi a servizi e forniture, demanda al regolamento esecutivo del Codice (non ancora emanato) le modalità di verifica della conformità delle prestazioni eseguite a quelle pattuite, con criteri semplificati per quelli di importo inferiore alla soglia comunitaria, mentre per i contratti relativi ai lavori il regolamento disciplina il collaudo con modalità ordinarie e semplificate, in conformità a quanto previsto dal Codice.

L’articolo 141, relativo al collaudo di lavori pubblici, attribuisce al regolamento la definizione delle norme concernenti il termine entro il quale deve essere effettuato il collaudo finale, dei requisiti professionali dei collaudatori secondo le caratteristiche dei lavori, della misura del compenso ad essi spettante, nonché delle modalità di effettuazione del collaudo e di redazione del certificato di collaudo ovvero, nei casi previsti, del certificato di regolare esecuzione. I commi 4 e 5 definiscono, inoltre le modalità di nomina e le incompatibilità dei tecnici che effettuano le operazioni di collaudo, prevedendo, per le stazioni appaltanti che sono amministrazioni aggiudicatrici, che i tecnici siano nominati nell'ambito delle proprie strutture, salvo che nell'ipotesi di carenza di organico accettata e certificata dal responsabile del procedimento.

 


 

Articolo 61, comma 10
(Indennità e gettoni di presenza degli amministratori locali)

 

10. A decorrere dal 1° gennaio 2009 le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell’articolo 82 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono rideterminati con una riduzione del 30 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 per gli enti indicati nel medesimo articolo 82 che nell’anno precedente non hanno rispettato il patto di stabilità. Sino al 2011 è sospesa la possibilità di incremento prevista nel comma 10 dell’articolo 82 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000.

 

 

Il comma 10 dell’articolo 61, con l’intento di contenere i costi per la rappresentanza degli enti locali, interviene su alcuni aspetti del regime delle indennità edei gettoni di presenza spettanti agli amministratori locali, prevedendo in particolare:

§      a partire dal 1° gennaio 2009, la riduzione del 30%, rispetto all’ammontare alla data del 30 giugno 2008, delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori degli enti locali disciplinate dall’art. 82 del Testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000[409], nel prosieguo: TUEL). Tale riduzione si applica limitatamente agli enti che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nell’anno precedente;

§      la sospensione sino al 2011 della possibilità (prevista dal comma 10 del citato art. 82) di adeguare, in relazione alle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo, la misura dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori degli enti locali (più precisamente, si tratta dei previsti adeguamenti triennali disposti con decreto del ministro dell’interno sulla base della media degli indici ISTAT di variazione del costo della vita).

 

La disciplina dell’indennità degli amministratori locali è dettata dall’art. 82 del TUEL. Le norme di seguito illustrate non trovano applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome che, in forza dell’autonomia normativa in materia di ordinamento degli enti locali loro riconosciuta, hanno emanato specifiche disposizioni.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 82, viene corrisposta un’indennità di funzione ai seguenti componenti degli organi esecutivi e consiliari:

-        sindaco;

-        presidente della provincia;

-        sindaco metropolitano;

-        presidente di comunità montana;

-        presidente del consiglio circoscrizionale nei soli comuni capoluogo di provincia;

-        presidente del consiglio comunale;

-        presidente del consiglio provinciale.

L’indennità di funzione spetta inoltre ai componenti degli organi esecutivi di:

-        comuni e loro articolazioni (circoscrizioni), ove previste;

-        province;

-        città metropolitane;

-        comunità montane;

-        unioni di comuni;

-        consorzi fra enti locali.

Hanno diritto a percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni (art. 82, comma 2) i componenti degli organi elettivi di seguito indicati:

-        consiglieri comunali;

-        consiglieri provinciali;

-        consiglieri circoscrizionali, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia;

-        consiglieri delle comunità montane.

Mentre l’indennità di funzione che compete al sindaco e agli assessori è connessa alla carica, i gettoni di presenza spettanti ai membri dei consigli sono corrisposti per l’effettiva partecipazione alle sedute del consiglio.

La legge pone un tetto agli emolumenti dei componenti degli organi elettivi, stabilendo che l’ammontare percepito nell’àmbito di un mese da un consigliere non può comunque superare un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente (art. 82, comma 2, secondo periodo).

La misura base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è determinata(art. 82, comma 8) con un regolamento ministeriale adottato con decreto del ministro dell’interno, di concerto con il ministro dell’economia e finanze, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, nel rispetto di specifici criteri, che prevedono, in particolare, l’articolazione delle indennità in rapporto con la dimensione demografica degli enti, tenendo conto delle fluttuazioni stagionali della popolazione, della percentuale delle entrate proprie dell’ente rispetto al totale delle entrate e dell’ammontare del bilancio di parte corrente.

Il vigente regolamento è stato approvato con D.M. 4 aprile 2000, n. 119.

Il comma 10 dell’art. 82 del TUEL stabilisce che ogni tre anni si proceda all’adeguamento della misura delle indennità e dei gettoni di presenza con l’emanazione di un nuovo D.M. L’aggiornamento è effettuato sulla base della media degli indici annuali dell’ISTAT di variazione del costo della vita.

Gli importi delle indennità e dei gettoni di presenza possono essere rivisti anche su richiesta della Conferenza Stato-città (art. 82, comma 9).

Nel 2003 il ministro dell’interno ha predisposto il previsto schema di decreto relativo all’aggiornamento degli emolumenti degli amministratori locali: a seguito del mancato concerto con il ministro dell’economia, il decreto non è stato pubblicato.

Non risulta che da allora siano state assunte altre iniziative in materia.

Pertanto, attualmente, continua ad applicarsi il citato D.M. 119/2000 con le relative tabelle e con gli adeguamenti che sono stati decisi dagli organi dei singoli comuni e province ai sensi dell’art. 82, comma 11, del TUEL nella formulazione previgente rispetto a quella novellata dal decreto-legge n. 112/2008 (si veda qui di seguito).

Prima dell’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 76, comma 3, del decreto-legge n. 112/2008, (che ha novellato l’art. 82, comma 11, del TUEL) la misura dell’indennità di funzione dei sindaci, presidenti di provincia, assessori comunali e provinciali e presidenti delle assemblee poteva essere aumentata con delibera del consiglio o della giunta, entro determinati limiti e a condizione che l’ente rispettasse il patto di stabilità e non si trovasse in condizioni di dissesto finanziario.

 

La disciplina delle indennità degli amministratori locali (in particolare l’art. 82, comma 11, del TUEL) è modificata dal comma 3 dell’articolo 76 del decreto-legge n. 112/2008, alla cui scheda si rinvia, anche per una più approfondita ricostruzione della normativa.


 

Articolo 61, comma 14
(Riduzione dei compensi nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)

 

14. A decorrere dalla data di conferimento o di rinnovo degli incarichi i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici sono rideterminati con una riduzione del 20 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008.

 

 

Il comma 14 dispone, a decorrere dalla data di conferimento o di rinnovo degli incarichi, una riduzione del 20 per cento delle retribuzioni spettanti ai direttori generali, ai direttori sanitari, ai direttori amministrativi ed ai componenti dei collegi sindacali delle strutture sanitarie del SSN, rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008.


 

Articolo 61, comma 16
(Riduzione di oneri di organismi politici e di apparati amministrativi regionali)

 


16. Ai fini del contenimento della spesa pubblica, le regioni, entro il 31 dicembre 2008, adottano disposizioni, normative o amministrative, finalizzate ad assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, con particolare riferimento alla diminuzione dell’ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del numero di questi ultimi, alla soppressione degli enti inutili, alla fusione delle società partecipate, al ridimensionamento delle strutture organizzative ed all’adozione di misure analoghe a quelle previste nel presente articolo. La disposizione di cui al presente comma costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell’Unione europea. I risparmi di spesa derivanti dall’attuazione del presente comma, aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, concorrono alla copertura degli oneri derivanti dall’attuazione del comma 19.


 

 

Il comma 16 prevede che, entro il 2008, le regioni adottino disposizioni finalizzate alla riduzione degli oneri di organismi politici e di apparati amministrativi. I risparmi di spesa derivanti da tale disposizione - che è espressamente qualificata come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica[410] ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell’Unione europea - sono aggiuntivi a quelli derivanti dal patto di stabilità interno, disciplinato dal successivo articolo 77-ter (v. infra) e concorrono alla copertura degli oneri derivanti dalla soppressione per il triennio 2009-2011 della quota di partecipazione al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, prevista dal comma 19 del presente articolo.

 

Al riguardo, si segnala che ai sensi del successivo comma 21, le regioni possono, tuttavia, stabilire che - in luogo della completa adozione delle misure di cui al presente comma e di quelle relative ai trattamenti economici e ai compensi spettanti a dirigenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, recate dal comma 14 del presente articolo – si applichino, in misura integrale o ridotta, la quota di partecipazione soppressa ovvero altre forme di partecipazione alla spesa sanitaria. Sul punto v. comunque più ampiamente infra.

 

La disposizione riporta un elenco non tassativo delle misure di carattere normativo o amministrativo finalizzate alla riduzione delle spese, menzionando:

§      la diminuzione dell’ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi;

§      la riduzione del numero dei componenti degli organi amministrativi;

§      la riduzione degli enti inutili;

§      la fusione delle società partecipate;

§      il ridimensionamento delle strutture organizzative :

§      l’adozione di misure analoghe a quelle previste nell’articolo in esame (la disposizione sembra, in particolare, fare riferimento a quanto previsto nei commi 1, 2, 5 e 6 dell’articolo 61, i quali – ai sensi del comma 15 dello stesso articolo (v. supra) – non si applicano in via diretta alle regioni e alle province autonome).

 

Con riferimento alla disposizione in esame, si ricorda che interventi di carattere sistematico ed interistituzionale volti al contenimento della spesa pubblica sono contenuti anche nelle più recenti manovre finanziarie.

Per quanto riguarda le disposizioni contenute nella legge finanziaria 2008 (L. 244/2007)[411], si segnalano i commi 33 e 34 dell’articolo 2, che contengono una disposizione di indirizzo diretta alla razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa degli enti territoriali, e, più in particolare, alla soppressione o accorpamento di enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni – o parte di esse – esercitate dagli enti territoriali.

Il comma 33 è indirizzato alle regioni che, in coordinamento con lo Stato, dovrebbero provvedere alla revisione dell’allocazione delle funzioni al fine, come detto, di eliminarne le duplicazioni, mentre il comma 34 è diretto agli enti locali, per quanto concerne enti ed organismi da essi istituiti. La norma di indirizzo, che richiama il principio di coordinamento della finanza pubblica e l’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione[412], non è accompagnata da disposizioni sulla rilevazione di adempimenti specifici o comunque sul monitoraggio del comportamento delle regioni e degli enti locali a riguardo. Sono altresì assenti disposizioni relative a possibili sanzioni in caso di non osservanza.

In modo speculare, l’articolo 2, comma 634, lettera c) della medesima legge finanziaria 2008 dispone – nell’ambito di un più generale procedimento di soppressione o razionalizzazione degli enti pubblici statali - che lo Stato provveda sopprimere od accorpare enti, agenzie, organismi che svolgano le medesime funzioni, in tutto o in parte, esercitate da regioni ed enti locali su conferimento o delega dello Stato.

Disposizioni analoghe erano peraltro contenute già nella legge finanziaria 2007 (L. 296/2006)[413].

I commi 721-723 dell’art. 1 recavano, infatti, una disposizione di principio finalizzata al contenimento della spesa pubblica regionale riferita, in particolare, ai costi degli organismi politici e degli apparati amministrativi.

La norma fissava un termine di sei mesi entro affinché le regioni provvedessero ad adottare disposizioni, normative o amministrative, allo scopo di:

-        ridurre la spesa per gli organi rappresentativi attraverso la riduzione del numero dei loro componenti e la diminuzione dei compensi e delle indennità loro spettanti;

-        sopprimere gli enti inutili;

-        procedere alla fusione delle società partecipate;

-        ridimensionare le strutture organizzative.

Il comma 722 specificava che le norme dettate dal comma 721 costituiscono principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e pertanto si applicano nei confronti di tutte le regioni, comprese quelle ad autonomia speciale, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

Il comma 723 collega alla disposizione un obiettivo di risparmio quantificato in un miglioramento dei saldi finanziari dei bilanci regionali del 10% rispetto ai saldi dell'anno precedente.

Anche in questo caso, peraltro, le disposizioni non prevedevano espressamente controlli o verifiche successive in ordine al rispetto dell’obiettivo del risparmio del 10%.

Per quanto attiene all’inquadramento della disposizione nel quadro delle competenze delineato dall’articolo 117 della Costituzione, si rileva che la Corte costituzionale, in varie pronunce (cfr. ad es. sentt. 50 e 336 del 2005) ha affermato in via generale che la nozione di “principio fondamentale” non può avere carattere di rigidità e di universalità, poiché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo; l’ampiezza e l’area di operatività di tali princìpi, dunque, devono essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere conto, in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si presentano. Spetta quindi al legislatore operare le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali (che l’interprete deve valutare nella loro obiettività e senza essere condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni).

Questo orientamento ha consentito alla Corte in più occasioni di considerare legittime, in quanto riconducibili al principio di coordinamento della finanza pubblica, disposizioni statali (prevalentemente comprese in leggi finanziarie) incidenti anche in modo “penetrante” sull’autonomia degli enti territoriali relativa alla gestione della spesa (cfr. ad es. sentt. 4, 17 e 36 del 2004, 417 del 2005).

In altre recenti pronunce, peraltro (tra le quali particolare rilievo assume la medesima sent. 417/2005 testé citata[414]), la Corte, intervenendo sull’ammissibilità di vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali, ha ritenuto che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ancorché si traducano (inevitabilmente) in limitazioni indirette all’autonomia di spesa dei suddetti enti, solo con “disciplina di principio” e “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari”. Sempre secondo la Corte, “la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò ‘in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi” (in tal senso v. tra le altre le sentenze n. 449/2005, 95/2007, 159/2008[415].


 

Articolo 61, comma 18
(Fondo per il potenziamento della sicurezza
urbana e della tutela dell’ordine pubblico)

 

18. Per l’anno 2009 è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno un apposito fondo, con una dotazione di 100 milioni di euro, per la realizzazione, sulla base di apposite convenzioni tra il Ministero dell’interno ed i comuni interessati, delle iniziative urgenti occorrenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell’ordine pubblico. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni per l’attuazione del presente comma.

 

 

Il comma 18 dell’articolo 61 istituisce per l’anno 2009, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un fondo con dotazione pari a 100 milioni di euro. Il fondo è finalizzato alla realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e della tutela dell’ordine pubblico; tali iniziative sono definite in apposite convenzioni stipulate tra il Ministero dell’interno ed i comuni interessati.

La disposizione demanda ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione delle necessarie misure di attuazione.

 

La disposizione, nel demandare il compito di individuare delle iniziative da finanziare ad apposite convenzioni tra il Ministero dell’interno e i comuni interessati, si inserisce nel novero delle misure che riconoscono agli enti locali un ruolo sempre maggiore nelle politiche della sicurezza urbana, in osservanza al principio di sussidiarietà e, dunque, all’opportunità di allocare funzioni e poteri pubblici ai livelli istituzionali più vicini al cittadino.

In questa ottica nel 1997 furono stipulati i primi patti per la sicurezza che prevedevano forme di collaborazione tra gli organismi statali e gli enti locali e territoriali nel campo della sicurezza e della tutela della legalità. Nel 2006 risultavano essere stati attivati circa 400 strumenti pattizi con varia denominazione e in molti casi non riconducibili ad una logica unitaria. Pertanto, da quella data, essi non sono stati rinnovati automaticamente, come avveniva in precedenza: è stata invece avviata una fase nuova, caratterizzata dall’individuazione di alcuni principi guida dei patti di nuova generazione. Nel quadro di una visione generale unitaria, si è ritenuto che le politiche della sicurezza debbano tenere conto anche della specificità delle singole realtà territoriali e che gli obiettivi, le priorità e i modi di intervento debbano essere definiti attraverso una forte cooperazione con le istituzioni locali[416].

Preliminarmente si è data una base normativa a questi strumenti di collaborazione Stato-enti territoriali nel campo della sicurezza: il comma 439 dell’art. 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) ha autorizzato i prefetti a stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali per realizzare programmi straordinari per incrementare i servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la tutela della sicurezza dei cittadini, accedendo alle risorse logistiche, strumentalio finanziarie che le regioni e gli enti locali intendono destinare nel loro territorio per questi scopi. Le contribuzioni finanziarie provenienti dalle regioni o dagli enti locali in favore del Ministero dell’interno per queste finalità sono state espressamente escluse dall’applicazione dell’art. 1, comma 46, della L. 266/2005 (finanziaria 2006), che stabilisce un limite alle riassegnazioni di risorse alle singole amministrazioni[417].

Sulla base delle previsioni della legge finanziaria per il 2007, è stato stipulato, il 20 marzo 2007, un Patto per la sicurezza tra il Ministero dell’Interno e l’ANCI, che coinvolge tutti i comuni italiani e, nell’ambito di questo accordo cornice, un’intesa per la sicurezza delle aree urbane con i sindaci delle città sedi di aree metropolitane.

Facendo ricorso alla disposizione della legge finanziaria per il 2007 sono stati definiti interventi concreti sul territorio (“missioni” specifiche[418]) attraverso protocolli e programmi congiunti, condivisi tra la prefettura, il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, il comune e la provincia. I patti per la sicurezza sono stipulati nell’ambito del comitato provinciale, che individua le priorità di intervento e interviene per realizzarle attraverso un apposito fondo speciale, allocato presso le prefetture ed alimentato dagli enti locali, che in tal modo partecipano ai costi del sistema di sicurezza[419].

Tali accordi prevedono l’impiego comune di uomini e mezzi, interventi mirati in campo urbanistico, la gestione di risorse finanziarie comuni, l’individuazione di aree di particolare rischio. Essi hanno durata generalmente annuale e sono oggetto di verifica ogni sei mesi.

Dalla fine del 2006 ad oggi sono stati sottoscritti 23 patti per la sicurezza tra il ministro dell’interno e i rappresentanti delle istituzioni locali

 

Patto

Data

Patto per la sicurezza di Napoli e provincia

3 novembre 2006

Patto per Milano sicura

18 maggio 2007

Patto per Roma sicura

18 maggio 2007

Patto per Torino sicura

22 maggio 2007

Patto per Catania sicura

11 giugno 2007

Patto per Cagliari sicura

11 giugno 2007

Patto per Genova sicura

14 giugno 2007

Patto per Bari sicura

18 giugno 2007

Patto per Bologna sicura

19 giugno 2007

Patto per Modena sicura

18 luglio 2007

Patto per Venezia sicura

18 luglio 2007

Patto per Firenze sicura

19 luglio 2007

Patto per Prato sicura

31 luglio 2007

Patto per la sicurezza di Vicenza

13 novembre 2007

Patto per Asti sicura

17 dicembre 2007

Patto per Perugia sicura

10 marzo 2008

Patto per Como sicura

10 giugno 2008

Patto per la sicurezza di Siena

17 giugno 2008

Patto per Brescia sicura

28 luglio 2008

Secondo Patto per Roma sicura

29 luglio 2008

Patto per la sicurezza area Mariano Comense

5 agosto 2008

Patti per la Sicurezza nei Piccoli Comuni. Accordo ministero dell'Interno Anci-Consulta nazionale piccoli comuni

13 settembre 2008

Patto per la sicurezza per Fara in Sabina

16 settembre 2008

Fonte: Ministero dell’interno

 

Nello stesso periodo sono stati stipulati anche accordi, rispettivamente con la Calabria (16 febbraio 2007) e con il Friuli-Venezia Giulia (27 marzo 2007), e due protocolli d’intesa tra le istituzioni locali: a Bari e a Bologna (rispettivamente il 18 e il 19 giugno 2007).

 


 

Articolo 61, commi 19-21
(Abolizione del ticket sull’assistenza specialistica)

 


19. Per gli anni 2009, 2010 e 2011, la quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esentati, di cui all’articolo 1, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è abolita. Resta fermo quanto previsto dal comma 21 del presente articolo.

20. Ai fini della copertura degli oneri derivanti dall’attuazione del comma 19:

a) il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale concorre ordinariamente lo Stato, di cui all’articolo 79, comma 1, del presente decreto, è incrementato di 400 milioni di euro su base annua per gli anni 2009, 2010 e 2011;

b) le regioni:

       1) destinano, ciascuna al proprio servizio sanitario regionale, le risorse provenienti dalle disposizioni di cui ai commi 14 e 16;

       2) adottano ulteriori misure di incremento dell’efficienza e di razionalizzazione della spesa, dirette a realizzare la parte residuale della copertura degli oneri derivanti dall’attuazione del comma 19.

21. Le regioni, comunque, in luogo della completa adozione delle misure di cui ai commi 14 e 16 ed al numero 2) della lettera b) del comma 20 possono decidere di applicare, in misura integrale o ridotta, la quota di partecipazione abolita ai sensi del comma 19, ovvero altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria di effetto finanziario equivalente. Ai fini dell’attuazione di quanto previsto al comma 20, lettera b), e al primo periodo del presente comma, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, comunica alle regioni, entro il 30 settembre 2008, l’importo che ciascuna di esse deve garantire ai fini dell’equivalenza finanziaria.


 

 

Il comma 19 abolisce per gli anni 2009, 2010 e 2011 la quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esenti, introdotta dalla legge finanziaria per il 2007, limitatamente ai cittadini non esenti, pari a 10 euro.

 

Per la copertura degli oneri derivanti dalla abolizione della quota di partecipazione per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, per gli 2009, 2010 e 2011 ad integrazione del finanziamento ordinario per il SSNil comma 20 prevede, da parte dello Stato, uno stanziamento annuo di 400 milioni euro, e, da parte delle Regioni, uno stanziamento di risorse provenienti dalla riduzione dei compensi previsti per il personale indicato al comma 14 e degli oneri stabiliti per gli organismi politici e amministrativi di cui al comma16. La norma consente altresì alle regioni l’adozione di ulteriori misure di contenimento della spesa per coprire la restante parte dell’onere previsto dalla suddetta manovra.

 

Il comma 21 facoltà alle Regioni di applicare, in misura integrale o ridotta, la quota di partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale ovvero di prevedere forme alternative di partecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini, in alternativa alla completa adozione delle specifiche misure previste per le regioni ai fini del contenimento della spesa relativa ai compensi per gli organismi dirigenziali delle strutture sanitarie e agli oneri stabiliti per gli organismi politici e amministrativi.

 


 

Articolo 61, comma 22
(Assunzioni in deroga per le Forze di polizia)

 


22. Per l’anno 2009, per le esigenze connesse alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione ed al contrasto del crimine, alla repressione delle frodi e delle violazioni degli obblighi fiscali ed alla tutela del patrimonio agroforestale, la Polizia di Stato, Corpo dei Vigili del Fuoco, l’Arma dei carabinieri, il Corpo della Guardia di finanza, il Corpo di polizia penitenziaria ed il Corpo forestale dello Stato sono autorizzati ad effettuare assunzioni in deroga alla normativa vigente entro un limite di spesa pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009, a valere, quanto a 40 milioni di euro per l’anno 2009 e a 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010, sulle risorse di cui al comma 17, e quanto a 60 milioni di euro per l’anno 2009 a valere sulle risorse di cui all’articolo 60, comma 8. Tali risorse sono destinate prioritariamente al reclutamento di personale proveniente dalle Forze armate. Alla ripartizione delle predette risorse si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro il 30 aprile 2009, secondo le modalità di cui all’articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.


 

 

Il comma 22 dell’articolo 61 autorizza, per il 2009,per le esigenze di tutela dell’ordine pubblico, di prevenzione e contrasto del crimine, di repressione delle frodi e delle violazioni degli obblighi fiscali ed di tutela del patrimonio agroforestale, assunzioni in deroga alla normativa vigente nella Polizia di Stato, nel Corpo dei Vigili del fuoco, nell’Arma dei carabinieri, nella Guardia di finanza, nella Polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato, entro il limite di spesa di 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2009, dando priorità al reclutamento del personale proveniente dalle Forze armate.

La ripartizione delle risorse in questione viene affidata ad un apposito D.P.R., da emanare entro il 30 aprile 2009, secondo le modalità di cui all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449/1997, e successive modificazioni[420].

 


 

Articolo 61, commi 23-24
(Gestione delle somme di denaro sequestrate e dei proventi dei beni confiscati)

 


23. Le somme di denaro sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, o di irrogazione di sanzioni amministrative, anche di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, affluiscono ad un unico fondo. Allo stesso fondo affluiscono altresì i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di procedimenti penali, amministrativi o per l’applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o di irrogazione di sanzioni amministrative, anche di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni. Per la gestione delle predette risorse può essere utilizzata la società di cui all’articolo 1, comma 367 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’interno, sono adottate le disposizioni di attuazione del presente comma.

[24. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’interno, provvede annualmente a determinare con decreto i risparmi conseguiti per effetto dell’applicazione delle disposizioni del comma 23, che sono devoluti insieme ai proventi di cui al secondo periodo del citato comma 23, previa verifica di compatibilità e ammissibilità finanziaria delle relative utilizzazioni, per quota parte alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, per altra quota al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia, e per la restante parte sono versati all’entrata del bilancio dello Stato.] (*).

___________

(*)  Comma abrogato dall'art. 2, comma 8, D.L. 16 settembre 2008, n. 143.


 

 

I commi 23 e 24 dell'articolo 61 contengono disposizioni in materia di gestione di somme di denaro sequestrate e di proventi derivanti da beni confiscati.

In particolare, il comma 23 dispone l'istituzione di un fondo unico nel quale confluiscono:

§      le somme di denaro sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o per applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, recante Disposizioni contro la mafia;

§      le somme di denaro derivanti dall’irrogazione di sanzioni amministrative (comprese quelle irrogate alle persone giuridiche ai sensi del decreto legislativo 231/2001[421]);

§      i proventi dei beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali, amministrativi o per l'applicazione di misure di prevenzione di cui alla suddetta legge 575/1965, nonché di cui alla legge 1423/1956[422] o di irrogazione di sanzioni amministrative (anche di cui al suddetto decreto legislativo 231/2001).

Lo stesso comma 23 precisa:

§      che la gestione delle suddette risorse può essere affidata alla società interamente posseduta da Equitalia s.p.a. (ex Riscossione s.p.a.), alla quale la legge finanziaria per il 2008 ha demandato la riscossione delle spese di giustizia;

§      che le disposizioni di attuazione della norma in esame (compreso quindi detto affidamento ad Equitalia) siano adottate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno).

 

Al riguardo, va segnalato che l’art. 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143[423], il cui disegno di legge di conversione è all’esame del Senato, è nuovamente intervenuto sulla materia.

 

Il decreto-legge 143/2008 denomina il fondo in esame come Fondo unico giustizia, ne affida la gestione ad Equitalia giustizia s.p.a. e rinvia al decreto ministeriale di cui al decreto-legge 112/2008 le modalità di gestione del Fondo (comma 1).

Inoltre, il citato decreto-legge individua le ulteriori risorse che sono destinate a confluire nel Fondo (comma 2), ossia:

-        i proventi di cui all'art. 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008,

-        i proventi di cui all'art. 262, comma 3-bis, c.p.p.[424];

-        i proventi relativi a titoli al portatore, a quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore, ai valori di bollo, ai crediti pecuniari, ai conti correnti, ai conti di deposito titoli, ai libretti di deposito e ad ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimenti di sequestro nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 575/1965, o di irrogazione di sanzioni amministrative, inclusi quelli di cui al decreto legislativo 231/2001.

Ai sensi del comma 3, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, Poste Italiane s.p.a., banche e altri operatori finanziari devono intestare “Fondo unico giustizia” i titoli, i valori, i crediti, i conti, i libretti e le altre attività di cui al comma 2 e trasmettere a Equitalia giustizia s.p.a. le informazioni individuate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, da emanarsi entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge.

Il comma 4 stabilisce che sono altresì intestati “Fondo unico giustizia” tutti i conti correnti e i conti di deposito che Equitalia giustizia s.p.a., successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, intrattiene per farvi affluire:

-        le ulteriori risorse derivanti dall'applicazione dell'art. 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008,

-        le ulteriori risorse derivanti dall'applicazione dell'art 262, comma 3-bis, c.p.p.,

-        i relativi utili di gestione nonché

-        i controvalori degli atti di disposizione dei beni confiscati di cui al predetto art. 61, comma 23.

Ai sensi del comma 5, Equitalia giustizia s.p.a. è tenuta a versare in conto entrate al bilancio dello Stato per essere riassegnate alle unità previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero della giustizia concernenti le spese di investimento (per l’avvio e la diffusione del processo telematico), le somme di denaro per le quali è stata decisa dal giudice dell'esecuzione, ma non ancora eseguita, la devoluzione allo Stato delle somme medesime.

Il comma 6 stabilisce che con il decreto del Ministro dell'economia, di cui all'art. 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008, sono altresì stabiliti:

-        la remunerazione massima spettante a titolo di aggio nei cui limiti il Ministro dell'economia e delle finanze stabilisce con proprio decreto quella dovuta a Equitalia giustizia s.p.a. per la gestione del Fondo unico giustizia;

-        le modalità di controllo e di rendicontazione delle somme gestite da Equitalia giustizia s.p.a.;

-        la natura delle risorse utilizzabili ai sensi del comma 7 (v. infra);

-        i criteri e le modalità da adottare nella gestione del Fondo in modo che venga garantita la pronta disponibilità delle somme necessarie per eseguire le restituzioni eventualmente disposte dal giudice dell'esecuzione.

Ai sensi del comma 7, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno, sono stabilite, previa verifica dei presupposti del relativo incameramento nonché della compatibilità finanziaria delle relative utilizzazioni, le quote delle risorse intestate “Fondo unico giustizia”, anche frutto di utili della loro gestione finanziaria:

a) da devolvere al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive di cui all'art. 18, comma 1, lettera c), della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso di cui all'art. 1 della legge 22 dicembre 1999, n. 512;

b) da devolvere al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia;

c) da acquisire all'entrata del bilancio dello Stato.

Conseguentemente a tali previsioni, il comma 8 abroga il comma 24 dell'art. 61 del decreto-legge 112/2008 (v. infra).

Il comma 9 modifica infine l'art. 676, comma 1, c.p.p., sottraendo al giudice dell'esecuzione la competenza relativa alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3-bis dell'art. 262.

 

Il comma 24 è stato abrogato dall’articolo 2, comma 8, del citato decreto-legge 143/2008.

La disposizione stabiliva che un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze (di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno), avrebbe provveduto ogni anno alla determinazione e devoluzione dei risparmi derivanti dall’istituzione del fondo unico. Tali somme dovevano essere destinate:

§         in parte, alla tutela della sicurezza pubblica e del pubblico soccorso;

§         in parte, al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia;

§         per il resto, all’entrata del bilancio dello Stato.

 


 

Articolo 61, comma 25
(Abrogazione del Fondo per la legalità)

 

25. Sono abrogati i commi 102, 103 e 104 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

 

 

Il comma 25 dell’articolo 61 risponde a una finalità dicoordinamento in relazione alle nuove disposizioni dettate dal comma 23, istitutivo del Fondo unico giustizia.

 

La norma in esame dispone l’abrogazione dei commi da 102 a 104 dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), che istituivano, presso il Ministero dell’interno, il Fondo per la legalità e ne determinavano l’utilizzo delle risorse e i termini e modalità d’accesso.

Il Fondo aveva lo scopo di finanziare iniziative e progetti volti a rafforzare la legalità e il miglioramento delle condizioni di vita dei territori in cui opera la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare.

In particolare, potevano essere finanziati anche parzialmente progetti relativi:

-        al potenziamento delle risorse strumentali e delle strutture delle Forze di polizia;

-        al risanamento di quartieri urbani degradati;

-        alla prevenzione e recupero di condizioni di disagio e di emarginazione;

-        al recupero o alla realizzazione di strutture pubbliche;

-        alla diffusione della cultura della legalità.

La disciplina di attuazione del Fondo per la legalità e le modalità di accesso erano demandate a un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria.

Tali disposizioni sono abrogate in quanto il Fondo per la legalità avrebbe dovuto essere alimentato dai proventi dei beni mobili e dalle somme confiscate a titolo di misura di prevenzione patrimoniale, che ora, invece, affluiscono al Fondo unico giustizia.


 

Articolo 61, comma 26
(Destinazione dei beni mobili sequestrati in operazioni anticontrabbando)

 

26. All’articolo 301-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, nel comma 1, dopo le parole: «beni mobili» sono inserite le seguenti: «compresi quelli».

 

 

Il comma 26, modificando il comma 1 dell’art. 301-bisdel Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), estende anche ai beni mobili non iscritti in pubblici registri, ove siano stati sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando, l’applicazione dell’affidamento agli organi di polizia, ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici.

 

Alla luce delle modifiche operate, infatti, tutti i beni mobili – e non solo, come previsto in origine, quelli iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili - sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando, sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia, ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.

 

L’articolo 301-bis reca poi disposizioni che precisano il contenuto dell’istituto dell’affidamento. Sono tra l’altro disciplinati: gli oneri gestionali ed assicurativi dei beni affidati (comma 2), l’ipotesi di distruzione nel caso in cui non vi siano istanze di affidamento in custodia giudiziale, le norme procedurali per l’affidamento medesimo (comma 4), l’ipotesi di dissequestro dei beni (comma 5) e l’assegnazione dei beni acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimenti definitivi di confisca (comma 6).


 

Articolo 61, comma 27
(Utilizzo dei conti bancari “dormienti” per il finanziamento
della carta acquisti)

 

27. Dopo il comma 345 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è inserito il seguente:

«345-bis. Quota parte del fondo di cui al comma 345, stabilita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, è destinata al finanziamento della carta acquisti, di cui all’articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, finalizzata all’acquisto di beni e servizi a favore dei cittadini residenti che versano in condizione di maggior disagio economico».

 

 

Il comma 27 novella la legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), aggiungendo il comma 345-bis che destina quota parte del fondo alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari “dormienti” all'interno del sistema bancario al finanziamento della carta acquisti finalizzata all’acquisto di beni e servizi a favore dei cittadini residenti in condizioni di maggior disagio economico prevista dall’articolo 81, comma 32 del presente decreto-legge (cfr).

 

I commi da 343 a 345 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2006 hanno istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo per l’indennizzo dei risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito.

L’indennizzo è esteso ai risparmiatori danneggiati a seguito dell’insolvenza della Repubblica argentina.

Il fondo è alimentato dall’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come “dormienti” all’interno del sistema bancario e del comparto assicurativo e finanziario. La nozione di “conto o rapporto dormiente” e le modalità della rilevazione dei conti e rapporti così definiti sono stati determinati dal regolamento di attuazione, emanato con il D.P.R. 22 giugno 2007, n. 116.

In particolare, ai sensi sono considerati “conti dormienti” i rapporti contrattuali (deposito di somme di denaro, effettuato presso l'intermediario con l'obbligo di rimborso; deposito di strumenti finanziari in custodia ed amministrazione; contratto di assicurazione – ramo vita, in tutti i casi in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario ad una data prefissata) in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati, escluso l'intermediario non specificatamente delegato in forma scritta, per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme e degli strumenti finanziari. Sono esclusi i beni il cui valore non superi i 100 euro.

Decorso il termine di 180 giorni dalla comunicazione dell’intermediario al titolare del rapporto, il rapporto viene estinto. Gli intermediari comunicano, entro il 31 marzo di ogni anno, al Ministero dell'economia e delle finanze i rapporti per i quali, nell'anno precedente, si siano verificate le condizioni per l'estinzione. L'elenco dei rapporti dormienti è pubblicato entro il 31 marzo di ciascun anno, mediante avviso cumulativo, indicante il nome, la data ed il luogo di nascita di ciascun titolare del rapporto. La pubblicazione è effettuata a cura dell'intermediario su un quotidiano a diffusione nazionale e sul sito web del Ministero dell'economia e delle finanze. Entro il 31 maggio di ogni anno gli intermediari provvedono, quindi, a riversare al fondo il denaro, gli strumenti finanziari e i titoli relativi ai rapporti contrattuali in oggetto, che vengono liquidati dal fondo mediante procedure ad evidenza pubblica. Gli intermediari provvedono al versamento delle relative somme all'entrata del bilancio dello Stato, con imputazione all'apposito capitolo n. 3382 del capo X, ai fini della successiva riassegnazione al fondo.

In sede di prima applicazione, l’articolo 7 del regolamento dispone che per i rapporti rispetto ai quali il termine decennale si sia compiuto alla data di entrata in vigore del regolamento stesso (16 agosto 2007), la comunicazione da parte degli intermediari va effettuata entro 6 mesi dalla medesima data (16 febbraio 2008) e le somme ed i valori non reclamati sono devoluti al fondo entro 4 mesi dalla scadenza del termine di 180 giorni della comunicazione (16 dicembre 2008). Conseguentemente il 16 agosto 2008 è stato l’ultimo giorno utile per “movimentare” i conti bancari dormienti, mentre per quelli postali il termine è stato posticipato al 26 agosto 2008.

E’ prevista l’emanazione di uno o più regolamenti recanti la disciplina tecnica per la concreta attivazione del fondo “depositi dormienti” (individuazione dei presupposti per accedere agli indennizzi, limiti di indennizzo). Il regolamento non è stato ancora emanato.

 

Una prima estensione dell’utilizzo del Fondo “conti dormienti” è stata prevista dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), che, all’articolo 1, comma 420, dispone che il “Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici” (previsto dal comma 417) possa in parte essere alimentato da una somma pari al risparmio di interessi derivanti dalla riduzione del debito pubblico, conseguente al versamento al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di una quota fino al 20% dell’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari “dormienti”, a seguito della definizione del relativo regolamento di attuazione.

Si segnala, infine, che, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, recante “Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi”, in corso di conversione (A.S. 999), i piccoli azionisti ovvero obbligazionisti di Alitalia-Linee aeree italiane S.p.A., che non abbiano esercitato eventuali diritti di opzione aventi oggetto la conversione dei titoli in azioni di nuove società, sono ammessi ai benefici di cui all’articolo 1, comma 343, della n. 266/2005 (Fondo conti dormienti). Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri saranno stabilite le condizioni e le altre modalità di attuazione.


 

Articolo 62
(Contenimento dell’uso degli strumenti derivati e dell'indebitamento delle regioni e degli enti locali)

 


01. Le norme del presente articolo costituiscono principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

1. Ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120 della Costituzione, alle regioni, alle province autonome di Trento e Bolzano e agli enti locali è fatto divieto di stipulare fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, e comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti all'articolo 1, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché di ricorrere all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalità di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi. La durata dei piani di ammortamento non può essere superiore a trent'anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge. Per gli enti di cui al presente comma, è esclusa la possibilità di emettere titoli obbligazionari o altre passività con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, individua la tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari derivati che i soggetti di cui al comma 1 possono stipulare e stabilisce i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.

3. Restano salve tutte le disposizioni in materia di indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali che non siano in contrasto con le disposizioni del presente articolo.

3-bis. All’articolo 3, comma 17, secondo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, dopo le parole: «cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche» sono aggiunte le seguenti: «nonché, sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate».


 

 

L’articolo 62 contiene disposizioni finalizzate al contenimento dell’indebitamento delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali. Tali norme costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

In particolare si dispone:

§      il divieto di stipula di contratti relativi agli strumenti finanziari derivati, previsti all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF);

§      il divieto di ricorso all’indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalità di rimborso con rate di ammortamento comprensive di capitale ed interessi.

 

Nel caso di contratti di mutuo che prevedano il sistema di ammortamento con rimborso di quote di capitale e interessi, la norma fissa la durata massima dei piani di ammortamento in trenta anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge.

Per gli enti sopra citati, è esclusa la possibilità di emettere titoli obbligazionari o altre passività con rimborso del capitale in un’unica soluzione alla scadenza.

 

A tale riguardo si segnala che già legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004, articolo 1, comma 70), attraverso una novella all'articolo 41, comma 2, primo periodo, della legge finanziaria per il 2002 (legge n. 448/2001), ha eliminato la possibilità per gli enti territoriali di poter contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza. Pertanto, in base alla legislazione vigente, tali enti possono contrarre soltanto mutui che prevedano esclusivamente il tradizionale sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale e interessi, ferma restando peraltro la facoltà di emettere titoli obbligazionari con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza.

 

Il divieto opera fino alla data di entrata in vigore del regolamento di delegificazione, previsto dal comma 2, da emanarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con il quale sarà individuata la tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari derivati che possono essere stipulati dagli enti territoriali di cui al comma 1. Il divieto opera comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge (25 giugno 2008).

Con il medesimo decreto saranno altresì stabiliti i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.

 

Gli strumenti finanziari derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende (“deriva”) dall’andamento di un’attività sottostante (c.d. underlying asset). Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come, ad esempio, i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come, ad esempio, il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, ecc…).

Ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 58/1998, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, per «strumenti finanziari derivati» si intendono:

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti (art. 1, co. 2, lett. d));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto (art. 1, co. 2, lett. e));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap” e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione (art. 1, co. 2, lett. f));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, contratti a termine (forward) e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati dalla precedente alinea che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (art. 1, co. 2, lett. g));

-        strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito (art. 1, co. 2, lett. h));

-        contratti finanziari differenziali (art. 1, co. 2, lett. i));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (art. 1, co. 2, lett. j));

-        qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure (art. 1, co. 1-bis, lett. d)).

 

Il comma 3 fa salve le disposizioni in materia di indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali che non siano in contrasto con quelle le disposizioni del presente articolo.

 

Il comma 3-bis, modificando l’articolo 3, comma 17, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), include nella definizione di indebitamento recata dallo stesso comma 17, l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate, sulla base dei criteri definiti in sede europea.

 


 

Articolo 63, comma 1
(Partecipazioni alle missioni internazionali di pace)

 

1. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è incrementata di euro 90 milioni per l'anno 2008, per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. A tal fine è integrato l'apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

L’articolo 63, comma 1, incrementa di 90 milioni di euro, per l’anno 2008, la consistenza del Fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace, di cui all’articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

L’articolo 1, comma 1240, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), ha autorizzato, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di un miliardo di euro per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace ed ha istituito, a tale scopo, un apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze[425].

Per l’anno 2008, la proroga della partecipazione italiana alle missioni militari in corso e l’autorizzazione alla partecipazione a nuove missioni è stata operata con il D.L. 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45, recante disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.

Il D.L. reca complessivamente, per il 2008, oneri pari a 1.020 milioni di euro[426] (escluso l’articolo 4, comma 9).

A tali oneri si provvede, per l'anno 2008, con l’utilizzo del miliardo di euro del Fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di pace.

I restanti 20 milioni di euro, relativi all’anno 2008, vengono fatti valere sull'autorizzazione di spesa di cui alla legge n. 49/1987 (cooperazione allo sviluppo), come determinata nella tabella C - Ministero degli affari esteri - della legge finanziaria 2008;

 

Per l’esercizio finanziario 2008, dei 1.000 milioni di euro relativi al Fondo per il finanziamento delle missioni militari di pace, 890,4 milioni di euro sono destinati alla copertura finanziaria degli oneri propriamente derivanti dalla partecipazione alle missioni militari, mentre i restanti risultano utilizzati per interventi umanitari e di cooperazione relativi ad Afghanistan, Libano, Iraq, Sudan e Somalia.

Nell’esercizio finanziario 2007, la quota del Fondo destinata alla copertura degli oneri derivanti dalla partecipazione alle missioni militari di pace era stata di 911 milioni di euro.

 

In relazione alla disposizione in esame si osserva che nella relazione tecnica allegata al decreto legge viene specificato che l’integrazione di 90 milioni di euro del fondo per il finanziamento delle missioni internazionali è destinato al “rifinanziamento fino al 31 dicembre 2008 della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace in scadenza nel mese di agosto”.

 

Considerato che non risultano missioni in scadenza nel corso del mese di agosto, andrebbe chiarito a quali missioni intenda riferirsi il finanziamento previsto dalla disposizione in esame.

La norma potrebbe far riferimento a talune delle missioni indicate dal decreto legge n. 8 del 2008[427], le cui spese sono state autorizzate, dal citato provvedimento legislativo, fino al 30 settembre 2008.

Nello specifico, si tratta della missione delle Nazioni Unite in Libano, denominata United Nations Interim Force in Lebanon UNIFIL, alla missione dell'Unione europea in Bosnia-Erzegovina, denominata ALTHEA, alla missione dell'Unione europea nella Repubblica del Chad e nella Repubblica Centrafricana, denominata EUFOR Tchad/RCA, alla missione delle Nazioni Unite in Haiti, denominata United Nations Stabilization Mission MINUSTAH, alla missione in Libia (non ancora iniziata), in esecuzione dell'accordo di cooperazione tra il Governo italiano e il Governo libico per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani.


 

Articolo 63, comma 2
(Minori economie derivanti da trasformazione e soppressione
di enti pubblici)

 

2. La disposizione di cui all'articolo 1, comma 621, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non si applica limitatamente all'anno 2008.

 

 

Il comma 2 esclude per l’anno 2008 il ricorso alla riduzione delle dotazioni di bilancio relative a trasferimenti ad enti pubblici, previsto dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 621, lettera a)), nel caso di accertamento di minori economie rispetto a quelle previste dal procedimento di riordino, trasformazione o soppressione degli enti ed organismi pubblici, disciplinato dalla citata legge finanziaria per il 2007, all’art. 1, comma 482.

Le economie previste dal procedimento di riordino ammontano, per il 2008 a 310 milioni di euro e a 415 milioni di euro a decorrere dal 2009 (art. 1, comma 483).

 

Si segnala che il procedimento di riordino degli enti ed organismi pubblici disciplinato dalla legge finanziaria per il 2007 è stato abrogato dalla legge finanziaria per il 2008, che ha delineato una nuova procedura per addivenire alla soppressione o razionalizzazione degli enti ed organismi statali (l. n. 244/2007, articolo 2, commi 634 - 642), disponendo, tra l’altro, che dalla nuova procedura debba derivare il miglioramento dell’indebitamento netto previsto dalle misure contenute legge finanziaria 2007, e sopra citate, cioè 310 milioni di euro per l’anno 2008 e 415 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009 (art. 2, comma 641)[428].

Sinteticamente, l’articolo 1, comma 482 delle legge finanziaria per il 2007 ha novellato la disciplina contenuta nell'articolo 28, commi 1- 6 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), che aveva già disposto in materia, demandando ad uno o più regolamenti di delegificazione il compito di procedere al riordino o soppressione di enti ed organismi pubblici [429].

L’articolo 28 delle legge n. 448/2001, ad eccezione di commi 7, 9, 10 e 11, è stato abrogato dall’articolo 1, comma 640 della legge finanziaria per il 2008, il quale ha fatto comunque salvi i regolamenti già emanati ai sensi di quell’articolo.

 

La relazione tecnica ascrive alla misura in esame effetti in termini di incremento dell’indebitamento netto pari a 310 milioni di euro per l’anno 2008, e in termini di incremento del fabbisogno pari a 280 milioni per il 2008 e a 30 milioni per il 2009.


 

Articolo 63, comma 3
(Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche)

 

3. In relazione alle necessità connesse alle spese di funzionamento delle istituzioni scolastiche il «Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche» di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), iscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione è incrementato dell'importo di euro 200 milioni per l'anno 2008.

 

 

Il comma 3 incrementa di 200 milioni di euro, per l’esercizio 2008, il “Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche”, istituito dall’articolo 1, comma 601, della legge finanziaria 2007[430], nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione (ora Ministero dell’istruzione, università e ricerca).

La relazione al ddl di conversione specificava che la disposizione consente alle istituzioni scolastiche di effettuare acquisti di beni e servizi indispensabili a garantirne l’efficienza, anche in relazione ai debiti pregressi accumulati dalle istituzioni stesse.

 

Si ricorda che l’art 1, co. 601, della legge finanziaria 2007 nell’ottica di migliorare le procedure di spesa ha disposto la riaggregazione degli stanziamenti di varie unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione in due soli Fondi, destinati, rispettivamente, al funzionamento delle istituzioni scolastiche ed alle competenze dovute al personale della scuola (con esclusione degli stipendi del personale a tempo indeterminato e determinato). La disposizione avrebbe permesso la diretta assegnazione delle risorse alle istituzioni scolastiche, eliminando le fasi intermedie del transito di somme dagli Uffici scolastici regionali alle contabilità speciali degli Uffici scolastici provinciali e da queste alle scuole[431].

Va segnalato tuttavia che, nello stato di previsione del Ministero relativo al 2008, riarticolato secondo la riclassificazione del bilancio dello Stato in Missioni e Programmi, gli stanziamenti dei due Fondi sono stati nuovamente distribuiti, senza una specifica previsione normativa di rango primario, in diversi capitoli relativi al personale ed al funzionamento delle scuole facenti capo ai quattro Programmi, riferiti alla Missione Istruzione scolastica, intitolati ai diversi gradi dell’istruzione. Il Fondo per il funzionamento è così ripartito:

-        Programma 1.2 “Istruzione prescolastica”, unità di voto 1.2.1. (cap. 1195): 59,9 milioni di euro;

-        Programma 1.3 “Istruzione elementare”- unità di voto. 1.3.1 (cap. 1204): 114,5 milioni di euro;

-        Programma 1.4 “Istruzione secondaria inferiore” - unità di voto. 1.4.1 (cap. 1196): 38,0 milioni di euro;

-        Programma 1.5 “Istruzione secondaria superiore”, unità di voto. 1.5.1 (cap. 1194): 107,5 milioni di euro.

 

Con riguardo alla ripartizione dell’autorizzazione di spesa di cui al comma in esame, da informazioni assunte presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca risulta che, con lettera prot. n. 814 del 4 agosto 2008, è stata formulata la richiesta al Ministero dell’economia e delle finanze per l’assegnazione ai capitoli di bilancio ricompresi nella Missione 22 “Istruzione scolastica”, tutti denominati “Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche”.

L’importo sarebbe così ripartito:

-          16,5 milioni di euro sul cap. 1195 – programma “Istruzione pre-scolastica”;

-          95,0 milioni di euro sul cap. 1204– programma “Istruzione elementare”;

-          36.4 milioni di euro sul cap. 1196 – programma “Istruzione secondaria inferiore;

-          50,0 milioni di euro sul cap. 1194 – programma “Istruzione secondaria superiore”.

Si è in attesa del decreto di variazione di bilancio a firma del Ministro dell’economia e delle finanze.

 


 

Articolo 63, comma 4
(Autorizzazione di spesa a favore di Ferrovie dello Stato S.p.a.)

 

4. Per far fronte alle esigenze del Gruppo Ferrovie dello Stato S.p.a. è autorizzata la spesa di 300 milioni di euro per l'anno 2008. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è definita la destinazione del contributo.

 

 

Il comma 4 dell’articolo 63 autorizza la spesa di 300 milioni di euro per l’anno 2008 per far fronte alle esigenze del gruppo Ferrovie dello Stato S.p.a.

La destinazione del contributo sarà definita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che avrebbe dovuto essere emanato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (ovvero entro il 25 luglio 2008). Il decreto non è ancora stato emanato.

La società Ferrovie dello Stato S.p.a., interamente controllata dallo Stato, costituisce la holding alla quale fanno capo le società del gruppo, operanti nel settore del trasporto ferroviario. Le due società più importanti del gruppo sono Trenitalia S.p.a., che svolge l’attività di trasporto dei passeggeri e delle merci, e RFI – Rete ferroviaria italiana S.p.a., che gestisce l’infrastruttura ferroviaria ed è responsabile delle linee, delle stazioni e degli impianti.

 


 

Articolo 63, comma 5
(Utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità giacenti)

 

5. Per far fronte alle obbligazioni già assunte per la realizzazione di interventi previsti nel contratto di programma 2003-2005 e in Accordi pregressi, a valere su residui passivi degli anni 2002 e precedenti, la Società ANAS S.p.a. è autorizzata ad utilizzare, in via di anticipazione, le disponibilità giacenti sul conto di tesoreria n. 20060, con obbligo di reintegro entro il 31 dicembre 2008, previa presentazione di apposita ricognizione riguardante il fabbisogno correlato all'attuazione degli interventi per il corrente esercizio e per l'anno 2009.

 

 

Il comma 5 reca una disposizione volta a consentire all’Anas S.p.A. di far fronte alle obbligazioni già assunte per la realizzazione di interventi previsti nel contratto di programma 2003-2005 e in accordi pregressi.

A tal fine, a valere su residui passivi degli anni 2002 e precedenti, si autorizza l’ANAS S.p.A. ad utilizzare, in via di anticipazione, le disponibilità giacenti sul conto di tesoreria n. 20060, con obbligo di reintegro entro il 31 dicembre 2008, previa presentazione di apposita ricognizione riguardante il fabbisogno correlato all’attuazione degli interventi per il corrente esercizio e per l’anno 2009.

 

In proposito, la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge precisa che tale utilizzo si deve commisurare alle attuali disponibilità di bilancio per l’anno 2008 per gli investimenti di competenza dell’ANAS, ammontanti a 1.050 milioni di euro, cui si dovrebbero aggiungere ulteriori 450 milioni di euro derivanti dall’importo accantonato ai sensi della normativa vigente in materia di TFR.

 

In merito alla situazione finanziaria dell’Anas, si ricorda che nella relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ANAS S.p.A. per l’esercizio finanziario 2006[432], allegata alla Delibera della Corte n. 22/2008, si legge che “con specifico riguardo alla gestione 2006, questa è stata caratterizzata da notevoli difficoltà di ordine finanziario, avendo risentito dei rigorosi quanto irrealistici limiti posti alla relativa spesa dalla legge finanziaria 2006 in termini sia di investimenti - 1,7 miliardi di euro, successivamente portati a 1,9 miliardi, rispetto ad un fabbisogno per cantieri aperti di oltre 3 miliardi di euro - sia di funzionamento. Ciò si è sommato a gravi carenze derivanti dalla mancata copertura ereditata dall’Ente economico ANAS prima della trasformazione in Spa. Ne è derivato lo stravolgimento del relativo contratto di programma, cui sono stati imputati oneri ad esso estranei, relativi a pagamenti a vario titolo a fronte di opere in atto e perfino a spese di funzionamento. Alla descritta negativa situazione finanziaria è stato posto riparo nella seconda parte dell’esercizio, da un lato con la previsione legislativa di stanziamenti aggiuntivi, che sono valsi a scongiurare la paventata chiusura dei cantieri, e dall’altro con un’attenta ricognizione delle opere in corso e da avviare, seguita dalla fissazione di un preciso ordine di priorità, munito di un’adeguata copertura finanziaria, nella realizzazione delle opere previste dalla Legge Obiettivo”[433].

 

Si segnala altresì che nel corso della XV legislatura il Governo è dapprima intervenuto con l’art. 17, comma 2, del DL n. 223/2006, che ha elevato il tetto di spesa posto dalla finanziaria 2006 da 1,9 a 2,9 miliardi di euro, vincolando l’utilizzo delle citate risorse integrative “esclusivamente per i cantieri aperti”.

Successivamente è stato approvato un insieme di disposizioni finalizzate, da un lato, ad articolare e meglio definire le funzioni e i poteri dell’ANAS quale soggetto concedente nei rapporti con le società concessionarie autostradali (art. 2, commi 82-90, del DL n. 262/2006) e, dall’altro, a disciplinare il relativo finanziamento (art. 1, commi 1018-1021, 1023-1026 e 1028 della legge finanziaria 2007). Relativamente a queste ultime si ricorda il comma 1025, che ha disposto la soppressione del Fondo centrale di garanzia per le autostrade e ferrovie metropolitane ed il subentro dell’ANAS nella gestione dell'intero patrimonio del Fondo, ed il comma 1026 che ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2007, che “ai finanziamenti pubblici erogati ad ANAS Spa a copertura degli investimenti funzionali ai compiti di cui essa è concessionaria ed all'ammortamento del costo complessivo di tali investimenti si applicano le disposizioni valide per il Gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale di cui all'articolo 1, commi 86 e 87, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. A tal fine è autorizzata la spesa di 1.560 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 comprensiva, per gli anni medesimi, dell'importo di 60 milioni di euro, da destinare al rimborso delle rate di ammortamento dei mutui contratti da ANAS Spa di cui al contratto di programma 2003-2005”.

Riguardano l’ANAS, infine, anche alcune disposizioni del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, che hanno previsto, all’art. 6, comma 5, l’incremento del limite dei pagamenti per spese di investimento da parte dell’ANAS, che viene fissato in 4.200 milioni di euro, al fine di assicurare la prosecuzione e il completamento di interventi infrastrutturali in materia di viabilità; all’art. 8, comma 4, l’erogazione, per l’anno 2007, di un contributo pari a 426.592.642 euro a titolo di apporto al capitale sociale dell’ANAS, al fine di ripianare la perdita di esercizio relativa all’anno 2006.

 

 


 

Articolo 63, comma 6
(Incremento autorizzazione di spesa Fondo per l’occupazione)

 

6. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, relativa al Fondo per l'occupazione è incrementata di euro 700 milioni per l'anno 2009.

 

 

Il comma 6 dell’articolo 63 prevede un incremento di 700 milioni di euro per l’anno 2009 riguardante l’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per l’occupazione, di cui all’articolo 1, comma 7, del D.L. 148/1993[434].

 

Si ricorda che il Fondo per l’occupazione è stato istituito dall’articolo 1, comma 7, del D.L. 148/1993, per la promozione di iniziative di sostegno per l’occupazione, ed in particolare:

-        l'erogazione di contributi ai datori di lavoro, per ogni unità lavorativa occupata a tempo pieno aggiuntiva rispetto a quelle occupate alla data di entrata in vigore del D.L. 148/1993;

-        il finanziamento dei lavori socialmente utili e dei piani di inserimento professionale dei giovani privi di occupazione;

-        la promozione dell'imprenditorialità giovanile;

-        il finanziamento dei contratti di solidarietà;

-        ulteriori finalità previste da provvedimenti emanati successivamente al D.L. 148/1993 (a titolo esemplificativo: proroga di trattamenti di sostegno al reddito, rimodulazione dell'orario di lavoro, tirocini formativi…).


 

Articolo 63, comma 7
(Integrazione autorizzazione di spesa Fondo per le politiche sociali)

 

7. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, relativa al Fondo da ripartire per le politiche sociali, come determinata dalla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è integrata di 300 milioni di euro per l'anno 2009.

 

 

Il comma 7, prevede l’integrazione di 300 milioni di euro per l'anno 2009 dell’autorizzazione di spesa[435] del Fondo per le politiche sociali, determinata dalla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008).

Per l’anno 2009 in tabella C della legge n. 244 del 2007 è stato previsto uno stanziamento pari a euro 1.291. 697.000[436].

Inoltre l’articolo 2, comma 437, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008) ha ridotto, per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, lo stanziamento del citato Fondo di 1.250.000 euro, con destinazione al finanziamento del Fondo per la diffusione della cultura e delle politiche di responsabilità sociale delle imprese. Da ultimo, il suddetto comma 437 dell’articolo 2 è stato sostituito dal numero 11) della lettera b) del comma 9 dell'articolo 5 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93[437], confermando unicamente la suddetta riduzione di spesa relativa al Fondo per le politiche sociali.

Si ricorda che per l’anno 2008, nello stato di previsione del Ministero della solidarietà sociale[438], l’importo previsto per il finanziamento del Fondo per le politiche sociali è stato pari a euro 1.581.565.000.

 


 

Articolo 63, comma 8
(Istituzione del Fondo per il finanziamento di misure di proroga di agevolazioni fiscali)

 

8. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze è costituito un apposito fondo, con una dotazione finanziaria di 900 milioni di euro per l'anno 2009 e 500 milioni a decorrere dall’anno 2010, per il finanziamento, con appositi provvedimenti normativi, delle misure di proroga di agevolazioni fiscali riconosciute a legislazione vigente.

 

 

Il comma 8 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo per il finanziamento delle misure di proroga delle agevolazioni fiscali riconosciute a legislazione vigente. A tal fine viene disposto uno stanziamento di 900 milioni per il 2009 e di 500 milioni a decorrere dal 2010.

La proroga dell’agevolazione sarà disposta da specifici provvedimenti normativi adottati di volta in volta e la copertura dei relativi oneri (in termini di minori entrate) sarà posta a valere sulle disponibilità del Fondo.

 

Infatti il disegno di legge finanziaria per il 2009 (A.C. 1713), all’articolo 2, commi da 1 a 15, interviene in materia di agevolazioni fiscali: per talune di esse ne dispone la proroga al 31 dicembre 2009, mentre per altre l’agevolazione fiscale viene messa a regime.

In particolare, le disposizioni fiscali in oggetto riguardano il settore agricolo e della pesca (commi 1-2), l’autotrasporto (commi 3-4), l’aggiornamento del personale della scuola (comma 5), la frequenza degli asili nido (comma 6), gli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale (comma 7), l’accorpamento della proprietà contadina (comma 8), il riordino degli IPAB (comma 10), il gas naturale per uso industriale (comma 11), il gasolio da riscaldamento per le zone montane e il teleriscaldamento da biomassa ed energia geotermica (comma 12), il riscaldamento delle frazioni parzialmente non metanizzate (comma 13), le coltivazioni sotto serra (comma 14) e le ristrutturazioni edilizie (comma 15).

Il successivo comma 16 pone a carico del Fondo in esame la gran parte[439] degli oneri derivanti dalle disposizioni contenute ai commi da 1 a 15, per un ammontare pari a 897,7 milioni per il 2009, a 500 milioni per il 2010 e a 438,4 milioni a decorrere dal 2011.

 


 

Articolo 63, commi 9 – 9-bis
(Stanziamenti a favore del CONI e del Comitato Italiano Paraolimpico)

 

9. All'articolo 1, comma 282, secondo periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, le parole «quadriennio 2005-2008» sono sostituite dalle seguenti: «periodo 2005-2011».

9-bis. Il contributo al Comitato italiano paraolimpico di cui all’articolo 1, comma 580, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è incrementato di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.

 

 

Il comma 9 dell’articolo 63 prevede un rifinanziamento delle risorse a favore del CONI, estendendo al triennio 2009-2011 il contributo statale stabilito in 450 milioni di euro annui per il quadriennio 2005-2008 dall’art. 1, co. 282, della l. finanziaria per il 2005[440].

Nel precedente quadriennio, tale finanziamento è stato destinato al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente e al graduale riequilibrio finanziario della Coni Servizi S.p.a., nonché comprendeva il contributo straordinario finalizzato alla preparazione degli atleti per i Giochi olimpici invernali di Torino 2006 e per i Giochi olimpici di Pechino 2008.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 1, comma 281, della medesima legge finanziaria 2005 destinava al CONI per il finanziamento dello sport, a partire dal 1° gennaio 2005, una quota delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai concorsi pronostici su base sportiva, da scommesse, lotto ed enalotto, bingo, apparecchi da divertimento e intrattenimento, lotterie ad estrazione istantanea e differita, e da giochi similari istituiti successivamente alla data suindicata. Il comma 282 demandava al Ministero dell'economia e delle finanze l'adozione, entro il 31 marzo 2005, del provvedimento relativo alle modalità operative di determinazione della base di calcolo delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai giochi di cui al comma precedente, nonché alle modalità di trasferimento dei fondi. Il decreto ministeriale in oggetto, emanato in data 11 marzo 2005, considerato che l’assegnazione per il quadriennio 2005-2008 era già stata determinata (dal medesimo art. 1, comma 282, della legge finanziaria 2005) in 450 milioni di euro, riteneva di non dover procedere alla determinazione della base di calcolo e stabiliva le modalità di trasferimento e di monitoraggio delle risorse stabilite in finanziaria.

Si ricorda, infine, che l’art. 28, co. 4-quinquies del d.l. n. 159/2007[441]ha elevato di 12 milioni di euro per l'anno 2007 l'autorizzazione di spesa di 450 milioni, di cui sopra.

 

Il comma 9-bis incrementa di 3 milioni di euro - per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010 - il contributo assegnato dall’art. 1, comma 580, della legge finanziaria per il 2006[442] al Comitato Italiano Paralimpico[443], preposto alla promozione dell’attività sportiva dei disabili.

 

Si ripercorrono di seguito le autorizzazioni di spesa disposte a favore del Comitato:

-        l’art 1, comma 580, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006) ha assegnato 500 mila euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, per la promozione della pratica sportiva di base e agonistica;

-        l’art. 1, comma 1298, della legge n. 296/2006[444] (legge finanziaria per il 2007) ha incrementato tale stanziamento di 2,5 milioni di euro per il 2007 e il 2008; e concesso un contributo di 3 milioni di euro per l'anno 2009;

-        l’art. 2, comma 568, della legge n. 244/2007[445] (legge finanziaria per il 2008) ha nuovamente incrementato di 2 milioni di euro per il 2008 e di 1 milione di euro per gli anni 2009 e 2010.

Tale ultima autorizzazione di spesa è stata poi soppressa dall’art. 5 (Copertura finanziaria), comma 1, del D.L. n. 93/2008[446] (cosiddetto DL “taglia ICI”).


 

Articolo 63, comma 10
(Integrazione del Fondo interventi strutturali di politica economica)

 


10. Al fine di garantire le necessarie risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato occorrenti per i rinnovi contrattuali e gli adeguamenti retributivi del personale delle amministrazioni statali nonché per l'attuazione delle misure di cui all'articolo 78, il Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è integrato dell'importo di 500 milioni di euro per l'anno 2008, di 2.340 milioni di euro per gli anni 2009 e 2010 e di 2.310 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011. Il predetto Fondo è altresì incrementato, a valere, per quanto attiene all’anno 2008, sulla quota delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche normative previste dagli articoli 81 e 82 del presente decreto, dei seguenti importi: 0,8 milioni di euro per l’anno 2008, 20,6 milioni di euro per l’anno 2009, 51,7 milioni di euro per l’anno 2010, 24,5 milioni di euro per l’anno 2011 e 25,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. La dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è ulteriormente incrementata di 330 milioni di euro per l’anno 2009 e di 430 milioni per ciascuno degli anni 2010 e 2011.


 

 

Il comma 10 prevede l’incremento delle disponibilità del “Fondo per gli interventi strutturali di politica economica”, istituito dall’articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307/2004), al fine del loro utilizzo per finalità di copertura finanziaria.

 

Nel complesso, nel Fondo sono confluite le seguenti risorse:

milioni di euro

 

2008

2009

2010

2011

2012 e segg.

Art. 63, co. 10, primo periodo

500

2.340

2.340

2.310

2.310

Art. 63, co. 10, secondo periodo

0,8*

20,6

51,7

24,5

25,5

Art. 63, co. 10, terzo periodo

-

330

430

430

-

Totale

500,8

2.690,6

2.821,7

2.764,5

2.335,5

 

*    Le risorse per il 2008 sono a valere su quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche normative previste dagli articoli 81 e 82 del decreto in esame.

 

Le risorse di cui al primo periodo del comma 10 (500 milioni di euro per il 2008, di 2.340 milioni di euro per gli anni 2009 e 2010 e di 2.310 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011), sono state fatte confluire nel Fondo per gli interventi strutturali di politica economica per essere destinate alla copertura finanziaria di due interventi specifici, indicati direttamente dalla norma:

§      attuazione dell’articolo 78 del provvedimento in esame, che prevede la nomina del Sindaco del comune di Roma a Commissario straordinario del Governo, ai fini della ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e dell’attuazione diun piano di rientro dall’indebitamento pregresso del comune. In particolare, la norma prevede che la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. conceda al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro, al fine di superare la situazione di illiquidità che presenta il comune di Roma;

§      rinnovi contrattuali e adeguamenti retributivi del personale delle Amministrazioni statali.

 

La norma non chiarisce come vengono ripartite le risorse tra le due finalità sopra richiamate. La Relazione tecnica, peraltro, attribuiva l’importo di 500 milioni euro a decorrere dal 2008 per l’attuazione delle misure di cui all’articolo 78 (vale a dire per l’anticipazione al Comune di Roma da parte della Cassa depositi e prestiti di cui al comma 8) e le restanti risorse alla copertura dei rinnovi contrattuali.

 

L’incremento delle risorse autorizzate dai due periodi successivi non risulta, invece, essere destinato ad alcuna finalità specifica.

 

Va segnalato, al riguardo, che ulteriori integrazioni della dotazione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica sono recate dall’articolo 81, comma 38-ter, e dall’articolo 84, comma 1-quinquies del decreto-legge in esame (vedi relative schede di lettura). Inoltre, a valere sul Fondo per gli interventi strutturali di politica economica, si è provveduto alla copertura finanziaria degli oneri recati dall’articolo 70, comma 1-bis e dall’articolo 71, comma 1-bis, che escludono il comparto sicurezza e difesa dalla soppressione del trattamento economico aggiuntivo per causa di servizio del dipendente (vedi articolo 84, comma 1-quater).


 

Articolo 63, comma 11
Soppresso

 

 


 

Articolo 63, commi 12-13
(Istituzione del Fondo per il trasporto pubblico locale)

 


12. Per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economico-sociali è istituito, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, con una dotazione di 113 milioni di euro per l'anno 2008, di 130 milioni di euro per l'anno 2009 e di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011. Per gli anni successivi, al finanziamento del Fondo si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Le risorse del Fondo sono destinate alle finalità di cui all'articolo 1, comma 1031, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dal comma 306 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e di cui all'articolo 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211, con le procedure e le modalità previste da tali disposizioni. Gli interventi finanziati, ai sensi e con le modalità della legge 26 febbraio 1992, n. 211, con le risorse di cui al presente comma, individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono destinati al completamento delle opere in corso di realizzazione in misura non superiore al 20 per cento. Il finanziamento di nuovi interventi è subordinato all'esistenza di parcheggi di interscambio, ovvero alla loro realizzazione, che può essere finanziata con le risorse di cui al presente comma.

13. La ripartizione delle risorse di cui al comma 12 tra le finalità ivi previste è definita con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni. In fase di prima applicazione, per il triennio 2008-2010, le risorse sono ripartite in pari misura tra le finalità previste. A decorrere dall'anno 2011 la ripartizione delle risorse tra le finalità di cui al comma 13 è effettuata con il medesimo decreto, tenendo conto di principi di premialità che incentivino l'efficienza, l'efficacia e la qualità nell'erogazione dei servizi, la mobilità pubblica e la tutela ambientale. All'articolo 1, comma 1032, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la lettera d) è abrogata.


 

 

Il comma 12 dell’articolo 63 ricostituisce la dotazione finanziaria del Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, soppressa dall’articolo 5 del D.L. 93/2008[447], in corso di conversione.

Come già previsto dalla originaria norma istitutiva (articolo 1, commi 304-305, della legge 244/2007, abrogati dall’articolo 5, comma 12, del D.L. n. 93/2008), nello stato di previsione del Ministero dei trasporti (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti[448]), è istituito il Fondo in questione per le finalità di cui alle seguenti disposizioni, nel rispetto delle relative procedure e modalità:

§      articolo 1, comma 1031, della legge 296/2006[449];

La citata norma autorizza stanziamenti per l’acquisto delle seguenti categorie di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale: veicoli ferroviari da destinare ai servizi di competenza regionale; veicoli destinati a servizi su linee metropolitane, tranviarie e filoviarie; autobus a minor impatto ambientale o ad alimentazione non convenzionale; elicotteri e idrovolanti destinati ad un servizio minimo di trasporto pubblico locale per garantire collegamenti con isole minori, interessate da fenomeni di pendolarismo.

§      articolo 9 della legge 211/1992[450].

La citata norma prevede la corresponsione di contributi in relazione ai mutui contratti, da enti locali e soggetti attuatori, per la realizzazione degli interventi contemplati dalla medesima legge in vista dello sviluppo, nelle aree urbane, dei sistemi di trasporto pubblico ed in particolare dei sistemi di trasporto rapido di massa e di tranvie veloci.

Il quarto e quinto periodo del comma in esame prevedono che l’individuazione degli interventi da finanziare ai sensi della sopra citata legge 211/1992 sia effettuata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e che le relative risorse siano destinate, in misura non superiore al 20 per cento, al completamento delle opere in corso di realizzazione. Il finanziamento di nuovi interventi è subordinato all’esistenza di parcheggi di interscambio, o alla loro realizzazione, che può essere finanziata con le risorse stanziate dal comma in esame.

 

La dotazione originaria del Fondo era di:

§      113 milioni di euro per l’anno 2008;

§      130 milioni di euro per l’anno 2009;

§      110 milioni di euro per l’anno 2010.

 

La norma in commento conferma i sopra indicati stanziamenti e prevede un ulteriore stanziamento di 110 milioni di euro per l’anno 2011.

Per gli anni successivi i relativi stanziamenti saranno indicati in tabella D della legge finanziaria, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 468/1978.[451]

 

Il comma 13 demanda la ripartizione delle risorse del Fondo tra le finalità previste dal precedente comma 12 a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997[452]; nella ripartizione delle risorse si dovrà tenere conto dei princìpi di premialità che incentivino l’efficienza, l’efficacia e la qualità nell’erogazione dei servizi, la mobilità pubblica e la tutela ambientale. Per il triennio 2008-2010 le risorse sono attribuite in misura pari tra le due finalità previste dal comma 12.

Il quarto periodo del comma in esame abroga la lettera d) dell’articolo 1, comma 1032, della citata legge 296/2006.

Il citato comma 1032, demandando ad un decreto del Ministro dei trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il riparto, tra le regioni e le province autonome, del Fondo, di cui al comma 1031 dello stesso articolo, per l’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale, indica i criteri secondo i quali deve essere effettuato il riparto. In particolare la lettera d), della quale si dispone l’abrogazione, stabilisce che sia data priorità alle regioni ed alle province autonome le cui imprese si siano attenute alle previsioni di cui ai commi da 3-ter a 3-septies dell'articolo 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, relative al periodo transitorio nel corso del quale vi è la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti ai concessionari ed alle società derivanti dalla trasformazione di aziende speciali e consorzi, ma con l'obbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali, previa revisione dei contratti di servizio in essere, se necessaria[453].

 


 

Articolo 63, comma 13-bis
(Produzioni ed allevamenti di particolare rilievo ambientale)

 

13-bis. Per la realizzazione di progetti di settore finalizzati al sostegno di produzioni e allevamenti di particolare rilievo ambientale, economico, sociale ed occupazionale è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. All’attuazione degli interventi di cui al presente comma provvede con proprio decreto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

 

Il comma 13-bisautorizza la spesa di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per la realizzazione di progetti di settore finalizzati al sostegno di produzioni ed allevamenti di particolare rilievo ambientale, economico, sociale ed occupazionale. Alla attuazione della norma si provvede con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.

 

Secondo quanto risulta dal comunicato stampa rilasciato dal Ministro dell’Agricoltura in data 24 luglio 2007, la norma è volta a ripristinare i finanziamenti per il settore dell’apicoltura già previsti dall’art. 2, comma 125, della legge finanziaria 2008 e poi soppressi dal D.L. n. 93 del 2008.


 

Articolo 63, comma 13-ter
(Produzioni e allevamenti di particolare rilievo ambientale)

 

13-ter. All’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, la lettera a) è abrogata. Alle minori entrate derivanti dall’attuazione del presente comma, valutate in 16.700.000 euro per l’anno 2008 e in 66.800.000 euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 5, comma 4, del citato decreto-legge n. 93 del 2008, come integrata con le risorse di cui all’articolo 60, comma 8, del presente decreto.

 

 

Il comma 13-ter dell’articolo 63 ripristina i meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nella filiera del cinema, tramite crediti di imposta per le imprese esterne (c.d. tax credit esterno) e interne alla filiera medesima (c.d. tax credit interno), già previsti dalla legge finanziaria per il 2008[454] (art. 1, co. da 325 a 334) e successivamente abrogati per effetto dell’art. 5, co. 9, lett. a), del D.L. n. 93/2008[455] (c.d. decreto taglia – ICI).

 

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2008 ha disposto all’articolo 1, commi 325-343, diverse tipologie di incentivi fiscali in favore del cinema. Tra queste, i commi da 325 a 334 prevedono crediti di imposta per le imprese esterne ed interne alla filiera del cinema.

In particolare, il comma 325 (tax credit esterno) riconosce – a favore dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES) di cui all’art. 73 TUIR[456] e dei titolari di reddito di impresa ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), non appartenenti al settore cinematografico ed audiovisivo e associati in partecipazione ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile[457] – per gli anni 2008, 2009 e 2010, un credito d’imposta nella misura del 40 per cento dell’apporto in denaro effettuato per la produzione di opere cinematografiche riconosciute di nazionalità italiana ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28[458]. Tale beneficio si applica anche ai contratti di cointeressenza di cui all’articolo 2554 del codice civile[459].Il credito di imposta è concesso fino all’importo massimo di un milione di euro per ciascun periodo d’imposta[460].

Il comma 327 (tax credit interno) prevede che - ai fini delle imposte sui redditi - venga riconosciuto un credito d’imposta:

a) per le imprese di produzione cinematografica, in misura pari al 15 per cento del costo complessivo di produzione di opere cinematografiche, riconosciute di nazionalità italiana ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 28/2004 e, comunque, fino all’ammontare massimo annuo di euro 3.500.000 per ciascun periodo d’imposta, condizionato al sostenimento sul territorio italiano di spese di produzione per un ammontare complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all’80 per cento del credito d’imposta stesso;

b) per le imprese di distribuzione cinematografica, pari:

1) al 15 per cento delle spese complessivamente sostenute per la distribuzione nazionale di opere di nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale[461], con un limite massimo annuo di euro 1.500.000 per ciascun periodo d’imposta;

2) al 10 per cento delle spese complessivamente sostenute per la distribuzione nazionale di opere di nazionalità italiana, espressione di lingua originale italiana, con un limite massimo annuo di euro 2.000.000 per ciascun periodo d’imposta;

3) al 20 per cento dell’apporto in denaro effettuato mediante i contratti di cui agli articoli 2549[462] e 2554[463] del codice civile, per la produzione di opere filmiche di nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale, con un limite massimo annuo di euro 1.000.000 per ciascun periodo d’imposta;

c) per le imprese di esercizio cinematografico, pari:

1) al 30 per cento delle spese complessivamente sostenute per l’introduzione e acquisizione di impianti e apparecchiature destinate alla proiezione digitale, con un limite massimo annuo non eccedente, per ciascuno schermo, euro 50.000;

2) al 20 per cento dell’apporto in denaro effettuato mediante i contratti di cui agli articoli 2549 e 2554 del codice civile, per la produzione di opere cinematografiche di nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale con un limite massimo annuo di euro 1.000.000 per ciascun periodo d’imposta.

Il comma 328 stabilisce che - con riferimento alla medesima opera filmica - i benefici di cui al comma 327 (ossia quelli riconosciuti alle imprese interne alla filiera del cinema) non sono cumulabili a favore della stessa impresa ovvero di imprese che facciano parte dello stesso gruppo societario, nonché di soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione ovvero controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile[464].

Secondo il comma 329, i crediti d’imposta di cui ai commi 325 e 327 spettano per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d’imposta successivi[465].

Il comma 333 rimette ad un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali - da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per lo sviluppo economico - la fissazione delle disposizioni applicative dei commi da 325 a 332.

Il comma 334 subordina l’efficacia dei commi da 325 a 333 all’autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea[466]. Tale autorizzazione deve essere richiesta alla Commissione europea dal Ministero per i beni e le attività culturali. Si prevede che le agevolazioni possano essere fruite esclusivamente in relazione agli investimenti realizzati e alle spese sostenute successivamente alla data della decisione di autorizzazione della Commissione europea.

 

Per la copertura dell’onere derivante dalla reintroduzione dei crediti d’imposta (valutato di importo pari a 16,7 mln di euro per il 2008 e 66,8 mln di euro per il 2009 e per il 2010) si prevede la corrispondente riduzione di spesa a valere sul “Fondo per le esigenze gestionali”, istituito dal d.l. 93/2008 (art. 5, co. 4).

In proposito, si ricorda che il comma 4 dell’articolo 5 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un “Fondo per le esigenze gestionali”, con una dotazione di 115 milioni di euro per l’anno 2008, 120 milioni di euro per l’anno 2009 e 55,5 milioni di euro per l’anno 2010, da utilizzare a reintegro delle dotazioni finanziarie dei programmi di spesa. Successivamente, l’art. 60, co. 8, del d.l. n. 112/2008[467] ha integrato il Fondo di 100 milioni di euro per l'anno 2009 e 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011

L’utilizzo del Fondo è disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 63-bis
(Cinque per mille)

 


1. Per l’anno finanziario 2009, con riferimento alle dichiarazioni dei redditi relative al periodo di imposta 2008, sulla base dei criteri e delle modalità di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 gennaio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2006, fermo quanto già dovuto dai contribuenti a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche, una quota pari al cinque per mille dell’imposta stessa è destinata in base alla scelta del contribuente alle seguenti finalità:

a) sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali previsti dall’articolo 7, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’articolo 10, comma 1, lettera a), del citato decreto legislativo n. 460 del 1997;

b) finanziamento della ricerca scientifica e dell’università;

c) finanziamento della ricerca sanitaria;

d) sostegno delle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

e) sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge.

2. Resta fermo il meccanismo dell’otto per mille di cui alla legge 20 maggio 1985, n. 222.

3. l soggetti di cui al comma 1 ammessi al riparto devono redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme ad essi destinate, un apposito e separato rendiconto dal quale risulti, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente la destinazione delle somme ad essi attribuite.

4. Con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità del riparto delle somme stesse nonché le modalità e i termini del recupero delle somme non rendicontate ai sensi del comma 3.

5. L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3, comma 8, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è integrata di 20 milioni di euro per l’anno 2010.

6. Le disposizioni che riconoscono contributi a favore di associazioni sportive dilettantistiche a valere sulle risorse derivanti dal 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche hanno effetto previa adozione di un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che disciplina le relative modalità di attuazione, prevedendo particolari modalità di accesso al contributo, di controllo e di rendicontazione, nonché la limitazione dell’incentivo nei confronti delle sole associazioni sportive che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.


 

 

L’articolo in esame estende all’anno finanziario 2009 la disciplina relativa alla destinazione del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRE), modificandola parzialmente come segue rispetto a quella relativa all’anno finanziario 2008.

Il comma 1 stabilisceche, fermo restando quanto dovuto dai contribuenti a titolo di imposta sulle persone fisiche con riferimento al periodo d’imposta 2008, una quota di tale imposta pari al 5 per mille per l’anno finanziario 2009[468]è destinata al sostegno o al finanziamento dei soggetti che perseguono le finalità di:

§      volontariato e attività non lucrative di utilità sociale (ONLUS) definite dall’articolo 10 del D.Lgs n. 460 del 1997;

Si tratta di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, quali associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi prevedono espressamente:

- l’esclusivo svolgimento di attività in settori che la normativa tributaria individua come non commerciali[469], ad eccezione delle attività direttamente connesse a queste ultime (lett. da a) a c));

- il divieto di distribuire utili, ad esclusione della destinazione prevista per legge ovvero a favore di altre ONLUS, l’obbligo di impiego degli utili per finalità istituzionali e, in caso di scioglimento, di devolvere il patrimonio ad altre ONLUS, nonché l’obbligo di redigere il bilancio ed il rendiconto annuale (lett. da d) a g));

- la disciplina uniforme del rapporto associativo, con particolare riferimento al divieto di temporaneità della partecipazione, e l’uso della locuzione ONLUS (lett. da h a i));

§      promozione sociale svolta da associazioniiscritte nei registri nazionali, regionali e provinciali previsti all’articolo 7, commi da 1 a 4, della legge n. 383 del 2000;

Si tratta di registri tenuti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per gli affari sociali) al quale possono iscriversi le predette associazioni a carattere nazionale, costituite ed operanti da almeno un anno, cui consegue il diritto di automatica iscrizione nel registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale;

§      attività nei settori di cui all’articolo 10, comma 1, del citato D.Lgs n. 460 del 1997 svolte da associazioni e fondazioni riconosciute;

Si tratta di associazioni e fondazioni senza scopo di lucro che operano in via esclusiva o prevalente nei settori indicati dalla normativa tributaria degli enti non commerciali, tra i quali assistenza sociale e sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, cultura e arte, ambiente, diritti civili (lett. a);

§      ricerca scientifica e università;

§      ricerca sanitaria;

§      attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

Tale disposizione era stata implicitamente abrogata (in quanto non rientrante nella proroga della disciplina) dall’articolo 1, comma 1234, della finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006). Ugualmente, l’articolo 3, comma 5, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) non aveva enumerato tra le possibilità di scelta per la destinazione del 5 per mille il sostegno per le attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente. Tale disposizione viene pertanto reintrodotta;

§      sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge;

Si ricorda che quest’ultimo punto è stato introdotto, sotto forma di novella, dall’articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 248 del 2007[470]. Al riguardo giova ricordare che il citato articolo aveva altresì inserito, tra le finalità cui destinare la quota del 5 per mille, il sostengo alle fondazioni nazionali di carattere culturale, disposizione che non è stata prorogata dalla nuova disciplina del 5 per mille con il presente decreto.

 

La norma richiama inoltre, ai fini della disciplina della destinazione del 5 per mille IRE, i criteri e le modalità stabiliti dal DPCM del 20 gennaio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2006.

 

Il comma 2 chiarisce che rimane fermo il meccanismo dell’8 per mille, disciplinato dalla legge n. 222 del 1985.

 

Inoltre, il comma 3, in modo simile a quanto previsto con riferimento alla disciplina relativa all’esercizio finanziario 2008, dispone uno specifico obbligo di rendicontazione in capo ai soggetti beneficiari del riparto, chiamati a redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme, apposito rendiconto delle stesse. La norma inoltre puntualizza che da tale documento deve risultare in modo chiaro e trasparente, anche a mezzo di una relazione illustrativa, la destinazione delle somme attribuite ai soggetti beneficiari.

 

Il comma 4 demanda ad un decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze, l’individuazione delle modalità di richiesta, delle liste dei soggetti beneficiari, delle modalità di riparto, e di modalità e i termini del recupero delle somme non rendicontate.

 

Il comma 5 dispone un’integrazione di 20 milioni di euro dell’autorizzazione di spesa contenuta nella legge finanziaria n. 244 del 2007 per il 5 per mille riferibile all’anno finanziario 2008.

Pertanto, ai fini dell’applicazione della disciplina del 5 per mille dell’IRE, il nuovo limite massimo di spesa per l’anno 2009[471] risulta pari a 405 milioni di euro. Infatti, l’articolo 3, comma 8, della legge n. 244 del 2007 ha disposto un limite massimo di spesa pari a 380 milioni di euro per l’anno 2009, poi incrementato di 5 milioni di euro dal già citato decreto-legge n. 248 del 2007 (articolo 45, comma 1-ter), per tenere conto in particolare dell’estensione della destinazione del 5 per mille anche alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI.

 

Il comma 6 hadisposto, infine, con riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche, che il contributo del 5 per mille IRE abbia effetto solo dopo l’adozione di un decreto del Ministero dell’economia che ne disciplina l’attuazione. In particolare, per le predette associazioni, il decreto dovrà prevedere particolari modalità di accesso al contributo, di controllo e rendicontazione delle somme ricevute, nonché limitazioni dell’incentivo nei confronti di associazioni sportive che svolgono altresì un’attività di interesse sociale.

Si segnala che, alla data del 26 settembre 2008, il predetto decreto del Ministero dell’economia che disciplina l’attuazione delle norme relative al contributo del 5 per mille IRE con riferimento alle associazioni sportive e dilettantistiche non risulta pubblicato in Gazzetta ufficiale.


 



[1]    Le fibre ottiche sono costituite da filamenti sottili in vetro (o in plastica), idonee alla conduzione di comunicazioni digitali e utilizzate per trasmissioni su lunghe distanze e per l’accesso a reti in banda larga.

[2]     Sono comprese, ad esempio, le ONLUS.

[3]     Ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c) del TUIR sono qualificate le partecipazioni che rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento a seconda che si tratti, rispettivamente, di titoli quotati o non quotati,

[4]     Sono escluse le partecipazioni in associazioni di professionisti.

[5]     Sulle plusvalenze realizzate entro il 2008 la quota che concorre alla formazione del reddito è fissata al 40%. L’articolo 2 del DM 2 aprile 2008, emanato in attuazione dell’articolo 1, comma 38, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) ha rideterminato la misura della quota imponibile fissandola al 49,72%.

[6]     Il Reg. (CE) 11 luglio 2006 n. 1083/2006 del Consigliorecante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999, all’art. 44 (Strumenti di ingegneria finanziaria) prevede nell'ambito di un programma operativo la possibilità per i Fondi strutturali di finanziare spese connesse a un'operazione che comprenda contributi a sostegno di strumenti di ingegneria finanziaria per le imprese, soprattutto PMI ( fondi di capitale di rischio, fondi di garanzia e fondi per mutui e per lo sviluppo urbano, ossia fondi che investono in partenariati tra settore pubblico e privato e altri progetti inclusi in un piano integrato per lo sviluppo urbano sostenibile).

[7]    Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) è stato istituito con decisione del consiglio dei governatori della Banca europea per gli investimenti (BEI) adottata il 25 maggio 1993 ed è diventato operativo nel 1994. Scopo principale del FEI è il sostegno alla creazione, alla crescita e allo sviluppo di piccole e medie imprese (PMI) attraverso strumenti di capitale di rischio e di garanzia. Le attività del Fondo possono essere svolte nel territorio dell'Unione, nei paesi candidati per i quali è già in corso il processo di adesione, nei paesi dell'EFTA e nei paesi limitrofi dell'UE nel caso di progetti transfrontalieri. Il Fondo è dotato di personalità giuridica e di autonomia finanziaria.

[8]     Le camere di commercio gestiscono infoimprese.it, una iniziativa realizzata da InfoCamere, società consortile di proprietà di tutte le camere di commercio italiane, avente lo scopo di garantire il collegamento tra le stesse camere attraverso una rete telematica che consenta alle aziende, alle amministrazioni e ai cittadini di accedere in tempo reale ad atti, documenti e informazioni sulle imprese iscritte nei registri, albi, ruoli, elenchi e repertori detenuti dalle camere tesse.

[9]     Si segnala che il Garante è stato nominato in data 15 gennaio 2008 nella persona del dott. Antonio Lirosi.

[10]   Si ricorda che la normativa in materia di privacy è stata riordinata con il D.Lgs 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione di dati personali”, attuativo della delega legislativa conferita al Governo con la legge 127/01 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2004.

[11]    L'Osservatorio dei prezzi e delle tariffe è un servizio di informazione, trasparenza e orientamento ai consumatori realizzato dal Ministero dello sviluppo economico (MSE) in collaborazione con le Amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, con l'ISTAT, l'UNIONCAMERE, le Associazioni dei consumatori, le parti sociali e con l'IPI (Istituto per la promozione industriale). L'iniziativa rappresenta un punto di riferimento, sia per i consumatori, sia per gli operatori economici, per documentarsi sull'andamento dei prezzi dei beni e dei servizi di largo consumo sulla loro variabilità e sulle dinamiche inflazionistiche. L’Osservatorio opera individuando un paniere composto da beni e servizi che rispecchia le voci di spesa più comuni delle famiglie italiane. Di questi vengono periodicamente rilevati i prezzi e le tariffe assicurando (quanto a numero di osservazioni, struttura merceologica del paniere, copertura territoriale) un sufficiente grado di rappresentatività. Per ciascun prodotto vengono rilevati i prezzi medi, minimi e massimi tenendo conto delle diverse fasce di consumo e delle diverse aree territoriali e ne vengono comunicati i livelli sull'intero territorio nazionale. Le fonti dell'Osservatorio sono ISTAT, EUROSTAT, INFOMERCATI e ISMEA.

[12]   Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza 165 del 18 aprile-11 maggio 2007 (GU 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del comma 366 relativamente alla parte in cui non prevede – ai fini della definizione, con decreto, delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi - la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Regioni interessate.

[13]    Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane.

[14]    La nuova disciplina in materia di distretti produttivi è stata estesa al settore della pesca dal DL n. 2 del 10 gennaio 2006 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito con modificazioni dalla legge n. 81 dell’11 marzo 2006 (SO n. 58 della GU n. 59 dell’11 marzo 2006), art. 5-bis, comma 1.

[15]    Tali risorse venivano allocate sul capitolo 7285 nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, nell’unità previsionale di base 3.2.3.31 (Altri investimenti).

[16]   Il Quadro strategico nazionale 2007-2013 è stato approvato dalla Commissione europea con Decisione del 13 luglio 2007. Esso contiene in particolare:

-        l’analisi delle priorità strategiche delle politiche nazionali, coordinate anche a livello regionale, in funzione degli obiettivi comunitari e basate su dati economici consuntivi per macroarea territoriale (Centro-Nord e Mezzogiorno);

-        l’elenco dei programmi operativi nel settennio di programmazione, a carattere regionale (POR) e nazionale (PON), in base ai quali sono delineate le strategie di allocazione programmatica ed utilizzo dei Fondi e della corrispondente quota di cofinanziamento nazionale, nonché del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) destinato alle politiche regionali di riequilibrio economico delle aree in ritardo di sviluppo. Essi presentano, in particolare:

-        una giustificazione delle priorità con riferimento agli orientamenti strategici per la coesione;

-        informazioni sugli assi prioritari e sui loro obiettivi specifici;

-        il piano di finanziamento;

-        le disposizioni di attuazione del programma operativo;

-        le valutazioni ex ante dei programmi operativi, nel rispetto del principio di addizionalità dei Fondi comunitari, volte a migliorare la qualità della programmazione;

-        gli indicatori economici consuntivi regionali che giustificano le priorità strategiche nel settennio di programmazione.

QSN 2007-2013 – Ripartizione delle dotazioni finanziarie per macroarea
(in miliardi di euro)

 

Fondi strutturali (*)

Cofinanz. Nazionale

FAS (**)

Totale

Centro-Nord

4,9

7,5

9,7

22,1

Mezzogiorno

23,0

23,9

54,7

101,6

Totale

27,9

31,4

64,4

123,7

(*)  Non sono incluse le risorse dell’obiettivo “Cooperazione territoriale”.

(**)Include la riserva premiale di 17 miliardi di euro, che non è computata nella ripartizione degli stanziamenti ai programmi.

[17]   Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

[18]   Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

[19]   Si veda il decreto dell’allora Ministero delle attività produttive, all’indirizzo internet http://www.sviluppoeconomico.gov.it/pdf_upload/documenti/phpnlmck2.pdf.

[20]    http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it.

[21]   Relazione Annuale per il 2007 della Unione petrolifera.

[22]    Si segnala che con la delibera del CIPE del 15 luglio 2005, n. 76, ai sensi dell'art. 1, comma 355, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, tra gli interventi agevolativi alle imprese cui è destinato il predetto fondo rotativo sono stati individuati gli interventi previsti dalla legge 17 febbraio 1982, n. 46, mentre in sede di prima applicazione è stata disposta la ripartizione delle risorse assegnate ai predetti interventi fra le aree sottoutilizzate e le restanti aree. Con la stessa delibera si è , inoltre, provveduto a fissare la misura minima del tasso di interesse da applicare ai finanziamenti agevolati, la durata massima del piano di rientro, ed è stata, altresì, approvata la convenzione-tipo che regola i rapporti tra la CDP spa. e il sistema bancario, nella quale sono definiti i compiti e le responsabilita' dei soggetti firmatari della convenzione e del soggetto finanziatore. Con il recente DM 1° febbraio 2006 del Ministero delle attività produttive sono stati fissati i requisiti e le condizioni per la concessione di finanziamenti agevolati a programmi relativi ad attività di sviluppo precompetitivo e a connesse attività di ricerca industriale, ai sensi dell'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46 istitutivo del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT),nel caso di ricorso alle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca.

[23]   Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” (pubblicato nella GU 16 marzo 2005, n. 62) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[24]   Si segnala in proposito il DM 1° febbraio 2006, adottato dal Ministro delle attività produttive di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze che stabilisce requisiti e condizioni per la concessione di finanziamenti agevolati a favore di programmi relativi ad attività di sviluppo precompetitivo e a connesse attività di ricerca industriale, ai sensi dell'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, istitutivo del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica, nel caso di ricorso alle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, istituito presso la Cassa depositi e prestiti dall'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (GU n. 67 del 21 marzo-2006).

[25]   Ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge di conversione n. 133, l’entrata in vigore è prevista il giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U. avvenuta il 21 agosto 2008.

[26]   Da tale indagine è risultato che la quota di affittuari che si trovano in condizioni di povertà economica è passata da poco più del 20% all’inizio del 1977 a quasi il 40% nel 2004 e che, mentre tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 per circa il 60% degli affittuari il peso del canone di locazione non superava il 10% sul reddito disponibile, negli anni 2000 il peso dell’affitto sulle risorse famigliari è aumentato in modo significativo: il 45% dei nuclei in affitto destina al canone più di un quarto del reddito disponibile. I risultati dell’indagine, commissionata a Nomisma, sono stati pubblicati il 20 settembre 2007 e sono consultabili sul sito: http://www.assoimmobiliare.it/doc/video/evidenza/Rapporto_Nomisma_condizione_abitativa_sin tesi.pdf

[27]   Può essere utile richiamare i due distinti filoni normativi ai quali è riconducibile la tematica del blocco degli sfratti:

-        il differimento delle esecuzioni di rilascio per immobili abitativi previsto dall'art. 6 della legge n. 431/1998, che si applica ai soli contratti regolati dalla legge sull’equo canone e da quella sui patti in deroga e ai soli comuni ad alta tensione abitativa;

-        la sospensione delle esecuzioni di rilascio per immobili abitativi prevista – solo per finita locazione e non per morosità - per determinate categorie di conduttori dall'art. 80, comma 22, della legge n. 388/2000. Anche in questo caso, la disposizione di sospensione è comunque limitata agli immobili ubicati in comuni ad alta tensione abitativa.

Tutti i decreti-legge adottati nella XIV e XV legislatura vanno collegati al secondo di tali filoni normativi.

[28]   Prendendo, infatti, a riferimento i dati dell'Osservatorio sfratti presso il Ministero dell'interno relativi all'anno 2006, su un totale di quasi 44.400 provvedimenti di sfratto emessi, 32.900 sono dovuti a morosità, mentre solo 9.800 circa sono dovuti a cessata locazione (c'è poi una quota minore di sfratti motivati da necessità del locatore).

[29]   I costruttori dell’Ance ritengono che l’intero programma (Piano casa e programmi integrati) potrebbe attivare risorse pubbliche e private fino a 21 miliardi di euro, consentendo di realizzare 100-110 mila alloggi (Il Sole 24 Ore del 18 settembre 2008).

[30]   I costruttori dell’Ance ritengono che i programmi integrati possano aggregare risorse pari a 12-16 miliardi (a partire da 700 milioni di risorse statali, arricchite da un cofinanziamento privato di 1,6 miliardi, accanto ad ulteriori investimenti in edilizia libera - circa 3,5 milioni - e in strutture non residenziali - circa 6 miliardi - nel contesto di ampi programmi di riqualificazione urbana) e che i fondi immobiliari sostenuti dalla Cassa Depositi e prestiti, con le fondazioni, possano aggiungerne altri 5 (Il Sole 24 Ore del 17 e 18 settembre 2008).

[31]   L’art. 1, comma 2, del DM definisce quale “alloggio sociale” l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie. Tre sono quindi gli elementi che caratterizzano la definizione di alloggio sociale: il vincolo alla locazione permanente, i soggetti destinatari degli stessi, individuati come soggetti svantaggiati e la circostanza che per “alloggio sociale” non si deve intendere la singola unità abitativa bensì l’insieme dei servizi connessi all’abitare. La definizione si allarga al comma 3 ove si specifica che gli operatori del settore possono essere sia pubblici che privati e che a essi possono sono riservati contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico – per realizzare o recuperare alloggi sociali destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà. L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale (Sieg), costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali. L’art. 2 demanda quindi alle regioni la definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale e la determinazione del relativo canone di locazione. L'alloggio sociale dovrà poi essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli artt. 16 e 43 della legge n. 457 del 1978 (che prevedono una superficie massima delle nuove abitazioni non superiore a mq 95 ed alcune caratteristiche tecniche e costruttive).

[32]   In pratica, se l'intesa non si realizza entro novanta giorni dalla data di ricevimento da parte delle regioni del programma, e il Consiglio dei Ministri ritiene che si debba procedere in difformità dalla previsione degli strumenti urbanistici, si provvede sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro o dei Ministri competenti per materia.

[33]   Secondo una nota di Federcasa inviata ai Ministeri delle infrastrutture e dell’Economia, alle regioni ed alla Corte dei Conti “una quota di fondi statali che oscilla tra i 140 e i 275 milioni” dei 550 milioni del Programma straordinario risulterebbe già iscritta nei bilanci degli entri destinatari ed impegnata (Sole 24 Ore del 21 settembre 2008).

[34]   Il programma riguarda i comuni di cui alla citata legge n. 9 ed è finalizzato al recupero e all’adattamento funzionale di alloggi non assegnati di proprietà degli ex IACP o dei Comuni, all’acquisto e la locazione di alloggi e all’eventuale costruzione di nuovi alloggi. Destinatari prioritari del programma sono i soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della citata legge n. 9 del 2007, nonché le giovani coppie a basso reddito. Il programma straordinario di edilizia residenziale è diretto altresì a soddisfare il patrimonio alloggiativo individuato dalle regioni e province autonome sulla base di elenchi prioritari e immediatamente realizzabili, con particolare riferimento a quelli ricompresi nei piani straordinari di cui al citato art. 3 della legge n. 9 del 2007 e in relazione alle priorità definite nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative di cui all'art. 4 della medesima legge.

[35]   Dall’importo complessivo di 550 milioni di euro sono state detratte le percentuali previste dall’art. 21, comma 4, del decreto legge n. 159/2007, per la costituzione ed il funzionamento dell’Osservatorio nazionale e degli Osservatori regionali sulle politiche abitative e per la copertura degli oneri derivanti dalla Convenzione da sottoscrivere ai sensi del comma 3 dello stesso art. 21 tra Ministero delle infrastrutture e la Cassa depositi e prestiti.

[36]   L’art. 21-bis non indica, però, l’entità di tali risorse residue da utilizzare per il rifinanziamento dei Contratti di quartiere II. Si tratterebbe di 65 milioni, secondo il Sole 24 Ore del 21 settembre 2008.

[37]    Legge 23 dicembre 2000, n. 388.

[38]    Legge 1° agosto 2002, n. 166, recante Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti.

[39]    Nel febbraio 2002 l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato è intervenuta con un parere trasmesso ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Economia e Finanze e al Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, al fine di segnalare i potenziali effetti distorsivi della concorrenza derivanti dalla prevista abrogazione dell’articolo 131, comma 2 della legge finanziaria 2001. L’Autorità, pur condividendo l’obiettivo di realizzare in Italia infrastrutture ferroviarie comparabili con quelle presenti in altri paesi europei, ha rilevato che la predetta disposizione non appariva coerente con le direttive comunitarie dettate in materia di appalti pubblici, attuate in Italia con il D.Lgs. 158/1995, poiché l’abrogazione dell’articolo 131, comma 2 della legge finanziaria 2001, comportando una reviviscenza dell’affidamento diretto delle opere la cui realizzazione non è ancora iniziata, avrebbe eluso l’obbligo di gara sancito dalla normativa comunitaria e nazionale di riferimento.

[40]    D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, recante Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

[41]   E’ il caso, ad esempio, del Lazio (legge regionale 3 settembre 2002, n. 30), della Toscana (legge regionale n. 49 del 1986) e del Veneto (legge regionale n. 10 del 1995).

[42]   G.U. 28 marzo 2007, n. 13 Prima serie speciale. Il testo è altresì disponibile all’indirizzo internet http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_indice.asp?sez=indice&Comando=LET&NoDec=94&AnnoDec=2007&TrmD=&TrmM. Per un commento articolato della sentenza si veda C. Tessarolo, Le competenze legislative di Stato e regioni in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, in Diritto dei servizi pubblici (http://www.dirittodeiservizipubblici.it/articoli/articolo.asp?sezione=dettarticolo&id=221).

[43]   Relativamente alla candidatura di Milano, si ricorda che l’art. 1, comma 950, della legge finanziaria 2007 (n. 296/2006) ha autorizzato uno stanziamento di 3 milioni di euro per il 2007 e di un milione di euro per il 2008 per finanziare le attività di promozione della candidatura milanese all’Expo 2015. Disposizioni volte a semplificare le procedure di utilizzo di tali risorse sono state dettate dall’art. 2 del DL n. 10/2007 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46).

[44]    Si segnala che, in data 18 giugno 2008, è stata raggiunta fra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’Associazione italiana editori un’intesa su e-book, prezzi dei libri e agevolazioni economiche per i meno abbienti.

Si segnala, inoltre, che, nel mese settembre 2007, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva avviato un’istruttoria nei confronti dell’ Associazione Italiana Editori al fine di accertare eventuali violazioni delle norme sulla concorrenza. L’Autorità (con Delibera adottata il 24 aprile 2008, Provvedimento n. 18286) aveva poi concluso il procedimento (nel frattempo esteso ad altri editori) dichiarando il venir meno dei profili anticoncorrenziali a seguito degli impegni assunti dalle parti. Queste ultime erano state pertanto invitate ad ottemperarvi ed a presentare relazioni in proposito entro il 31 dicembre 2008 e poi con cadenza triennale. Con riguardo alle proposte degli editori, in particolare l’A.I.E. (che ne rappresenta il 90% ) si è impegnata a partire dall’anno scolastico 2008/09 a garantire- a tutti gli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado- l’ accesso gratuito all’elenco ed a varie informazioni sui testi in commercio per ogni singola materia. E’ stata inoltre prospettato dagli editori lo sviluppo di strumenti informatici per la trasposizione dei testi su supporto digitale.

Nel mese di agosto 2008, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deciso di avviare un monitoraggio sui costi dei libri scolastici per verificare se nel mercato dell’editoria scolastica si stiano verificando gli attesi cambiamenti positivi per le famiglie legati agli impegni delle case editrici resi vincolanti dall’Autorità. Secondo quanto si legge nel sito dell’AGCM, infatti, “la maggior parte degli editori si è impegnata a sfruttare strumenti informatici per operare una trasposizione su supporto digitale di parte dei contenuti prima diffusi solamente su carta, in modo da poter ottenere un contenimento della foliazione dei testi stampati e una conseguente riduzione dei costi di produzione: buona parte dei risparmi così ottenuti si sarebbe dovuto tradurre, in base agli impegni, in un contenimento dei prezzi di copertina, a beneficio dei consumatori”.

[45]   Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

[46]   Il testo dell’art. 156 fa riferimento alle scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. La Corte costituzionale, però, con sentenza 15-30 dicembre 1994, n. 454, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui esclude dalla fornitura gratuita dei libri di testo gli alunni delle scuole elementari che adempiono all’obbligo in modo diverso dalla frequenza presso scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale.

[47]   L. 23 dicembre 1998, n. 448, Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.

[48]   Per l’individuazione delle categorie degli aventi diritto al beneficio, il D.P.C.M. 5 agosto 1999, n. 320, applica, ai fini della valutazione della situazione economica dei beneficiari, i criteri da applicare ai soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, recati dal D.Lgs. n. 109/1998. In particolare, possono accedere al beneficio gli alunni che appartengano a nuclei familiari il cui reddito annuo sia equivalente o inferiore a trenta milioni di lire.

[49]   L. 23 dicembre 1999, n. 488, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000).

[50]   Più precisamente, per l’esercizio 2001 dalla legge finanziaria per lo stesso anno (legge 388/2000), per gli esercizi 2002, 2003 e 2004 dalla legge finanziaria per il 2002 (legge 448/2001), per gli esercizi 2005 e 2006 dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004), per gli esercizi 2007, 2008, 2009 dalla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006).

[51]   Per l’A.S. 2007-2008, il Decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 45 del 22 maggio 2007 ha stabilito un tetto massimo di 280 euro per la prima media, di 108 euro per la seconda media e di 124 euro per la terza media.

[52]   L. 20 gennaio 1999, n. 9, Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione. La legge è stata abrogata dall'art. 7 della L. 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[53]   L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[54]   L’art. 3 del DM stabilisce che eventuali incrementi degli importi indicati sono consentiti, entro il limite massimo del 10%, negli indirizzi di studio in cui sono presenti indirizzi sperimentali. In tal caso, le relative delibere di adozione dei testi scolastici devono essere adeguatamente motivate da parte del Collegio dei docenti ed approvate dal Consiglio di istituto.

[55]   Legge 9 gennaio 2004, n. 4, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici.

[56]   D.P.R. 1° marzo 2005, n. 75.

[57]   Il decreto stabilisce, fra l’altro, che:

-      per strumenti didattici e formativi si intendono programmi informatici e documenti in formato elettronico usati nei processi di istruzione e apprendimento. In tale definizione sono compresi i libri di testo;

-      per software didattico si intendono i programmi applicativi informatici finalizzati a supportare gli apprendimenti. Sono tali, ad esempio, i programmi basati sull’alternanza spiegazione – verifica (tutoriali), quelli basati sullo schema domanda-risposta-verifica (eserciziari), gli ambienti di simulazione, i giochi educativi, i corsi interattivi di lingua straniera;

-      che i servizi sopra indicati devono rispondere, fra l’altro, a criteri di facilità e semplicità d’uso, di efficienza, di rispondenza alle esigenze dell’utenza.

[58]   Legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[59]   Trattasi dei regolamenti di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, da adottarsi per la disciplina di materie non coperte da riserva assoluta di legge.

[60]   Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53.

[61]   Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53.

[62]   Si ricorda che l’avvio della riforma del secondo ciclo è stato rinviato all’A.S. 2009-2010 dall’art. 13, c. 1-quater, del dl. 31 gennaio 2007, n. 7.

[63]   La disposizione in commento riprende la previsione di cui all’art 16, commi 4-9, del ddl AC 5310-ter , risultante dallo stralcio del DDL finanziaria per il 2004(XIV legislatura).L’iter del ddl, avviato dalla VII commissione in sede referente, non è pervenuto a compimento. Si ricorda che la voluminosità ed il peso dei libri sono stati oggetto di numerose segnalazioni da parte di associazioni delle famiglie ed organismi sanitari. In particolare, fin dagli anni novanta, il Consiglio superiore di Sanità ha raccomandato che il peso dello zaino non superasse il 10-15 per cento di quello corporeo; mentre l’Osservatorio permanente per i libri di testo (organismo di consultazione del Ministero della Pubblica Istruzione, composto da rappresentanti degli editori, dei genitori e dei docenti) ha proposto l’adozione di testi più agili ed il contemporaneo potenziamento delle biblioteche scolastiche e degli strumenti multimediali. Va ricordato, infine, che nel Codice di autoregolamentazione degli editori, adottato nel 2000, è contenuto il proposito di ridurre il peso dei libri tramite l’utilizzo di carta di minor grammatura e la suddivisione in fascicoli.

[64]   Decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.

[65]   F. Galgano, Fondazione 1) Diritto civile, voce Enciclopedia giuridica, Milano, Utet, 1989.

[66]   Le norme richiamate stabiliscono, innanzitutto, i requisiti dell’atto costitutivo e dello statuto della fondazione, con i quali il fondatore (soggetto privato o ente pubblico) enuncia un determinato scopo, predispone la struttura organizzativa che dovrà provvedere alla sua realizzazione e la fornisce dei mezzi patrimoniali necessari. Sono, inoltre, regolati i profili relativi alle responsabilità degli amministratori, al controllo dell’autorità governativa sull’amministrazione, all’estinzione e alla trasformazione della fondazione.

[67]   L’acquisto della personalità giuridica consegue all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture e tenuto sotto la diretta sorveglianza del prefetto.

[68]   Le fondazioni bancarie, frutto di un lungo percorso di trasformazione del sistema creditizio avviato dalla c.d. legge Amato (legge n. 218 del 1990), sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 e dal regolamento di cui al D.M. 18 maggio 2004, n. 150.

[69]   Gli enti lirici sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato con il D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 367, al fine di eliminare rigidità organizzative connesse alla natura pubblica dei soggetti e di rendere disponibili risorse private in aggiunta al finanziamento statale.

[70]   D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254, Regolamento recante criteri e modalità per la costituzione di fondazioni universitarie di diritto privato, a norma dell'articolo 59, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388.

[71]   Per un approfondimento, cfr. D. Marchetta, Le nuove fondazioni universitarie, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, pp. 764-774.

[72]   Questa categoria di atenei fu prevista originariamente dal t.u. n. 1592 del 1933 (art. 1, 198 ss., con la dizione di università libere), ed è attualmente disciplinata dalla l. 29 luglio 1991, n. 243, dal D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 (art. 2, co. 5) e dal d.m. 3 luglio 2007, n. 362 (art. 5).

[73]   Cfr., ex multiis, Cass. civ., Sez. Unite, 11/03/2004, n. 5054.

[74]   Il Senato accademico (SA) è organo interno all’università che assicura la rappresentatività delle facoltà (o dipartimenti) istituite all’interno dell’ateneo (art. 16, co. 4, l. n. 168/1989) e, dunque, della componente accademica. È generalmente composto da: rettore e prorettore; direttore amministrativo, generalmente con funzioni di segretario; presidi delle facoltà; rappresentanti dei settori scientifico-disciplinari e rappresentanti degli studenti. Il Senato ha compiti di tipo decisionale, consultivo o proposito in numerose materie, anche a seconda dei diversi statuti, ma è complessivamente considerato organo di indirizzo in materia di didattica e di ricerca. Singole disposizioni di legge attribuiscono poteri al Senato accademico; in particolare, ai sensi dell’art. 16, co. 2, della l. n. 168/1989, il SA - in composizione integrata - delibera lo statuto dell’università.

[75]   L. 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Il Titolo II della legge contiene le norme fondamentali sull’autonomia delle università.

[76]   A queste prescrizioni positive segue l’indicazione dei limiti, che riguardano: il valore legale dei titoli di studio; il rispetto delle norme sullo stato giuridico del personale docente, ricercatore e non docente e quelle sugli ordinamenti didattici.

[77]   L’integrazione è costituita da presidi e da un uguale numero di rappresentanti di dipartimenti e istituti; per ogni area disciplinare, da un rappresentante di ciascuna fascia dei professori e dei ricercatori; da rappresentanti degli studenti in numero pari ai presidi; da rappresentanti del personale non docente in numero pari alla metà dei presidi.

[78]   Ai sensi dell’art. 6, co. 10, il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito. Gli organi competenti dell'università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emanate.

[79]    “Interventi correttivi di finanza pubblica”. L’articolo 5 ha dato sostanziale attuazione alla riforma del sistema di trasferimento delle risorse finanziarie alle università, già delineata dall'articolo 7, comma 2, della l. 9 maggio 1989, n. 168 (Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica) e differita dall'articolo 16, comma 6, della medesima legge alla data di entrata in vigore della legge di attuazione dei principi di autonomia universitaria.

[80]    Non è invece inclusa nel fondo, e continua quindi ad essere erogata a parte, la quota delle spese per la ricerca scientifica universitaria destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale di cui all’abrogato articolo 65 del D.P.R. n. 382 del 1982 (che ora sono confluite – ai sensi dell’art. 1, co. 870, della legge 296/2006 – nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica - FIRST) nonché la spesa per l'attività sportiva universitaria.

[81]   L. 21 marzo 1958 n. 259, Partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

[82]   La disposizione relativa alla revoca del rettore, contenuta nell’articolo 2 del D.lg.Lgt. 7 settembre 1944, n. 264, ancorché formalmente vigente, non ha trovato applicazione in quanto ritenuta lesiva dell’autonomia di cui godono gli atenei.

[83]   Lo statuto è stato pubblicato, per comunicato, nella G. U. 14 settembre 2005, n. 214. Il testo è scaricabile dal sito web della fondazione, all’indirizzo http://www.iit.it/files/pdf/rules/Statuto.pdf.

[84]   Le somme assegnate all’istituto sono state allocate annualmente nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze.

[85]   In particolare, l’art. 1, comma 1, della legge autorizza il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi – entro 18 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento (25 aprile 2009) – al fine di provvedere al riordino degli statuti e degli organi di governo degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca.

[86]   D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[87]    Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici (conv. L. 24 novembre 2003, n. 326).

[88]   Con la sentenza n. 272 del 2004.

[89]   Quanto alla definizione di servizi di rilevanza economica essa si può desumere indirettamente dall’art. 2082 del codice civile che definisce l’imprenditore come colui che esercita “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. L’introduzione di tale definizione si deve all’art. 14 del D.L. 269/2003, che, raccogliendo uno dei rilievi alla base della procedura d’infrazione attivata da parte della Commissione europea, ha sostituito la precedente distinzione tra servizi di rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale.

[90]   Articolo 1, comma 48, della L. 308/2004, che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del testo unico; lo stesso articolo 1, comma 48, ha sottratto al regime generale anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane.

[91]   Comma 5-bis dell’articolo 113 TU, introdotto dalla L. 350/2003 (legge finanziaria 2004, articolo 4, comma 234, lett. a)).

[92]   Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge si precisa che la disposizione in esame nulla innova in materia di cumulo tra attività lavorativa e assegno di invalidità previdenziale, parzialmente cumulabile.

[93]    Si ricorda che ai fini dell’applicazione del divieto di cumulo, le pensioni e le retribuzioni si intendono al netto delle maggiorazioni e integrazioni per carichi di famiglia e dai redditi devono essere detratte anche le quote dovute per imposte e contributi previdenziali e assistenziali.

[94]   Si ricorda che ai fini del cumulo, il trattamento di anzianità è equiparato a quello di vecchiaia dopo il compimento dell'età pensionabile (art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 503/1992) ovvero da subito nel caso in cui esso sia stato liquidato con un'anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni (art. 77, legge n. 448/1998).

[95]    Si ricorda che il sistema contributivo si applica in maniera integrale ai soggetti privi di anzianità contributiva alla data del 1° gennaio 1996 (art. 1, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335) nonché ai soggetti, già iscritti a forme pensionistiche obbligatorie alla suddetta data, che in base all'art. 1, comma 23, della stessa legge n. 335 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180, abbiano optato in tal senso. L'esercizio dell'opzione è subordinato al conseguimento di un'anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni, di cui almeno 5 maturati successivamente al 31 dicembre 1995. L’opzione medesima, in virtù dell’interpretazione autentica recata dall’articolo 2 del decreto-legge 28 settembre 2001, n. 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2001, n. 417, è esercitabile esclusivamente dai lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni.

[96]    Come sopra accennato, già l'art. 77 della legge 448/1998 equipara tali pensioni di anzianità (anche se liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge stessa) a quelle di vecchiaia.

[97]    L'importo minimo è in tale fattispecie, come detto, pienamente cumulabile.

[98]    Precedentemente definiti dalla L. 335/1995 e dalla L. 449/1997.

[99]    L. 23 agosto 2004, n. 243, Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.

[100]  L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[101]  D.P.R. 5 giugno 1965, n. 758, Nuove norme sul cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di Enti pubblici, in applicazione della legge 5 dicembre 1964, n. 1268.

[102]  L. 23 luglio 1991, n. 223, Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.

[103]  Si tratta sostanzialmente delle imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS.

[104]  Il contributo d’ingresso, previsto dall’articolo 4, comma 3, della L. 223 del 1991, è pari ad una mensilità di massimale lordo CIGS per ogni lavoratore che si intende licenziare. Tale versamento costituisce una anticipazione di quanto dovuto complessivamente all’INPS per la procedura di mobilità. Difatti, ai sensi dell’articolo 5 della L. 223/1991, nel corso della procedura il datore di lavoro è tenuto a versare, per ciascun lavoratore licenziato e beneficiario dell’indennità di mobilità, in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il trattamento iniziale netto di mobilità spettante al lavoratore in 30 rate mensili, se il licenziamento è avvenuto dopo la utilizzazione della CIGS. Nel caso di riduzione del personale senza aver utilizzato prima la CIGS, il contributo complessivo è invece pari a nove volte il trattamento iniziale netto di mobilità. Comunque l’importo da pagare da parte del datore di lavoro è ridotto a tre volte il trattamento netto di mobilità nel caso in cui la messa in mobilità avviene previo accordo sindacale.

      Si ricorda inoltre che è esonerata dal versamento delle residue rate del contributo d’ingresso dovuta l’azienda che procuri ai lavoratori offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi determinate caratteristiche (Circ. INPS n. 171/2001).

[105]  In particolare, ai sensi dell’articolo 16 della L. 223 del 1991, i lavoratori collocati in mobilità hanno diritto alla relativa indennità a condizione che, avendo un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, possano vantare un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività, infortuni, astensione per maternità e congedi parentali

[106]  In entrambi i casi lo sgravio contributivo non riguarda i premi INAIL, che restano quindi dovuti per intero.

[107]  R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 1936, n. 1155.

[108]In tal senso, la sentenza 23 ottobre-15 novembre 2007, n. 23726.

[109]  L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[110]Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge in esame si sottolineava che, sulla base delle normative comunitarie vigenti, i cittadini comunitari e i loro familiari a carico che soggiornavano in Italia per un periodo superiore a tre mesi, potevano fare richiesta, in presenza degli altri requisiti legati al reddito, dell’assegno sociale, accludendo alla domanda il certificato di iscrizione anagrafica presso il comune di residenza. In tal modo si era prodotto il fenomeno di ricongiungimenti “surrettizi” di ascendenti sessantacinquenni che sulla base di tale iscrizione anagrafica sono legittimati, in presenza delle previste condizioni reddituali, ad ottenere la liquidazione di prestazioni puramente assistenziali. La norma in esame è volta a regolamentare tale fenomeno con l’elevazione del periodo di permanenza in via continuativa sul territorio nazionale richiesto ai fini del diritto all’assegno sociale. In tal modo si dà anche applicazione ai principi contenuti nel D.Lgs. 30/2007, laddove si enuncia il principio per il quale il ricongiungimento familiare (in questo caso degli ascendenti) non deve gravare sull’assistenza sociale del Paese di accoglienza.

[111]  L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[112]Si tratta dei comitati provinciali che gestiscono il contenzioso amministrativo dell’INPS.

[113]  L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[114]Introdotto dalla L. 247/2007.

[115]Tale percentuale può essere aumentata per gli aeroporti minori, previa autorizzazione della direzione provinciale del lavoro.

[116]La normativa vigente prevede casi, ormai residuali, in cui permane il regime di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum), originariamente previsto per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dall'articolo 2118 del codice civile.

[117]L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come accennato, prevede la "tutela reale", che comporta per il datore di lavoro l’obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento. La medesima forma di tutela si applica altresì nei confronti dei datori di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di 60 lavoratori.

[118]Il comma 9 dell’articolo 10 del D.Lgs. 368/2001 affidava alla contrattazione collettiva il compito di individuare un diritto di precedenza nell'assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica solamente in favore dei soggetti che avessero avuto un rapporto di lavoro a termine per prestazioni di natura stagionale o per intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno, mentre il comma 10 dello stesso articolo precisava che il diritto di precedenza si estingueva entro un anno dalla cessazione del rapporto e che il lavoratore doveva manifestare la volontà di avvalersene entro tre mesi dalla cessazione del rapporto.

[119]Si consideri che la previgente disciplina rimetteva ai contratti collettivi l’individuazione di un diritto di precedenza nelle assunzioni, in favore esclusivamente dei soggetti che avessero avuto un rapporto di lavoro a termine per prestazioni di natura stagionale o per intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno.

[120]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[121]Al riguardo, la circolare INPS 31 luglio 2008, n. 81, emanata con riferimento alla sperimentazione del lavoro occasionale di tipo accessorio in agricoltura in occasione delle vendemmie 2008, così come disciplinata dal D.M. 12 marzo 2008, sottolinea la necessità di considerare i criteri di sperimentazione descritti nella stessa circolare come regolamentazione transitoria rispetto alla nuova disciplina del lavoro occasionale di tipo accessorio introdotta dall’articolo in esame. Difatti, la circolare afferma che “si pone l’esigenza di raccordare - anche ai fini della necessaria disciplina organizzativa della sperimentazione del lavoro occasionale di tipo accessorio – il nuovo disposto normativo del D.L. n. 112 del 2008 con quanto disciplinato, ai fini della sperimentazione suddetta, dalla normativa previgente, in tempo utile a realizzare un’efficace conduzione della sperimentazione stessa”. A tal fine si precisa che, pur essendo stati modificati in maniera significativa dal D.L. 112/2008 i criteri normativi relativi alla possibilità di utilizzare le prestazioni di lavoro accessorio in agricoltura a cui fa riferimento il menzionato D.M. 12 marzo 2008, la sperimentazione del lavoro occasionale di tipo accessorio, per il 2008, sarà effettuata con riferimento a prestazioni di lavoro accessorio effettuate da parte di studenti e pensionati nel corso delle attività di vendemmia, non prendendo cioè in considerazione le novità introdotte dal D.L. 112/2008 per quanto riguarda l’individuazione delle prestazioni di lavoro accessorio in agricoltura.

[122]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[123]La relazione illustrativa del decreto-legge evidenzia che tali modifiche mirano alla piena valorizzazione dell’autonomia collettiva nella regolamentazione del rapporto di apprendistato.

[124]  Disciplina dell'apprendistato.

[125]L. 24 giugno 1997, n. 196, Norme in materia di promozione dell'occupazione.

[126]Viene inoltre confermata la norma in base alla quale il numero degli apprendisti presso ciascuna azienda non può superare il numero dei lavoratori specializzati e qualificati, prevedendosi tuttavia che, se tali lavoratori mancano o sono meno di tre, è consentita comunque l’assunzione di tre apprendisti.

[127]  “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.”

[128]In attuazione delle disposizioni del Titolo VI, Capo I, del D.Lgs. n. 276/2003 è stata emanata da parte del Ministero del lavoro la circolare 14 ottobre 2004, n. 40, “Nuovo contratto di apprendistato”.

[129]L’aliquota contributiva a carico dell'apprendista è quella stabilita per la generalità dei lavoratori dipendenti, meno 3 punti percentuali. Dal 1° gennaio 2007, tenendo conto dell'aumento dello 0,30% della contribuzione a carico dei lavoratori dipendenti disposto dall’articolo 1, comma 769, della legge finanziaria 2007, l’aliquota contributiva a carico dell’apprendista si attesta nella misura del 5,84%.

[130]  Cfr. circolare INPS 8 febbraio 2006, n. 18.

[131]  La ripartizione del contributo - con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007 - è stata effettuata dal D.M. 28 marzo 2007. In particolare, la ripartizione è la seguente: FPLD: 9,01%; CUAF: 0,11%; Malattia: 0,53%; Maternità: 0,05%; INAIL: 0.30%.

[132]  L. 21 dicembre 1978, n. 845, Legge-quadro in materia di formazione professionale. Il terzo comma del richiamato articolo 16 dispone che le regioni stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani.

[133]Il già menzionato D.M. 28 marzo 2007, come detto, ha stabilito la contribuzione dovuta a decorrere dal 1° gennaio 2007 per l'indennità giornaliera di malattia nella misura di 0,53 punti percentuali.

[134]La relazione illustrativa al decreto-legge evidenzia che la norma si pone in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, che ha affermato come rientri nella competenza delle regioni unicamente l’offerta formativa pubblica (cfr. sentenza n. 50 del 28 gennaio 2005). In particolare la Corte costituzionale ha chiarito che la competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di formazione professionale riguarda esclusivamente la formazione professionale pubblica. Invece la formazione professionale che i datori di lavoro somministrano in azienda (formazione aziendale), rientrando nel sinallagma contrattuale, attiene alla materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato “ordinamento civile”.

[135]  D.M. 7 ottobre 1999, Disposizioni per l'attuazione dell'art. 16, comma 2, della L. 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, recante: «Norme in materia di promozione dell'occupazione».

[136]  D.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668, Approvazione del regolamento per l'esecuzione della disciplina legislativa sull'apprendistato.

[137]  L. 19 gennaio 1955, n. 25, Disciplina dell'apprendistato.

[138]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[139]  D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.

[140]  D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

[141]  L. 15 dicembre 2004, n. 308, Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.

[142]  Si tratta di società nei confronti delle quali l’ente locale esercita un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e realizza la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla. I requisiti per l’affidamento in house si desumono dalla normativa europea in materia di appalti pubblici, e sono stati enucleati nella storica sentenza della Corte di giustizia CE del 18 novembre 1999, causa C-107/98, nota come sentenza Teckal.

[143]  Corte giustizia CE, sentenza del 18 dicembre 2007, n. 357 (causa C-357-06).

[144]  Autorità garante della concorrenza e del mercato, Segnalazione 24 luglio 2008, Segnalazione relativa all'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, disciplinante i servizi pubblici locali di rilevanza economica, introdotto nel corso dell'esame parlamentare del relativo disegno di legge di (Atto Camera n. 1386). Trasmessa alla Camera il 24 luglio 2008, annunciata il 28 luglio 2008

[145]  Ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, Norme per la tutela della concorrenza e del mercato (art. 22) l’Autorità antitrust può esprimere pareri sulle iniziative legislative o regolamentari e sui problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato quando lo ritenga opportuno, o su richiesta di amministrazioni ed enti pubblici interessati. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere il parere dell'Autorità su iniziative legislative o regolamentari che abbiano direttamente per effetto: a) di sottomettere l'esercizio di una attività o l'accesso ad un mercato a restrizioni quantitative; b) di stabilire diritti esclusivi in certe aree; c) di imporre pratiche generalizzate in materia di prezzi e di condizioni di vendita.

[146]  L. art. 42, comma 3, stabilisce che “In attuazione dei princìpi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, i comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti svolgono le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata in modo che la popolazione complessiva dei comuni associati sia almeno pari a 20.000 abitanti”.

[147]  Il comma 2 dell'art. 17 citato prevede che, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

[148]  Circolare del Presidente della Camera sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, 20 aprile 2001, (par. 3, lett. g) e Circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri 2 maggio 2001, Guida alla redazione dei testi normativi (par. 3.1).

[149]L’istituzione dell’Unità per la semplificazione è stata prevista dall’articolo 1, comma 22-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233. L’Unità è presieduta dal Ministro per la semplificazione normativa; ne fa parte il capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri; i componenti (fino ad un massimo di 20) sono scelti tra professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all'albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità.

      L’Unità fornisce supporto generale al Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione e istruisce annualmente il Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione, che individua gli obiettivi, le azioni necessarie al loro conseguimento, i tempi di attuazione e i soggetti responsabili, al fine di ricondurre gli interventi di miglioramento della regolazione a un quadro unitario e condiviso.

[150]L’articolo 20 della legge n. 59/1997 prevede la presentazione del Governo al Parlamento del disegno di legge annuale per la semplificazione e il riassetto normativo, che a sua volta demanda normalmente la disciplina delle diverse materie a decreti legislativi e regolamenti di delegificazione.

[151]Comunicato pubblicato sul sito del Formez, www.formez.it, nell’area tematica della semplificazione.

[152]  Il presente paragrafo riprende, in sintesi, quanto già scritto nel dossier della collana Documentazione e ricerche della XV legislatura, n. 56, elaborato in collaborazione con il Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato, cui si rimanda per una dettagliata analisi del modello.

[153]  I successivi commi 721-723 recano misure di principio finalizzate al contenimento della spesa pubblica delle regioni in relazione ai costi degli organismi politici e degli apparati amministrativi, da perseguire anche attraverso la soppressione degli enti inutili, la fusione delle società partecipate e il ridimensionamento delle strutture organizzative.

[154]  La Commissione è composta da venti senatori e venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, su designazione dei gruppi medesimi. Essa svolge un ruolo di tipo consultivo nel processo in corso di semplificazione legislativa, delineato dall’art. 14 della L. 246/2005.

[155]  Legge 4 dicembre 1956, n. 1404, Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale.

[156]  Decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112. La menzionata lett. c) ha stabilito – ferma restando la titolarità, in capo al Ministero dell’economia e delle finanze, dei rapporti giuridici attivi e passivi – che la gestione della liquidazione nonché del contenzioso può essere da questo affidata ad una società, direttamente o indirettamente controllata dallo Stato, scelta in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato. La società può avvalersi anche dell’assistenza, della rappresentanza e della difesa in giudizio dell’Avvocatura dello Stato alle stesse condizioni e con le stesse modalità con le quali se ne avvalgono, ai sensi della normativa vigente, le Amministrazioni dello Stato. È, altresì, facoltà della società di procedere alla revoca dei mandati già conferiti. La società esercita ogni potere allo stato attribuito all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Sulla base di criteri di efficacia ed economicità e al fine di eliminare il contenzioso pendente, evitando l’instaurazione di nuove cause, la società può compiere qualsiasi atto di diritto privato, ivi incluse transazioni relative a rapporti concernenti differenti procedure di liquidazione, cessioni di aziende, cessioni di crediti in blocco pro soluto e rinunce a domande giudiziali. Sulle transazioni la società può chiedere il parere all’Avvocatura dello Stato. La società può anche rinunciare a crediti al di fuori delle ipotesi previste dal terzo comma dell’articolo 9 della citata L. 1404/1956. In base ad una apposita convenzione, sono disciplinati i rapporti con il Ministero dell’economia e delle finanze e, in particolare, il compenso spettante alla società, i profili contabili del rapporto, nonché le modalità di rendicontazione e di controllo.

[157]  V. il decreto 27 settembre 2004 (Gazz. Uff. 31 dicembre 2004, n. 306).

[158]  Il termine per l'eventuale trasformazione in soggetto di diritto privato dell'Unione accademica nazionale è stato prorogato al 31 dicembre 2008 dall’art. 5, co. 2-bis, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, conv. con mod. dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31.

[159]  Il termine per l'emanazione dei regolamenti è stato prorogato al 30 settembre 2008 per la Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” dall’art. 4, co. 3, del D.L. D.L. 3 giugno 2008, n. 97, Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini, in corso di conversione.

[160]  Il comma 640 ha infine previsto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2008, della previgente disciplina in tema di razionalizzazione degli enti pubblici, di cui all’art. 28 della legge finanziaria 2002. Sono però fatti salvi i commi 7, 9, 10 e 11 e i regolamenti già emanati ai sensi di quell’articolo.

[161]  Sul punto, si rinvia anche a quanto riportato nel sito Internet dell’ISTAT: http://www.istat.it/strumenti/definizioni/elenco_amministrazioni_pubbliche/.

[162]  L. 27 settembre 2007, n. 165, Delega al Governo in materia di riordino degli enti di ricerca.

[163]D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.

[164]Dal sito del CNIPA, sezione dedicata alla dematerializzazione:

http://www.cnipa.gov.it/site/it-IT/Attivit%c3%a0/Dematerializzazione.

[165]CNIPA - Gruppo di Lavoro interministeriale per la dematerializzazione della documentazione tramite supporto digitale, Libro bianco: La dematerializzazione della documentazione amministrativa, marzo 2006.

[166]D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei Beni culturali e del paesaggio.

[167]La disposizione non identifica espressamente quali siano le amministrazioni del comparto pubblico destinatarie del precetto. in assenza di una definizione normativa, potrebbe peraltro soccorrere art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001 in base al quale per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[168]Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.

[169]L’art. 37 del Codice limita gli obblighi di notifica al Garante al trattamento di determinate categorie di dati: a) dati genetici, biometrici o dati che indicano la posizione geografica di persone od oggetti mediante una rete di comunicazione elettronica; b) dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, trattati a fini di procreazione assistita, prestazione di servizi sanitari per via telematica relativi a banche di dati o alla fornitura di beni, indagini epidemiologiche, rilevazione di malattie mentali, infettive e diffusive, sieropositività, trapianto di organi e tessuti e monitoraggio della spesa sanitaria; c) dati idonei a rivelare la vita sessuale o la sfera psichica trattati da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale; d) dati trattati con l'ausilio di strumenti elettronici volti a definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, ovvero a monitorare l'utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti; e) dati sensibili registrati in banche di dati a fini di selezione del personale per conto terzi, nonché dati sensibili utilizzati per sondaggi di opinione, ricerche di mercato e altre ricerche campionarie; f) dati registrati in apposite banche di dati gestite con strumenti elettronici e relative al rischio sulla solvibilità economica, alla situazione patrimoniale, al corretto adempimento di obbligazioni, a comportamenti illeciti o fraudolenti. La notificazione relativa al trattamento dei dati sopraelencati non è dovuta se relativa all'attività dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, in quanto tale funzione è tipica del loro rapporto professionale con il Servizio sanitario nazionale.

[170]Eco-Management and Audit Scheme. Tale regolamento viene spesso indicato come EMAS II, dato che il sistema fu introdotto dal regolamento n. 1836/93/CE. Per approfondimenti si rinvia a http://www.apat.gov.it/certificazioni/site/it-IT/.

[171]Ciò ha reso necessaria l’emanazione del regolamento n. 196/2006 volto a modificare il regolamento EMAS al fine di apportare gli aggiornamenti resisi necessari in seguito alla pubblicazione, verso la fine del 2004, della nuova versione della norma ISO 14001.

[172]Integrated Pollution Prevention and Control.

[173]  R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

[174]  D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico.

[175]  Ministero dell’interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi Demografici, Circolare 26 giugno 2008, n. 8 (Prot. 0007082).

[176]  D.M. 8 novembre 2007, Regole tecniche della Carta d'identità elettronica (art. 14).

[177]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.

[178]  D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero

[179]  L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo

[180]  D.L. 9 settembre 2002, n. 195 (conv. L. 222/2002) Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari

[181]  D.L. 31 gennaio 2005 n. 7 (conv. L. 43/ 2005), art. 7-vicies ter, che disposto la sostituzione del permesso di soggiorno su supporto cartaceo con il permesso di soggiorno elettronico, di cui al regolamento (CE) n. 1030/2002, del 13 giugno 2002.

[182]  Decreto del Ministero dell’interno 3 agosto 2004.

[183]  Si vedano i lavori preparatori della legge 189/2002 ed in particolare la seduta della Camera dei deputati del 29 maggio 2002.

[184]  Regolamento n. 2252/2004 del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativo alle norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici dei passaporti e dei documenti di viaggio rilasciati dagli Stati membri.

[185]  Il parere del Comitato della legislazione è del 13 giugno 2007, il 14 giugno è stato approvato dalla Commissione l’em. 16.400 che recepisce il parere del Comitato.

[186]  Comma aggiunto dall'art. 2, co. 11-ter, L. 15 maggio 1997, n. 127, come integrato dall'art. 2, co. 6, L. 16 giugno 1998, n. 191.

[187]  D.M. 17 maggio 2007, Sostituzione del modello della carta d'identità cartacea per i documenti emessi dagli uffici consolari, ai sensi dell'articolo 1, comma 1319, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[188]  Ministero dell’interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi Demografici, Circolare 26 giugno 2008, n. 8 (Prot. 0007082).

[189]  D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, art. 36, co. 7.

[190]  R.D. 6 maggio 1940, n. 635, Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza.

[191]L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[192]L. 16 giugno 1998, n. 191, Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127 nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica.

[193]D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.

[194]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.

[195]D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico.

[196]  D.M. 8 novembre 2007, Regole tecniche della Carta d'identità elettronica che ha sostituito il D.M. 19 luglio 2000

[197]  D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (conv. L. 31 marzo 2005, n. 43), Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti.

[198]D.Lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche.

[199]L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione (collegato P.A.).

[200]D.P.R. 2 marzo 2004, n. 117, Regolamento concernente la diffusione della carta nazionale dei servizi, a norma dell’articolo 27, comma 8, lettera b), della legge 16 gennaio 2003, n. 3.

[201]D.M. 9 dicembre 2004, Regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie e ai materiali utilizzati per la produzione della Carta nazionale dei servizi.

[202]Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, Direttiva 4 gennaio 2005, Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione, in G.U. 12 febbraio 2005, n. 35.

[203]  Attuazione della Direttiva 2005/60/CE del Parlamento e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. In particolare, ai sensi dell’articolo 5 della citata Direttiva, gli Stati membri hanno la facoltà di adottare o conservare disposizioni nazionali più rigorose di quelle comunitarie.

[204]  Data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 231/2007.

[205]  “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 (c.d. decreto Visco-Bersani).

[206]  Disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[207]Regolamento recante disposizioni concernenti i tempi e le modalità di applicazione degli studi di settore.

[208]Articolo 37, comma 8, lett. a).

[209]Vale a dire entro il 29 aprile di ciascun anno. Infatti, il termine imposto dal comma 1 dell’articolo 8-bis del citato regolamento sulla presentazione delle dichiarazioni IVA in via telematica è entro il mese di febbraio di ogni anno.

[210]Ai sensi del comma 4-bis è stato emanato in data 25 maggio 2007 il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate con cui sono stati individuati gli elementi informativi da indicare negli elenchi e le modalità, esclusivamente telematiche, di presentazione degli stessi.

[211]  “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

[212]Il testo originario del D.L. n. 112 del 2008 disponeva l’abrogazione dell’intero comma 6.

[213]Legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 337.

[214]Legge n. 244 del 2007, art. 1, co. 270.

[215]Legge n. 244 del 2007, art. 1, co. 109.

[216]Analogo esonero è stato previsto per i soggetti in regime di contabilità semplificata dall’art. 3-ter della legge di conversione n. 127 del 2007 del decret-legge n. 81 del 2007.

[217]  Decreto-legge 30 settembre 2005, n.203, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n.248.

[218]  Il decreto interministeriale si applica agli impianti posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla destinazione d'uso, collocati all'interno degli stessi o delle relative pertinenze. Se l'impianto è connesso a reti di distribuzione si applica a partire dal punto di consegna della fornitura. Gli impianti sono classificati come segue:

a)   impianti di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione, utilizzazione dell'energia elettrica, impianti di protezione contro le scariche atmosferiche, nonché gli impianti per l'automazione di porte, cancelli e barriere;

b)   impianti radiotelevisivi, le antenne e gli impianti elettronici in genere;

c)   impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali;

d)   impianti idrici e sanitari di qualsiasi natura o specie;

e)   impianti per la distribuzione e l'utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e ventilazione ed aerazione dei locali;

f)    impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;

g)   impianti di protezione antincendio.

Gli impianti o parti di impianto che sono soggetti a requisiti di sicurezza prescritti in attuazione della normativa comunitaria, ovvero di normativa specifica, non sono disciplinati, per tali aspetti, dalle disposizioni del decreto. Sono inoltre regolamentati i requisiti tecnico-professionali delle imprese abilitate; le modalità per la progettazione degli impianti; le dichiarazioni di conformità degli impianti; sanzioni. Viene inoltre espressamente indicato che sono nulli, ai sensi dell'articolo 1418 del Codice Civile, i patti relativi alle attività disciplinate dal presente regolamento stipulati da imprese non abilitate ai sensi dell'articolo 3, salvo il diritto al risarcimento di eventuali danni.

[219]La Camera di conciliazione è composta da 3 avvocati: uno indicato dai soggetti che hanno proposto l'azione collettiva; uno indicato dall'impresa convenuta; uno, che assume le funzioni di presidente, nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all'albo speciale per le giurisdizioni superiori.

[220]Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366. L’art. 38 del suddetto decreto legislativo prevede che gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie di cui all'art. 1 del decreto legislativo medesimo (materia bancaria, societaria, creditizia e di intermediazione finanziaria). Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Quest'ultimo determina con decreto i criteri e le modalità di iscrizione nel detto registro e disciplina altresì la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti.

[221]Legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999).

 

[222]Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla Legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[223]Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[224]  D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[225]  D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. È attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari, per l’espressione del prescritto parere, uno schema di decreto legislativo (n. 5) di modifica del D.Lgs. 30/2007.

[226]  In tal senso, la nota ministeriale del 3 agosto 2007 (Ministero della salute, Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione, Direzione Generale per i rapporti con l'Unione Europea, e per i Rapporti Internazionali, Ufficio II, Nota del 3 agosto 2007, Protocollo DG RUERI/II/ 12712 11.3.b, Diritto di soggiorno per i cittadini comunitari- direttiva 38/2004 e Dlgs 3 febbraio 2007 n. 30) e soprattutto la nota integrativa del 19 febbraio 2008 (Protocollo DG RUERI/II/ 3152-P/I.3.b/1, in http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_normativa_1514_allegato.pdf ).

[227]  Per approfondimenti si veda da ultimo il dossier del Servizio studi sul Diritto di circolazione dei cittadini comunitari. Schema di D.Lgs. n. 5, Atti del Governo n. 5, 17 giugno 2008.

[228]  Si ricorda che lo schema di decreto legislativo di modifica del D.Lgs. 30/2007 all’esame delle Camere prevede espressamente il trattenimento degli allontanati in un centro di permanenza temporanea (ora centri di identificazione ed espulsione) alla stregua dei cittadini non comunitari colpiti da provvedimento di espulsione (Atto del Governo sottoposto al parere parlamentare n. 5).

[229]  L’articolo 41 della Costituzione prevede che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[230]  L’articolo 17, comma 2, della legge n.400 del 1988 disciplina i regolamenti di delegificazione, prevedendo che con “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari”.

[231]Si ricorda che La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni. La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali nella materia di rispettiva competenza. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM.

[232]"Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, in materia di sportelli unici per gli impianti produttivi ".

[233]  Successivamente, l’articolo 10 del D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), ha previsto la realizzazione in modalità informatica dello sportello unico, al fine di consentire l’erogazione dei servizi all’'utenza anche in via telematica. Lo stesso articolo dispone, altresì, che lo Stato, d'intesa con la Conferenza unificata, allo scopo di promuovere la massima efficacia ed efficienza dello sportello unico, anche attraverso l'adozione di modalità di relazione con gli utenti omogenee in tutto il territorio nazionale, proceda alla individuazione di uno o più modelli tecnico-organizzativi di riferimento, tenendo presenti le migliori esperienze realizzate.

[234]  Decreto-legge 31 gennaio 2007, n.7, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40

[235]  Il modello di comunicazione unica è stato approvato con DM 2 novembre 2007. Il decreto-legge ha previsto che dopo 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto del Ministro dello sviluppo economico si avvii un periodo transitorio in cui è data facoltà alle imprese di utilizzare la nuova modalità (art. 9, comma 9), mentre resteranno in vigore, in alternativa, le precedenti modalità di trasmissione delle singole modulistiche agli enti interessati, in modalità non integrata. Pertanto la Comunicazione Unica (ComUnica) per l’avvio dell’attività d’impresa - la procedura attraverso la quale le imprese potranno essere operative in 1 giorno e assolvere, al massimo in 7 giorni, gli adempimenti dichiarativi verso Registro delle imprese, INPS, INAIL e Agenzia delle entrate mediante la presentazione di un modello informatico unificato - è in vigore dal 19 febbraio 2008. La fase transitoria durerà sei mesi e si concluderà il 19 agosto 2008. In attesa del DPCM che individuerà le regole tecniche per la trasmissione della Comunicazione Unica, le Amministrazioni interessate (che stanno collaborando alla definizione di queste regole tecniche) hanno concordato circa l’opportunità di avviare dal 19 febbraio 2008 una fase di sperimentazione del nuovo procedimento, che avverrà in due fasi. In una prima fase le comunicazioni ai fini previdenziali potranno essere effettuate solo in alcune province “pilota” (sono state proposte: Torino, Venezia, Padova, Prato, Pescara, Ravenna, Milano, Napoli, Cagliari e Taranto) e solo da alcuni soggetti tra imprese, associazioni, professionisti coinvolti e formati sulla nuova procedura dalle camere di commercio interessate; in una seconda fase la sperimentazione verrà estesa a tutto il territorio nazionale e a tutti i soggetti (tipi di impresa), previa verifica tra gli enti coinvolti. Per quanto riguarda gli enti coinvolti (INPS, INAIL, Agenzia delle entrate, camere di commercio) durante il periodo sperimentale gli adempimenti che sarà possibile assolvere con la Comunicazione Unica saranno i seguenti: Agenzia delle entrate: tutti (dichiarazione di inizio attività ai fini IVA, variazione dati, cessazione attività); camere di commercio: tutti (iscrizioni, modifiche, cessazioni); INAIL: solo iscrizioni; INPS: solo iscrizioni per titolari/soci di imprese del terziario e datori di lavoro non artigiani. Sono esclusi nella prima fase gli imprenditori agricoli. A regime anche per INAIL ed INPS, la procedura varrà non solo per l’avvio, ma anche per comunicazioni relative a variazioni e cessazioni d’impresa. Dal 19 agosto 2008 la nuova procedura sarà operativa su tutto il territorio nazionale e per tutti i tipi di imprese. ComUnica sarà obbligatorio e sostituirà ad ogni effetto di legge le attuali modalità di trasmissione della modulistica al Registro delle imprese e agli altri enti interessati. All’impresa giungerà immediatamente - presso una casella di posta elettronica certificata (PEC) gratuita, fornita dalle camere di commercio - la ricevuta di protocollo della pratica che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività. Le camere di commercio attraverso InfoCamere, la loro società di informatica, diventano l’unico front office per tutte le registrazioni ai fini dell’attribuzione del codice fiscale e/o della partita IVA e per l’iscrizione al Registro delle imprese, ma anche ai fini previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL).

[236]  La disposizione precisa, con l’espresso richiamo dell’articolo 14-quater, comma 3, della legge n.241 del 1990, che deve intendersi riferita anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità

[237]Si ricorda che, ai sensi dell’art. 9 cit., ai fini dell'avvio dell'attività d'impresa, l'interessato presenta all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica o su supporto informatico, la comunicazione unica per gli adempimenti dettati dal medesimo articolo 9. La comunicazione unica vale, dunque, quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese ed ha effetto, sussistendo i presupposti di legge, ai fini previdenziali, assistenziali, fiscali nonché per l'ottenimento del codice fiscale e della partita IVA. L'ufficio del registro delle imprese contestualmente rilascia la ricevuta, che costituisce titolo per l'immediato avvio dell'attività imprenditoriale, ove sussistano i presupposti di legge, e dà notizia alle Amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica le quali comunicano all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, immediatamente il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate. Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell'attività d'impresa. Spetta alle Camere di commercio assicurare, gratuitamente, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, il necessario supporto tecnico ai soggetti privati interessati per gli adempimenti sopra descritti.

[238]  Secondo la definizione che ne fornisce la direttiva del Consiglio e del parlamento europeo n.123 del 2006 (c.d. Direttiva Bolkestein), che ha sancito, fissandone i limiti, la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei prestatori di servizi nell’Unione europea.

[239]  Sull’articolo 17, comma 2, della legge n.400 del 1988 si veda la nota relativa al comma 3.

[240]  All’attuazione della norma si è provveduto con il DPCM 12 settembre 2006, il quale ha previsto che il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che può delegare le relative funzioni al Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione. Il Comitato è composto dal Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, dal Ministro per le politiche europee, dal Ministro per l'attuazione del programma di Governo, dal Ministro dell'interno, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro dello sviluppo economico e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretario del Consiglio dei Ministri. Ogni componente del Comitato può delegare la propria partecipazione ad un Vice Ministro o ad un Sottosegretario. Alle riunioni del Comitato, in base agli argomenti da trattare, possono essere invitati altri Ministri, nonché esponenti del sistema delle autonomie, rappresentativi degli altri livelli di governo. Segretario del Comitato è il Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[241]  Il Piano di azione relativo al 2007 è consultabile all’indirizzo http://www.innovazionepa.­gov.it/ministro/azioni_ministro/607.htm

[242]Nella sezione matricola e paga del registro d'impresa dovevano essere iscritti tutti gli operai, nell'ordine cronologico della loro assunzione, con l'indicazione dei dati anagrafici, codice fiscale, luogo di svolgimento della prestazione, mansioni, contratto collettivo applicato e livello d'inquadramento ovvero retribuzione lorda giornaliera convenuta, data di assunzione.

[243]Nella sezione presenze, predisposta per registrazioni relative a ciascun trimestre solare, dovevano essere trascritti i dati anagrafici del lavoratore, l'anno, il mese e il giorno in cui si svolge la prestazione di lavoro e dovevano essere riportati in ordine progressivo i numeri dei fogli di assunzione relativi, nel trimestre, al medesimo lavoratore.

[244]Modalità di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina del relativo regime transitorio. Il D.M. è stato pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 2008, n. 192.

[245]E’ da ritenere che l’obbligo di istituire e tenere il libro unico del lavoro è diventato effettivo solamente dopo la pubblicazione e l’entrata in vigore del menzionato D.M. 09/07/2008, che ha dettato la relativa disciplina di attuazione. Pertanto, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del decreto-legge n. 112/2008 (25 giugno 2008) e l’entrata in vigore del menzionato D.M. (18 agosto 2008), ha continuato ad applicarsi la normativa precedente.

[246]Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 agosto 2008, n. 200.

[247]  L. 5 gennaio 1953, n. 4, Norme concernenti l'obbligo di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori a mezzo di prospetti di paga.

[248]  L. 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro.

[249]  L. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.

[250]  D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

[251]  D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 28 novembre 1996, n. 608.

[252]  L. 18 dicembre 1973, n. 877, Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio.

[253]R.D. 28 agosto 1924, n. 1422, Approvazione del regolamento per la esecuzione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, concernente provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia.

[254]L. 9 novembre 1955, n. 1122, Disposizioni varie per la previdenza e assistenza sociale attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola».

[255]D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, Approvazione del testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari.

[256]L. 30 aprile 1969, n. 153, Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale.

[257]Modalità applicative per la tenuta dei libri paga e matricola.

[258]D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608.

[259]D.P.R. 24 settembre 1963, n. 2053, Riordinamento del servizio di collocamento per i lavoratori dello spettacolo.

[260]L. 8 gennaio 1979, n. 8, Modifiche ed integrazioni alla L. 14 agosto 1967, n. 800, in materia di impiego del personale artistico e tecnico.

[261]D.P.R. 21 gennaio 1981, n. 179, Approvazione del regolamento di attuazione della legge 8 gennaio 1979, n. 8, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 14 agosto 1967, n. 800, in materia di impiego del personale artistico e tecnico».

[262]L. 17 ottobre 2007, n. 188, Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d'opera e della prestatrice d'opera.

[263]L. 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[264]  D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[265]L. 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro.

[266]Si ricorda, inoltre, che con la circolare 21 agosto 2008, n. 20, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha emanato le prime istruzioni operative al personale ispettivo e di vigilanza a seguito dell’abolizione dei libri paga e matricola e di altri libri obbligatori e della loro sostituzione, a decorrere dal 18 agosto 2008, con il libro unico del lavoro, ai sensi degli artt. 39 e 40 del D.L. 112/2008.

[267]D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della L. 17 maggio 1999, n. 144.

[268]D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152, Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro.

[269]D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608.

[270]L’articolo 14 del richiamato Regolamento (CEE) n. 3821/85 prevede il rilascio, da parte del datore di lavoro, ai conducenti di veicoli dotati di un apparecchio di controllo conforme all'allegato I dello stesso Regolamento, di un numero sufficiente di fogli di registrazione, tenuto conto del carattere individuale di tali fogli, della durata del servizio e dell'obbligo di sostituire eventualmente i fogli danneggiati o quelli ritirati da un agente incaricato del controllo. Più specificamente, il richiamato comma 2 dell’articolo 14 dispone l’obbligo per l’impresa di conservare i fogli di registrazione e i tabulati, ogniqualvolta siano stati predisposti i tabulati per conformarsi alle disposizioni di cui al successivo articolo 15, comma 1, in ordine cronologico e in forma leggibile per un periodo di almeno un anno dalla data di utilizzazione e di rilasciarne una copia ai conducenti interessati che ne facciano richiesta.

[271]  D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

[272]L. 12 marzo 1999, n. 68, Norme per il diritto al lavoro dei disabili.

[273]D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.

[274]  Rispetto alla disciplina dell’articolo 13 della legge n. 197/1996, una novità è costituita dall’estensione del campo di applicazione della disciplina del limite di orario, anche ad alcune di quelle categorie di lavoratori per cui era prevista una disciplina speciale (apprendisti maggiorenni, lavoratori delle miniere).

[275]Undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore.

[276]D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[277]  Ciò richiede, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie, la regolare assunzione degli stessi; nel caso di reiterate violazioni alla disciplina relativa all’orario di lavoro o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’accertamento del ripristino delle relative tutele.

[278]La materia è stata disciplinata per la prima volta in maniera organica con la legge 5 agosto 1981, n. 416. Successivamente, tale normativa è stata modificata ed integrata da numerosi interventi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario ed assai poco organico.

[279]L. 7 agosto 1990, n. 250, Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all'articolo 9, comma 2, della L. 25 febbraio 1987, n. 67, per l'accesso ai benefici di cui all'articolo 11 della legge stessa.

[280]L. 7 marzo 2001, n. 62, Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla L. 5 agosto 1981, n. 416. Tra innovazioni principali introdotte con tale legge, si ricorda: la definizione di “prodotto editoriale”; una semplificazione delle procedure per l'accesso ai benefici economici; modifiche alla disciplina previdenziale e sociale; la ridefinizione dei contributi diretti a favore di determinate categorie di imprese editrici; l'adozione di specifiche misure finanziarie per la promozione del libro.

[281]L. 28 dicembre 2001, n. 448.

[282]L. 24 dicembre 2003, n. 350.

[283]D.L. 24 dicembre 2003, n. 353, Disposizioni urgenti in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 febbraio 2004, n. 46.

[284]D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[285]A.C. 4163, Disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica”, presentato il 16 luglio 2003.

[286]D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 24 novembre 2006, n. 286.

[287]L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[288]Ad oggi il regolamento non è stato ancora adottato. Secondo quanto emerge da notizie di stampa, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto uno schema di regolamento che è stato consegnato alle associazioni di categoria per la formulazione di eventuali osservazioni.

[289]L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[290]Regolamento recante norme per la concessione dei contributi e delle provvidenze all'editoria, in attuazione della L. 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni.

[291]L. 7 agosto 1990, n. 230, Contributi alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale. Successivamente, il riferimento all’attività di interesse generale per le imprese radiofoniche è contenuto solo nella l. finanziaria per il 2007 (art. 1, co. 1247), la quale destina a tali imprese gli stessi contributi previsti per le emittenti radiofoniche organi di partiti politici, ai sensi dell’articolo 4 della l. n. 250/1990.

[292]L. 25 febbraio 1987, n. 67, Rinnovo della L. 5 agosto 1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria. L’articolo 11 della legge, come modificato dalla l. n. 250/1990, prevede in favore delle emittenti radiofoniche nazionali di informazione il rimborso di una quota delle spese per abbonamenti ad agenzie di stampa, nonché il rimborso del 50 per cento dei costi sostenuti per i consumi telefonici ed elettrici e per i canoni di noleggio ed abbonamento ai servizi di telecomunicazione via satellite.

[293]L. 24 dicembre 2007, n. 244.

[294]L’ammontare complessivo degli stanziamenti è annualmente determinato in tabella C della legge finanziaria.

[295]Nello stanziamento sono inclusi circa 32 milioni per le spese relative alle agevolazioni tariffarie per l’editoria e 3,8 milioni per le spese di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In relazione all’ammontare delle provvidenze, si ricorda, inoltre, che l’articolo 10, co. 1, del d.l. n. 159/2007 ha disposto una riduzione pari al 2 per cento, relativamente agli anni 2007 e 2008, del contributo spettante a ciascun soggetto.

[296]Recante la riforma dell'organizzazione del Governo a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[297]Articoli 9-12 della legge 24 aprile 1980, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.

[298]Recante il regolamento di organizzazione del Ministero delle finanze.

[299]Recante la riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137.

[300]A norma dell'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).

[301]L’esatta denominazione della Commissione tecnica in esame è “della finanza pubblica” e non “della spesa pubblica” come indicato nella rubrica dell’articolo in esame.

[302]Si ricorda che, ai sensi del citato comma 474, alla Commissione erano stati assegnati compiti di studio e analisi nei seguenti campi:

a)       proposte finalizzate ad accelerare il processo di armonizzazione e di coordinamento della finanza pubblica e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, diretto a:

-        in relazione al bilancio dello Stato, disegnare una diversa classificazione della spesa, anche mediante ridefinizione delle unità elementari ai fini dell'approvazione parlamentare, finalizzata al miglioramento della scelta allocativa e ad una efficiente gestione delle risorse, rafforzando i processi di misurazione delle attività pubbliche e la responsabilizzazione delle competenti amministrazioni;

-        migliorare la trasparenza dei dati conoscitivi della finanza pubblica, con evidenziazione nel bilancio dello Stato della quota di stanziamenti afferenti alle autorizzazioni legislative di spesa; nonché con una prospettazione delle decisioni in termini di classificazione funzionale, economica e per macrosettori;

-        armonizzare i criteri di classificazione dei bilanci delle pubbliche amministrazioni, per un più agevole consolidamento dei conti di cassa e di contabilità nazionale;

b)       studi preliminari e proposte tecniche per la definizione dei principi generali e degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con particolare attenzione al coordinamento dei rapporti finanziari tra lo Stato ed il sistema delle autonomie territoriali, nonché all'efficacia dei meccanismi di controllo della finanza territoriale in relazione al rispetto del Patto di stabilità europeo;

c)       studi e analisi concernenti l'attività di monitoraggio sui flussi di spesa della Ragioneria generale dello Stato;

d)       valutazione, in collaborazione con l'ISTAT e con gli altri enti del sistema statistico nazionale, dell'affidabilità, trasparenza e completezza dell'informazione statistica relativa agli andamenti della finanza pubblica;

e)       svolgimento di ricerche e studi su richiesta delle Commissioni parlamentari.

[303]L’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale è stata istituita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b) della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2003, ai fini della attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, con il compito specifico di indicare al Governo i princìpi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione. La norma istitutiva prevedeva, a tal fine, la predisposizione da parte dell’Alta Commissione di una relazione da presentare al Governo sui princìpi generali del federalismo, sulla base delle indicazioni che avrebbero dovuto essere formulate dalla Conferenza unificata Stato-Regioni ed enti locali. Al Governo spettava il compito di presentare al Parlamento, sulla base della relazione, entro il mese successivo, una proposta di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

[304]Si rammenta che la soppressa Commissione tecnica per la spesa pubblica (CTSP), istituita più di 20 anni fa (art. 32 della legge n. 119 del 30 marzo 1981), operava nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 6-bis del D.P.R. 28 aprile 1998, n. 154 ) ed era competente a svolgere, tra le altre cose studi, ricerche e rilevazioni richiesti dal CIPE e dalle competenti Commissioni parlamentari, a definire le metodologie per la programmazione dell'attività finanziaria ed il monitoraggio dell'attuazione delle manovre di bilancio, nonché per la valutazione tecnica dei costi e degli oneri dei provvedimenti e delle iniziative legislative.

[305]In particolare, ai sensi dell'articolo 32, quarto comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119, era previsto l’accesso della Commissione al sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato ed che la Commissione potesse ottenere, a richiesta, tutti i dati di cui dispongono la stessa Ragioneria generale e la direzione generale del tesoro.

[306]Tale norma prevede una segreteria tecnica costituita da otto esperti con il compito di raccogliere e catalogare dati e informazioni, nonché predisporre ricerche di base per le varie sezioni funzionali della spesa pubblica. I componenti della segreteria sono scelti tra persone aventi specifiche esperienze professionali in materia di finanza pubblica e nominati con decreto del Ministro del tesoro (ora Ministro dell’economia), su proposta della Commissione stessa.

[307]Il comma 478 prevedeva inoltre che le nomine avvenissero entro il 31 gennaio 2007, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale doveva altresì stabilire le regole di funzionamento e la data di inizio delle attività.

[308]Com’è noto, si tratta di disposizioni relative ad accantonamenti e indisponibilità di quote-parti di alcune dotazioni delle UPB iscritte negli bilancio di previsione.

[309]La disposizione del comma 480 ha previsto, inoltre, che il Governo è chiamato a riferire sull'attuazione del programma straordinario nell'ambito del Documento di programmazione economico-finanziaria presentato nel 2007. Entro il 30 settembre, il Ministero dell’economia e delle finanze deve altresì presentare al Parlamento una relazione sui risultati del programma straordinario e sulle conseguenti iniziative di intervento, dando conto in uno speciale allegato dei provvedimenti di riordino degli enti pubblici adottati ai sensi del comma 482 della citata legge finanziaria per il 2007.

[310]Tutti i documenti prodotti dalla CTFP sono consultabili all’indirizzo http://www.mef.gov.it/web/commissioni/Commissione-tecnica-per-la-finanza-pubblica/ presentazione.asp#top

 

[311]L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[312]Si ricorda che nell’ambito del D.Lgs. 165/2001 “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300” (art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001).

[313]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[314]D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[315]La circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 5/2006 del 21 dicembre 2006, Linee di indirizzo in materia di affidamento di incarichi esterni e di collaborazioni coordinate e continuative, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2007, n. 70, ha precisato al riguardo che le previsioni in esame si applicano a tutte le tipologie di incarichi di lavoro autonomo. Ciò comporta l’irrilevanza del contenuto della prestazione: studio, consulenza, ricerca o altro, così come della tipologia contrattuale individuata dall’amministrazione: occasionale o coordinata e continuativa, a tali fini.

[316]L’art. 3, co. 77, della legge finanziaria 2008 ha inoltre precisato l’ambito di applicabilità della disciplina in esame, introducendo il comma 6-quater nell’articolo 7, che stabilisce che essa non si applichi a:

-        i componenti degli organismi di controllo interno di cui al D.Lgs. 286/1999, competenti in ordine al controllo di regolarità amministrativa e contabile, al controllo di gestione, alla valutazione della dirigenza nonché alla valutazione e al controllo strategico dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche;

-        i nuclei di valutazione previsti dal D.Lgs. 286/1999, attraverso i quali le Pubbliche amministrazioni, sulla base dei risultati dei controlli di gestione, devono valutare le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane ed organizzative ad essi affidate;

-        gli organismi operanti per le finalità di cui all’art. 1, comma 5 della L. 144/1999, che istituisce il sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP) presso il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE). Il MIP ha il compito di fornire tempestivamente informazioni sull'attuazione delle politiche di sviluppo, con particolare riferimento ai programmi cofinanziati con i fondi strutturali europei, sulla base dell'attività di monitoraggio svolta dai nuclei di valutazione.

[317]Si tratta, peraltro, della specificazione di un orientamento piuttosto consolidato. Al riguardo, si veda in particolare la ricordata circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 5/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2007, n. 70. Nello stesso senso v. anche Corte dei conti, Sez. reg. di controllo per la Puglia, deliberazione n. 9/PAR/2007.

[318]Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni 11 marzo 2008, n. 2, Legge 24 dicembre 2007, n. 244, disposizioni in tema di collaborazioni esterne, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 20 giugno 2008.

[319]La circolare richiama in proposito le fattispecie relative alla progettazione in materia di lavori pubblici, di direzione lavori e collaudo di cui all’articolo 90 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici), ai requisiti previsti dall’articolo 9 della legge n. 150 del 2000, per gli addetti stampa, nonché a quanto disposto dall’articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, relativamente a specifiche prestazioni previste da programmi di ricerca avviati da università, osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, enti pubblici e istituzioni di ricerca. Nello stesso senso, con riferimento a tale ultima fattispecie, v. anche il parere del Dipartimento della funzione pubblica - Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni (UPPA) n. 28/2008. Analogamente, nel parere UPPA n. 24/2008, il Dipartimento della funzione pubblica evidenzia come previsioni normative che, per specifiche attività, determinano i requisiti dei collaboratori o anche le procedure per l’affidamento dell’incarico prevalgono sulle disposizioni di carattere generale contenute nell’art. 7, co. 6, del D.Lgs 165/2001. In particolare, il parere evidenzia che per quanto concerne la figura del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione trovi quindi applicazione il decreto legislativo n. 626 del 1994, che all’articolo 8-bis, disciplina in maniera puntuale e dettagliata tutti i requisiti e i titoli di studio e di formazione professionale che debbono essere posseduti dai responsabili, stabilendo altresì che il possesso di alcune lauree esonera tale personale dalla frequenza dei corsi di formazione.

[320]Corte dei conti Sezioni Riunite, sentenza n. 12/2007/QM del 27 dicembre 2007.

[321]L’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 è integralmente sostituito dall’articolo 49 del decreto in esame (sul quale v. infra). Le disposizioni richiamate dalla circolare sono ora contenute nel comma 5 dell’art. 36.

[322]Sul punto v. anche la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica 15 luglio 2004. n. 4/04, Collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto 2004, n. 203, che evidenziava come, qualora al lavoratore fosse riconosciuta una tutela risarcitoria ex art. 2126 c.c., si potesse certamente configurare una responsabilità amministrativa del dirigente che avesse stipulato il contratto di co.co.co illegittimo, con addebito del danno erariale verificatosi (La circolare richiamava in proposito numerose pronunce della magistratura contabile).

[323]D.L. 12 luglio 2004, n. 168, Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2004, n. 191.

[324]Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delib. n. 6/CONTR/05 del 15 febbraio 2005, Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42).

[325]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[326]Il regolamento è disciplinato dall’art. 89 del T.U.E.L., che prevede i principi ispiratori per la sua redazione e ne disciplinai i contenuti essenziali.

[327]Corte dei conti, Sezione delle autonomie, delib. n. 6/AUT/2008 del 14 marzo 2008, Linee di indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3, commi 54–57, L. 244/2007, in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza.

[328]La delibera riprende in modo pressoché testuale le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 2007.

[329]Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delib. n. 6/CONTR/05 del 15 febbraio 2005.

[330]Regolamento recante semplificazione del procedimento di conferimento di incarichi individuali ad esperti da parte dei Ministri.

[331]Sembrerebbe rivestire carattere meramente formale anche la mancata menzione della lettera b) nell’ambito del rinvio ai programmi di cui al comma 2 dell’art. 42 del T.U.E.L., in quanto solo in tale lettera sono menzionati programmi deliberati dal Consiglio dell’ente locale.

[332]In questo senso l’art. 3 dello schema di regolamento per il conferimento degli incarichi allegato alla circolare prevedeva che l’ufficio competente dovesse comunque accertarsi della rispondenza dell’affidamento dell’incarico con la previsione contenuta nell’articolo 3, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 relativa al programma approvato dal Consiglio, fatte salve materie e competenze previste e assegnate all’Ente da disposizioni legislative.

[333]Presentata con riferimento al maxiemendamento Dis. 1.1 del Governo su cui è stata posta la questione di fiducia alla Camera.

[334]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[335]L. 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[336]D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[337]D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

[338]La disposizione è stata introdotta dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[339]La disciplina si applica a tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali sia previsto un compenso. Sono peraltro esclusi i compensi derivanti

-        dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

-        dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

-        dalla partecipazione a convegni e seminari;

-        da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

-        da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

-        da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

-        da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.

[340]  L. 30 dicembre 1991 n. 412, Disposizioni in materia di finanza pubblica.

[341]D.L. 28marzo 1997, n. 79,Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 1997, n. 140.

[342]L. 25 novembre 2003, n. 339, Norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato.

[343]Art. 12 D.M. 5 novembre 2004, Organizzazione e funzionamento del Dipartimento della funzione pubblica nell'àmbito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 34 dell’11 febbraio 2005.

[344]L’espressione utilizzata dalla disposizione sembra fare riferimento sia alla disciplina in materia di incompatibilità in senso stretto sia a quella relativa al cumulo di impieghi ed incarichi.

[345]Si v. ad esempio l’art. 12 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri, che affidava all'Ispettorato generale del Ministero e degli uffici all'estero il compito di svolgere, alle dirette dipendenze del Ministro, funzioni di vigilanza sul regolare andamento degli uffici nonché delle rappresentanze e degli istituti all'estero. Analogamente l’art. 5 della L. 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, nel disciplinare il Dipartimento della pubblica sicurezza attribuisce all'ufficio centrale ispettivo il compito di verificare, su richiesta del Ministro o del direttore generale, l'esecuzione degli ordini e delle direttive del Ministro e del direttore generale, di riferire sulla attività svolta dagli uffici ed organi periferici dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, nonché di verificare l'efficienza dei servizi e la corretta gestione patrimoniale e contabile.

[346]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[347]Pubblicato in G. U. 7 febbraio 2008, n. 32. Le tipologie di beni e servizi per i quali vige l’obbligo, ai sensi del citato comma 449, di approvvigionamento tramite convenzioni quadro Consip sono le seguenti:

-        arredi per ufficio;

-        carburanti da autotrazione (specificamente: carburanti in rete ed extrarete, buoni carburante e fuel card);

-        combustibili da riscaldamento (specificamente gasolio e biodiesel);

-        energia elettrica;

-        macchine per ufficio, nonché prodotti hardware e software (specificamente: fotocopiatrici, in acquisto e noleggio, personal computer, desktop e portatili, server entry e midrange, software microsoft e stampanti);

-        noleggio autoveicoli;

-        servizio di buoni pasto;

-        servizi di telefonia fissa;

-        servizi di telefonia mobile;

-        apparati di telefonia e trasmissione dati (specificamente reti locali, centrali telefoniche);

-        servizio di gestione integrata della sicurezza sui luoghi di lavoro.

[348]Gli enti del servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di acquisto di riferimento. Mentre,

[349]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[350]Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366.

[351]Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore.

[352]Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

[353]Si tratta di spese processuali penali; pene pecuniarie; sanzioni amministrative pecuniarie; spese di mantenimento dei detenuti; spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

[354]Si tratta delle solo spese processuali nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

[355]Per la riscossione coattiva si applicano le norme degli artt. 223 e ss. del Testo unico, che rinviano al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) e al decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337).

[356]In particolare, il comma 367 elenca espressamente le attività che formeranno oggetto delle citate convenzioni individuando, altresì, talune delle caratteristiche della Società con la quale il Ministero della giustizia dovrà procedere alle relative stipule.

[357]Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria. L’A.C. 1441-bis rappresenta il testo risultante dallo stralcio degli articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, da 22 a 24, 31, 32, da 37 a 39, da 65 a 67 e 70 del disegno di legge n. 1441, deliberato dall'Assemblea il 5 agosto 2008.

[358]Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80.

[359]La perenzione è pronunciata con decreto dal presidente della sezione competente o da un magistrato da lui delegato. Il decreto è depositato in segreteria, che ne dà formale comunicazione alle parti costituite. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la segreteria del giudice adìto entro dieci giorni dall'ultima notifica. Nei trenta giorni successivi, il collegio decide sull’opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne facciano richiesta, con ordinanza che, in caso di accoglimento della opposizione, dispone la reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario. Nel caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale. L'ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite. Avverso l'ordinanza che decide sull’opposizione può essere proposto ricorso in appello. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie, ridotti alla metà tutti i termini processuali (cfr. art. 26, legge 1034/1971).

[360]Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

[361]Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali.

[362]Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. Si tratta della sezione consultiva istituita dalla legge 127/1997 (art. 17, comma 28) per l'esame degli schemi di atti normativi per i quali il parere del Consiglio di Stato è prescritto per legge o è comunque richiesto dall'amministrazione.

[363]Articolo 42, comma 3 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 545, recante l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413. Si veda inoltre il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, recante disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413.

[364]L’articolo 1, comma 352 della legge finanziaria 2008 ha recato norme in materia di attribuzione dei processi pendenti; il comma 353 ha rimesso ad uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione del numero delle sezioni e degli organici di ciascuna commissione tributaria provinciale e regionale, nonché la definizione delle modalità per l'attuazione dei commi 351 e 352; e l’indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Con D.M. 20 marzo 2008 è stata disposta l'articolazione in collegi delle sezioni della Commissione tributaria centrale.

[365]Fonte: Il sole 24 ore, sezione “Norme e tributi” di lunedì 25 febbraio 2008, elaborazione su dati dell’Anagrafe tributaria.

[366]  Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[367]  Ai sensi dell’articolo 3 costituiscono servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale:

a)   i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici;

b)  i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione;

c)   i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni;

d)   i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards qualitativi. Detti servizi sono tassativamente individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora la predetta intesa non sia raggiunta entro quarantacinque giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, provvede il Consiglio dei Ministri;

e)   i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari;

f)    i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti.

[368]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[369]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[370]  Legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[371]  D.L. 11 luglio 1992, n. 333, recante Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, e convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.

[372]  La cessione della Tirrenia del Gruppo FINMARE era stata prevista già dall’aprile 2001 dal Libro bianco sulle privatizzazioni pubblicato dall’allora Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica. In particolare, dal riepilogo delle privatizzazioni effettuate dal Gruppo IRI, alla fine del 2002 (v. “Relazione sulle privatizzazioni” presentata al Parlamento dal Ministero dell’economia e delle finanze nell’aprile 2003, p. 17), il totale delle risorse reperite a chiusura del processo di dismissione della FINMARE Spa risultano pari a circa 347 milioni di euro.

[373]Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 410 del 2001.

[374]Si ricorda che il sistema tavolare, regolato dal R.D. 28 marzo 1929, n. 499, recante disposizioni relative ai libri fondiari nei territori delle nuove province, è un complesso di norme regolante la pubblicità immobiliare vigente nelle province di Trieste, Gorizia e Trento. Il sistema è impostato su una rilevazione di tipo catastale del territorio, di modo che accanto ad ogni unità immobiliare vengano registrate le relative vicende giuridiche, a differenza del sistema vigente nel resto d’Italia nei registri immobiliari, impostati su base personale, in cui le vicende dei beni immobili vengono effettuate con riferimento alle persone che compiano gli atti da trascrivere o iscrivere.

[375]Il richiamato comma 2 prevede che il Ministero dell’economia possa convocare una o più conferenze di servizi o promuovere accordi di programma per l’approvazione di iniziative per la valorizzazione degli immobili.

[376]  Da notizie di stampa (Milano Finanza del 27 giugno 2008) si apprende che il c.d.a. di Finmeccanica ha deliberato (26 giugno 2008) di proporre alla prossima Assemblea Straordinaria ad aumentare il capitale sociale a pagamento e in via scindibile per un importo complessivo massimo, comprensivo di sovrapprezzo, di 1,4 miliardi di euro, nonché la revoca della precedente deliberazione di aumento di capitale dell'Assemblea Straordinaria del 30 maggio 2007. La decisione è stata presa nell'ambito dell'acquisizione di Drs Technologies. L'Assemblea è stata convocata per il 31 luglio e 1 agosto, rispettivamente in prima e in seconda convocazione. L'aumento di capitale potrà aver luogo, mediante emissione di azioni ordinarie, aventi le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, da offrire in opzione agli azionisti e potrà eventualmente essere posto, in parte, al servizio di prestiti obbligazionari convertibili o di warrant da offrire in opzione agli azionisti. La proposta prevede che il c.d.a. possa esercitare la delega dando esecuzione all'operazione, secondo le modalità ed i criteri ivi previsti, entro il 31 luglio 2009. Si ritiene che il c.d.a. possa dare esecuzione all'operazione entro il corrente esercizio. La proposta prevede inoltre che l'Assemblea attribuisca al c.d.a. la delega a stabilire modalità, termini e condizioni dell'operazione e, pertanto, a determinare, in prossimità dell'avvio dell'operazione e previa verifica delle condizioni di mercato e del mantenimento da parte del ministero dell'Economia e delle Finanze di una partecipazione non inferiore al 30% del capitale sociale, così come previsto nel DPCM del 28 settembre 1999, quanto segue: il prezzo di sottoscrizione delle azioni, ivi incluso il sovrapprezzo, tenuto conto, tra l'altro, dell'andamento della quotazione delle azioni della società, nonché della prassi di mercato per operazioni similari; l'esatto numero di azioni ordinarie oggetto dell'emissione e il rapporto di opzione; l'esatto ammontare dell'aumento di capitale, fermo restando che complessivamente non potrà comunque eccedere il controvalore massimo di 1,4 miliardi di euro.

[377]  La SIFA S.p.A. svolgeva attività di intermediazione mobiliare e di finanziamento alle grandi imprese.

[378]  In attuazione di detto decreto sono stati successivamente emanati due Decreti del Ministro del Tesoro: uno per l’attribuzione dei poteri speciali, l’altro per fissare al 3% il limite alla partecipazione al capitale oltre il quale era necessario il preventivo gradimento del Ministero stesso.

[379]  MEI era la società italiana che possedeva (pariteticamente con un partner pubblico francese) il 22% della ST Microelectronics, società leader nei semiconduttori.

[380]  Il “book-building” è la procedura - che si svolge nell'ambito di una Initial Public Offering o del lancio di altri titoli - mediante la quale, prima della fissazione definitiva del prezzo di emissione, vengono prima considerate le aspettative di prezzo dei grandi investitori istituzionali. Diversamente dalla procedura di assunzione a fermo, nel metodo del bookbuilding l'emittente si assume il rischio di collocamento.

[381]Si ricorda che, secondo la definizione ISTAT, sono poste correttive e compensative delle entrate gli importi inseriti tra le spese e riferiti ad entrate indebitamente percepite.

[382]Iscritto nel capitolo 2999/ Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[383]Iscritto nel capitolo 3000/ Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[384]Iscritto nel capitolo 7496/Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi da assegnare.

[385]Iscritto nel capitolo 3001/Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[386]  Le percentuali di riduzione lineare degli stanziamenti di spesa non coincidono con quelle indicate nella Relazione tecnica al disegno di legge di conversione del D.L. n. 112/2088, in quanto il totale delle riduzioni effettivamente operate alle dotazioni del bilancio a legislazione vigente è stato incrementato nel corso dell’esame parlamentare di 300 milioni di euro per ciascuno degli annidel triennio 2009–2011 (art. 84, comma 1-quinquies), che sono stati trasferiti al Fondo per gli interventi strutturali di politica economica, a parziale copertura dell’onere recato dall’abolizione dei ticket sulle prestazioni sanitarie, operata dall’articolo 61, comma 19, del decreto legge.

[387]  Si ricorda, altresì, che ai sensi del successivo comma 23 dell’art.22 della medesima legge di bilancio 2008, i Ministri competenti, nell’ambito dei programmi concernenti i propri stati di previsione, sono stati inoltre autorizzati ad effettuare, con propri decreti da comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze, anche con evidenze informatiche, eventuali variazioni compensative per la stessa categoria economica tra i capitoli di spese discrezionali relativi ai programmi medesimi, allocati nei diversi centri di responsabilità amministrativa. Tali variazioni non devono peraltro comportare alterazioni dei saldi di indebitamento netto e fabbisogno.

[388]Di cui all’articolo 17 della legge n. 468 del 1978.

[389]Le variazioni compensative possono essere disposte, su proposta del dirigente generale responsabile, con decreti del Ministro competente, esclusivamente nell'ambito della medesima unità previsionale di base. I decreti di variazione sono comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministro dell’economia - per il tramite della competente ragioneria - nonché alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti (articolo 3, comma 5 del D.lgs. n. 279/1997).

La legge di assestamento del bilancio o eventuali ulteriori provvedimenti legislativi di variazione possono autorizzare compensazioni tra le diverse unità previsionali.

La legge n.468/1978, che al citato articolo 2, comma 4-quinquies esclude la possibilità di effettuare variazioni compensative fra le unità di spesa oggetto della deliberazione parlamentare.

[390]Per tale Ministero è stata accantonata una somma fissa pari a 40 milioni di euro, che rispetto ai complessivi accantonamenti corrisponde rispettivamente alle percentuali del 2,43%, 2,44% e 3,02% per ciascuno degli anni 2007-2009.

[391]Si ricorda che, tra le esclusioni dagli accantonamenti rientrano le voci di bilancio i cui stanziamenti sono stati oggetto di modifica da parte di norme contenute nel disegno di legge finanziaria per il 2007. Infatti, l'individuazione dell'accantonamento ha operato sulle risorse iscritte nel bilancio a legislazione vigente e non sugli eventuali incrementi disposti con il disegno di legge finanziaria. Pertanto, la disposizione del citato comma 507 ha inteso escludere le seguenti categorie economiche relative a spese correnti: redditi da lavoro dipendente (cat. 1), imposte pagate sulla produzione (cat. 3), risorse proprie CEE (cat. 8), interessi passivi e redditi da capitale (cat. 9), poste correttive e compensative (cat. 10) e ammortamenti (cat. 11). La norma esclude esplicitamente, infine, l’applicazione degli accantonamenti alle voci relative al comparto della radiodiffusione televisiva locale.

[392]Quest’ultimo riferimento normativo è volto ad escludere dall’accantonamento gli stanziamenti relativi alle confessioni religiose che concorrono al riparto della quota dell’8 per mille dell’IRE, vale a dire la Chiesa cattolica, l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia, l'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Si ricorda peraltro che la legge n. 222/1985 riguarda solo la Chiesa cattolica; i rapporti con le altre confessioni religiose sono disciplinati sulla base di leggi successive.

[393]Si ricorda peraltro che con circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n. 7 del 2 febbraio 2007, sono state impartite alle amministrazioni interessate le istruzioni per la formulazione delle proposte per definire la rimodulazione degli accantonamenti.

[394]Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 10 luglio 2007 sono state disposte le variazioni degli accantonamenti originariamente operate sulle dotazioni delle unità previsionali di base iscritte nella legge di bilancio del 2007 . Rispetto alle risorse accantonate per l’anno 2007 che, come già ricordato, sono state pari a 4.572 milioni, il volume complessivo di risorse interessate dalle variazioni è stato pari a circa l’8,2 per cento delle risorse accantonate (377 milioni di euro).

[395]Il decreto deve essere comunicato al Presidente del Consiglio, che ne dà a sua volta comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze, alle Commissioni parlamentari competenti, nonché alla Corte dei Conti.

[396]Comma 7, art. 1, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005).

[397]L’ultimo elenco relativo al conto consolidato della PA è quello di cui al Comunicato ISTAT 29 luglio 2007 (pubblicato G.U. 31 luglio 2007, n. 176), con la successiva integrazione pubblicata in G. U n. 252 del 29 ottobre 2007.

[398]Secondo il Sec 95 il Settore della amministrazioni pubbliche (S13) “comprende tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese”.

In particolare, le Unità istituzionali comprese nel settore S13 sono: gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività date dal fornire alla collettività beni e servizi non destinati alla vendita; le istituzioni senza fine di lucro, che agiscono per lo stesso fine e sono controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche; gli enti di previdenza.

[399] I Paesi europei, infatti, sono tenuti a trasmettere alla Commissione europea i livelli di indebitamento netto, del debito pubblico e di altri aggregati di finanza pubblica, relativi ai quattro anni precedenti, nonché le previsioni degli stessi aggregati per l’anno in corso due volte l’anno, il 1° aprile e il 1° ottobre. Le previsioni sull’indebitamento netto sono invece formulate dal Ministero dell’economia e finanze.

[400]  Il concetto di cassa utilizzato per il fabbisogno è però differente rispetto alla “cassa” del bilancio dello Stato Il saldo netto da finanziare, espresso in termini di cassa, infatti, misura incassi e pagamenti nel momento in cui le risorse finanziarie, rispettivamente, entrano ed escono dalla disponibilità dello Stato, trovando imputazione sui capitoli di bilancio pertinenti.

[401]Definizione dei criteri di carattere generale per il coordinamento dell'azione amministrativa del Governo, intesi all'efficace controllo e monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica per l'anno 2006.

[402]L’articolo Indica poi il seguente elenco tassativo di modalità di copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate :

a)   utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali di parte corrente (Tab. A) e parte capitale (Tab.B) contenuti nel provvedimento di legge finanziaria, escludendo sia l'utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l'utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali;

b)   mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;

c)   mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; restando in ogni caso esclusa la copertura di nuove e maggiori spese correnti con entrate in conto capitale.

[403]predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell’economia.

[404]Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari. Inoltre, ai sensi del comma 3, le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la relazione tecnica per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati.

[405]Che, si ricorda, concerne le autorizzazioni di spesa per l’attuazione di leggi a carattere pluriennale.

[406]I predetti comunicati ISTAT finora pubblicati sono del 29 luglio 2005 (Gazzetta Ufficiale del 29 luglio 2005, n. 175), del 28 luglio 2006 (Gazzetta Ufficiale del 28 luglio 2006, n. 174), del 31 luglio 2007 (Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2007, n. 176), come modificato dal Comunicato ISTAT del 29 ottobre 2007 (Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre 2007, n. 252) e, da ultimo, del 31 luglio (Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2008, n. 178).

[407]Programma “Trasferimenti a carattere generale ad Enti locali”, Missione “Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali”.

[408]Per quanto riguarda i collaudi, si veda anche il commento al comma 8 dello stesso articolo.

[409]D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL).

[410]Al riguardo si ricorda che ai sensi del terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario costituisce una materia di legislazione concorrente e che, pertanto, alla legislazione dello Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali, mentre la potestà legislativa spetta alle Regioni.

[411]L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[412]L’articolo 118 della Costituzione statuisce il principio secondo cui le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni e ogni diversa allocazione – anche per assicurarne l’esercizio unitario - deve ispirarsi ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza.

[413]L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[414]  Qualche anticipazione può leggersi nella sentenza 36/2004.

[415]In questa sentenza la Corte costituzionale ha, tra l’altro, dichiarato infondate le questioni sollevate con riferimento alle ricordate disposizioni dei commi 721-723 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2008.

[416]Così il viceministro dell’interno Minniti, nell’audizione del 30 maggio 2007 presso la Commissione Affari costituzionali della Camera, svolta nel quadro dell’indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia (si veda capitolo Indagine conoscitiva sulla sicurezza, nel dossier 1/1, Parte seconda).

[417]Le somme corrisposte da un terzo ad una amministrazione vengono fatte affluire al Ministero dell’economia e poi, da questo Ministero, riassegnate all’amministrazione cui sono dovute. Ai fini del contenimento della spesa, l’art. 1, comma 46 della legge finanziaria per il 2006 ha disposto che tali risorse non vengono riassegnate integralmente, ma soltanto nei limiti stabiliti dal ministro dell’economia: l’ammontare complessivo delle riassegnazioni non può superare, a decorrere dal 2006, l’importo complessivo delle riassegnazioni effettuate, per ciascuna amministrazione, nell’anno 2005.

[418]A Roma ad esempio, l’amministrazione comunale ha chiesto la mission specifica del controllo dei campi nomadi; a Milano si è affrontato il tema del controllo del territorio, soprattutto in relazione al problema dello spaccio di stupefacenti. Un’altra mission riguarda il controllo degli accessi alle città, ai fini del quale si sta realizzando un sistema di videosorveglianza nelle grandi metropoli urbane (cfr. l’intervento del viceministro Minniti del 30 maggio 2007, cit.).

[419]Cfr. il viceministro dell’interno Minniti, nell’audizione del 30 maggio 2007, cit..

[420]  Si ricorda che l’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), prevede che le richieste di autorizzazione ad assumere devono essere corredate da una relazione illustrativa delle iniziative di riordino e riqualificazione, adottate o in corso, finalizzate alla definizione di modelli organizzativi rispondenti ai principi di semplificazione e di funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi, con specifico riferimento, eventualmente, anche a nuove funzioni e qualificati servizi da fornire all'utenza. Si prevede inoltre che l’autorizzazione all'assunzione sia disposta con apposito D.P.C.M.

[421]D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[422]Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.

[423]Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario.

[424]L'art. 262, comma 3-bis, c.p.p. prevede che, trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non ne è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, siano devolute allo Stato.

[425]  Il finanziamento delle missioni militari internazionali di pace veniva operato, fino al 2003, facendo ricorso al Fondo di riserva per le spese impreviste.

L’articolo 3, comma 8, della legge n. 350/2003 (finanziaria per il 2004) ha innovato tale procedura, istituendo, per il 2004 un Fondo di riserva di 1.200 milioni di euro, da destinare alla prosecuzione di missioni internazionali di pace.

L’anno successivo, l’articolo 1, comma 233, della legge n. 311/2004 (finanziaria per il 2005) ha confermato il finanziamento del Fondo per le missioni internazionali di pace, per 1.200 milioni di euro per l'anno 2005

Il comma 97 dell’articolo 1 della legge n. 266/2005 (finanziaria per il 2006) ha infine stanziato 1.000 milioni di euro per il finanziamento del suddetto fondo per il 2006.

[426]Sono compresi 100 milioni di euro utilizzabili a titolo di anticipazione ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, a valere su Fondo missioni. Il D.L 248/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31/2008, aveva prorogato al 31 gennaio 2008 il termine per le autorizzazioni di spesa per le missioni militari di pace, in scadenza al 31 dicembre 2007, autorizzando le Amministrazioni competenti a sostenere una spesa mensile nel limite di un dodicesimo degli stanziamenti iscritti in bilancio nell'esercizio 2007 e comunque entro il limite complessivo di 100 milioni di euro.

[427]Recante Disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.

[428]Nel caso di accertamento di minori economie, si prevede la riduzione delle dotazioni di bilancio relative ai trasferimenti agli enti pubblici, in maniera lineare, fino alla concorrenza degli importi sopra indicati, secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 621, lett. a), della legge finanziaria 2007.

[429]Il comma individua tra i princìpi e criteri direttivi cui devono attenersi i regolamenti, la fusione di organismi svolgenti attività analoghe o complementari, la trasformazione in soggetti di diritto privato o la soppressione di organismi che non svolgono funzioni di rilevante interesse pubblico, e l’abrogazione delle disposizioni legislative che prescrivono il finanziamento, diretto o indiretto, a carico del bilancio dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, degli enti ed organismi pubblici soppressi e posti in liquidazione o trasformati in soggetti di diritto privato.

[430]Legge 27 dicembre 2006, n. 296

[431]Con Nota 24 gennaio 2007 il Ministro della pubblica istruzione ha trasmesso ai dirigenti degli uffici scolastici regionali e provinciali una sintesi delle disposizioni della legge finanziaria specificando le risorse afferenti ai due nuovi fondi. In particolare, nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche” affluiscono le risorse per:

-        funzionamento amministrativo didattico;

-        spese per le funzioni connesse al subentro nei contratti per le pulizie delle scuole stipulati dagli enti locali (cosiddetti appalti storici);

-        spese per la stabilizzazione dei lavoratori utilizzati in lavori socialmente utili – ex LSU – attualmente in servizio presso le istituzioni scolastiche;

-        spese per la sperimentazione didattica e metodologica nelle classi con alunni disabili.

[432]Doc. XV, n. 198 della XV legislatura. Il testo del documento è disponibile all’indirizzo internet https://leg15.camera.it/_dati/leg15/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/015/198/INTERO.pdf.

[433]Nel corso dell’audizione, tenutasi in data 27 giugno 2006, presso l’VIII Commissione (Ambiente) della Camera, l’allora Ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro si soffermò sulla situazione finanziaria dell’Anas. Vedi resoconto stenografico della seduta all’indirizzo internet:

https://leg15.camera.it/_dati/leg15/lavori/stencomm/08/audiz2/2006/0627/INTERO.pdf.

[434]D.L. 20 maggio 1993, n. 148, Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della L. 19 luglio 1993, n. 236.

[435]Vedi l'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).

[436]Cfr. U.p.b 1.1.3 – Oneri comuni di parte corrente – cap. 3671 del Ministero della solidarietà sociale.

[437]Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. Convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.

[438]Per la ripartizione in capitoli delle Unità previsionali di base relative al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2008 (approvato con la legge 24 dicembre 2007, n. 245), cfr. il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 28 dicembre 2007, n. 288.

[439]La quota residuale di oneri pari a 62,8 milioni per il 2010 è posta a carico del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica.

[440]L. 30 dicembre 2004, n. 311.

[441]D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[442]L. 23 dicembre 2005 n. 266.

[443]Il Comitato Italiano Paraolimpico (CIP) ha il compito, attribuitogli dalla legge 15 luglio 2003, n. 189, di promuovere l'attività sportiva tra le persone disabili e di coordinare tutte le organizzazioni sportive per disabili.

[444]L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[445]L. 24 dicembre 2007, n. 244.

[446]D.L. 27 maggio 2008, n. 93, Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, convertito in legge, con modificazioni, con l. 24 luglio 2008, n. 126.

[447]  Si segnala che il D.L. 27 maggio 2008, n. 93, recante Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, reca all’articolo 5, comma 1, la riduzione delle autorizzazioni di spesa di una serie di disposizioni legislative, indicate nell’elenco 1 allegato al decreto-legge medesimo. Tra queste rientra anche l’articolo 1, commi 304-305, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), istitutivo del Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale. Ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 12 dell’articolo 5 del D.L. n. 93/2008, i citati commi 304 e 305 dell’articolo 1 devono intendersi abrogati.

[448]  Si ricorda che le funzioni attribuite al Ministero dei trasporti sono state attribuite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 16 maggio 2008, n. 85, recante Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e attualmente in corso di conversione.

[449]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria 2007.

[450]  Legge 26 febbraio 1992, n. 211, recante Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa.

[451]  Legge 5 agosto 1978, n. 468, recante Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

      L’articolo 11, comma 3, lett. f), della legge 468/1978, prevede il rifinanziamento, per un solo anno, di interventi di conto capitale per i quali nell'ultimo esercizio sia previsto uno stanziamento di competenza, nonché il rifinanziamento, per uno o più degli anni considerati nel bilancio pluriennale, di norme vigenti che prevedono interventi di particolare rilievo definiti di "sostegno dell'economia", classificati tra le spese in conto capitale.

[452]  L’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, prevede che, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, la Conferenza Stato - città ed autonomie locali è unificata con la Conferenza Stato – regioni.

[453]  Per completezza di esposizione si segnala che le altre lettere del comma 1032, non abrogate, prevedono i seguenti criteri di riparto:

a)   priorità al completamento dei programmi finanziati con la legge n. 194 del 1998 e con la legge n. 211 del 1996, relative ad interventi nel settore del trasporto pubblico locale e nel trasporto rapido di massa e ferroviario;

b)   condizioni di vetustà degli attuali parchi veicolari;

c)   congruenza con le effettive esigenze di domanda di trasporto.

[454]L. 24 dicembre 2007, n. 244.

[455]D.L. 27 maggio 2008, n. 93, Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[456]  D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

[457]  L’articolo 2549 del Codice civile stabilisce che, con il contratto di associazione in partecipazione, l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

[458]  D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28, recante Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137. Si ricorda, inoltre, che, ai sensi dell’art. 5, comma 4, del decreto è riconosciuta la nazionalità italiana ai film che presentano:

a)   le componenti di cui al comma 2, lettere a), b), c), f), n) e q) e cioè: regista italiano; autore del soggetto italiano o autori in maggioranza italiani; sceneggiatore italiano o sceneggiatori in maggioranza italiani; ripresa sonora diretta in lingua italiana; troupe italiana; effettuazione in Italia di almeno il 30 per cento della spesa complessiva del film, con riferimento alle componenti tecniche, nonché agli oneri sociali;

b)   almeno tre delle componenti di cui al comma 2, lettere d), e), g), h) e cioè: interpreti principali in maggioranza italiani; interpreti secondari per tre quarti italiani; autore della fotografia cinematografica italiano; montatore italiano;

c)   almeno due delle componenti di cui al comma 2, lettere i), l), m) e cioè: autore della musica italiano; scenografo italiano; costumista italiano;

d)   e almeno una delle componenti di cui al comma 2, lettere o) e p) e cioè: riprese ed uso di teatri di posa in Italia; utilizzo di industrie tecniche italiane.

[459]  L’articolo 2554 del Codice civile si riferisce al contratto di cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, e al contratto con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto.

[460]Il comma 326 dispone che le imprese di produzione cinematografica destinatarie degli apporti di cui al comma 325 abbiano l’obbligo di utilizzare l’80 per cento di dette risorse nel territorio nazionale, impiegando mano d’opera e servizi italiani e privilegiando la formazione e l’apprendistato in tutti i settori tecnici di produzione (requisito della c.d. territorialità).

[461]L’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 28/2004 stabilisce che per il riconoscimento dell'interesse culturale, i film devono presentare:

a)      le componenti di cui all'articolo 5, comma 2, lettere a), b), c), d), e), f), n), o), p) e q) e cioè: regista italiano; autore del soggetto italiano o autori in maggioranza italiani; sceneggiatore italiano o sceneggiatori in maggioranza italiani; interpreti principali in maggioranza italiani; interpreti secondari per tre quarti italiani; ripresa sonora diretta in lingua italiana; troupe italiana; riprese ed uso di teatri di posa in Italia; utilizzo di industrie tecniche italiane; effettuazione in Italia di almeno il trenta per cento della spesa complessiva del film, con riferimento alle componenti tecniche di cui alle lettere n), o), p), nonché agli oneri sociali,

b)      e almeno quattro delle componenti di cui all'articolo 5, comma 2, lettere g), h), i), l) e m) e cioè: autore della fotografia cinematografica italiano; montatore italiano; autore della musica italiano; scenografo italiano; costumista italiano.

[462]  L’articolo 2549 del Codice civile stabilisce che, con il contratto di associazione in partecipazione, l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

[463]  L’art. 2554 del Codice civile si riferisce al contratto di cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, e al contratto con il quale un contraente attribuisce la partecipazione agli utili e alle perdite della sua impresa, senza il corrispettivo di un determinato apporto.

[464]  Ai sensi dell’art. 2359 c.c. sono considerate società controllate:

1)       le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2)       le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3)       le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

[465]Il comma 330 prescrive che gli apporti di cui ai sopra illustrati commi 325 e 327, lettere b), numero 3), e c), numero 2), non possano, in ogni caso, superare complessivamente il limite del 49 per cento del costo di produzione della copia campione dell’opera filmica e che la partecipazione complessiva agli utili degli associati non possa superare il 70 per cento degli utili derivanti dall’opera filmica. Il comma 331 prescrive che i crediti d’imposta di cui ai commi 325 e 327, lettere b), numero 3), e c), numero 2), possano essere fruiti a partire dalla data di rilascio del nulla osta di proiezione in pubblico del film di cui alla legge 21 aprile 1962, n. 161 , e previa attestazione, rilasciata dall’impresa di produzione cinematografica, del rispetto delle condizioni richieste ai sensi dei commi 326 e 330. I suddetti crediti di imposta non concorrono:

-        alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi;

-        alla formazione del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

In base al comma 332, gli apporti per la produzione e per la distribuzione di cui ai commi 325 e 327 dell’articolo in commento sono considerati come risorse reperite dal produttore per completare il costo del film ai fini dell’assegnazione dei contributi di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, e successive modificazioni. In ogni caso, tali contributi non possono essere erogati per una quota percentuale che, cumulata con gli apporti di cui al presente articolo, superi l’80 per cento del costo complessivo rispettivamente afferente alle spese di produzione della copia campione e alle spese di distribuzione nazionale del film.

[466]  Trattato 25 marzo 1957, nella versione in vigore dal 1° febbraio 2003.

[467]D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[468]La disposizione pertanto dovrebbe intendersi riferita al periodo d’imposta 2008 e dunque alle dichiarazioni dei redditi da presentare nel 2009.

[469]Le attività di interesse delle organizzazioni non lucrative devono riguardare l’assistenza sociale, socio-sanitaria e sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione del patrimonio d'interesse storico-artistico, ivi comprese le biblioteche. Inoltre, i campi interessati possono essere quello della tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente (ad esclusione dell'attività di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani), della promozione della cultura e dell'arte, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente.

[470]Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008.

[471]Nonostante il riferimento non univoco all’anno finanziario 2008, la disposizione dovrebbe intendersi riferita al periodo d’imposta 2007 e dunque alle dichiarazioni dei redditi da presentare nel 2008; le relative somme dovrebbero quindi essere erogate ai soggetti beneficiari nel corso del 2009.