Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Attuazione di obblighi comunitari ed esecuzione di sentenze della Corte di giustizia CE D.L. 59/2008 - A.C. 6 - Normativa e giurisprudenza
Riferimenti:
AC N. 6/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 2    Progressivo: 1
Data: 06/05/2008
Descrittori:
CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA   DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

 

 

 

Attuazione di obblighi comunitari
ed esecuzione di sentenze della
Corte di giustizia CE

D.L. 59/2008 - A.C. 6

Normativa e giurisprudenza

 

 

 

 

n. 2/1

 

 

6 maggio 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

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File: d08059a.doc

 

 


I N D I C E

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione (artt. 11, 77, 87 e 117)

§      Codice penale. (art. 358)9

§      R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. (artt. 115, 133-141)10

§      R.D. 4 aprile 1940, n. 1155. Sanzioni penali in materia di pesca. (art. 2)18

§      L. 14 luglio 1965, n. 963. Disciplina della pesca marittima. (artt. 15, 26-27)20

§      L. 5 agosto 1978, n. 468. Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. (artt. 7 e 11-ter)23

§      L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale. (artt. 22 e 23)27

§      D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413. (artt. 31 e 47)32

§      L. 8 febbraio 1996, n. 69. Ratifica ed esecuzione del trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Federazione russa, fatto a Mosca il 14 ottobre 1994.35

§      Dir. 26 aprile 1999, n. 1999/31/CE. Direttiva del Consiglio relativa alle discariche di rifiuti.44

§      D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.61

§      D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36. Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti. (art. 17)65

§      Dir. 27 gennaio 2003, n. 2002/96/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).67

§      D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209. Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso. (artt. 1, 5 e 10)95

§      D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 153. Attuazione della L. 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima. (art. 6)99

§      D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 154. Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38. (art. 11)100

§      L. 4 febbraio 2005, n. 11. Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. (art. 10)101

§      D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151. Attuazione della direttiva 2002/95/CE, della direttiva 2002/96/CE e della direttiva 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti.103

§      D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale. (art. 77)122

§      DPCM 28 luglio 2006. Istituzione di una Struttura di missione presso il Dipartimento per le Politiche Comunitarie  126

§      D.L. 27 dicembre 2006, n. 297, conv. con mod. L 23 febbraio 2007, n. 15. Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio.130

§      D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46. Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali.141

§      D.P.C.M. 7 settembre 2007. Integrazioni agli articoli 3 e 7 del regolamento interno del Consiglio dei Ministri.144

§      L. 25 febbraio 2008, n. 34. Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 2007).145

Normativa comunitaria

§      Reg.int. 19 giugno 1991. Regolamento interno  Regolamento di procedura della Corte di giustizia delle Comunità europee.  (art. 104-ter)175

§      Reg. (CEE) 15 ottobre 1968, n. 1612/68. Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.178

§      Reg. (CE) 22 marzo 1999, n. 659/1999. Regolamento del Consiglio  recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE. (art. 14)195

§      Dir. 18 settembre 2000, n. 2000/53/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai veicoli fuori uso.196

§      Dir. 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. (art. 4)211

§      Dec. 11 maggio 1999, n. 2000/128/CE. Decisione della Commissione relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione.216

§      Reg. (CE) n. 95/2002 del 18 gennaio 2002. Regolamento della Commissione che modifica il regolamento (CEE) n. 2670/81 che stabilisce le modalità di applicazione per la produzione fuori quota nel settore dello zucchero.222

§      Dir. 8 dicembre 2003, n. 2003/108/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio  che modifica la direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).224

§      Dec. 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE. Decisione della Commissione relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico C 27/99 (ex NN 69/98) (2) (3) (4).227

§      Reg. (CE) 18 dicembre 2003, n. 2244/2003. Regolamento della Commissione che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite.258

§      Dir. 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti.269

§      Comunicazione della Commissione.  Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili, 2007/C 272/05  278

§      Commissione delle Comunità europee COM(2002) 694. Libera circolazione dei lavoratori – realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità  296

Giurisprudenza

Giurisprudenza nazionale

§      Sentenza n. 179 dell’8 giugno 1984  319

§      Ordinanza n.170 del 29 marzo 1989  330

Giurisprudenza comunitaria

§      Sentenza della Corte del 9 marzo 1978  (Causa 106/77).335

§      Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 aprile 2002. (Causa C-290/00).343

§      Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del  12 maggio 2005  (Causa C-278/03)356

§      Sentenza della Corte (Quinta Sezione)  del 24 maggio 2007  (Causa C394/05)363

§      Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 12 gennaio 2006, (Causa C85/05)364

§      Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 5 ottobre 2006 (Causa C-232/05)365

§      Sentenza della Corte (Seconda Sezione)  del 26 ottobre 2006  (Causa C-371/04)374

§      Sentenza della Corte (Terza Sezione) 26 aprile 2007 (Causa C-135/05  379

§      Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 24 maggio 2007  (Causa C394/05)391

§      Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 luglio 2007 (CausaC-134/05)392

§      Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 13 dicembre 2007 (Causa C-465/05)407

§      Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 10 aprile 2008 (Causa C442/06)428

 

 


Normativa di riferimento

 


Normativa nazionale

 


Costituzione
(artt. 11, 77, 87 e 117)

 

 

Art. 11.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

 

Art. 77.

Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

 

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

 

I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti .

 

 

Art. 87.

Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale.

 

Può inviare messaggi alle Camere.

 

Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.

 

Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.

 

Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

 

Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.

 

Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

 

Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere.

 

Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

 

Presiede il Consiglio superiore della magistratura.

 

Può concedere grazia e commutare le pene.

 

Conferisce le onorificenze della Repubblica.

 

 

Art. 117.

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali .

 

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

 

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

 

b) immigrazione;

 

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

 

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

 

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

 

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

 

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

 

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

 

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

 

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

 

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

 

n) norme generali sull'istruzione;

 

o) previdenza sociale;

 

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

 

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

 

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

 

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali .

 

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato .

 

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato .

 

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

 

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

 

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

 

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni .

 

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

 


 

Codice penale.
(art. 358)

 

 

Art. 358.

Doveri del minore.

Il minore deve rispetto e obbedienza al tutore [c.c. 315]. Egli non può abbandonare la casa o l'istituto al quale è stato destinato, senza il permesso del tutore.

 

Qualora se ne allontani senza permesso, il tutore ha diritto di richiamarvelo, ricorrendo, se è necessario, al giudice tutelare.


 

R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
(artt. 115, 133-141)

 

(1) (2) (3) (4) (5)

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 giugno 1931, n. 146.

(2)  Il presente testo unico è stato emanato in virtù della delega di cui all'art. 6, R.D.L. 14 aprile 1927, n. 593, convertito in L. 22 gennaio 1928, n. 290 il quale così disponeva:

«Il governo del Re è autorizzato, dopo la pubblicazione dei nuovi codici penale e di procedura penale, a coordinare con questi le disposizioni contenute nel testo unico approvato con regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848, e ad emanare un nuovo testo unico delle leggi di pubblica sicurezza». Il regolamento per l'esecuzione del presente testo unico è stato approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635.

(3)  L'art. 58 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con il presente provvedimento, è anche riportato, per coordinamento, in nota all'art. 1 del R.D. 9 gennaio 1927, n. 147.

(4)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero dell'economia e delle finanze: Ris. 11 febbraio 2003, n. 29/E; Nota 12 agosto 2003, n. 2003/35067/COA/UDC; Nota 13 ottobre 2003, n. 2003/43548/COA/UDC; Nota 19 aprile 2004, n. 2004/20623/COA/ADI; Circ. 6 maggio 2004, n. 2/COA/DG/2004; Nota 12 maggio 2004, n. 2004/26634/COA/ADI; Nota 5 agosto 2004, n. 2004/44882/COA/ADI; Circ. 9 febbraio 2005, n. 1/COA/ADI/2005; Circ. 13 maggio 2005, n. 21/E;

- Ministero dell'interno: Circ. 16 dicembre 1995, n. 559/C.22590.10179(17) 1-582-E-95; Circ. 5 luglio 1996, n. 559/C.4713.10089.D(1); Circ. 23 ottobre 1996, n. 559/C.14426.10089.D(1); Circ. 30 ottobre 1996, n. 559/C.17634.12982(23); Ris. 23 novembre 1996, n. 559/C; Circ. 24 aprile 1997, n. 559/C.24103-13500.F(4)1; Circ. 2 maggio 1997, n. 559/C.5808.10089.D.A(1); Circ. 19 luglio 1997, n. 559/C.5692-10089(4); Circ. 15 novembre 1997, n. 559/C.14514.10089.D(7); Circ. 11 gennaio 2001, n. 559/C.25055.XV.A.MASS(1); Ris. 7 luglio 2003, n. 557/B.12161.1008; Circ. 5 dicembre 2003, n. 557/A/223.420.1; Circ. 6 maggio 2004, n. 557/PAS.6880.12001(1);

- Ministero delle finanze: Circ. 6 giugno 1996, n. 151/D; Circ. 5 agosto 1999, n. 175/E.

(5) Vedi, anche, gli articoli 1 e 3, D.P.R. 14 maggio 2007, n. 85.

 

 

Capo IV - Delle agenzie pubbliche

(omissis)

Art. 115.

(art. 116 T.U. 1926).

Non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l'oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del Questore (213).

 

La licenza è necessaria anche per l'esercizio del mestiere di sensale o di intromettitore (214).

 

Tra le agenzie indicate in questo articolo sono comprese le agenzie per la raccolta di informazioni a scopo di divulgazione mediante bollettini od altri simili mezzi.

 

La licenza vale esclusivamente pei locali in essa indicati.

 

È ammessa la rappresentanza (215).

 

Per le attività di recupero stragiudiziale dei crediti per conto di terzi non si applica il quarto comma del presente articolo e la licenza del questore abilita allo svolgimento delle attività di recupero senza limiti territoriali, osservate le prescrizioni di legge o di regolamento e quelle disposte dall'autorità (216).

 

Per le attività previste dal sesto comma del presente articolo, l'onere di affissione di cui all'articolo 120 può essere assolto mediante l'esibizione o comunicazione al committente della licenza e delle relative prescrizioni, con la compiuta indicazione delle operazioni consentite e delle relative tariffe (217).

 

Il titolare della licenza è, comunque, tenuto a comunicare preventivamente all'ufficio competente al rilascio della stessa l'elenco dei propri agenti, indicandone il rispettivo ambito territoriale, ed a tenere a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza il registro delle operazioni. I suoi agenti sono tenuti ad esibire copia della licenza ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed a fornire alle persone con cui trattano compiuta informazione della propria qualità e dell'agenzia per la quale operano (218).

 

 

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(211)  Vedi, anche, gli artt. 204-223, R.D. 6 maggio 1940, n. 635, con il quale è stato approvato il regolamento del testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza, che qui si riporta.

(212)  Con R.D.L. 16 dicembre 1938, n. 1949 e R.D. 14 aprile 1939, n. 684, erano state emanate disposizioni per la disciplina del mestiere di collocatore di pubblicazioni e di altre simili attività, disposizioni a norma delle quali tali mestieri non potevano essere esercitati senza licenza del Questore, la quale poteva essere emessa soltanto alle persone che si trovassero nelle condizioni di cui all'art. 11 del presente testo unico. Successivamente, con l'articolo unico, L. 11 aprile 1950, n. 222 (Gazz. Uff. 17 maggio 1950, n. 113), è stata disposta l'abrogazione del R.D.L. 16 dicembre 1938, n. 1949 e che, conseguentemente a ciò cessassero di avere vigore le norme di attuazione contenute nel R.D. 14 aprile 1939, n. 684.

(213)  Per quanto concerne le contravvenzioni relative ad agenzie di affari ed a esercizi pubblici non autorizzati o vietati, vedi, anche, art. 665 codice penale del 1930; vedi, inoltre, per quanto riguarda le agenzie di viaggi e turismo, R.D.L. 23 novembre 1936, n. 2523, recante norme per la disciplina delle agenzie di viaggio e turismo.

(214)  Gli artt. 1-4, L. 21 marzo 1958, n. 253, contenente la disciplina della professione di mediatore così dispongono:

« Art. 1. Le norme dettate dalla presente legge si applicano ai mediatori professionali di cui al capo XI del titolo III del libro IV del codice civile, eccezion fatta per gli agenti di cambio e per i pubblici mediatori marittimi, categorie per le quali continueranno ad avere applicazione le disposizioni attualmente in vigore.

Art. 2. Per l'esercizio professionale della mediazione è richiesta l'iscrizione nei ruoli previsti dall'art. 21 della L. 20 marzo 1913, n. 272, e dalle norme sull'ordinamento delle Camere di commercio, industria e agricoltura, secondo le modalità indicate in detta legge.

Il titolo di studio prescritto dall'art. 23 della stessa legge è necessario soltanto per i mediatori che intendano esercitare gli uffici pubblici per i quali si richiede un'autorizzazione speciale, ai sensi del successivo articolo 27. Essi sono iscritti in un ruolo speciale.

Agli iscritti nei ruoli medesimi compete la qualifica di agenti di affari in mediazione.

Art. 3. Per l'esercizio dell'attività disciplinata dai precedenti articoli non è richiesta la licenza prevista dall'art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Art. 4. Chiunque eserciti professionalmente l'attività disciplinata nella presente legge senza essere iscritto nei ruoli indicati dall'art. 2 incorre nelle sanzioni penali previste dall'art. 665 del codice penale».

L'art. 2, L. 2 aprile 1958, n. 339, contenente norme per la tutela del rapporto di lavoro domestico, vieta, per quanto concerne tale tipo di lavoro, l'attività di mediatore, comunque svolta.

(215)  Vedi, anche, l'art. 163, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112. Per l'estensione alle attività previste dal presente articolo delle disposizioni dell'art. 13, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625 e del D.L. 3 maggio 1991, n. 141 vedi l'art. 1, D.Lgs. 25 settembre 1999, n. 374.

(216) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(217) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(218) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(omissis)

TITOLO IV

Delle guardie particolari e degli istituti di vigilanza e di investigazione privata 

 

 

Art. 133. 

(art. 134 T.U. 1926).

Gli enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari.

 

Possono anche, con l'autorizzazione del Prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie da destinare alla vigilanza o custodia in comune delle proprietà stesse (251).

 

 

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(250)  Vedi, anche, artt. 249-260, R.D. 6 maggio 1940, n. 635, con il quale è stato approvato il regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, che qui si riporta, nonché il R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952 ed il R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144.

(251)  Vedi, anche, l'art. 141 del presente testo unico, nonché, sulla disciplina del servizio delle guardie particolari giurate, il R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952.

 

 

Art. 134. 

(art. 135 T.U. 1926).

Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati (252).

 

Salvo il disposto dell'art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell'Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo (253).

 

I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani (254).

 

Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l'institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell'istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l'assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall'articolo 11 del presente testo unico, nonché dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (255).

 

La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale (256).

 

 

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(252)  Vedi, anche, gli artt. 140 e 141 del presente testo unico, nonché, sulla disciplina degli istituti di vigilanza privata, il R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144.

(253)  Comma così modificato dall'art. 33, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.

(254)  Comma aggiunto dall'art. 33, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.

(255) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(256)  Per l'estensione alle attività previste dal presente articolo delle disposizioni dell'art. 13, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625 e del D.L. 3 maggio 1991, n. 141 vedi l'art. 1, D.Lgs. 25 settembre 1999, n. 374.

 

 

Art. 134-bis.

Disciplina delle attività autorizzate in altro Stato dell'Unione europea

1. Le imprese di vigilanza privata stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea possono stabilirsi nel territorio della Repubblica italiana in presenza dei requisiti, dei presupposti e delle altre condizioni richiesti dalla legge e dal regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, tenuto conto degli adempimenti, degli obblighi e degli oneri già assolti nello Stato di stabilimento, attestati dall'autorità del medesimo Stato o, in mancanza, verificati dal prefetto.

 

2. I servizi transfrontalieri e quelli temporanei di vigilanza e custodia da parte di imprese stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea sono svolti alle condizioni e con le modalità indicate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico.

 

3. Il Ministro dell'interno è autorizzato a sottoscrivere, in materia di vigilanza privata, accordi di collaborazione con le competenti autorità degli Stati membri dell'Unione europea, per il reciproco riconoscimento dei requisiti, dei presupposti e delle condizioni necessari per lo svolgimento dell'attività, nonché dei provvedimenti amministrativi previsti dai rispettivi ordinamenti (257).

 

 

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(257) Articolo aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 135.

(art. 136 T.U. 1926).

I direttori degli uffici di informazioni, investigazioni o ricerche, di cui all'articolo precedente, sono obbligati a tenere un registro degli affari che compiono giornalmente, nel quale sono annotate le generalità delle persone con cui gli affari sono compiuti e le altre indicazioni prescritte dal regolamento.

 

Tale registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.

 

Le persone, che compiono operazioni con gli uffici suddetti, sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

 

I direttori suindicati devono inoltre tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.

 

Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato (258).

 

[La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto] (259).

 

 

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(258)  Comma così modificato dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59. Vedi, anche, l'art. 140 del presente testo unico.

(259) Comma abrogato dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 136.

(art. 137 T.U. 1926).

La licenza è ricusata a chi non dimostri di possedere la capacità tecnica ai servizi che intende esercitare.

 

[Può, altresì, essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti] (260).

 

La revoca della licenza importa l'immediata cessazione dalle funzioni delle guardie che dipendono dall'ufficio.

 

L'autorizzazione può essere negata o revocata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico.

 

 

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(260)  Comma abrogato dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 137.

(art. 138 T.U. 1926).

Il rilascio della licenza è subordinato al versamento nella cassa depositi e prestiti di una cauzione nella misura da stabilirsi dal Prefetto.

 

La cauzione sta a garanzia di tutte le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'ufficio e della osservanza delle condizioni imposte dalla licenza.

 

Il Prefetto, nel caso di inosservanza, dispone con decreto che la cauzione, in tutto o in parte, sia devoluta all'erario dello Stato.

 

Lo svincolo e la restituzione della cauzione non possono essere ordinati dal Prefetto, se non quando, decorsi almeno tre mesi dalla cessazione dell'esercizio, il concessionario abbia provato di non avere obbligazioni da adempiere in conseguenza del servizio al quale l'ufficio era autorizzato (261).

 

 

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(261)  Vedi, anche, l'art. 141 del presente testo unico.

 

 

Art. 138. 

(art. 139 T.U. 1926).

Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:

 

1° essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea (262);

 

2° avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;

 

3° sapere leggere e scrivere;

 

4° non avere riportato condanna per delitto (263) (264);

 

5° essere persona di ottima condotta politica e morale (265);

 

6° essere munito della carta di identità;

 

7° essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.

 

Il Ministro dell'interno con proprio decreto, da adottarsi con le modalità individuate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, sentite le regioni, provvede all'individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione delle guardie particolari giurate (266).

 

La nomina delle guardie particolari giurate deve essere approvata dal prefetto. Con l'approvazione, che ha validità biennale, il prefetto rilascia altresì, se ne sussistono i presupposti, la licenza per il porto d'armi, a tassa ridotta, con validità di pari durata (267).

 

Ai fini dell'approvazione della nomina a guardia particolare giurata di cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea il prefetto tiene conto dei controlli e delle verifiche effettuati nello Stato membro d'origine per lo svolgimento della medesima attività. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 134-bis, comma 3 (268).

 

Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell'Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d'armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell'interno. Si osservano, altresì, le disposizioni degli articoli 71 e 256 del regolamento di esecuzione del presente testo unico (269).

 

Salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio (270).

 

 

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(262)  Numero così modificato dall'art. 33, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.

(263)  La Corte costituzionale con sentenza 10-17 luglio 1995, n. 326 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33, Serie speciale) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Con successiva sentenza 10-17 dicembre 1997, n. 405 (Gazz. Uff. 24 dicembre 1997, n. 52, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, numero 4, sollevata in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione.

(264)  La Corte costituzionale, con ordinanza 12-24 luglio 2000, n. 338 (Gazz. Uff. 2 agosto 2000, n. 32, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 138, primo comma, numero 4, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione.

(265)  La Corte costituzionale, con sentenza 18-25 luglio 1996, n. 311 (Gazz. Uff. 31 luglio 1996, n. 31 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 138, primo comma, numero 5, nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devono possedere le guardie particolari giurate: a) consente di valutare la condotta «politica» dell'aspirante; b) richiede una condotta morale «ottima» anziché «buona»; c) consente di valutare la condotta «morale» per aspetti non incidenti sull'attuale attitudine ed affidabilità dell'aspirante ad esercitare le relative funzioni.

(266) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(267)  Comma così sostituito dall'art. 10, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(268) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(269)  Comma aggiunto dall'art. 33, L. 1° marzo 2002, n. 39 - Legge comunitaria 2001.

(270) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 139. 

(art. 140 T.U. 1926).

Gli uffici di vigilanza e di investigazione privata sono tenuti a prestare la loro opera a richiesta dell'autorità di pubblica sicurezza e i loro agenti sono obbligati ad aderire a tutte le richieste ad essi rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria.

 

 

Art. 140. 

(art. 141 T.U. 1926).

I contravventori alle disposizioni di questo titolo sono puniti con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire 400.000 a lire 1.200.000 (271).

 

 

 

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(271)  La misura dell'ammenda è stata così elevata dall'art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603, nonché dall'art. 113, primo comma, L. 24 novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell'art. 32, secondo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689.

 

 

Art. 141. 

(art. 142 T.U. 1926).

 I provvedimenti del Prefetto nelle materie prevedute in questo titolo sono definitivi (272).

 

 

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(272)  Vedi, anche, il secondo comma dell'art. 138 del presente decreto.

 


 

R.D. 4 aprile 1940, n. 1155.
Sanzioni penali in materia di pesca.
(art. 2)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 22 agosto 1940, n. 196.

(2)  Il presente provvedimento è anche citato, per coordinamento, in nota all'art. 33 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604.

 

 

VITTORIO EMANUELE III

 

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONE

 

RE D'ITALIA E DI ALBANIA

 

IMPERATORE D'ETIOPIA

 

Visto il R.D. 6 agosto 1911, n. 993, sulla pesca con le fonti luminose;

 

Visti gli articoli 2, 3 e 34 del testo unico delle leggi sulla pesca approvato con R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604;

 

Visto l'art. 4 del R.D. 10 settembre 1936, n. 1938, concernente l'ordinamento della Commissione consultiva e del Comitato permanente della pesca;

 

Visto il R.D.L. 31 dicembre 1939, n. 1953, riguardante l'istituzione del Commissariato generale per la pesca;

 

Visto l'art. 1 della legge 31 gennaio 1926, n. 100;

 

Sentito il Comitato permanente della Commissione consultiva per la pesca;

 

Udito il Consiglio di Stato;

 

Sentito il Consiglio dei Ministri;

 

Sulla proposta del DUCE del Fascismo, Capo del Governo, di concerto con i Ministri per la grazia e giustizia e per le comunicazioni;

 

Abbiamo decretato e decretiamo:

 

 

Art. 1.

Chiunque contravviene alle disposizioni emesse per il disciplinamento della pesca con le fonti luminose ai sensi del R.D. 6 agosto 1911, n. 993, è punito con l'ammenda da L. 200 a L. 1.000.

 

Art. 2.

È vietata a bordo del natante armato per la pesca la detenzione di reti o attrezzi di cui sia, in modo assoluto, proibito l'uso con l'impiego del natante stesso.

 

Le infrazioni alla presene disposizione sono punite con l'ammenda da L. 200 a L. 1.000.


 

L. 14 luglio 1965, n. 963.
Disciplina della pesca marittima.
(artt. 15, 26-27)

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 14 agosto 1965, n. 203.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:

- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 10 luglio 1997, n. 155; Circ. 18 settembre 1997, n. 193; Circ. 23 settembre 1997, n. 196;

- Ministero dell'economia e delle finanze: Circ. 2 ottobre 2001, n. 87/E.

 

(omissis)

Art. 15.

Tutela delle risorse biologiche e dell'attività di pesca.

1. Al fine di tutelare le risorse biologiche delle acque marine ed assicurare il disciplinato esercizio della pesca, è fatto divieto di:

 

a) pescare in zone e tempi vietati dai regolamenti, decreti, ordini legittimamente emanati dall'autorità amministrativa e detenere, trasportare e commerciare il prodotto di tale pesca, nonché pescare quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, da regolamenti, decreti ed ordini legittimamente emanati dall'autorità amministrativa;

 

b) pescare con navi o galleggianti, attrezzi o strumenti, vietati dai regolamenti o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza o in difformità della necessaria autorizzazione, nonché detenere attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente e detenere, trasportare o commerciare il prodotto di tale pesca (26);

 

c) pescare, detenere, trasportare e commerciare il novellame di qualunque specie vivente marina oppure le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, senza la preventiva autorizzazione del Ministero della marina mercantile;

 

d) danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l'uso di materie esplodenti, dell'energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici, nonché raccogliere, trasportare o mettere in commercio pesci ed altri organismi acquatici così intorpiditi, storditi o uccisi;

 

e) sottrarre od esportare, senza il consenso dell'avente diritto, gli organismi acquatici oggetto della altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili, sia quando il fatto si commetta con azione diretta su tali attrezzi o strumenti, sia esercitando la pesca con violazione delle distanze di rispetto stabilite dai regolamenti; nonché sottrarre od asportare, senza l'anzidetto consenso, gli organismi acquatici che si trovano in spazi acquei sottratti al libero uso e riservati agli stabilimenti di pesca e, comunque detenere, trasportare e fare commercio dei detti organismi, senza il consenso dell'avente diritto;

 

f) pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati.

 

2. Gli anzidetti divieti non riguardano la pesca scientifica e le altre attività espressamente autorizzate (27).

 

 

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(26) Lettera così modificata dal comma 3 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(27)  Così sostituito dall'art. 5, L. 25 agosto 1988, n. 381 (Gazz. Uff. 1° settembre 1988, n. 205).

(omissis)

Art. 26.

Sanzioni amministrative.

1. Chiunque contravvenga ai divieti posti dall'articolo 15, comma 1, lettere a) e b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 6.000 euro.

 

2. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 3.000 euro chiunque eserciti la pesca marittima senza la preventiva iscrizione nel registro dei pescatori marittimi.

 

3. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 3.000 euro chiunque violi le norme del regolamento per l'esercizio della pesca sportiva e subacquea.

 

4. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro chiunque venda o commerci i prodotti della pesca esercitata a scopo ricreativo o sportivo.

 

5. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.000 euro chiunque ceda un fucile subacqueo o altro attrezzo simile a persona minore degli anni sedici; alla stessa sanzione soggiace chi affida un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, qualora questa ne faccia uso.

 

6. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque non consenta o impedisca l'ispezione da parte degli addetti alla vigilanza sulla pesca, prevista dal precedente articolo 23.

 

7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro il comandante di una unità da pesca che navighi con l'apparecchiatura blue box, di cui al regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, manomessa o alterata. Alla medesima sanzione è soggetto chiunque ponga in essere atti diretti alla modifica o alla interruzione del segnale trasmesso dal sistema VMS o violi le norme che ne disciplinano il corretto funzionamento. Si applica la sanzione accessoria di cui all'articolo 27, comma 1, lettera c-bis).

 

8. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro chiunque violi le norme relative ai piani di ricostituzione di specie ittiche previste da normative nazionali e comunitarie (37).

 

 

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(37)  Articolo così sostituito prima dall'art. 8, L. 25 agosto 1988, n. 381 (Gazz. Uff. 1° settembre 1988, n. 205) e poi dal comma 3 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 27.

Sanzioni amministrative accessorie.

1. Alle violazioni dell'art. 15, lettere a) e b), sono applicate le seguenti sanzioni amministrative accessorie:

 

a) la confisca del pescato;

 

b) la confisca degli strumenti, degli attrezzi e degli apparecchi di pesca usati, in contrasto con le norme della presente legge, escluse le navi; gli attrezzi confiscati non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente sono distrutti e le spese relative alla custodia e demolizione sono poste a carico del contravventore (38);

 

c) l'obbligo di rimettere in pristino, entro un termine prestabilito, le zone in cui sono stati costruiti opere o impianti non autorizzati (39);

 

c-bis) la sospensione della licenza di pesca, in caso di recidiva della violazione, per un periodo compreso tra 10 giorni e 30 giorni (40).

 

 

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(38) Lettera così modificata dal comma 3 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(39)  Così sostituito dall'art. 9, L. 25 agosto 1988, n. 381 (Gazz. Uff. 1° settembre 1988, n. 205).

(40) Lettera aggiunta dal comma 3 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 (omissis)

 


 

L. 5 agosto 1978, n. 468.
Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
(artt. 7 e 11-ter)

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 agosto 1978, n. 233.

(2)  Vedi, anche, il D.Lgs. 7 agosto 1997, n. 279.

(3)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 6 febbraio 1998, n. 16/98;

- Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica: Circ. 15 maggio 1998, n. 44; Circ. 2 agosto 1999, n. 42; Circ. 3 aprile 2000, n. 17; Circ. 27 marzo 2001, n. 19; Circ. 20 marzo 2001, n. 16;

- Ministero del tesoro: Circ. 16 dicembre 1996, n. 223057; Circ. 26 maggio 1997, n. 149569; Circ. 2 giugno 1997, n. 42; Circ. 22 agosto 1997, n. 65; Circ. 25 settembre 1997, n. 191614; Circ. 22 gennaio 1998, n. 4;

- Ministero dell'economia e delle finanze: Circ. 16 ottobre 2001, n. 33; Circ. 25 marzo 2002, n. 15; Circ. 15 novembre 2002, n. 35; Circ. 26 febbraio 2003, n. 11; Circ. 31 marzo 2003, n. 18; Circ. 2 aprile 2003, n. 22; Ris. 2 dicembre 2003, n. 216/E; Circ. 5 febbraio 2004, n. 6; Circ. 5 aprile 2004, n. 11; Circ. 5 aprile 2004, n. 12; Circ. 7 aprile 2005, n. 13;

- Ministero dell'interno: Circ. 12 dicembre 1998, n. F.L.35/98;

- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 24 maggio 1996, n. 202; Circ. 15 luglio 1996, n. 345; Circ. 20 gennaio 1998, n. 23;

- Ministero delle finanze: Circ. 15 ottobre 1997, n. 265/P; Circ. 16 marzo 1998, n. 86/D;

- Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 29 aprile 1997, n. 7;

- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 24 agosto 1998, n. DIE/ARE/1/3123; Circ. 25 settembre 1998, n. DIE/ARE/1/3484;

- Ragioneria generale dello Stato: Circ. 18 marzo 1996, n. 27; Circ. 6 giugno 1996, n. 46; Circ. 21 marzo 1997, n. 22; Circ. 28 marzo 1997, n. 26.

 

(omissis)

Art. 7.

Fondo di riserva per le spese obbligatorie e di ordine.

Nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro è istituito, nella parte corrente, un «Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine» le cui dotazioni sono annualmente determinate, con apposito articolo, dalla legge di approvazione del bilancio.

 

Con decreti del Ministro del tesoro, da registrarsi alla Corte dei conti, sono trasferite dal predetto fondo ed iscritte in aumento sia delle dotazioni di competenza che di cassa dei competenti capitoli le somme necessarie:

 

1) per il pagamento dei residui passivi di parte corrente, eliminati negli esercizi precedenti per perenzione amministrativa, [in caso di richiesta da parte degli aventi diritto, con reiscrizione ai capitoli di provenienza, ovvero a capitoli di nuova istituzione nel caso in cui quello di provenienza sia stato nel frattempo soppresso] (41);

 

2) per aumentare gli stanziamenti dei capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio o connessi con l'accertamento e la riscossione delle entrate.

 

Allo stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro è allegato l'elenco dei capitoli di cui al precedente numero 2), da approvarsi, con apposito articolo, dalla legge di approvazione del bilancio.

 

 

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(41)  Le parole tra parentesi quadre sono state abrogate dall'art. 6, D.P.R. 24 aprile 2001, n. 270.

(omissis)

Art. 11-ter.

Copertura finanziaria delle leggi.

1. In attuazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime. La copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate, è determinata esclusivamente attraverso le seguenti modalità (57):

 

a) mediante utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali previsti dall'articolo 11-bis, restando precluso sia l'utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l'utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali;

 

b) mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa; ove dette autorizzazioni fossero affluite in conti correnti o in contabilità speciali presso la Tesoreria statale, si procede alla contestuale iscrizione nello stato di previsione della entrata delle risorse da utilizzare come copertura;

 

c) [a carico o mediante riduzione di disponibilità formatesi nel corso dell'esercizio sui capitoli di natura non obbligatoria, con conseguente divieto, nel corso dello stesso esercizio, di variazioni volte ad incrementare i predetti capitoli. Ove si tratti di oneri continuativi pluriennali, nei due esercizi successivi al primo, lo stanziamento di competenza dei suddetti capitoli, detratta la somma utilizzata come copertura, potrà essere incrementato in misura non superiore al tasso di inflazione programmato in sede di relazione previsionale e programmatica. A tale forma di copertura si può fare ricorso solo dopo che il Governo abbia accertato, con la presentazione del disegno di legge di assestamento del bilancio, che le disponibilità esistenti presso singoli capitoli non debbano essere utilizzate per far fronte alle esigenze di integrazione di altri stanziamenti di bilancio che in corso di esercizio si rivelino sottostimati. In nessun caso possono essere utilizzate per esigenze di altra natura le economie che si dovessero realizzare nella categoria «interessi» e nei capitoli di stipendi del bilancio dello Stato. Le facoltà di cui agli articoli 9 e 12, primo comma, non possono essere esercitate per l'iscrizione di somme a favore di capitoli le cui disponibilità siano state in tutto o in parte utilizzate per la copertura di nuove o maggiori spese disposte con legge] (58);

 

d) mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; resta in ogni caso esclusa la copertura di nuove e maggiori spese correnti con entrate in conto capitale.

 

2. I disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell'onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari (59).

 

3. Le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la relazione di cui al comma 2 per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati.

 

4. I disegni di legge di iniziativa regionale e del CNEL devono essere corredati, a cura dei proponenti, da una relazione tecnica formulata nei modi previsti dal comma 2.

 

5. Per le disposizioni legislative in materia pensionistica la relazione di cui ai commi 2 e 3 contiene un quadro analitico di proiezioni finanziarie almeno decennali, riferite all'andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari. Per le disposizioni legislative in materia di pubblico impiego la relazione contiene i dati sul numero dei destinatari, sul costo unitario, sugli automatismi diretti e indiretti che ne conseguono fino alla loro completa attuazione, nonché sulle loro correlazioni con lo stato giuridico ed economico di categorie o fasce di dipendenti pubblici omologabili. Per le disposizioni legislative recanti oneri a carico dei bilanci di enti appartenenti al settore pubblico allargato la relazione riporta la valutazione espressa dagli enti interessati.

 

6. Ogni quattro mesi la Corte dei conti trasmette al Parlamento una relazione sulla tipologia delle coperture adottate nelle leggi approvate nel periodo considerato e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. La Corte riferisce, inoltre, su richiesta delle Commissioni parlamentari competenti nelle modalità previste dai Regolamenti parlamentari, sulla congruenza tra le conseguenze finanziarie dei decreti legislativi e le norme di copertura recate dalla legge di delega (60).

 

6-bis. Le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti della spesa espressamente autorizzata nei relativi provvedimenti legislativi. Con decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, è accertato l'avvenuto raggiungimento dei predetti limiti di spesa. Le disposizioni recanti espresse autorizzazioni di spesa cessano di avere efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto per l'anno in corso alla medesima data (61).

 

6-ter. Per le Amministrazioni dello Stato, il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, anche attraverso gli uffici centrali del bilancio e le ragionerie provinciali dello Stato, vigila sulla corretta applicazione delle disposizioni di cui al comma 6-bis. Per gli enti ed organismi pubblici non territoriali gli organi interni di revisione e di controllo provvedono agli analoghi adempimenti di vigilanza e segnalazione al Parlamento e al Ministero dell'economia e delle finanze (62).

 

7. Qualora nel corso dell'attuazione di leggi si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa o di entrata indicate dalle medesime leggi al fine della copertura finanziaria, il Ministro competente ne dà notizia tempestivamente al Ministro dell'economia e delle finanze, il quale, anche ove manchi la predetta segnalazione, riferisce al Parlamento con propria relazione e assume le conseguenti iniziative legislative. La relazione individua le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi. Il Ministro dell'economia e delle finanze può altresì promuovere la procedura di cui al presente comma allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari. La stessa procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri (63) (64).

 

 

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(57)  Alinea così modificato dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione

(58)  Lettera abrogata dall'art. 1-bis, D.L. 20 giugno 1996, n. 323, nel testo aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(59)  Comma così modificato dall'art. 3, L. 25 giugno 1999, n. 208.

(60)  Comma così modificato dall'art. 13, L. 29 luglio 2003, n. 229.

(61)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il Decr. 5 maggio 2003, il Decr. 15 luglio 2003 e il Decr. 1° giugno 2006.

(62)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(63)  Comma così modificato dal comma 2 dell'art. 1, D.L. 6 settembre 2002, n. 194, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(64)  Articolo aggiunto dall'art. 7, L. 23 agosto 1988, n. 362 (Gazz. Uff. 25 agosto 1988, n. 199, S.O.).

 

 


 

L. 24 novembre 1981, n. 689.
Modifiche al sistema penale.
(artt. 22 e 23)

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 30 novembre 1981, n. 329, S.O.

(2)  La presente legge reca molteplici modificazioni al codice penale ed a quello di procedura penale.

(3)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-2 aprile 1999, n. 117 (Gazz. Uff. 14 aprile 1999, n. 15, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 24 novembre 1981, n. 689, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.

(4)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- E.N.P.A.L.S., Ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo: Circ. 5 marzo 2003, n. 12;

- I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale previdenza dipendenti amministrazione pubblica): Circ. 19 febbraio 1996, n. 12;

- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 5 gennaio 1996, n. 3; Circ. 22 gennaio 1996, n. 18; Circ. 14 febbraio 1996, n. 36; Circ. 24 aprile 1996, n. 92; Circ. 27 giugno 1996, n. 135; Circ. 25 marzo 1997, n. 76; Circ. 24 aprile 1997, n. 100; Circ. 13 febbraio 1998, n. 36; Circ. 15 luglio 1998, n. 153; Msg. 11 febbraio 2005, n. 5061;

- Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 17 aprile 1998, n. 55/98; Circ. 1 ottobre 1998, n. 116/98; Circ. 10 marzo 2000, n. 12/2000; Circ. 24 marzo 2000, n. 17/2000;

- Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Lett.Circ. 18 giugno 2001, n. 1178/A2.1; Nota 4 febbraio 2004, n. 146; Lett.Circ. 2 agosto 2004, n. 897;

- Ministero dell'interno: Circ. 19 gennaio 1996, n. 300/A/31305/144/5/20/3, Circ. 2 settembre 1999, n. 91; Circ. 4 ottobre 1999, n. 99; Circ. 19 gennaio 2000, n. 9; Circ. 24 marzo 2000, n. M/2413/25; Circ. 2 agosto 2000, n. 81; Circ. 12 febbraio 2001, n. 11;

- Ministero della pubblica istruzione: Circ. 13 giugno 1996, n. 226; Circ. 31 maggio 1997, n. 341; Circ. 5 giugno 1997, n. 347; Circ. 6 giugno 1998, n. 259; Circ. 10 luglio 1998, n. 305;

- Ministero delle attività produttive: Ris. 1 luglio 2002, n. 507934;

- Ministero delle finanze: Circ. 9 maggio 1996, n. 111/E; Circ. 24 luglio 1996, n. 190/E; Circ. 26 ottobre 1996, n. 258/E; Circ. 17 ottobre 1997, n. 270/D; Circ. 31 marzo 1998, n. 94/D; Circ. 10 luglio 1998, n. 180/E;

- Ministero di grazia e giustizia: Circ. 30 ottobre 1997, n. 571.

(omissis)

Art. 22.

Opposizione all'ordinanza-ingiunzione.

Contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l'ordinanza che dispone la sola confisca, gli interessati possono proporre opposizione davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione individuato a norma dell'articolo 22-bis, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento (33) (34).

 

Il termine è di sessanta giorni se l'interessato risiede all'estero.

 

L'opposizione si propone mediante ricorso, al quale è allegata l'ordinanza notificata (35).

 

Il ricorso deve contenere altresì, quando l'opponente non abbia indicato un suo procuratore, la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito (36).

 

Se manca l'indicazione del procuratore oppure la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio, le notificazioni al ricorrente vengono eseguite mediante deposito in cancelleria.

 

Quando è stato nominato un procuratore, le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento sono effettuate nei suoi confronti secondo le modalità stabilite dal codice di procedura civile.

 

L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga diversamente con ordinanza inoppugnabile (37) (38) (39) (40) (41) (42).

 

 

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(33)  Comma così modificato dall'art. 97, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(34)  La Corte costituzionale, con ordinanza 13-28 luglio 2000, n. 398 (Gazz. Uff. 2 agosto 2000, n. 32, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 22, primo comma, e 35, quarto comma, sollevata in riferimento agli artt. 97, 24 e 3 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 23 maggio-4 giugno 2003, n. 193 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, primo comma, sollevata dal giudice di pace di Segni, in riferimento agli artt. 24, 25, 111, secondo comma, e 113 della Costituzione.

(35)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 231 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma sollevata dal giudice di pace di Locri, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed anche in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 232 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, quarto comma, sollevate dal giudice di pace di Locri, rispettivamente in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed in riferimento agli articoli 3, 24, e 111, secondo comma, della Costituzione.

(36)  Comma così modificato dall'art. 97, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(37)  Comma così modificato dall'art. 97, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(38)  La Corte costituzionale, con sentenza 5-24 febbraio 1992, n. 62 (Gazz. Uff. 4 marzo 1992, n. 10 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 22 e 23, L. 24 novembre 1981, n. 689, in combinato disposto con l'art. 122 c.p.c., nella parte in cui non consentono ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica slovena nel processo di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni amministrative davanti al pretore avente competenza su un territorio dove sia insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua materna nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione nella lingua italiana, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell'autorità giudiziaria e le risposte della controparte. La stessa Corte, con sentenza 10-18 marzo 2004, n. 98 (Gazz. Uff. 24 marzo 2004, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo, nella parte in cui non consente l'utilizzo del servizio postale per la proposizione dell'opposizione.

(39)  Per le controversie in materia di lavoro vedi gli artt. 16 e 17, D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124.

(40)  La Corte costituzionale, con sentenza 10-17 giugno 1996, n. 199 (Gazz. Uff. 26 giugno 1996, n. 26, Serie speciale) con ordinanza 2-18 luglio 2003, n. 259 (Gazz. Uff. 23 luglio 2003, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione. Con altra ordinanza 28 gennaio-6 febbraio 2002, n. 20 (Gazz. Uff. 13 febbraio 2002, n. 7, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, sollevata in relazione agli articoli 3, 11, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 4 - 19 novembre 2002, n. 459 (Gazz. Uff. 27 novembre 2002, n. 47, serie speciale) e con ordinanza 7-18 marzo 2005, n. 114 (Gazz. Uff. 23 marzo 2005, n. 12, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione; ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento agli artt. 11 e 25 della Costituzione. La stessa Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su questione già decisa, con ordinanza 12-14 marzo 2003, n. 75 (Gazz. Uff. 19 marzo 2003, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento all'art. 25 della Costituzione. La stessa Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione senza addurre nuovi e diversi profili di incostituzionalità, con ordinanza 20-30 gennaio 2004, n. 61 (Gazz. Uff. 4 febbraio 2004, n. 5, 1ª Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.

(41)  La Corte costituzionale, con ordinanza 6-14 luglio 2000, n. 291 (Gazz. Uff. 19 luglio 2000, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 22, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 113 della Costituzione.

(42)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 aprile-7 maggio 2002, n. 160 (Gazz. Uff. 15 maggio 2002, n. 19, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22 sollevata in riferimento agli artt. 24, 113, 3 e 25 della Costituzione.

 

 

Art. 23.

Giudizio di opposizione.

Il giudice, se il ricorso è proposto oltre il termine previsto dal primo comma dell'articolo 22, ne dichiara l'inammissibilità con ordinanza ricorribile per cassazione (47).

 

Se il ricorso è tempestivamente proposto, il giudice fissa l'udienza di comparizione con decreto, steso in calce al ricorso, ordinando all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima della udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso ed il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all'opponente o, nel caso sia stato indicato, al suo procuratore, e all'autorità che ha emesso l'ordinanza (48).

 

Tra il giorno della notificazione e l'udienza di comparizione devono intercorrere i termini previsti dall'articolo 163-bis del codice di procedura civile (49).

 

L'opponente e l'autorità che ha emesso l'ordinanza possono stare in giudizio personalmente; l'autorità che ha emesso l'ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati (50).

 

Se alla prima udienza l'opponente o il suo procuratore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza appellabile, convalida il provvedimento opposto, ponendo a carico dell'opponente anche le spese successive all'opposizione (51).

 

Nel corso del giudizio il giudice dispone, anche d'ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli.

 

Appena terminata l'istruttoria il giudice invita le parti a precisare le conclusioni ed a procedere nella stessa udienza alla discussione della causa, pronunciando subito dopo la sentenza mediante lettura del dispositivo. Tuttavia, dopo la precisazione delle conclusioni, il giudice, se necessario, concede alle parti un termine non superiore a dieci giorni per il deposito di note difensive e rinvia la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine per la discussione e la pronuncia della sentenza.

 

Il giudice può anche redigere e leggere, unitamente al dispositivo, la motivazione della sentenza, che è subito dopo depositata in cancelleria.

 

A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti si provvede d'ufficio.

 

Gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta (52).

 

Con la sentenza il giudice può rigettare l'opposizione, ponendo a carico dell'opponente le spese del procedimento o accoglierla, annullando in tutto o in parte l'ordinanza o modificandola anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta (53). Nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l'articolo 113, secondo comma, del codice di procedura civile (54) (55).

 

Il giudice accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente.

 

[La sentenza è inappellabile ma è ricorribile per cassazione] (56) (57) (58) (59).

 

 

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(47)  La Corte costituzionale, con sentenza 25 marzo-1° aprile 1998, n. 86 (Gazz. Uff. 8 aprile 1998, n. 14, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione.

(48)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 231 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma sollevata dal giudice di pace di Locri, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed anche in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 232 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, quarto comma, sollevate dal giudice di pace di Locri, rispettivamente in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed in riferimento agli articoli 3, 24, e 111, secondo comma, della Costituzione.

(49)  Comma così sostituito dall'art. 99, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(50)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 231 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma sollevata dal giudice di pace di Locri, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed anche in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 232 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, quarto comma, sollevate dal giudice di pace di Locri, rispettivamente in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione ed in riferimento agli articoli 3, 24, e 111, secondo comma, della Costituzione.

(51)  Comma così modificato dall'art. 26, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Vedi, anche, l'art. 27 dello stesso decreto. La Corte costituzionale, con sentenza 28 novembre - 5 dicembre 1990, n. 534 (Gazz. Uff. 12 dicembre 1990, n. 49 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 23, comma 5, nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall'opponente. Con sentenza 11-18 dicembre 1995, n. 507 (Gazz. Uff. 27 dicembre 1995, n. 53 - Serie speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma quinto, dell'art. 23, nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell'opponente o del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando l'amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti di cui al secondo comma dello stesso art. 23.

(52)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-12 febbraio 1996, n. 39 (Gazz. Uff. 21 febbraio 1996, n. 8, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, decimo e undicesimo comma, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(53)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-12 febbraio 1996, n. 39 (Gazz. Uff. 21 febbraio 1996, n. 8, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, decimo e undicesimo comma, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(54)  Periodo aggiunto dall'art. 99, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(55)  La Corte costituzionale, con ordinanza 21-25 marzo 2005, n. 130 (Gazz. Uff. 30 marzo 2005, n. 13, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma undicesimo - richiamato dall'art. 204-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 - sollevata in riferimento agli articoli 3 e 111, comma secondo, della Costituzione.

(56)  Comma abrogato dall'art. 26, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Vedi, anche, l'art. 27 dello stesso decreto.

(57)  La Corte costituzionale, con sentenza 5-24 febbraio 1992, n. 62 (Gazz. Uff. 4 marzo 1992, n. 10 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 22 e 23, L. 24 novembre 1981, n. 689, in combinato disposto con l'art. 122 c.p.c., nella parte in cui non consentono ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica slovena nel processo di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni amministrative davanti al pretore avente competenza su un territorio dove sia insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua materna nei propri atti, usufruendo per questi della traduzione nella lingua italiana, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell'autorità giudiziaria e le risposte della controparte.

(58)  Nel presente articolo la parola «pretore» è stata sostituita con la parola «giudice», ai sensi dell'art. 99, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

(59)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26-28 aprile 2004, n. 130 (Gazz. Uff. 5 maggio 2004, n. 18, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 113 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 sollevata in riferimento all'art. 25 della Costituzione;

ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111, secondo comma, e 113 della Costituzione.


 

D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413.
(artt. 31 e 47)

 

 

(1) (2) (3) (4)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 13 gennaio 1993, n. 9, S.O.

(2)  Si ritiene opportuno riportare anche la premessa del presente decreto.

(3)  La Corte costituzionale, con ordinanza 20-23 aprile 1998, n. 144 (Gazz. Uff. 29 aprile 1998, n. 17, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sollevate in riferimento all'art. 102, secondo comma, e alla VI disposizione transitoria della Costituzione.

(4)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero dell'economia e delle finanze: Circ. 15 giugno 2001, n. 13; Circ. 31 luglio 2001, n. 73/E; Circ. 21 marzo 2002, n. 25/E; Circ. 4 aprile 2002, n. 26/D; Nota 10 aprile 2002, n. 6; Nota 28 maggio 2002, n. 101558/IV/02/D; Circ. 17 giugno 2002, n. 41/D; Nota 17 luglio 2002, n. 66981; Circ. 4 febbraio 2003, n. 5/E; Nota 29 ottobre 2003, n. 165001; Ris. 18 dicembre 2003, n. 226/E; Nota 8 giugno 2004, n. 1287; Ris. 17 settembre 2004, n. 121/E;

- Ministero delle finanze: Circ. 26 febbraio 1996, n. 48/E; Circ. 28 marzo 1996, n. 79/E; Circ. 23 aprile 1996, n. 98/E; Circ. 9 maggio 1996, n. 111/E; Circ. 23 maggio 1996, n. 137/E; Circ. 24 luglio 1996, n. 190/E; Circ. 28 ottobre 1996, n. 261/E; Circ. 29 ottobre 1996, n. 263/E; Circ. 18 dicembre 1996, n. 291/E; Circ. 17 febbraio 1997, n. 42/E; Circ. 2 aprile 1997, n. 92/E; Circ. 15 maggio 1997, n. 138/E; Circ. 5 giugno 1997, n. 156/E; Circ. 2 luglio 1997, n. 189/E; Circ. 8 luglio 1997, n. 195/E; Circ. 17 luglio 1997, n. 206/E; Circ. 8 agosto 1997, n. 235/E; Circ. 15 ottobre 1997, n. 265/P; Circ. 21 ottobre 1997, n. 271/E; Circ. 20 novembre 1997, n. 293/E; Circ. 4 febbraio 1998, n. 39/E; Circ. 6 marzo 1998, n. 77/E; Circ. 11 marzo 1998, n. 80/E; Circ. 17 aprile 1998, n. 101/E; Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E; Circ. 24 giugno 1998, n. 165/E; Circ. 10 luglio 1998, n. 180/E; Circ. 11 agosto 1998, n. 201/E; Circ. 4 marzo 1999, n. 56/E; Circ. 17 giugno 1999, n. 133/E; Circ. 30 novembre 1999, n. 224/E; Circ. 21 gennaio 2000, n. 14/E; Circ. 26 ottobre 1999, n. 208/E; Circ. 10 febbraio 2000, n. 1/9967; Circ. 11 febbraio 2000, n. 5/10241; Circ. 23 febbraio 2000, n. 8/14185; Circ. 24 maggio 2000, n. 20/42441; Circ. 31 maggio 2000, n. 1/E/34020; Circ. 19 giugno 2000, n. 2/E-37834; Circ. 7 agosto 2000, n. 26; Circ. 3 aprile 2001, n. 36/E.

 

(omissis)

Art. 31.

Avviso di trattazione.

1. La segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima (49).

 

2. Uguale avviso deve essere dato quando la trattazione sia stata rinviata dal presidente in caso di giustificato impedimento del relatore, che non possa essere sostituito, o di alcuna delle parti o per esigenze del servizio.

 

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(49) Per la riduzione del termine vedi il comma 2 dell'art. 2, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(omissis)

Capo II

 

I procedimenti cautelare e conciliativo (57)

 

Art. 47.

Sospensione dell'atto impugnato.

1. Il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22.

 

2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.

 

3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, con lo stesso decreto, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del collegio.

 

4. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.

 

5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento.

 

6. Nei casi di sospensione dell'atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia (58).

 

7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.

 

8. In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 4 (59) (60).

 

 

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(57)  Rubrica così modificata dall'art. 12, D.L. 8 agosto 1996, n. 437.

(58)  La Corte costituzionale, con sentenza 23-26 febbraio 1998, n. 31 (Gazz. Uff. 4 marzo 1998, n. 9, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 47, comma 6, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. Successivamente la stessa Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione senza prospettare profili nuovi o diversi, con ordinanza 12-16 aprile 1999, n. 136 (Gazz. Uff. 21 aprile 1999, n. 16, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza.

(59)  La Corte costituzionale, con ordinanza 14-24 luglio 1998, n. 336 (Gazz. Uff. 2 settembre 1998, n. 35, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 20 e 47 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell'art. 10 del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

(60)  La Corte costituzionale, con sentenza 25-31 maggio 2000, n. 165 (Gazz. Uff. 7 giugno 2000, n. 24, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La stessa Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 8-19 giugno 2000, n. 217 (Gazz. Uff. 28 giugno 2000, n. 27, serie speciale), e con ordinanza 12-27 luglio 2001, n. 325 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione.

 


 

L. 8 febbraio 1996, n. 69.
Ratifica ed esecuzione del trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Federazione russa, fatto a Mosca il 14 ottobre 1994.

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 febbraio 1996, n. 44, S.O.

(2) Vedi, anche, l'art. 9, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 1.

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Federazione Russa, fatto a Mosca il 14 ottobre 1994.

 

Art. 2.

1. Piena ed intera esecuzione è data al trattato di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall'articolo 26 del trattato stesso.

 

Art. 3.

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 18 milioni per l'anno 1995, in lire 9 milioni per l'anno 1996 ed in lire 18 milioni a decorrere dall'anno 1997, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1995-1997, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1995, all'uopo parzialmente utilizzando l'accontamento riguardante il Ministero degli affari esteri.

 

2. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 4.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

Trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Federazione Russa

 

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa,

 

- fondandosi sulle secolari tradizioni di amicizia, cooperazione, simpatia e reciproco arricchimento culturale esistenti tra i popoli dei due Paesi,

 

- consapevoli del fatto che i recenti cambiamenti intervenuti sulla scena internazionale offrono all'umanità un'occasione unica per dar vita ad un ordine internazionale pacifico imperniato sul primato del diritto,

 

- convinte della necessità di basare le relazioni tra gli Stati sui valori universali di democazia, libertà, pluralismo, solidarietà e rispetto dei diritti dell'uomo,

 

- fermamente decise a favorire l'attuazione degli scopi e dei princìpi dello Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il consolidamento della sua autorità quale garante del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale,

 

- confermando la loro volontà di rispettare pienamente le disposizioni dell'Atto Finale della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazone in Europa del 1° agosto 1975 e gli altri documenti della CSCE e confidando che gli impegni assunti con i Vertici di Parigi del 1990 e di Helsinki del 1992 conferiranno un carattere irreversibile alla stabilità e alla collaborazione sul continente europeo,

 

- desiderose di intensificare i rapporti tra la Federazione Russa e l'Unione Europea,

 

- prendendo in considerazione il fatto che la Federazione Russa è lo Stato continuatore dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche,

 

- ispirandosi agli ideali e ai princìpi sanciti nella Dichiarazione congiunta italo-russa del 19 dicembre 1991,

 

- intenzionate a conferire alle loro relazioni nuova qualità,

 

hanno convenuto quanto segue:

 

Art. 1.  

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa svulupperanno i loro rapporti come Stati amici in conformità con il diritto internazionale e in particolare con lo Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con i documenti fondamentali della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

 

Art. 2.

Convinte che la guerra, sia nucleare che convenzionale, come pure la minaccia o l'uso della forza, debbano essere esclusi, in conformità con lo Statuto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e fatto salvo quanto stabilito dal suo articolo 51, come strumenti con cui risolvere le controversie internazionali, le Parti si impegnano a risolvere le loro eventuali controversie esclusivamente con mezzi pacifici.

 

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa compiranno ogni sforzo per rafforzare il ruolo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite quale garante supremo della pace nel mondo e per assicurare il pieno rispetto da parte di tutti gli Stati membri dei princìpi dello Statuto dell'ONU.

 

Art. 3.

Le Parti intendono sviluppare e arricchire il processo della CSCE, favorendone la trasformazione in un meccanismo attivo di mantenimento della stabilità europea.

 

Le Parti sottolineano l'importanza del contributo apportato al rafforzamento della sicurezza e della cooperazione europea dal'Unione Europea, dalla NATO, dalla UEO, dal Consiglio d'Europa e collaboreranno per lo sviluppo delle relazioni tra la Federazione Russa e le suddette organizzazioni.

 

Art. 4.

Le Parti favoriranno in ogni modo il consolidamento dei princìpi dello stato di diritto, della democrazia, del pluralismo politico, nonché la difesa dei diritti dell'uomo, avvalendosi tanto dei meccanismi europei quanto di quelli contemplati dallo Statuto dell'ONU e dalle relative Convenzioni delle Nazioni Unite.

 

Art. 5.

Le Parti sono convinte che uno degli elementi fondamentali della sicurezza sia il proseguimento del processo di disarmo sia per quanto riguarda gli armamenti di distruzione di massa, sia per quanto concerne le armi convenzionali.

 

Le Parti favoriranno il consolidamento della stabilità, anche mediante la diminuzione dei livelli degli armamenti, la prevenzione e la composizione dei conflitti con mezzi pacifici e l'allargamento degli scambi di informazione. Esse favoriranno la conclusione di pertinenti accordi ispirati al principio di una efficace verificabilità.

 

Le Parti collaboreranno al rafforzamento delle misure di fiducia e di sicurezza su scala paneuropea, alla creazione di strutture di sicurezza e alla revisione delle dottrine militari allo scopo di conferire loro un carattere strettamente difensivo.

 

Esse si pronunciano decisamente in favore del rafforzamento del regime di non proliferazione delle armi nucleari e delle misure dirette ad impedire la proliferazione di altri tipi di armi di distruzione di massa.

 

Art. 6.

 Le Parti, qualora si verifichino situazioni suscettibili, a giudizio di una di esse, di minacciare la pace o la sicurezza internazionale, si informeranno ed entreranno sollecitamente in contatto al fine di concordare le iniziative necessarie ad alleggerire le tensioni e a superare tali situazioni.

 

Se una delle Parti riterrà che stia emergendo una situazione che potrebbe ledere gli interessi della sua sicurezza, essa potrà chiedere all'altra Parte che si svolgano immediatamente consultazioni bilaterali.

 

Art. 7.

Le Parti attribuiscono grande significato allo sviluppo e all'approfondimento del loro dialogo politico.

 

Incontri al più alto livello verranno organizzati almeno una volta l'anno nonché ogni qualvolta le Parti lo riterranno necessario.

 

I Ministri degli Affari Esteri si incontreranno almeno due volte l'anno. Regolari consultazioni avranno luogo tra i Ministri degli Affari Esteri dei due Paesi.

 

I Ministri della Difesa avranno incontri periodici.

 

Gli altri membri di Governo avranno consultazioni su temi di comune interesse quando lo riterranno necessario.

 

Qualora se ne riavvisasse la necessità, verranno istituiti gruppi di lavoro ad hoc per l'esame di problemi internazionali o di questioni relative alle relazioni bilaterali.

 

Art. 8. 

Le Parti svilupperanno i contatti nel campo militare. In tale quadro elaboreranno programmi per l'effettuazione di visite anche ad alto livello e promuoveranno lo svolgimento di periodici scambi di vedute e di informazioni sulle rispettive dottrine militari.

 

Art. 9.

 Le Parti riserveranno particolare attenzione allo sviluppo delle relazioni interparlamentari e dei contatti tra gli altri organismi elettivi dei due Paesi.

 

Art. 10.

La Repubblica italiana e la Federazione Russa incoraggeranno ed appoggeranno pienamente i contatti tra i loro cittadini nell'ambito dei rapporti tra partiti, sindacati, fondazioni, centri di studio, associazioni femminili, organizzazioni sportive, chiese, associazioni religiose, ecologiche ed altre.

 

Esse promuoveranno in ogni modo gli scambi giovanili.

 

Le Parti favoriranno, anche attraverso i gemellaggi, l'intensificazione degli scambi tra le città, le regioni, gli altri enti territoriali ed amministrativi dei due Paesi.

 

Art. 11.

Le Parti amplieranno e rafforzeranno la cooperazione in campo economico, industriale, finanziario, scientifico e tecnologico, nonché nel campo energetico, della sicurezza nucleare, della tutela dell'ambiente e della sicurezza nei processi di produzione industriale, al fine di elevarla ad un livello qualitativamente nuovo.

 

Esse riconoscono l'importanza di questa cooperazione per la realizzazione del programma di riforme economiche della Federazione Russa e l'instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale.

 

Le Parti sottolineano il ruolo fondamentale dell'Unione Europea nella creazione di uno spazio economico unico in Europa. In questo contesto la Repubblica Italiana favorirà lo sviluppo delle relazioni tra la Federazione Russa e l'Unione Europea.

 

La Repubblica Italiana favorirà altresì lo sviluppo delle relazioni tra la Federazione Russa e gli enti finanziari e gli organismi economici internazionali al fine di promuovere l'integrazione della Federazione Russa nell'economia europea e mondiale.

 

Art. 12.

Le Parti si impegnano ad intensificare l'attuazione delle intese esistenti nel campo della cooperazione economica ed industriale.

 

Esse continueranno altresì a collaborare nel campo della conversione dell'industria militare, anche nell'ambito del gruppo di lavoro bilaterale istituito a tal fine, ed esamineranno all'occorrenza altre possibilità per elevare il livello di cooperazione in questo settore.

 

Ciascuna delle Parti creerà, anche attraverso opportuni provvedimenti normativi, le condizioni giuridiche ed economiche più proficue per il rafforzamento e lo sviluppo dell'attività degli imprenditori di una Parte nel territorio dell'altra Parte, ivi comprese le questioni relative alla tutela degli investimenti. A quest'ultimo fine, sarà esaminata tra le due Parti la possibilità di rafforzare gli accordi già esistenti in materia di protezione e promozione degli investimenti.

 

Le Parti, al fine di facilitare lo sviluppo dell'economia di mercato nella Federazione Russa, collaboreranno nel settore della formazione professionale e manageriale. Esse svilupperanno anche la collaborazione nei campi della politica economica e del diritto applicato all'attività economica, nonché quella nei settori della scienza, ricerca e tecnologia.

 

Le Parti si impegnano a riservare alle rispettive imprese industriali, commerciali e finanziarie parità di trattamento rispetto a quello concesso alle imprese di Paesi terzi, e in particolare a riservare ai rispettivi cittadini ed uffici di rappresentanza commerciale un trattamento fiscale non meno favorevole di quello praticato nei confronti di cittadini ed uffici di rappresentanza di Paesi terzi. Esse favoriranno la costituzione di società miste anche con la partecipazione di terzi partners e l'armonizzazione delle norme giuridiche in materia economica. Esse favoriranno altresì la collaborazione tra le imprese pubbliche e private di entrambi i Paesi ed in particolare tra quelle piccole e medie.

 

Le Parti garantiranno il riconoscimento dei lodi arbitrali sulle controversie relative ai contratti commerciali conclusi tra le persone giuridiche e fisiche dei due Paesi, nonché il loro adempimento.

 

Art. 13.

Le Parti istituiranno un Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria. Il Consiglio sotto la presidenza per la Parte russa di un Membro di Governo all'uopo designato, e per la Parte italiana del Ministro degli Affari Esteri, o di rappresentanti da loro delegati, si riunirà almeno una volta l'anno.

 

Sotto l'egida del Consiglio lavorerà un Comitato imprenditoriale per la collaborazione, con lo scopo di ampliare concretamente i vincoli economico-commerciali tra i due Paesi. Il Consiglio può altresì istituire gruppi di lavoro ad hoc per l'esame e lo sviluppo della cooperazione bilaterale negli altri campi che presentino un interesse particolare per le Parti. Potrà utilizzare a tal fine anche strutture già esistenti (come la Camera di Commercio Italo-Russa, associazioni per lo sviluppo della collaborazione ed altre).

 

 

14.   Le Parti svilupperanno la cooperazione nel campo scientifico e tecnologico, con particolare riguardo alla scienza di base, alla ricerca spaziale, alle tecnologie avanzate ed all'ammodernamento tecnologico. A questo fine, esse svilupperanno le attività della Commissione Mista per la cooperazione scientifica e tecnologica.

 

Le Parti si adopereranno per elaborare programmi bilaterali e multilaterali di cooperazione scientifica e tecnologica, sia nell'ambito del World Lab che in quello del Centro Internazionale di Scienza e Tecnologia e della Federazione Internazionale per il sostegno alla scienza di base in Russia.

 

Art. 15.

Le Parti, riconoscendo il contributo importante alla stabilizzazione dell'attuale situazione internazionale ed allo sviluppo economico fornito dalla collaborazione regionale e sub- regionale in Europa, si impegnano, nei limiti del possibile, a favorire lo sviluppo dei loro collegamenti nei settori dei trasporti (ferroviari, aerei, marittimi e stradali) e delle telecomunicazioni, quale fattore essenziale per l'ulteriore rafforzamento dei loro apporti in tutti i campi.

 

Le Parti, consapevoli dell'importanza della sicurezza e della stabilità dei rifornimenti di energia, petrolio e gas naturali per lo sviluppo della cooperazione economica e per attrarre potenziali investitori, dedicheranno particolare attenzione alle ricerche in campo energetico, allo sfruttamento e al trasporto del gas, degli idrocarburi e dell'energia elettrica.

 

Tale collaborazione, che richiede la partecipazione delle due Parti e che consoliderà i rapporti con altri Paesi limitrofi verrà sviluppata nell'ambito delle Istituzioni europee e della Carta Europea dell'Energia, allo scopo di sviluppare congiuntamente i progetti infrastrutturali necessari ad una maggiore integrazione.

 

Art. 16.

Le Parti svilupperanno la cooperazione nel campo della tutela dell'ambiente. Esse riserveranno particolare attenzione alla difesa dell'ambiente nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero.

 

Esse intendono promuovere ed incentivare ogni forma di cooperazione a livello bilaterale e multilaterale, specie in Europa in un quadro di sviluppo sostenibile delle risorse naturali, al fine di garantire la difesa del patrimonio ambientale da ogni fonte di inquinamento atmosferico, idrico e del suolo.

 

Le Parti adotteranno misure comuni nella lotta contro le calamità naturali, nell'eliminazione delle loro conseguenze e nella prevenzione delle catastrofi ecologiche.

 

Art. 17.

Ciascuna delle Parti renderà più agevole, nella misura del possibile, in base al principio della reciprocità, il sistema di visti d'ingresso applicato ai cittadini dell'altra Parte per i viaggi d'affari, culturali, turistici e per motivi privati.

 

Ciascuna delle Parti garantirà le condizioni per il regolare funzionamento delle rappresentanze diplomatiche e consolari e delle altre rappresentanze ufficiali dei due Paesi. In particolare le due Parti si impegnano a concludere intese per la soluzione delle questioni immobiliari pendenti e di quelle relative al collocamento a Roma e a Mosca di edifici delle rispettive Ambasciate.

 

Art. 18.

Le Parti intendono rafforzare la loro cooperazione nel campo umanitario anche attraverso l'intensificazione dei contatti tra le competenti organizzazioni dei due Paesi. In tale prospettiva la Repubblica Italiana e la Federazione Russa continueranno in particolare a collaborare per la soluzione delle questioni dei cittadini italiani caduti in Russia e dei cittadini sovietici caduti in Italia durante la seconda guerra mondiale.

 

Art. 19.

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa ribadiscono l'impegno a cooperare efficacemente nella lotta alla criminalità organizzata, al traffico illecito di stupefacenti e al contrabbando in tutte le sue forme. Esse in particolare cureranno il costante perfezionamento dello scambio delle informazioni operative e di esperienze delle rispettive Autorità competenti sulle cause, metodi e mezzi di lotta contro tali fenomeni e collaboreranno a tal fine nelle organizzazioni internazionali appropriate.

 

Le Parti confermano uguale impegno a cooperare nella lotta al terrorismo e agli atti illeciti diretti contro la sicurezza dell'aviazione civile e della navigazione marittima nonché ad intensificare le consultazioni bilaterali su tali problemi e ad approfondire la collaborazione nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e di altre Organizzazioni Internazionali appropriate.

 

Art. 20.

Al fine di rafforzare le garanzie giuridiche offerte ai propri cittadini, le Parti stipuleranno una Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale e sulle questioni relative all'estradizione.

 

Art. 21.

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa, basandosi sul reciproco arricchimento plurisecolare della cultura dei popoli dei due Paesi e sul loro inestimabile contributo alla civiltà europea, compiranno ogni sforzo per sviluppare ulteriormente la collaborazione culturale sul piano bilaterale.

 

Una particolare attenzione sarà dedicata alla conoscenza da parte dei rispettivi popoli della ricchezza dell'eredità musicale, architettonica ed artistica; degli apporti della cultura, dell'arte e della letteratura moderne nonché della cinematografia; della vita culturale quotidiana delle provincie, delle città e delle varie comunità etniche di ciascuno dei due Paesi.

 

Ciascuna delle Parti, in conformità all'Accordo di collaborazione culturale del 19 dicembre 1991, fornirà il massimo sostegno allo sviluppo delle attività dei centri culturali, e adotterà misure per facilitare l'accesso allo studio della lingua e della cultura dell'altra Parte attraverso il sostegno delle iniziative pubbliche e private, anche per mezzo di scambi di borsisti e studenti.

 

Le Parti incoraggeranno la collaborazione diretta tra istituzioni universitarie, culturali ed artistiche dei due Paesi nonché tra le associazioni operanti in tali settori.

 

La Repubblica Italiana e la Federazione Russa si impegnano a rendere possibile l'insegnamento della lingua dell'altra Parte nelle scuole e nelle istituzioni universitarie. A tal fine metteranno a disposizione dell'altra Parte i mezzi per favorire la formazione e l'aggiornamento dei docenti, nonché sussidi didattici, compreso l'uso della televisione e della radio, di mezzi audiovisivi e della tecnica informatica. Esse appoggeranno iniziative per l'istituzione di scuole bilingue.

 

Art. 22.

Le Parti collaboreranno e si assisteranno reciprocamente per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale ed artistico dell'altra Parte.

 

Esse convengono che le opere d'arte trafugate o esportate illegalmente che si trovano nel loro territorio vengano restituite all'altra Parte.

 

Art. 23.

Le Parti perseguiranno l'obiettivo di ampliare i contatti tra le istituzioni ed enti interessati al fine di incrementare gli scambi della produzione libraria, delle pubblicazioni, dei programmi radiotelevisivi e di ogni altro mezzo di informazione su base commerciale e non commerciale.

 

Le Parti favoriranno la conclusione di accordi sulla cooperazione nel campo dell'informazione, anche al fine della formazione dei quadri, tra gli enti competenti, le associazioni e organizzazioni commerciali dei due Paesi.

 

Le Parti favoriranno gli scambi ed i progetti congiunti nel settore dei mezzi di comunicazione di massa nonché l'organizzazione di mostre e la partecipazione alle fiere librarie internazionali, realizzate sul loro territorio.

 

Art. 24.  

Le Parti stipuleranno, ogni volta che sarà necessario, singoli accordi allo scopo di attuare le disposizioni del presente Accordo.

 

Art. 25.

Le disposizioni del presente Accordo non pregiudicano in alcun modo gli impegni assunti dalle Parti in accordi e trattati bilaterali o multilaterali dalle stesse stipulati in precedenza.

 

Il presente Accordo non intende recare pregiudizio ad alcuno Stato terzo.

 

Art. 26.

Il presente Accordo è soggetto a ratifica ed entrerà in vigore il giorno dello scambio degli strumenti di ratifica. Le Parti concordano che, dal giorno dell'entrata in vigore del presente Accordo, cessa la validità del Trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica Italiana e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche del 18 novembre 1990.

 

Art. 27.

Il presente Accordo viene stipulato per un periodo di 20 anni e verrà automaticamente rinnovato per successivi periodi quinquiennali se nessuna delle Parti invierà all'altra Parte una notifica scritta, un anno prima di ogni scadenza, della propria intenzione di porvi termine.

 

Fatto a Mosca il 14 ottobre 1994 in due esemplari, ciascuno in lingua italiana e russa, entrambi i testi aventi identico valore.


Dir. 26 aprile 1999, n. 1999/31/CE.
Direttiva del Consiglio
relativa alle discariche di rifiuti.

 

 

(1) (2) (3)

 

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 16 luglio 1999, n. L 182. Entrata in vigore il 16 luglio 1999.

(2)  Termine di recepimento: vedi articolo 18 della presente direttiva. Direttiva recepita con L. 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria 2000), con L. 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) e con D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36.

(3)  Vedi, per un questionario per le relazioni degli Stati membri sull'attuazione della presente direttiva, la decisione 2000/738/CE.

 

 

Il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 130 S, paragrafo 1,

 

vista la proposta della Commissione (4),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale (5),

 

deliberando secondo la procedura prevista all'articolo 189 C del trattato (6),

 

(1) considerando che la risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1990 sulla politica dei rifiuti (7) accoglie favorevolmente e appoggia il documento di strategia comunitaria ed invita la Commissione a proporre criteri e norme per lo smaltimento dei rifiuti mediante interramento;

 

(2) considerando che la risoluzione del Consiglio del 9 dicembre 1996 sulla politica dei rifiuti prevede che in futuro nella Comunità debbano essere effettuate solo le attività di discarica sicure e controllate;

 

(3) considerando che è opportuno incoraggiare la prevenzione, il riciclaggio e la valorizzazione dei rifiuti nonché l'impiego dei materiali e dell'energia recuperati al fine di risparmiare le risorse naturali e di economizzare l'utilizzazione del terreno;

 

(4) considerando che è opportuno attribuire maggiore rilevanza alla questione dell'incenerimento di rifiuti urbani e di rifiuti non pericolosi, del compostaggio, della produzione di biogas e del trattamento dei fanghi di dragaggio;

 

(5) considerando che, in base al principio "chi inquina paga", occorre, tra l'altro, tener conto degli eventuali danni all'ambiente causati dalle discariche;

 

(6) considerando che l'interramento, analogamente a qualsiasi altro trattamento di rifiuti, andrebbe controllato e gestito in modo adeguato per prevenire o ridurre i potenziali effetti negativi sull'ambiente nonché i rischi per la salute umana;

 

(7) considerando che è necessario adottare misure adeguate per evitare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti; che a tal fine le discariche devono poter essere controllate per quanto riguarda le sostanze contenute nei rifiuti ivi depositati e che tali sostanze dovrebbero, nella misura del possibile, presentare soltanto reazioni prevedibili;

 

(8) considerando che sia la quantità che la natura pericolosa dei rifiuti destinati alla discarica dovrebbero all'occorrenza essere ridotte; che occorrerebbe facilitarne il trasporto e favorirne il recupero; che a tal fine i processi di trattamento dovrebbero essere incoraggiati per garantire un interramento compatibile con gli obiettivi della presente direttiva; che la cernita rientra nella definizione di trattamento;

 

(9) considerando che gli Stati membri dovrebbero essere in grado di attuare i principi di prossimità e di autosufficienza per l'eliminazione dei loro rifiuti a livello comunitario e nazionale, ai sensi della direttiva 75/442/CEE del Consiglio del 15 luglio 1995, relativa ai rifiuti; che è necessario continuare e precisare gli obiettivi di tale direttiva stabilendo una rete integrata e appropriata di impianti di eliminazione sulla base di un alto livello di protezione dell'ambiente;

 

(10) considerando che le disparità tra le norme tecniche di eliminazione dei rifiuti mediante interramento e i conseguenti costi inferiori possono portare ad un'eliminazione di rifiuti maggiore negli impianti in cui il livello di protezione dell'ambiente è scarso, creando in tal modo una grave minaccia potenziale per l'ambiente, data l'inutile lunghezza del trasporto dei rifiuti nonché una pratica nefasta per quanto riguarda l'interramento;

 

(11) considerando che è pertanto necessario prescrivere a livello comunitario norme tecniche per l'interramento dei rifiuti al fine di proteggere, preservare e migliorare la qualità dell'ambiente nella Comunità;

 

(12) considerando che è necessario indicare chiaramente i requisiti a cui le discariche devono conformarsi per quanto riguarda l'ubicazione, lo sviluppo, la gestione, il controllo, la messa fuori esercizio e le misure di prevenzione e di protezione da adottare contro qualsiasi danno all'ambiente in una prospettiva sia a breve che a lungo termine e, in particolare, contro l'inquinamento delle falde freatiche dovuto all'infiltrazione del colaticcio nel terreno;

 

(13) considerando che, in virtù di quanto precede, è necessario definire chiaramente le categorie di discariche da prendere in considerazione e i tipi di rifiuti che vanno accettati nelle varie categorie di discariche;

 

(14) considerando che le aree adibite a deposito temporaneo di rifiuti dovranno essere conformi ai requisiti di cui alla direttiva 75/442/CEE;

 

(15) considerando che, ai sensi della direttiva 75/442/CEE, il recupero di rifiuti inerti o non pericolosi idonei ad essere utilizzati in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione non può costituire un'attività riguardante le discariche;

 

(16) considerando che si dovrebbero adottare misure per ridurre la quantità di gas metano prodotto dalle discariche, anche al fine di ridurre il riscaldamento globale attraverso una riduzione del collocamento a discarica di rifiuti biodegradabili e l'obbligo di introdurre un controllo dei gas prodotti nelle discariche;

 

(17) considerando che le misure adottate per ridurre il collocamento a discarica di rifiuti biodegradabili mirerebbero anche a incoraggiare la raccolta differenziata dei rifiuti biodegradabili, la cernita in genere, il recupero e il riciclaggio;

 

(18) considerando che, a causa delle particolari caratteristiche del metodo di eliminazione tramite interramento, è necessario istituire una procedura di autorizzazione specifica per tutte le categorie di rifiuti, conformemente ai requisiti generali relativi alle licenze già stabiliti nella direttiva 75/442/CEE e ai requisiti generali della direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento; che la conformità della discarica all'autorizzazione deve essere verificata nell'ambito di un'ispezione da parte dell'autorità competente prima dell'inizio delle operazioni di eliminazione;

 

(19) considerando che è opportuno controllare in ogni caso se i rifiuti possano essere interrati nella discarica alla quale sono destinati, in particolare per quanto riguarda i rifiuti pericolosi;

 

(20) considerando che, per prevenire i rischi per l'ambiente, è necessario istituire una procedura uniforme di accettazione dei rifiuti in base ad una procedura di classificazione dei rifiuti che vanno accettati nelle varie categorie di discariche, che comporti in particolare valori limite normalizzati; che a tal fine dovrà essere stabilito entro un tempo sufficientemente breve un sistema coerente e normalizzato di caratterizzazione, di campionamento e di analisi per facilitare l'attuazione della presente direttiva; che i criteri di accettazione devono essere particolarmente precisi per quanto riguarda i rifiuti inerti;

 

(21) considerando che, in attesa di fissare siffatti metodi di analisi o di valori limite necessari alla caratterizzazione, gli Stati membri potranno, in vista dell'applicazione della presente direttiva, mantenere o stabilire, a livello nazionale, elenchi dei rifiuti che possono essere ammessi o no nella discarica, o definire criteri con valori limite, analoghi a quelli enunciati nella presente direttiva per la procedura di accettazione uniforme;

 

(22) considerando che, affinché taluni rifiuti pericolosi vengano ammessi nelle discariche per rifiuti non pericolosi, i relativi criteri di ammissione andrebbero elaborati dal comitato tecnico;

 

(23) considerando che è necessario stabilire procedure comuni di controllo durante la fase operativa e postoperativa di una discarica, in modo da individuare qualsiasi eventuale effetto negativo di quest'ultima sull'ambiente e adottare adeguate misure correttive;

 

(24) considerando che è necessario definire quando e come una discarica debba essere chiusa e quali siano gli obblighi e la responsabilità del gestore del sito durante la fase postoperativa;

 

(25) considerando che le discariche chiuse anteriormente alla data di recepimento della presente direttiva non dovrebbero essere soggette alle disposizioni da essa previste per la procedura di chiusura;

 

(26) considerando che è necessario regolamentare le condizioni di funzionamento delle discariche esistenti per adottare, entro un termine fissato, le misure necessarie per il loro adattamento alla presente direttiva in base ad un piano di adeguamento dell'area;

 

(27) considerando che per i gestori delle discariche preesistenti i quali, ai sensi delle norme nazionali vincolanti equivalenti a quelle dell'articolo 14 della presente direttiva, hanno già presentato la documentazione di cui all'articolo 14, lettera a), della presente direttiva anteriormente alla sua entrata in vigore e i quali sono già stati autorizzati dall'autorità competente a continuare la loro attività, non è necessario presentare nuovamente tale documentazione e che non occorre che l'autorità competente rilasci una nuova autorizzazione;

 

(28) considerando che è opportuno che il gestore adotti disposizioni appropriate in forma di garanzia finanziaria o qualsiasi altra equivalente per assicurare che tutti gli obblighi derivanti dall'autorizzazione siano rispettati, compresi quelli relativi alla procedura di chiusura e alla successiva gestione dell'area;

 

(29) considerando che si dovrebbero adottare misure volte a garantire che i prezzi di smaltimento dei rifiuti in una discarica coprano l'insieme dei costi connessi con la creazione e la gestione della discarica, compresa, per quanto possibile, la garanzia finanziaria o il suo equivalente che il gestore deve prestare e i costi stimati di chiusura, compresa la necessaria manutenzione postoperativa;

 

(30) considerando che, qualora un'autorità competente ritenga improbabile che una discarica costituisca un rischio per l'ambiente al di là di un certo periodo, i costi stimati da includere nel prezzo applicato dal gestore possono essere limitati a detto periodo;

 

(31) considerando che è necessario provvedere alla corretta applicazione delle disposizioni di esecuzione della presente direttiva nell'insieme della Comunità e fare in modo che la formazione e le conoscenze dei gestori della discarica e del personale diano loro le competenze richieste;

 

(32) considerando che la fissazione di una procedura uniforme di accettazione dei rifiuti, nonché l'istituzione di una classificazione uniforme dei rifiuti che vanno accettati nella discarica, dovrebbe essere assicurata dalla Commissione secondo la procedura di comitato prevista nell'articolo 18 della direttiva 75/442/CEE;

 

(33) considerando che l'adattamento degli allegati della presente direttiva al progresso scientifico e tecnico e la normalizzazione dei metodi di controllo, di campionamento e di analisi dovranno essere realizzati utilizzando la medesima procedura di comitato;

 

(34) considerando che gli Stati membri devono riferire alla Commissione, a scadenze regolari, in merito all'applicazione della presente direttiva, rivolgendo particolare attenzione alle strategie nazionali da elaborare a norma dell'articolo 5; che in base a tali relazioni la Commissione riferirà al Parlamento europeo e al Consiglio,

 

ha adottato la presente decisione:

 

 

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(4)  Pubblicata nella G.U.C.E. 24 maggio 1997, n. C 156.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 21 novembre 1997, n. C 355.

(6)  Parere del Parlamento europeo 19 febbraio 1998 (G.U.C.E. 16 marzo 1998, n. C 80), posizione comune del Consiglio 4 giugno 1998 (G.U.C.E. 30 ottobre 1998, n. C 333) e decisione del Parlamento europeo 9 febbraio 1999 (G.U.C.E. 28 maggio 1999, n. C 150).

(7)  Pubblicata nella G.U.C.E. 18 maggio 1990, n. C 122.

 

 

Articolo 1

Obiettivo generale.

1. Per adempiere i requisiti della direttiva 75/442/CEE, in particolare degli articoli 3 e 4, scopo della presente direttiva è di prevedere, mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, in particolare l'inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell'atmosfera, e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo di vita della discarica.

 

2. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche delle discariche, la presente direttiva contiene, per quelle alle quali si applica la direttiva 96/61/CE, i pertinenti requisiti tecnici, allo scopo di definire in termini concreti i requisiti generali di tale direttiva. Si considerano soddisfatti i requisiti pertinenti della direttiva 96/61/CE se sono soddisfatti i requisiti della presente direttiva.

 

 

Articolo 2

Definizioni.

Ai fini della presente direttiva si intende per:

 

a) "rifiuti": le sostanze o oggetti contemplati dalla direttiva 75/442/CEE;

 

b) "rifiuti urbani": i rifiuti domestici nonché gli altri rifiuti equiparabili per la loro natura o composizione ai rifiuti domestici;

 

c) "rifiuti pericolosi": qualsiasi rifiuto contemplato dall'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi;

 

d) "rifiuti non pericolosi": i rifiuti non contemplati dalla lettera c);

 

e) "rifiuti inerti": i rifiuti che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa. I rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a colaticci e la percentuale inquinante globale dei rifiuti nonché l'ecotossicità dei colaticci devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque superficiali e/o freatiche;

 

f) "deposito sotterraneo": un impianto per il deposito permanente di rifiuti situato in una cavità geologica profonda, quale una miniera di potassio o di sale;

 

g) "discarica": un'area di smaltimento dei rifiuti adibita al deposito degli stessi sulla o nella terra (vale a dire nel sottosuolo), compresa

 

- la zona interna adibita allo smaltimento dei rifiuti (cioè la discarica in cui lo smaltimento dei rifiuti avviene nel luogo medesimo in cui essi sono stati prodotti e ad opera di chi li ha prodotti), e

 

- un'area adibita in modo permanente (cioè per più di un anno) al deposito temporaneo di rifiuti,

 

ma esclusi

 

- gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e

 

- i depositi di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o

 

- i depositi di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno;

 

h) "trattamento": i processi fisici, termici, chimici, o biologici, inclusa la cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero;

 

i) "colaticcio": qualsiasi liquido che coli attraverso i rifiuti depositati e sia emesso da una discarica o contenuto all'interno di essa;

 

j) "gas di discarica": tutti i gas generati dai rifiuti in discarica;

 

k) "eluito": la soluzione ottenuta in una prova di eluizione in laboratorio;

 

l) "gestore": la persona fisica o giuridica responsabile della discarica conformemente alla legislazione interna dello Stato membro nel quale è situata la discarica; tale persona può variare dalla fase di preparazione a quella di gestione successiva alla chiusura;

 

m) "rifiuti biodegradabili": qualsiasi rifiuto soggetto a decomposizione aerobica o anaerobica, come alimenti, rifiuti dei giardini, carta e cartone;

 

n) "detentore": chi produce i rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso;

 

o) "richiedente": la persona che presenta richiesta di autorizzazione per una discarica a norma della presente direttiva;

 

p) "autorità competente": l'autorità designata dagli Stati membri come responsabile dell'esecuzione degli obblighi previsti dalla presente direttiva;

 

q) "rifiuti liquidi": qualsiasi rifiuto sotto forma liquida, comprese le acque reflue ed esclusi i fanghi;

 

r) "insediamento isolato":

 

- un insediamento di non più di 500 abitanti per comune o insediamento e con una densità non superiore a cinque abitanti per chilometro quadrato,

 

- un insediamento distante almeno 50 km dal più vicino centro urbano che conti almeno 250 abitanti per chilometro quadrato, o di difficile accesso stradale dai più vicini centri urbani per le avverse condizioni meteorologiche durante una rilevante parte dell'anno.

 

 

Articolo 3

Ambito di applicazione.

1 Gli Stati membri applicano la presente direttiva a tutte le discariche definite nell'articolo 2, lettera g).

 

2. Fatta salva la legislazione comunitaria vigente, sono esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva:

 

- lo spandimento di fanghi, compresi i fanghi di fogna e i fanghi risultanti dalle operazioni di dragaggio, e materie analoghe sul suolo a fini di fertilizzazione o ammendamento;

 

- l'uso di rifiuti inerti idonei in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione nelle discariche;

 

- il deposito di fanghi di dragaggio non pericolosi presso corsi d'acqua minori da cui sono stati dragati e di fanghi non pericolosi nelle acque superficiali, compreso il letto e il sottosuolo corrispondente;

 

- il deposito di terra non inquinata o di rifiuti inerti non pericolosi ricavati dalla prospezione ed estrazione, dal trattamento e dallo stoccaggio di minerali, nonché dall'esercizio di cave.

 

3. Fatta salva la direttiva 75/442/CEE, gli Stati membri possono dichiarare a loro scelta che al deposito di rifiuti non pericolosi, da definirsi da parte del comitato di cui all'articolo 17 della presente direttiva, diversi dai rifiuti inerti, ricavati dalla prospezione ed estrazione, dal trattamento e dallo stoccaggio di minerali, nonché dall'esercizio di cave, e che sono depositati in modo da impedire l'inquinamento ambientale o danni alla salute umana, possono non applicarsi le disposizioni di cui all'allegato I, punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 della presente direttiva.

 

4. Fatta salva la direttiva 75/442/CEE, gli Stati membri possono dichiarare a loro scelta gli articoli 6, lettera d), 7, punto i), 8, lettera a), punto iv); 10; 11, paragrafo 1, lettere a), b) e c); 12, lettere a) e c); l'allegato II (ad eccezione del punto 3, livello 3, e del punto 4); l'allegato III, punti 3, 4 e 5, della presente direttiva in parte o in tutto non applicabili:

 

a) alle discariche per rifiuti non pericolosi o inerti dotate di una capacità complessiva non superiore a 15.000 tonnellate o con un flusso annuo non superiore a 1.000 tonnellate ubicate su isole, nel caso esse rappresentino l'unica discarica presente sul territorio e siano destinate unicamente allo smaltimento di rifiuti prodotti nella stessa isola. Una volta esaurita la capacità complessiva della discarica, qualsiasi nuova discarica impiantata sull'isola dovrà conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva;

 

b) alle discariche per rifiuti non pericolosi o inerti ubicate presso insediamenti isolati, nel caso in cui la discarica sia destinata unicamente allo smaltimento dei rifiuti prodotti dall'insediamento isolato in questione.

 

Non oltre due anni dopo la data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, gli Stati membri notificano alla Commissione l'elenco delle isole e degli insediamenti isolati esonerati. La Commissione pubblica l'elenco delle isole e degli insediamenti isolati.

 

5. Fatta salva la direttiva 75/442/CEE, gli Stati membri possono dichiarare a loro scelta che ai depositi sotterranei quali definiti nell'articolo 2, lettera f), della presente direttiva possono non applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 13, lettera d), all'allegato I, punti 2, eccetto il primo trattino, 3, 4 e 5 e all'allegato III, punti 2, 3 e 5 della presente direttiva.

 

 

Articolo 4

Categorie di discariche.

Ciascuna discarica è classificata in una delle seguenti categorie:

 

- discarica per rifiuti pericolosi;

 

- discarica per rifiuti non pericolosi;

 

- discarica per rifiuti inerti.

 

 

Articolo 5

Rifiuti e trattamenti non ammissibili in una discarica.

1. Non oltre due anni dopo la data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, gli Stati membri elaborano una strategia nazionale al fine di procedere alla riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare a discarica e la notificano alla Commissione. Detta strategia dovrebbe includere misure intese a realizzare gli obiettivi di cui al paragrafo 2, in particolare mediante il riciclaggio, il compostaggio, la produzione di biogas o il recupero di materiali/energia. Entro trenta mesi dalla data di cui all'articolo 18, paragrafo 1, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione contenente un prospetto delle strategie nazionali.

 

2. In base a tale strategia:

 

a) non oltre cinque anni dopo la data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 75% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell'ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati;

 

b) non oltre otto anni dopo la data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 50% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell'ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati;

 

c) non oltre quindici anni dopo la data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, i rifiuti urbani biodegradabili da collocare a discarica devono essere ridotti al 35% del totale (in peso) dei rifiuti urbani biodegradabili prodotti nel 1995 o nell'ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati.

 

Due anni prima della data di cui alla lettera c) il Consiglio riesamina l'obiettivo di cui sopra in base ad una relazione della Commissione sull'esperienza pratica acquisita dagli Stati membri nel conseguimento degli obiettivi di cui alle lettere a) e b), corredata, se del caso, di una proposta intesa a confermare o a modificare tale obiettivo, al fine di assicurare un livello elevato di tutela ambientale.

 

Gli Stati membri che nel 1995 o nell'ultimo anno prima del 1995 per il quale siano disponibili dati EUROSTAT normalizzati collocano a discarica più dell'80% dei rifiuti urbani raccolti possono rinviare la realizzazione degli obiettivi indicati nelle lettere a), b) o c) per un periodo non superiore a quattro anni. Gli Stati membri che intendono far valere la presente disposizione informano in anticipo la Commissione della loro decisione. La Commissione informa gli Stati membri ed il Parlamento europeo di tale decisione.

 

L'applicazione delle disposizioni di cui al comma precedente non possono in alcun caso comportare la realizzazione dell'obiettivo di cui alla lettera c) ad una data di quattro anni successiva alla data di cui alla lettera c).

 

3. Gli Stati membri provvedono affinché non siano ammessi in una discarica i seguenti rifiuti:

 

a) rifiuti liquidi;

 

b) rifiuti che, nelle condizioni esistenti in discarica, sono esplosivi, corrosivi, ossidanti, altamente infiammabili o infiammabili ai sensi dell'allegato III della direttiva 91/689/CEE;

 

c) rifiuti provenienti da cliniche, ospedali o istituti veterinari, qualora siano infettivi ai sensi della direttiva 91/689/CEE (caratteristiche di cui al punto H9 dell'allegato III), e rifiuti che rientrano nella categoria 14 (allegato I, parte A) della suddetta direttiva;

 

d) gomme usate intere dopo due anni a decorrere dalla data prevista all'articolo 18, paragrafo 1, escluse le gomme usate come materiale di ingegneria e la gomme usate triturate cinque anni dopo tale data (escluse in entrambi i casi quelle per biciclette e quelle con un diametro esterno superiore a 1400 mm);

 

e) tutti gli altri tipi di rifiuti che non soddisfano i criteri di ammissibilità stabiliti a norma dell'allegato II.

 

4. È vietato diluire o mescolare rifiuti unicamente al fine di renderli conformi alle norme di ammissibilità.

 

 

Articolo 6

Rifiuti ammissibili nelle varie categorie di discariche.

Gli Stati membri provvedono affinché:

 

a) solo i rifiuti trattati vengano collocati a discarica. Tale disposizione può applicarsi ai rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente possibile o a qualsiasi altro rifiuto il cui trattamento non contribuisca agli obiettivi di cui all'articolo 1 della presente direttiva, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana o l'ambiente;

 

b) solo i rifiuti pericolosi che soddisfano i criteri fissati a norma dell'allegato II siano destinati ad una discarica per rifiuti pericolosi;

 

c) le discariche per i rifiuti non pericolosi possano essere utilizzate:

 

i) per i rifiuti urbani;

 

ii) per i rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine conformi ai criteri di ammissione dei rifiuti nelle discariche per rifiuti non pericolosi fissati a norma dell'allegato II;

 

iii) per i rifiuti pericolosi stabili e non reattivi (p.e. solidificati, vetrificati), con un comportamento del colaticcio equivalente a quello dei rifiuti non pericolosi di cui al punto iii), conformi ai pertinenti criteri di ammissione dei rifiuti fissati a norma dell'allegato II. Tali rifiuti pericolosi non possono essere depositati in aree destinate ai rifiuti non pericolosi biodegradabili;

 

d) le discariche per rifiuti inerti siano utilizzate esclusivamente per rifiuti inerti.

 

 

Articolo 7

Domanda di autorizzazione.

Gli Stati membri provvedono affinché la domanda di autorizzazione per una discarica contenga almeno i seguenti dati:

 

a) l'identità del richiedente e del gestore, se sono diversi;

 

b) la descrizione dei tipi e dei quantitativi totali dei rifiuti da depositare;

 

c) la capacità prevista del luogo di smaltimento;

 

d) la descrizione del sito, ivi comprese le caratteristiche idrogeologiche e geologiche;

 

e) i metodi previsti per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento;

 

f) il piano previsto per il funzionamento, la sorveglianza ed il controllo;

 

g) il piano per la chiusura e la gestione successiva alla chiusura;

 

h) ove occorra una valutazione dell'impatto ai sensi della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, le informazioni fornite dal committente a norma dell'articolo 5 di detta direttiva;

 

i) la garanzia finanziaria del richiedente, o qualsiasi altra garanzia equivalente ai sensi dell'articolo 8, lettera a), punto iv), della presente direttiva.

 

Qualora una domanda di autorizzazione sia stata accolta, tali informazioni, se richieste a fini statistici, sono messe a disposizione degli istituti statistici competenti a livello nazionale e comunitario.

 

 

Articolo 8

Condizioni per la concessione dell'autorizzazione.

Gli Stati membri adottano misure affinché:

 

a) l'autorità competente conceda l'autorizzazione per la discarica solo qualora:

 

i) fatto salvo l'articolo 3, paragrafi 4 e 5, il progetto di discarica soddisfi tutte le prescrizioni pertinenti della presente direttiva, compresi gli allegati;

 

ii) la gestione della discarica sia affidata ad una persona fisica tecnicamente competente a gestire il sito e sia assicurata la formazione professionale e tecnica dei gestori e del personale addetto alla discarica;

 

iii) per quanto riguarda il funzionamento della discarica, siano adottate le misure necessarie per prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze;

 

iv) prima dell'inizio delle operazioni di smaltimento, il richiedente abbia adottato o adotti idonei provvedimenti, sotto forma di garanzia finanziaria o altra equivalente, sulla base di modalità che gli Stati membri dovranno decidere, volti ad assicurare che le prescrizioni (compresa la gestione successiva alla chiusura) derivanti dall'autorizzazione rilasciata ai sensi della presente direttiva sono state adempiute e che le procedure di chiusura di cui all'articolo 13 sono state seguite. Tale garanzia o un suo equivalente sono trattenute per tutto il tempo necessario alle operazioni di manutenzione e di gestione successiva alla chiusura della discarica, a norma dell'articolo 13, lettera d). Gli Stati membri possono, a loro scelta, dichiarare che la presente lettera non si applica alle discariche per rifiuti inerti;

 

b) il progetto di discarica sia conforme al pertinente piano o ai pertinenti piani di gestione dei rifiuti menzionati nell'articolo 7 della direttiva 75/442/CEE;

 

c) prima che inizino le operazioni di smaltimento, l'autorità competente effettui un'ispezione della discarica per assicurarsi della sua conformità alle condizioni pertinenti all'autorizzazione. Ciò non comporterà in alcun modo una minore responsabilità per il gestore alle condizioni stabilite dall'autorizzazione.

 

 

Articolo 9

Contenuto dell'autorizzazione.

A specificazione e complemento delle disposizioni dell'articolo 9 della direttiva 75/442/CEE e dell'articolo 9 della direttiva 96/61/CE, l'autorizzazione della discarica deve indicare almeno:

 

a) la categoria della discarica;

 

b) l'elenco dei tipi di rifiuti definiti e il quantitativo totale il cui deposito nella discarica è autorizzato;

 

c) le prescrizioni per la preparazione della discarica, per le operazioni di collocamento in discarica e per le procedure di sorveglianza e controllo, compresi i piani di intervento (allegato III, punto 4, lettera B) nonché le prescrizioni provvisorie per le operazioni di chiusura e di gestione successiva alla chiusura;

 

d) l'obbligo per il richiedente di presentare una relazione almeno una volta all'anno all'autorità competente in merito ai tipi e ai quantitativi di rifiuti smaltiti nonché ai risultati del programma di sorveglianza a norma degli articoli 12 e 13 e dell'allegato III.

 

 

Articolo 10

Costo dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche.

Gli Stati membri adottano misure affinché tutti i costi derivanti dall'impianto e dall'esercizio delle discariche, nonché, per quanto possibile, quelli connessi alla costituzione della garanzia finanziaria o del suo equivalente di cui all'articolo 8, lettera a), punto iv), e i costi stimati di chiusura nonché di gestione successiva alla chiusura per un periodo di almeno trenta anni siano coperti dal prezzo applicato dal gestore per lo smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti. Fatte salve le disposizioni della direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente, gli Stati membri assicurano la trasparenza nella rilevazione e nell'uso delle informazioni necessarie in materia di costi.

 

 

Articolo 11

Procedure di ammissione dei rifiuti.

1. Gli Stati membri adottano provvedimenti affinché, prima dell'ammissione dei rifiuti nella discarica:

 

a) anticipatamente o al momento della consegna o della prima di una serie di consegne, a condizione che il tipo di rifiuti rimanga invariato, il detentore o il gestore sia in grado di dimostrare, mediante documentazione appropriata, che i rifiuti in questione possono essere ammessi nella discarica alle condizioni stabilite nell'autorizzazione e sono conformi ai criteri di ammissione indicati nell'allegato II;

 

b) il gestore dell'impianto osservi le seguenti procedure:

 

- controllo della documentazione relativa ai rifiuti, compresi i documenti richiesti ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 91/689/CEE e, ove appropriato, i documenti richiesti dal regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio;

 

- ispezione visiva dei rifiuti all'entrata e sul punto di deposito e, se del caso, verifica della conformità con la descrizione figurante nella documentazione presentata dal detentore. Qualora, ai sensi dell'allegato II, punto 3, livello 3 si debbano prelevare campioni rappresentativi, i risultati delle analisi sono conservati e il campionamento è effettuato a norma dell'allegato II, punto 5. I campioni sono conservati almeno un mese;

 

- iscrizione in un registro dei quantitativi e delle caratteristiche dei rifiuti depositati, con l'indicazione dell'origine, della data di consegna, del produttore, o del collettore in caso di rifiuti urbani, e, se trattasi di rifiuti pericolosi, della posizione precisa nella discarica. Qualora siano richieste a fini statistici, tali informazioni sono messe a disposizione degli istituti statistici competenti a livello nazionale e comunitario;

 

c) il gestore della discarica fornisca sempre una dichiarazione di ricevuta scritta per ogni consegna ammessa nella discarica;

 

d) fatte salve le disposizioni del regolamento (CEE) n. 259/93, qualora i rifiuti non siano ammessi nella discarica, il gestore notifichi senza indugio alla competente autorità la mancata ammissione dei rifiuti.

 

2. Per le discariche alle quali non si applicano le disposizioni della presente direttiva ai sensi dell'articolo 3, paragrafi 4 e 5, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché:

 

- siano effettuate regolarmente ispezioni visive dei rifiuti al punto di deposito, al fine di garantire che nel sito vengano accettati unicamente rifiuti non pericolosi provenienti dall'isola o dall'insediamento isolato; e che

 

- sia tenuto un registro dei quantitativi di rifiuti depositati presso il sito.

 

Gli Stati membri garantiscono che le informazioni sulla quantità e, se possibile, sul tipo di rifiuti destinati a dette discariche esonerate formino parte delle relazioni elaborate a scadenza regolare sull'attuazione della direttiva e destinate alla Commissione.

 

Articolo 12

Procedure di controllo e sorveglianza nella fase operativa.

Gli Stati membri adottano provvedimenti affinché le procedure di controllo e sorveglianza nella fase operativa rispondano almeno ai requisiti seguenti:

 

a) Il gestore della discarica esegue durante la fase operativa il programma di controllo e di sorveglianza di cui all'allegato III.

 

b) Il gestore notifica all'autorità competente eventuali significativi effetti negativi sull'ambiente riscontrati a seguito delle procedure di controllo e sorveglianza e si conforma alla decisione dell'autorità competente sulla natura delle misure correttive e sui termini di attuazione delle medesime. Tali misure sono adottate a spese del gestore.

 

Con frequenza che sarà stabilita dall'autorità competente e comunque almeno una volta l'anno, il gestore, sulla scorta di dati globali, riferisce alle autorità competenti i risultati complessivi della sorveglianza per dimostrare la conformità della discarica alle condizioni dell'autorizzazione e arricchire le conoscenze sul comportamento dei rifiuti nelle discariche.

 

c) Il controllo qualitativo delle operazioni di analisi svolte nelle procedure di controllo e sorveglianza e/o delle analisi di cui all'articolo 11, paragrafo 1, lettera b), è effettuato da laboratori competenti.

 

Articolo 13

Procedura di chiusura e di gestione successiva alla chiusura.

Gli Stati membri provvedono affinché, in conformità, se del caso, dell'autorizzazione:

 

a) la procedura di chiusura della discarica o di una parte di essa sia avviata:

 

i) quando siano soddisfatte le condizioni pertinenti indicate nell'autorizzazione, oppure

ii) con l'autorizzazione dell'autorità competente, su richiesta del gestore, oppure

 

iii) su decisione motivata dell'autorità competente;

 

b) la discarica o una parte della stessa sia considerata definitivamente chiusa solo dopo che l'autorità competente abbia eseguito un'ispezione finale sul posto, abbia valutato tutte le relazioni presentate dal gestore ed abbia comunicato a quest'ultimo l'approvazione della chiusura. Ciò non comporterà in alcun caso una minore responsabilità per il gestore alle condizioni stabilite dall'autorizzazione;

 

c) dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore sia responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase della gestione successiva alla chiusura per tutto il tempo che sarà ritenuto necessario dall'autorità competente, tenendo conto del periodo di tempo durante il quale la discarica può comportare rischi.

 

Il gestore notifica all'autorità competente eventuali significativi effetti negativi sull'ambiente riscontrati a seguito delle procedure di controllo e si conforma alla decisione dell'autorità competente sulla natura delle misure correttive e sui termini di attuazione delle medesime;

 

d) fintantoché l'autorità competente ritiene che la discarica possa comportare rischi per l'ambiente e senza pregiudicare qualsivoglia normativa comunitaria o nazionale in materia di responsabilità del detentore dei rifiuti, il gestore della discarica impegni la propria responsabilità nel controllare e analizzare il gas di discarica e il colaticcio del sito nonché le acque freatiche nelle vicinanze, a norma dell'allegato III.

 

Articolo 14

Discariche preesistenti.

Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un'autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se i provvedimenti in appresso sono adottati con la massima tempestività e al più tardi entro Otto anni dalla data prevista all'articolo 18, paragrafo 1:

 

a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica elabora e presenta all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;

 

b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non ottengono l'autorizzazione a continuare a funzionare;

 

c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1;

 

d) i) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 1 8, paragrafo 1, gli articoli 4, 5, e 11 e l'allegato II si applicano alle discariche di rifiuti pericolosi;

 

ii) entro tre anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, l'articolo 6 si applica alle discariche di rifiuti pericolosi.

 

Articolo 15

Obbligo di riferire.

Con scadenza triennale gli Stati membri inviano alla Commissione una relazione in merito all'attuazione della presente direttiva, rivolgendo particolare attenzione alle strategie nazionali da elaborare a norma dell'articolo 5. Detta relazione viene elaborata in base ad un questionario o ad uno schema preparato dalla Commissione secondo la procedura stabilita dall'articolo 6 della direttiva 91/692/CEE. Il questionario o schema viene inviato agli Stati membri sei mesi prima dell'inizio del periodo compreso nella relazione. La relazione viene inviata alla Commissione entro nove mesi dalla fine del corrispondente periodo triennale.

 

La Commissione pubblica una relazione della Comunità sull'attuazione della presente direttiva entro nove mesi dalla ricezione delle relazioni da parte degli Stati membri.

 

Articolo 16 (8)

Comitato.

Tutte le modifiche necessarie per l'adeguamento degli allegati della presente direttiva al progresso scientifico e tecnico e le proposte di normalizzazione relative ai metodi di controllo, di campionamento e di analisi in relazione allo smaltimento dei rifiuti nelle discariche vengono adottate dalla Commissione assistita dal comitato di cui all'articolo 18 della direttiva 75/442/CEE, secondo la procedura di cui all'articolo 17 della presente direttiva. Qualsiasi modifica degli allegati sarà apportata solo conformemente ai principi stabiliti negli allegati della presente direttiva. A tal fine, per quanto riguarda l'allegato II, il comitato osserva quanto segue: tenendo conto dei principi e delle procedure generali per la verifica e l'ammissione dei rifiuti e dei criteri di ammissione di cui all'allegato II, devono essere fissati criteri specifici e/o metodi di prova e valori limite associati per ogni categoria di discarica, compresi, se del caso, tipi specifici di discariche nell'ambito di ciascuna categoria, ivi compreso il deposito sotterraneo. Le proposte di normalizzazione dei metodi di controllo, di campionamento e di analisi in relazione agli allegati della presente direttiva sono adottate dalla Commissione, assistita dal comitato, entro due anni dall'entrata in vigore della presente direttiva.

 

La Commissione, assistita dal comitato, adotterà disposizioni in materia di armonizzazione e invio regolare dei dati statistici di cui agli articoli 5, 7 e 11 della presente direttiva entro due anni dalla sua entrata in vigore e in materia di modifica delle predette disposizioni, ove necessario.

--------------------------------------------------------------------------------

(8)  Vedi la decisione 2003/33/CE, con decorrenza indicata al suo articolo 7, che stabilisce criteri e procedure per l'ammissione dei rifiuti nelle discariche ai sensi del presente articolo.

 

Articolo 17 (9)

1. La Commissione è assistita da un Comitato.

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente articolo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa.

 

Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

 

3. Il Comitato adotta il proprio regolamento interno.

 

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(9)  Articolo così sostituito dall'allegato III del regolamento (CE) n. 1882/2003.

 

Articolo 18

Recepimento.

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni dalla sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione i testi delle disposizioni di diritto nazionale che essi adottano nel campo disciplinato dalla presente direttiva.

 

Articolo 19

Entrata in vigore.

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

 

Articolo 20

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

Fatto a Lussemburgo, addì 26 aprile 1999.

 

Per il Consiglio

il presidente

J. Fischer

 

Allegati

(omissis)


 

D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

 

 

(1) (2)

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- A.R.A.N. (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni): Nota 15 febbraio 2002, n. 1702; Circ. 20 marzo 2002, n. 3175; Circ. 24 maggio 2002, n. 5192; Circ. 26 novembre 2002, n. 9751; Circ. 17 novembre 2004, n. 8453;

- I.N.A.I.L. (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro): Circ. 15 aprile 2002, n. 28;

- I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale previdenza dipendenti amministrazione pubblica): Informativa 11 giugno 2002, n. 12; Informativa 17 ottobre 2002, n. 74; Informativa 30 giugno 2003, n. 20/bis; Informativa 7 luglio 2003, n. 9; Circ. 26 luglio 2004, n. 46;

- I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 14 novembre 2003, n. 178;

- ISTAT (Istituto nazionale di statistica): Circ. 17 marzo 2003, n. 1440/9/SP;

- Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Circ. 21 giugno 2001, n. O/2001; Lett.Circ. 18 luglio 2001, n. P/12.10.2001; Lett.Circ. 30 agosto 2001, n. P/12.10.2001; Lett.Circ. 3 settembre 2001, n. Q/23.10.2001; Lett.Circ. 13 settembre 2001, n. Q/23.10.2001; Lett.Circ. 12 ottobre 2001, n. P/2001; Lett.Circ. 23 ottobre 2001, n. Q/2001;

- Ministero dell'economia e delle finanze: Circ. 12 novembre 2001, n. 40; Circ. 26 novembre 2001, n. 43; Circ. 20 novembre 2002, n. 37; Circ. 26 novembre 2002, n. 38; Circ. 3 febbraio 2003, n. 3/D; Circ. 31 marzo 2003, n. 19; Circ. 3 luglio 2003, n. 33; Circ. 17 luglio 2003, n. 7/T; Circ. 15 dicembre 2003, n. 54; Circ. 29 marzo 2004, n. 7; Circ. 20 maggio 2005, n. 22;

- Ministero dell'interno: Circ. 29 gennaio 2002, n. F.L.1/2002;

- Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Nota 28 settembre 2001, n. 476; Nota 28 settembre 2001, n. 477; Nota 20 maggio 2002, n. 710; Circ. 18 giugno 2002, n. 71; Nota 22 giugno 2002, n. 1689; Circ. 23 settembre 2002, n. 103; Nota 7 ottobre 2002, n. 2257; Nota 13 marzo 2003, n. 895/03; Nota 1 aprile 2003, n. 358; Circ. 16 maggio 2003, n. 49; Nota 19 maggio 2003, n. 1665; Nota 26 maggio 2003, n. 823; Nota 16 gennaio 2004, n. 72; Nota 24 febbraio 2004, n. 241; Circ. 22 aprile 2004, n. 46; Nota 3 maggio 2004, n. 563; Circ. 2 dicembre 2004, n. 84;

- Ministero della difesa: Circ. 18 dicembre 2002, n. C/3-81343;

- Ministero della giustizia: Circ. 6 maggio 2002; Circ. 8 luglio 2002; Circ. 27 settembre 2002; Circ. 21 novembre 2002;

- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Circ. 28 marzo 2003, n. 1/2003; Circ. 13 maggio 2002, n. 2/2002; Lett.Circ. 11 aprile 2003, n. 2125-15; Circ. 4 marzo 2004, n. 1/04; Circ. 9 marzo 2004, n. 2/04; Circ. 15 luglio 2004, n. 4; Circ. 15 luglio 2004, n. 4/04; Circ. 5 novembre 2004, n. 5/04.

(omissis)

Art. 14. 

Indirizzo politico-amministrativo.

(Art. 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 9 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni (17) dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16:

 

a) definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione;

 

b) effettua, ai fini dell'adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l'assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni e integrazioni, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti e subprocedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti.

 

2. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. All'atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell'ambito degli uffici di cui al presente comma, decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro. Per i dipendenti pubblici si applica la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Con lo stesso regolamento si provvede al riordino delle segretarie particolari dei Sottosegretari di Stato. Con decreto adottato dall'autorità di governo competente, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è determinato, in attuazione dell'articolo 12, comma 1, lettera n) della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. Con effetto dall'entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma sono abrogate le norme del regio decreto legge 10 luglio 1924, n. 1100, e successive modificazioni ed integrazioni, ed ogni altra norma riguardante la costituzione e la disciplina dei gabinetti dei Ministri e delle segretarie particolari dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato (18).

 

3. Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinano pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altresì salvo quanto previsto dall'articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall'articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità.

 

 

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(17)  Il termine era stato prorogato dal comma 8 dell'art. 1, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

(18)  Comma così modificato dal comma 24-bis dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione. Per la decorrenza del termine di cui al presente comma vedi il comma 24-ter dello stesso articolo 1. Il regolamento di organizzazione degli uffici di cui al presente comma è stato adottato:

- con D.P.R. 22 settembre 2000, n. 451, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 216, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della sanità;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 230, per gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 243, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei lavori pubblici;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 245, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'ambiente;

- con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 225, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei trasporti e della navigazione;

- con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 320, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

- con D.P.R. 3 maggio 2001, n. 291, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del commercio con l'estero;

- con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 258, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle comunicazioni;

- con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 303, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle politiche agricole e forestali;

- con D.P.R. 17 maggio 2001, n. 297, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del lavoro;

- con D.P.R. 24 maggio 2001, n. 233, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro degli affari esteri;

- con D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307, corretto con Comunicato 4 agosto 2001 (Gazz. Uff. 4 agosto 2001, n. 180), per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali;

- con D.P.R. 25 luglio 2001, n. 315, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della giustizia;

- con D.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, per gli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'interno;

- con D.P.R. 21 marzo 2002, n. 98, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'interno;

- con D.P.R. 26 marzo 2002, n. 128 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 154), per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

- con D.P.R. 12 giugno 2003, n. 208, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della salute;

- con D.P.R. 3 luglio 2003, n. 227, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze;

- con D.P.R. 14 ottobre 2003, n. 316, per gli uffici di diretta collaborazione del vice Ministro delle attività produttive;

- con D.P.R. 24 febbraio 2006, n. 162, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della difesa;

- con D.P.R. 13 febbraio 2007, n. 57, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'università e della ricerca;

- con D.P.R. 20 settembre 2007, n. 187, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico.

 

(omissis)

 

Art. 38. 

Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea.

(Art. 37 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 24 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale.

 

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1.

 

3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all'equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell'ammissione al concorso e della nomina.

 


 

D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36.
Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
(art. 17)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 marzo 2003, n. 59, S.O.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento è stata emanata la seguente istruzione:

- Presidenza del Consiglio dei Ministri: Lett.Circ. 10 settembre 2003, n. 1.

 

(omissis)

Art. 13. 

Gestione operativa e post-operativa.

1. Nella gestione e dopo la chiusura della discarica devono essere rispettati i tempi, le modalità, i criteri e le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione e dai piani di gestione operativa, post-operativa e di ripristino ambientale di cui all'articolo 8, comma 1, lettere g), h) e l), nonché le norme in materia di gestione dei rifiuti, di scarichi idrici e tutela delle acque, di emissioni in atmosfera, di rumore, di igiene e salubrità degli ambienti di lavoro, di sicurezza, e prevenzione incendi; deve, inoltre, essere assicurata la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere funzionali ed impiantistiche della discarica.

 

2. La manutenzione, la sorveglianza e i controlli della discarica devono essere assicurati anche nella fase della gestione successiva alla chiusura, fino a che l'ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l'ambiente. In particolare, devono essere garantiti i controlli e le analisi del biogas, del percolato e delle acque di falda che possano essere interessate.

 

3. I rifiuti pericolosi devono essere depositati in appositi settori, celle o trincee della discarica, individuati con apposita segnaletica dalla quale devono risultare i tipi e le caratteristiche di pericolo dei rifiuti smaltiti in ciascuno dei citati settori, celle o trincee.

 

4. Il gestore della discarica è responsabile della corretta attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3.

 

5. Al fine di dimostrare la conformità della discarica alle condizioni dell'autorizzazione e di fornire tutte le conoscenze sul comportamento o dei rifiuti nelle discariche, il gestore deve presentare all'ente territoriale competente, secondo le modalità fissate dall'autorizzazione, la relazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera l), completa di tutte le informazioni sui risultati della gestione della discarica e dei programmi di controllo e sorveglianza, nonché dei dati e delle informazioni relativi ai controlli effettuati. In particolare, la relazione deve contenere almeno i seguenti elementi:

 

a) quantità e tipologia dei rifiuti smaltiti e loro andamento stagionale;

 

b) prezzi di conferimento;

 

 

c) andamento dei flussi e del volume di percolato e le relative procedure di trattamento e smaltimento;

 

d) quantità di biogas prodotto ed estratto e relative procedure di trattamento e smaltimento;

 

e) volume occupato e capacità residua nominale della discarica;

 

f) i risultati dei controlli effettuati sui rifiuti conferiti ai fini della loro ammissibilità in discarica, nonché sulle matrici ambientali.

 

6. Il gestore deve, inoltre, notificare all'autorità competente anche eventuali significativi effetti negativi sull'ambiente riscontrati a seguito delle procedure di sorveglianza e controllo e deve conformarsi alla decisione dell'autorità competente sulla natura delle misure correttive e sui termini di attuazione delle medesime.

 


 

Dir. 27 gennaio 2003, n. 2002/96/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

 

 

(1) (2) (3)

 

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 13 febbraio 2003, n. L 37. Entrata in vigore il 13 febbraio 2003.

(2)  Termine di recepimento: 13 agosto 2004. Direttiva recepita con D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151. Vedi anche la L. 25 febbraio 2008, n. 34 (legge comunitaria 2007).

(3)  Vedi, per il questionario ad uso degli Stati membri sull'attuazione della presente direttiva, l'allegato della decisione 2004/249/CE.

 

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 175, paragrafo 1,

 

vista la proposta della Commissione (4),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale (5),

 

visto il parere del Comitato delle regioni (6),

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (7), visto il progetto comune approvato l'8 novembre 2002 dal comitato di conciliazione,

 

considerando quanto segue:

 

(1) Gli obiettivi della politica ambientale della Comunità sono in particolare la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente, la protezione della salute umana e l'uso accorto e razionale delle risorse naturali. Questa politica è essere basata sul principio di precauzione, sul principio dell'azione preventiva, e su quello della correzione del danno ambientale, in via prioritaria, alla fonte e sul principio «chi inquina paga».

 

(2) Secondo il programma comunitario di politica ed azione a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile («Quinto programma di azione a favore dell'ambiente») (8), il conseguimento dello sviluppo sostenibile comporta cambiamenti significativi nell'attuale andamento di sviluppo, produzione, consumo e comportamento. Inoltre, il programma auspica, fra l'altro, di ridurre lo spreco di risorse naturali e di prevenire l'inquinamento. Esso menziona i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (in prosieguo: «RAEE») come uno dei settori da regolare in relazione ai principi di prevenzione, recupero e smaltimento sicuro dei rifiuti.

 

(3) Secondo la comunicazione della Commissione del 30 luglio 1996 sul riesame della strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti, quando non è possibile evitare la produzione dei rifiuti, essi devono essere riusati o recuperati a livello di materiale o di energia.

 

(4) Nella risoluzione del 24 febbraio 1997 sulla strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti (9) il Consiglio ha insistito sulla necessità di promuovere il recupero dei rifiuti al fine di ridurne la quantità da smaltire e di preservare le risorse naturali, in particolare mediante il reimpiego, il riciclaggio, il compostaggio e il recupero dell'energia dai rifiuti ed ha riconosciuto che la scelta delle opzioni nei casi specifici deve tener conto delle conseguenze ambientali ed economiche, ma che fino a quando non interverranno progressi scientifici e tecnici al riguardo e non saranno ulteriormente sviluppate le analisi del ciclo biologico, bisognerà optare per il reimpiego e per il recupero dei materiali se e nella misura in cui essi rappresentano le migliori opzioni ambientali. Il Consiglio ha inoltre invitato la Commissione a dare opportunamente seguito, il più presto possibile, ai progetti del programma sui flussi di rifiuti prioritari, compresi i RAEE.

 

(5) Nella risoluzione del 14 novembre 1996 (10) il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di presentare proposte di direttive su vari flussi di rifiuti prioritari, tra cui i rifiuti elettrici ed elettronici, e di basare tali proposte sul principio della responsabilità del produttore. Nella stessa risoluzione il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio e alla Commissione di presentare proposte per ridurre il volume dei rifiuti.

 

(6) La direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti, prevede la possibilità di adottare norme specifiche mediante singole direttive in particolari casi o per completare detta direttiva relativamente alla gestione di categorie particolari di rifiuti.

 

(7) Le quantità di RAEE generate nella Comunità aumentano rapidamente. La presenza di componenti pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (in prosieguo: «AEE») solleva grandi problemi nella fase di gestione dei rifiuti e i RAEE non sono sufficientemente riciclati.

 

(8) L'obiettivo di migliorare la gestione dei RAEE non può essere efficacemente raggiunto dagli Stati membri a livello individuale. In particolare, le diverse applicazioni nazionali del principio della responsabilità del produttore possono provocare notevoli disparità tra gli oneri finanziari a carico degli operatori economici. La presenza di politiche nazionali diverse sulla gestione dei RAEE ostacola l'efficacia delle politiche di riciclaggio. Pertanto, i criteri essenziali dovrebbero essere stabiliti a livello comunitario.

 

(9) Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi ai prodotti e ai produttori, a prescindere dalle tecniche di vendita, comprese televendite e vendite elettroniche. In tale contesto gli obblighi dei produttori e dei distributori che utilizzano canali di televendita e vendita elettronica dovrebbero, per quanto possibile, avere la stessa forma ed essere attuati nello stesso modo, onde evitare che altri canali di distribuzione debbano sostenere i costi delle disposizioni della presente direttiva concernenti i RAEE di attrezzature vendute mediante televendita o vendita elettronica.

 

(10) L'ambito di applicazione della presente direttiva dovrebbe includere tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche usate dai consumatori e le apparecchiature elettriche ed elettroniche ad uso professionale. La presente direttiva si dovrebbe applicare ferma restando la normativa comunitaria in materia di sicurezza e di salute pubblica che protegge chiunque entri in contatto con i RAEE e la normativa specifica sulla gestione dei rifiuti, in particolare la direttiva 91/157/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991, relativa alle pile ed agli accumulatori contenenti sostanze pericolose.

 

(11) La direttiva 91/157/CEE dovrebbe essere sottoposta senza indugio ad una revisione, in particolare alla luce della presente direttiva.

 

(12) L'introduzione, da parte della presente direttiva, della responsabilità del produttore è uno degli strumenti per incoraggiare la progettazione e la produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche che tengano pienamente in considerazione e facilitino la riparazione, l'eventuale adeguamento al progresso tecnico, il reimpiego, smontaggio e riciclaggio.

 

(13) Al fine di garantire la salute e la sicurezza del personale del distributore incaricato del ritiro e della gestione dei RAEE, gli Stati membri, in conformità con le norme nazionali e comunitarie in materia di salute e sicurezza, dovrebbero definire le condizioni in cui i distributori possono rifiutare il ritiro.

 

(14) Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la progettazione e la produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche che tengano in considerazione e facilitino la soppressione e il recupero, in particolare il reimpiego e il riciclaggio dei RAEE, dei loro componenti e materiali. I produttori non dovrebbero impedire, mediante caratteristiche specifiche della progettazione o processi di fabbricazione, il reimpiego dei RAEE, a meno che tali caratteristiche specifiche della progettazione o processi di fabbricazione presentino vantaggi di primaria importanza, ed esempio in relazione alla protezione dell'ambiente e/o ai requisiti di sicurezza.

 

(15) La raccolta separata è la condizione preliminare per garantire il trattamento specifico e il riciclaggio dei RAEE ed è necessaria per raggiungere il livello stabilito di protezione della salute umana e dell'ambiente nella Comunità. I consumatori devono contribuire attivamente al successo di questa raccolta e dovrebbero essere incoraggiati a riportare i RAEE. A tal fine è opportuno creare idonee strutture per la restituzione dei RAEE, compresi punti pubblici di raccolta, dove i nuclei domestici possano restituire almeno gratuitamente i loro rifiuti.

 

(16) Al fine di raggiungere il livello stabilito di protezione e gli obiettivi ambientali armonizzati nella Comunità, gli Stati membri dovrebbero adottare misure appropriate al fine di ridurre al minimo lo smaltimento dei RAEE come rifiuti municipali misti e raggiungere un elevato livello di raccolta separata dei RAEE. Al fine di garantire che gli Stati membri si adoperino per istituire regimi efficienti di raccolta, essi dovrebbero essere tenuti a raggiungere un elevato livello di raccolta di RAEE dai nuclei domestici.

 

(17) Un trattamento specifico dei RAEE è indispensabile per evitare la dispersione degli inquinanti nel materiale riciclato o nel flusso di rifiuti. Esso costituisce il metodo più efficace per garantire l'osservanza del livello di protezione dell'ambiente comunitario che è stato stabilito. Gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di riciclaggio e di trattamento dovrebbero essere conformi a talune norme minime per evitare gli impatti ambientali negativi legati al trattamento dei RAEE. Si dovrebbe ricorrere alle migliori tecniche di trattamento, recupero e riciclaggio disponibili purché assicurino il rispetto della salute umana e un'elevata protezione dell'ambiente. Le migliori tecniche di trattamento, recupero e riciclaggio disponibili possono essere ulteriormente definite secondo le procedure della direttiva 96/61/CE.

 

(18) Ove opportuno, andrebbe attribuita priorità al reimpiego dei RAEE e dei loro componenti, sottoinsiemi e materiali di consumo. Laddove il reimpiego non sia preferibile, tutti i RAEE raccolti separatamente dovrebbero essere inviati al recupero, permettendo in tal modo di raggiungere un elevato livello di riciclaggio e di recupero. Occorrerebbe inoltre incoraggiare i produttori a integrare materiale riciclato nelle nuove apparecchiature.

 

(19) A livello comunitario devono essere definiti i principi di base concernenti un finanziamento della gestione dei RAEE e i regimi di finanziamento devono contribuire a livelli elevati di raccolta, nonché all'attuazione del principio della responsabilità del produttore.

 

(20) I nuclei domestici utenti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche dovrebbero poter restituire almeno gratuitamente i RAEE. I produttori dovrebbero quindi finanziare il ritiro dal punto di raccolta, il trattamento, il recupero e lo smaltimento dei RAEE. Per ottimizzare l'efficacia del concetto di responsabilità del produttore, ciascun produttore dovrebbe essere responsabile del finanziamento della gestione dei rifiuti derivanti dai suoi prodotti. Il produttore dovrebbe poter scegliere di adempiere tale obbligo o individualmente o aderendo ad un regime collettivo. Ciascun produttore, allorché immette un prodotto sul mercato, dovrebbe fornire una garanzia finanziaria per evitare che i costi della gestione dei RAEE derivanti da prodotti orfani ricadano sulla società o sugli altri produttori. Tutti i produttori esistenti dovrebbero condividere la responsabilità del finanziamento della gestione dei rifiuti storici nell'ambito di regimi di finanziamento collettivi ai quali contribuiscono proporzionalmente tutti i produttori esistenti sul mercato al momento in cui si verificano i costi. I regimi di finanziamento collettivi non dovrebbero avere l'effetto di escludere i produttori di nicchie di mercato o con ridotti volumi di produzione, gli importatori e i nuovi arrivati. Per un periodo transitorio i produttori dovrebbero poter indicare agli acquirenti, su base volontaria al momento della vendita di nuovi prodotti, i costi della raccolta, del trattamento e dello smaltimento inoffensivo per l'ambiente dei rifiuti storici. I produttori che si avvalgono di tale disposizione dovrebbero provvedere affinché i costi indicati non superino le spese effettivamente sostenute.

 

(21) L'informazione degli utenti sull'obbligo di non smaltire i RAEE come rifiuti municipali solidi misti e di raccogliere tali RAEE separatamente, nonché sui sistemi di raccolta e sul proprio ruolo nella gestione dei RAEE, è indispensabile per il successo della raccolta dei RAEE. Tale informazione comporta la marcatura appropriata delle apparecchiature elettriche ed elettroniche che potrebbero finire nei contenitori della spazzatura o in simili canali di raccolta dei rifiuti municipali.

 

(22) L'informazione sull'identificazione delle componenti e dei materiali fornita dai produttori è importante per facilitare la gestione e, in particolare, il trattamento e il recupero/riciclaggio dei RAEE.

 

(23) Gli Stati membri dovrebbero assicurare che le infrastrutture d'ispezione e monitoraggio permettano di verificare la corretta attuazione della presente direttiva, tenendo conto, fra l'altro, della raccomandazione 2001/331/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 aprile 2001, che stabilisce criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri.

 

(24) L'informazione sul peso o, se ciò non è possibile, sul numero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nella Comunità e sui tassi di raccolta, reimpiego (compreso per quanto possibile il reimpiego di interi apparecchi), recupero/riciclaggio ed esportazione dei RAEE raccolti a norma della presente direttiva è necessaria per monitorare il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva.

 

(25) Gli Stati membri possono decidere di attuare alcune disposizioni della presente direttiva mediante accordi tra le autorità competenti e i settori economici interessati, purché siano soddisfatti particolari requisiti.

 

(26) L'adeguamento al progresso scientifico e tecnico di alcune disposizioni della direttiva, l'elenco dei prodotti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I A, il trattamento selettivo per materiali e componenti di RAEE, i requisiti tecnici per lo stoccaggio e il trattamento dei RAEE e il simbolo per la marcatura delle AEE dovrebbero essere stabiliti dalla Commissione secondo una procedura di comitato.

 

(27) Le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione,

 

hanno adottato la presente direttiva:

 

 

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(4)  Pubblicata nella G.U.C.E. 19 dicembre 2000, n. C 365 E e G.U.C.E. 28 agosto 2001, n. C 240 E.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 20 aprile 2001, n. C 116.

(6)  Pubblicato nella G.U.C.E. 18 maggio 2001, n. C 148.

(7)  Parere 15 maggio 2001 del Parlamento europeo (G.U.C.E. 7 febbraio 2002, n. C 34 E), posizione comune 4 dicembre 2001 del Consiglio (G.U.C.E. 7 maggio 2002, n. C 110 E) e decisione 10 aprile 2002 del Parlamento europeo. Decisione 18 dicembre 2002 del Parlamento europeo e decisione 16 dicembre 2002 del Consiglio.

(8)  Pubblicato nella G.U.C.E. 17 maggio 1993, n. C 138.

(9)  Pubblicata nella G.U.C.E. 11 marzo 1997, n. C 76.

(10)  Pubblicata nella G.U.C.E. 2 dicembre 1996, n. C 362.

 

 

Articolo 1

Scopo.

La presente direttiva reca misure miranti in via prioritaria a prevenire la produzione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) ed inoltre al loro reimpiego, riciclaggio e ad altre forme di recupero in modo da ridurre il volume dei rifiuti da smaltire. Essa mira inoltre a migliorare il funzionamento dal punto di vista ambientale di tutti gli operatori che intervengono nel ciclo di vita delle AEE, quali ad esempio produttori, distributori e consumatori, in particolare quegli operatori direttamente collegati al trattamento dei rifiuti delle stesse.

 

 

Articolo 2

Ambito di applicazione.

1. La presente direttiva si applica alle apparecchiature elettriche ed elettroniche che rientrano nelle categorie dell'allegato I A, purché non si tratti di parti di altri tipi di apparecchiature che non rientrano nell'ambito di applicazione della presente direttiva. L'allegato I B contiene un elenco di prodotti che rientrano nelle categorie dell'allegato I A.

 

2. La presente direttiva si applica ferma restando la normativa comunitaria in materia di sicurezza e di salute e quella specifica sulla gestione dei rifiuti.

 

3. Sono escluse dall'ambito di applicazione della presente direttiva le apparecchiature connesse alla tutela degli interessi essenziali della sicurezza degli Stati membri, le armi, le munizioni e il materiale bellico, ad eccezione tuttavia dei prodotti che non siano destinati a fini specificamente militari.

 

 

Articolo 3

Definizioni.

Ai fini della presente direttiva si intende per:

 

a) «apparecchiature elettriche ed elettroniche»o «AEE»: le apparecchiature che dipendono per un corretto funzionamento da correnti elettriche o campi elettromagnetici e le apparecchiature di generazione, trasferimento e misura di queste correnti e campi appartenenti alle categorie di cui all'allegato I A e progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1 000 volt per la corrente alternata e a 1 500 volt per la corrente continua;

 

b) «rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche»o «RAEE»: le apparecchiature elettriche ed elettroniche che sono rifiuti ai sensi dell'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE, inclusi tutti i componenti, sottoinsiemi e materiali di consumo che sono parte integrante del prodotto al momento in cui si decide di eliminarlo;

 

c) «prevenzione»: le misure volte a ridurre la quantità e la nocività per l'ambiente dei RAEE e dei materiali e delle sostanze che li compongono;

 

d) «reimpiego»: le operazioni in virtù delle quali i RAEE o loro componenti sono utilizzati allo stesso scopo per il quale le apparecchiature erano state originariamente concepite, incluso l'uso continuativo delle apparecchiature o loro componenti riportati ai punti di raccolta, ai distributori, riciclatori o fabbricanti;

 

e) «riciclaggio»: il ritrattamento in un processo di produzione dei materiali di rifiuto per la loro funzione originaria o per altri fini, escluso il recupero di energia ossia l'utilizzo di rifiuti combustibili quale mezzo per produrre energia mediante incenerimento diretto con o senza altri rifiuti, ma con recupero di calore;

 

f) «recupero»: le pertinenti operazioni di cui all'allegato II B della direttiva 75/442/CEE;

 

g) «smaltimento»: le pertinenti operazioni di cui all'allegato II A della direttiva 75/442/CEE;

 

h) «trattamento»: le attività eseguite dopo la consegna dei RAEE ad un impianto di disinquinamento, smontaggio, frantumazione, recupero o preparazione per lo smaltimento e tutte le altre operazioni eseguite ai fini del recupero e/o dello smaltimento dei RAEE;

 

i) «produttore»: chi, qualunque sia la tecnica di vendita utilizzata, anche mediante tecniche di comunicazione a distanza ai sensi della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza:

 

i) fabbrica e vende apparecchiature elettriche ed elettroniche recanti il suo marchio;

 

ii) rivende sotto il suo marchio apparecchiature prodotte da altri fornitori; il rivenditore non viene considerato «produttore», se l'apparecchiatura reca il marchio del produttore a norma del punto i);

 

iii) importa o esporta apparecchiature elettriche ed elettroniche in uno Stato membro nell'ambito di un'attività professionale.

 

Chiunque fornisca finanziamenti esclusivamente sulla base o a norma di un accordo finanziario non è considerato «produttore»a meno che non agisca in qualità di produttore ai sensi delle lettere da i) a iii);

 

j) «distributore»: chi fornisce un'apparecchiatura elettrica od elettronica nell'ambito di un'attività commerciale ad una parte che la userà ;

 

k) «RAEE provenienti dai nuclei domestici»: i RAEE originati dai nuclei domestici e di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo analoghi, per natura e quantità, a quelli originati dai nuclei domestici;

 

l) «sostanze o preparati pericolosi»: le sostanze o preparati che devono essere considerati pericolosi ai sensi della direttiva 67/548/CEE del Consiglio o della direttiva 1999/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

 

m) «accordo finanziario», qualsiasi contratto o accordo di prestito, noleggio, affitto o vendita dilazionata relativo a qualsiasi apparecchiatura, indipendentemente dal fatto che i termini di tale contratto o accordo o di un contratto o accordo accessori prevedano il trasferimento o la possibilità del trasferimento della proprietà di tale apparecchiatura.

 

 

Articolo 4

Progettazione dei prodotti.

Gli Stati membri incoraggiano la progettazione e la produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche che tengano in considerazione e facilitino la soppressione e il recupero, in particolare il reimpiego e il riciclaggio dei RAEE, dei loro componenti e materiali. In tale contesto, gli Stati membri adottano misure adeguate affinché i produttori non impediscano, mediante caratteristiche specifiche della progettazione o processi di fabbricazione, il reimpiego dei RAEE, a meno che tali caratteristiche specifiche della progettazione o processi di fabbricazione presentino vantaggi di primaria importanza, ad esempio in relazione alla protezione dell'ambiente e/o ai requisiti di sicurezza.

 

 

Articolo 5

Raccolta separata.

1. Gli Stati membri adottano misure adeguate al fine di ridurre al minimo lo smaltimento dei RAEE come rifiuti municipali misti e raggiungere un elevato livello di raccolta separata dei RAEE.

 

2. Per quanto riguarda i RAEE provenienti dai nuclei domestici, gli Stati membri provvedono affinché entro il 13 agosto 2005:

 

a) siano istituiti sistemi che consentano ai detentori finali e ai distributori di rendere almeno gratuitamente tali rifiuti. Gli Stati membri assicurano la disponibilità e l'accessibilità dei centri di raccolta necessari, tenendo conto soprattutto della densità della popolazione;

 

b) quando forniscono un nuovo prodotto, i distributori si assumano la responsabilità di assicurare che tali rifiuti possano essere resi almeno gratuitamente al distributore, in ragione di uno per uno, a condizione che le apparecchiature siano di tipo equivalente e abbiano svolto le stesse funzioni dell'apparecchiatura fornita. Gli Stati membri possono derogare a tale disposizione purché garantiscano che la resa dei RAEE non diventi in tal modo più difficile per il detentore finale e purché tali sistemi restino gratuiti per il detentore finale. Gli Stati membri che si avvalgono di questa disposizione ne informano la Commissione;

 

c) fatto salvo il disposto delle lettere a) e b), i produttori siano autorizzati ad organizzare e gestire sistemi, individuali e/o collettivi, di resa dei RAEE provenienti da nuclei domestici, a condizione che siano conformi agli obiettivi della presente direttiva;

 

d) tenendo conto delle norme nazionali e comunitarie in materia di salute e sicurezza, possa essere rifiutata la resa ai sensi delle lettere a) e b) dei RAEE che presentano un rischio per la salute e la sicurezza del personale per motivi di contaminazione. Gli Stati membri concludono accordi specifici in relazione a tali RAEE.

 

Gli Stati membri possono prevedere modalità specifiche di resa dei RAEE ai sensi delle lettere a) e b) se l'apparecchiatura in questione non contiene i suoi componenti essenziali o se contiene rifiuti diversi dai RAEE.

 

3. Per quanto riguarda i RAEE diversi da quelli provenienti dai nuclei domestici, gli Stati membri assicurano, fatto salvo il disposto dell'articolo 9, che i produttori o i terzi che agiscono a nome loro provvedano alla raccolta di tali rifiuti.

 

4. Gli Stati membri provvedono affinché tutti i RAEE raccolti ai sensi dei paragrafi 1, 2 e 3 siano trasportati a centri di trattamento autorizzati a norma dell'articolo 6, a meno che essi non possano essere interamente reimpiegati. Gli Stati membri provvedono affinché il reimpiego previsto non comporti un'elusione delle prescrizioni della presente direttiva, in particolare degli articoli 6 e 7. La raccolta e il trasporto dei RAEE raccolti separatamente sono essere eseguiti in maniera da ottimizzare il reimpiego e il riciclaggio dei componenti o degli interi apparecchi che possono essere reimpiegati o riciclati.

 

5. Fatte salve le disposizioni di cui al paragrafo 1, gli Stati membri provvedono affinché entro il 31 dicembre 2008 venga raggiunto un tasso di raccolta separata di RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg in media per abitante all'anno (11).

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio, su proposta della Commissione e tenendo conto dell'esperienza tecnica ed economica acquisita negli Stati membri, determinano entro il 31 dicembre 2008 un nuovo obiettivo obbligatorio. Esso può assumere la forma di una percentuale della quantità di apparecchiature elettriche ed elettroniche vendute ai nuclei domestici negli anni precedenti.

 

 

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(11)  Vedi, per una deroga al presente comma, l'articolo 1 della decisione 2004/312/CE e l'articolo 1 della decisione 2004/486/CE.

 

 

Articolo 6

Trattamento.

1. Gli Stati membri provvedono affinché i produttori o i terzi che agiscono a nome loro istituiscano, conformemente alla normativa comunitaria, sistemi di trattamento dei RAEE ricorrendo alle migliori tecniche di trattamento, recupero e riciclaggio disponibili. I produttori possono istituire tali sistemi a titolo individuale e/o collettivo. Al fine di garantire il rispetto dell'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE, il trattamento comprende, almeno, la rimozione di tutti i fluidi e un trattamento selettivo a norma dell'allegato II della presente direttiva.

 

L'allegato II può essere modificato al fine di introdurvi altre tecnologie di trattamento che garantiscano almeno lo stesso livello di protezione della salute umana e dell'ambiente. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 14, paragrafo 3 (12).

 

Ai fini della protezione ambientale, gli Stati membri possono stabilire norme minime di qualità per il trattamento dei RAEE raccolti. Gli Stati membri che optano per tali norme di qualità ne informano la Commissione, che provvede alla loro pubblicazione.

 

2. Gli Stati membri garantiscono che gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento ottengano un'autorizzazione dalle autorità competenti, ai sensi degli articoli 9 e 10 della direttiva 75/442/CEE.

 

La deroga all'obbligo di autorizzazione di cui all'articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 75/442/CEE può essere applicata alle operazioni di recupero dei RAEE se le autorità competenti effettuano un'ispezione prima della registrazione per garantire la conformità con l'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE.

 

L'ispezione verifica quanto segue:

 

a) il tipo e le quantità dei rifiuti da trattare;

 

b) i requisiti tecnici generali da rispettare;

 

c) le misure di sicurezza da adottare.

 

L'ispezione è effettuata almeno una volta all'anno e i suoi risultati sono trasmessi dagli Stati membri alla Commissione.

 

3. Gli Stati membri provvedono a che gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento effettuino lo stoccaggio e il trattamento dei RAEE conformemente ai requisiti tecnici indicati nell'allegato III.

 

4. Gli Stati membri provvedono a che l'autorizzazione o la registrazione di cui al paragrafo 2 includa tutte le condizioni necessarie ai fini dell'osservanza dei requisiti di cui ai paragrafi 1 e 3 e del conseguimento degli obiettivi di recupero di cui all'articolo 7.

 

5. L'operazione di trattamento può anche essere effettuata al di fuori dello Stato membro rispettivo o della Comunità, a condizione che la spedizione di RAEE sia conforme al regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio.

 

I RAEE esportati dalla Comunità a norma del regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio e del regolamento (CE) n. 1420/1999 del Consiglio, del 29 aprile 1999, recante regole e procedure comuni per le spedizioni di determinati tipi di rifiuti verso taluni paesi non appartenenti all'OCSE, e del regolamento (CE) n. 1547/1999 della Commissione, del 12 luglio 1999, che stabilisce la procedura di controllo prevista dal regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio in relazione alle spedizioni di determinati tipi di rifiuti verso taluni paesi ai quali non si applica la decisione dell'OCSE C(92) 39/def., sono presi in considerazione ai fini dell'adempimento degli obblighi e del conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 7, paragrafi 1 e 2, della presente direttiva solo se l'esportatore può dimostrare che l'operazione di recupero, reimpiego e/o riciclaggio ha avuto luogo in condizioni che siano equivalenti ai requisiti della presente direttiva.

 

6. Gli Stati membri incoraggiano gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di trattamento ad introdurre sistemi certificati di gestione dell'ambiente ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS).

 

 

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(12) Comma così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/34/CE.

 

 

Articolo 7

Recupero.

1. Gli Stati membri provvedono affinché i produttori o i terzi che agiscono a nome loro istituiscano, a titolo individuale o collettivo e conformemente alla normativa comunitaria, sistemi di recupero dei RAEE oggetto di raccolta separata a norma dell'articolo 5. Gli Stati membri privilegiano il reimpiego degli apparecchi interi. Fino alla data di cui al paragrafo 4, questi non rientrano nel computo degli obiettivi di cui al paragrafo 2.

 

2. Riguardo ai RAEEE inviati per il trattamento a norma dell'articolo 6 gli Stati membri provvedono affinché i produttori raggiungano i seguenti obiettivi entro il 31 dicembre 2006:

 

a) per i RAEE che rientrano nelle categorie 1 e 10 dell'allegato IA,

 

- aumento del tasso di recupero ad un minimo dell'80% in peso medio per apparecchio, e

 

- per il reimpiego e il riciclaggio di componenti, materiali e sostanze, aumento ad un minimo del 75% in peso medio per apparecchio;

 

b) per i RAEE che rientrano nelle categorie 3 e 4 dell'allegato IA

 

- aumento del tasso di recupero ad un minimo del 75% in peso medio per apparecchio, e

 

- per il reimpiego e il riciclaggio di componenti, materiali e sostanze, aumento ad un minimo del 65% in peso medio per apparecchio;

 

c) per i RAEE che rientrano nelle categorie 2, 5, 6, 7, e 9 dell'allegato I A,

 

- aumento del tasso di recupero ad un minimo del 70% in peso medio per apparecchio, e

 

- per il reimpiego e il riciclaggio di componenti, materiali e sostanze, aumento ad un minimo del 50% in peso medio per apparecchio;

 

d) per tutti i rifiuti di lampade a discarica, un tasso di reimpiego e riciclaggio di componenti, materiali e sostanze di un minimo dell'80% in peso di queste lampade (13).

 

3. Gli Stati membri provvedono affinché, ai fini del calcolo di tali obiettivi, i produttori o i terzi che agiscono a loro nome detengano la documentazione relativa al volume dei RAEE, ai loro componenti, materiali o sostanze in entrata e in uscita dai centri di trattamento e/o in entrata nei centri di recupero o di riciclaggio.

 

Sono stabilite le modalità dettagliate necessarie per controllare l'osservanza, da parte degli Stati membri, degli obiettivi di cui al paragrafo 2, comprese le specifiche per i materiali. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, integrandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 14, paragrafo 3 (14).

 

4. Entro il 31 dicembre 2008 il Parlamento europeo e il Consiglio fissano, su proposta della Commissione, nuovi obiettivi per il recupero e il reimpiego/riciclaggio, compreso, se del caso, il reimpiego di apparecchiature intere, nonché per i prodotti rientranti nella categoria 8 dell'allegato I A. Ciò avviene tenuto conto del vantaggio ecologico delle apparecchiature elettriche ed elettroniche in uso, quale una migliore efficienza delle risorse derivante dallo sviluppo nei settori dei materiali e delle tecnologie. Si tiene conto anche dei progressi tecnici nel reimpiego, recupero e riciclaggio, nei prodotti e nei materiali, nonché dell'esperienza acquisita dagli Stati membri e dalle imprese del settore.

 

5. Gli Stati membri promuovono lo sviluppo di nuove tecnologie di recupero, riciclaggio e trattamento.

 

 

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(13)  Vedi, per una deroga al presente paragrafo, l'articolo 1 della decisione 2004/312/CE e l'articolo 1 della decisione 2004/486/CE.

(14) Comma così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/34/CE.

 

Per le modalità per sorvegliare il rispetto degli obblighi incombenti agli Stati membri di cui all'ex comma, vedi la decisione 2005/369/CE.

 

 

Articolo 8

Finanziamento relativo ai RAEE provenienti dai nuclei domestici.

1. Gli Stati membri provvedono affinché, entro il 13 agosto 2005, i produttori prevedano almeno il finanziamento della raccolta, del trattamento, del recupero e dello smaltimento ecologicamente corretto dei RAEE provenienti dai nuclei domestici depositati nei centri di raccolta istituiti a norma dell'articolo 5, paragrafo 2.

 

2. Per quanto riguarda i prodotti immessi sul mercato dopo il 13 agosto 2005 ciascun produttore è responsabile del finanziamento delle operazioni di cui al paragrafo 1 relative ai rifiuti derivanti dai suoi prodotti. Il produttore può scegliere di adempiere tale obbligo o individualmente o aderendo ad un regime collettivo.

 

Gli Stati membri provvedono affinché ciascun produttore, allorché immette un prodotto sul mercato, fornisca una garanzia che dimostra che la gestione di tutti i RAEE sarà finanziata e affinché i produttori marchino chiaramente i loro prodotti a norma dell'articolo 11, paragrafo 2. Detta garanzia assicura che le operazioni di cui al paragrafo 1 relative a tale prodotto saranno finanziate. La garanzia può assumere la forma di una partecipazione del produttore a regimi adeguati per il finanziamento della gestione dei RAEE, di un'assicurazione di riciclaggio o di un conto bancario vincolato.

 

I costi della raccolta, del trattamento e dello smaltimento inoffensivo per l'ambiente non sono indicati separatamente agli acquirenti al momento della vendita di nuovi prodotti.

 

3. Il finanziamento dei costi della gestione dei RAEE originati da prodotti immessi sul mercato anteriormente alla data di cui al paragrafo 1 («rifiuti storici») è fornito da uno o più sistemi ai quali contribuiscono proporzionalmente tutti i produttori esistenti sul mercato al momento in cui si verificano i rispettivi costi, ad esempio in proporzione della rispettiva quota di mercato per tipo di apparecchiatura.

 

Gli Stati membri provvedono affinché, per un periodo transitorio di otto anni (dieci anni per la categoria 1 dell'allegato I A) dall'entrata in vigore della presente direttiva, i produttori possano indicare agli acquirenti, al momento della vendita di nuovi prodotti, i costi della raccolta, del trattamento e dello smaltimento inoffensivo per l'ambiente. I costi indicati non superano le spese effettivamente sostenute.

 

4. Gli Stati membri provvedono affinché i produttori che forniscono apparecchiature elettriche o elettroniche servendosi della comunicazione a distanza si conformino agli obblighi del presente articolo anche per quanto riguarda le apparecchiature fornite nello Stato membro in cui risiede l'acquirente delle stesse.

 

 

Articolo 9 (15)

Finanziamento relativo ai RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici.

1. Gli Stati membri provvedono affinché entro il 13 agosto 2005 i produttori debbano prevedere il finanziamento dei costi di raccolta, trattamento, recupero e smaltimento ecologicamente corretto dei RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici e originati da prodotti immessi sul mercato dopo il 13 agosto 2005.

 

Gli Stati membri provvedono affinché entro il 13 agosto 2005, per RAEE di prodotti immessi sul mercato prima del 13 agosto 2005 ("rifiuti storici"), il finanziamento dei costi di gestione obbedisca alle modalità di cui al terzo e quarto comma.

 

Per i rifiuti storici sostituiti da nuovi prodotti equivalenti o da nuovi prodotti adibiti alla medesima funzione, il finanziamento dei costi incombe ai produttori di detti prodotti all'atto della fornitura. Gli Stati membri possono, in alternativa, disporre che gli utenti diversi dai nuclei domestici siano resi anch'essi parzialmente o totalmente responsabili di tale finanziamento.

 

Per gli altri rifiuti storici, il finanziamento dei costi incombe agli utenti diversi dai nuclei domestici.

 

2. I produttori e gli utenti diversi dai nuclei domestici possono, fatta salva la presente direttiva, concludere accordi che stabiliscano altre modalità di finanziamento.

 

 

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(15)  Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2003/108/CE.

 

 

Articolo 10

Informazione degli utenti.

1. Gli Stati membri provvedono affinché gli utenti di apparecchiature elettriche ed elettroniche nei nuclei domestici ottengano le informazioni concernenti:

 

a) l'obbligo di non smaltire i RAEE come rifiuti municipali misti e di effettuare una raccolta separata di tali RAEE;

 

b) i sistemi di ripresa e raccolta disponibili;

 

c) il proprio ruolo nel reimpiego, riciclaggio e in altre forme di recupero dei RAEE;

 

d) gli effetti potenziali sull'ambiente e la salute umana come risultato della presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;

 

e) il significato del simbolo indicato nell'allegato IV.

 

2. Gli Stati membri adottano misure adeguate ad assicurare che i consumatori contribuiscano alla raccolta dei RAEE e ad indurli ad agevolare il processo di reimpiego, trattamento e recupero.

 

3. Al fine di ridurre al minimo lo smaltimento dei RAEE come rifiuti municipali misti e di facilitarne la raccolta separata gli Stati membri provvedono affinché i produttori marchino adeguatamente con il simbolo indicato nell'allegato IV le apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005. In casi eccezionali, ove sia necessario a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, il simbolo è stampato sull'imballaggio, sulle istruzioni per l'uso e sulla garanzia dell'apparecchiatura elettrica ed elettronica.

 

4. Gli Stati membri possono esigere che i produttori e/o distributori forniscano, integralmente o parzialmente, ad esempio nelle istruzioni per l'uso o presso i punti di vendita, le informazioni di cui ai paragrafi da 1 a 3.

 

 

Articolo 11

Informazione degli impianti di trattamento.

1. Al fine di agevolare il reimpiego e il trattamento corretto e sano sotto il profilo ambientale dei RAEE, compresi la manutenzione, l'aggiornamento, la rimessa a nuovo e il riciclaggio, gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i produttori forniscano informazioni in materia di reimpiego e trattamento per ogni tipo di nuove AEE immesso sul mercato entro un anno dalla data di immissione sul mercato dell'apparecchiatura. Le informazioni segnalano, nella misura in cui ciò è necessario per i centri di reimpiego e gli impianti di trattamento e riciclaggio al fine di uniformarsi alle disposizioni della presente direttiva, i diversi componenti e materiali delle AEE, nonché il punto in cui le sostanze e i preparati pericolosi si trovano nelle AEE. Vengono messe a disposizione dei centri di reimpiego e degli impianti di trattamento e riciclaggio da parte dei produttori di AEE in forma di manuali o attraverso gli strumenti elettronici (ad esempio CD-Rom e servizi on-line).

 

2. Gli Stati membri garantiscono che i produttori di dispositivi elettrici o elettronici immessi sul mercato successivamente al 13 agosto 2005 siano chiaramente identificabili attraverso un marchio apposto sul dispositivo. Inoltre, al fine di consentire che la data in cui il dispositivo è stato immesso sul mercato venga determinata in modo inequivocabile, il marchio apposto sul dispositivo specifica che quest'ultimo è stato immesso sul mercato successivamente al 13 agosto 2005. La Commissione promuove la preparazione di norme europee a tal fine.

 

 

Articolo 12

Informazione e relazioni.

1. Gli Stati membri redigono un registro dei produttori e raccolgono informazioni, su base annua, comprese stime circostanziate, sulle quantità e sulle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul loro mercato, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate negli Stati membri, nonché sui rifiuti raccolti esportati, per peso o, se non è possibile, per numero.

 

Gli Stati membri garantiscono che i produttori che forniscono apparecchiature elettriche ed elettroniche mediante tecniche di comunicazione a distanza informino sulla conformità ai requisiti di cui all'articolo 8, paragrafo 4, e sulle quantità e categorie di tali apparecchiature immesse sul mercato dello Stato membro in cui risiede l'acquirente.

 

Gli Stati membri garantiscono che le informazioni richieste siano trasmesse alla Commissione ogni due anni entro 18 mesi dalla fine del periodo cui si riferiscono. La prima serie di informazioni verte sugli anni 2005 e 2006. Le informazioni sono fornite in un formato che è adottato entro un anno dall'entrata in vigore dalla presente direttiva, secondo la procedura di cui all'articolo 14, paragrafo 2, al fine di creare banche dati sui RAEE e sul loro trattamento.

 

Gli Stati membri provvedono che vi sia un adeguato scambio di informazioni per conformarsi al presente paragrafo, in particolare per quanto riguarda le operazioni di trattamento di cui all'articolo 6, paragrafo 5 (16).

 

2. Fatto salvo il disposto del paragrafo 1, gli Stati membri inviano alla Commissione una relazione sull'attuazione della presente direttiva ogni tre anni. La relazione è redatta sulla base di un questionario o di uno schema elaborato dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 6 della direttiva 91/692/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1991, per la standardizzazione e la razionalizzazione delle relazioni relative all'attuazione di talune direttive concernenti l'ambiente. Il questionario o lo schema è inviato agli Stati membri sei mesi prima dell'inizio del periodo contemplato dalla relazione. La relazione è messa a disposizione della Commissione entro nove mesi a decorrere dalla fine del periodo di tre anni in essa esaminato.

 

La prima relazione triennale verte sul periodo dal 2004 al 2006.

 

La Commissione pubblica una relazione sull'attuazione della presente direttiva entro nove mesi dalla ricezione delle relazioni degli Stati membri.

 

 

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(16)  Per i formati delle informazioni di cui al presente paragrafo, vedi l'articolo 1 della decisione 2005/369/CE.

 

 

Articolo 13 (17)

Adeguamento al progresso scientifico e tecnico.

Sono adottate le modifiche necessarie ad adeguare al progresso scientifico e tecnico l'articolo 7, paragrafo 3, l'allegato I B (in particolare per inserirvi eventualmente gli apparecchi di illuminazione delle abitazioni, le lampade a incandescenza ed i prodotti fotovoltaici, per esempio i pannelli solari), l'allegato II (in particolare tenendo conto di nuovi sviluppi tecnici per il trattamento dei RAEE) e gli allegati III e IV. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 14, paragrafo 3.

 

Prima della modifica degli allegati la Commissione consulta, fra l'altro, i produttori di apparecchiature elettriche e elettroniche, gli operatori che si occupano del riciclaggio e del trattamento, le organizzazioni ambientalistiche e le associazioni dei lavoratori e dei consumatori.

 

 

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(17) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/34/CE.

 

 

Articolo 14

Comitato.

1. La Commissione è assistita dal comitato istituito dall'articolo 18 della direttiva 75/442/CEE.

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa.

 

Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

 

3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano l'articolo 5 bis, paragrafi da 1 a 4, e l'articolo 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa (18).

 

 

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(18) Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/34/CE.

 

 

Articolo 15

Sanzioni.

Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della presente direttiva. Le sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive.

 

 

Articolo 16

Ispezione e monitoraggio.

Gli Stati membri provvedono affinché l'ispezione e il monitoraggio consentano di verificare la corretta attuazione della presente direttiva.

 

 

Articolo 17

Attuazione.

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 13 agosto 2004. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative adottate nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

3. Purché i risultati perseguiti dalla presente direttiva siano raggiunti, gli Stati membri possono recepire le disposizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 6, all'articolo 10, paragrafo 1 e all'articolo 11 mediante accordi tra le autorità competenti e i settori economici interessati. Tali accordi devono soddisfare i seguenti requisiti:

 

a) avere forza vincolante;

 

b) specificare gli obiettivi e le corrispondenti scadenze;

 

c) essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale nazionale o in un documento ufficiale parimenti accessibile al pubblico e comunicati alla Commissione;

 

d) i risultati conseguiti sono periodicamente controllati, riferiti alle competenti autorità e alla Commissione e resi accessibili al pubblico alle condizioni stabilite dagli accordi;

 

e) le autorità competenti provvedono affinché siano esaminati i progressi compiuti nel quadro degli accordi;

 

f) in caso di inosservanza degli accordi, gli Stati membri devono applicare le pertinenti disposizioni della presente direttiva attraverso misure legislative, regolamentari o amministrative.

 

4. a) La Grecia e l'Irlanda che, complessivamente a causa di:

 

-carenze di infrastrutture di riciclaggio,

 

-circostanze geografiche come la presenza di un gran numero di piccole isole o di zone rurali e di montagna,

 

-bassa densità di popolazione, e

 

-basso livello di consumo di AEE,

 

non sono in grado di raggiungere l'obiettivo di raccolta di cui all'articolo 5, paragrafo 5, primo comma, o gli obiettivi di recupero di cui all'articolo 7, paragrafo 2, e che, a norma dell'articolo 5, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, possono chiedere una proroga del termine di cui a detto articolo, possono prorogare le scadenze previste negli articoli 5, paragrafo 5 e 7, paragrafo 2, della presente direttiva, fino a ventiquattro mesi.

 

Questi Stati membri informano la Commissione delle loro decisioni al più tardi all'atto del recepimento della presente direttiva.

 

b) La Commissione informa gli altri Stati membri e il Parlamento europeo di tali decisioni.

 

5. Entro cinque anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione basata sull'esperienza fatta con l'applicazione della presente direttiva, in particolare per quanto riguarda la raccolta separata, il trattamento, il recupero e i sistemi di finanziamento. Inoltre, la relazione tiene conto dello sviluppo della tecnologia, dell'esperienza acquisita, dei requisiti in materia di ambiente e del funzionamento del mercato interno. Se del caso, la relazione è corredata di proposte di revisione delle pertinenti disposizioni della presente direttiva.

 

 

Articolo 18

Entrata in vigore.

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

Articolo 19

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

 

Fatto a Bruxelles, addì 27 gennaio 2003.

 

 

Per il Parlamento europeo

Il Presidente

P. Cox

 

 

Per il Consiglio

Il Presidente

G. Drys

 

 

 

Categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche coperte dalla presente direttiva

 

 

1. Grandi elettrodomestici

 

2. Piccoli elettrodomestici

 

3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni

 

4. Apparecchiature di consumo

 

5. Apparecchiature di illuminazione

 

6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)

 

7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero

 

8. Dispositivi medicali (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati e infettati)

 

9. Strumenti di monitoraggio e di controllo

 

10. Distributori automatici

 

 

 

 

Elenco di prodotti che devono essere presi in considerazione ai fini della presente direttiva e che rientrano nelle categorie dell'allegato I A

 

 

1. Grandi elettrodomestici

 

Grandi apparecchi di refrigerazione

 

Frigoriferi

 

Congelatori

 

Altri grandi elettrodomestici utilizzati per la refrigerazione, la conservazione e il deposito di alimenti

 

Lavatrici

 

Asciugatrici

 

Lavastoviglie

 

Apparecchi di cottura

 

Stufe elettriche

 

Piastre riscaldanti elettriche

 

Forni a microonde

 

Altri grandi elettrodomestici utilizzati per la cottura e l'ulteriore trasformazione di alimenti

 

Apparecchi elettrici di riscaldamento

 

Radiatori elettrici

 

Altri grandi elettrodomestici utilizzati per riscaldare stanze, letti e mobili per sedersi

 

Ventilatori elettrici

 

Apparecchi per il condizionamento

 

Altre apparecchiature per la ventilazione, l'estrazione d'aria e il condizionamento

 

 

2. Piccoli elettrodomestici

 

Aspirapolvere

 

Scope meccaniche

 

Altre apparecchiature per la pulizia

 

Macchine per cucire, macchine per maglieria, macchine tessitrici e per altre lavorazioni dei tessili

 

Ferri da stiro e altre apparecchiature per stirare, pressare e trattare ulteriormente gli indumenti

 

Tostapane

 

Friggitrici

 

Macinini elettrici, macinacaffé elettrici e apparecchiature per aprire o sigillare contenitori o pacchetti

 

Coltelli elettrici

 

Apparecchi tagliacapelli, asciugacapelli, spazzolini da denti elettrici, rasoi elettrici, apparecchi per massaggi e altre cure del corpo

 

Sveglie, orologi da polso o da tasca e apparecchiature per misurare, indicare e registrare il tempo

 

Bilance

 

 

3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni

 

Trattamento dati centralizzato:

 

Mainframe

 

Minicomputer

 

Stampanti

 

Informatica individuale:

 

Personal computer (unità centrale, mouse, schermo e tastiera inclusi)

 

Computer portatili (unità centrale, mouse, schermo e tastiera inclusi)

 

Notebook

 

Agende elettroniche

 

Stampanti

 

Copiatrici

 

Macchine da scrivere elettriche ed elettroniche

 

Calcolatrici tascabili e da tavolo

 

e altri prodotti e apparecchiature per raccogliere, memorizzare, elaborare, presentare o comunicare informazioni con mezzi elettronici

 

Terminali e sistemi utenti

 

Fax

 

Telex

 

Telefoni

 

Telefoni pubblici a pagamento

 

Telefoni senza filo

 

Telefoni cellulari

 

Segreterie telefoniche

 

e altri prodotti o apparecchiature per trasmettere suoni, immagini o altre informazioni mediante la telecomunicazione

 

 

4. Apparecchiature di consumo

 

Apparecchi radio

 

Apparecchi televisivi

 

Videocamere

 

Videoregistratori

 

Registratori hi-fi

 

Amplificatori audio

 

Strumenti musicali

 

Altri prodotti o apparecchiature per registrare o riprodurre suoni o immagini, inclusi segnali o altre tecnologie per la distribuzione di suoni e immagini diverse dalla telecomunicazione

 

 

5. Apparecchiature di illuminazione

 

Lampadari per lampade fluorescenti ad eccezione dei lampadari delle abitazioni

 

Tubi fluorescenti

 

Lampade fluorescenti compatte

 

Lampade a scarica ad alta densità, comprese lampade a vapori di sodio ad alta pressione e lampade ad alogenuro metallico

 

Lampade a vapori di sodio a bassa pressione

 

Altre apparecchiature di illuminazione per diffondere o controllare la luce ad eccezione delle lampade a incandescenza

 

 

6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)

 

Trapani

 

Seghe

 

Macchine per cucire

 

Apparecchiature per tornire, fresare, carteggiare, smerigliare, segare, tagliare, tranciare, trapanare, perforare, punzonare, piegare, curvare o per procedimenti analoghi su legno, metallo o altri materiali

 

Strumenti per rivettare, inchiodare o avvitare o rimuovere rivetti, chiodi e viti o impiego analogo

 

Strumenti per saldare, brasare o impiego analogo

 

Apparecchiature per spruzzare, spandere, disperdere o per altro trattamento di sostanze liquide o gassose con altro mezzo

 

Attrezzi tagliaerba o per altre attività di giardinaggio

 

 

7. Giocattoli e apparecchiature per il tempo libero e lo sport

 

Treni elettrici o automobiline da corsa

 

Console di videogiochi portatili

 

Videogiochi

 

Computer per ciclismo, immersioni subacquee, corsa, canottaggio, ecc.

 

Apparecchiature sportive con componenti elettrici o elettronici

 

Macchine a gettoni

 

 

8. Dispositivi medicali (ad eccezione di tutti i prodot ti impiantati e infettati)

 

Apparecchi di radioterapia

 

Cardiologia

 

Dialisi

 

Ventilatori polmonari

 

Medicina nucleare

 

Apparecchiature di laboratorio per diagnosi in vitro

 

Analizzatori

 

Congelatori

 

Test di fecondazione

 

Altri apparecchi per depistare, prevenire, monitorare, curare e alleviare malattie, ferite o disabilità

 

 

9. Strumenti di monitoraggio e di controllo

 

Rivelatori di fumo

 

Regolatori di calore

 

Termostati

 

Apparecchi di misurazione, pesatura o regolazione ad uso domestico o di laboratorio

 

Altri strumenti di monitoraggio e controllo usati in impianti industriali (ad esempio in pannelli di controllo)

 

 

10. Distributori automatici

 

Distributori automatici di bevande calde

 

Distributori automatici di bevande calde/fredde, bottiglie/lattine

 

Distributori automatici di prodotti solidi

 

Distributori automatici di denaro contante

 

Tutti i distributori automatici di qualsiasi tipo di prodotto

 

 

Trattamento selettivo per materiali e componenti di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche di cui all'articolo 6, paragrafo 1

 

 

1. Come minimo si devono rimuovere da tutti i RAEE raccolti separatamente le sostanze, i preparati e i componenti seguenti:

 

- Condensatori contenenti difenili policlorurati (PCB), ai sensi della direttiva 96/59/CE del Consiglio, del 16 settembre 1996, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (PCB/PCT)

 

- Componenti contenenti mercurio, come gli interruttori o i retroilluminatori

 

- Pile

 

- Circuiti stampati dei telefoni mobili in generale e di altri dispositivi se la superficie del circuito stampato è superiore a 10 cm²

 

- Cartucce di toner, liquido e in polvere, e di toner di colore

 

- Plastica contenente ritardanti di fiamma bromurati

 

- Rifiuti di amianto e componenti che contengono amianto

 

- Tubi catodici

 

- Clorofluorocarburi (CFC), idroclorofluorocarburi (HCFC), idrofluorocarburi (HFC) o idrocarburi (HC)

 

- Lampade a scarica

 

- Schermi a cristalli liquidi (se del caso con il rivestimento) di superficie superiore a 100 cm² e tutti quelli retroilluminati mediante lampade a scarica

 

- Cavi elettrici esterni

 

- Componenti contenenti fibre ceramiche refrattarie descritte nella direttiva 97/69/CE della Commissione, del 5 dicembre 1997, recante adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE del Consiglio relativa alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose

 

- Componenti contenenti sostanze radioattive, fatta eccezione per i componenti che sono al di sotto delle soglie di esenzione previste dall'articolo 3 e dall'allegato I della direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, del 13 maggio 1996, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti

 

- Condensatori elettrolitici contenenti sostanze potenzialmente pericolose (altezza > 25mm, diametro > 25 mm o proporzionalmente simili in volume).

 

Queste sostanze, preparati e componenti sono eliminati o recuperati a norma dell'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE del Consiglio.

 

2. I seguenti componenti dei RAEE raccolti separatamente devono essere trattati come segue:

 

- Tubi catodici: rimuovere il rivestimento fluorescente

 

- Apparecchiature contenenti gas che riducono l'ozono o che hanno un potenziale di riscaldamento globale (GWP) superiore a 15, presenti ad esempio nella schiuma e nei circuiti di refrigerazione: i gas devono essere estratti e trattati in maniera adeguata. I gas che riducono l'ozono devono essere trattati ai sensi del regolamento (CE) n. 2037/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, sulle sostanze che riducono lo strato di ozono

 

- Lampade a scarica: rimuovere il mercurio.

 

3. Tenuto conto di considerazioni di ordine ambientale e dell'opportunità del reimpiego e del riciclaggio, i paragrafi 1 e 2 sono applicati in modo da non impedire il reimpiego e il riciclaggio ecologicamente corretto dei componenti o degli interi apparecchi.

 

4. Deliberando secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all'articolo 14, paragrafo 3, la Commissione valuta in via prioritaria se le indicazioni concernenti i circuiti stampati dei telefoni mobili e gli schermi a cristalli liquidi debbano essere modificate (19).

 

 

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(19) Punto così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/34/CE.

 

 

Requisiti tecnici di cui all'articolo 6, paragrafo 3

 

1. Siti di stoccaggio anche temporaneo dei RAEE prima del trattamento (fatti salvi i requisiti della direttiva 1999/31/CE del Consiglio).

 

- Superfici impermeabili per determinate zone con centri di raccolta degli spandimenti e, ove opportuno, decantatori e detersivi-sgrassanti

 

- Copertura resistente alle intemperie per determinate zone.

 

2. Siti di trattamento dei RAEE.

 

- Bilance per misurare il peso dei rifiuti trattati

 

- Superfici impermeabili e copertura resistente alle intemperie per determinate zone con centri di raccolta degli spandimenti e, ove opportuno, decantatori e detersivi-sgrassanti

 

- Stoccaggio adeguato per i pezzi smontati

 

- Container adeguati per lo stoccaggio di pile, condensatori contenenti PCB/PCT e altri rifiuti pericolosi come i residui radioattivi

 

- Apparecchiature per il trattamento dell'acqua, in conformità della regolamentazione in materia sanitaria e ambientale.

 

 

Simbolo per la marcatura delle apparecchiature elettriche ed elettroniche

 

Il simbolo che indica la raccolta separata delle apparecchiature elettriche ed elettroniche è un contenitore di spazzatura mobile barrato come indicato sotto: il simbolo è stampato in modo visibile, leggibile e indelebile.

 

 

 

relativa all'

 

Articolo 9

Finanziamento relativo ai RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici

 

 

«Notando che sono state espresse preoccupazioni in merito alle eventuali implicazioni finanziarie dell'attuale formulazione dell'articolo 9 per i produttori, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione dichiarano la loro intenzione comune di esaminare tali questioni appena possibile. Qualora tali preoccupazioni si dimostrino fondate, la Commissione afferma la propria intenzione di presentare una proposta di modifica dell'articolo 9 della direttiva. Il Parlamento e il Consiglio si impegnano a trattare prontamente tale proposta secondo le loro procedure interne.»

 

 

 


 

D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209.
Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso.
(artt. 1, 5 e 10)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 7 agosto 2003, n. 182, S.O.

(2)  Vedi, anche, l'art. 1, comma 5, L. 17 agosto 2005, n. 168 e il D.M. 2 maggio 2006.

(3)  Con riferimento al presente provvedimento è stata emanata la seguente istruzione:

- Ministero delle infrastrutture dei trasporti: Circ. 1 ottobre 2003, n. 235/DTT.

 

 

Art. 1.

Campo di applicazione.

1. Il presente decreto si applica ai veicoli, ai veicoli fuori uso, come definiti all'articolo 3, comma 1, lettera b), e ai relativi componenti e materiali, a prescindere dal modo in cui il veicolo è stato mantenuto o riparato durante il suo ciclo di vita e dal fatto che esso è dotato di componenti forniti dal produttore o di altri componenti il cui montaggio, come ricambio, è conforme alle norme comunitarie o nazionali in materia.

 

2. Ai veicoli a motore a tre ruote si applicano solo le disposizioni di cui all'articolo 5, commi 1 e 3, all'articolo 5, comma 15, e all'articolo 6 (4).

 

3. Ai veicoli speciali, come definiti dall'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), secondo trattino, della direttiva 70/156/CEE, e successive modificazioni, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 7 sul reimpiego e sul recupero.

 

4. È fatta salva la normativa vigente in materia, in particolare, di sicurezza e di controllo delle emissioni atmosferiche e sonore, nonché di protezione del suolo e delle acque.

 

 

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(4)  Comma così modificato prima dall'art. 1, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149 e poi dall'art. 7, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(omissis)

Art. 5.

Raccolta.

1. Il veicolo destinato alla demolizione è consegnato dal detentore ad un centro di raccolta ovvero, nel caso in cui il detentore intende cedere il predetto veicolo per acquistarne un altro, può essere consegnato al concessionario o al gestore della succursale della casa costruttrice o dell'automercato, per la successiva consegna ad un centro di raccolta, qualora detto concessionario o gestore intenda accettarne la consegna e conseguentemente rilasciare il certificato di rottamazione di cui al comma 6 (9).

 

2. A partire dalle date indicate all'articolo 15, comma 5, la consegna di un veicolo fuori uso al centro di raccolta, effettuata secondo le disposizioni di cui al comma 1, avviene senza che il detentore incorra in spese a causa del valore di mercato nullo o negativo del veicolo, fatti salvi i costi documentati relativi alla cancellazione del veicolo dal Pubblico registro automobilistico, di seguito denominato: «PRA», e quelli relativi al trasporto dello stesso veicolo al centro di raccolta ovvero alla concessionaria o alla succursale della casa costruttrice o all'automercato.

 

3. I produttori di veicoli provvedono a ritirare i veicoli fuori uso alle condizioni di cui al comma 2, e, ove sia tecnicamente fattibile, i pezzi usati allo stato di rifiuto, derivanti dalle riparazioni dei veicoli, ad eccezione di quelli per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta, organizzando, direttamente o indirettamente, su base individuale o collettiva, una rete di centri di raccolta opportunamente distribuiti sul territorio nazionale (10).

 

4. Nel caso in cui il produttore non ottempera a quanto stabilito al comma 3 sostiene gli eventuali costi per il ritiro ed il trattamento del veicolo fuori uso (11).

 

5. Le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 non si applicano se il veicolo non contiene i suoi componenti essenziali, quali il motore, parti della carrozzeria, il catalizzatore e le centraline elettroniche, se presenti in origine, o se contiene rifiuti aggiunti.

 

6. Al momento della consegna del veicolo destinato alla demolizione, il concessionario o il gestore della succursale della casa costruttrice o dell'automercato rilascia al detentore, in nome e per conto del centro di raccolta che riceve il veicolo, apposito certificato di rottamazione conforme ai requisiti di cui all'allegato IV, completato della descrizione dello stato del veicolo consegnato nonché dell'impegno a provvedere alla cancellazione dal P.R.A. Il concessionario o il gestore della succursale della casa costruttrice o dell'automercato effettua, con le modalità di cui al comma 8, detta cancellazione prima della consegna del veicolo al centro di raccolta e fornisce allo stesso centro gli estremi della ricevuta dell'avvenuta denuncia e consegna delle targhe, del certificato di proprietà e della carta di circolazione relativi al veicolo (12).

 

7. Nel caso in cui il detentore consegni ad un centro di raccolta il veicolo destinato alla demolizione, il titolare del centro rilascia al detentore del veicolo, apposito certificato di rottamazione conforme ai requisiti di cui all'allegato IV, completato dalla descrizione dello stato del veicolo consegnato, nonché dall'impegno a provvedere alla cancellazione dal PRA e al trattamento del veicolo (13).

 

8. La cancellazione dal PRA del veicolo fuori uso avviene esclusivamente a cura del titolare del centro di raccolta ovvero del concessionario o del gestore della succursale della casa costruttrice o dell'automercato, senza oneri di agenzia a carico del detentore dello stesso veicolo. A tale fine, entro trenta giorni naturali e consecutivi dalla consegna del veicolo ed emissione del certificato di rottamazione, detto concessionario o gestore o titolare restituisce il certificato di proprietà, la carta di circolazione e le targhe relativi al veicolo fuori uso, con le procedure stabilite dal decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 2000, n. 358. Il veicolo fuori uso può essere cancellato da P.R.A. solo previa presentazione della copia del certificato di rottamazione (14).

 

9. Il titolare del centro di raccolta procede al trattamento del veicolo fuori uso dopo la cancellazione dal PRA dello stesso veicolo effettuata ai sensi del comma 8.

 

10. Gli estremi della ricevuta dell'avvenuta denuncia e consegna delle targhe e dei documenti relativi al veicolo fuori uso sono annotati dal titolare del centro di raccolta, dal concessionario o dal gestore della casa costruttrice o dell'automercato sull'apposito registro di entrata e di uscita dei veicoli, da tenersi in conformità alle disposizioni emanate ai sensi del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (15).

 

11. Agli stessi obblighi di cui ai commi 9 e 10 è soggetto il titolare del centro di raccolta o di altro luogo di custodia dei veicoli rimossi ai sensi dell'articolo 159 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nel caso di demolizione ai sensi dell'articolo 215, comma 4, del citato decreto legislativo n. 285 del 1992.

 

12. Il rilascio del certificato di rottamazione di cui ai commi 6 e 7 libera il detentore del veicolo fuori uso dalla responsabilità penale, civile e amministrativa connesse alla proprietà e alla corretta gestione del veicolo stesso (16).

 

13. I certificati di rottamazione emessi in altri Stati membri rispondenti ai requisiti minimi fissati dalla Commissione europea sono riconosciuti ed accettati sul territorio nazionale.

 

14. I veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e quelli acquisiti per occupazione, ai sensi degli articoli 927, 929 e 923 del codice civile, sono conferiti ai centri di raccolta di cui al comma 1 nei casi e con le modalità stabiliti in conformità alle disposizioni emanate ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

 

15. Le imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, devono consegnare, ove ciò sia tecnicamente fattibile, i pezzi usati allo stato di rifiuto, derivanti dalle riparazioni dei veicoli, ad eccezione di quelle per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta, ad un centro di raccolta di cui all'articolo 5, comma 3 (17) (18).

 

 

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(9)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(10)  Comma prima sostituito dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149 e poi così modificato dall'art. 7, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(11)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(12)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(13)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(14)  Comma così sostituito dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(15)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(16)  Comma così sostituito dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

(17)  Comma prima sostituito dall'art. 3, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149 e poi così modificato dall'art. 7, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(18)  Vedi, anche, il comma 224 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(omissis)

Art. 10.

Informazioni per la demolizione e codifica.

1. Il produttore del veicolo, entro sei mesi dall'immissione sul mercato dello stesso veicolo, mette a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati le informazioni per la demolizione, sotto forma di manuale o su supporto informatico, richieste dai gestori degli impianti di trattamento autorizzati. Tali informazioni devono consentire di identificare i diversi componenti e materiali del veicolo e l'ubicazione di tutte le sostanze pericolose in esso presenti (26).

 

2. [Fermo restando il rispetto delle norme vigenti in materia di riservatezza commerciale ed industriale, il produttore dei componenti del veicolo mette a disposizione dei centri di raccolta adeguate informazioni sulla demolizione, sullo stoccaggio e sulla verifica dei componenti che possono essere reimpiegati] (27).

 

3. Il produttore del veicolo, in accordo con il produttore di materiali e di componenti, utilizza, per detti materiali e componenti, le norme di codifica previste dalla decisione 2003/138/CE.

 

 

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(26)  Comma così modificato prima dall'art. 7, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149 e poi dall'art. 7, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(27)  Comma soppresso dall'art. 7, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 149.

 


 

D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 153.
Attuazione della L. 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima.
(art. 6)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 23 giugno 2004, n. 145.

 

(omissis)

Art. 6.

Tutela di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima.

1. Sono vietati lo sbarco, il trasporto, il trasbordo e la commercializzazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali applicabili.

 

2. Non è sanzionabile la cattura accidentale o accessoria degli esemplari di cui al comma 1, realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali, autorizzati dalla licenza di pesca. Gli esemplari eventualmente catturati di dimensioni inferiori alla taglia minima devono essere rigettati in mare.

 

3. La commercializzazione e la somministrazione di esemplari di specie di cui al comma 1 ovvero di cui è vietata la cattura è sanzionata con la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni (2).

 

 

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(2) Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

(omissis)


 

D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 154.
Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38.
(art. 11)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 24 giugno 2004, n. 146.

 

(omissis)

Art. 11.

Statistiche della pesca e dell'acquacoltura.

1. Il Ministero delle politiche agricole e forestali, Direzione generale per la pesca e l'acquacoltura, nell'àmbito dei propri compiti istituzionali e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, sentiti l'istituto nazionale di statistica (ISTAT) e gli organismi nazionali e regionali competenti in materia di statistiche della pesca e dell'acquacoltura, facenti parte del sistema statistico nazionale (SISTAN), predispone, tenendo conto delle esigenze informative istituzionali comunitarie, nazionali e regionali, i programmi di produzione dei dati statistici riguardanti il settore della pesca e dell'acquacoltura e le relative procedure di rilevazione, e ne cura la divulgazione, assicurando in particolare la fruizione delle informazioni acquisite a regioni e province autonome.

 

2. L'imprenditore ittico di cui all'articolo 6, titolare di licenza di pesca in qualità di armatore, è tenuto a presentare, nei tempi e nei modi previsti dalle pertinenti norme comunitarie e nazionali, le dichiarazioni concernenti le catture e gli sbarchi.

 

2-bis. L'imprenditore ittico che viola le disposizioni di cui al comma 2 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 3.000 euro. Tale sanzione è triplicata nel caso di violazione di dichiarazione concernente le catture e gli sbarchi di specie ittiche tutelate dai piani di protezione degli stock ittici o pescate fuori dalle acque mediterranee (7).

 

 

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(7) Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 8, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 


 

L. 4 febbraio 2005, n. 11.
Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.
(art. 10)

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 15 febbraio 2005, n. 37.

 

(omissis)

Art. 10.

Misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario.

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie può proporre al Consiglio dei Ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali delle Comunità europee e dell'Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso.

 

2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti di cui al comma 1.

 

3. Nei casi di cui al comma 1, qualora gli obblighi di adeguamento ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario riguardino materie di competenza legislativa o amministrativa delle regioni e delle province autonome, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie informa gli enti interessati assegnando un termine per provvedere e, ove necessario, chiede che la questione venga sottoposta all'esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere. In caso di mancato tempestivo adeguamento da parte dei suddetti enti, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche comunitarie propone al Consiglio dei Ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto previsto dagli articoli 11, comma 8, 13, comma 2, e 16, comma 3, della presente legge e dalle altre disposizioni legislative in materia.

 

4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto degli altri princìpi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l'anno di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della normativa (5).

 

5. La disposizione di cui al comma 4 si applica, altresì, all'emanazione di testi unici per il riordino e 1'armonizzazione di normative di settore nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome.

 

 

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(5)  Comma così sostituito dall'art. 2, L. 25 gennaio 2006, n. 29 - Legge comunitaria 2005.

 

 


 

D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151.
Attuazione della direttiva 2002/95/CE, della direttiva 2002/96/CE e della direttiva 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti.

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 luglio 2005, n. 175, S.O.

(2) Vedi, anche, l'art. 16, D.M. 25 settembre 2007, n. 185.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

 

VISTA la legge 31 ottobre 2003, n. 306, ed in particolare l'allegato 8;

 

VISTA la direttiva 2002/95/CE del 27 gennaio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;

 

VISTA la direttiva 2002/96/CE del 27 gennaio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);

 

VISTA la direttiva 2003/108/CE dell'8 dicembre 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche;

 

VISTA la decisione 249 dell'11 marzo 2004 della Commissione;

 

VISTO il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni;

 

VISTO il decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, e successive modificazioni;

 

VISTO il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 del Ministro dell'ambiente, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998;

 

VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 13 maggio 2005;

 

ACQUISITO il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, reso nella seduta del 30 giugno 2005;

 

ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

 

VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 luglio 2005;

 

SULLA PROPOSTA del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze, delle attività produttive, della salute e per gli affari regionali;

 

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Art. 1.

Finalità.

1. Il presente decreto stabilisce misure e procedure finalizzate a:

 

a) prevenire la produzione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di seguito denominati RAEE;

 

 

b) promuovere il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei RAEE, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento;

 

 

c) migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita di dette apparecchiature, quali, ad esempio, i produttori, i distributori, i consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei RAEE;

 

 

d) ridurre l'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.

 

 

Art. 2.

Ambito di applicazione.

1. Il presente decreto si applica alle apparecchiature elettriche ed elettroniche rientranti nelle categorie individuate nell'allegato 1A, purché non siano parti di tipi di apparecchiature che non ricadono nell'ambito di applicazione del presente decreto. L'allegato 1B individua, a titolo esemplificativo, un elenco di prodotti che rientrano nelle categorie dell'allegato 1A.

 

2. Sono fatte salve le disposizioni vigenti in materia di sicurezza dei prodotti, di tutela della salute dei lavoratori e di gestione dei rifiuti.

 

3. Sono escluse dall'ambito di applicazione del presente decreto le apparecchiature connesse alla tutela di interessi essenziali della sicurezza nazionale, le armi, le munizioni ed il materiale bellico, purché destinati a fini specificatamente militari.

 

Art. 3.

Definizioni.

l. Ai fini del presente decreto si intende per:

 

a) «apparecchiature elettriche ed elettroniche» o «AEE»: le apparecchiature che dipendono, per un corretto funzionamento, da correnti elettriche o da campi elettromagnetici e le apparecchiature di generazione, di trasferimento e di misura di questi campi e correnti, appartenenti alle categorie di cui all'allegato 1A e progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1000 volt per la corrente alternata e a 1500 volt per la corrente continua;

 

b) «rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche» o «RAEE»: le apparecchiature elettriche ed elettroniche che sono considerate rifiuti ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: «decreto legislativo n. 22 del 1999», inclusi tutti i componenti, i sottoinsiemi ed i materiali di consumo che sono parte integrante del prodotto nel momento in cui si assume la decisione di disfarsene;

 

c) [«apparecchiature elettriche ed elettroniche usate»: le apparecchiature di cui alla lettera a) che il detentore consegna al distributore al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura di tipo equivalente, affinché quest'ultimo possa valutare, prima di disfarsene, il possibile reimpiego ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b)] (3);

 

d) «prevenzione»: le misure volte a ridurre la quantità e la nocività per l'ambiente dei RAEE e dei materiali e delle sostanze che li compongono;

 

e) «reimpiego»: le operazioni per le quali i RAEE o i loro componenti sono utilizzati allo stesso scopo per il quale le apparecchiature erano state originariamente concepite, compresa l'utilizzazione di dette apparecchiature o di loro componenti successivamente alla loro consegna presso i centri di raccolta, ai distributori, ai riciclatori o ai fabbricanti;

 

f) «riciclaggio»: il ritrattamento in un processo produttivo dei materiali di rifiuto per la loro funzione originaria o per altri fini, escluso il recupero di energia;

 

g) «recupero di energia»: l'utilizzo di rifiuti combustibili quale mezzo per produrre energia mediante incenerimento diretto con o senza altri rifiuti, ma con recupero del calore;

 

h) «recupero»: le operazioni indicate all'allegato C del decreto legislativo n. 22 del 1997;

 

i) «smaltimento»: le operazioni indicate all'allegato B del decreto legislativo n. 22 del 1997;

 

l) «trattamento»: le attività eseguite dopo la consegna del RAEE ad un impianto, autorizzato ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 22 del 1997 o che ha effettuato la comunicazione di cui agli articoli 31 e 33 del medesimo decreto, in cui si eseguono tutte o alcune delle seguenti attività: eliminazione degli inquinanti, disinquinamento, smontaggio, frantumazione, recupero o preparazione per lo smaltimento e tutte le altre operazioni eseguite ai fini del recupero o dello smaltimento del RAEE;

 

m) «produttore»: chiunque, a prescindere dalla tecnica di vendita utilizzata, compresi i mezzi di comunicazione a distanza di cui al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, e successive modificazioni:

 

1) fabbrica e vende apparecchiature elettriche ed elettroniche recanti il suo marchio;

 

2) rivende con il proprio marchio apparecchiature prodotte da altri fornitori; il rivenditore non è considerato «produttore» se l'apparecchiatura reca il marchio del produttore a norma del punto 1;

 

3) importa o immette per primo, nel territorio nazionale, apparecchiature elettriche ed elettroniche nel ambito di un'attività professionale e ne opera la commercializzazione, anche mediante vendita a distanza;

 

4) chi produce apparecchiature elettriche ed elettroniche destinate esclusivamente all'esportazione è produttore solo ai fini degli articoli 4, 13 e 14. Ai fini del presente decreto non è considerato produttore chi fornisce finanziamenti esclusivamente sulla base o a norma di un accordo finanziario, a meno che non agisca in qualità di produttore ai sensi dei punti 1), 2) e 3);

 

n) «distributore»: soggetto iscritto nel registro delle imprese di cui alla legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, che, nell'ambito di un'attività commerciale, fornisce un'apparecchiatura elettrica od elettronica ad un utilizzatore ed adempie agli obblighi di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b);

 

o) «RAEE provenienti dai nuclei domestici»: i RAEE originati dai nuclei domestici e i RAEE di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo analoghi, per natura e per quantità, a quelli originati dai nuclei domestici;

 

p) «RAEE professionali»: i RAEE prodotti dalle attività amministrative ed economiche, diversi da quelli di cui alla lettera o);

 

q) «RAEE storici»: i RAEE derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005;

 

r) «sostanze o preparati pericolosi»: le sostanze o i preparati considerati pericolosi ai sensi della normativa vigente;

 

s) «accordo finanziario»: qualsiasi contratto o accordo di prestito, di noleggio, di affitto o di vendita dilazionata relativo a qualsiasi apparecchiatura, indipendentemente dal fatto che i termini di tale contratto o accordo o di un contratto o accordo accessori prevedano il trasferimento o la possibilità di trasferimento della proprietà di tale apparecchiatura;

 

t) «centri di raccolta di RAEE»: spazi, locali e strutture per la raccolta separata ed il deposito temporaneo di RAEE predisposti dalla pubblica amministrazione o, su base volontaria, da privati;

 

u) «raccolta separata»: le operazioni di conferimento e di raggruppamento in frazioni merceologicamente omogenee dei RAEE presso i centri di raccolta.

 

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(3) Lettera soppressa dall'art. 6, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 

 

Art. 4.

Progettazione dei prodotti.

1. Al fine di promuovere il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei RAEE, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministero delle attività produttive, adotta misure dirette a favorire ed incentivare, da parte dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, l'impiego di modalità di progettazione e di fabbricazione di dette apparecchiature che agevolano lo smontaggio, il recupero e, in particolare, il reimpiego ed il riciclaggio dei RAEE e dei loro componenti e materiali, salvo nei casi in cui i diversi processi di fabbricazione utilizzati o i prodotti ottenuti presentino altri vantaggi di primaria importanza, quali un minor impatto ambientale in fase produttiva o di utilizzo, un minor consumo energetico o superiori livelli di sicurezza.

 

2. Per le finalità di cui al comma 1, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministeri delle attività produttive e dell'economia e delle finanze, individuano e promuovono politiche di sostegno e di incentivazione, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio previsti per gli scopi di cui al comma 1.

 

 

Art. 5.

Divieto di utilizzo di determinate sostanze.

1. Fatto salvo quanto stabilito all'allegato 5, a decorrere dal 1° luglio 2006, è vietato immettere sul mercato apparecchiature elettriche ed elettroniche nuove rientranti nelle categorie individuate nell'allegato 1A, nonché sorgenti luminose ad incandescenza, contenenti piombo, mercurio, cadmio, cromo esavalente, bifenili polibromurati (pbb) od etere di difenile polibromurato (pbde).

 

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano:

 

a) alle apparecchiature elettriche ed elettroniche che rientrano nelle categorie 8 e 9 dell'allegato 1A;

 

b) ai pezzi di ricambio per la riparazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 1° luglio 2006;

 

c) al reimpiego di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 1° luglio 2006.

 

 

Art. 6.

Raccolta separata.

1. Entro la data di cui all'articolo 20, comma 5, al fine di realizzare un sistema organico di gestione dei RAEE che riduca al minimo il loro smaltimento insieme al rifiuto urbano misto e, in particolare, al fine di garantire, entro il 31 dicembre 2008, il raggiungimento di un tasso di raccolta separata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg in media per abitante all'anno:

 

a) i comuni assicurano la funzionalità, l'accessibilità e l'adeguatezza dei sistemi di raccolta differenziata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici istituiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di raccolta separata dei rifiuti urbani, in modo da permettere ai detentori finali ed ai distributori di conferire gratuitamente al centro di raccolta i rifiuti prodotti nel loro territorio; il conferimento di rifiuti prodotti in altri comuni è consentito solo previa sottoscrizione di apposita convenzione con il comune di destinazione;

 

b) i distributori assicurano, al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica destinata ad un nucleo domestico, il ritiro gratuito, in ragione di uno contro uno, della apparecchiatura usata, a condizione che la stessa sia di tipo equivalente e abbia svolto le stesse funzioni della nuova apparecchiatura fornita; provvedono, altresì, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), alla verifica del possibile reimpiego delle apparecchiature ritirate ed al trasporto presso i centri istituiti ai sensi delle lettere a) e c) di quelle valutate non suscettibili di reimpiego;

 

c) fatto salvo quanto stabilito alle lettere a) e b), i produttori od i terzi che agiscono in loro nome possono organizzare e gestire, su base individuale o collettiva, sistemi di raccolta di RAEE provenienti dai nuclei domestici conformi agli obiettivi del presente decreto.

 

1-bis. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute, da adottarsi entro il 28 febbraio 2008, sentita la Conferenza unificata, sono individuate, nel rispetto delle disposizioni comunitarie e anche in deroga alle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, specifiche modalità semplificate per la raccolta e il trasporto presso i centri di cui al comma 1, lettere a) e c), dei RAEE domestici e RAEE professionali ritirati da parte dei distributori ai sensi del comma 1, lettera b), nonché per la realizzazione e la gestione dei centri medesimi. L'obbligo di ritiro di cui al comma 1, lettera b), decorre dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di tale decreto (4).

 

2. Tenuto conto delle vigenti disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, il ritiro gratuito di una apparecchiatura elettrica ed elettronica previsto al comma 1, lettere a) e b), può essere rifiutato nel caso in cui vi sia un rischio di contaminazione del personale incaricato dello stesso ritiro o nel caso in cui risulta evidente che l'apparecchiatura in questione non contiene i suoi componenti essenziali o contiene rifiuti diversi dai RAEE. Nelle predette ipotesi lo smaltimento dei RAEE è a carico del detentore che conferisce, a proprie spese, i RAEE ad un operatore autorizzato alla gestione di detti rifiuti.

 

3. Fatto salvo quanto stabilito all'articolo 12, i produttori od i terzi che agiscono in loro nome organizzano e gestiscono, su base individuale o collettiva, sostenendone i relativi costi, sistemi adeguati di raccolta separata di RAEE professionali. A tal fine possono avvalersi delle strutture di cui al comma 1, lettera a), previa convenzione con il comune interessato, i cui oneri sono a carico degli stessi produttori o terzi che agiscono in loro nome.

 

 

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(4) Comma aggiunto dall'art. 30, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, come modificato dalla relativa legge di conversione.

 

 

Art. 7.

Ritiro dei RAEE raccolti.

1. Entro la data di cui all'articolo 20, comma 5, i produttori o i terzi che agiscono in loro nome provvedono al ritiro ed all'invio ai centri di trattamento di cui all'articolo 8 dei RAEE raccolti ai sensi dell'articolo 6, ad esclusione di quelli che sono effettivamente e totalmente reimpiegati, sempreché tale reimpiego non costituisca un'elusione degli obblighi stabiliti agli articoli 8 e 9.

 

2. I soggetti responsabili della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio dei RAEE raccolti separatamente, ai sensi dell'articolo 6, assicurano che dette operazioni siano eseguite in maniera da ottimizzare il reimpiego ed il riciclaggio delle apparecchiature o dei relativi componenti che possono essere reimpiegati o riciclati e garantiscono la integrità degli stessi RAEE al fine di consentirne la messa in sicurezza.

 

 

Art. 8.

Trattamento.

1. Entro la data di cui all'articolo 20, comma 5, i produttori o i terzi che agiscono in loro nome istituiscono, su base individuale o collettiva, utilizzando le migliori tecniche di trattamento, di recupero e di riciclaggio disponibili, sistemi di trattamento dei RAEE di cui all'articolo 6, avvalendosi di impianti di trattamento conformi alle disposizioni vigenti in, materia, nonché ai requisiti tecnici stabiliti nell'allegato 2 ed alle modalità di gestione previste nell'allegato 3.

 

2 Al fine di garantire il rispetto dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, il trattamento dei RAEE effettuato ai sensi del comma 1 prevede, almeno, la rimozione di tutti fluidi ed un trattamento selettivo conforme alle prescrizioni dell'allegato 2. Nel caso di RAEE contenenti sostanze lesive dell'ozono alle operazioni di trattamento si applicano le disposizioni della legge 28 dicembre 1993, n. 549, e successive modificazioni, e delle relative norme di attuazione.

 

3. Gli impianti di cui al comma 1 conseguono l'autorizzazione prevista agli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 22 del 1997, che stabilisce, altresì, le condizioni necessarie per garantire il rispetto delle prescrizioni previste ai commi 1 e 2 ed il conseguimento degli obiettivi di recupero di cui all'articolo 9.

 

4. In caso di applicazione, alle operazioni di recupero dei RAEE, della procedura semplificata di cui agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'inizio dell'attività è subordinato alla effettuazione, da parte della provincia competente, entro sessanta giorni dalla presentazione della comunicazione di inizio attività, di apposita ispezione volta a verificare:

 

a) il tipo e le quantità dei rifiuti sottoposti alle operazioni di recupero;

 

b) la conformità alle prescrizioni tecniche stabilite dagli allegati 2 e 3, nonché alle prescrizioni tecniche ed alle misure di sicurezza previste dalle disposizioni adottate in attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997;

 

c) le misure di sicurezza da adottare.

 

5. L'ispezione di cui al comma 4 è effettuata, dopo l'inizio dell'attività, almeno una volta all'anno.

 

6. Nei casi disciplinati al comma 4, la comunicazione di inizio di attività di cui all'articolo 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997 contiene l'indicazione delle misure adottate per garantire il rispetto delle prescrizioni previste ai commi 1 e 2 ed il conseguimento degli obiettivi di recupero stabiliti all'articolo 9.

 

7. Nel caso in cui la provincia competente, a seguito delle ispezioni previste ai commi 4 e 5, accerta la violazione delle disposizioni stabilite al comma 4, previa diffida ad adempiere e fissazione del relativo termine, vieta l'inizio ovvero la prosecuzione dell'attività, salvo che il titolare dell'impianto non provveda, entro il termine stabilito, a conformarsi alle predette disposizioni del comma 4.

 

8. Le province competenti trasmettono, con cadenza annuale, i risultati delle ispezioni di cui ai commi 4 e 5 all'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, di seguito denominata: «APAT", che li elabora e li trasmette al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per la successiva comunicazione alla Commissione europea.

 

9. L'operazione di trattamento dei RAEE di cui al presente articolo può essere effettuata al di fuori del territorio nazionale o comunitario a condizione che la spedizione dei RAEE sia conforme alle disposizioni del regolamento (CEE) n. 259/1993 del 1° febbraio 1993 del Consiglio, e successive modificazioni.

 

10. I RAEE esportati fuori dalla Comunità a norma del citato regolamento (CEE) n. 259/1993, del regolamento (CE) n. 1420/1999 del 29 aprile 1999, entrambi del Consiglio, e del regolamento (CE) n. 1547/1999 del 12 luglio 1999 della Commissione, sono presi in considerazione ai fini dell'adempimento degli obblighi e del conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, solo se l'esportatore può dimostrare che l'operazione di recupero, del reimpiego o di riciclaggio è stata effettuata in condizioni equivalenti a quelle stabilite dal presente decreto.

 

11. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con i Ministeri delle attività produttive, della salute e dell'economia e delle finanze, sono definite, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio previsti per gli scopi di cui al presente articolo, misure per incentivare l'introduzione volontaria dei sistemi certificati di gestione ambientale disciplinati dal regolamento (CE) n. 761/2001 del 19 marzo 2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, nelle imprese che effettuano le operazioni di trattamento dei RAEE.

 

12. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, l'Albo nazionale di cui all'articolo 30 del decreto legislativo n. 22 del 1997 è integrato con la previsione di una specifica sottocategoria relativa agli impianti che effettuano le operazioni di trattamento dei RAEE disciplinate dal presente decreto, ai fini della iscrizione allo stesso Albo delle imprese che effettuano dette operazioni di trattamento. Con delibera del Comitato Nazionale del citato Albo sono stabiliti le modalità ed i requisiti per l'iscrizione.

 

 

Art. 9.

Recupero dei RAEE.

1. Entro la data di cui all'articolo 20, comma 5, i produttori o i terzi che agiscono in loro nome istituiscono, in maniera uniforme sul territorio nazionale, su base individuale o collettiva, sistemi di recupero dei RAEE oggetto di raccolta separata ai sensi dell'articolo 6 conformi alle disposizioni vigenti in materia, privilegiando il reimpiego degli apparecchi interi. Detti apparecchi fino al 31 dicembre 2008 non sono calcolati ai fini del computo degli obiettivi di cui al comma 2.

 

2. Entro il 31 dicembre 2006, con riferimento ai RAEE avviati al trattamento ai sensi dell'articolo 8, i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche garantiscono il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

 

a) per i RAEE che rientrano nelle categorie 1 e 10 dell'allegato 1A, una percentuale di recupero pari almeno all'80% in peso medio per apparecchio e una percentuale di reimpiego e di riciclaggio di componenti, di materiali e di sostanze pari almeno al 75% in peso medio, per apparecchio;

 

b) per i RAEE che rientrano nelle categorie 3 e 4 dell'allegato 1A, una percentuale di recupero pari almeno al 75% in peso medio per apparecchio e una percentuale di reimpiego e di riciclaggio di componenti, di materiali e di sostanze pari almeno al 65% in peso medio per apparecchio;

 

c) per i RAEE che rientrano nelle categorie 2, 5, 6, 7 e 9 dell'allegato 1A, una percentuale di recupero pari almeno al 70% in peso medio per apparecchio e una percentuale di reimpiego e di riciclaggio di componenti, di materiali e di sostanze pari almeno al 50% in peso medio per apparecchio;

 

d) per tutti i rifiuti di sorgenti luminose fluorescenti una percentuale di reimpiego e di riciclaggio di componenti, di materiali e di sostanze pari almeno l'80% in peso di tali sorgenti luminose.

 

3. I titolari degli impianti di trattamento di RAEE annotano, su apposita sezione del registro di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n. 22 del 1997, suddivisa nelle categorie di cui all'allegato 1A, il peso dei RAEE in entrata, nonché il peso dei loro componenti, dei loro materiali o delle loro sostanze in uscita. I titolari degli impianti di recupero e di riciclaggio di RAEE annotano, nella citata sezione, in entrata, il peso dei RAEE, nonché dei loro componenti, dei loro materiali o delle loro sostanze, ed in uscita le quantità effettivamente recuperate.

 

4. Al fine di verificare il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 2, i responsabili degli impianti che effettuano le operazioni di trattamento e di recupero dei RAEE comunicano annualmente i dati relativi ai RAEE trattati ed ai materiali derivanti da essi ed avviati al recupero, avvalendosi del modello di dichiarazione ambientale di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 70, che, a tale fine, è modificato con le modalità previste dalla stessa legge n. 70 del 1994. Sono tenuti alla predetta comunicazione anche gli esportatori di RAEE, specificando la categoria di appartenenza secondo l'allegato 1A, il peso o, se non rilevabile, il numero di pezzi degli stessi RAEE.

 

5. L'APAT assicura il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 2 e trasmette annualmente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio una relazione contenente i dati di cui al comma 4. Il Ministero dell'ambiente rende accessibili i risultati relativi al raggiungimento di detti obiettivi. I costi relativi al monitoraggio sono a carico dei produttori sulla base delle quote di mercato di cui all'articolo 15, comma 1, lettera c).

 

6. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, adegua gli obiettivi di recupero, di reimpiego e di riciclaggio in conformità alle decisioni intervenute in sede comunitaria.

 

7. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, con decreto di concerto con il Ministri delle attività produttive, della salute e dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, definisce, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio previsti per gli scopi di cui al presente articolo, misure volte a promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie di recupero, di riciclaggio e di trattamento.

 

Art. 10.

Modalità e garanzie di finanziamento della gestione dei RAEE storici provenienti dai nuclei domestici.

1. Il finanziamento delle operazioni di trasporto dai centri istituiti ai sensi dell'articolo 6, nonché delle operazioni di trattamento, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile di cui agli articoli 8 e 9 di RAEE storici, provenienti dai nuclei domestici è a carico dei produttori presenti sul mercato nell'anno solare in cui si verificano i rispettivi costi, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al numero di pezzi ovvero a peso, se specificatamente indicato nell'allegato 1B, per tipo di apparecchiatura, nell'anno solare di riferimento. I produttori adempiono al predetto obbligo istituendo sistemi collettivi di gestione dei RAEE.

 

2. Fino al 13 febbraio 2011 e, per le apparecchiature rientranti nella categoria 1 dell'allegato 1A, fino al 13 febbraio 2013 il produttore può indicare esplicitamente all'acquirente, al momento della vendita di nuovi prodotti, i costi sostenuti per la raccolta, il trattamento, il recupero e lo smaltimento dei RAEE storici. In tale caso il distributore indica separatamente all'acquirente finale il prezzo del prodotto ed il costo, identico a quello individuato dal produttore, per la gestione dei rifiuti storici. I costi indicati dal produttore non possono superare le spese effettivamente sostenute per il trattamento, il recupero e lo smaltimento.

 

3. I produttori che forniscono apparecchiature elettriche ed elettroniche avvalendosi dei mezzi di comunicazione a distanza di cui al citato decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, si conformano agli obblighi del presente articolo anche per quanto riguarda le apparecchiature fornite nello Stato membro in cui risiede l'acquirente delle stesse, secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, in conformità alle disposizioni adottate a livello comunitario.

 

4. Il finanziamento della gestione di rifiuti di apparecchiature rientranti nella categoria di cui al punto 5 dell'allegato 1A è a carico dei produttori indipendentemente dalla data di immissione sul mercato di dette apparecchiature e dall'origine domestica o professionale, secondo modalità individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri delle attività produttive e dell'economia e delle finanze, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Art. 11.

Modalità e garanzie di finanziamento della gestione dei RAEE derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005 provenienti dai nuclei domestici.

1. Il finanziamento delle operazioni di trasporto dai centri istituiti ai sensi dell'articolo 6, nonché delle operazioni di trattamento, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile, di cui agli articoli 8 e 9, di RAEE provenienti da nuclei domestici derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005 è a carico del produttore che ne assume l'onere per i prodotti che ha immesso sul mercato a partire dalla predetta data. Il produttore adempie al predetto obbligo individualmente ovvero attraverso l'adesione ad un sistema collettivo o misto adeguato.

 

2. Al fine di garantire il finanziamento della gestione dei RAEE di 'cui comma 1, il produttore

 

costituisce, nel momento in cui un'apparecchiatura elettrica od elettronica è immessa sul mercato, adeguata garanzia finanziaria, secondo quanto previsto dall'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348, o secondo modalità equivalenti, che non comportino nuovi o maggiori oneri ovvero minori entrate per la finanza pubblica, definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e dell'economia e delle finanze, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

3. Per le apparecchiature elettriche ed elettroniche di cui al comma 1, il produttore non può indicare separatamente all'acquirente, al momento della vendita, i relativi costi di raccolta, di trattamento e di smaltimento.

 

4. Nel caso di vendita effettuata mediante comunicazione a distanza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 10, comma 3.

 

Art. 12.

Modalità e garanzie di finanziamento della gestione dei RAEE professionali.

1. Il finanziamento delle operazioni di raccolta, di trasporto, di trattamento, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile, di cui agli articoli 8 e 9, dei RAEE professionali originati da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005 è a carico del produttore che ne assume l'onere per i prodotti che ha immesso sul mercato a partire dalla predetta data.

 

2. Il finanziamento delle operazioni di raccolta, di trasporto, di trattamento, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile, di cui agli articoli 8 e 9, dei RAEE professionali originati da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005 è a carico del produttore nel caso di fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica in sostituzione di un prodotto di tipo equivalente ed adibito alle stesse funzioni della nuova apparecchiatura fornita ovvero è a carico del detentore negli altri casi.

 

3. Le apparecchiature di cui al comma 2 non sono equivalenti nel caso in cui il peso dell'apparecchiatura ritirata sia superiore al doppio del peso dell'apparecchiatura consegnata.

 

4. Il produttore adempie all'obbligo di cui al commi 1 e 2 individualmente ovvero attraverso l'adesione ad un sistema collettivo o misto adeguato.

 

5. Al fine di garantire il finanziamento della gestione dei RAEE professionali di cui ai comma 1, il produttore costituisce, nel momento in cui un'apparecchiatura elettrica od elettronica è immessa sul mercato, adeguata garanzia finanziaria, secondo quanto previsto dall'articolo 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348, o secondo modalità equivalenti definite con il decreto di cui all'articolo 11, comma 2.

 

6. I produttori e gli utenti diversi dai nuclei domestici possono sottoscrivere accordi volontari che prevedono modalità alternative di finanziamento della gestione dei RAEE professionali, purché siano rispettate le finalità e le prescrizioni del presente decreto.

 

 

Art. 13.

Obblighi di informazione.

Il produttore di apparecchiature elettriche ed elettroniche fornisce, all'interno delle istruzioni per l'uso delle stesse, adeguate informazioni concernenti:

 

a) l'obbligo di non smaltire i RAEE come rifiuti urbani e di effettuare, per detti rifiuti, una raccolta separata;

 

b) i sistemi di raccolta dei RAEE, nonché la possibilità di riconsegnare al distributore l'apparecchiatura all'atto dell'acquisto di una nuova;

 

c) gli effetti potenziali sull'ambiente e sulla salute umana dovuti alla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche o ad un uso improprio delle stesse apparecchiature o di parti di esse;

 

d) il significato del simbolo riportato nell'allegato 4;

 

e) le sanzioni previste in caso di smaltimento abusivo di detti rifiuti.

 

2. Nel caso in cui, tenuto conto della tipologia dell'apparecchiatura elettrica ed elettronica, non è prevista la fornitura delle istruzioni, le informazioni di cui al comma 1 sono fornite dal distributore presso il punto di vendita mediante opportune pubblicazioni o l'esposizione di materiale informativo.

 

3. Fatte salve le disposizioni vigenti in materia di segreto industriale, il produttore di apparecchiature elettriche ed elettroniche mette a disposizione dei centri di reimpiego, degli impianti di trattamento e di riciclaggio, in forma cartacea o elettronica o su supporto elettronico, le informazioni in materia di reimpiego e di trattamento per ogni tipo di nuova apparecchiatura immessa sul mercato, entro un anno dalla stessa immissione. Dette informazioni indicano i diversi componenti e materiali delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché il punto in cui le sostanze e i preparati pericolosi si trovano all'interno delle apparecchiature stesse, nella misura in cui ciò è necessario per consentite ai centri di reimpiego ed agli impianti di trattamento e di riciclaggio di uniformarsi alle disposizioni del presente decreto.

 

4. Le apparecchiature elettriche ed elettroniche rientranti nel campo di applicazione del presente decreto, poste sul mercato a decorrere dal 13 agosto 2005, riportano, a cura e sotto la responsabilità del produttore, in modo chiaro, visibile ed indelebile, una indicazione che consenta di identificare lo stesso produttore e il simbolo riportato all'allegato 4. Detto simbolo indica, in modo inequivocabile, che l'apparecchiatura è stata immessa sul mercato dopo il 13 agosto 2005 e che deve essere oggetto di raccolta separata. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sono definite, in conformità alle disposizioni comunitarie, le modalità per l'identificazione del produttore.

 

5. Nel caso in cui l'apposizione del il simbolo di cui al comma 4 sia resa impossibile dalle dimensioni o dalla funzione dell'apparecchiatura, il marchio stesso è apposto in modo visibile sulla confezione, sulle istruzioni e sul foglio di garanzia.

 

6. I produttori comunicano al Registro di cui all'articolo 14, con cadenza annuale e con le modalità da individuare ai sensi dello stesso articolo 13, comma 8, la quantità e le categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate, fatto salvo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia di segreto industriale, nonché le indicazioni relative alla garanzia finanziaria prevista dal presente decreto.

 

7. I produttori che forniscono apparecchiature elettriche o elettroniche avvalendosi dei mezzi di comunicazione a distanza di cui al decreto legislativo n. 185 del 1999, con cadenza annuale e con le modalità di cui al comma 6, comunicano al Registro previsto all'articolo 14, le quantità e le categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato dello Stato in cui risiede l'acquirente, nonché le modalità di adempimento degli obblighi previsti all'articolo 10, comma 3.

 

8. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità di funzionamento del Registro di cui all'articolo 14, di iscrizione allo stesso, di comunicazione delle informazioni di cui ai commi 6 e 7, nonché di costituzione e di funzionamento di un centro di coordinamento, finanziato e gestito dai produttori, per l'ottimizzazione delle attività di competenza dei sistemi collettivi, a garanzia di comuni omogenee e uniformi condizioni operative (5).

 

9. Il gestore del servizio pubblico di raccolta informa i consumatori su:

 

a) le misure adottate dalla pubblica amministrazione affinché i consumatori contribuiscano sia alla raccolta dei RAEE, sia ad agevolare il processo di reimpiego, di trattamento e di recupero degli stessi;

 

 

b) il ruolo del consumatore stesso nel reimpiego, nel riciclaggio e nelle altre forme di recupero dei RAEE.

 

 

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(5) In attuazione di quando disposto dal presente comma vedi il D.M. 25 settembre 2007, n. 185.

 

 

Art. 14.

Registro nazionale dei soggetti obbligati al trattamento dei RAEE.

1. Al fine di controllare la gestione dei RAEE e di definire le quote di mercato di cui all'articolo 10, comma 1, è istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, il Registro nazionale dei soggetti tenuti al finanziamento dei sistemi di gestione dei RAEE, ai sensi degli articoli 10, 11 e 12, che hanno effettuato l'iscrizione di cui al comma 2. All'interno di tale registro è prevista una sezione relativa ai sistemi collettivi o misti istituiti per il finanziamento della gestione dei RAEE, sulla base delle indicazioni di cui al comma 2.

 

2. Il produttore di apparecchiature elettriche ed elettroniche soggetto agli obblighi di cui al comma 1 può immettere sul mercato dette apparecchiature solo a seguito di iscrizione presso la Camera di Commercio di competenza. All'atto dell'iscrizione il produttore, come definito dall'articolo 3, comma 1, lettera m), deve indicare, qualora il codice di attività non individui esplicitamente la natura di produttore di AAE, anche lo specifico codice di attività che lo individua come tale, nonché il sistema attraverso il quale intende adempiere agli obblighi di finanziamento della gestione dei RAEE previsti dal presente decreto.

 

3. Ai fini della predisposizione e dell'aggiornamento del Registro previsto al comma 1, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura comunicano al Comitato di cui all'articolo 15 l'elenco delle imprese identificate come produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche sulla base dei codici di attività.

 

 

Art. 15.

Comitato di vigilanza e di controllo e comitato di indirizzo sulla gestione dei RAEE.

1. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, il Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione dei RAEE, con i seguenti compiti:

 

a) predisporre ed aggiornare il registro di cui all'articolo 14, comma l, sulla base delle comunicazioni delle Camere di commercio previste allo stesso articolo 14, comma 3;

 

b) raccogliere, esclusivamente in formato elettronico, i dati relativi ai prodotti immessi sul mercato e alle garanzie finanziarie che i produttori sono tenuti a comunicare al Registro ai sensi dell'articolo 13, commi 6 e 7;

 

c) calcolare, sulla base dei dati di cui alla lettera b), le rispettive quote di mercato dei produttori;

 

d) programmare e disporre, sulla base di apposito piano, ispezioni nei confronti dei produttori che non effettuano le comunicazioni di cui alla lettera b) e, su campione, sulle comunicazioni previste alla stessa lettera b);

 

e) vigilare affinché le apparecchiature immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005 rechino l'identificativo del produttore ed il marchio di cui all'articolo 13, comma 4, e affinché i produttori che forniscono apparecchiature elettriche ed elettroniche mediante tecniche di comunicazione a distanza informino il registro sulla conformità alle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 3;

 

f) elaborare i dati relativi agli obiettivi di recupero di cui all'articolo 9, comma 2, e predisporre le relazioni previste all'articolo 17 (6).

 

2. Per le finalità di cui al comma 1 il Comitato si avvale dell'APAT e, in particolare, per le ispezioni di cui al comma 1, lettera d), il Comitato può avvalersi anche della collaborazione della Guardia di finanza.

 

3. Il Comitato di cui al comma 1, i cui oneri di funzionamento sono a carico dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche in base alle quote di mercato come individuate allo stesso comma 1, lettera c), è composto da sei membri, di cui due designati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, dei quali uno con funzioni di presidente, uno dal Ministro delle attività produttive, con funzione di vicepresidente, uno dal Ministro della salute, uno dal Ministro per l'innovazione e le tecnologie e uno dalla Conferenza Unificata. Il Comitato adotta apposito regolamento per il suo funzionamento.

 

4. Con il decreto previsto all'articolo 13, comma 8, è, altresì, istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, il Comitato d'indirizzo sulla gestione dei RAEE e ne sono definite la composizione ed il regolamento di funzionamento. Detto comitato supporta il Comitato previsto al comma 1 nell'espletamento dei compiti ad esso attribuiti (7).

 

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(6) Per l'istituzione del Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione dei RAEE vedi il D.M. 25 settembre 2007.

(7) In attuazione di quando disposto dal presente comma vedi il D.M. 25 settembre 2007, n. 185.

 

 

Art. 16.

Sanzioni.

1. Il distributore che, nell'ipotesi di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), indebitamente non ritira, a titolo gratuito, una apparecchiatura elettrica od elettronica, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 150 ad euro 400, per ciascuna apparecchiatura non ritirata o ritirata a titolo oneroso.

 

2. Il produttore che non provvede ad organizzare il sistema di raccolta separata dei RAEE professionali di cui all'articolo 6, comma 3 ed i sistemi di ritiro ed invio, di trattamento e di recupero dei RAEE di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 1, ed a finanziare le relative operazioni, nelle ipotesi e secondo le modalità di cui agli articoli 10, comma 1, 11, comma l e 12, commi 1, 2 e 3, fatti salvi, per tali ultime operazioni, gli accordi eventualmente conclusi ai sensi dell'articolo 12, comma 6, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 ad euro 100.000.

 

3. Il produttore che, dopo il 13 agosto 2005, nel momento in cui immette una apparecchiatura elettrica od elettronica sul mercato, non provvede a costituire la garanzia finanziaria di cui agli articoli 11, comma 2, o 12, comma 4, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 200 ad euro 1.000 per ciascuna apparecchiatura immessa sul mercato.

 

4. Il produttore che non fornisce, nelle istruzioni per l'uso di AEE, le informazioni di cui all'articolo 13, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 5.000.

 

5. Il produttore che, entro un anno dalla immissione sul mercato di ogni tipo di nuova AEE, non mette a disposizione dei centri di reimpiego e degli impianti di trattamento e di riciclaggio le informazioni di cui all'articolo 13, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000.

 

6. Il produttore che, dopo il 13 agosto 2005, immette sul mercato AEE prive della indicazione o del simbolo di cui all'articolo 13, commi 4 e 5, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 200 ad euro 1000 per ciascuna apparecchiatura immessa sul mercato. La medesima sanzione amministrativa pecuniaria si applica nel caso in cui i suddetti indicazione o simbolo non siano conformi ai requisiti stabiliti all'articolo 13, commi 4 e 5.

 

7. Il produttore che, senza avere provveduto alla iscrizione presso la Camera di commercio ai sensi dell'articolo 14, comma 2, immette sul mercato AEE, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 ad euro 100.000.

 

8. Il produttore che, entro il termine stabilito col decreto di cui all'articolo 13, comma 8, non comunica al Registro nazionale dei soggetti obbligati allo smaltimento dei RAEE le informazioni di cui all'articolo 13, commi 6 e 7, ovvero le comunica in modo incompleto o inesatto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 20.000.

 

9. Fatte salve le eccezioni di cui all'articolo 5, comma 2, chiunque, dopo il 1° luglio 2006, immette sul mercato AEE nuove contenenti le sostanze di cui all'articolo 5, comma 1 o le ulteriori sostanze individuate ai sensi dell'articolo 18, comma l, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50 ad euro 500 per ciascuna apparecchiatura immessa sul mercato oppure da euro 30.000 ad euro 100.000.

 

 

Art. 17.

Informazioni e relazioni.

1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea, a decorrere dall'anno 2008 e, successivamente, ogni due anni, entro il 30 giugno, le informazioni di cui all'articolo 13, commi 6 e 7, relative al biennio precedente, secondo il formato adottato in sede comunitaria. Le prime informazioni riguardano il biennio 2005-2006.

 

2. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea e al Parlamento, a partire dall'anno 2007 e, successivamente, ogni tre anni, entro il 30 settembre, una relazione sulla attuazione del presente decreto relativa al triennio precedente, sulla base del questionario adottato in sede comunitaria.

 

 

Art. 18.

Modifica degli allegati.

1. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentiti i Ministri della salute e delle attività produttive, si provvede al recepimento di direttive tecniche di modifica degli allegati 1, 4 e 5, al fine di dare attuazione a successive disposizioni comunitarie. Ogniqualvolta tali disposizioni tecniche prevedano poteri discrezionali per il proprio recepimento, il provvedimento è emanato di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, sentita la Conferenza unificata.

 

2. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, sentita la Conferenza unificata, si provvede alla modifica degli allegati 2 e 3.

 

 

Art. 19.

Disposizioni finanziarie.

1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

2. Gli oneri per lo svolgimento delle ispezioni di cui all'articolo 8, commi 4 e 5, e all'articolo 20, comma 2, nonché quelli derivanti dallo svolgimento delle prestazioni e dei controlli effettuati da parte dei pubblici uffici territoriali in applicazione del presente decreto sono posti a carico dei soggetti destinatari di tali prestazioni e controlli, sulla base del costo effettivo del servizio, secondo tariffe da stabilirsi con disposizioni regionali.

 

3. Gli oneri relativi alla attività di monitoraggio di cui all'articolo 9, comma 5, nonché quelli relativi alla istituzione del registro di cui all'articolo 14 ed al funzionamento dei comitati di cui all'articolo 15 sono a carico dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche in base alle rispettive quote di mercato.

 

4. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le tariffe per la copertura degli oneri di cui al comma 3, nonché le relative modalità di versamento. Con disposizioni regionali, sentiti gli enti locali interessati, sono determinate le tariffe per la copertura degli oneri di cui al comma 2, nonché le relative modalità di versamento.

 

5. Le pubbliche amministrazioni provvedono all'attuazione del presente decreto nell'ambito delle proprie attività istituzionali e delle risorse umane, finanziarie e strumentali allo scopo finalizzate a legislazione vigente.

 

 

Art. 20.

Disposizioni transitorie e finali.

1. I titolari degli impianti di stoccaggio, di trattamento e di recupero di RAEE autorizzati ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 22 del 1997, in esercizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, presentano, se necessario, domanda di adeguamento alle prescrizioni di cui agli allegati 2 e 3, entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, ed adeguano gli impianti entro 12 mesi dalla presentazione della domanda. Nelle more dell'adeguamento è consentita la prosecuzione dell'attività.

 

2. Al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni previste dal presente decreto, la provincia competente per territorio procede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, all'ispezione degli impianti in esercizio alla stessa data che effettuano l'attività di trattamento e di recupero di RAEE ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997. La provincia, se necessario, stabilisce le modalità ed i tempi per conformarsi a dette prescrizioni, che comunque non possono essere superiori a 12 mesi, consentendo nelle more dell'adeguamento la prosecuzione dell'attività. In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti l'attività è interrotta.

 

3. I produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche presenti sul mercato alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 13, comma 8, effettuano, entro novanta giorni dalla stessa data, l'iscrizione prevista al comma 2 dello citato articolo 14.

 

4. Nelle more della definizione di un sistema europeo di identificazione dei produttori, secondo quanto indicato dall'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2002/96/CE e, comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2008, il finanziamento delle operazioni di cui all'articolo 11, comma 1, viene assolto dai produttori con le modalità stabilite all'articolo 10, comma 1 e il finanziamento delle operazioni di cui all'articolo 12, comma 1, viene assolto dai produttori con le modalità stabilite all'articolo 12, comma 2 (8).

 

5. I soggetti tenuti agli adempimenti di cui agli articoli 6, commi 1 e 3, 7, comma 18, comma 19, comma 1, 10, 11, 12 e 13 si conformano alle disposizioni dei medesimi articoli entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto (9).

 

6. Le disposizioni di cui agli articoli 44 e 48 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non si applicano alle apparecchiature elettriche ed elettroniche rientranti nel campo di applicazione del presente decreto.

 

 

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(8) Comma così modificato prima dal comma 5 dell'art. 15, D.L. 2 luglio 2007, n. 81 e poi dall'art. 30, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248.

(9)  Per la proroga del termine vedi l'art. 1-quinquies, D.L. 12 maggio 2006, n. 173, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e il comma 1 dell'art. 5, D.L. 28 dicembre 2006, n. 300.

 


 

D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Norme in materia ambientale.
(art. 77)

 

(1) (2) (3)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 14 aprile 2006, n. 88, S.O.

(2) Per la modifica del presente decreto vedi il D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. La redazione del testo coordinato con le modifiche disposte dal citato D.Lgs. n. 4 del 2008, non resa possibile dalle numerose inesattezze in esso contenute, verrà effettuata dopo la pubblicazione di un annunciato provvedimento di rettifica.

(3) Vedi, anche, l'art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

 

(omissis)

Art. 77.

Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale.

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli 118 e 120, le regioni che non vi abbiano provveduto identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente ad una di quelle indicate nell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

 

2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all'articolo 76, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove fissato sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino, e assicura n d o in ogni caso per tutti i corpi idrici l'adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado.

 

3. Al fine di assicurare entro il 22 dicembre 2015 il raggiungimento dell'obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di "buono", entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello stato di "sufficiente" di cui all'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

 

4. Le acque ricadenti nelle aree protette devono essere conformi agli obiettivi e agli standard di qualità fissati nell'Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, secondo le scadenze temporali ivi stabilite, salvo diversa disposizione della normativa di settore a norma della quale le singole aree sono state istituite.

 

5. La designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni. Le regioni possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando:

a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti:

 

1) sull'ambiente in senso ampio;

 

2) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o sul diporto;

 

3) sulle attività per le quali l'acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l'irrigazione;

 

4) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo;

 

5) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti;

 

b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possono, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi che rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale.

 

6. Le regioni possono motivatamente prorogare il termine del 23 dicembre 2015 per poter conseguire gradualmente gli obiettivi dei corpi idrici purché non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato dei corpi idrici e sussistano tutte le seguenti condizioni:

 

a) i miglioramenti necessari per il raggiungimento del buono stato di qualità ambientale non possono essere raggiunti entro i termini stabiliti almeno per uno dei seguenti motivi:

 

1) i miglioramenti dello stato dei corpi idrici possono essere conseguiti per motivi tecnici solo in fasi successive al 23 dicembre 2015;

 

2) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionalmente costoso;

 

3) le condizioni naturali non consentono il miglioramento del corpo idrico nei tempi richiesti;

 

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate nei piani di cui agli articoli 117 e 121;

 

c) le proroghe non possono superare il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti dei piani di cui alla lettera b), fatta eccezione per i casi in cui le condizioni naturali non consentano di conseguire gli obiettivi entro detto periodo;

 

d) l'elenco delle misure, la necessità delle stesse per il miglioramento progressivo entro il termine previsto, la giustificazione di ogni eventuale significativo ritardo nella attuazione delle misure, nonché il relativo calendario di attuazione delle misure devono essere riportati nei piani di cui alla lettera b). Le informazioni devono essere aggiornate nel riesame dei piani (11).

 

7. Le regioni, per alcuni corpi idrici, possono stabilire di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli di cui al comma 4, qualora, a causa delle ripercussioni dell'impatto antropico rilevato ai sensi dell'articolo 118 o delle loro condizioni naturali, non sia possibile o sia esageratamente oneroso il loro raggiungimento. Devono, in ogni caso, ricorrere le seguenti condizioni:

 

a) la situazione ambientale e socioeconomica non consente di prevedere altre opzioni significativamente migliori sul piano ambientale ed economico;

 

b) la garanzia che:

 

1) per le acque superficiali venga conseguito il migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

2) per le acque sotterranee siano apportate modifiche minime al loro stato di qualità, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

c) per lo stato del corpo idrico non si verifichi alcun ulteriore deterioramento;

 

d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico e del piano di tutela di cui agli articoli 117 e 121 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni nell'ambito della revisione di detti piani (12).

 

8. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 7, la definizione di obiettivi meno rigorosi è consentita purché essi non comportino l'ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui alla lettera b) del medesimo comma 7, purché non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla parte terza del presente decreto in altri corpi idrici compresi nello stesso bacino idrografico.

 

9. Nei casi previsti dai commi 6 e 7, i Piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonchè le relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano.

 

10. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, o conseguente a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non dà luogo a una violazione delle prescrizioni della parte terza del presente decreto, purchè ricorrano tutte le seguenti condizioni:

 

a) che siano adottate tutte le misure volte ad impedire l'ulteriore deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici e la compromissione del raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 76 ed al presente articolo in altri corpi idrici non interessati alla circostanza;

 

b) che il Piano di tutela preveda espressamente le situazioni in cui detti eventi possono essere dichiarati ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati;

 

c) che siano previste ed adottate misure idonee a non compromettere il ripristino della qualità del corpo idrico una volta conclusisi gli eventi in questione;

 

d) che gli effetti degli eventi eccezionali o imprevedibili siano sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui all'articolo 76, comma 4, lettera a), venga fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente tali eventi;

 

e) che una sintesi degli effetti degli eventi e delle misure adottate o da adottare sia inserita nel successivo aggiornamento del Piano di tutela.

 

10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui:

 

a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei;

 

b) l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni:

 

1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

 

2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni;

 

3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l'ambiente e la società, risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, siano inferiori rispetto ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile;

 

4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori (13).

 

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(11) Comma così sostituito dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(12) Comma così sostituito dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(13) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

 


 

DPCM 28 luglio 2006.
Istituzione di una Struttura di missione presso il Dipartimento per le Politiche Comunitarie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

D.L. 27 dicembre 2006, n. 297, conv. con mod. L 23 febbraio 2007, n. 15.
Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio.

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 27 dicembre 2006, n. 299.

(2) Convertito in legge, con modificazioni, dal comma 1 dell'art. 1, L. 23 febbraio 2007, n. 15 (Gazz. Uff. 24 febbraio 2007, n. 46), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Il comma 2 dello stesso articolo 1 ha così disposto: «2. Sono fatti salvi gli effetti prodotti, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, dall'articolo 3 del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297.».

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

 

Visti gli articoli 77, 87 e 120 della Costituzione;

 

Visto l'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari;

 

Viste le direttive 2006/48/CE, relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (rifusione) e 2006/49/CE, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (rifusione);

 

Vista la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa in data 9 dicembre 2004, nella causa C-460/02, avente ad oggetto ricorso per inadempimento, ai sensi dell'articolo 226 del Trattato istitutivo delle Comunità europee, nei confronti della Repubblica italiana, in tema di accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti;

 

Vista la conseguente procedura d'infrazione n. 1999/4472, avviata dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano;

 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere al recepimento entro il 31 dicembre 2006 delle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, di dare esecuzione alla predetta sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e all'ordinanza del Presidente della Corte medesima resa in data 19 dicembre 2006 in tema di prelievo venatorio, nonchè di adeguarsi a indirizzi comunitari in tema di Agenzia nazionale per i giovani;

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 dicembre 2006;

 

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per le politiche europee, del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, del lavoro e della previdenza sociale e per le politiche giovanili e le attività sportive;

 

 

Emana il seguente decreto-legge:

 

 

Art. 1.

Modifiche al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia per l'attuazione della direttiva 2006/48/CE.

1. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) all'articolo 7, il comma 10 è sostituito dal seguente:

 

«10. Nel rispetto delle condizioni previste dalle direttive comunitarie applicabili alle banche, la Banca d'Italia scambia informazioni con tutte le altre autorità e soggetti esteri indicati dalle direttive medesime.» (3);

 

b) l'articolo 53 è così modificato:

 

1) al comma 1 dopo la lettera d) è aggiunta, in fine, la seguente:

 

«d-bis) l'informativa da rendere al pubblico sulle materie di cui alle lettere da a) a d).»;

 

2) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:

 

«2-bis. Le disposizioni emanate ai sensi del comma 1, lettera a), prevedono che le banche possano utilizzare:

 

a) le valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni; le disposizioni disciplinano i requisiti, anche di competenza tecnica e di indipendenza, che tali soggetti devono possedere e le relative modalità di accertamento;

 

b) sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, previa autorizzazione della Banca d'Italia. Per le banche sottoposte alla vigilanza consolidata di un'autorità di un altro Stato comunitario, la decisione è di competenza della medesima autorità, qualora, entro sei mesi dalla presentazione della domanda di autorizzazione, non venga adottata una decisione congiunta con la Banca d'Italia.

 

2-ter. Le società o enti esterni che, anche gestendo sistemi informativi creditizi, rilasciano alle banche valutazioni del rischio di credito o sviluppano modelli statistici per l'utilizzo ai fini di cui al comma 1, lettera a), conservano, per tale esclusiva finalità, anche in deroga alle altre vigenti disposizioni normative, i dati personali detenuti legittimamente per un periodo di tempo storico di osservazione che sia congruo rispetto a quanto richiesto dalle disposizioni emanate ai sensi del comma 2-bis. Le modalità di attuazione e i criteri che assicurano la non identificabilità sono individuati su conforme parere del Garante per la protezione dei dati personali.» (4);

 

3) al comma 3, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

 

«d) adottare per tutte le materie indicate nel comma 1, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, riguardanti anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale, nonchè il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria, e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio.» (5);

 

c) l'articolo 59 è così modificato:

 

1) la lettera b) del comma 1 è sostituita dalla seguente:

 

«b) per "società finanziarie" si intendono le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente: l'attività di assunzione di partecipazioni aventi le caratteristiche indicate dalla Banca d'Italia in conformità alle delibere del CICR; una o più delle attività previste dall'articolo 1, comma 2, lettera f), numeri da 2 a 12; altre attività finanziarie previste ai sensi del numero 15 della medesima lettera; le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; »;

 

2) la lettera c) del comma 1 è sostituita dalla seguente:

 

«c) per "società strumentali" si intendono le società che esercitano, in via esclusiva o prevalente, attività che hanno carattere ausiliario dell'attività delle società del gruppo, comprese quelle consistenti nella proprietà e nell'amministrazione di immobili e nella gestione di servizi anche informatici.»;

 

3) dopo il comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente:

 

«1-bis. Le disposizioni del presente capo relative alle banche si applicano anche agli istituti di moneta elettronica.»;

 

d) all'articolo 60, comma 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

 

«b) dalla società finanziaria capogruppo italiana e dalle società bancarie, finanziarie e strumentali da questa controllate, quando nell'insieme delle società da essa controllate vi sia almeno una banca e abbiano rilevanza determinante, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia in conformità alle deliberazioni del CICR, quelle bancarie e finanziarie.»;

 

e) l'articolo 61 è così modificato:

 

1) al comma 1, le parole: «ai sensi del comma 2» sono soppresse;

 

2) il comma 2 è abrogato;

 

f) l'articolo 65 è così modificato:

 

1) al comma 1, le lettere d), e), f) e g) sono soppresse;

 

2) al comma 1, le lettere h) ed i) sono sostituite dalle seguenti:

 

«h) società che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 19, comma 6, controllano almeno una banca;

 

i) società diverse da quelle bancarie, finanziarie e strumentali quando siano controllate da una singola banca ovvero quando società appartenenti a un gruppo bancario ovvero soggetti indicati nella lettera h) detengano, anche congiuntamente, una partecipazione di controllo.»;

 

g) l'articolo 66 è così modificato:

 

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. Al fine di esercitare la vigilanza su base consolidata, la Banca d'Italia richiede ai soggetti indicati nelle lettere da a) a c) del comma 1 dell'articolo 65 la trasmissione, anche periodica, di situazioni e dati, nonchè ogni altra informazione utile. La Banca d'Italia può altresì richiedere ai soggetti indicati nelle lettere h) ed i) del comma 1 dell'articolo 65 le informazioni utili all'esercizio della vigilanza su base consolidata.» (6);

 

2) il comma 3 è sostituito dal seguente:

 

«3. La Banca d'Italia può disporre nei confronti dei soggetti indicati nelle lettere da a) a c) del comma 1 dell'articolo 65 l'applicazione delle disposizioni previste dalla parte IV, titolo III, capo II, sezione VI, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.»;

 

3) al comma 4, le parole: «, aventi sede legale in Italia,» sono soppresse;

 

h) l'articolo 67 è così modificato:

 

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. Al fine di esercitare la vigilanza consolidata, la Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, impartisce alla capogruppo, con provvedimenti di carattere generale o particolare, disposizioni concernenti il gruppo bancario complessivamente considerato o suoi componenti, aventi ad oggetto:

 

a) l'adeguatezza patrimoniale;

 

b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni;

 

c) le partecipazioni detenibili;

 

d) l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni;

 

e) l'informativa da rendere al pubblico sulle materie di cui al presente comma.» (7);

 

2) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:

 

«2-bis. Le disposizioni emanate ai sensi del comma 1, lettera a), prevedono la possibilità di utilizzare:

 

a) le valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni; le disposizioni disciplinano i requisiti che tali soggetti devono possedere e le relative modalità di accertamento da parte della Banca d'Italia;

 

b) sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, previa autorizzazione della Banca d'Italia. Per i gruppi sottoposti a vigilanza consolidata di un'autorità di un altro Stato comunitario, la decisione è di competenza della medesima autorità qualora, entro sei mesi dalla presentazione della domanda di autorizzazione, non venga adottata una decisione congiunta con la Banca d'Italia.

 

2-ter. I provvedimenti particolari adottati ai sensi del comma 1 possono riguardare anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale del gruppo, nonchè il divieto di effettuare determinate operazioni e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio.»;

 

3) il comma 3 è sostituito dal seguente:

 

«3. Le disposizioni emanate dalla Banca d'Italia per esercitare la vigilanza su base consolidata possono tenere conto, anche con riferimento alla singola banca, della situazione e delle attività dei soggetti indicati nelle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 65.» (8);

 

4) dopo il comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente:

 

«3-bis. La Banca d'Italia può impartire disposizioni, ai sensi del presente articolo, anche nei confronti di uno solo o di alcuni dei componenti il gruppo bancario.» (9);

 

i) all'articolo 68, dopo il comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente:

 

«3-bis. La Banca d'Italia può consentire che autorità competenti di altri Stati comunitari partecipino, per i profili di interesse, ad ispezioni presso le capogruppo ai sensi dell'articolo 61, qualora queste abbiano controllate sottoposte alla vigilanza di dette autorità.»;

 

l) l'articolo 69 è così modificato:

 

1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Collaborazione tra autorità e obblighi informativi»;

 

2) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. La Banca d'Italia definisce, anche sulla base di accordi con le autorità di vigilanza di altri Stati comunitari, forme di collaborazione e di coordinamento, nonchè la ripartizione dei compiti specifici di ciascuna autorità in ordine all'esercizio della vigilanza su base consolidata nei confronti di gruppi operanti in più Paesi.»;

 

3) dopo il comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti:

 

«1-bis. Per effetto degli accordi di cui al comma 1, la Banca d'Italia può esercitare la vigilanza consolidata anche:

 

a) sulle società finanziarie, aventi sede legale in un altro Stato comunitario, che controllano una capogruppo o una singola banca italiana;

 

b) sulle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dai soggetti di cui alla lettera a);

 

c) sulle società bancarie, finanziarie e strumentali partecipate almeno per il venti per cento, anche congiuntamente, dai soggetti indicati nelle lettere a) e b).

 

1-ter. La Banca d'Italia, qualora nell'esercizio della vigilanza consolidata verifichi una situazione di emergenza potenzialmente lesiva della stabilità del sistema finanziario italiano o di un altro Stato comunitario in cui opera il gruppo bancario, informa tempestivamente il Ministero dell'economia e delle finanze, nonchè, in caso di gruppi operanti anche in altri Stati comunitari, le competenti autorità monetarie.»;

 

m) l'articolo 107 è così modificato:

 

1) il comma 2 è sostituito dal seguente:

 

«2. La Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, detta agli intermediari iscritti nell'elenco speciale disposizioni aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale e il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni, nonchè l'informativa da rendere al pubblico sulle predette materie. La Banca d'Italia adotta, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli intermediari per le materie in precedenza indicate. Con riferimento a determinati tipi di attività la Banca d'Italia può inoltre dettare disposizioni volte ad assicurarne il regolare esercizio.» (10);

 

2) dopo il comma 2, è inserito il seguente:

 

«2-bis. Le disposizioni emanate ai sensi del comma 2 prevedono che gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale possano utilizzare:

 

a) le valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni previsti dall'articolo 53, comma 2-bis, lettera a);

 

b) sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, previa autorizzazione della Banca d'Italia.»;

 

3) il comma 4-bis è sostituito dal seguente:

 

«4-bis. La Banca d'Italia può imporre agli intermediari il divieto di intraprendere nuove operazioni e disporre la riduzione delle attività, nonchè vietare la distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio per violazione di norme di legge o di disposizioni emanate ai sensi del presente decreto.»;

 

n) dopo l'articolo 116, è inserito il seguente:

 

«Art. 116-bis (Decisioni di rating). - 1. La Banca d'Italia può disporre che le banche e gli intermediari finanziari illustrino alle imprese che ne facciano richiesta i principali fattori alla base dei rating che le riguardano. L'eventuale conseguente comunicazione non dà luogo ad oneri per il cliente.» (11).

 

 

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(3) Lettera così modificata dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(4) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(5) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(6) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(7) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(8) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(9) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(10) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(11) Lettera così modificata dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

 

 

Art. 2.

Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, in attuazione delle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE

1. Al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) l'articolo 6 è così modificato:

 

1) al comma 1, lettera a), dopo le parole: «controlli interni» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «, nonchè l'informativa da rendere al pubblico sulle stesse materie»;

 

2) dopo il comma 1, è inserito il seguente:

 

«1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), prevedono la possibilità di adottare sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali, previa autorizzazione della Banca d'Italia, nonchè di utilizzare valutazioni del rischio di credito rilasciate da società o enti esterni.»;

 

b) l'articolo 7 è così modificato:

 

1) al comma 2, dopo le parole: «lettera a)» sono aggiunte, in fine, le seguenti: «, e adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti restrittivi o limitativi concernenti i servizi, le attività, le operazioni e la struttura territoriale, nonchè vietare la distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio»;

 

c) l'articolo 11 è così modificato:

 

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. La Banca d'Italia, sentita la Consob:

 

a) determina la nozione di gruppo rilevante ai fini della verifica dei requisiti previsti dagli articoli 19, comma 1, lettera h), e 34, comma 1, lettera f);

 

b) emana disposizioni volte a individuare l'insieme dei soggetti da sottoporre a vigilanza su base consolidata tra quelli esercenti attività bancaria e servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, nonchè attività connesse e strumentali o altre attività finanziarie, come individuate ai sensi dell'articolo 59, comma 1, lettera b), del T.U. bancario. Tali soggetti sono individuati tra quelli che, non sottoposti a vigilanza consolidata ai sensi del medesimo testo unico:

 

1) sono controllati, direttamente o indirettamente, da una SIM o da una società di gestione del risparmio;

 

2) controllano, direttamente o indirettamente, una SIM o una società di gestione del risparmio.»;

 

2) dopo il comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente:

 

«1-bis. Il gruppo individuato ai sensi del comma 1, lettera b), è iscritto in un apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia. La capogruppo comunica tempestivamente alla Banca d'Italia l'esistenza del gruppo e la sua composizione aggiornata. Copia della predetta comunicazione è trasmessa dalla Banca d'Italia alla Consob.» (12);

 

d) l'articolo 12 è così modificato:

 

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

 

«1. La Banca d'Italia impartisce alla società posta al vertice del gruppo individuato ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), disposizioni riferite al complesso dei soggetti individuati ai sensi del medesimo articolo, aventi ad oggetto le materie dell'articolo 6, commi 1, lettera a), e 1-bis. Ove lo richiedano esigenze di stabilità, la Banca d'Italia può emanare nelle stesse materie disposizioni di carattere particolare.»;

 

2) dopo il comma 1, è inserito il seguente:

 

«1-bis. In armonia con la disciplina comunitaria, la Banca d'Italia individua le ipotesi di esenzione dall'applicazione delle disposizioni adottate ai sensi del comma 1.»;

 

3) il comma 2 è sostituito dal seguente:

 

«2. La società capogruppo, nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, emana disposizioni alle singole componenti del gruppo individuato ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), per l'esecuzione delle istruzioni impartite dalla Banca d'Italia. Gli organi amministrativi delle società del gruppo sono tenuti a fornire ogni dato e informazione per l'emanazione delle disposizioni e la necessaria collaborazione per il rispetto delle norme sulla vigilanza consolidata.» (13);

 

4) il comma 3 è sostituito dal seguente:

 

«3. La Banca d'Italia e la Consob possono chiedere, per le materie di rispettiva competenza, ai soggetti individuati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), al soggetto che controlla la società capogruppo di cui all'articolo 11, comma 1-bis, la SIM o la società di gestione del risparmio, nonchè a quelli che sono controllati, direttamente o indirettamente, ovvero partecipati almeno per il venti per cento da uno dei soggetti individuati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), la trasmissione, anche periodica, di dati e informazioni.»;

 

5) dopo il comma 3, è inserito il seguente:

 

«3-bis. Nell'esercizio della vigilanza su base consolidata, la Banca d'Italia può impartire disposizioni, ai sensi del presente articolo, nei confronti di tutti i soggetti inclusi nel gruppo individuato ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b).»;

 

6) il comma 5 è sostituito dal seguente:

 

«5. La Banca d'Italia e la Consob possono, per le materie di rispettiva competenza:

 

a) effettuare ispezioni presso i soggetti individuati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b);

 

b) al fine esclusivo di verificare l'esattezza dei dati e delle informazioni forniti, effettuare ispezioni presso i soggetti controllati, direttamente o indirettamente, ovvero partecipati almeno per il venti per cento da uno dei soggetti individuati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b).»;

 

7) dopo il comma 5, è aggiunto, in fine, il seguente:

 

«5-bis. Nell'esercizio della vigilanza su base consolidata, la Banca d'Italia può adottare i provvedimenti previsti dall'articolo 7, comma 2, nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera b).».

 

 

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(12) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(13) Numero così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

 

 

Art. 3.

Modifica dell'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, in materia di servizi di assistenza a terra negli aeroporti.

[1. L'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18, è sostituito dal seguente:

 

«Art. 14 (Protezione sociale). - 1. Fatte salve le disposizioni normative e contrattuali di tutela, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel caso di trasferimento delle attività concernenti una o più categorie di servizi di assistenza a terra di cui agli allegati A e B, al fine di individuare gli strumenti utili a governare gli effetti sociali derivanti dal processo di liberalizzazione, il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, garantisce il coinvolgimento dei soggetti sociali, anche a mezzo di opportune forme di concertazione.»] (14).

 

 

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(14) Articolo soppresso dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15. Il comma 2 dell'art. 1 della stessa legge ha così disposto: «2. Sono fatti salvi gli effetti prodotti, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, dall'articolo 3 del decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297.».

 

 

Art. 4.

Misure conseguenti a pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee

1. In esecuzione dell'ordinanza del Presidente della Corte di giustizia delle Comunità europee 19 dicembre 2006, in causa C-503/06, è sospesa l'applicazione della legge della regione Liguria 31 ottobre 2006, n. 36.

 

 

Art. 5.

Agenzia nazionale per i giovani.

1. In attuazione della decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, è costituita, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l'Agenzia nazionale per i giovani, con sede in Roma. Le funzioni di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia sono esercitate congiuntamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro delegato per le politiche giovanili e dal Ministro della solidarietà sociale.

 

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono trasferite all'Agenzia nazionale per i giovani le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale dell'Agenzia nazionale italiana gioventù, costituita presso il Ministero della solidarietà sociale, che viene conseguentemente soppressa. Le risorse dell'Agenzia sono prevalentemente utilizzate per il perseguimento delle finalità istituzionali alla stessa attribuite (15) (16).

 

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(15) Periodo aggiunto dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

(16) Lo statuto dell'Agenzia nazionale per i giovani è stato emanato con D.P.R. 27 luglio 2007, n. 156. Per la dotazione organica dell'Agenzia vedi il comma 4-bis dell'art. 28, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

 

Art. 6.

Disposizione finanziaria.

1. Dall'attuazione degli articoli 1, 2, 3 e 4 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica o minori entrate.

 

2. Per l'attuazione dell'articolo 5 è autorizzata la spesa di euro 600.000 per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Al relativo onere si provvede, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, quanto ad euro 300.000, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 19, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e, quanto ad euro 300.000, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, e successive modificazioni, come determinata dalla tabella C della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Per gli anni successivi all'anno 2009 si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio (17).

 

 

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(17) Comma così modificato dalla legge di conversione 23 febbraio 2007, n. 15.

 

 

Art. 7.

Entrata in vigore.

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.


 

D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46.
Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali.

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 febbraio 2007, n. 38.

(2)  Convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 6 aprile 2007, n. 46 (Gazz. Uff. 11 aprile 2007, n. 84), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

 

Art. 1.

Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, resa in data 1° giugno 2006 nella causa C-207/05. Attuazione della decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002. Procedura d'infrazione ex articolo 228 del Trattato CE n. 2006/2456 (3).

1. Il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte e dei relativi interessi calcolati ai sensi dell'articolo 3, terzo comma, della decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l'aiuto è stato fruito, è effettuato dall'Agenzia delle entrate (4).

 

2. L'Agenzia delle entrate, sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie ai sensi rispettivamente dei punti 2 e 3 del provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 1° giugno 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 14 giugno 2005, emesso in attuazione del comma 6 dell'articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62, nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, liquida le imposte con i relativi interessi; in caso di mancata presentazione della dichiarazione, l'Agenzia delle entrate liquida le somme dovute sulla base degli elementi direttamente acquisiti. L'Agenzia delle entrate provvede al recupero degli aiuti nella misura della loro effettiva fruizione, notificando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo, contenente l'ingiunzione di pagamento delle somme dovute, con l'intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, si procede, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non versate, nonchè degli ulteriori interessi dovuti. Non si fa luogo, in ogni caso, all'applicazione di sanzioni per violazioni di natura tributaria e di ogni altra specie comunque connesse alle procedure disciplinate dalle presenti disposizioni. Non sono applicabili gli istituti della dilazione dei pagamenti e della sospensione in sede amministrativa. La comunicazione contenente l'ingiunzione al pagamento delle somme dovute a titolo di restituzione dell'aiuto costituisce atto impugnabile davanti alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni (5).

 

3. Gli interessi sono determinati in base alle disposizioni di cui al capo V del regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, secondo i criteri di calcolo approvati dalla Commissione europea in relazione al recupero dell'aiuto di Stato C57/03, disciplinato dall'articolo 24 della legge 25 gennaio 2006, n. 29. Il tasso di interesse da applicare è il tasso in vigore alla data di scadenza ordinariamente prevista per il versamento di saldo delle imposte non corrisposte con riferimento al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell'aiuto.

 

4. Conformemente alla disciplina comunitaria applicabile ed alla decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, costituiscono deroghe al divieto previsto dall'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, e non sono pertanto oggetto di iscrizione a ruolo a titolo definitivo, gli aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell'ambito di applicabilità della regola «de minimis», esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea, o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, vigenti nel periodo di riferimento (6).

 

5. Ai fini del recupero di cui al presente articolo, appartengono alla categoria degli aiuti «de minimis» gli aiuti che, in base alla comunicazione 92/C 213/02 della Commissione del 20 maggio 1992, non eccedono l'importo complessivo di 50.000 ECU, elevato a 100.000 ECU con la comunicazione 96/C 68/06 della Commissione, del 6 marzo 1996, su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto «de minimis»; tale massimale si applica indipendentemente dalla forma degli aiuti o dall'obiettivo perseguito (7).

 

6. Per gli aiuti concessi sotto la vigenza della regolamentazione «de minimis» di cui alla comunicazione 92/C 213/02 della Commissione, del 20 maggio 1992 ed alla comunicazione 96/C 68/06 della Commissione, del 6 marzo 1996, il triennio di riferimento per il calcolo del limite massimo ha carattere fisso, esaurito il quale inizia a decorrere un nuovo triennio. Per la verifica del limite si sommano tutti gli importi di aiuti «de minimis», di qualsiasi tipologia, ottenuti dallo stesso soggetto nel triennio. Ai fini dell'applicazione della regola «de minimis» nei confronti delle società beneficiarie è condizione necessaria che il risparmio d'imposta goduto, risultante dalla sommatoria dell'esenzione fiscale fruita per ogni periodo di imposta, sia inferiore a detto massimale (8).

 

7. Conformemente alle indicazioni fornite dalla Commissione con la comunicazione 96/C 68/06 del 6 marzo 1996, l'importo massimo di aiuto nel periodo di riferimento è espresso sotto forma di sovvenzione diretta di denaro. Gli aiuti erogati in forma diversa, ai fini dell'applicazione del limite previsto dalla regola «de minimis», devono essere convertiti in equivalente sovvenzione, calcolata al lordo dell'imposta eventualmente applicabile sull'aiuto. Ai fini della determinazione del limite per gli aiuti «de minimis» ottenuti fino al 31 dicembre 1998, si applicano i tassi variabili di conversione del valore nominale in lire nel valore in ECU; per gli aiuti ottenuti dal 1° gennaio 1999 il tasso di conversione in euro è fisso e pari a 1.936,27. Il tasso di conversione lira/ECU da applicare è quello medio annuale relativo all'esercizio precedente a quello di concessione dell'aiuto «de minimis».

 

8. Sono esclusi dal cumulo per il computo dell'importo massimo fissato per l'applicazione della regola «de minimis» gli aiuti autorizzati dalla Commissione o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria anche se riferiti allo stesso presupposto, qualora la rispettiva normativa non preveda diversamente (9).

 

9. Le società beneficiarie, che intendono avvalersi della disposizione di cui al comma 4, producono dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, contenente tutte le informazioni relative agli aiuti «de minimis» ricevuti con riferimento al periodo di godimento dell'esenzione fiscale dichiarata aiuto di Stato illegittimo dalla decisione 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002, conformemente alla disciplina pro-tempore vigente (10).

 

10. La documentazione di cui al comma 9 è consegnata a mano o inviata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro quindici giorni dalla notifica della comunicazione-ingiunzione di cui al comma 2, all'ufficio che ha adottato l'atto.

 

11. Sono abrogati i commi da 2 a 6 dell'articolo 27 della legge 18 aprile 2005, n. 62.

 

 

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(3) Rubrica così modificata dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(4) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(5) Comma così modificato prima dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46 e poi dal comma 4 dell'art. 2, D.L. 8 aprile 2008, n. 59.

(6) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(7) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(8) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(9) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.

(10) Comma così modificato dalla legge di conversione 6 aprile 2007, n. 46.


 

D.P.C.M. 7 settembre 2007.
Integrazioni agli articoli 3 e 7 del regolamento interno del Consiglio dei Ministri.

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 13 settembre 2007, n. 213.

(2) Il presente provvedimento è anche citato, per coordinamento, in nota al comma 1 dell'art. 3 e al comma 5-bis dell'art. 7, D.P.C.M. 10 novembre 1993.

 

 

IL PRESIDENTE

 

DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

 

Visto l'art. 4, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

 

Visto il regolamento interno del Consiglio dei Ministri, emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993;

 

Visti in particolare, gli articoli 1, 3 e 7 del predetto regolamento;

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7 settembre 2007;

 

 

Emana

 

le seguenti modifiche al regolamento

 

interno del Consiglio dei Ministri:

 

Art. 1. 

1. Al regolamento interno del Consiglio dei Ministri sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) all'art. 3, comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L'iscrizione è, altresì, subordinata alla previa verifica della compatibilità dello schema con l'ordinamento comunitario, dichiarata all'atto della richiesta dall'amministrazione proponente»;

 

b) all'art. 7, dopo il comma 5, è aggiunto, in fine, il seguente: «5-bis. Il Presidente del Consiglio o il Ministro da lui delegato possono riportare all'esame del Consiglio immediatamente successivo i provvedimenti che evidenzino un palese contrasto con l'ordinamento comunitario».


 

L. 25 febbraio 2008, n. 34.
Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. (Legge comunitaria 2007).


 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 6 marzo 2008, n. 56, S.O.

 

 

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Promulga

 

la seguente legge:

 

Capo I

 

DISPOSIZIONI GENERALI SUI PROCEDIMENTI PER L'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI COMUNITARI

 

Art. 1

(Delega al Governo per l'attuazione di direttive comunitarie)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro la scadenza del termine di recepimento fissato dalle singole direttive, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli Allegati A e B. Per le direttive elencate negli Allegati A e B il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Per le direttive elencate negli Allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

2.  I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.

 

3.  Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell'elenco di cui all'Allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'Allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di sessanta giorni.

 

4.  Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 

5.  Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 11-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11, introdotto dall'articolo 6 della presente legge.

 

6.  I decreti legislativi, relativi alle direttive di cui agli Allegati A e B, adottati, ai sensi dell'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, si applicano alle condizioni e secondo le procedure di cui all'articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

 

7.  Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino esercitate alla scadenza del previsto termine, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche europee ogni sei mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse, da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

8.  Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Art. 2

(Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa)

1.  Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui ai capi II e III, ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

 

 

a)  le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative;

b)  ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;

c)  al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena sopra indicati sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Le somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione, stabilite con i provvedimenti adottati in attuazione della presente legge, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle amministrazioni competenti all'irrogazione delle stesse;

d)  eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183;

e)  all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;

f)  nella stesura dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)  quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;

h)  qualora non siano d'ostacolo i diversi termini di recepimento, vengono attuate con unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.

 

 

Art. 3

(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)

1.  Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, e di regolamenti comunitari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.

 

2.  La delega di cui al comma 1, è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c).

 

3.  Gli schemi di decreto legislativo di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell'articolo 1.

 

Art. 4

(Oneri relativi a prestazioni e controlli)

1.  In relazione agli oneri per prestazioni e controlli di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le entrate derivanti dalle tariffe determinate ai sensi del predetto articolo, qualora riferite all'attuazione delle direttive di cui agli Allegati A e B, nonché di quelle da recepire con lo strumento regolamentare, sono attribuite alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469.

 

Art. 5

(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi ed i criteri di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie.

 

2.  Il termine di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 25 gennaio 2006, n. 29, per l'adozione di un testo unico di coordinamento delle disposizioni attuative della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, con le norme legislative vigenti nella stessa materia, è prorogato al 30 giugno 2008.

 

3.  I testi unici e i codici di settore di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Le disposizioni contenute nei testi unici o nei codici di settore non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.

 

 

Art. 6

(Modifiche alla legge 4 febbraio 2005, n. 11)

1.  Alla legge 4 febbraio 2005, n. 11, sono apportate le seguenti modifiche:

 

a)  all'articolo 2, dopo il comma 4 è inserito il seguente:

«4-bis. Al fine del funzionamento del CIACE, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie potrà valersi, entro un contingente massimo di venti unità, di personale appartenente alla terza area o qualifiche equiparate, in posizione di comando proveniente da altre amministrazioni, al quale si applica la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, scelto prioritariamente tra coloro che hanno maturato un periodo di servizio di almeno due anni, o in qualità di esperto nazionale distaccato presso le istituzioni dell'Unione europea, o presso organismi dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Nell'ambito del predetto contingente, il numero delle unità di personale viene stabilito entro il 31 gennaio di ogni anno, nel limite massimo delle risorse finanziarie disponibili presso la Presidenza del Consiglio dei ministri»;

b)  all'articolo 8, comma 5, l'alinea è sostituito dal seguente: «Il disegno di legge di cui al comma 4 deve contenere una nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre, in cui il Governo:»;

c)  dopo l'articolo 11 è inserito il seguente:

«Art. 11-bis. - (Attuazione in via regolamentare di disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite mediante decreto legislativo). - 1. Contestualmente o dopo l'entrata in vigore di decreti legislativi, adottati per il recepimento di direttive per le quali la Commissione europea si è riservata di adottare disposizioni di attuazione, il Governo è autorizzato, qualora tali disposizioni siano state effettivamente adottate, a recepirle nell'ordinamento nazionale con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della citata legge n. 400 del 1988, e successive modificazioni, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della presente legge, con le procedure ivi previste»;

d)  all'articolo 15-bis, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

«3-bis. Quando uno degli atti della Comunità europea di cui al comma 1 è posto alla base di un disegno di legge di iniziativa governativa, di un decreto-legge, o di uno schema di decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee comunica al Parlamento le informazioni relative a tali atti»;

e)  dopo l'articolo 16 è inserito il seguente:

Art. 16-bis. - (Diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario). - 1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del citato Trattato.

2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 11, comma 8, della presente legge.

3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalità strutturali.

4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea

5. Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.

6. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 5:

a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;

b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 20 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;

c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato ed in ogni altro caso non rientrante nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).

7. La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3, 4 e 5, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato nonché l'indicazione delle modalità e i termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.

8. I decreti ministeriali di cui al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell'intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, in un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.

9. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa, all'adozione del provvedimento esecutivo indicato nel comma 8 provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.

10. Le notifiche indicate nei commi 7 e 8 sono effettuate a cura e a spese del Ministero dell'economia e delle finanze.

11. I destinatari degli aiuti di cui all'articolo 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea possono avvalersi di tali misure agevolative solo se dichiarano, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e secondo le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, di non rientrare fra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli aiuti che sono individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea, e specificati nel decreto di cui al presente comma».

 

2.  I commi da 1213 a 1223 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.

 

 

Capo II

DISPOSIZIONI PARTICOLARI DI ADEMPIMENTO E CRITERI SPECIFICI DI DELEGA LEGISLATIVA

 

Art. 7

(Modifiche all'articolo 18 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, in materia di controlli e di frodi alimentari)

1.  Il comma 1-bis dell'articolo 18 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, è sostituito dai seguenti:

«1-bis. L'AGEA è l'autorità nazionale responsabile delle misure necessarie per assicurare l'osservanza delle normative comunitarie, relative ai controlli di conformità alle norme di commercializzazione nel settore degli ortofrutticoli, avvalendosi dell'Agecontrol S.p.a. L'AGEA opera con le risorse umane e finanziarie assegnate a legislazione vigente.

1-ter. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può, con apposito decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individuare ulteriori organismi di controllo.

1-quater. L'AGEA assume l'incarico di coordinamento delle attività dei controlli di conformità degli organismi di cui al comma 1-ter.

1-quinquies. Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può, con apposito decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, aggiungere altri settori merceologici a quello di cui al comma 1-bis, una volta verificata la compatibilità con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili di AGEA e Agecontrol S.p.a.».

 

 

Art. 8

(Applicazione del regolamento (CE) n. 1028/2006 del Consiglio, del 19 giugno 2006, recante norme di commercializzazione applicabili alle uova)

1.  In applicazione dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1028/2006 del Consiglio, del 19 giugno 2006, recante norme di commercializzazione applicabili alle uova, le regioni e le province autonome competenti per territorio autorizzano, previo accertamento delle condizioni previste dalle norme comunitarie vigenti, i centri di imballaggio a classificare le uova ed attribuiscono a detti centri il prescritto codice di identificazione sulla base delle disposizioni adottate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

2.  Le disposizioni di cui al comma 1, non si applicano, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 1028/2006, ai produttori aventi fino a 50 galline ovaiole, a condizione che il nome e l'indirizzo del produttore siano indicati nel punto di vendita con un cartello a caratteri chiari e leggibili.

 

3.  L'autorizzazione di cui al comma 1 dispiega efficacia a decorrere dall'inclusione del centro di imballaggio, con relativo codice di identificazione, in un apposito elenco pubblicato nel sito Internet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali adotta le opportune norme tecniche che consentono alle regioni e alle province autonome che ne facciano richiesta di aggiornare direttamente, per i centri di imballaggio di propria competenza, l'elenco di cui al periodo precedente, provvedendo di propria iniziativa all'inclusione dei centri nel predetto elenco e alla cancellazione di cui al comma 4.

 

4.  Le regioni e le province autonome verificano che i centri di imballaggio autorizzati rispettino le prescrizioni previste dalle norme comunitarie vigenti e dispongono, se del caso, il ritiro dell'autorizzazione, la cui efficacia decorre dalla cancellazione dall'elenco di cui al comma 3.

 

5.  I controlli di cui all'articolo 7 del regolamento (CE) n. 1028/2006 sono svolti dall'Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

6.  Le sanzioni di cui all'articolo 5 della legge 3 maggio 1971, n. 419, restano in vigore. Le rimanenti disposizioni della citata legge 3 maggio 1971, n. 419, e quelle della legge 10 aprile 1991, n. 137, restano in vigore limitatamente agli adempimenti derivanti dall'applicazione del regolamento (CEE) n. 1907/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990.

 

7.  Le spese relative alle autorizzazioni di cui al comma 1 sono poste a carico dei richiedenti, secondo tariffe basate sul costo del servizio e modalità di versamento da stabilire con disposizioni delle regioni e delle province autonome competenti per territorio. I soggetti pubblici interessati all'attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti provvedono ai rispettivi adempimenti nell'ambito delle attuali dotazioni strumentali, finanziarie e di risorse umane disponibili a legislazione vigente.

 

 

Art. 9

(Modifiche alla legge 6 febbraio 2007, n. 13)

1.  Alla legge 6 febbraio 2007, n. 13, sono apportate le seguenti modifiche:

 

a)  all'articolo 20, comma 1, dopo le parole: «centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF)» sono inserite le seguenti: «o i centri di assistenza agricola (CAA)»;

b)  all'articolo 25, le parole: «del 21 ottobre 2001», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «del 15 ottobre 2001».

 

 

Art. 10

(Modifica all'articolo 3 della legge 8 luglio 1997, n. 213, e successive modificazioni, recante classificazione delle carcasse bovine, in applicazione dei regolamenti comunitari)

1.  All'articolo 3, comma 4, della legge 8 luglio 1997, n. 213, e successive modificazioni, le parole: «5 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «10 per cento».

 

 

Art. 11

(Modifica all'articolo 150, comma 2, lettera a), della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, in materia di protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio)

1.  All'articolo 150, comma 2, lettera a), della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, come sostituito dall'articolo 8 del decreto legislativo 13 febbraio 2006, n. 118, le parole: «compresa tra 3.000 euro e 50.000 euro;» sono sostituite dalle seguenti: «fino a 50.000 euro;».

 

Art. 12

(Modifica al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 904, che recepisce la direttiva n. 76/769/CEE, relativa alla immissione sul mercato ed all'uso di talune sostanze e preparati pericolosi)

1.  All'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 904, è aggiunto il seguente capoverso:

«articoli di pericultura: qualsiasi prodotto destinato a conciliare il sonno, il rilassamento, l'igiene, il nutrimento e il succhiare dei bambini, ovverosia destinato alla cura delle attività giornaliere dei bambini e le cui parti accessibili possono essere messe in bocca».

 

 

Art. 13

(Modifica dell'articolo 2449 del codice civile)

1.  L'articolo 2449 del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 2449. - (Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici). - Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.

Gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica.

I sindaci, ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza, restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica.

Alle società che fanno ricorso al capitale di rischio si applicano le disposizioni del sesto comma dell'articolo 2346. Il consiglio di amministrazione può altresì proporre all'assemblea, che delibera con le maggioranze previste per l'assemblea ordinaria, che i diritti amministrativi previsti dallo statuto a favore dello Stato o degli enti pubblici siano rappresentati da una particolare categoria di azioni. A tal fine è in ogni caso necessario il consenso dello Stato o dell'ente pubblico a favore del quale i diritti amministrativi sono previsti».

 

2.  Il consiglio di amministrazione, nelle società che ricorrono al capitale di rischio e nelle quali sia prevista la nomina di amministratori ai sensi dell'articolo 2449 del codice civile, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, adegua lo statuto entro otto mesi da tale data, prevedendo che i diritti amministrativi siano rappresentati da strumenti finanziari, non trasferibili e condizionati alla persistenza della partecipazione dello Stato o dell'ente pubblico, ai sensi dell'articolo 2346, sesto comma, del codice civile. Scaduto il predetto termine di otto mesi, perdono efficacia le disposizioni statuarie non conformi alle disposizioni dell'articolo 2449, come sostituito dal comma 1.

 

Art. 14

(Delega al Governo per la modifica del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214, di attuazione della direttiva 2002/89/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, previo parere dei competenti organi parlamentari e secondo le procedure di cui all'articolo 1, commi 2, 3 e 4, su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministro per le politiche europee, disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214. Tali disposizioni devono contenere misure efficaci per evitare che siano messe in commercio sostanze pericolose, con particolare riferimento alla fase dell'importazione e dello stoccaggio, anche mediante l'adozione di etichettature che possano consentire la tracciabilità dei prodotti sin dalla loro produzione.

 

 

Art. 15

(Disposizioni occorrenti per modifiche di norme in materia valutaria per effetto del regolamento (CE) n. 1889/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativo ai controlli sul denaro contante in entrata nella Comunità o in uscita dalla stessa)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2 nonché di quelli specifici di cui al comma 2 del presente articolo e secondo le procedure di cui all'articolo 1, commi 2, 3 e 4, uno o più decreti legislativi recanti norme integrative, correttive, modificative ed abrogative del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 125, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e di tutte le disposizioni normative relative alla materia valutaria alla luce delle norme introdotte dal regolamento (CE) n. 1889/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativo ai controlli sul denaro contante in entrata nella Comunità o in uscita dalla stessa, salva la possibilità di emanare disposizioni integrative e correttive entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al presente comma, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2 e secondo le procedure di cui all'articolo 1, commi 2, 3 e 4.

 

2.  I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)  coordinare le disposizioni normative del regolamento (CE) n. 1889/2005 con la normativa nazionale di recepimento delle direttive comunitarie relative alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo;

b)  mantenere l'obbligo di dichiarazione previsto dall'articolo 1, comma 2, della legge 17 gennaio 2000, n. 7, e dall'articolo 3 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e coordinarlo ed armonizzarlo con l'obbligo di dichiarazione disciplinato dall'articolo 3 del regolamento (CE) n. 1889/2005;

c)  prevedere adeguate forme di coordinamento e scambio di informazioni, tramite supporti informatici, tra le autorità competenti ai sensi del regolamento (CE) n. 1089/2005 e le autorità di cui all'articolo 22 della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, nonché le autorità competenti di altri Stati membri e di un Paese terzo e la Commissione;

d)  garantire la semplificazione, la trasparenza, la celerità, l'economicità e l'efficacia dell'azione amministrativa e dei procedimenti sanzionatori, prevedendo anche procedimenti distinti a seconda delle violazioni commesse e delle sanzioni applicabili, apportando le conseguenti modifiche alla fase dell'accertamento e agli adempimenti oblatori;

e)  riordinare il regime sanzionatorio, garantendo l'effettività dell'obbligo di dichiarazione e prevedendo sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate, entro i limiti minimi e massimi previsti dalla normativa vigente.

 

3.  Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Art. 16

(Disposizioni concernenti l'attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 del Consiglio, del 20 dicembre 2005, relativo alla istituzione di un sistema FLEGT per le importazioni di legname nella Comunità europea)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e con le procedure di cui all'articolo 1, commi 2, 3 e 4, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, degli affari esteri, dell'economia e delle finanze, della giustizia e per gli affari regionali e le autonomie locali, acquisito il parere dei competenti organi parlamentari e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un decreto legislativo per l'attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 del Consiglio, del 20 dicembre 2005, relativo all'istituzione di un sistema di licenze FLEGT (Forest Law Enforcement, Governance and Trade) per l'importazione di legname nella Comunità europea, secondo i seguenti princìpi direttivi:

 

a)  individuazione di una o più autorità nazionali competenti designate per la verifica, mediante le risorse già previste a legislazione vigente, delle licenze FLEGT e determinazione delle procedure amministrative e contabili finalizzate all'attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005;

b)  determinazione delle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 2173/2005 in modo tale che le sanzioni risultino dissuasive;

c)  individuazione delle opportune forme e sedi di coordinamento tra i soggetti istituzionali che dovranno collaborare nell'attuazione del regolamento e le associazioni ambientaliste e di categoria interessate alla materia, anche al fine di assicurare l'accesso alle informazioni e agli atti, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195;

d)  determinazione dell'importo di una tassa e sua destinazione a integrale copertura delle spese necessarie derivanti da iniziative ufficiali delle autorità competenti finalizzate a controlli a norma dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 2173/2005, a carico di coloro che importano legname proveniente dai Paesi con i quali trova applicazione il regime convenzionale previsto dal citato regolamento comunitario.

 

2.  Nella predisposizione del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo è tenuto a seguire i princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2.

 

 

3.  Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri, né minori entrate a carico della finanza pubblica.

 

Art. 17

(Attuazione della direttiva 2006/112/CE)

1.  L'articolo 2 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 273, è sostituito dal seguente:

«Art. 2. - (Periodo di applicazione). - 1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano nei limiti temporali previsti dalla direttiva 2006/138/CE del Consiglio, del 19 dicembre 2006, che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto relativamente al periodo di applicazione del regime di imposta sul valore aggiunto applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici».

 

 

Art. 18

(Delega al Governo per la modifica dell'articolo 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in relazione alle sanzioni per l'indebita percezione delle misure di sostegno dello sviluppo rurale)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della giustizia, disposizioni integrative e correttive per adeguare la disciplina sanzionatoria di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898, ai princìpi di proporzionalità della sanzione in base alla gravità, entità e durata dell'inadempienza, in applicazione del regolamento (CE) n. 1975/2006 della Commissione, del 7 dicembre 2006, ed in particolare degli articoli 18 e 31.

 

 

Art. 19

(Irregolarità nella circolazione dei prodotti soggetti ad accisa)

1.  All'articolo 7, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

«d) se i prodotti spediti dal territorio dello Stato non giungono a destinazione in un altro Stato membro e non è possibile stabilire il luogo in cui sono stati messi in consumo, l'irregolarità o l'infrazione si considera commessa nel territorio dello Stato e si procede alla riscossione dei diritti di accisa con l'aliquota in vigore alla data di spedizione dei prodotti, salvo che la prova della regolarità dell'operazione ovvero la prova che l'irregolarità o l'infrazione è stata effettivamente commessa fuori dal territorio dello Stato non venga fornita nel termine di quattro mesi decorrenti dalla data di spedizione o da quella in cui il mittente è venuto a conoscenza che è stata commessa una irregolarità o un'infrazione».

 

 

Art. 20

(Delega al Governo per la modifica del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196, recante attuazione della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante le disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196, necessarie al fine di correggere le disposizioni oggetto di procedura di infrazione e di modificare o abrogare le disposizioni comunque in contrasto con gli obblighi comunitari.

 

2.  Il decreto legislativo è adottato previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e con la procedura di cui all'articolo 1, commi 2, 3 e 4, nonché nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2 della presente legge.

3.  Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

Art. 21

(Delega al Governo per introdurre disposizioni correttive al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE, 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti)

1.  Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e con la procedura indicata all'articolo 1, commi 2, 3 e 4, un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti, al fine di correggere le disposizioni oggetto di procedura d'infrazione e per modificare o abrogare le disposizioni comunque in contrasto con gli obblighi comunitari, nonché per apportare le modifiche necessarie per consentire un più efficace funzionamento dei sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, in modo da adeguarli ai princìpi della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

 

2.  Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

Art. 22

(Disposizioni occorrenti per l'attuazione della direttiva 2006/117/EURATOM del Consiglio, del 20 novembre 2006, relativa alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine e con le modalità di cui all'articolo 1, un decreto legislativo al fine di dare organica attuazione alla direttiva 2006/117/EURATOM del Consiglio, del 20 novembre 2006, relativa alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, ed allo scopo di garantire l'adeguata protezione della popolazione ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, della medesima direttiva, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)  apportare le necessarie modifiche al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, recante attuazione delle direttive 89/618/EURATOM, 90/641/EURATOM, 92/3/EURATOM e 96/29/EURATOM, in materia di radiazioni ionizzanti;

b)  assicurare, nelle procedure autorizzative, di sorveglianza e controllo di cui al presente articolo, la previsione di misure atte a garantire il rispetto delle eventuali prescrizioni o condizioni fissate, nonché delle disposizioni nazionali e comunitarie concernenti la sicurezza dell'ambiente, l'adeguatezza delle condizioni di smaltimento e stoccaggio del materiale a destinazione, la tutela della salute dei lavoratori e delle popolazioni interessate;

c)  assicurare il pieno rispetto del principio di informazione preventiva delle autorità locali sulle misure di sorveglianza e controllo adottate nei casi di spedizione, trasferimento e transito del materiale radioattivo, con particolare riferimento ai provvedimenti di protezione ambientale e sanitaria e al comportamento in caso di emergenza;

d)  prevedere, ai fini del consenso, del diniego o della fissazione di condizioni per l'autorizzazione, criteri e prescrizioni atti a ridurre al minimo l'impatto ambientale e sanitario del materiale e delle spedizioni, nonché sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di violazione delle disposizioni attuative della direttiva 2006/117/EURATOM;

e)  fermo restando quanto previsto dalla legislazione vigente in materia, assicurare adeguate forme di consultazione e informazione di regioni ed enti locali con riguardo a quanto previsto dalla direttiva 2006/117/EURATOM, con particolare riferimento alle domande, autorizzazioni e spedizioni che interessano il territorio di loro competenza;

f)  prevedere adeguate misure di controllo relative alla destinazione dei rifiuti radioattivi e alle tipologie e caratteristiche delle discariche a cui vengono inviati gli stessi rifiuti, ai fini della salvaguardia della salute umana.

 

2.  Nel rispetto del termine di cui al comma 1, lo schema di decreto legislativo è trasmesso, oltre che alle competenti Commissioni parlamentari, anche alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini dell'acquisizione del relativo parere.

 

3  Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

Art. 23

(Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del capitale sociale)

1.  Il Governo è delegato ad adottare con le modalità e nei termini di cui all'articolo 1, un decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, che modifica la direttiva 77/91/CEE relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del capitale sociale, nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, nonché dei princìpi indicati nella direttiva e dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)  avvalersi, anche con riferimento alle operazioni di aumento di capitale, delle facoltà previste in tema di conferimenti in natura dall'articolo 10-bis della direttiva 77/91/CEE introdotto dalla direttiva 2006/68/CE, adottando quale periodo sufficiente di negoziazione un periodo non inferiore a sei mesi;

b)  non avvalersi, con riguardo alle sole società che non fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, della facoltà prevista dall'articolo 19, paragrafo 1, numeri da (i) a (v), della direttiva 77/91/CEE come modificato dalla direttiva 2006/68/CE;

c)  avvalersi, con riguardo alle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, della facoltà di cui all'articolo 19, paragrafo 1, numero (i), della direttiva 77/91/CEE, confermando la durata massima di diciotto mesi e il limite del 10 per cento del capitale di cui, rispettivamente, ai commi secondo e terzo dell'articolo 2357 del codice civile;

d)  consentire che le società anticipino fondi, accordino prestiti o forniscano garanzie per l'acquisto di proprie azioni da parte di un terzo o per la sottoscrizione da parte di un terzo di azioni emesse nel quadro di un aumento di capitale alle condizioni indicate all'articolo 23, paragrafo 1, e all'articolo 23-bis della direttiva 77/91/CEE come modificata dalla direttiva 2006/68/CE, mantenendo la deroga di cui all'articolo 2358, terzo comma, del codice civile e confermando, altresì, la disciplina della fusione a seguito di acquisizione con indebitamento di cui all'articolo 2501-bis del codice civile

 

 

Art. 24

(Delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine e con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi per l'attuazione dell'articolo 51 della direttiva 78/660/CEE, dell'articolo 37 della direttiva 83/349/CEE e della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio, coordinandola, per tutto quanto compatibile con la direttiva 2006/43/CE stessa, con le modifiche apportate dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303, alla parte IV, titolo III, capo II, sezione VI, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, secondo i princìpi e i criteri direttivi di seguito indicati:

 

a)  individuazione delle società obbligate a sottoporre a revisione il bilancio, secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria;

b)  definizione delle norme in materia di abilitazione e formazione continua, avvalendosi delle opzioni offerte dagli articoli 9 e 12 della direttiva 2006/43/CE, in modo da garantire l'idoneità professionale dei revisori;

c)  disciplina del regime della responsabilità civile dei revisori avuto riguardo degli orientamenti assunti in sede comunitaria e tenendo conto dell'esigenza di mantenere elevati incentivi ad effettuare una revisione di qualità e di tutelare i risparmiatori, della proporzionalità della responsabilità dei soggetti coinvolti nella redazione e nella revisione del bilancio rispetto ai danni dagli stessi cagionati, dell'esigenza di contenere il costo del capitale e la concentrazione nel mercato della revisione;

d)  disciplina dell'albo dei revisori e del sistema pubblico di vigilanza, secondo una ripartizione di competenze che tuteli efficacemente l'affidamento dei risparmiatori sulla revisione del bilancio;

e)  individuazione degli enti di interesse pubblico, ai fini dell'applicazione della disciplina più stringente in materia di revisione prevista dalla direttiva 2006/43/CE, negli emittenti, nelle banche e nelle imprese di assicurazione, nonché, in sede di prima applicazione del numero 13) dell'articolo 2 della direttiva 2006/43/CE, nelle imprese di investimento;

f)  previsione, nell'introduzione del comitato per il controllo interno e per la revisione contabile, di cui all'articolo 41 della direttiva 2006/43/CE, di soluzioni che consentano alle società di evitare per quanto possibile la moltiplicazione di organi sociali;

g)  coordinamento delle funzioni rispettive del revisore e del collegio sindacale;

h)  previsione dell'applicazione obbligatoria di princìpi internazionali di revisione, previa loro adozione da parte della Unione europea;

i)  riordino della disciplina sanzionatoria in materia di revisione, in modo da renderla effettiva, proporzionale e dissuasiva.

 

2.  Dall'esercizio della delega di cui al comma 1 non devono derivare oneri o minori entrate per il bilancio dello Stato.

 

 

Art. 25

 (Deleghe al Governo per il completamento dell'attuazione delle direttive 2001/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, e 2003/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2003, nonché per l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 per le imprese di assicurazione)

1.  Al fine di completare l'adeguamento dell'ordinamento italiano alle disposizioni della direttiva 2001/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, che modifica le direttive 78/660/CEE, 83/349/CEE e 86/635/CEE per quanto riguarda le regole di valutazione per i conti annuali e consolidati di taluni tipi di società nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie, e della direttiva 2003/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2003, che modifica le direttive 78/660/CEE, 83/349/CEE, 86/635/CEE e 91/674/CEE relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società, delle banche e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione, il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro della giustizia, previo parere dei competenti organi parlamentari, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, salva la facoltà prevista dall'articolo 1, comma 5, uno o più decreti legislativi, secondo i princìpi e i criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, nonché secondo gli ulteriori princìpi e criteri di seguito indicati:

a)  modificazione della normativa civilistica di bilancio per avvicinarla alle disposizioni previste dai princìpi contabili internazionali compatibilmente con le opzioni consentite dalle direttive, assicurando un congruo periodo interinale per l'adeguamento;

b)  adozione di due nuovi documenti aggiuntivi del bilancio (prospetto delle variazioni delle voci di patrimonio netto e rendiconto finanziario) e loro disciplina;

c)  adozione di uno schema di stato patrimoniale basato sulla distinzione tra voci di carattere corrente o non corrente e semplificazione del contenuto dello stato patrimoniale e del conto economico, facendo salva la completezza e l'analiticità dell'informazione del bilancio attraverso il dettaglio richiesto in nota integrativa;

d)  modificazione dei criteri di valutazione con adozione del criterio del valore equo (fair value), in via facoltativa, per la valutazione degli strumenti finanziari e di altre specifiche attività, e, in via obbligatoria, per la valutazione degli strumenti finanziari derivati;

e)  modificazione della disciplina del bilancio in forma abbreviata con utilizzo della facoltà di semplificazione prevista dalla direttiva 78/660/CEE anche per le società medio-piccole come individuate dall'articolo 27 della direttiva;

f)  coordinamento, nel rispetto e in coerenza con i princìpi contabili internazionali, delle altre disposizioni vigenti del codice civile;

g)  modificazione della normativa fiscale in materia di reddito d'impresa al fine di rendere neutrali le innovazioni derivanti dall'applicazione dei princìpi contabili internazionali.

 

2.  Al fine di completare l'adeguamento della disciplina di bilancio delle imprese di assicurazione ai princìpi contabili internazionali, il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali previsti dall'articolo 2, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro della giustizia, previo parere dei competenti organi parlamentari, ai sensi dell'articolo 1, comma 3 , salva la facoltà prevista dall'articolo 1, comma 5, della presente legge, uno o più decreti legislativi per l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di princìpi contabili internazionali, estendendo l'obbligo di applicare i princìpi contabili internazionali alla redazione del bilancio di esercizio.

 

3.  Dall'esercizio delle deleghe di cui al presente articolo non devono derivare oneri o minori entrate per il bilancio dello Stato.

 

 

Art. 26

(Delega al Governo per introdurre disposizioni per l'attuazione del regolamento (CE) n. 423/2007, concernente misure restrittive nei confronti dell'Iran)

1.  Nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per le politiche europee, del Ministro della giustizia e del Ministro del commercio internazionale, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'economia e delle finanze e degli altri Ministri competenti, nel rispetto del regolamento (CE) n. 423/2007 del Consiglio, del 19 aprile 2007, e secondo le procedure di cui all'articolo 1, commi 3, 4, 6 e 8 della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni dirette a regolamentare le transazioni connesse con i beni e tecnologie a duplice uso, le forniture di assistenza tecnica e/o finanziaria di servizi di intermediazione o di investimento, pertinenti a beni e tecnologie di duplice uso, nei confronti dell'Iran, nonché a stabilire norme recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni delle medesime disposizioni.

 

2.  L'esercizio della delega deve avvenire nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b), e), f) e g), nonché dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)  adeguamento al regolamento (CE) n. 423/2007 ed alle altre disposizioni comunitarie che dovessero essere adottate entro il termine di esercizio della delega stessa;

b)  coordinamento delle nuove disposizioni con la normativa vigente in tema di disciplina dei prodotti e tecnologie a duplice uso;

c)  previsione di procedure di autorizzazione alla fornitura di assistenza tecnica e in materia finanziaria pertinenti ai beni e tecnologie a duplice uso e all'esportazione ed importazione di beni e tecnologie a duplice uso nei confronti dell'Iran;

d)  previsione della pena della reclusione da tre a otto anni per i soggetti che violino i divieti di cui agli articoli 2, 4 e 5, paragrafo 1, del citato regolamento;

e)  previsione della pena della reclusione da due a sei anni per i soggetti che effettuino le operazioni di cui agli articoli 3, 5, paragrafo 2, e 6 del regolamento in assenza o in difformità delle autorizzazioni ivi previste;

f)  previsione della pena della reclusione da due a sei anni per i soggetti che violino i divieti di cui all'articolo 7, paragrafo 4, del regolamento.

 

3.  Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2 e secondo le procedure di cui al comma 1, il Governo può emanare disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1.

 

4.  Dall'esercizio della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

Art. 27

(Delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo relativo al rifinanziamento dei controlli sanitari ufficiali di cui al regolamento (CE) n. 882/2004)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le modalità di cui ai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1, un decreto legislativo per disciplinare le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali di cui al regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a) e g), nonché dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

 

a)  prevedere che la determinazione delle tariffe sia individuata tenendo conto dei criteri indicati nell'articolo 27 del regolamento (CE) n. 882/2004;

b)  porre a totale carico degli operatori del settore alimentare, dei mangimi e di quello zootecnico il costo derivante dai controlli supplementari previsti dall'articolo 28 del regolamento (CE) n. 882/2004.

 

2.  Fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, si applicano, ove di misura superiore a quelle stabilite dal regolamento (CE) n. 882/2004, le tariffe fissate dal decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 432, o quelle eventualmente rideterminate con disposizione regionale, ai fini dell'integrale copertura dei costi effettivi del servizio prestato.

 

 

Capo III

 

DISPOSIZIONI OCCORRENTI PER DARE ATTUAZIONE A DECISIONI QUADRO, ADOTTATE NELL'AMBITO DELLA COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE

 

Art. 28

(Delega al Governo per l'attuazione di decisioni quadro)

1.  Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle seguenti decisioni quadro:

 

a)  decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;

b)  decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio;

c)  decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato;

d)  decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie.

 

2.  I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.

 

3.  Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 6, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 e 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di sessanta giorni.

 

4.  Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle decisioni quadro che comportano conseguenze finanziarie sono corredati dalla relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 

5.  Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 1.

 

6.  Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari di cui al comma 3, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica; decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono adottati anche in mancanza di nuovo parere.

 

 

Art. 29

(Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato)

1.  Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g), nonché sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

 

a)  introdurre nel libro II, titolo VIII, capo II, del codice penale una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a cinque anni la condotta di chi, nell'ambito di attività professionali, intenzionalmente sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetta la promessa di tale vantaggio, nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative non meramente esecutive per conto di una entità del settore privato, per compiere o omettere un atto, in violazione di un dovere, sempreché tale condotta comporti o possa comportare distorsioni di concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali;

b)  prevedere la punibilità con la stessa pena anche di colui che, intenzionalmente, nell'ambito di attività professionali, direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette il vantaggio di cui alla lettera a);

c)  introdurre fra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le fattispecie criminose di cui alle lettere a) e b), con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti delle entità nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato.

 

 

Art. 30

(Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio)

1.  Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g), nonché sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

 

a)  prevedere nell'ambito del procedimento penale, in attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie pronunciate dalle autorità giudiziarie degli Stati membri, il riconoscimento e l'esecuzione sul territorio dello Stato di provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro emessi, a fini probatori o in funzione della successiva confisca, dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro;

b)  prevedere che:

1)  per «bene» debba intendersi quanto definito dall'articolo 2, lettera d), della decisione quadro;

2)  per «provvedimento di blocco o di sequestro» debba intendersi quanto definito dall'articolo 2, lettera c), della decisione quadro;

3)  la «prova» concerna gli oggetti e i documenti o i dati che possono essere utilizzati a fini probatori in procedimenti penali riguardanti un reato di cui alla lettera d) del presente comma;

c)  prevedere che l'esecuzione nel territorio dello Stato italiano nel quale si trova il bene o la prova riguardi qualsiasi provvedimento motivato adottato dall'autorità giudiziaria dello Stato di emissione per impedire provvisoriamente ogni operazione volta a distruggere, trasformare, spostare, trasferire o alienare beni che potrebbero essere oggetto di confisca o costituire una prova;

d)  prevedere che i provvedimenti dell'autorità giudiziaria di sequestro o blocco dei beni emessi dallo Stato richiedente abbiano riguardo ai reati di cui all'articolo 3, paragrafo 2, della decisione quadro ove sia prevista una pena detentiva non inferiore a tre anni, indipendentemente dalla previsione della doppia incriminabilità;

e)  subordinare, per le ipotesi di reato non contemplate nella lettera d), il riconoscimento e l'esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro emessi dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro:

1)  se per fini probatori, alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato ai sensi della legislazione italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legislazione dello Stato di emissione;

2)  se in funzione della successiva confisca del bene, alla condizione che i fatti per i quali esso è stato emesso costituiscano un reato che, ai sensi della legislazione italiana, consente il sequestro, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legge dello Stato di emissione;

f)  prevedere che la trasmissione dei provvedimenti di blocco o sequestro dei beni emessi dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro avvenga nelle forme della cooperazione giudiziaria diretta, avvalendosi, se del caso, dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea; anche al fine di individuare l'autorità competente, e assicurando in ogni caso modalità di trasmissione degli atti che consentano all'autorità giudiziaria italiana di stabilirne l'autenticità; prevedere, in caso di inoltro diretto, adeguate forme di comunicazione e informazione al Ministro della giustizia, anche a fini statistici;

g)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana che, nell'ambito di un procedimento penale, ha emesso un provvedimento di sequestro probatorio, preventivo o conservativo concernente cose che si trovano sul territorio di un altro Stato membro, si possa rivolgere direttamente all'autorità giudiziaria di tale Stato per avanzare la richiesta di riconoscimento e di esecuzione del provvedimento medesimo, alle condizioni e nei limiti della decisione quadro riportati nella presente legge; prevedere la possibilità di avvalersi dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea, anche al fine di individuare l'autorità competente; prevedere, in caso di inoltro diretto, adeguate forme di comunicazione e informazione al Ministro della giustizia, anche a fini statistici;

h)  prevedere la trasmissione d'ufficio, da parte dell'autorità giudiziaria italiana che si ritiene incompetente, direttamente all'autorità giudiziaria competente del provvedimento al quale occorre dare esecuzione nel territorio dello Stato, dandone comunicazione all'autorità giudiziaria dello Stato membro;

i)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana riconosca validità al provvedimento di blocco dei beni o di sequestro emesso dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro ove sussistano le condizioni ed i requisiti previsti dalla presente legge e vi dia esecuzione senza ritardo, prevedendo se necessario un termine e prevedendo altresì che venga dato immediato avviso dell'avvenuto blocco o sequestro all'autorità richiedente;

l)  prevedere che il vincolo di indisponibilità sul bene disposto dall'autorità giudiziaria italiana si protragga fino a quando essa non provveda in maniera definitiva sulle richieste dell'autorità giudiziaria dello Stato di emissione circa il trasferimento della prova ovvero circa la confisca del bene; prevedere la facoltà di apporre limiti e condizioni alla durata del sequestro disposto sul territorio italiano, ferma restando la possibilità di revoca da parte dell'autorità giudiziaria italiana, dopo aver acquisito eventuali osservazioni dell'autorità giudiziaria richiedente, che viene informata senza indugio;

m)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana possa rifiutare il riconoscimento o l'esecuzione del provvedimento di blocco o di sequestro dei beni quando il certificato di cui all'articolo 9 della decisione quadro non sia stato prodotto unitamente con la richiesta, ovvero sia incompleto o non corrisponda manifestamente al provvedimento in questione; quando vi siano cause di immunità o di privilegio a norma dello Stato di esecuzione; quando dalle informazioni contenute nel certificato di cui all'articolo 9 della decisione quadro risulti evidente che l'assistenza giudiziaria prestata violerebbe il principio del «ne bis in idem»; nel caso previsto all'articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro;

n)  prevedere che, nell'ipotesi in cui il certificato di cui all'articolo 9 della decisione quadro non sia stato prodotto, sia incompleto o non corrisponda manifestamente al provvedimento richiesto, l'autorità giudiziaria italiana possa imporre un termine all'autorità giudiziaria di altro Stato membro entro il quale deve essere prodotto il certificato completo o corretto, o farsi trasmettere un documento equipollente ovvero ancora dispensare l'autorità giudiziaria di emissione dalla presentazione del medesimo certificato, ove non vi sia esigenza di altre informazioni;

o)  prevedere che la decisione di rifiuto del riconoscimento o dell'esecuzione del provvedimento richiesto venga comunicata senza indugio all'autorità giudiziaria dello Stato richiedente;

p)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana possa disporre il rinvio, per una durata ragionevole, dell'esecuzione di un provvedimento di blocco o di sequestro, quando tale esecuzione possa arrecare pregiudizio ad un'indagine penale già in corso sul territorio dello Stato, ovvero quando i beni o la prova già siano sottoposti a vincolo di indisponibilità nell'ambito di un altro procedimento penale; prevedere che la decisione del rinvio venga comunicata immediatamente all'autorità giudiziaria richiedente dello Stato membro;

q)  prevedere che le richieste di riconoscimento di provvedimenti di blocco o sequestro provenienti dall'autorità giudiziaria dello Stato membro siano corredate da una richiesta di trasferimento della fonte di prova nello Stato di emissione, o da una richiesta di confisca o contengano, nel certificato di cui all'articolo 9 della decisione quadro, un'indicazione volta a mantenere il bene nello Stato di esecuzione fino a quando non siano avanzate le richieste di cui sopra;

r)  prevedere che le richieste di trasferimento della fonte di prova o di confisca del bene debbano essere disciplinate secondo le disposizioni contenute negli accordi internazionali in vigore per lo Stato italiano concernenti l'assistenza giudiziaria in materia penale e la cooperazione internazionale in materia di confisca;

s)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana, in deroga alle disposizioni in tema di assistenza giudiziaria richiamate alla lettera r), non possa rifiutare le richieste di trasferimento della fonte di prova per l'assenza del requisito della doppia incriminabilità, qualora le richieste riguardino reati di cui alla lettera d) e tali reati siano punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva di almeno tre anni;

t)  prevedere l'esperibilità dei rimedi di impugnazione ordinari previsti dal codice di procedura penale, anche a tutela dei terzi di buona fede, avverso i provvedimenti dell'autorità giudiziaria italiana relativi al riconoscimento e all'esecuzione di provvedimenti di blocco e di sequestro;

u)  prevedere, in caso di responsabilità dello Stato italiano per i danni causati dall'esecuzione di un provvedimento di blocco o sequestro richiesto dall'autorità giudiziaria dello Stato membro, l'attivazione senza ritardo del procedimento per il rimborso degli importi versati, a titolo di risarcimento per tale responsabilità, alla parte lesa.

 

 

Art. 31

(Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato)

1.  Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g), nonché sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

 

a)  prevedere la disciplina della confisca dello strumento di reato, secondo i seguenti criteri direttivi:

1)  obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, se appartenenti a uno degli autori del reato, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti;

2)  possibilità di disporre la confisca dello strumento di reato su cose appartenenti a persona diversa dall'autore, soltanto nei casi di agevolazione colposa;

3)  applicabilità della confisca dello strumento di reato nei casi in cui il reato è stato realizzato mediante cose, impianti o macchinari sprovvisti di requisiti di sicurezza richiesti dalla legge, nell'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni o controlli dell'autorità amministrativa, soltanto se i suddetti beni sono stati nuovamente utilizzati senza che sia stata data attuazione alle prescrizioni opportune per la messa in sicurezza impartite dall'autorità amministrativa, o comunque alla messa in sicurezza;

b)  prevedere la disciplina della confisca del provento del reato, secondo i seguenti criteri direttivi:

1)  obbligatorietà della confisca del prodotto e del prezzo del reato, nonché del profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato, e del suo impiego, nella parte in cui non debbano essere restituiti dal danneggiato, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti;

2)  possibilità di prevedere la confisca obbligatoria degli stessi beni, nella parte in cui non debbano essere restituiti al danneggiato, nel caso di proscioglimento per mancanza di imputabilità o per estinzione di un reato, la cui esistenza sia accertata con la sentenza che conclude il giudizio dibattimentale o abbreviato;

3)  obbligo di eseguire sempre la confisca, totale o parziale, su altri beni di valore equivalente a quello delle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto del reato, con eccezione dei beni impignorabili ai sensi dell'articolo 514 del codice di procedura civile;

c)  disciplinare i limiti della confisca nei confronti della persona estranea al reato, che ne abbia beneficiato, o che abbia ricevuto i beni per diritto successorio;

d)  aggiornare il catalogo dei reati per cui possa trovare applicazione la disciplina dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, in conformità a quanto disposto dall'articolo 3, paragrafo 3, della decisione quadro;

e)  prevedere che ai fini della confisca, anche ai sensi della lettera d), i beni che l'autore del reato abbia intestato affettatamente a terzi, o comunque possieda per interposta persona fisica o giuridica, siano considerati come a lui appartenenti;

f)  adeguare la disciplina della confisca nei confronti degli enti, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai princìpi di cui alle lettere b), c) ed e);

g)  prevedere che in ogni caso la confisca non pregiudichi i diritti di terzi in buona fede sulle cose che ne sono oggetto.

 

Art. 32

(Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie)

1.  Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g), nonché sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

 

a)  prevedere che ogni decisione, così come definita dall'articolo 1, lettera a), della decisione quadro, adottata dall'autorità giudiziaria di un altro Stato membro che infligga una sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, ad una persona fisica o giuridica possa trovare riconoscimento ed esecuzione a cura dell'autorità competente dello Stato italiano, quando la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione dispone all'interno dello Stato italiano di beni o di un reddito, ovvero ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, la propria sede statutaria;

b)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana, che ha, all'esito di un procedimento giurisdizionale, inflitto una sanzione pecuniaria, penale o amministrativa ad una persona fisica o ad una persona giuridica, possa richiedere il riconoscimento e l'esecuzione della medesima sanzione, per il tramite dell'autorità centrale di cui alla lettera d), alla competente autorità dello Stato membro in cui la persona fisica o giuridica contro la quale è stata emessa la decisione dispone di beni o di un reddito, ovvero ha la sua residenza abituale o, nel caso di una persona giuridica, ha la propria sede statutaria;

c)  prevedere che per sanzione pecuniaria si intenda quanto previsto dall'articolo 1, lettera b), della decisione quadro;

d)  individuare l'autorità centrale amministrativa per lo Stato italiano quale responsabile della trasmissione e ricezione amministrativa delle decisioni e dell'assistenza da fornire alle autorità competenti;

e)  prevedere che la richiesta di esecuzione della sanzione pecuniaria venga trasmessa all'autorità dello Stato di esecuzione corredata del certificato e secondo le modalità di cui all'articolo 4 della decisione quadro;

f)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana proceda al riconoscimento e all'esecuzione della sanzione pecuniaria conseguente ad una decisione dell'autorità di altro Stato membro, con riferimento ai reati indicati all'articolo 5 della decisione quadro, se punibili nell'altro Stato membro come definiti dalla propria legislazione e senza verifica della doppia punibilità;

g)  subordinare, con riferimento a reati diversi da quelli indicati alla lettera f), il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione di altro Stato membro alla condizione che la decisione medesima si riferisca a una condotta che costituisce reato ai sensi della legislazione italiana, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla sua qualifica;

h)  prevedere che l'autorità giudiziaria italiana proceda immediatamente al riconoscimento e all'esecuzione della decisione emessa dall'autorità giudiziaria di altro Stato membro; disciplinare i casi e i modi di rifiuto di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in conformità a quanto previsto dall'articolo 7 della decisione quadro;

i)  prevedere la possibilità per lo Stato italiano di ridurre o convertire l'importo della sanzione pecuniaria connessa alla decisione pronunciata dall'autorità competente dell'altro Stato membro secondo quanto stabilito all'articolo 8 della decisione quadro, ovvero la possibilità di sostituire la sanzione pecuniaria, in caso di mancato recupero, in pena detentiva o in altra sanzione penale secondo quanto previsto dalla legge italiana in materia di conversione di sanzioni di specie diversa nonché dall'articolo 10 della decisione quadro;

l)  prevedere l'applicabilità della legge italiana all'esecuzione di sanzioni pecuniarie inflitte dall'autorità di altro Stato membro di decisione, secondo le modalità di cui all'articolo 9, paragrafi 1 e 2, della decisione quadro, nonché la possibilità di esecuzione della sanzione pecuniaria sul territorio dello Stato anche nei casi in cui la legislazione italiana non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche, ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 3, della decisione quadro medesima;

m)  prevedere che eventuali provvedimenti di amnistia o grazia possano essere concessi sia dallo Stato di decisione che dallo Stato italiano e che solo lo Stato italiano possa decidere sulle domande di revisione della decisione emessa dall'autorità italiana;

n)  prevedere che l'autorità italiana che ha emesso la decisione informi senza ritardo l'autorità competente dello Stato membro di esecuzione che la decisione che ha irrogato la sanzione è stata, per qualsiasi motivo, privata del suo carattere esecutivo, sì da consentire all'autorità richiesta di porre immediatamente fine alla esecuzione della decisione, non appena informata; prevedere analoga disciplina per il caso di ritiro della decisione di esecuzione; prevedere, analogamente, che l'autorità italiana sospenda l'esecuzione della decisione richiesta dallo Stato di decisione appena ricevuta la comunicazione di cui ai periodi che precedono;

o)  prevedere che le somme riscosse dall'autorità italiana, in qualità di Stato di esecuzione, spettino allo Stato italiano;

p)  prevedere che la competente autorità italiana informi l'autorità dello Stato della decisione di ogni provvedimento adottato in ordine alla richiesta di riconoscimento e di esecuzione della sanzione pecuniaria, secondo le modalità di cui all'articolo 14 della decisione quadro;

q)  disciplinare i casi in cui la competente autorità dello Stato della decisione riacquista il diritto di procedere alla esecuzione della sanzione, secondo quanto disposto dall'articolo 15 della decisione quadro;

r)  prevedere la possibilità per l'autorità italiana competente di rifiutare l'esecuzione qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che le sanzioni pecuniarie si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o tendenze sessuali, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.

 

 

Allegato A

(Articolo 1, commi 1 e 3)

 

 

2006/137/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che modifica la direttiva 2006/87/CE che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna.

 

 

Allegato B

(Articolo 1, commi 1 e 3)

 

2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, sulle norme minime per l'applicazione dei regolamenti n. 3820/85/CEE e n. 3821/85/CEE del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio.

 

2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio.

 

2006/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, che modifica le direttive del Consiglio 78/660/CEE, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, 83/349/CEE, relativa ai conti consolidati, 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e 91/674/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione.

 

2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e che abroga la direttiva 91/157/CEE.

 

2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, che modifica la direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale sociale.

 

2006/69/CE del Consiglio, del 24 luglio 2006, che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l'evasione fiscale e che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie.

 

2006/86/CE della Commissione, del 24 ottobre 2006, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

 

2006/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che fissa i requisiti tecnici per le navi della navigazione interna e che abroga la direttiva 82/714/CEE del Consiglio.

 

2006/88/CE del Consiglio, del 24 ottobre 2006, relativa alle condizioni di polizia sanitaria applicabili alle specie animali d'acquacoltura e ai relativi prodotti, nonché alla prevenzione di talune malattie degli animali acquatici e alle misure di lotta contro tali malattie;

 

2006/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla disciplina dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della convenzione sull'aviazione civile internazionale, volume 1, parte II, capitolo 3, seconda edizione (1988) (versione codificata).

 

2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.

 

2006/117/EURATOM del Consiglio, del 20 novembre 2006, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito.

 

2006/118/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento.

 

2006/121/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che modifica la direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose per adattarla al regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e istituisce un'Agenzia europea per le sostanze chimiche.

 

2007/16/CE della Commissione, del 19 marzo 2007, recante modalità di esecuzione della direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) per quanto riguarda il chiarimento di talune definizioni.

 

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

Data a Roma, addì 25 febbraio 2008.


 

Normativa comunitaria

 


 

Reg.int. 19 giugno 1991.
Regolamento interno
Regolamento di procedura della Corte di giustizia delle Comunità europee.
(art. 104-ter)

 

 

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(1) Pubblicato nella G.U.C.E. 4 luglio 1991, n. L 176. Entrato in vigore il 1° settembre 1991.

 

(omissis)

Articolo 104 ter (149)

§1 Un rinvio pregiudiziale che sollevi una o più questioni relative ai settori previsti dal titolo VI del Trattato sull’Unione o dal titolo IV della parte terza del Trattato CE, su domanda del giudice nazionale o, in via eccezionale, d'ufficio, può essere sottoposto a un procedimento d'urgenza che deroga alle disposizioni del presente regolamento.

 

La domanda del giudice nazionale deve esporre le circostanze di diritto e di fatto che comprovano l'urgenza e giustificano l'applicazione di tale procedimento derogatorio, ed indica, per quanto possibile, la soluzione che tale giudice propone alle questioni pregiudiziali.

 

Se il giudice nazionale non ha presentato alcuna domanda diretta all’adozione del procedimento d'urgenza, il presidente della Corte, qualora l'applicazione di tale procedimento sembri, prima facie, imporsi, può chiedere alla sezione di seguito indicata di verificare la necessità di sottoporre il rinvio al detto procedimento.

 

La decisione di sottoporre un rinvio al procedimento d'urgenza è adottata dalla sezione designata, su relazione del giudice relatore, sentito l'avvocato generale. La composizione della sezione è determinata conformemente all'articolo 11 quater il giorno dell'assegnazione della causa al giudice relatore qualora l'applicazione del procedimento d'urgenza sia richiesta dal giudice nazionale o, se l'applicazione di tale procedimento è esaminata su domanda del presidente della Corte, il giorno in cui tale domanda è presentata.

 

§2 Qualora il giudice nazionale abbia chiesto l'applicazione del procedimento d'urgenza o qualora il presidente abbia chiesto alla sezione designata di esaminare la necessità di sottoporre il rinvio a tale procedimento, il rinvio pregiudiziale ai sensi del paragrafo precedente è immediatamente notificato a cura del cancelliere alle parti in causa dinanzi al giudice nazionale, allo Stato membro a cui appartiene quest’ultimo nonché alle istituzioni di cui all'articolo 23, primo comma, dello Statuto alle condizioni previste da tale disposizione.

 

La decisione di sottoporre o di non sottoporre il rinvio pregiudiziale al procedimento d'urgenza è immediatamente notificata al giudice nazionale nonché alle parti, allo Stato membro e alle istituzioni di cui al comma precedente. La decisione di sottoporre il rinvio al procedimento d'urgenza fissa il termine entro il quale questi ultimi possono depositare memorie o osservazioni scritte. La decisione può precisare i punti di diritto sui quali devono vertere tali memorie o osservazioni scritte e può fissare la lunghezza massima di tali scritti.

 

Non appena avvenuta la notifica di cui al primo comma, il rinvio pregiudiziale è inoltre comunicato agli interessati di cui all'articolo 23 dello Statuto diversi dai destinatari della notifica, e la decisione di sottoporre o di non sottoporre il rinvio al procedimento d'urgenza è comunicata ai medesimi non appena avvenuta la notifica di cui al secondo comma.

 

Le parti e gli altri interessati di cui all'articolo 23 dello Statuto sono informati non appena possibile della data prevedibile dell'udienza.

 

Qualora il rinvio non sia sottoposto al procedimento d'urgenza, il procedimento prosegue conformemente alle disposizioni dell'articolo 23 dello Statuto e alle disposizioni applicabili del presente regolamento.

 

§3 Il rinvio pregiudiziale sottoposto a procedimento d'urgenza nonché le memorie o le osservazioni scritte depositate sono notificati agli interessati di cui all'articolo 23 dello Statuto diversi dalle parti e dagli interessati di cui al primo comma del paragrafo precedente. Il rinvio pregiudiziale è accompagnato da una traduzione, se del caso da un sunto, alle condizioni fissate dall'articolo 104, paragrafo 1.

 

Le memorie o le osservazioni scritte depositate vengono, inoltre, notificate alle parti e agli altri interessati di cui al primo comma del paragrafo precedente.

 

La data dell'udienza è comunicata alle parti e agli altri interessati con le notifiche previste ai commi precedenti.

 

§4 La sezione, in casi di estrema urgenza, può decidere di omettere la fase scritta del procedimento di cui al paragrafo 2, secondo comma, di questo articolo.

 

§5 La sezione designata statuisce, sentito l'avvocato generale.

 

Essa può decidere di riunirsi in collegio di 3 giudici. In tal caso, essa è composta dal presidente della sezione designata, dal giudice relatore e dal primo o, se del caso, dai primi due giudici designati in base all’elenco di cui all’articolo 11 quater, paragrafo 2, al momento della determinazione della composizione della sezione designata, conformemente al paragrafo 1, quarto comma, di questo articolo.

 

Essa può anche decidere di rinviare la causa alla Corte ai fini della sua assegnazione a un collegio giudicante più ampio. Il procedimento d'urgenza prosegue dinanzi al nuovo collegio, se del caso dopo la riapertura della fase orale del procedimento.

 

§6 Gli atti processuali previsti dal presente articolo si considerano depositati con la trasmissione alla cancelleria, mediante telecopiatrice o qualsiasi altro mezzo tecnico di comunicazione di cui disponga la Corte, di una copia dell'originale firmato nonché degli atti e documenti invocati a sostegno, con l’indice di cui all’articolo 37, paragrafo 4. L'originale dell'atto e gli allegati citati sopra sono trasmessi alla cancelleria della Corte.

 

Le notifiche e le comunicazioni previste dal presente articolo possono essere effettuate trasmettendo una copia del documento mediante telecopiatrice o qualsiasi altro mezzo tecnico di comunicazione di cui dispongano la Corte e il destinatario.

 

 

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(149) Articolo inserito dall'articolo 1 del regolamento interno 15 gennaio 2008.

 

 (omissis)


 

Reg. (CEE) 15 ottobre 1968, n. 1612/68.
Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.

 

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(1) Pubblicato nella G.U.C.E. 19 ottobre 1968, n. L 257. Entrato in vigore l'8 novembre 1968.

(2)  Per un'attuazione del presente regolamento, vedi la decisione 2003/8/CE, con decorrenza indicata al suo articolo 11.

 

Il Consiglio delle Comunità europee,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 49,

 

vista la proposta della Commissione,

 

visto il parere del Parlamento europeo,

 

visto il parere del Comitato economico e sociale,

 

considerando che la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità dev'essere realizzata al più tardi al termine del periodo transitorio; che il conseguimento di quest'obiettivo implica l'abolizione, fra i lavoratori degli Stati membri, di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, nonché il diritto di questi lavoratori di spostarsi liberamente all'interno della Comunità per esercitare un'attività subordinata, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica;

 

considerando che, particolarmente a causa dell'accelerazione intervenuta nell'attuazione dell'unione doganale e affinché sia garantita la realizzazione simultanea dei fondamenti essenziali della Comunità, occorre adottare disposizioni che permettano di raggiungere gli obiettivi fissati dagli articoli 48 e 49 del trattato in materia di libera circolazione e di completare i provvedimenti adottati successivamente nel quadro del regolamento n. 15 relativo alle prime misure per l'attuazione della libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità e del regolamento n. 38/64/CEE del Consiglio del 25 marzo 1964 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità;

 

considerando che la libera circolazione costituisce per i lavoratori e per le loro famiglie un diritto fondamentale; che la mobilità della manodopera nella Comunità dev'essere uno dei mezzi che garantiscano al lavoratore la possibilità di migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro e di facilitare la sua promozione sociale, contribuendo nel contempo a soddisfare le necessità dell'economia degli Stati membri; che occorre affermare il diritto di tutti i lavoratori degli Stati membri di esercitare l'attività di loro scelta all'interno della Comunità;

 

considerando che questo diritto deve essere riconosciuto indistintamente ai lavoratori "permanenti", stagionali e frontalieri o a quelli che esercitino la loro attività in occasione di una prestazione di servizi;

 

considerando che il diritto di libera circolazione richiede, perché esso possa essere esercitato in condizioni obiettive di libertà e di dignità, che sia assicurata di diritto e di fatto la parità di trattamento per tutto ciò che si riferisce all'esercizio stesso di un'attività subordinata e all'accesso all'alloggio, e che siano anche eliminati gli ostacoli che si oppongono alla mobilità dei lavoratori, specie per quanto riguarda il diritto per il lavoratore di farsi raggiungere dalla famiglia e le condizioni d'integrazione della famiglia nella società del Paese ospitante;

 

considerando che il principio della non discriminazione fra i lavoratori della Comunità implica il riconoscimento per tutti i cittadini degli Stati membri della stessa precedenza nel collocamento di cui beneficiano i lavoratori nazionali; considerando che è necessario rafforzare i meccanismi di contatto e di compensazione, specie mediante lo sviluppo della collaborazione diretta tra i servizi centrali di manodopera e tra i servizi regionali, nonché mediante un'intensificata e coordinata azione di informazione, per assicurare in generale una migliore trasparenza del mercato del lavoro; che i lavoratori che desiderano spostarsi devono anche essere informati regolarmente in merito alle condizioni di vita e di lavoro; che inoltre occorre prevedere misure per il caso in cui uno Stato membro subisca o preveda perturbazioni sul mercato del lavoro che possano comportare gravi rischi per il livello di vita e di occupazione in una regione o industria; che, all'uopo, l'azione di informazione tendente a scoraggiare i movimenti di manodopera verso tali regioni o industrie costituisce il mezzo da applicare in primo luogo, ma che, se necessario, i risultati di tale azione devono poter essere rafforzati da una sospensione temporanea di detti meccanismi con una decisione a livello comunitario;

 

considerando che esistono stretti legami fra la libera circolazione dei lavoratori, l'occupazione e la formazione professionale, nella misura in cui quest'ultima tende a porre in grado i lavoratori di rispondere ad offerte concrete di lavoro provenienti da altre regioni della Comunità; che tali legami rendono necessario lo studio dei problemi inerenti a queste materie non più isolatamente, ma nei loro rapporti d'interdipendenza, tenendo altresì conto dei problemi dell'occupazione sul piano regionale, e che è pertanto necessario orientare gli sforzi degli Stati membri nel senso di un coordinamento comunitario della loro politica dell'occupazione;

 

considerando che il Consiglio, con decisione del 15 ottobre 1968 ha reso applicabili ai dipartimenti francesi d'oltremare gli articoli 48 e 49 del trattato nonché le disposizioni prese per la loro applicazione,

 

ha adottato il presente regolamento:

 

Parte prima

L'impiego e la famiglia dei lavoratori

TITOLO I

Accesso all'impiego

 

Articolo 1

 

1. Ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un'attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali di detto stato.

 

2. Egli gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa precedenza riservata ai cittadini di detto Stato, per l'accesso agli impieghi disponibili.

 

 

Articolo 2

Ogni cittadino di uno Stato membro e ogni datore di lavoro che esercita un'attività sul territorio di uno Stato membro possono scambiare le loro domande e offerte d'impiego, concludere contratti di lavoro e darvi esecuzione, conformemente alle vigenti disposizioni legislative, regolamentari e amministrative senza che possano risultarne discriminazioni.

 

 

Articolo 3

1. Nel quadro del presente regolamento non sono applicabili le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro:

 

- che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l'offerta d'impiego, l'accesso all'impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri;

 

- o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall'impiego offerto. Il disposto del comma precedente non concerne le condizioni relative alle conoscenze linguistiche richieste in relazione alla natura dell'impiego offerto.

 

2. Fra le disposizioni o pratiche di cui al paragrafo 1, primo comma, sono comprese in particolare quelle che, in uno Stato membro:

 

a) rendono obbligatorio il ricorso a procedure di reclutamento di manodopera speciali per gli stranieri;

 

b) limitano o subordinano a condizioni diverse da quelle applicabili ai datori di lavoro che esercitano la loro attività sul territorio di detto Stato l'offerta di impiego per mezzo della stampa o con qualunque altro mezzo;

 

c) subordinano l'accesso all'impiego a condizioni d'iscrizione agli uffici di collocamento, od ostacolano il reclutamento nominativo di lavoratori, quando si tratta di persone che non risiedono sul territorio di detto Stato.

 

 

Articolo 4

1. Le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che limitano, per impresa, per ramo di attività, per regioni o su scala nazionale, il numero o la percentuale degli stranieri occupati non sono applicabili ai cittadini degli altri Stati membri.

 

2. Quando in uno Stato membro l'attribuzione di qualsiasi vantaggio a talune imprese e subordinata all'impiego di una percentuale minima di lavoratori nazionali, i cittadini degli altri Stati membri sono considerati come lavoratori nazionali, fatte salve le disposizioni della direttiva del Consiglio del 15 ottobre 1963.

Articolo 5

Il cittadino di uno Stato membro, che ricerca un impiego sul territorio di un altro Stato membro, vi riceve la stessa assistenza che gli uffici del lavoro di quest'ultimo Stato prestano ai loro cittadini che ricercano un impiego.

 

Articolo 6

1. L'assunzione e il reclutamento di un cittadino di uno Stato membro per un impiego in un altro Stato membro non possono essere subordinati a criteri medici, professionali o altri, discriminatori a motivo della cittadinanza rispetto a quelli applicati ai cittadini dell'altro Stato membro che intendono esercitare la stessa attività.

 

2. Tuttavia, il cittadino titolare di un'offerta nominativa da parte di un datore di lavoro di uno Stato membro diverso da quello di cui è cittadino può essere sottoposto ad un esame professionale se il datore di lavoro lo richieda espressamente al momento della presentazione dell'offerta.

 

Parte prima

 

L'impiego e la famiglia dei lavoratori

 

TITOLO II

 

Esercizio dell'impiego e parità di trattamento

 

Articolo 7

1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

 

2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

 

3. Egli fruisce altresì, allo stesso titolo ed alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali, dell'insegnamento delle scuole professionali e dei centri di riadattamento o di rieducazione.

 

4. Tutte le clausole di contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni collettive concernenti l'accesso all'impiego, l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e di licenziamento, sono nulle di diritto nella misura in cui prevedano o autorizzino condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri.

 

 

Articolo 8

1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro gode della parità di trattamento per quanto riguarda l'iscrizione alle organizzazioni sindacali e l'esercizio dei diritti sindacali, ivi compreso il diritto di voto e l'accesso ai posti amministrativi o direttivi di un'organizzazione sindacale (3); egli può essere escluso dalla partecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico e dall'esercizio di una funzione di diritto pubblico. Gode inoltre del diritto di eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori nell'impresa.

 

Queste disposizioni non infirmano le norme legislative o regolamentari che, in taluni Stati membri, accordano diritti più ampi ai lavoratori provenienti da altri Stati membri.

 

2. ... (4)

 

 

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(3)  Comma così modificato dall'articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CEE) 312/76.

(4)  Paragrafo soppresso dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CEE) 312/76.

 

 

Articolo 9

1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro gode di tutti i diritti e vantaggi accordati ai lavoratori nazionali per quanto riguarda l'alloggio, ivi compreso l'accesso alla proprietà dell'alloggio di cui necessita.

 

2. Detto lavoratore può iscriversi, nella regione in cui è occupato, allo stesso titolo dei nazionali, negli elenchi dei richiedenti alloggio nelle località ove tali elenchi esistono, e gode dei vantaggi e precedenze che ne derivano.

 

La sua famiglia, rimasta nel Paese di provenienza, è considerata a tal fine come se fosse residente nella predetta regione, nei limiti in cui un'analoga presunzione valga per i lavoratori nazionali.

 

Articolo 10

[1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

 

a) il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

 

b) gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

 

2. Gli Stati membri favoriscono l'ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel Paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.

 

3. Ai fini dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri.] (5).

 

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(5)  Abrogato dall'articolo 38 della direttiva 2004/38/CE, con decorrenza indicata nello stesso articolo, così come sostituita dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

Articolo 11

[Il coniuge ed i figli minori di anni 21 o a carico di un cittadino di uno Stato membro che eserciti sul territorio di uno Stato membro un'attività subordinata o non subordinata, hanno il diritto di accedere a qualsiasi attività subordinata su tutto il territorio di tale Stato, anche se non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro.] (6).

 

 

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(6)  Abrogato dall'articolo 38 della direttiva 2004/38/CE, con decorrenza indicata nello stesso articolo, così come sostituita dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 29 giugno 2004, n. L 229.

 

 

Articolo 12

I figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, sono ammessi a frequentare i corsi d'insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale stato, se i figli stessi vi risiedono.

 

Gli Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a questi giovani di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni.

 

 

Parte seconda

 

Azione per mettere in contatto e per compensarele offerte e le domande d'impiego

 

TITOLO I

 

Collaborazione tra gli Stati membri e con la Commissione

 

Articolo 13

1. Gli Stati membri o la Commissione promuovono o intraprendono in collaborazione, in materia di occupazione e di disoccupazione, tutti gli studi che essi ritengono necessari nel quadro dell'attuazione della libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.

 

I servizi centrali dell'occupazione degli Stati membri collaborano strettamente tra loro e con la Commissione allo scopo di giungere ad un'azione comune in materia di compensazione tra le domande e le offerte di lavoro nella Comunità e del conseguente collocamento dei lavoratori (7).

 

2. A tale scopo gli Stati membri designano i servizi specializzati che sono incaricati di organizzare i lavori nei settori suindicati e di collaborare tra loro e con i servizi della Commissione.

 

Gli Stati membri comunicano alla Commissione ogni modifica che intervenga nella designazione di tali servizi e la Commissione la pubblica, per informazione, nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.

 

 

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(7)  Comma così modificato dall'articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Articolo 14

1. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione le informazioni relative ai problemi e ai dati concernenti la libera circolazione e l'occupazione dei lavoratori, nonché le informazioni relative alla situazione e all'evoluzione dell'occupazione (8).

 

2. La Commissione fissa la maniera in cui vengono stabilite le informazioni previste al paragrafo 1, tenendo nella massima considerazione il parere del Comitato tecnico (9).

 

3. Il servizio specializzato di ciascuno Stato membro, conformemente alle modalità stabilite dalla Commissione tenendo nella massima considerazione il parere del Comitato tecnico, comunica ai servizi specializzati degli altri Stati membri e all'Ufficio europeo di coordinamento le informazioni relative alle condizioni di vita e di lavoro e alla situazione sul mercato del lavoro, atte a fornire un orientamento ai lavoratori degli altri Stati membri. Tali informazioni sono regolarmente aggiornate (10).

 

I servizi specializzati degli altri Stati membri assicurano ampia pubblicità a tali informazioni, in particolare diffondendole presso i competenti servizi dell'occupazione e con tutti i mezzi di comunicazione che si prestino all'informazione dei lavoratori interessati (11).

 

 

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(8)  Paragrafo così modificato dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CEE) 2434/92.

(9)  Paragrafo così sostituito dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CEE) 2434/92.

(10)  Comma così modificato dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CEE) 2434/92.

(11)  Comma così modificato dall'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Parte seconda

 

Azione per mettere in contatto e per compensarele offerte e le domande d'impiego

 

TITOLO II

 

Meccanismo di compensazione

 

Articolo 15

1. Il servizio specializzato di ciascuno Stato membro trasmette regolarmente ai servizi specializzati degli altri Stati membri e all'ufficio europeo di coordinamento:

 

a) le offerte di lavoro suscettibili di essere soddisfatte da cittadini di altri Stati membri;

 

b) le offerte di lavoro trasmesse agli Stati non membri;

 

c) le richieste di lavoro presentate da persone che hanno formalmente dichiarato di volere lavorare in un altro Stato membro;

 

d) alcune informazioni, per regione e settore di attività, riguardanti i richiedenti lavoro che abbiano dichiarato di essere effettivamente disposti ad occupare un posto di lavoro in un altro Paese.

 

Il servizio specializzato di ogni Stato membro comunica al più presto queste informazioni ai competenti servizi ed organismi dell'occupazione.

 

2. Le offerte e le richieste di lavoro previste al paragrafo 1 sono oggetto di diffusione secondo un sistema uniforme stabilito dall'ufficio europeo di coordinamento, in collaborazione con il Comitato tecnico.

 

Se necessario, l'Ufficio europeo di coordinamento può adeguare tale sistema in collaborazione con il Comitato tecnico (12).

 

 

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(12)  Articolo così sostituito dall'articolo 1, paragrafo 3, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Articolo 16

1. Ogni offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 15, inviata ai servizi dell'occupazione di uno Stato membro, viene comunicata e trattata dai servizi della manodopera competenti degli altri Stati membri interessati.

 

Tali servizi trasmettono le candidature precise e appropriate ai servizi del primo Stato membro.

 

2. Le richieste di lavoro previste all'articolo 15, paragrafo 1, lettera c) sono oggetto di una risposta da parte dei servizi interessati degli Stati membri entro un termine ragionevole che non deve superare un mese.

 

3. I servizi dell'occupazione concedono ai lavoratori cittadini degli Stati membri la stessa priorità attribuita ai lavoratori nazionali rispetto ai lavoratori cittadini di stati non membri (13).

 

 

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(13)  Articolo così sostituito dall'articolo 1, paragrafo 4, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Articolo 17

1. Le operazioni di cui all'articolo 16 sono eseguite dai servizi specializzati. Tuttavia, nella misura in cui vi siano stati autorizzati dai servizi centrali e in cui l'organizzazione dei servizi dell'occupazione di uno Stato membro e le tecniche di collocamento utilizzate vi si prestino,

 

a) i servizi regionali dell'occupazione degli Stati membri:

 

I) in base ai messaggi di cui all'articolo 15, a cui faranno seguito le opportune operazioni, procedono direttamente alle operazioni necessarie per mettere in contatto e compensare le offerte e le domande di lavoro;

 

II) stabiliscono relazioni dirette di compensazione:

 

- nel caso di offerte nominative;

 

- nel caso di domande di lavoro individuali rivolte a un servizio dell'occupazione determinato o a un datore di lavoro che eserciti la sua attività nella circoscrizione di tale servizio;

 

- quando le operazioni di compensazione riguardano manodopera stagionale il cui reclutamento debba essere effettuato con la massima sollecitudine (14);

 

b) i servizi territorialmente responsabili per regioni limitrofe di due o più Stati membri si scambiano regolarmente i dati relativi alle offerte e alle domande di lavoro al loro livello e procedono direttamente fra loro, secondo le stesse modalità applicabili nelle relazioni con gli altri servizi dell'occupazione del proprio Paese, alle operazioni per mettere in contatto e compensare le offerte e le domande di lavoro.

 

Se necessario, i servizi territorialmente responsabili per regioni limitrofe sviluppano anche strutture di cooperazione e di servizio, per offrire:

 

- agli utenti il maggior numero possibile di informazioni pratiche sui vari aspetti della mobilità e

 

- alle parti sociali e economiche, ai servizi sociali (enti pubblici, privati o di pubblica utilità) e all'insieme delle istituzioni interessate, un quadro di misure coordinate in materia di mobilità (15);

 

c) i servizi ufficiali di collocamento specializzati per determinate professioni e per determinate categorie di persone stabiliscono tra loro una cooperazione diretta.

 

2. Gli Stati membri interessati comunicano alla Commissione l'elenco dei servizi di cui al paragrafo 1, stabilito di comune accordo; la Commissione pubblica questo elenco, per informazione, nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, nonché qualsiasi eventuale modifica dell'elenco stesso.

 

 

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(14)  Paragrafo così modificato dall'articolo 1, paragrafo 5, del regolamento (CEE) 2434/92.

(15)  Lettera così sostituita dall'articolo 1, paragrafo 5, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Articolo 18

Il ricorso alle procedure di reclutamento applicate dagli organismi d'esecuzione previsti negli accordi conclusi tra due o più Stati membri non è obbligatorio.

 

Parte seconda

 

Azione per mettere in contatto e per compensarele offerte e le domande d'impiego

 

TITOLO III

 

Provvedimenti regolatori in favore dell'equilibrio del mercato del lavoro

 

Articolo 19

1. Sulla base di una relazione della Commissione elaborata a partire dalle informazioni fornite dagli Stati membri, questi ultimi e la Commissione analizzano almeno una volta all'anno e in comune i risultati delle disposizioni comunitarie in materia di offerta e di richieste di posti di lavoro (16).

 

2. Gli Stati membri esaminano con la Commissione ogni possibilità intesa a collocare con precedenza i cittadini degli Stati membri negli impieghi disponibili allo scopo di realizzare l'equilibrio tra le offerte e le domande di lavoro nella Comunità. Essi adottano tutti i provvedimenti necessari a tal fine.

 

3. Ogni due anni, la Commissione trasmette al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale una relazione sull'attuazione della seconda parte del presente regolamento la quale riepiloghi le informazioni ottenute e i dati provenienti dagli studi e dalle ricerche effettuati e fornisca qualsiasi elemento utile concernente l'evoluzione del mercato del lavoro della Comunità (17).

 

 

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(16)  Paragrafo così sostituito dall'articolo 1, paragrafo 6, del regolamento (CEE) 2434/92.

(17)  Paragrafo aggiunto dall'articolo 1, paragrafo 6, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

 

Articolo 20

... (18)

 

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(18)  Articolo soppresso dall'articolo 1, paragrafo 7, del regolamento (CEE) 2434/92.

 

Parte seconda

 

Azione per mettere in contatto e per compensarele offerte e le domande d'impiego

 

TITOLO IV

 

Ufficio europeo di coordinamento

 

Articolo 21

L'Ufficio europeo per il coordinamento della compensazione delle domande e delle offerte di lavoro, istituito in seno alla Commissione e denominato nel presente regolamento "Ufficio europeo di coordinamento", ha in generale il compito di favorire, sul piano della Comunità, l'azione volta a mettere in contatto o a compensare le domande e le offerte di impiego. In particolare, esso è incaricato di tutti i compiti tecnici attribuiti in materia alla Commissione a norma del presente regolamento e segnatamente di prestare assistenza ai servizi nazionali della manodopera. L'Ufficio europeo di coordinamento sintetizza le informazioni di cui agli articoli 14 e 15 e i dati risultanti dagli studi e dalle ricerche effettuati a norma dell'articolo 13, in modo che ne risultino gli elementi utili in merito alla prevedibile evoluzione del mercato del lavoro nella Comunità. Tali elementi vengono portati a conoscenza dei servizi specializzati degli Stati membri e dei comitati consultivo e tecnico.

 

Articolo 22

1. L'ufficio europeo di coordinamento è incaricato fra l'altro:

 

a) di coordinare le operazioni pratiche necessarie sul piano della Comunità per mettere in contatto e per compensare le domande e le offerte di impiego, e di analizzare i conseguenti movimenti di lavoratori;

 

b) di contribuire, in collaborazione col Comitato tecnico, a mettere in atto a tal fine, sul piano amministrativo e su quello tecnico, i mezzi di azione comune;

 

c) di mettere in contatto, qualora si manifesti una particolare necessità, d'intesa con i servizi specializzati, le domande e le offerte di lavoro la cui compensazione sarà attuata da tali servizi.

 

2. Trasmette ai servizi specializzati le offerte e le domande di impiego indirizzate direttamente alla Commissione ed è informato del seguito ad esse riservato.

 

Articolo 23

D'intesa con l'autorità competente di ogni Stato membro, e secondo le condizioni e le modalità che essa stabilisce previo parere del Comitato tecnico, la Commissione può organizzare visite e missioni di funzionari degli altri Stati membri, nonché programmi per il perfezionamento del personale specializzato.

 

Parte terza

 

Organismi incaricati di assicurare una stretta collaborazione tra gli Stati membri in materia di libera circolazione e di occupazione dei lavoratori

 

TITOLO I

 

Comitato consultivo

 

Articolo 24

Il Comitato consultivo è incaricato di assistere la Commissione nell'esame delle questioni sollevate dall'applicazione del trattato e delle disposizioni adottate per la sua attuazione in materia di libera circolazione e di occupazione dei lavoratori.

 

 

Articolo 25

Il Comitato consultivo è incaricato in particolare:

 

a) di esaminare i problemi della libera circolazione e dell'occupazione nell'ambito delle politiche nazionali della manodopera, ai fini di un coordinamento comunitario della politica dell'occupazione degli Stati membri che contribuisca allo sviluppo delle economie e ad un migliore equilibrio del mercato del lavoro nella Comunità;

 

b) di studiare, in generale, gli effetti dell'applicazione del presente regolamento e delle eventuali disposizioni complementari;

 

c) di presentare eventualmente alla Commissione proposte motivate di revisione del presente regolamento;

 

d) di formulare, su richiesta della Commissione o di propria iniziativa, pareri motivati su questioni di ordine generale o di principio, in particolare, sugli scambi d'informazioni relative all'evoluzione del mercato del lavoro, sui movimenti di lavoratori tra gli Stati membri, sui programmi o provvedimenti atti a migliorare l'orientamento professionale e la formazione professionale, al fine di aumentare le possibilità di libera circolazione e di occupazione, nonché su ogni forma di assistenza a favore dei lavoratori e delle loro famiglie, ivi comprese l'assistenza sociale e l'assistenza per l'alloggio dei lavoratori.

 

 

Articolo 26

1. Il Comitato consultivo è composto di sei membri titolari per ciascuno degli Stati membri, di cui due rappresentano il governo, due le organizzazioni sindacali dei lavoratori e due le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.

 

2. Per ognuna delle categorie di cui al paragrafo 1 è nominato un membro supplente per ciascuno Stato membro.

 

3. La durata del mandato dei membri titolari e supplenti è di due anni. Il mandato è rinnovabile.

 

I membri titolari e supplenti, al termine del mandato, restano in funzione fino a quando si sia provveduto alla loro sostituzione o al rinnovo del loro mandato.

 

 

Articolo 27

I membri titolari e supplenti del Comitato consultivo sono nominati dal Consiglio il quale, nella composizione del Comitato, si sforza di realizzare, per quanto riguarda i rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, un'equa rappresentanza dei vari settori economici interessati.

 

L'elenco dei membri titolari e supplenti è pubblicato dal Consiglio, a titolo informativo, nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.

 

Articolo 28

Il Comitato consultivo è presieduto da un membro della Commissione o da un suo rappresentante. Il presidente non ha diritto al voto. Il Comitato si riunisce almeno due volte all'anno ed è convocato dal presidente, su iniziativa di quest'ultimo o a richiesta di almeno un terzo dei membri.

 

I servizi di segreteria sono assicurati dalla Commissione.

 

Articolo 29

Il presidente può invitare a partecipare alle riunioni, in qualità di osservatori o di esperti, le persone o i rappresentanti di organismi che abbiano una vasta esperienza in materia di occupazione e di movimento dei lavoratori. Il presidente può essere assistito da consiglieri tecnici.

 

Articolo 30

 

1. Le deliberazioni del Comitato consultivo sono valide quando due terzi dei membri sono presenti.

 

2. I pareri devono essere motivati; sono adottati a maggioranza assoluta dei voti validamente espressi e sono accompagnati da una nota da cui risultino le opinioni formulate dalla minoranza, quando questa lo richieda.

 

Articolo 31

Il Comitato consultivo fissa i suoi metodi di lavoro con regolamento interno che entra in vigore dopo approvazione del Consiglio espressa su parere della Commissione. L'entrata in vigore delle eventuali modifiche che il Comitato decide di apportare al proprio regolamento interno e sottoposta alla medesima procedura.

Parte terza

 

Organismi incaricati di assicurare una stretta collaborazione tra gli Stati membri in materia di libera circolazione e di occupazione dei lavoratori

 

TITOLO II

 

Comitato tecnico

 

Articolo 32

Il Comitato tecnico è incaricato di assistere la Commissione nel preparare, promuovere e seguire nei loro risultati tutti i lavori ed i provvedimenti di carattere tecnico per l'esecuzione del presente regolamento e delle eventuali disposizioni complementari.

 

 

Articolo 33

Il Comitato tecnico è incaricato in particolare:

 

a) di promuovere e migliorare la collaborazione tra le amministrazioni interessate degli Stati membri in merito a tutte le questioni tecniche relative alla libera circolazione e all'occupazione dei lavoratori;

 

b) di elaborare le procedure relative all'organizzazione delle attività comuni delle amministrazioni interessate;

 

c) di facilitare la raccolta delle informazioni utili alla Commissione e l'esecuzione degli studi e delle ricerche previsti nel presente regolamento, come pure di favorire gli scambi di informazioni e di esperienze tra le amministrazioni interessate;

 

d) di studiare sul piano tecnico l'armonizzazione dei criteri in base ai quali gli Stati membri valutano la situazione del proprio mercato del lavoro.

 

 

Articolo 34

1. Il Comitato tecnico è composto di rappresentanti dei governi degli Stati membri. Ciascun governo nomina quale membro titolare del Comitato tecnico uno dei membri titolari che lo rappresentano in seno al Comitato consultivo.

 

2. Ciascun governo nomina un membro supplente scelto fra i suoi altri rappresentanti, titolare o supplente, in seno al Comitato consultivo.

 

 

Articolo 35

Il Comitato tecnico è presieduto da un membro della Commissione o da un suo rappresentante. Il presidente non ha diritto al voto. Il presidente ed i membri del Comitato possono essere assistiti da consiglieri tecnici.

 

I servizi di segreteria sono assicurati dalla Commissione.

 

 

Articolo 36

Le proposte ed i pareri formulati dal Comitato tecnico sono presentati alla Commissione e portati a conoscenza del Comitato consultivo. Tali proposte e pareri sono accompagnati da una nota dalla quale risultino le opinioni espresse dai vari membri del Comitato tecnico, quando questi lo richiedano.

 

 

Articolo 37

Il Comitato tecnico fissa i suoi metodi di lavoro con regolamento interno che entra in vigore dopo approvazione del Consiglio espressa su parere della Commissione. L'entrata in vigore delle eventuali modifiche che il Comitato decide di apportare al proprio regolamento interno è sottoposta alla medesima procedura.

 

 

Parte quarta

 

Disposizioni transitorie e finali

 

TITOLO I

 

Disposizioni transitorie

 

Articolo 38

Fino all'adozione da parte della Commissione del sistema uniforme di cui all'articolo 15, paragrafo 2, l'Ufficio europeo di coordinamento suggerisce ogni misura utile per l'elaborazione e la diffusione degli elenchi di cui all'articolo 15, paragrafo 1.

 

 

Articolo 39

I regolamenti interni dei comitati consultivo e tecnico vigenti al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento continuano ad essere applicabili.

 

 

Articolo 40

Fino all'entrata in vigore delle misure che gli Stati membri dovranno adottare in applicazione della direttiva del Consiglio del 15 ottobre 1968 e nella misura in cui, a norma delle disposizioni adottate dagli Stati membri in applicazione della direttiva del Consiglio del 25 marzo 1964, il permesso di lavoro di cui all'articolo 22 del regolamento n. 38/64/CEE sia necessario per la determinazione del periodo di validità e la proroga del permesso di soggiorno, una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro o un certificato di lavoro che precisi la durata dell'impiego tiene luogo di detto permesso di lavoro. La dichiarazione del datore di lavoro o il certificato di lavoro attestante che l'assunzione del lavoratore si riferisce ad un periodo indeterminato, avrà gli stessi effetti attribuiti al permesso di lavoro permanente.

 

 

Articolo 41

Qualora, a motivo dell'abolizione del permesso di lavoro, uno Stato membro non sia più in grado di procedere alla compilazione di talune statistiche sull'occupazione dei lavoratori stranieri, tale stato può mantenere in vigore, a scopo statistico, il permesso di lavoro per i cittadini degli altri Stati membri, fino all'introduzione di nuovi metodi statistici e non oltre il 31 dicembre 1969. Il permesso di lavoro deve essere rilasciato automaticamente ed essere valido fino all'abolizione effettiva dei permessi di lavoro in detto Stato membro.

 

 

Parte quarta

 

Disposizioni transitorie e finali

 

TITOLO II

 

Disposizioni finali

 

Articolo 42

1. Il presente regolamento non infirma le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio relative ai lavoratori di qualificazione confermata nelle professioni del carbone e dell'acciaio, né quelle del trattato che istituisce la Comunità europea dell'Energia Atomica relative all'accesso agli impieghi qualificati nel settore nucleare, né le disposizioni adottate in applicazione dei suddetti trattati.

 

Il presente regolamento si applica tuttavia alle categorie di lavoratori di cui al primo comma, nonché ai membri delle loro famiglie, nella misura in cui la loro situazione giuridica non sia disciplinata dai trattati o disposizioni summenzionati.

 

2. Il presente regolamento non infirma le disposizioni adottate conformemente all'articolo 51 del trattato.

 

3. Il presente regolamento non infirma gli obblighi degli Stati membri:

 

- derivanti da relazioni particolari o da accordi futuri con taluni Paesi o territori non europei fondati su vincoli istituzionali esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento;

 

- derivanti da accordi esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento con taluni Paesi o territori non europei in virtù di vincoli istituzionali precedentemente esistiti tra di loro.

 

I lavoratori di questi Paesi o territori che, conformemente alla suddetta disposizione, esercitano un'attività subordinata nel territorio di uno di tali Stati membri, non possono chiedere di beneficiare delle disposizioni del presente regolamento sul territorio degli altri Stati membri.

 

Articolo 43

Gli Stati membri comunicano per informazione alla Commissione il testo degli accordi, convenzioni o intese conclusi fra loro nel settore della manodopera tra la data della loro firma e quella della loro entrata in vigore.

 

 

Articolo 44

La Commissione adotta le misure di esecuzione necessarie per l'applicazione del presente regolamento. A tal fine essa agisce in stretto contatto con le amministrazioni centrali degli Stati membri.

 

Articolo 45

La Commissione presenterà al Consiglio proposte intese a sopprimere, alle condizioni previste dal trattato, le restrizioni all'accesso all'impiego dei lavoratori cittadini degli Stati membri, qualora il mancato riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati o altri titoli nazionali possa ostacolare la liberalizzazione dei movimenti dei lavoratori.

 

Articolo 46

Le spese di funzionamento dei comitati di cui alla parte terza sono iscritte nel bilancio delle Comunità europee, nella sezione relativa alla Commissione.

 

Articolo 47

Il presente regolamento si applica ai territori degli Stati membri e giova ai cittadini di detti stati, salve le disposizioni degli articoli 2, 3, 10 e 11.

 

Articolo 48

Le disposizioni del regolamento n. 38/64/CEE cessano di essere applicabili a decorrere dall'entrata in vigore del presente regolamento.

 

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

 

Fatto a Lussemburgo, addì 15 ottobre 1968.

 

 

Per il Consiglio

il presidente

G. Sedati

 

 

Allegato

 

... (19)

 

--------------------------------------------------------------------------------

(19)  Allegato soppresso dall'articolo 1, paragrafo 8, del regolamento (CEE) 2434/92.


 

Reg. (CE) 22 marzo 1999, n. 659/1999.
Regolamento del Consiglio
recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE.
(art. 14)

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

(1) Pubblicato nella G.U.C.E. 27 marzo 1999, n. L 83. Entrato in vigore il 16 aprile 1999.

(2)  Per le disposizioni di esecuzione del presente regolamento si veda il regolamento (CE) n. 794/2004, al cui articolo 13 si rimanda per ulteriori precisazioni.

(omissis)

Articolo 14

Recupero degli aiuti.

1. Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario (in seguito denominata "decisione di recupero"). La Commissione non impone il recupero dell'aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario.

 

2. All'aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero.

 

3. Fatta salva un'eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell'articolo 185 del trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario.

 


 

Dir. 18 settembre 2000, n. 2000/53/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa ai veicoli fuori uso.

 

(1) (2) (3)

 

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 21 ottobre 2000, n. L 269. Entrata in vigore il 21 ottobre 2000.

(2)  Termine di recepimento: vedi articolo 10 della presente direttiva. Direttiva recepita con D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209.

(3)  Vedi, l'allegato della decisione 2001/753/CE, relativo al questionario che gli Stati membri devono utilizzare per le loro relazioni sull'attuazione della presente direttiva e la decisione 2005/293/CE che istituisce le modalità di controllo dell'osservanza degli obiettivi di reimpiego/recupero e di reimpiego/riciclaggio fissati nella presente direttiva.

 

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 175, paragrafo 1,

 

vista la proposta della Commissione (4),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale (5),

 

previa consultazione del Comitato delle regioni,

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato, visto il progetto comune approvato dal comitato di conciliazione il 23 maggio 2000 (6),

 

considerando quanto segue:

 

(1) È opportuno armonizzare i diversi provvedimenti nazionali relativi ai veicoli fuori uso in primo luogo per ridurre al minimo l'impatto di questi veicoli sull'ambiente, contribuendo così alla protezione, alla conservazione e al miglioramento della qualità dell'ambiente nonché alla conservazione dell'energia e, in secondo luogo, per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno ed evitare distorsioni della concorrenza nella Comunità.

 

(2) È necessario un quadro giuridico comunitario che garantisca la coerenza degli approcci nazionali per il conseguimento degli obiettivi precedentemente indicati, con particolare riguardo alla progettazione dei veicoli in vista del loro riciclaggio e recupero, ai requisiti relativi agli impianti di raccolta e di trattamento ed al conseguimento di obiettivi di reimpiego, riciclaggio e recupero, tenendo conto del principio di sussidiarietà e del principio "chi inquina paga".

 

(3) Ogni anno i veicoli fuori uso nella Comunità producono 8-9 milioni di tonnellate di rifiuti, che devono essere gestiti correttamente.

 

(4) Per attuare i principi della precauzione e dell'azione preventiva e in conformità con la strategia comunitaria di gestione dei rifiuti, occorre evitare quanto più possibile la generazione di rifiuti.

 

(5) Secondo un altro principio fondamentale, i rifiuti dovrebbero essere reimpiegati e recuperati e si dovrebbero privilegiare il reimpiego e il riciclaggio.

 

(6) Gli Stati membri dovrebbero introdurre misure per assicurare che gli operatori economici istituiscano sistemi per la raccolta, il trattamento e il recupero dei veicoli fuori uso.

 

(7) Gli Stati membri dovrebbero assicurare che l'ultimo detentore e/o proprietario possa conferire il veicolo fuori uso a un impianto di trattamento autorizzato senza incorrere in spese per il fatto che il veicolo non ha più valore di mercato o ha valore di mercato negativo. Gli Stati membri dovrebbero assicurare che siano i produttori a sostenere, totalmente o in misura significativa, i costi derivanti dall'attuazione di tali misure. Il normale gioco delle forze di mercato non dovrebbe esserne ostacolato.

 

(8) La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai veicoli, ai veicoli fuori uso ed ai loro componenti e materiali, così come ai ricambi, ferme restando le norme di sicurezza e sul controllo delle emissioni atmosferiche e sonore.

 

(9) Ai fini della presente direttiva, per alcune definizioni si deve far riferimento ad altre direttive vigenti, vale a dire alla direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose, alla direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e alla direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti.

 

(10) I veicoli d'epoca, ossia i veicoli storici o di valore per i collezionisti o destinati ai musei, conservati in modo adeguato e attento all'ambiente, pronti all'uso ovvero in pezzi smontati non rientrano nella definizione di rifiuti ai sensi della direttiva 75/442/CEE e non sono soggetti alla presente direttiva.

 

(11) È importante attuare misure di prevenzione fin dalla fase di progettazione dei veicoli, in particolare riducendo e controllando le sostanze pericolose presenti nei veicoli, al fine di prevenirne il rilascio nell'ambiente, facilitare il riciclaggio ed evitare il successivo smaltimento di rifiuti pericolosi è opportuno proibire, in particolare, l'impiego di piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente. Tali metalli pesanti dovrebbero essere impiegati soltanto in determinate applicazioni, indicate in un elenco da riesaminare periodicamente. Ciò contribuirà ad assicurare che determinati materiali e componenti non diventino rifiuti frantumati né vengano inceneriti o smaltiti in discarica.

 

(12) Si dovrebbe continuamente migliorare il riciclaggio di tutte le materie plastiche derivanti da veicoli fuori uso. La Commissione sta attualmente esaminando l'impatto ambientale del PVC. La Commissione presenterà, in base a tale esame, appropriate proposte quanto all'impiego del PVC, che contengano considerazioni circa i veicoli.

 

(13) Le prescrizioni di demolizione, reimpiego e riciclaggio dei veicoli fuori uso e dei relativi componenti dovrebbero entrare a far parte della progettazione e produzione dei veicoli nuovi.

 

(14) È opportuno incoraggiare lo sviluppo del mercato dei materiali riciclati.

 

(15) Al fine di garantire che i veicoli fuori uso siano smaltiti senza pericolo per l'ambiente, dovrebbero essere istituiti opportuni sistemi di raccolta.

 

(16) Dovrebbe essere istituito un certificato di rottamazione, che costituisca il requisito per la cancellazione del veicolo fuori uso dal registro automobilistico. Gli Stati membri che non hanno un sistema di cancellazione dal registro automobilistico dovrebbero istituire un sistema in base al quale il certificato di rottamazione è trasmesso alle autorità competenti quando il veicolo fuori uso è consegnato a un impianto di trattamento.

 

(17) La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di autorizzare, ove opportuno, la sospensione temporanea dell'iscrizione al registro automobilistico.

 

(18) Gli operatori addetti alla raccolta e al trattamento dovrebbero poter operare solo se in possesso di autorizzazione o, qualora all'autorizzazione si sostituisca la registrazione, solo se in possesso di determinati requisiti.

 

(19) Si dovrebbero incoraggiare la riciclabilità e la recuperabilità dei veicoli.

 

(20) È importante stabilire i requisiti relativi alle operazioni di stoccaggio e di trattamento, al fine di prevenire impatti negativi sull'ambiente e di evitare che si creino distorsioni del commercio e della concorrenza.

 

(21) Per ottenere risultati a breve termine, e offrire nel contempo agli operatori, ai consumatori ed alle pubbliche amministrazioni prospettive a lungo termine, dovrebbero essere fissati obiettivi quantificati di reimpiego, riciclaggio e recupero per gli operatori economici.

 

(22) I produttori dovrebbero far sì che i veicoli siano progettati e fabbricati in modo da poter conseguire gli obiettivi quantificati di reimpiego, riciclaggio e recupero. A tal fine la Commissione promuoverà l'elaborazione di norme europee e adotterà le altre misure necessarie al fine di modificare la pertinente normativa comunitaria in materia di omologazione.

 

(23) Gli Stati membri dovrebbero garantire che, in sede di applicazione delle disposizioni della presente direttiva, sia salvaguardata la concorrenza, soprattutto per quanto riguarda l'accesso delle piccole e medie imprese al mercato della raccolta, della demolizione, del trattamento e del riciclaggio.

 

(24) Al fine di facilitare la demolizione e il recupero e, in particolare, il riciclaggio dei veicoli fuori uso, i costruttori dovrebbero fornire agli impianti di trattamento autorizzati tutte le informazioni necessarie per la demolizione, in particolare per le sostanze pericolose.

 

(25) Dovrebbe essere promossa, ove necessario, l'elaborazione di norme europee. I costruttori dei veicoli ed i produttori dei materiali dovrebbero utilizzare una codifica dei componenti e dei materiali, definita dalla Commissione assistita dal competente comitato. In sede di elaborazione di tali norme, la Commissione terrà conto, se del caso, dei lavori in corso al riguardo nelle sedi internazionali competenti.

 

(26) Sono necessari dati sui veicoli fuori uso a livello comunitario al fine di controllare l'attuazione degli obiettivi della presente direttiva.

 

(27) I consumatori devono essere adeguatamente informati al fine di poter adattare i propri comportamenti ed abitudini. A tal fine, dovrebbero essere fornite informazioni ai pertinenti operatori economici.

 

(28) Gli Stati membri possono scegliere di attuare talune disposizioni mediante accordi con il settore economico interessato, purché siano soddisfatte determinate condizioni.

 

(29) La Commissione dovrebbe assicurare, secondo una procedura di comitato, l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico dei requisiti relativi agli impianti di trattamento e all'impiego di sostanze pericolose, nonché l'adozione di norme minime per quanto riguarda il certificato di rottamazione, i formulari per le banche dati e le disposizioni di attuazione per controllare l'osservanza degli obiettivi quantificati.

 

(30) Le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

 

(31) Gli Stati membri possono applicare le disposizioni della presente direttiva anteriormente alla data prevista, purché tali misure siano compatibili con il trattato,

 

 

hanno adottato la presente direttiva:

 

 

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(4)  Pubblicata nella G.U.C.E. 7 novembre 1997, n. C 337.

(5)  Pubblicato nella G.U.C.E. 27 aprile 1998, n. C 129.

(6)  Parere espresso l'11 febbraio 1997 (G.U.C.E. 28 maggio 1999, n. C 150), posizione comune del Consiglio del 29 luglio 1999 (G.UC.E. 4 novembre 1999, n. C 317) e decisione del Parlamento europeo del 3 febbraio 2000. Decisione del Consiglio del 20 luglio 2000 e decisione del Parlamento europeo del 7 settembre 2000.

 

 

Articolo 1

Obiettivi.

La presente direttiva istituisce misure volte, in via prioritaria, a prevenire la produzione di rifiuti derivanti dai veicoli nonché, inoltre, al reimpiego, al riciclaggio e ad altre forme di recupero dei veicoli fuori uso e dei loro componenti, in modo da ridurre il volume dei rifiuti da smaltire e migliorare il funzionamento dal punto di vista ambientale di tutti gli operatori economici coinvolti nel ciclo di utilizzo dei veicoli e specialmente di quelli direttamente collegati al trattamento dei veicoli fuori uso.

 

 

Articolo 2

Definizioni.

Ai fini della presente direttiva, si intende per:

 

1) "veicolo", i veicoli appartenenti alle categorie M1 e N1 di cui all'allegato II, parte A della direttiva 70/156/CEE e i veicoli a motore a tre ruote definiti nella direttiva 92/61/CEE, ma con l'esclusione dei tricicli a motore;

 

2) "veicolo fuori uso", un veicolo che costituisce un rifiuto ai sensi dell'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE;

 

3) "produttore", il costruttore o l'importatore professionale del veicolo in uno Stato membro;

 

4) "prevenzione", i provvedimenti volti a ridurre la quantità e la nocività per l'ambiente dei veicoli fuori uso e dei materiali e delle sostanze che li compongono;

 

5) "trattamento", le attività eseguite dopo la consegna del veicolo fuori uso ad un impianto di depurazione, demolizione, tranciatura, frantumazione, recupero o preparazione per lo smaltimento dei rifiuti frantumati, nonché tutte le altre operazioni, eseguite ai fini del recupero e/o dello smaltimento del veicolo fuori uso e dei suoi componenti;

 

6) "reimpiego", le operazioni in virtù delle quali i componenti di un veicolo fuori uso sono utilizzati allo stesso scopo per cui erano stati originariamente concepiti;

 

7) "riciclaggio", il ritrattamento in un processo di produzione dei materiali di rifiuto per la loro funzione originaria o per altri fini, escluso il recupero di energia. Per recupero di energia si intende l'utilizzo di rifiuti combustibili quale mezzo per produrre energia mediante incenerimento diretto con o senza altri rifiuti ma con recupero del calore;

 

8) "recupero", le pertinenti operazioni di cui all'allegato II parte B della direttiva 75/442/CEE;

 

9) "smaltimento", le pertinenti operazioni di cui all'allegato II parte A della direttiva 75/442/CEE;

 

10) "operatori economici", i produttori, i distributori, gli operatori addetti alla raccolta, le compagnie di assicurazione, le imprese di demolizione, di frantumazione, di recupero, di riciclaggio e altri operatori di trattamento di veicoli fuori uso, e dei loro componenti e materiali;

 

11) "sostanza pericolosa", le sostanze considerate pericolose in base alla direttiva 67/548/CEE;

 

12) "frantumatore", un dispositivo impiegato per ridurre in pezzi e in frammenti i veicoli fuori uso, anche allo scopo di ottenere detriti di metallo reimpiegabili.

 

13) "informazioni per la demolizione", tutte le informazioni necessarie al trattamento appropriato e compatibile con l'ambiente di un veicolo fuori uso. I costruttori di autoveicoli e i produttori di componenti le mettono a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati sotto forma di manuali o di supporti elettronici (ad esempio CD-ROM, servizi on line).

 

Articolo 3

Ambito d'applicazione.

1. La presente direttiva si applica ai veicoli, ai veicoli fuori uso e ai relativi componenti e materiali, a prescindere, fatto salvo l'articolo 5, paragrafo 4, terzo comma, dal modo in cui il veicolo è stato mantenuto o riparato nel corso della sua utilizzazione nonché dal fatto che esso sia dotato di componenti forniti dal produttore o di altri componenti il cui montaggio come ricambio corrisponde alle norme comunitarie o interne.

 

2. La presente direttiva si applica, ferma restando la vigente normativa comunitaria e la pertinente legislazione nazionale, in particolare in materia di norme di sicurezza e di controllo delle emissioni atmosferiche e sonore nonché di protezione del suolo e delle acque.

 

3. Se un produttore costruisce o importa veicoli cui non si applica la direttiva 70/156/CEE, in forza dell'articolo 8, paragrafo 2, lettera a), della presente direttiva, gli Stati membri possono escludere tale produttore e i suoi veicoli dall'applicazione dell'articolo 7, paragrafo 4, nonché degli articoli 8 e 9 della presente direttiva.

 

4. I veicoli speciali ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), secondo trattino, della direttiva 70/156/CEE non rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 7 della presente direttiva.

 

5. Per i veicoli a motore a tre ruote, si applicano solo l'articolo 5, paragrafi 1 e 2 e l'articolo 6 della presente direttiva.

 

 

Articolo 4

Prevenzione.

1. Al fine di promuovere la prevenzione della formazione dei rifiuti gli Stati membri incoraggiano, in particolare:

 

a) i costruttori di veicoli, in collaborazione con i costruttori di materiali ed equipaggiamenti, a limitare l'uso di sostanze pericolose nella costruzione dei veicoli e a ridurle quanto più possibile sin dalla fase di progettazione, in particolare per prevenirne il rilascio nell'ambiente, facilitare il riciclaggio ed evitare l'esigenza di smaltimento dei rifiuti pericolosi;

 

b) una progettazione e produzione di veicoli nuovi che tenga pienamente in considerazione e agevoli la demolizione, il reimpiego, il recupero e soprattutto il riciclaggio dei veicoli fuori uso e dei loro componenti e materiali;

 

c) i costruttori di veicoli, in collaborazione con i produttori di materiali ed equipaggiamenti, a reimpiegare una quantità crescente di materiale riciclato nei veicoli e in altri prodotti, al fine di sviluppare il mercato dei materiali riciclati;

 

2. a) Gli Stati membri provvedono affinché i materiali e i componenti dei veicoli immessi sul mercato dopo il 1° luglio 2003 contengano piombo, mercurio, cadmio o cromo esavalente solo nei casi di cui all'allegato II alle condizioni ivi specificate.

 

b) L’allegato II è periodicamente oggetto di modifiche o aggiunte per tener conto del progresso tecnico e scientifico, al fine di (7):

 

i) fissare, se necessario, fissare valori di concentrazione massimi sino ai quali è tollerata la presenza di queste sostanze di cui alla lettera a) in materiali e componenti specifici di veicoli;

 

ii) non applicare, per determinati materiali e componenti di veicoli, la lettera a) se l'impiego di tali sostanze è inevitabile;

 

iii) eliminare materiali e componenti di veicoli dall'allegato II se l'impiego di tali sostanze è inevitabile;

 

iv) in relazione ai punti i) e ii), specificare quei materiali e componenti di veicoli che possono essere rimossi prima di un ulteriore trattamento; essi sono etichettati o resi identificabili con altri mezzi appropriati.

 

c) La Commissione modifica per la prima volta l'allegato II entro il 21 ottobre 2001. In ogni caso nessuna delle esenzioni in esso elencate sarà soppressa anteriormente al 1° gennaio 2003.

 

Le misure di cui ai punti da i) a iv), intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 11, paragrafo 3 (8).

 

 

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(7) Frase così sostituita dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

(8) Comma aggiunto dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 5

Raccolta.

1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari:

 

- affinché gli operatori economici istituiscano sistemi di raccolta di tutti i veicoli fuori uso e, nella misura in cui ciò sia tecnicamente fattibile, dei mezzi usati allo stato di rifiuto, asportati al momento della riparazione delle autovetture,

 

- per assicurare un'adeguata presenza di centri di raccolta sul territorio nazionale.

 

2. Gli Stati membri adottano inoltre i provvedimenti necessari affinché tutti i veicoli fuori uso siano consegnati ad impianti di trattamento autorizzati.

 

3. Gli Stati membri istituiscono un sistema che renda necessaria la presentazione di un certificato di rottamazione per la cancellazione del veicolo fuori uso dal registro automobilistico. Il certificato viene rilasciato al detentore e/o al proprietario del veicolo quando il veicolo fuori uso è consegnato ad un impianto di trattamento. Gli impianti di trattamento in possesso di autorizzazione a norma dell'articolo 6 possono rilasciare il certificato di rottamazione. Gli Stati membri possono consentire ai produttori, ai concessionari e agli operatori addetti alla raccolta per un impianto di trattamento autorizzato di rilasciare certificati di rottamazione, sempre che essi garantiscano che il veicolo fuori uso sarà consegnato a un impianto di trattamento autorizzato e sempre che essi siano registrati presso le competenti autorità.

 

Il fatto di rilasciare un certificato di rottamazione non conferisce agli impianti di rottamazione, concessionari o operatori addetti alla raccolta incaricati da un impianto autorizzato di trattamento, il diritto di pretendere rimborsi, fuori dai casi in cui ciò sia espressamente stato previsto dagli Stati membri.

 

Gli Stati membri che all'entrata in vigore della presente direttiva non hanno un sistema di cancellazione dal registro automobilistico istituiscono un sistema in base al quale il certificato di rottamazione è trasmesso alle autorità competenti quando il veicolo fuori uso è consegnato a un impianto di trattamento e osservano comunque le disposizioni del presente paragrafo. Gli Stati membri che applicano questo comma ne informano la Commissione dandone dovuta motivazione (9).

 

4. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che la consegna del veicolo ad un impianto di trattamento autorizzato a norma del paragrafo 3 avvenga senza che l'ultimo detentore o proprietario incorra in spese a causa del valore di mercato nullo o negativo del veicolo.

 

Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che i produttori sostengano interamente o per una parte significativa i costi di attuazione di questa misura e/o ritirino i veicoli fuori uso alle condizioni di cui al primo comma.

 

Gli Stati membri possono prevedere che la consegna di veicoli fuori uso non sia del tutto gratuita se il veicolo fuori uso non contiene i suoi componenti essenziali, in particolare il motore e la carrozzeria, o se contiene rifiuti aggiunti.

 

La Commissione controlla periodicamente l'applicazione del primo comma per evitare distorsioni del mercato e, se necessario, propone al Parlamento europeo e al Consiglio una modifica del medesimo.

 

5. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché le loro autorità competenti riconoscano reciprocamente ed accettino i certificati di rottamazione emessi in altri Stati membri a norma del paragrafo 3.

 

A tal fine vengono fissati i requisiti minimi per il certificato di rottamazione. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva integrandola, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 11, paragrafo 3 (10).

 

 

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(9)  Vedi, per i requisiti minimi per il certificato di rottamazione rilasciato ai sensi del presente paragrafo, l'articolo 1 della decisione 2002/151/CE.

(10) Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 6

Trattamento.

1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari ai fini del deposito, anche temporaneo, e del trattamento di tutti i veicoli fuori uso nel rispetto dei requisiti generali di cui all'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE e secondo le prescrizioni tecniche minime di cui all'allegato I della presente direttiva, fatte salve le norme nazionali sulla salute e sull'ambiente.

 

2. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché gli stabilimenti o le imprese che eseguono le operazioni di trattamento siano in possesso di un'autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti, o siano registrati presso queste ultime, in base agli articoli 9, 10 e 11 della direttiva 75/442/CEE.

 

La deroga all'autorizzazione di cui all'articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 75/442/CEE può applicarsi ad operazioni di recupero relative ai rifiuti derivanti da veicoli fuori uso una volta sottoposti al trattamento di cui all'allegato I, punto 3, della presente direttiva qualora vi sia un'ispezione da parte delle autorità competenti prima della registrazione. Tale ispezione verifica:

 

a) il tipo e le quantità dei rifiuti da trattare;

 

b) le prescrizioni tecniche generali da soddisfare;

 

c) le misure di sicurezza da adottare;

 

ai fini del perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE. Tale ispezione è effettuata una volta all'anno. Gli Stati membri che si avvalgono della deroga inviano i risultati alla Commissione.

 

3. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché gli stabilimenti o le imprese che eseguono le operazioni di trattamento soddisfino almeno i seguenti obblighi a norma dell'allegato I:

 

a) prima di un ulteriore trattamento, procedono allo smontaggio dei componenti dei veicoli fuori uso o ad altre operazioni equivalenti volte a ridurre gli eventuali effetti nocivi sull'ambiente; i componenti o i materiali etichettati o resi in altro modo identificabili a norma dell'articolo 4, paragrafo 2 devono essere rimossi prima di procedere ad un ulteriore trattamento;

 

b) rimuovono e separano i materiali e i componenti pericolosi in modo selettivo, così da non contaminare i successivi rifiuti frantumati provenienti da veicoli fuori uso;

 

c) eseguono le operazioni di smontaggio dei componenti e di deposito in modo da non compromettere le possibilità di reimpiego e recupero, nonché in particolare di riciclaggio, dei componenti dei veicoli.

 

Le operazioni di trattamento per la depurazione dei veicoli fuori uso di cui all'allegato I, punto 3 sono effettuate al più presto.

 

4. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che l'autorizzazione o la registrazione di cui al paragrafo 2 includa tutte le condizioni necessarie all'osservanza delle prescrizioni dei paragrafi 1, 2 e 3.

 

5. Gli Stati membri incoraggiano gli stabilimenti o le imprese ad effettuare le operazioni di trattamento introducendo sistemi certificati di gestione dell'ambiente.

 

6. L’allegato I è modificato per tener conto del progresso tecnico e scientifico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 11, paragrafo 3 (11).

 

 

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(11) Paragrafo aggiunto dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 7

Reimpiego e recupero.

1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per incoraggiare il reimpiego dei componenti idonei, il recupero di quelli non reimpiegabili, nonché, come soluzione privilegiata, il riciclaggio, ove sostenibile dal punto di vista ambientale, fatte salve le norme sulla sicurezza dei veicoli e gli obblighi ambientali quali il controllo delle emissioni atmosferiche e del rumore.

 

2. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché siano conseguiti dagli operatori economici i seguenti obiettivi:

 

a) entro il 1° gennaio 2006, per tutti i veicoli fuori uso, la percentuale di reimpiego e recupero sia almeno l'85% del peso medio per veicolo e anno; entro la stessa data, la percentuale di reimpiego e riciclaggio sia almeno dell'80% del peso medio per veicolo e anno.

 

Per i veicoli prodotti anteriormente al 1° gennaio 1980, gli Stati membri possono stabilire obiettivi inferiori, ma non al di sotto del 75% per il reimpiego ed il recupero e non al di sotto del 70% per il reimpiego e il riciclaggio. Gli Stati membri che si avvalgono della presente disposizione ne comunicano le ragioni alla Commissione e agli altri Stati membri;

 

b) entro il 1° gennaio 2015, per tutti i veicoli fuori uso la percentuale di reimpiego e recupero sia almeno il 95% del peso medio per veicolo e per anno; entro la stessa data la percentuale di reimpiego e riciclaggio sia almeno dell'85% del peso medio per veicolo e per anno.

 

Entro il 31 dicembre 2005, il Parlamento europeo e il Consiglio riesaminano gli obiettivi di cui alla lettera b), in base a una relazione della Commissione corredata di una proposta. Nella sua relazione la Commissione deve tenere conto dello sviluppo della composizione materiale dei veicoli e in ogni altro aspetto rilevante dal punto di vista ambientale in materia di veicoli.

 

Sono stabilite le modalità dettagliate necessarie per controllare l’osservanza, da parte degli Stati membri, degli obiettivi enunciati nel primo comma. Nel proporre dette modalità, la Commissione tiene conto di tutti i fattori pertinenti, tra cui la disponibilità di dati e la questione delle esportazioni ed importazioni di veicoli fuori uso. Tali modalità dettagliate, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva integrandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 11, paragrafo 3 (12).

 

3. Per gli anni successivi al 2015, gli obiettivi di reimpiego e recupero e di reimpiego e riciclaggio sono definiti dal Parlamento europeo e dal Consiglio su proposta della Commissione.

 

4. Per predisporre una modifica della direttiva 70/156/CEE la Commissione promuove l'elaborazione di norme europee relative alle possibilità di demolizione, di recupero e di riciclaggio dei veicoli. Dopo che tali norme siano state approvate, ma, in ogni caso, entro e non oltre la fine del 2001, il Parlamento europeo e il Consiglio modificano, su proposta della Commissione, la direttiva 70/156/CEE, in modo che i veicoli omologati in forza della medesima e immessi sul mercato a partire da tre anni dopo la modifica della direttiva 70/156/CEE siano reimpiegabili e/o riciclabili per almeno l'85% del loro peso e reimpiegabili e/o recuperabili per almeno il 95% del loro peso.

 

5. All'atto di proporre una modifica della direttiva 70/156/CEE relativa alle possibilità di demolizione, di recupero e di riciclaggio dei veicoli, la Commissione tiene conto, per quanto opportuno, della necessità di garantire che il reimpiego dei componenti non comporti pericoli per la sicurezza e per l'ambiente.

 

 

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(12) Comma così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 8

Codifica e informazioni per la demolizione.

1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché i produttori, in collaborazione con i costruttori di materiali ed equipaggiamenti, utilizzino norme di codifica dei componenti e dei materiali, al fine precipuo di facilitare l'identificazione di quelli idonei ad essere reimpiegati e recuperati.

 

2. Sono stabilite le norme di cui al paragrafo 1. Nel proporre dette norme, la Commissione tiene conto dei lavori in corso in questo settore in seno agli organismi internazionali interessati, partecipando, se del caso, ai lavori. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva integrandola, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 11, paragrafo 3 (13).

 

3. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché i produttori forniscano informazioni per la demolizione per ogni tipo di nuovo veicolo immesso sul mercato entro sei mesi dalla sua immissione sul mercato. Tali informazioni identificano, nella misura in cui siano richiesti dagli impianti di trattamento per ottemperare alle disposizioni della presente direttiva, i diversi componenti e materiali e l'ubicazione di tutte le sostanze pericolose nel veicolo, in particolare al fine di realizzare gli obiettivi stabiliti nell'articolo 7.

 

4. Fatta salva la riservatezza commerciale e industriale, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che i produttori di componenti utilizzati nei veicoli mettano a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati le informazioni appropriate in materia di demolizione, stoccaggio e verifica dei componenti che possono essere riutilizzati, per quanto richiesto da tali impianti.

 

 

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(13) Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 9

Relazione e informazione.

1. Ogni tre anni gli Stati membri trasmettono alla Commissione una relazione sull'applicazione della presente direttiva. Tale relazione è redatta sulla base di un questionario o di uno schema elaborato dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 6 della direttiva 91/692/CEE, al fine di costituire banche dati sui veicoli fuori uso e sul loro trattamento. La relazione contiene le informazioni pertinenti sulle eventuali modifiche della struttura nei settori industriali relativi alla distribuzione di veicoli nonché alla raccolta della demolizione, frantumazione, recupero e riciclaggio, che possono comportare distorsioni di concorrenza fra gli Stati membri o al loro interno. Il questionario o lo schema è inviato agli Stati membri sei mesi prima dell'inizio del periodo contemplato dalla relazione. La relazione è trasmessa alla Commissione entro nove mesi dalla fine del periodo di tre anni in essa esaminato.

 

La prima relazione riguarda il periodo di tre anni a decorrere dal 21 aprile 2002.

 

Sulla base delle informazioni di cui sopra, la Commissione pubblica una relazione sull'attuazione della direttiva entro nove mesi dalla ricezione delle relazioni degli Stati membri.

 

I formati relativi alle banche dati sono adottati secondo la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 11, paragrafo 2 (14).

 

2. Gli Stati membri prevedono ad ogni modo che gli operatori economici in questione pubblichino informazioni:

 

- sulla costruzione dei veicoli e dei loro componenti che possono essere recuperati e riciclati,

 

- sul trattamento ecologicamente sano dei veicoli fuori uso, in particolare sulla rimozione di tutti i liquidi e sulla demolizione,

 

- sullo sviluppo e sull'ottimizzazione delle possibilità di reimpiego, riciclaggio e recupero dei veicoli fuori uso e dei loro componenti,

 

- sui progressi conseguiti per quanto riguarda il recupero e il riciclaggio al fine di ridurre i rifiuti da smaltire e di aumentare il tasso di recupero e di riciclaggio.

 

Il produttore deve rendere accessibili queste informazioni ai futuri acquirenti dei veicoli. Esse devono essere incluse nelle pubblicazioni promozionali utilizzate per la commercializzazione del nuovo veicolo.

 

 

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(14) Comma aggiunto dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 10

Attuazione.

1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 21 aprile 2002. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative da essi adottate nella materia disciplinata dalla presente direttiva.

 

3. Purché i risultati perseguiti dalla presente direttiva siano raggiunti, gli Stati membri possono recepire le disposizioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, all'articolo 5, paragrafo 1, all'articolo 7, paragrafo 1, all'articolo 8, paragrafi 1 e 3 e all'articolo 9, paragrafo 2, e precisare le modalità di applicazione dell'articolo 5, paragrafo 4 mediante accordi tra le autorità competenti e i settori economici interessati. Tali accordi devono soddisfare i seguenti requisiti:

 

a) avere forza vincolante;

 

b) specificare gli obiettivi e le corrispondenti scadenze;

 

c) essere pubblicati nella Gazzetta ufficiale nazionale o in un documento ufficiale parimenti accessibile al pubblico e comunicati alla Commissione;

 

d) i risultati conseguiti nel quadro degli accordi devono essere periodicamente controllati, riferiti alle competenti autorità e alla Commissione e resi accessibili al pubblico alle condizioni stabilite dagli stessi;

 

e) le autorità competenti devono prendere provvedimenti per esaminare i progressi compiuti nel quadro degli accordi;

 

f) in caso di inosservanza degli accordi, gli Stati membri devono applicare le pertinenti disposizioni della presente direttiva attraverso misure legislative, regolamentari o amministrative.

 

 

Articolo 11 (15)

Procedura di comitato.

1. La Commissione è assistita dal comitato istituito dall’articolo 18 della direttiva 75/442/CEE.

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

 

Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

 

3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano l’articolo 5 bis, paragrafi da 1 a 4, e l’articolo 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

 

 

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(15) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2008/33/CE.

 

 

Articolo 12

Entrata in vigore.

1. La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

 

2. L'articolo 5, paragrafo 4 si applica

 

- a decorrere dal 1° luglio 2002 per i veicoli immessi sul mercato a decorrere da tale data,

 

- a decorrere dal 1° gennaio 2007 per i veicoli immessi sul mercato anteriormente alla data di cui al primo trattino.

 

3. Gli Stati membri possono applicare l'articolo 5, paragrafo 4, anteriormente alle date di cui al paragrafo 2.

 

 

Articolo 13

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

 

Fatto a Bruxelles, addì 18 settembre 2000.

 

 

Per il Parlamento europeo

 

La Presidente

N. Fontaine

 

 

Per il Consiglio

 

Il Presidente

H. Védrine


 

Dir. 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.
(art. 4)

 

 

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 22 dicembre 2000, n. L 327. Entrata in vigore il 22 dicembre 2000.

(2)  Termine di recepimento: 22 dicembre 2003.

(3) Per l'istituzione di un registro di siti destinati a formare la rete di intercalibrazione conformemente alla presente direttiva, vedi la decisione 2005/646/CE.

(omissis)

Art.  4

Obiettivi ambientali.

1. Nel rendere operativi i programmi di misure specificate nei piani di gestione dei bacini idrografici:

 

a) Per le acque superficiali

 

i) gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali, fatta salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e fermo restando il paragrafo 8;

 

ii) gli Stati membri proteggono, migliorano e ripristinano tutti i corpi idrici superficiali, salva l'applicazione del punto iii) per i corpi idrici artificiali e quelli fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali in base alle disposizioni di cui all'allegato V entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, e salvo il paragrafo 8;

 

iii) gli Stati membri proteggono e migliorano tutti i corpi idrici artificiali e quelli fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali in base alle disposizioni di cui all'allegato V entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, e salvo il paragrafo 8;

 

iv) gli Stati membri attuano le misure necessarie a norma dell'articolo 16, paragrafo 1, e dell'articolo 16, paragrafo 8, al fine di ridurre progressivamente l'inquinamento causato dalle sostanze prioritarie (13) e arrestare o eliminare gradualmente le emissioni, gli scarichi e le perdite di sostanze pericolose prioritarie,

 

fermi restando, per le parti interessate, i pertinenti accordi internazionali di cui all'articolo 1.

 

b) Per le acque sotterranee

 

i) gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire o limitare l'immissione di inquinanti nelle acque sotterranee e per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici sotterranei, salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e salvo il paragrafo 8 del presente articolo e salva l'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 3, lettera j);

 

ii) gli Stati membri proteggono, migliorano e ripristinano i corpi idrici sotterranei, e assicurano un equilibrio tra l'estrazione e il ravvenamento delle acque sotterranee al fine di conseguire un buono stato delle acque sotterranee in base alle disposizioni di cui all'allegato V, entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salve le proroghe stabilite a norma del paragrafo 4 e l'applicazione dei paragrafi 5, 6 e 7, salvo il paragrafo 8 e salva l'applicazione dell'articolo 11, paragrafo 3, lettera g);

 

iii) gli Stati membri attuano le misure necessarie a invertire le tendenze significative e durature all'aumento della concentrazione di qualsiasi inquinante derivante dall'impatto dell'attività umana per ridurre progressivamente l'inquinamento delle acque sotterranee.

 

Le misure volte a conseguire l'inversione di tendenza vengono attuate a norma dell'articolo 17, paragrafi 2, 4 e 5, tenendo conto degli standard applicabili stabiliti nella pertinente normativa comunitaria, fatta salva l'applicazione dei paragrafi 6 e 7 e salvo il paragrafo 8.

 

c) Per le aree protette

 

gli Stati membri si conformano a tutti gli standard e agli obiettivi entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, salvo diversa disposizione della normativa comunitaria a norma della quale le singole aree protette sono state istituite.

 

2. Quando un corpo idrico è interessato da più di uno degli obiettivi di cui al paragrafo 1, si applica quello più rigoroso.

 

3. Gli Stati membri possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando:

 

a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti:

 

i) sull'ambiente in senso più ampio,

 

ii) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o il diporto;

 

iii) sulle attività per le quali l'acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l'irrigazione,

 

iv) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo, o

 

v) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti;

 

b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possano, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi i quali rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale.

 

Tali designazioni e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di gestione dei bacini idrografici prescritti dall'articolo 13 e sono riesaminate ogni sei anni.

 

4. A condizione che non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione, è possibile prorogare i termini fissati dal paragrafo 1 allo scopo di conseguire gradualmente gli obiettivi per quanto riguarda i corpi idrici, e che sussistano tutte le seguenti condizioni:

 

a) gli Stati membri stabiliscono che tutti i miglioramenti necessari dello stato dei corpi idrici non possono essere ragionevolmente raggiunti entro i termini fissati nel suddetto paragrafo per almeno uno dei seguenti motivi:

 

i) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

 

ii) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

 

iii) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti;

 

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate e spiegate nel piano di gestione dei bacini idrografici prescritto dall'articolo 13;

 

c) le proroghe non superano il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico, tranne i casi in cui le condizioni naturali non consentono di conseguire gli obiettivi entro tale periodo;

 

d) nel piano di gestione del bacino idrografico figurano un elenco delle misure previste dall'articolo 11 e considerate necessarie affinché i corpi idrici raggiungano progressivamente lo stato richiesto entro il termine prorogato, la giustificazione di ogni significativo ritardo nell'attuazione di tali misure, nonché il relativo calendario di attuazione. Negli aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico devono essere inclusi un riesame dell'attuazione di tali misure e un elenco delle eventuali misure aggiuntive.

 

5. Gli Stati membri possono prefiggersi di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli previsti dal paragrafo 1, per corpi idrici specifici qualora, a causa delle ripercussioni dell'attività umana, definita ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, o delle loro condizioni naturali, il conseguimento di tali obiettivi sia non fattibile o esageratamente oneroso, e ricorrano le seguenti condizioni:

 

a) i bisogni ambientali e socioeconomici cui sono finalizzate dette attività umane del corpo idrico non possono essere soddisfatti con altri mezzi i quali rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale e tale da non comportare oneri esagerati;

 

b) gli Stati membri garantiscono:

 

- per le acque superficiali, il raggiungimento del migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento,

 

- per le acque sotterranee, le minime modifiche possibili allo stato delle acque sotterranee, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

c) non si verifica alcun ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione;

 

d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni.

 

6. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate, o in esito a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non costituisce una violazione delle prescrizioni della presente direttiva, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni:

 

a) è fatto tutto il possibile per impedire un ulteriore deterioramento dello stato e per non compromettere il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva in altri corpi idrici non interessati da dette circostanze;

 

b) il piano di gestione del bacino idrografico prevede espressamente le situazioni in cui possono essere dichiarate dette circostanze ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati;

 

c) le misure da adottare quando si verificano tali circostanze eccezionali sono contemplate nel programma di misure e non compromettono il ripristino della qualità del corpo idrico una volta superate le circostanze in questione;

 

d) gli effetti delle circostanze eccezionali o imprevedibili sono sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui al paragrafo 4, lettera a), è fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente agli effetti di tali circostanze;

 

e) una sintesi degli effetti delle circostanze e delle misure adottate o da adottare a norma delle lettere a) e d) sia inserita nel successivo aggiornamento del piano di gestione del bacino idrografico.

 

7. Gli Stati membri non violano la presente direttiva qualora:

 

- il mancato raggiungimento del buono stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento dello stato del corpo idrico superficiale o sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni del livello di corpi sotterranei, o

 

- l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano,

 

purché ricorrano tutte le seguenti condizioni:

 

a) è fatto tutto il possibile per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

 

b) le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni;

 

c) le motivazioni di tali modifiche o alterazioni sono di prioritario interesse pubblico e/o i vantaggi per l'ambiente e la società risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 sono inferiori ai vantaggi derivanti dalle modifiche o alterazioni per la salute umana, il mantenimento della sicurezza umana o lo sviluppo sostenibile, e

 

d) per ragioni di fattibilità tecnica o costi sproporzionati, i vantaggi derivanti da tali modifiche o alterazioni del corpo idrico non possono essere conseguiti con altri mezzi che costituiscano una soluzione notevolmente migliore sul piano ambientale.

 

8. Gli Stati membri, nell'applicare i paragrafi 3, 4, 5, 6 e 7, assicurano che l'applicazione non pregiudichi la realizzazione degli obiettivi della presente direttiva in altri corpi idrici dello stesso distretto idrografico e che essa sia coerente con l'attuazione di altri atti normativi comunitari in materia di ambiente.

 

9. È necessario prendere provvedimenti per garantire che l'applicazione delle nuove disposizioni, inclusa l'applicazione dei paragrafi 3, 4, 5, 6 e 7 garantisca almeno il medesimo livello di protezione rispetto alla vigente legislazione comunitaria.

 

 

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(13)  Testo così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. L 17.

(omissis)

 

 


 

Dec. 11 maggio 1999, n. 2000/128/CE.
Decisione della Commissione
relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione.

 

 

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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 15 febbraio 2000, n. L 42.

(2)  Notificata con il numero C(1999) 1364.

(3)  Il testo in lingua italiana è il solo facente fede. Testo rilevante ai fini del SEE.

 

 

La Commissione delle Comunità europee,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 88, paragrafo 2, primo comma,

 

visto l'accordo sullo Spazio economico europeo, in particolare l'articolo 62, paragrafo 1, lettera a),

 

dopo avere invitato gli interessati a presentare osservazioni conformemente alle disposizioni dei suddetti articoli (4) e tenuto conto di dette osservazioni,

 

considerando quanto segue:

 

 

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(4)  In G.U.C.E. 10 dicembre 1998, n. C 384.

 

 

I. Procedura

 

(1) Con lettera della rappresentanza permanente n. 3081 del 7 maggio 1997 le autorità italiane hanno notificato, a norma dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE (ex articolo 93, paragrafo 3), un disegno di legge successivamente approvato dal Parlamento (legge del 24 giugno 1997 n. 196) recante "Norme in materia di promozione dell'occupazione" [1]. Trattandosi di un progetto diretto ad istituire aiuti, il disegno di legge è stato iscritto nel registro degli aiuti notificati, sotto il numero N 338/97. Informazioni complementari sono state chieste con la lettera della Commissione n. 52270 del 4 giugno 1997, a cui le autorità italiane hanno risposto con la lettera della presidenza del Consiglio dell'11 settembre 1997 e la lettera della rappresentanza permanente d'Italia n. 7224 del 28 ottobre 1997. In seguito a tali informazioni l'analisi è stata estesa ad altri regimi di aiuti connessi con tale pacchetto. Si tratta delle leggi n. 863 del 1984, n. 407 del 1990, n. 169 del 1991 e n. 451 del 1994, che disciplinano i contratti di formazione e lavoro. Poiché gli aiuti da esse disposti sono già stati applicati, le leggi suddette sono state iscritte nel registro degli aiuti non notificati, sotto il numero NN 164/97.

 

(2) L'istruzione del fascicolo è stata completata da ulteriori scambi di lettere e da riunioni. Per la Commissione: lettere n. 55050 del 6 novembre 1997 e n. 51980 dell'11 maggio 1998; le autorità italiane hanno inviato le lettere n. 2476 del 10 aprile 1998 e 3656 del 5 giugno 1998. Le riunioni hanno avuto luogo a Roma il 27 novembre 1997, il 3 marzo 1998 e l'8 aprile 1998.

 

(3) Con lettera del 17 agosto 1998 la Commissione ha informato il governo italiano circa la sua decisione di avviare la procedura di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE (ex articolo 93, paragrafo 2) nei confronti degli aiuti per l'assunzione mediante contratti di formazione e lavoro a tempo determinato previsti dalle leggi n. 863 del 1984, n. 407 del 1990, n. 169 del 1991 e n. 451 del 1994, concessi dal novembre 1995. Con la stessa lettera ha informato inoltre il governo italiano della decisione di avviare la procedura di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE nei riguardi degli aiuti per la trasformazione dei contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato prevista dall'articolo 15 della legge n. 196 del 1997.

 

(4) La decisione della Commissione di avviare il procedimento è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee [2]. La Commissione ha invitato gli interessati a comunicarle le loro osservazioni sulle misure in questione.

 

(5) Il governo italiano ha presentato le proprie osservazioni con lettera del 4 novembre 1998. Con lettera del 1° febbraio 1999 la Commissione ha chiesto precisazioni ed informazioni complementari; il governo italiano ha risposto con lettera del 5 marzo 1999.

 

(6) Con lettera dell'11 gennaio 1999 la Confederazione generale dell'industria italiana (Confindustria) ha presentato alla Commissione osservazioni che sono state trasmesse al governo italiano con lettera del 21 gennaio 1999, fornendo allo stesso la possibilità di commentarle.

 

(7) Con lettera del 1° febbraio 1999 la Commissione ha altresì invitato la Confindustria a presentarle precisazioni ed informazioni complementari, che le sono state trasmesse con lettera del 22 febbraio 1999. Con lettera del 31 marzo 1999 Confindustria ha inviato le ultime osservazioni [3].

 

__________

[1] Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana 4 luglio 1997, n. 154.

[2] In G.U.C.E. 10 dicembre 1998, n. C 384.

[3] Queste informazioni consistono esclusivamente nella trasmissione di dati statistici ufficiali, pubblicati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT "Forze di lavoro media 1997" e "Formazione universitaria e mercato del lavoro") e dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico OCSE (Uno sguardo sull'educazione, edizione 1997). Le elaborazioni di Confindustria riguardano esclusivamente le rappresentazioni grafiche di tali dati.

 

 

II. Normativa italiana a fondamento degli aiuti

 

II.1. I contratti di formazione e lavoro

 

 

(8) Il contratto di formazione e lavoro (in prosieguo "CFL") è stato introdotto nel 1984 dalla legge n. 863 del 1984. Si trattava di contratti a tempo determinato, comportanti un periodo di formazione, per l'assunzione di disoccupati di età non superiore a 29 anni. Le assunzioni in base a questo tipo di contratto beneficiavano per un periodo di due anni di un'esenzione dagli oneri sociali dovuti dal datore di lavoro. Tale riduzione si applicava in maniera generalizzata, automatica, indiscriminata e uniforme su tutto il territorio nazionale.

 

(9) Le modalità di applicazione di questo tipo di contratto sono state modificate nel 1990 dalla legge n. 407 del 1990, che ha introdotto una modulazione regionale dell'aiuto, dalla legge n. 169 del 1991, che ha elevato a 32 anni l'età massima dei lavoratori da assumere, e dalla legge n. 451 del 1994, che ha introdotto il CFL limitato a un anno ed ha fissato una soglia minima di ore di formazione da rispettare.

 

(10) In applicazione di tali leggi, il CFL è un contratto a tempo determinato per l'assunzione di giovani di età compresa tra i 16 e i 32 anni. Tale limite d'età può essere elevato a discrezione delle autorità regionali. Sono previsti due tipi di CFL:

 

- un primo tipo di contratto riguardante attività che richiedono un livello di formazione elevato. Questo contratto ha una durata massima di 24 mesi e deve prevedere almeno 80-130 ore di formazione da dispensare sul luogo della prestazione di lavoro per il tempo del contratto;

 

- un secondo tipo di contratto che non può superare i 12 mesi e comporta una formazione di 20 ore.

 

(11) La caratteristica principale del CFL è di prevedere un programma di formazione del lavoratore destinato a fornirgli una qualifica specifica. I programmi di formazione sono elaborati in generale da consorzi di imprese o dalle associazioni di categoria ed approvati dall'ufficio del lavoro, che si incarica di verificare se alla fine del percorso formativo il lavoratore ha acquisto la formazione richiesta.

 

(12) Le assunzioni mediante CFL beneficiano di riduzioni degli oneri sociali. Le riduzioni concesse per la durata del contratto sono le seguenti:

 

- 25% degli oneri normalmente dovuti, per le imprese localizzate in zone diverse dal Mezzogiorno;

 

- 40% per le imprese del settore commerciale e turistico con meno di 15 dipendenti insediate in zone diverse dal Mezzogiorno;

 

- esenzione totale per le imprese artigiane e per le imprese situate in zone che presentano un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale.

 

(13) Per beneficiare di tali agevolazioni i datori di lavoro non devono aver proceduto a riduzioni di personale nei 12 mesi precedenti, salvo se l'assunzione riguarda lavoratori in possesso di una qualifica diversa. La possibilità di accedere a tali benefici è inoltre subordinata al fatto di aver mantenuto in servizio (con un contratto a tempo indeterminato) almeno il 60% dei lavoratori il cui CFL è venuto a termine nei 24 mesi precedenti.

 

(14) Per il CFL del secondo tipo (durata di un anno) la concessione di detti benefici è inoltre subordinata alla trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato. Le riduzioni si applicano soltanto dopo tale trasformazione e per una durata pari a quella del CFL.

 

(15) Le autorità italiane sostengono che si tratta di un regime di aiuti per favorire l'occupazione dei giovani. A loro parere il mercato italiano presenta caratteristiche particolari che rendono opportuno elevare a 32 anni il limite d'età di 25 anni generalmente applicato a questa categoria.

 

(16) Nella decisione di avviare la procedura di cui all'articolo 88, paragrafo 2, nei confronti delle misure in esame, la Commissione ha considerato che gli aiuti per l'assunzione mediante CFL presentano, prima facie, le caratteristiche seguenti:

 

- non riguardano necessariamente l'assunzione di lavoratori che non hanno ancora ottenuto un posto di lavoro o che hanno preso l'occupazione precedente, in quanto tale requisito non è previsto dalla legislazione italiana;

 

- non contribuiscono alla creazione netta di posti di lavoro nel senso indicato dagli orientamenti in materia di aiuti all'occupazione [4], in quanto non è previsto l'obbligo di aumentare l'organico dell'impresa malgrado il divieto di licenziamento nel corso del periodo precedente;

 

- non contribuiscono all'assunzione di alcune categorie di lavoratori che incontrano difficoltà di inserimento o di reinserimento sul mercato di lavoro. Infatti, tenuto conto del limite di età molto elevato (32 anni) che viene previsto - limite che può addirittura essere aumentato dalle autorità regionali - è difficile poter considerare che si tratti della "categoria giovani" come sostenuto dalle autorità italiane.

 

__________

[4] In G.U.C.E. 12 dicembre 1995, n. C 334.

 

 

II. 2. La trasformazione dei CFL in contratti a tempo indeterminato

 

 

(17) L'articolo 15 della legge n. 196 del 1997 prevede che le imprese delle zone dell'obiettivo 1 che, alla scadenza, trasformano i CFL del primo tipo (due anni) in contratti a tempo indeterminato beneficiano di un'esenzione dagli oneri sociali per un periodo supplementare di un anno. È previsto l'obbligo di rimborsare gli aiuti percepiti in caso di licenziamento del lavoratore durante i 12 mesi successivi alla fine del periodo oggetto dell'aiuto.

 

(18) A tale proposito la Commissione ha osservato, all'atto dell'avvio del procedimento, che tali aiuti non sembrano rispettare tutte le condizioni previste dagli orientamenti in materia di aiuti all'occupazione. In tale contesto la Commissione è stata obbligata a considerare tali aiuti come aiuti al mantenimento dell'occupazione i quali, come precisato dagli orientamenti in parola, rappresentano aiuti al funzionamento.

 

 

III. Osservazioni degli interessati

 

(19) Gli interessati che hanno presentato le loro osservazioni nel quadro del procedimento sono rappresentati dalla Confederazione generale dell'industria italiana (Confindustria).

 

 

III.1. Contratti di formazione e lavoro

 

 

(20) Confindustria osserva che il regime di aiuti in questione non ha subito modifiche sostanziali in seguito a disposizioni legislative successive e la sua applicazione è sempre generalizzata. Si tratterebbe semplicemente di adeguamenti all'importanza dei problemi affrontati. Le modifiche introdotte dalla legge n. 169 del 1991 e dalla legge n. 451 del 1994 non avrebbero cambiato il carattere "generale ed uniforme" del regime nel senso che le misure sono applicabili indipendentemente dal settore e dall'area geografica interessata. Tali modifiche non avrebbero apportato cambiamenti all'applicazione "automatica" ed "indiscriminata" delle misure in esame in quanto sono obiettive e non discrezionali in merito all'ammissibilità di ogni beneficiario agli aiuti previsti.

 

(21) L'unica misura in grado di modificare la natura generale dell'intervento sarebbe la legge n. 407 del 1990 in base alla quale alcune imprese beneficiano oggi di riduzioni più elevate in funzione del luogo in cui sono stabilite. Gli effetti di tale modifica sarebbero limitati alla perdita di uniformità dell'intervento dal momento che gli altri fattori rimangono invariati.

 

Secondo Confindustria, è certo che l'eliminazione della modulazione regionale, che renderebbe inutile l'intervento in considerazione dell'ineguale distribuzione della disoccupazione nelle varie regioni italiane, dovrebbe portare a chiudere il dossier per non applicabilità dell'articolo 87 del trattato. Ne deriverebbe che l'esame della Commissione dovrebbe riguardare essenzialmente questo aspetto della nuova regolamentazione dei contratti di formazione e lavoro.

 

Confindustria condivide pertanto il parere della Commissione in base al quale gli aiuti sono costituiti dalla parte differenziale - rispetto alla riduzione generalizzata del 25% degli oneri sociali applicabile su tutto il territorio nazionale - della riduzione degli oneri sociali, a vantaggio delle imprese operanti in alcune regioni del territorio italiano.

 

(22) Il diverso grado di intervento in funzione della dimensione dell'impresa sarebbe dovuto alla maggiore debolezza finanziaria di alcune imprese rispetto ad altre ed al fatto che queste imprese fornirebbero in proporzione un maggiore contributo alla creazione di nuovi posti di lavoro. Questi parametri non sarebbero sufficienti, secondo Confindustria, a conferire all'intervento una selettività settoriale in seguito alle disposizioni legislative successive, ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, in quanto tutti i settori dell'attività produttiva beneficiano dello stesso trattamento. I vantaggi più elevati a favore delle imprese di servizi sarebbero concessi in funzione dello scopo occupazionale e non comporterebbero vantaggi per talune imprese rispetto alle imprese concorrenti.

 

(23) Secondo Confindustria, il diverso grado di intervento in funzione della dimensione dell'impresa sarebbe d'altronde compatibile nella totalità dei casi con le intensità previste dalla disciplina comunitaria degli aiuti di Statuto alle piccole e medie imprese [5].

 

(24) Non sarebbe possibile separare i tre elementi menzionati ai punti 12.1 e 12.3 della lettera della Commissione del 17 agosto 1998 [6] in quanto in un certo senso le varie caratteristiche vengono a sovrapporsi. Non sarebbe facile in pratica stabilire quando esiste assunzione di disoccupati né distinguere questa condizione rispetto a quella creazione netta di posti di lavoro.

 

(25) Non sarebbe giustificato, secondo Confindustria, sostenere che i contratti di formazione e lavoro non sono destinati alla creazione netta di posti di lavoro considerando che la legge non prevede l'obbligo di aumentare l'organico dell'impresa. Tale affermazione non potrebbe, secondo Confindustria, sminuire l'importanza di un'osservazione oggettiva del mercato italiano del lavoro in cui i contratti di formazione e lavoro rappresentano uno strumento fondamentale.

 

(26) Quanto al limite di età della "categoria giovani", Confindustria osserva che detto limite non può essere uniforme in tutti i paesi. I dati statistici Eurostat sull'occupazione in Europa nel 1995 dimostrerebbero non soltanto la validità di questa tesi, ma anche che rispetto alla classe di età contestata dalla Commissione l'Italia mostra un tasso di disoccupazione più elevato rispetto alla media europea. Il numero di disoccupati relativo alla classe di età 29-32 è inoltre identico a quello della classe di età 25-29 anni: ciò giustificherebbe la necessità di intervenire a sostegno dell'occupazione per l'intera classe di età 25-32 anni.

 

__________

[5] In G.U.C.E. 23 luglio 1996, n. C 213.

[6] In G.U.C.E. 10 dicembre 1998, n. C 384.

 

 

Tabella 1

 

Tasso di disoccupazione in Europa per classe di età - anno 1995

 

(estratto dai dati forniti da Confindustria)


 

Reg. (CE) n. 95/2002 del 18 gennaio 2002.
Regolamento della Commissione
che modifica il regolamento (CEE) n. 2670/81 che stabilisce le modalità di applicazione per la produzione fuori quota nel settore dello zucchero.

 

 

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(1) Pubblicato nella G.U.C.E. 19 gennaio 2002, n. L 17. Entrato in vigore il 20 gennaio 2002.

 

 

La Commissione delle Comunità europee,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea,

 

visto il regolamento (CE) n. 1260/2001 del Consiglio, del 19 giugno 2001, del 19 giugno 2001, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero, in particolare l'articolo 13, paragrafo 3,

 

considerando quanto segue:

 

(1) Il regolamento (CE) n. 1453/2001 del Consiglio, del 28 giugno 2001, recante misure specifiche a favore delle Azzorre e di Madera per taluni prodotti agricoli e che abroga il regolamento (CEE) n. 1600/92 (Poseima) e il regolamento (CE) n. 1454/2001 del Consiglio, del 28 giugno 2001, recante misure specifiche a favore delle isole Canarie per taluni prodotti agricoli e che abroga il regolamento (CEE) n. 1601/92 (Poseican) hanno previsto il nuovo regime applicabile per ovviare alla lontananza, all'insularità e all'ubicazione ultraperiferica di tali regioni.

 

(2) Le modalità d'applicazione del regime specifico d'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche stabilito dai regolamenti (CE) n. 1452/2001, (CE) n. 1453/2001 e (CE) n. 1454/2001 del Consiglio, fissate dal regolamento (CE) n. 20/2002 della Commissione, hanno previsto, fra l'altro, la proroga delle disposizioni particolari relative alle correnti di scambio tradizionali con il resto della Comunità, segnatamente per quanto concerne le consegne di zucchero bianco C e di zucchero greggio C, ai sensi dell'articolo 13 del regolamento (CE) n. 1260/2001. Onde garantire un periodo di applicazione uniforme del presente regolamento e del regolamento (CE) n. 1260/2001, è necessario precisare che le disposizioni specifiche di cui al paragrafo 1 bis dell'articolo 1 del regolamento (CEE) n. 2670/81 della Commissione che stabilisce le modalità di applicazione per la produzione fuori quota nel settore dello zucchero, modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 1148/98, si applicano durante il periodo previsto all'articolo 10, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1260/2001.

 

(3) Le misure previste dal presente regolamento sono conformi al parere del comitato di gestione per lo zucchero,

 

ha adottato il presente regolamento:

 

 

 

Articolo 1

Il testo dell'articolo 1bis del regolamento (CEE) n. 2670/81 è sostituito dal seguente testo:

 

 

(2).

 

 

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(2) Il testo omesso è riportato in modifica al regolamento (CEE) n. 2670/81.

 

 

Articolo 2

Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

 

Esso è applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2002.

 

 

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

 

 

Fatto a Bruxelles, il 18 gennaio 2002.

 

 

Per la Commissione

Franz Fischler

membro della Commissione

 

 


 

Dir. 8 dicembre 2003, n. 2003/108/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
che modifica la direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

 

 

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 31 dicembre 2003, n. L 345. Entrata in vigore il 31 dicembre 2003.

(2)  Termine di recepimento: 13 agosto 2004. Direttiva recepita con D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151. Vedi anche la L. 25 febbraio 2008, n. 34 (legge comunitaria 2007).

 

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 175, paragrafo 1,

 

vista la proposta della Commissione,

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (3),

 

previa consultazione del Comitato delle regioni,

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (4),

 

considerando quanto segue:

 

(1) Durante la procedura di adozione della direttiva 2002/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), hanno destato preoccupazioni le possibili conseguenze finanziarie dell'enunciato dell'articolo 9 della medesima direttiva per i produttori delle apparecchiature interessate.

 

(2) Nella riunione del Comitato di conciliazione del 10 ottobre 2002 dedicata a detta direttiva, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno espresso l'intenzione, in una dichiarazione congiunta, di esaminare quanto prima le questioni relative all'articolo 9 della direttiva 2002/96/CE concernenti il finanziamento relativo ai RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici.

 

(3) Ai sensi della dichiarazione congiunta, la Commissione ha esaminato le conseguenze finanziarie per i produttori derivanti dall'enunciato attuale dell'articolo 9 della direttiva 2002/96/CE e ne ha concluso che l'obbligo di ritiro di RAEE immessi sul mercato in passato crea un onere retroattivo non considerato che potrebbe esporre determinati produttori a gravi rischi economici.

 

(4) Per prevenire tali rischi, è opportuno che la responsabilità finanziaria per la raccolta, il trattamento, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio dei RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici immessi sul mercato prima del 13 agosto 2005 incomba ai produttori che forniscono prodotti nuovi in sostituzione di prodotti di tipo equivalente o adibiti alle medesime funzioni. Ove tali rifiuti non siano sostituiti da prodotti nuovi, la responsabilità dovrebbe ricadere su detti utenti. Gli Stati membri, i produttori e gli utenti possono stipulare accordi alternativi.

 

(5) Ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/96/CE, gli Stati membri devono mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 13 agosto 2004. Per evitare che sia necessario modificare atti legislativi adottati dagli Stati membri entro quella data, è opportuno adottare la presente direttiva quanto prima, in modo che sia recepita negli ordinamenti nazionali degli Stati membri contemporaneamente alla direttiva 2002/96/CE.

 

(6) È opportuno modificare di conseguenza la direttiva 2002/96/CE,

 

hanno adottato la presente direttiva:

 

 

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(3)  Pubblicato nella G.U.C.E. 30 settembre 2003, n. C 234.

(4)  Parere del Parlamento europeo del 21 ottobre 2003 e decisione del Consiglio del 19 novembre 2003.

 

 

Articolo 1

L'articolo 9 della direttiva 2002/96/CE è sostituito dal seguente:

 

 

... (5).

 

 

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(5)  Il testo omesso è riportato in modifica alla direttiva 2002/96/CE.

 

 

Articolo 2

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 13 agosto 2004. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

 

Articolo 3

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

Articolo 4

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

 

Fatto a Bruxelles, l'8 dicembre 2003.

 

 

Per il Parlamento europeo

Il Presidente

P. COX

 

 

Per il Consiglio

Il Presidente

F. FRATTINI

 

 


 

Dec. 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE.
Decisione della Commissione
relativa all'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico C 27/99 (ex NN 69/98) (2) (3) (4).

 

 

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 24 marzo 2003, n. L 77.

(2)  Notificata con il numero C(2002) 2006 def.

(3)  Il testo in lingua italiana è il solo facente fede.

(4)  Testo rilevante ai fini del SEE.

 

 

La Commissione delle Comunità europee,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 88, paragrafo 2, primo comma,

 

visto l'accordo sullo Spazio economico europeo, in particolare l'articolo 62, paragrafo 1, lettera a),

 

dopo avere invitato gli interessati a presentare osservazioni conformemente a detti articoli [1] e viste le osservazioni trasmesse,

 

considerando quanto segue:

 

 

_________

[1] Pubblicata nella G.U.C.E. 31 luglio 1999, n. C 220.

 

 

Art. 1.

Procedimento

(1) In data 3 marzo 1997 la Commissione ha ricevuto una denuncia riguardante presunti aiuti di Stato concessi dall'Italia a diverse imprese di servizi pubblici, in forma di esenzioni fiscali e di accesso a prestiti agevolati.

 

(2) Con lettere del 12 maggio, 16 giugno e 21 novembre 1997, i servizi della Commissione hanno domandato alle autorità italiane una prima serie di informazioni in merito alle misure in questione. Con lettera del 17 dicembre 1997, registrata dalla Commissione il 23 dicembre, le autorità italiane hanno fornito alcune delle informazioni sollecitate. Su richiesta delle stesse autorità italiane si è tenuta una riunione a Roma il 19 gennaio 1998.

 

(3) Con lettera del 17 maggio 1999 («la decisione di avvio del procedimento»), la Commissione ha comunicato all'Italia la decisione di avviare il procedimento di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del trattato in relazione alle misure indicate nella denuncia.

 

(4) La decisione della Commissione di avviare il procedimento è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee [2]. La Commissione ha invitato i terzi interessati a presentare osservazioni sulle misure in questione.

 

(5) La Commissione ha ricevuto osservazioni da terzi interessati. Tali osservazioni sono state trasmesse all'Italia, la quale ha replicato inviando le proprie osservazioni in data:

 

- 2 agosto 1999, primo invio di osservazioni,

 

- 15 ottobre 1999: richiesta di proroga del termine per la presentazione di osservazioni,

 

- 28 ottobre 1999: osservazione sui prestiti della Cassa Depositi e prestiti («CDDPP»),

 

- 14 dicembre 1999: richiesta di proroga del termine per la presentazione di osservazioni,

 

- 3 febbraio 2000: ulteriori osservazioni,

 

- 8 febbraio 2001: lettera con cui le autorità italiane segnalavano che non sarebbe stata adottata la misura citata nelle osservazioni di Federazione Gas Italia («Gas-it»),

 

- 31 luglio e 3 agosto 2001: richiesta di proroga del termine stabilito per la risposta alla lettera della Commissione del 25 luglio 2001,

 

- 25 ottobre 2001: osservazioni sull'«esenzione dalla tassa sui trasferimenti» (cfr. considerando 16),

 

- 22 novembre 2001: osservazione sui prestiti CDDPP,

 

- 21 dicembre 2001: osservazione sui prestiti CDDPP.

 

(6) Alla Commissione sono pervenute osservazioni da terzi interessati, in data:

 

- 10 settembre 1999: osservazioni presentate da Azienda elettrica municipale SpA («AEM») e ACEA SpA («ACEA»),

 

- 31 agosto 1999: osservazioni presentate da Bundesverband der Deutschen Industrie («BDI»),

 

- 21 gennaio 2000: complemento di osservazioni da parte di AEM e ACEA.

 

(7) La Commissione ha ricevuto ulteriori osservazioni da terzi interessati in data:

 

- 16 marzo 2000: osservazioni inviate da Confservizi CISPEL («CISPEL»),

 

- 13 marzo e 17 aprile 2000: osservazioni di Gas-it concernenti una nuova misura prevista dallo Stato italiano che, assieme alle misure già oggetto di indagine, avrebbe disposto la concessione di un ulteriore aiuto,

 

- 11 aprile 2000: osservazioni da Azienda mediterranea gas e acqua SpA («AMGA»).

 

(8) Infine la Commissione ha ricevuto altre osservazioni da AMGA, ACEA e AEM in data 12 giugno 2000. Il 7 luglio 2000 le stesse parti hanno inviato alla Commissione alcune osservazioni concernenti la sentenza Alzetta Mauro [3] del Tribunale di primo grado.

 

(9) Peraltro, la Commissione ha scritto alle autorità italiane in data:

 

- 23 agosto 1999: prima lettera dopo la decisione di avvio del procedimento,

 

- 1° ottobre 1999: lettera di trasmissione delle osservazioni ricevute da terzi interessati,

 

- 5 ottobre 1999: sollecito relativo alla lettera del 23 agosto 1999,

 

- 25 ottobre 1999: concessione di una proroga per la presentazione di ulteriori osservazioni,

 

- 4 febbraio 2000: lettera di trasmissione di altre osservazioni di terzi,

 

- 21 gennaio 2000: sollecito relativo alla lettera del 23 agosto 1999,

 

- 11 e 14 aprile 2000: lettera di trasmissione di ulteriori osservazioni di terzi,

 

- 25 aprile 2000: avviso dell'obbligo di notifica per le nuove misure di aiuto ai sensi dell'articolo 87 del trattato in relazione alla misura citata da Gas-it,

 

- 25 luglio 2001: richiesta di chiarimenti sull'esenzione dalla tassa sui trasferimenti (cfr. considerando 16),

 

- 17 agosto 2001: concessione di una proroga per la presentazione di ulteriori osservazioni.

 

(10) La Commissione ha inoltre incontrato rappresentanti di ACEA e di AEM il 18 novembre 1999, il 23 marzo e il 20 giugno 2000. Il 14 aprile 2000 ha incontrato rappresentati di GAS-it.

 

(11) La Commissione ha incontrato le autorità italiane il 24 ottobre 2001.

 

 

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[2] Cfr. la nota 1.

[3] Sentenza del 15 giugno 2000 cause riunite T-298/97, T-312/97, T-313/97, T-315/97, da T-600/97 a 607/97, T-1/98, da T-3/98 a T-6/98 e T-23/98, Racc. 2000.

 

 

Art. 2.

Descrizione delle misure

2.1. Assetto giuridico nazionale

 

 

(12) In Italia gli enti locali (comuni) tradizionalmente hanno fornito alle proprie comunità, direttamente o indirettamente, vari servizi locali [4] (come ad esempio distribuzione e trattamento dell'acqua, trasporti, distribuzione del gas ecc.) utilizzando diversi strumenti organizzativi. Nel 1990, la legge n. 142 dell'8 giugno 1990 («legge 142/90») ha operato una riforma degli strumenti organizzativi legali offerti ai comuni per la gestione di tali servizi. Ai sensi dell'articolo 22 di detta legge, successivamente modificato dall'articolo 17, comma 58, della legge n. 127 del 15 maggio 1997, il comune può infatti fornire i servizi:

 

a) direttamente (in economia);

 

b) mediante un'entità amministrativo - contabile distinta (azienda speciale);

 

c) mediante un'istituzione per servizi non commerciali;

 

d) mediante concessione a società pubbliche o private (concessione a terzi);

 

e) mediante costituzione di società commerciali (società per azioni) o società a responsabilità limitata a partecipazione maggioritaria pubblica.

 

(13) L'articolo 12 della legge n. 498 del 1992 («legge 498/92») ha introdotto un'ulteriore opzione per la gestione di tali servizi, vale a dire la costituzione di società per azioni a partecipazione pubblica minoritaria.

 

(14) Di norma, nel caso di servizi pubblici forniti direttamente dal comune a) oppure mediante un'entità contabile distinta b), il fornitore dei servizi non può operare al di fuori del territorio del comune di appartenenza [5]. Al contrario le società per azioni istituite in virtù della legge 142/90 non sono limitate per legge ad un territorio o attività prestabiliti e in generale svolgono la loro attività come normali entità commerciali, soggette alle regole di diritto privato e commerciale [6].

 

 

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[4] Di solito tramite entità amministrativo-contabili distinte, denominate aziende municipalizzate.

[5] Da notare tuttavia che ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, del DPR n. 902 del 4 ottobre 1986 un comune può estendere, con l'accordo di altri comuni interessati, l'ambito territoriale dell'attività della sua impresa ai territori di detti comuni. Tuttavia la giurisprudenza italiana ha limitato tale possibilità a precise condizioni: cfr. ad esempio Consiglio di Stato sezione IV, 29 settembre 1988 n. 1291; sezione V, 3 agosto 1995, n.1159; sezione V, 14 novembre 1996, n.1374.

[6] Cfr. ad esempio Corte di cassazione Sezioni unite, 6 maggio 1995, n. 4989.

 

 

2.2. Descrizione dettagliata delle misure

 

 

(15) Nella decisione di avvio del procedimento la Commissione ha manifestato dubbi sulla classificazione come aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 87 del trattato e sulla loro compatibilità con il mercato comune di alcune misure nazionali applicabili alle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della legge 142/90 («le SpA ex lege 142/90»). Si tratta più precisamente delle seguenti disposizioni:

 

a) dell'articolo 3, comma 69, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, in combinato disposto con l'articolo 13 bis del decreto legge n. 6 [7] del 12 gennaio 1991;

 

b) dell'articolo 3, comma 70, della legge 549/95 in combinato disposto con l'articolo 66, comma 14, del decreto legge n. 331 [8] del 30 agosto 1993; nonché

 

c) dell'articolo 9 bis inserito dalla legge 9 n. 488 del 9 agosto 1986, «Conversione in legge con modificazioni del decreto legge n. 318 del 1° luglio 1986, recante provvedimenti urgenti per la finanza pubblica» (in prosieguo articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986).

 

(16) L'articolo 3, commi 69 e 70, della legge 549/95 riserva un particolare regime fiscale alle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della legge 142/90, più precisamente:

 

a) l'esenzione da tutte le imposte sui conferimenti relative alla trasformazione di aziende speciali e di aziende municipalizzate in società per azioni («l'esenzione dalle tasse sui conferimenti»);

 

b) l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito d'impresa, non oltre l'anno fiscale 1999, per le società per azioni a prevalente capitale pubblico («l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito»).

 

(17) Più precisamente, l'articolo 3, comma 69, della legge 549/95 mediante rinvio all'articolo 13 bis del decreto legge n. 6 del 12 gennaio 1991 (in prosieguo «il comma 69»), stabilisce che il trasferimento di attivi connesso alla trasformazione di aziende speciali e di aziende municipalizzate in società per azioni create in virtù della legge 142/90 e della legge 498/92 beneficia di esenzione fiscale per quanto concerne:

 

a) la tassa di registro;

 

b) l'imposta di bollo;

 

c) l'imposta sugli incrementi di valore degli immobili (INVIM);

 

d) tasse ipotecarie e catastali;

 

e) ogni altra imposta o tassa collegata con il trasferimento.

 

(18) Il regime fiscale di cui al comma 69 è stato successivamente ribadito dall'articolo 115, paragrafo 6, e dell'articolo 118, paragrafi 1 e 2, del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000.

 

(19) L'articolo 3, comma 70, della legge 549/95, in combinato disposto con l'articolo 66, comma 14, del decreto legge n. 331 [9] del 30 agosto 1993 (in appresso «il comma 70»), prevede un'esenzione triennale dalle imposte sul reddito IRPEG e ILOR a favore delle SpA ex lege 140/90 a partire dalla data dell'acquisizione della personalità giuridica e in ogni caso non oltre l'anno fiscale che termina il 31 dicembre 1999.

 

(20) L'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 ha riconosciuto alle società per azioni a prevalente capitale pubblico che prestano servizi pubblici la possibilità di contrarre prestiti a tassi agevolati con la Cassa depositi e prestiti («CDDPP»). Secondo le informazioni fornite dalle autorità italiane, tali prestiti sono stati concessi a SpA ex lege 142/90 dal 1994 al 1998 [10]. I prestiti esaminati nella presente decisione sono unicamente quelli concessi a SpA ex lege 142/90 conformemente all'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986.

 

 

__________

[7] Convertito, con modifiche, con legge n. 80 del 15 marzo 1991.

[8] Convertito con legge n. 427 del 29 ottobre 1993.

[9] Le disposizioni stabiliscono che lo stesso regime fiscale previsto per l'ente locale che controlla la SpA ex lege 142/90 si applica alla SpA stessa per tre anni a decorrere dall'acquisizione della personalità giuridica. Pertanto la SpA beneficia della suddetta esenzione triennale dall'imposta sul reddito.

[10] Osservazioni AI del 28 ottobre 1999 e del 21 dicembre 2001.

 

 

Art. 3.

Osservazioni da terzi interessati

(21) Alla Commissione sono pervenute osservazioni da vari interessati.

 

(22) Alcune imprese (AEM, AMGA e ACEA) hanno inviato le seguenti osservazioni:

 

a) le misure non costituiscono aiuto di Stato; dato che i settori in cui operano le SpA ex lege 142/90 non erano aperti alla concorrenza, le misure in esame non potevano alterare la concorrenza. Pertanto viene a mancare un elemento essenziale della nozione di aiuto di Stato, più precisamente quello di «distorsione di concorrenza»;

 

b) in ogni caso, quand'anche fossero da ritenere aiuti di Stato, si tratterebbe di aiuti da qualificare come aiuti esistenti;

 

c) in via subordinata, tali aiuti sarebbero comunque da considerarsi compatibili ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), giacché queste misure, pur essendo transitorie, erano destinate ad agevolare la trasformazione e la ristrutturazione delle società al fine di metterle in grado di far fronte al passaggio da una situazione di mercato chiuso ad una di mercato liberalizzato.

 

(23) Quanto al considerando 22, lettera a), le imprese suddette sostengono che le SpA ex lege 142/90 fornivano servizi, in esclusiva, nel territorio del comune di appartenenza. Allo stesso tempo non partecipavano alle gare per l'affidamento di servizi nei territori di altri comuni. L'unica eccezione sarebbe costituita dalla gara per la gestione dell'acquedotto di Arezzo cui hanno partecipato ACEA, AMGA e la Compagnie Générale des Eaux [11]. Inoltre AMGA, assieme alla Lyonnaise des eaux, ha partecipato all'appalto per la gestione del servizio idrico integrato dell'Alto Valdarno [12]. Esse sostengono inoltre che le misure in questione non hanno avvantaggiato l'accesso a nuovi mercati da parte di SpA ex lege 142/90. Infatti il vantaggio fiscale non era significativo rispetto al costo dell'espansione in nuovi mercati (ad esempio nel settore delle telecomunicazioni).

 

(24) Per quanto concerne il considerando 22, lettera b), dette imprese sostengono che la classificazione delle misure in questione come aiuti di Stato esistenti si basa su due serie di considerazioni. Innanzitutto va sottolineato che i comuni e le aziende municipali erano esentati dall'imposta sul reddito fin dall'inizio del secolo. Le nuove SpA ex lege 142/90, da un punto di vista economico, sono le stesse aziende speciali che godevano di detta esenzione. Pertanto l'esenzione triennale di cui al comma 70, in realtà, rappresenta una limitazione di un'esenzione fiscale anteriore. L'articolo 70 non configura quindi né una nuova misura né la modifica di una misura esistente e deve essere classificato come un aiuto esistente.

 

(25) In secondo luogo, più in generale, il fatto che all'epoca dell'entrata in vigore delle misure in esame i mercati in cui operavano le SpA ex lege 142/90 fossero chiusi alla concorrenza, significa che dette misure attualmente dovrebbero tutte essere classificate come aiuto esistente [cfr. in particolare l'articolo 1, lettere b) e v), del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE e la sentenza Alzetta Mauro del Tribunale di primo grado [13]].

 

(26) Per quanto concerne il considerando 22, lettera c), AEM, AMGA e ACEA hanno spiegato che le misure in esame avevano come unico obiettivo quello di facilitare il passaggio da una struttura di mercato monopolistica ad un regime di concorrenza e di permettere la partecipazione di capitale privato e la proprietà privata nella gestione di servizi locali. Di conseguenza si dovrebbe ritenere che le misure di cui trattasi ricadono nell'ambito dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), in quanto si tratta di aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività economiche, più precisamente la fornitura di servizi pubblici locali. La Commissione si è già pronunciata a favore della compatibilità, in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), di un aiuto volto a facilitare il passaggio da una struttura di mercato monopolistico ad una concorrenziale [cfr. in particolare la decisione della Commissione Milk Marketing Board [14] e la decisione relativa ai trasporti pubblici olandesi [15]].

 

(27) Infine, esse hanno sostenuto che le misure non erano discriminatorie in quanto eventuali concorrenti privati di SpA ex lege 142/90 non avevano bisogno di trasformarsi in società di diritto privato per operare liberamente sul mercato, e inoltre che lo Stato non ha rinunciato a risorse cui aveva diritto in quanto il mancato gettito fiscale sarebbe stato compensato da più elevati profitti per i comuni.

 

(28) Cispel - confederazione di SpA ex lege 142/90 e aziende speciali - ha osservato quanto segue:

 

a) all'epoca dell'adozione delle misure in esame nel settore di cui trattasi esisteva una situazione di monopolio legale. Le autorità locali possono riservare a se stesse la gestione diretta di taluni servizi sul loro territorio oppure possono affidare la gestione di tali servizi in concessione a terzi con il riconoscimento di diritti di esclusiva. Pertanto non vi è concorrenza e l'assenza di concorrenza significa che la misura non può essere considerata aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1;

 

b) le misure in questione erano destinate ad agevolare la trasformazione di imprese pubbliche soggette al diritto pubblico in imprese di diritto comune, passando da una situazione di monopolio ad una di concorrenza. Le misure non discriminavano tra imprese pubbliche e private giacché queste ultime si trovavano in posizione diversa: infatti non avevano bisogno di alcuna trasformazione per operare sul mercato. Tali misure pertanto dovrebbero per lo meno essere considerate come un aiuto compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), trattandosi di un aiuto volto a facilitare lo sviluppo di talune attività economiche;

 

c) inoltre, le misure in esame non costituiscono aiuto in quanto: i) le SpA ex lege 142/90 non sono imprese ai fini del diritto della concorrenza, ii) si limitano a compensare il sovraccosto del servizio pubblico affidato a queste SpA; iii) non sono finanziate da risorse di Stato, dato che lo Stato rinuncia a gettiti fiscali a livello centrale, ma guadagna a livello locale; iv) si tratta di misure generali; vi) sono giustificate dalla natura e dalla struttura generale del sistema: secondo il diritto tributario italiano il legislatore dispone di un ampio margine di manovra per determinare i soggetti imponibili, pertanto aveva la facoltà di disporre un periodo transitorio di esenzione a favore delle SpA ex lege 142/90; vii) non hanno alterato gli scambi intracomunitari, giacché i beni e i servizi prodotti dai beneficiari non formano oggetto di scambio tra gli Stati membri, ma sono destinati unicamente al mercato locale; viii) l'esenzione dalle tasse sui conferimenti non comporta alcun vantaggio per le SpA in quanto in ogni caso tali tasse sarebbero state a carico del comune.

 

(29) In subordine il Cispel sostiene che le misure in questione sono giustificate dalla deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera b), del trattato, che recita: «aiuti destinati a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro» - e dall'articolo 86, paragrafo 2.

 

(30) Il Bundesverband der Deutschen Industrie (associazione degli industriali tedesca) ha osservato che le esenzioni fiscali e i prestiti a tasso agevolato in favore di imprese controllate dallo Stato potrebbero provocare distorsioni di concorrenza non solo in Italia, ma anche in Germania.

 

(31) Gas-it - un'associazione italiana di operatori privati del settore della distribuzione del gas operanti sulla base di concessioni rilasciate da autorità locali - ha osservato che le misure indicate dalla Commissione costituiscono aiuto di Stato. In particolare, l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito chiaramente costituisce un aiuto di Stato in quanto le imprese private che svolgono le stesse attività di SpA ex lege 142/90 devono versare, diversamente da quest'ultime, circa il 50% dei loro utili a titolo di imposta sul reddito. Gas-it ha anche sottolineato che l'articolo 87 paragrafo 3, lettera c), non poteva essere invocato per giustificare tali misure giacché non erano destinate ad agevolare lo sviluppo di un intero settore economico bensì a procurare vantaggi a determinate imprese operanti in quel settore sulla base della loro forma giuridica (enti trasformati in SpA) e della loro struttura azionaria (maggioranza pubblica e minoranza privata). Infine, Gas-it ha osservato che le autorità italiane stavano discutendo un progetto di legge che avrebbe recato altri vantaggi alle SpA ex lege 142/90. Tuttavia l'8 febbraio 2001 le autorità italiane hanno informato la Commissione che l'esame di detto progetto era stato bloccato.

 

 

_____________

[11] Osservazioni AEM e ACEA del 21 gennaio 2000, paragrafo 28.

[12] Osservazioni AMGA dell'11 aprile 2000, paragrafo 23. Non è chiaro se queste osservazioni si riferiscano alla stessa gara citata da AEM e da ACEA nelle loro osservazioni del 21 gennaio 2000.

[13] Sentenza del 15 giugno 2000 cause riunite T-298/97, T-312/97, T-313/97, T-315/97, da T-600/97 a 607/97, T-1/98, da T-3/98 a T-6/98 e T-23/98, Racc. 2000.

[14] Causa C 45/93 (N 663/93) (G.U.C.E. 9 aprile 1994, n. C 100).

[15] Causa N 199/99 (servizi trasporto pubblico locali olandesi) (G.U.C.E. 31 dicembre 1999, n. C 379).

 

 

Art. 4.

Osservazioni delle autorità italiane

(32) Le autorità italiane hanno osservato che le misure in esame si applicano unicamente ad imprese che si occupano quasi esclusivamente della fornitura di quelli che definiscono servizi pubblici locali: ossia servizi a livello locale nei settori dell'elettricità, del gas, dell'acqua, dei trasporti, dei rifiuti e dei prodotti farmaceutici. Le autorità italiane sostengono che le misure non costituiscono aiuto di Stato per i seguenti motivi:

 

a) non hanno comportato alcuna distorsione di concorrenza giacché, quando sono state emanate, i settori in cui operano le SpA ex lege 142/90 non erano aperti alla concorrenza;

 

b) non incidono sugli scambi intracomunitari giacché l'attività di queste imprese ha una dimensione meramente locale;

 

c) non sono finanziate mediante risorse di Stato, lo Stato non perde risorse cui ha diritto. Infatti i beneficiari, poiché fanno parte della pubblica amministrazione, erano già esenti da imposte prima ancora che fossero trasformati in società per azioni. Piuttosto lo Stato vece aumentare le sue entrate a livello dei comuni.

 

(33) Le autorità sostengono inoltre che se fossero considerate aiuto di Stato, le misure in questione dovrebbero essere considerate come aiuti esistenti, giacché i settori economici interessati non erano aperti alla concorrenza all'epoca della loro adozione. In subordine tali aiuti sarebbero compatibili con il trattato in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c) (aiuto alla ristrutturazione), del trattato e dell'articolo 86, paragrafo 2 (servizio di interesse economico generale).

 

(34) Quanto alla deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), le autorità italiane sostengono che le misure in questione hanno permesso la trasformazione di imprese pubbliche di servizi locali verso una struttura di mercato più concorrenziale. Esse inoltre sostengono che la Commissione ha già dichiarato la compatibilità di aiuti volti ad agevolare la transizione da una situazione di monopolio ad una di libera concorrenza e aggiungono che, considerato il grado ancora molto debole della concorrenza [16] nei settori interessati, è soddisfatta la condizione di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), e cioè che «l'aiuto non deve alterare le condizioni degli scambi in maniera contraria al comune interesse».

 

(35) Per quanto concerne la deroga di cui all'articolo 86, paragrafo 2, del trattato, le autorità italiane fanno valere che tutte le imprese interessate forniscono servizi di interesse economico generale e quindi concludono che l'articolo suddetto dovrebbe applicarsi alle misure in questione. Tali misure si applicano a tutte le imprese pubbliche che forniscono questo tipo di servizi. Soltanto l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito si applica esclusivamente alle imprese a prevalente partecipazione maggioritaria, ma ciò dipende dal fatto che il controllo detenuto dalle autorità pubbliche in questo tipo di imprese è maggiore di quello che detengono nelle imprese ove la loro partecipazione è soltanto minoritaria.

 

(36) Quanto al comma 69, le autorità italiane hanno anche osservato che i) le imposte in questione graverebbero comunque sui comuni per cui la misura non può essere considerata come una misura recante vantaggio alle SpA ex lege 142/90 e che ii) l'esenzione dalle tasse sui trasferimenti dovrebbe essere una misura giustificata dalla natura e dalla struttura del sistema.

 

(37) Quanto a quest'ultima giustificazione, le autorità italiane hanno innanzitutto sottolineato che da un punto di vista sostanziale la costituzione in SpA ex lege 142/90 non può essere assimilata a quella di una normale impresa commerciale. In secondo luogo, l'esenzione in questione è un'applicazione del principio della neutralità fiscale. Si tratta di un principio informatore della legislazione tributaria italiana che preside alla trasformazione della forma giuridica di un'impresa (ossia quando un'impresa cambia la forma giuridica, ma rimane la stessa da un punto di vista economico). In base a tale principio la semplice trasformazione della forma giuridica dell'impresa è irrilevante ai fini degli obblighi tributari, in quanto non comporta un vantaggio economico per l'impresa.

 

(38) Per quanto concerne in particolare l'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986, le autorità italiane affermano che i prestiti della CDDPP sono stati concessi unicamente per l'assolvimento del compito di servizio pubblico affidato a SpA ex lege 142/90 per cui la misura dovrebbe essere considerata compatibile in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato, oppure dell'articolo 86, paragrafo 2. Inoltre, dal 1999, la CDDPP può concedere prestiti a qualsiasi fornitore di servizi pubblici a prescindere dalla sua forma giuridica [17].

 

(39) In merito alla questione del raffronto tra il tasso di interesse applicato dalla CDDPP ai prestiti da essa concessi e il tasso che le SpA ex lege 142/90 avrebbero potuto ottenere dal mercato, le autorità italiane hanno sostenuto quanto segue: nelle osservazioni del 2 agosto 1999 hanno affermato che il tasso di interesse praticato dalla CDDPP è stato inferiore al tasso di mercato soltanto quando «al di là di ogni dubbio le attività in questione erano sottratte alla concorrenza»; nelle osservazioni del 28 ottobre 1999 hanno sostenuto che il tasso di interesse praticato dalla CDDPP si era sostanzialmente allineato al tasso di mercato. Per giungere a tale conclusione le autorità italiane si sono basate sul raffronto tra il tasso praticato dalla CDDPP e il tasso massimo per i prestiti agli enti locali, che è fissato dal ministero del Tesoro.

 

(40) Nelle osservazioni del 22 novembre 2001 le autorità italiane hanno ribadito le argomentazioni di cui ai considerando 38 e 39. Il tasso di interesse massimo fissato dal ministero del Tesoro per i prestiti agli enti locali dovrebbe essere il tasso di riferimento per la valutazione della Commissione. In ogni caso gli statuti delle SpA ex lege 142/90 e la giurisprudenza vietavano alle SpA ex lege 142/90 di operare al di fuori del territorio del comune di appartenenza. Tuttavia le autorità italiane hanno anche precisato che è sempre stata prassi della Cassa di escludere dai propri finanziamenti le aziende qualora «fosse risultato che le stesse svolgessero attività al di fuori del comune di appartenenza».

 

(41) Infine, nelle osservazioni del 21 dicembre 2001 le autorità italiane hanno aggiunto che non si può ritenere che il tasso di interesse applicato dalla CDDPP abbia procurato un vantaggio alle imprese in questione. Infatti i tassi sui mutui concessi dalla CDDPP sono stati costantemente più alti rispetto ad altri tassi concessi per operazioni di credito agevolato fissati secondo i parametri stabiliti dal Ministro del Tesoro.

 

 

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[16] Osservazioni delle autorità italiane del 2 agosto 1999.

[17] D.Lgs 1° settembre 1999, n. 284/1999.

 

 

Art. 5.

Valutazione delle misure

(42) Come la Commissione ha già indicato nella decisione di avvio del procedimento, «in considerazione della natura ampia ed astratta della legislazione in esame, - la Commissione apre la presente procedura solo in relazione agli specifici aspetti identificati nella precedente analisi» [18]. L'analisi della Commissione verte quindi sui regimi di aiuto istituiti dalle misure descritte e non sulle misure individuali di aiuto concesse alle singole imprese [19]. Questi regimi sono gli strumenti mediante i quali l'Italia ha procurato vantaggi a tutte le imprese che soddisfano le condizioni stabilite nei regimi in questione (ossia le SpA ex lege 142/90).

 

(43) Inoltre l'Italia non ha concesso vantaggi fiscali su base individuale e non ha notificato alla Commissione alcun caso individuale di aiuto fornendole tutte le informazioni necessarie per poterlo valutare. Di conseguenza la Commissione è tenuta, alla luce della natura stessa delle misure, ad un esame generale ed astratto dei regimi sia in ordine alla loro qualificazione come aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato sia in ordine alla questione della loro compatibilità. Pertanto, tutti gli elementi necessari per valutare se i regimi comportino aiuti di Stato e se tali aiuti siano compatibili con il mercato comune sono da individuarsi nei regimi stessi. Il trattato, il regolamento (CE) n. 659/1999 e la giurisprudenza della Corte [20] autorizzano la Commissione ad effettuare tale analisi.

 

(44) La Commissione pertanto non esamina l'applicazione delle misure nei singoli casi individuali. Inoltre si deve tener presente che nella fattispecie l'Italia non ha chiesto alla Commissione di analizzare i singoli casi di applicazione dei regimi. La Commissione non conosce il numero esatto né l'identità dei beneficiari delle misure in esame [21], non dispone di tutte le informazioni pertinenti e non conosce l'ammontare dell'aiuto concesso nei singoli casi.

 

(45) Per quanto concerne i prestiti della CDDPP sia la possibilità di contrarre i prestiti che il tasso d'interesse erano stabiliti in maniera generale e non tenevano conto delle condizioni specifiche di ciascun beneficiario. Le autorità italiane non hanno notificato alla Commissione i prestiti individuali concessi ad SpA ex lege 142/90 dalla CDDPP. Esse hanno unicamente fornito un elenco di SpA ex lege 142/90 che hanno beneficiato di prestiti della CDDPP, elenco che non contiene informazioni rilevanti concernenti la situazione economica delle imprese e quindi non consente alla Commissione di effettuare una valutazione individuale. La Commissione ritiene che sarebbe unicamente tenuta a valutare casi individuali se le autorità nazionali ne avessero fatto richiesta e se avessero fornito alla Commissione tutte le informazioni necessarie per effettuare simile valutazione, ossia tutte le informazioni che di norma dovrebbero essere fornite alla Commissione nell'ambito di una notificazione completa di un aiuto individuale ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato. In seguito all'avvio del procedimento, le autorità italiane sono state pienamente consapevoli dei dubbi della Commissione sul regime in questione. Se ritenevano che alcuni casi particolari, date le loro specifiche caratteristiche, dovevano essere valutati su base individuale, le autorità italiane avrebbero dovuto informare la Commissione in merito a tali caratteristiche e a fornirle tutte le informazioni necessarie ai fini di una valutazione individuale.

 

 

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[18] Decisione di avvio del procedimento, sezione 3.

[19] E infatti già nella decisione di avvio del procedimento la Commissione si è riservata il diritto di avviare altre procedure in relazione a misure di aiuto individuali concesse in base ad essa (decisione di avvio del procedimento, paragrafo 3).

[20] Sentenza della Corte del 14 ottobre 1987 nella causa 248/84 Germania contro Commissione, Racc. 1987, punti 17-18, della motivazione; del 5 ottobre 1994 nella causa C-47/91 Italia contro Commissione, Racc. 1994, punti 20-21, della motivazione; del 17 giugno 1999 nella causa C-75/97 Belgio contro Commissione, Racc. 1999, punto 48; del 19 ottobre 2000, cause riunite C-15/98 e C-105/99, Italia e linee Sardegna contro Commissione, Racc. 2000, punto 51, della motivazione.

[21] Nella lettera del 2 agosto 1999 le autorità italiane hanno affermato che sono state costituite circa 100 SpA ex lege 142/90. Nella lettera del marzo 2000 le autorità italiane hanno fornito un elenco di 31 SpA ex lege 142/90 che hanno beneficiato delle misure fiscali in esame. Le misure fiscali di cui trattasi sono applicabili a qualsiasi SpA ex lege 142/90 al momento della sua costituzione per cui non è neppure chiaro quale sia il numero dei beneficiari.

 

 

5.1. Articolo 87, paragrafo 1

 

 

(46) Una misura di Stato costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato qualora:

 

a) sia concessa da uno Stato membro ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma;

 

b) favorisca talune imprese oppure talune produzioni (concessione di un vantaggio selettivo);

 

c) falsi o minacci di falsare la concorrenza;

 

d) incida sugli scambi tra Stati membri.

 

(47) La Commissione constata che l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e i prestiti concessi in virtù dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 configurano misure che soddisfano tutti i criteri di cui all'articolo 87, paragrafo 1, del trattato. Pertanto dette misure hanno comportato la concessione per i beneficiari di un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato. D'altro lato la Commissione ritiene che essendo giustificata dalla natura e dalla struttura generale del sistema, l'esenzione dall'imposta sui trasferimenti non configura un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1.

 

 

Aiuto concesso da uno Stato membro o mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma

 

 

(48) Per quanto concerne l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito, benché la misura non comporti un esborso diretto da parte dello Stato, ciononostante incide direttamente sul bilancio statale. Infatti lo Stato rinuncia volontariamente a un gettito fiscale, cui per legge avrebbe diritto e che di norma avrebbe reclamato. Pertanto è chiaro che l'aiuto è concesso mediante risorse di Stato. La Corte di giustizia ha costantemente affermato che «un provvedimento mediante il quale le pubbliche autorità accordino a determinate imprese un'esenzione fiscale che, pur non implicando un trasferimento di risorse da parte dello Stato, collochi i beneficiari in una situazione finanziaria più favorevole di quella degli altri soggetti tributari passivi costituisce aiuto statale ai sensi dell'articolo 92, paragrafo 1, del trattato» [22].

 

(49) Per quanto riguarda i crediti agevolati concessi dalla CDDPP, la Commissione osserva che secondo la legislazione italiana in materia, la CDDPP è istituita e interamente controllata dal ministero del Tesoro, attualmente il ministero degli Affari economici e della finanza. Il ministro del Tesoro presiede il consiglio di amministrazione e ne nomina i membri e il direttore generale. Le attività della CDDPP sono sottoposte al controllo del Parlamento, mediante una apposita commissione. Secondo la Corte di giustizia, al fine di stabilire se una misura possa essere considerata aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87 del trattato, «non occorre distinguere i casi in cui l'aiuto viene concesso direttamente dallo Stato e i casi in cui viene concesso da entità pubbliche o private create o nominate dallo Stato» [23]. Le concessioni individuali di prestiti a SpA ex lege 142/90 da parte della CDDPP rappresentano precisamente l'attuazione della disposizione legislativa contenuta nell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986. Inoltre, nel sistema giuridico italiano, la CDDPP è espressamente definita come amministrazione statale [24]. Il fatto che una parte dei fondi gestiti dalla CDDPP sia d'origine privata e debba essere rimborsata è irrilevante in tale contesto. Anche se le somme corrispondenti alla misura in questione non fossero detenute in maniera permanente dal Tesoro, il fatto che rimangono costantemente soggette al controllo pubblico, e quindi disponibili per le autorità nazionali competenti, è sufficiente perché rientrino nella categoria delle risorse di Stato [25].

 

(50) Una serie di elementi indicano chiaramente che questi prestiti, benché concessi dalla CDDPP, sono imputabili allo Stato [26]. La CDDPP è integrata nelle strutture della pubblica amministrazione, è soggetta al diritto pubblico e la sua gestione è sottoposta alla supervisione delle autorità pubbliche. I prestiti stessi sono esplicitamente previsti all'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 e devono rispettare le condizioni (in particolare il tasso di interesse) stabilite con decreto dal Ministro del Tesoro conformemente all'articolo 9, paragrafo 3, dello stesso decreto legge. Tutti questi elementi indicano la chiara partecipazione dell'autorità pubblica nella concessione dei prestiti CDDPP. Di conseguenza i prestiti accordati dalla CDDPP sono concessi da uno Stato membro o mediante risorse di Stato.

 

 

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[22] Causa C-6/97 Repubblica italiana contro Commissione, Racc. 1999, punto 16, della motivazione.

[23] Causa C-305/89 Italia contro Commissione, Racc. 1991, punto 13, della motivazione.

[24] D.Lgs 1° settembre 1999, n. 284/1999.

[25] Causa C-83/98 P France contro Ladbroke Racing e Commissione, Racc. 2000, punto 50, della motivazione e causa C-482/99, Francia contro Commissione, sentenza del 16 maggio 2002, punto 37, della motivazione. Inoltre causa T-358/94, Air France contro Commissione, Racc. 1996, punti 65-68.

[26] Causa C-482/99, Francia contro Commissione, punti 55-56.

 

 

Aiuto che favorisce talune imprese o talune produzioni

 

(51) Secondo una giurisprudenza costante della Corte il concetto di aiuto di Stato non dovrebbe limitarsi a concessioni di capitale o sussidi ma includere anche tutte le misure che, pur non avendo la natura di sussidi, possono produrne gli stessi effetti economici. In particolare tale concetto è più comprensivo di quello di sovvenzione dato che vale a designare non soltanto delle prestazioni positive, quali le sovvenzioni stesse, ma anche degli interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un'impresa e che producono identici effetti [27].

 

(52) Per quanto riguarda l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito, tale misura produce lo stesso effetto di una sovvenzione diretta in quanto elimina una voce di costo che altrimenti sarebbe stata inclusa nel bilancio del beneficiario [28]. L'utile netto del beneficiario risulta pertanto aumentato rispetto a quello di qualsiasi altra impresa in situazione analoga.

 

(53) Come indicato dalle autorità italiane [29] e in alcune delle osservazioni pervenute alla Commissione, nel periodo in questione le società per azioni erano assoggettate ad un'imposta sul reddito pari a circa il 50% dei loro utili. L'esenzione in questione ha permesso unicamente alle imprese municipali trasformate in SpA ex lege 142/90 di evitare, per tre anni ma non oltre l'esercizio fiscale 1999, la normale imposta sul reddito applicabile alle società per azioni a condizione che almeno la maggioranza del capitale azionario rimanesse pubblico.

 

(54) Pertanto la misura in questione ha favorito talune imprese ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

 

(55) Secondo una costante giurisprudenza della Corte [30], la concessione di un prestito da parte di un organismo controllato dallo Stato, quale la CDDPP, ad un'impresa può favorire dett'impresa ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato laddove il mutuatario ottenga condizioni che sono più favorevoli di quelle che avrebbe ottenuto sul mercato dei capitali.

 

(56) Per stabilire se i prestiti concessi dalla CDDPP alle SpA ex lege 142/90 le abbiano favorite, occorre raffrontare i tassi d'interesse applicati dalla CDDPP al tasso d'interesse che dette imprese avrebbero ottenuto nello stesso arco di tempo sul mercato dei capitali [31]. Data la natura generale ed astratta della misura in questione, per realizzare tale raffronto anche la Commissione deve ricorrere ad un tasso generale. È chiaro che la Commissione non può accettare come tasso di riferimento i tassi proposti dalle autorità italiane. Questi, per definizione, non sono tassi di mercato giacché sono determinati in base a criteri fissati dall'autorità pubblica. Inoltre il tasso massimo per i finanziamenti agli enti locali non sembra neppure essere un tasso che dovrebbe essere accessibile alle imprese e i tassi per le operazioni di credito agevolato sono esplicitamente destinati ad essere più favorevoli dei tassi di mercato.

 

(57) Il tasso di mercato da utilizzare come tasso di riferimento in tale raffronto è quindi il tasso stabilito per la valutazione dei regimi di aiuto di Stato a finalità regionale [32].

 

(58) La tabella seguente raffronta il tasso praticato dalla CDDPP, quale comunicato dalle autorità italiane alla Commissione e il tasso di riferimento succitato.

 

 

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[27] Causa C-387/92 del 15 marzo 1994, Banco Exterior, punto 13 della motivazione.

[28] Causa C-387/92, «Banco Exterior», punto 13 della motivazione.

[29] Osservazioni delle autorità italiane del 2 agosto 1999.

[30] Causa C-142/87 Belgio contro Commissione, Racc. 1986.

[31] Causa T-16/96, Citiflyer, Racc. 1998.

[32] Il tasso di riferimento per il controllo degli aiuti di Stato quale definito dalla comunicazione della Commissione relativa al metodo di fissazione dei tassi di riferimento e di attualizzazione (G.U.C.E. 9 settembre 1997, n. C 273), tecnicamente modificata dalla comunicazione della Commissione (G.U.C.E. 26 agosto 1999, n. C 241).

 

 

Tasso di riferimento della CDDPP e tasso di riferimento della Commissione.

 

Tasso CDDPP

Tasso di riferimento

 

 

 

1994

9,00

11,9

 

1995

9,00

11,35

 

1996

8,81

11,35

12,37 [*]

1997

7,48

10,86

8,21 [*]

1998

5,53

8,20

6,95 [**]

 

[*] Tasso applicabile dal 1° agosto al 31 dicembre dell'anno in questione.

[**] Tasso applicabile dal 1° giugno al 31 dicembre dell'anno in questione.

 

(59) Dalla tabella risulta che la misura in esame ha comportato un vantaggio selettivo alle SpA ex lege 142/90. Inoltre la Commissione osserva che la CDDPP ha applicato ogni anno un tasso di interesse uniforme senza tener conto del rischio specifico connesso con le singole operazioni di finanziamento. In pratica prestiti concessi ad un tasso di riferimento inferiore ai tassi di mercato hanno permesso a SpA ex lege 142/90 di fruire un accesso meno costoso al mercato dei capitali rispetto ad altre imprese.

 

(60) Questa misura ha dunque favorito talune imprese ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato giacché soltanto le SpA ex lege 142/90 (ossia quelle nelle quali i comuni hanno mantenuto la maggioranza del capitale) potevano sottoscrivere prestiti presso la CDDPP e non altre imprese in situazione analoga.

 

Aiuto che falsa o minaccia di falsare la concorrenza

 

(61) Sussiste distorsione di concorrenza quando un aiuto finanziario concesso dallo Stato rafforza la posizione di un'impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi intracomunitari [33].

 

(62) Queste misure rafforzano la posizione concorrenziale delle SpA ex lege 142/90 rispetto a tutte le altre imprese che intendono fornire gli stessi servizi. Le imprese la cui forma giuridica non sia quella di SpA e le cui azioni non siano maggioritariamente detenute da enti locali si trovano in posizione svantaggiata qualora intendano gareggiare per l'aggiudicazione della fornitura di un determinato servizio in un certo territorio.

 

(63) L'esenzione triennale dall'imposta sul reddito elimina una voce di costo importante dal bilancio di talune imprese che altrimenti sarebbe stata presente. Allo stesso tempo, l'utile netto del beneficiario risulta pertanto accresciuto rispetto a quello di qualsiasi altra impresa in situazione analoga. Tale utile può essere impiegato per distribuire dividendi più elevati (pertanto rendendo particolarmente redditizi gli investimenti di capitale in dette imprese con effetti distorsivi sul mercato dei capitali). Oppure può essere utilizzato per realizzare investimenti senza dover reperire nel mercato le risorse finanziarie necessarie (per cui incide sulla concorrenza del mercato in quale l'investimento è realizzato). D'altro canto, i vantaggi derivanti dall'esenzione permettono a queste imprese di operare in base a condizioni che altrimenti non sarebbero possibili. Altrettanto dicasi per il vantaggio finanziario inerente ai prestiti concessi dalla CDDPP a tasso d'interesse inferiore a quello di mercato a SpA ex lege 142/90.

 

(64) Le risorse finanziarie addizionali possono facilitare l'espansione di queste imprese in altri mercati producendo quindi effetti distorsivi anche in settori diversi da quello dei servizi pubblici locali [34]. Inoltre possono rendere più difficile l'ingresso di imprese di altri Stati membri sui mercati italiani delle attività economiche in cui sono presenti le SpA ex lege 142/90.

 

 

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[33] Causa 730/79 Philip Morris Racc. 1980, punto 11, della motivazione e conclusione dell'avvocato generale; cfr. anche la causa 259/85 Racc. 1987, punto 24, della motivazione. Cfr. anche la conclusione dell'avvocato generale nella causa C-280/00 Altmark, non ancora pubblicata nella Racc., punto 103. Nelle sue conclusioni l'avvocato generale rileva che tale requisito è molto semplice da soddisfare in quanto si può supporre che qualsiasi aiuto di Stato falsi o minacci di falsare la concorrenza.

[34] Il rischio di distorsione della concorrenza è reale. È ben noto ed è stato confermato dalle informazioni in possesso della Commissione che alcune SpA ex lege 142/90 sono entrate in altri mercati che non rientrano nella definizione di servizi pubblici locali fornita dalle autorità italiane.

 

Incidenza sul commercio

 

(65) «Allorché un aiuto finanziario concesso dallo Stato rafforza la posizione di un'impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi intracomunitari, questi sono da considerarsi influenzati dall'aiuto» [35], anche se l'impresa beneficiaria non partecipa direttamente alle esportazioni [36]. Del pari, ove uno Stato membro conceda aiuti ad imprese operanti nel settore dei servizi della distribuzione, non è necessario che le imprese beneficiarie stesse svolgano la loro attività al di fuori dello Stato membro perché l'aiuto abbia un'incidenza sul commercio comunitario, soprattutto nel caso di imprese situate in prossimità della frontiera tra due Stati membri [37].

 

(66) Nei settori dei cosiddetti servizi pubblici locali, in cui (a detta delle Autorità Italiane) le SpA ex lege 142/90 operano principalmente, la concorrenza spesso non riguarda la vendita di un servizio nella stessa area di un altro concorrente. Infatti la maggior parte di questi servizi può essere fornita in esclusiva su una parte o sull'intero territorio del comune [38]. La concorrenza si esercita innanzitutto allorché imprese situate in Italia e in altri Stati membri concorrono per ottenere concessioni o appalti pubblici per fornire il servizio in diversi comuni in Italia o in altri Stati membri.

 

(67) Come è stato osservato nella decisione di avvio del procedimento [39] «nel caso dei servizi, come nel caso di specie, tale commercio non comporta un flusso fisico di beni tra uno Stato membro ed un altro. In questo settore, le aziende concorrono per aggiudicarsi le concessioni dei servizi nei diversi comuni. Le aziende beneficiarie delle misure in esame possono eventualmente offrire prezzi più vantaggiosi per le concessioni in diversi comuni, riducendo in tal modo il mercato potenziale per i concorrenti, effettivi o potenziali» [40].

 

(68) Occorre notare che il mercato delle concessioni dei cosiddetti «servizi pubblici locali» è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, aperto a tutte le imprese della Comunità e soggetto alle regole del trattato [41].

 

(69) Le misure in esame incidono sugli scambi tra Stati membri poiché esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiarie del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano. Inoltre, il regime di aiuto rende meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore dei servizi pubblici locali in Italia (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poiché le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l'aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti.

 

(70) In generale va osservato che l'aiuto concesso a fornitori locali di servizi può creare un ostacolo a imprese straniere che intendano installarsi o vendere i loro servizi in Italia [42] e quindi incidere sugli scambi intracomunitari. Le osservazioni che precedono sono sufficienti, secondo la Commissione, per soddisfare la condizione di cui all'articolo 87, paragrafo 1 del trattato e cioè l'incidenza della misura sugli scambi tra Stati membri [43].

 

(71) Le autorità italiane hanno sostenuto che nel periodo di applicazione delle misure in questione si sono registrati pochissimi casi di concessioni aggiudicate secondo procedure selettive. Esse hanno inoltre precisato che le imprese in questione forniscono servizi a livello locale. Pertanto l'effetto sul commercio è da considerarsi insignificante. Tali argomentazioni non possono essere accolte. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, quand'anche gli scambi tra Stati membri in un determinato settore economico e in un determinato momento fossero limitati, ciò non esclude che una determinata misura possa essere considerata aiuto di Stato [44], e ciò a fortiori qualora l'esigua entità degli scambi possa dipendere anche da una violazione del diritto comunitario. Altrimenti gli Stati membri potrebbero essere incentivati ad ostacolare lo sviluppo del commercio in quel determinato settore al fine di impedire l'applicazione delle regole del trattato in materia di aiuti di Stato. Infatti, non si può escludere che l'esistenza stessa dell'aiuto in favore di SpA ex lege 142/90 abbia creato un incentivo per i comuni ad affidare direttamente i servizi e questa anziché rilasciare concessioni secondo procedure aperte. Infine, si deve osservare che, nella misura in cui le autorità italiane hanno organizzato poche procedure selettive nel periodo in questione, tale situazione potrebbe anche essere la conseguenza di una violazione delle regole comunitarie e dei principi sugli appalti pubblici e le concessioni. Tale violazione attualmente forma oggetto di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione contro l'Italia [45]. Inoltre «l'entità relativamente esigua di un aiuto o le dimensioni relativamente modeste dell'impresa beneficiaria non escludono a priori l'eventualità che vengano influenzati gli scambi tra Stati membri» [46]. Analogamente il fatto che il beneficiario non esporti direttamente i suoi prodotti in altri Stati membri oppure operi a livello locale non significa che il commercio intracomunitario non possa risentirne [47].

 

(72) Nulla nei regimi di aiuto in questione garantisce che l'aiuto da erogarsi nei singoli casi soddisferà le condizioni de minimis, pertanto il principio de minimis stabilito dalle comunicazioni della Commissione e dal diritto derivato [48] chiaramente non è applicabile in quanto tale alle misure in esame. Tuttavia non si può escludere che alcuni casi individuali rientrino nelle soglie de minimis. In quei casi specifici le misure in questione non ricadono nell'ambito dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato né in quello della presente decisione.

 

(73) Occorre inoltre osservare che le misure in esame possono incidere sugli scambi intracomunitari anche per i seguenti motivi. Alcuni dei settori indicati dalle autorità italiane come i principali settori di attività delle SpA ex lege 142/90 indubbiamente già all'epoca dell'attuazione delle misure in questione partecipavano a scambi tra l'Italia ed altri Stati membri (ad esempio per i prodotti farmaceutici, l'elettricità e i rifiuti). Pertanto non solo il commercio era prevedibile, ma già esisteva in certa misura.

 

(74) Infine, le SpA ex lege 142/90 possono decidere di operare su mercati di altri prodotti in cui esistono scambi intracomunitari. Come è stato osservato dalla Commissione nell'ambito del procedimento, e successivamente confermato da alcune imprese che hanno presentato osservazioni, alcune SpA ex lege 142/90 sono penetrate su altri mercati caratterizzati da commerci intracomunitari [49] molto intensi. Era pertanto prevedibile che le misure in questione potessero incidere sui commerci anche in settori diversi dai cosiddetti servizi pubblici locali.

 

(75) La Commissione conclude pertanto che l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e i prestiti di un articolo 9 bis del decreto legge n. 31 dell'1 luglio 1986 hanno accordato alle SpA ex lege 142/90 un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato [50].

 

 

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[35] Causa 730/79 Philip Morris, Racc. 1980, punto 11, della motivazione e 259/85, Racc. 1987, punto 11.

[36] Causa C-75/97 Maribel bis/ter Racc. 1999.

[37] Causa C-310/99 Italia contro Commissione, sentenza del 7 marzo 2002.

[38] Ciò tuttavia non vale per tutti i settori indicati dalle autorità italiane quali principali settori di attività delle SpA ex lege 142/90. Ad esempio non vale per il settore della vendita al dettaglio dei prodotti farmaceutici e per i servizi riguardanti il trattamento dei rifiuti.

[39] Decisione di avvio del procedimento, paragrafo 3.3.

[40] Occorre tener presente che l'aggiudicazione di una concessione ad un'impresa terza è una delle possibilità previste dalla legge 142/90 offerta ai comuni per organizzare la fornitura del «servizio pubblico locale».

[41] Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (G.U.C.E. 29 aprile 2000, n. C 121).

[42] Decisione della Commissione del 14 ottobre 1998 Societé Marseillaise de crédit (G.U.C.E. 30 luflio 1999, n. L 198) e la causa C-475/99 Ambulanz Glockner [2001], punto 49 della motivazione e la conclusione dell'avvocato generale nella stessa causa, punto 170.

[43] La Commissione non è tenuta a basare la sua valutazione dell'incidenza sugli scambi intracomunitari sulla dimostrazione delle effettive conseguenze di un aiuto sulla concorrenza o sugli scambi tra Stati membri (cause riunite T-204/97 e T-270/97 EPAC, Racc. 2000, punto 85; cause riunite T-298/97, T-312/97, T-313/97, T-315/97, da T-600/97 a 607/97, T-1/98, da T-3/98 a T-6/98 e T-23/98 Alzetta Mauro, Racc. 2000, punto 76.

[44] Cause riunite T-132/96 e T-143/96 Volkswagen, Racc. 1999, punto 211; cause riunite T-447/93, T-448/93 e T-449/93 Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento e British Cement Association e Blue Circle Industries plc e Castle Cement Ltd e The Rugby Group plc e Titan Cement Company SA v Commission, Racc. 1995, punti 139 e 140.

[45] Procedura di infrazione n. 1999/2184, lettera di avviso formale dell'8 novembre 2000.

[46] C-142/87 Tubemeuse, Racc. 1990, punti 42 e 43, della motivazione. Causa C-310/99 Italia contro Commissione, sentenza del 7 marzo 2002, punto 86.

[47] Causa C-142/87 Regno del Belgio contro Commissione, Racc. 1990, punto 35, della motivazione; causa 102/87 Repubblica francese contro Commissione, Racc. 1988, punto 19; causa C-75/97 Regno del Belgio contro Commissione (regime di aiuto «Maribel bis/ter») Racc. 1999, punto 49; cause riunite T-298/97, T-312/97, T-313/97, T-315/97, da T-600/97 a 607/97, T-1/98, da T-3/98 a T-6/98 e T-23/98 Alzetta Mauro, Racc. 2000, punto 91, della motivazione; causa T-55/99 (CETM), Racc. 2000, punto 86, della motivazione.

[48] Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato alle piccole e medie imprese (G.U.C.E. 19 agosto 1992, n. C 213); comunicazione della Commissione sulla regola de minimis per gli aiuti di Stato (G.U.C.E. 6 marzo 1996, n. C 68); regolamento (CEE) n. 69/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti de minimis.

[49] Ad esempio: ACEA e AEM hanno fatto il loro ingresso nel mercato delle telecomunicazioni; AMGA ha dichiarato che partecipa anche alla fornitura di software per la gestione di reti di comunicazione e altri servizi specializzati per altre imprese, ad esempio nel settore della distribuzione idrica.

[50] Nella misura in cui si potrebbe sostenere che le misure in questione non costituiscono aiuti di Stato in quanto compensano il costo netto di un servizio di interesse economico generale, vedasi ragionamento esposto nella presente decisione concernente la compatibilità ai sensi dell'articolo 86, paragrafo 2.

 

 

5.2. L'esenzione dalle tasse sui conferimenti non rientra nell'ambito dell'articolo 87, paragrafo 1

 

5.2. L'esenzione dalle tasse sui conferimenti non rientra nell'ambito dell'articolo 87, paragrafo 1

 

 

(76) Le autorità italiane riconoscono che l'esenzione dalle tasse sui conferimenti configura un regime fiscale speciale applicabile unicamente alla trasformazione di aziende municipalizzate e di aziende speciali in SpA. Tuttavia il carattere selettivo di una misura può essere giustificato «dalla natura o dalla struttura del sistema» [51]. In tal caso la misura non configura aiuto di Stato.

 

(77) A questo proposito la Commissione rileva innanzitutto che le tasse sui conferimenti di norma si applicano alla costituzione di una nuova entità economica oppure al trasferimento di attivi tra varie entità economiche. Quando un'azienda municipalizzata viene trasformata in SpA ex lege 142/90, semplicemente per effetto delle formalità del sistema giuridico italiano, sembra che una nuova entità economica venga costituita. Tuttavia si tratta soltanto di un'apparenza. Dal punto di vista sostanziale l'azienda municipalizzata e la SpA ex lege 142/90 sono la stessa entità economica operante con una forma giuridica diversa.

 

(78) Come indicato nei lavori preparatori del Senato italiano [52], il sistema giuridico italiano non prevedeva tra le regole generali applicabili ai casi di trasformazione della forma giuridica di imprese il caso della trasformazione di un'azienda municipalizzata in una società per azioni. Pertanto la trasformazione doveva essere realizzata tramite la liquidazione «tecnica» dell'azienda municipalizzata e la creazione di una «nuova» SpA. Il risultato è che sembra che venga costituita una nuova entità economica mentre, come si è già detto, si tratta della stessa entità economica che opera con una forma giuridica diversa. È quindi giustificato che le comuni norme tributarie relative al trasferimento di attivi per la creazione di una nuova entità economica non trovino applicazione nel caso di specie.

 

(79) Le autorità italiane hanno inoltre sostenuto che la mera trasformazione della forma giuridica delle imprese è retta dal principio della neutralità fiscale, in quanto la trasformazione di per sé non è indicativa di un aumento di reddito né della capacità di produrre reddito. L'esenzione dalla tassa sui trasferimenti è quindi una particolare applicazione di tale principio a questo caso specifico. Indubbiamente, diversamente dall'esenzione triennale dall'imposta sul reddito, l'esenzione dalla tassa sui trasferimenti si applica a tutti i casi di trasformazione di un'azienda speciale o di un'azienda municipalizzata in SpA, a prescindere dalla struttura azionaria della SpA.

 

(80) Allo stesso tempo è anche chiaro che la trasformazione di un'azienda speciale o di un'azienda municipalizzata in SpA non può essere assimilata ad una normale costituzione di società. Infatti non si tratta di un'operazione che rientra tra le opzioni di un investitore privato, bensì di una decisione di un'autorità pubblica in merito agli strumenti giuridici da scegliere tra quelli previsti dalla legge 142/90 per la prestazione di determinati servizi a livello locale [53].

 

(81) Alla luce di quanto precede la Commissione constata che la logica di questa esenzione rispecchia il corretto funzionamento e l'efficacia del sistema fiscale. L'esenzione si basa sul principio della neutralità fiscale che è un principio fondamentale del sistema tributario. Pertanto la misura in questione è giustificata dalla natura o dalla struttura del sistema e non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

 

 

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[51] Causa 173/73 Italia contro Commissione Racc. 1974. Comunicazione della Commissione sull'applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato e alle misure di tassazione diretta delle imprese (G.U.C.E. 10 dicembre 1998, n. C 384, punto 12).

[52] Atti parlamentari della XII legislatura, senato della Repubblica, n. 2157.

[53] Sostanzialmente il comune deve scegliere se intende limitare le attività della sua azienda alla fornitura di servizi pubblici locali entro il suo territorio, oppure se vuole costituire una società abilitata ad operare in diversi settori economici e ovunque le si presentino opportunità commerciali.

 

 

5.3. La natura dell'aiuto: nuovo o esistente

 

 

(82) Due sono le questioni da risolvere a questo proposito. La prima si basa sull'argomentazione secondo cui all'epoca dell'entrata in vigore delle misure in esame i settori in cui operavano le SpA ex lege 142/90 non erano aperti alla concorrenza. Pertanto tutte le misure in questione dovrebbero essere considerate come aiuto esistente in virtù dell'articolo 1, paragrafi b) e v), del regolamento (CE) n. 659/1999 e/o della sentenza pronunciata dal Tribunale di primo grado nella causa Alzetta Mauro [54].

 

(83) Tale argomentazione non può essere accolta. Le misure in esame devono essere analizzate come regimi di aiuto. Tali misure sono idonee a recare vantaggio a tutte le SpA ex lege 142/90. Queste ultime sono imprese che possono operare direttamente o indirettamente in qualsiasi settore economico prescelto da esse e/o dai loro azionisti. Tali regimi non contengono alcuna indicazione che gli aiuti dovevano limitarsi esclusivamente a settori non aperti alla concorrenza.

 

(84) Inoltre, contrariamente a quanto affermato dalle autorità italiane, dalle informazioni in possesso della Commissione risulta che indubbiamente vi era una certa concorrenza almeno in alcuni dei settori indicati dalle autorità italiane come quelli in cui le SpA prevalentemente operavano al momento dell'entrata in vigore delle misure in questione. A titolo indicativo, tra detti settori si possono citare, inter alia, quelli dei prodotti farmaceutici, dei rifiuti, del gas e dell'acqua. Tale analisi è corroborata dalle osservazioni delle stesse autorità italiane, le quali hanno sostenuto che in tali settori «vi era un grado ancora molto debole di concorrenza» [55]. Quand'anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata, gli Stati membri non possono adottare misure comportanti aiuti di Stato suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza già esistente.

 

(85) Concludendo l'affermazione secondo cui tutti i settori nei quali operavano le SpA all'epoca dell'entrata in vigore delle misure in esame non erano aperti alla concorrenza è infondata. Pertanto, le misure di cui trattasi non possono essere considerate come aiuti esistenti sulla base di tale argomentazione, fatta salva la possibilità che aiuti individuali concessi in base ai regimi di cui trattasi siano considerati aiuti esistenti in base alla particolare situazione del beneficiario.

 

(86) La seconda questione da risolvere riguarda l'affermazione secondo cui l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito dovrebbe essere considerata come aiuto esistente. L'argomentazione a tal proposito è in sostanza la seguente. Le aziende municipalizzate e, successivamente, le aziende speciali, fin dall'inizio del secolo, erano assimilate, ai fini fiscali, agli enti locali e in quanto tali non erano soggette a detta imposta. Le SpA ex lege 142/90 hanno sostituito le aziende municipalizzate. Quindi l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito in favore delle SpA ex lege 142/90 non è una nuova misura fiscale, bensì l'applicazione di una misura già esistente. Anziché costituire un aiuto di Stato nuovo, il comma 70 ha avuto l'effetto di limitare a tre anni l'esenzione fiscale in questione, ed eliminare una situazione normativa distorsiva della concorrenza.

 

(87) A prescindere dal fatto se le aziende municipalizzate e, successivamente, le aziende speciali fossero effettivamente esenti da qualsiasi imposta sul reddito, la Commissione rileva che il concetto di aiuto esistente non si applica all'esenzione triennale dall'imposta sul reddito in esame nel caso di specie.

 

(88) La sentenza fondamentale riguardante il concetto di aiuto esistente è quella relativa alla causa Namur Ducroire [56], nella quale la Corte si è pronunciata sul fatto se una decisione che autorizza l'ampliamento del campo di attività di una determinata impresa pubblica (la OND) possa comportare che l'aiuto concesso a detta impresa diventi un aiuto nuovo. La Corte ha osservato che una normativa precedente l'entrata in vigore del trattato i) aveva definito lo scopo e i settori d'intervento di OND in termini assai generali (concessione di garanzia all'esportazione), ii) aveva procurato alcuni vantaggi e iii) non aveva previsto alcuna delimitazione per materia o geografica del campo di attività di OND [57]. In tale situazione, OND, che per molti anni aveva limitato la sua attività all'assicurazione di determinati rischi all'esportazione, decise (con il necessario consenso del governo belga) di estendere la sua attività assicurativa anche all'esportazione verso i paesi dell'Europa occidentale.

 

(89) La Corte ha osservato che la questione se un aiuto costituisca un aiuto nuovo o un aiuto esistente deve essere risolta facendo riferimento alla normativa che istituisce la misura in questione. Essa ha quindi stabilito che la decisione di estendere i rischi all'esportazione coperti da OND (che non andava oltre la descrizione iniziale della sfera di attività di OND) non modificava la legislazione che accordava detti vantaggi né per quanto concerne la natura dei medesimi né per quanto riguarda le attività dell'ente pubblico. Di conseguenza l'aiuto era un aiuto esistente.

 

(90) Nella fattispecie non ricorre nessuna delle condizioni indicate nella succitata sentenza perché l'aiuto possa essere considerato come un aiuto esistente.

 

(91) L'esenzione triennale dall'imposta sul reddito concessa alle SpA ex lege 142/90 non è istituita da una legge precedente l'entrata in vigore del trattato. Tale esenzione è stabilita al comma 14 dell'articolo 66 del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993 e al comma 70 dell'articolo 3 della legge 549 del 1995. E infatti nel 1990, allorché la legge n. 142/90 ha dato la possibilità ai comuni di istituire SpA a prevalente partecipazione pubblica per gestire i servizi pubblici locali, non era ancora prevista alcuna esenzione dall'imposta sul reddito per dette SpA. Qualsiasi tipo di SpA creata tra il 1990 e l'entrata in vigore nel 1993 del comma 14 dell'articolo 66 del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993 era soggetta all'imposta sul reddito. Ciò è chiaramente confermato dai lavori preparatori del Senato italiano [58], nei quali si afferma che l'esenzione fiscale è stata concessa muovendo dalla considerazione che senza detta esenzione le SpA ex lege 142/90 sarebbero state assoggettate all'imposta sul reddito [59]. Pertanto per estendere alle SpA ex lege 142/90 lo stesso regime fiscale applicabile agli enti locali, l'Italia ha dovuto adottare una nuova legislazione vari decenni dopo l'entrata in vigore del trattato.

 

(92) Inoltre, né gli scopi né i settori d'intervento delle aziende municipalizzate erano stati definiti in termini generali. Le aziende municipalizzate e, successivamente, le aziende speciali si limitano alla fornitura di taluni servizi pubblici a livello locale. Pertanto incontrano delimitazioni per materia o geografiche stabilite dalla legge e dalla giurisprudenza. La legge non impone delimitazioni analoghe alle SpA ex lege 142/90. Le SpA ex lege 142/90 possono svolgere qualsiasi attività economica in qualsiasi territorio [60]. Pertanto, contrariamente alla situazione esistente nel caso di OND, l'ampliamento degli scopi e dei settori di intervento derivava direttamente dalla legge 142/90 e dalla successiva trasformazione delle aziende municipalizzate e delle aziende speciali in SpA.

 

(93) Concludendo, l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito concessa alle SpA ex lege 142/90 costituisce un aiuto di Stato nuovo.

 

 

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[54] Sentenza del 15 giugno 2000 cause riunite T-298/97, T-312/97, T-313/97, T-315/97, da T-600/97 a 607/97, T-1/98, da T-3/98 a T-6/98 e T-23/98, Racc. 2000.

[55] Osservazioni delle autorità italiane del 2 agosto 1999. Anche nelle osservazioni del 2 agosto 1999, le autorità italiano hanno lasciato intendere che le SpA ex lege 142/90 hanno anche svolto attività aperte alla concorrenza. Anche l'AMGA, una delle imprese che ha inviato osservazioni, dopo avere negato l'esistenza di qualsiasi concorrenza, riconosce che in realtà vi era una certa concorrenza. Infatti al punto 35 delle osservazioni dell'11 aprile 2000 quest'impresa ha sostenuto che l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito era volta ad eliminare una distorsione della concorrenza.

[56] Causa C-44/93, Racc. 1994.

[57] Op. cit., paragrafi 23-24.

[58] Atti parlamentari della XII legislatura, Senato della Repubblica, n. 2157. La parte che interessa recita: «muovendo dalla considerazione che in "nuovi" soggetti - non avrebbero potuto più fruire delle non trascurabili agevolazioni fiscali riconosciute a detti enti locali (tra le quali l'esclusione dall'IRPEG e dall'ILOR) - ha previsto una "moratoria" - finalizzato a rimuovere l'effetto disincentivante connesso alla brusca perdita di ogni vantaggio fiscale».

[59] Anche AMGA, ACEA e AEM pur condividendo la definizione dell'aiuto come aiuto esistente, riconoscono che in assenza di questa nuova disposizione, la semplice trasformazione delle aziende municipalizzate avrebbe comportato l'applicazione alle SpA ex lege 142/90 dell'imposta sul reddito (cfr. osservazioni della AMGA dell'11 aprile 2000 paragrafo 11 e osservazioni ACEA e AEM del 21 gennaio 2000, paragrafo 7).

[60] Come dichiarato dalla Corte di cassazione italiana a Sezioni Unite «Le SpA a prevalente capitale pubblico locale sono da considerarsi a tutti gli effetti soggetti societari privati...» sentenza del 6 maggio 1995, n. 4989. Infatti SpA ex lege 142/90 operavano e tuttora operano al di fuori del territorio del comune di appartenenza perfino al di fuori dell'Italia e/o sono penetrate su mercati che non sono mercati di servizi pubblici locali.

 

 

 

5.4. Compatibilità con il mercato comune

 

 

(94) La Commissione, concluso che l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e i prestiti accordati ai sensi dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 hanno accordato alle SpA ex lege 142/90 un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE, deve verificare se tale aiuto possa essere compatibile col mercato comune. Tale valutazione è effettuata congiuntamente per le due misure salvo diversamente indicato.

 

(95) L'aiuto non è compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 2. Infatti non si tratta di un aiuto a carattere sociale concesso a singoli consumatori né di un aiuto destinato a ovviare ai danni arrecati da calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; e neppure di un aiuto concesso all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania. L'aiuto non è nemmeno compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera d) (aiuto destinato a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio), oppure lettera e) (le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio). Né lo Stato membro ha invocato alcuna di dette deroghe. Infine, l'aiuto non è compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera b). La riorganizzazione del settore dei servizi pubblici in Italia non può essere considerata un progetto di comune interesse europeo, dato che avvantaggerà prevalentemente gli operatori economici di uno Stato membro, anziché l'intera Comunità e dato che non promuoverà un progetto concreto, preciso e ben definito. Del pari l'aiuto non pone rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro, giacché non è stato fornito alcun elemento di prova che il settore italiano dei servizi pubblici locali soffrisse di una crisi sistemica.

 

(96) L'aiuto si applica all'intero territorio dello Stato e quindi non può essere considerato compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c) (sviluppo di talune regioni).

 

 

Articolo 87, paragrafo 3, lettera c)

 

 

(97) Quanto alla compatibilità con il trattato in base all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c) (sviluppo di talune attività economiche), va osservato che, di fatto, le misure in questione, alleviando gli oneri normalmente inclusi nel bilancio di un'impresa, possono aver aiutato alcune imprese a riorganizzarsi, ad accrescere la propria efficienza e a diventare più competitive [61]. Tuttavia non sono soddisfatte le condizioni per applicare gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà [62]. L'aiuto non è stato notificato individualmente alla Commissione né è stato presentato alcun piano di ristrutturazione, benché le misure riguardassero anche imprese di grandi dimensioni. L'aiuto non è destinato ad avvantaggiare soltanto imprese in difficoltà né è stato dimostrato che tutte le imprese beneficiarie fossero in una simile situazione. Inoltre l'aiuto non è volto a ripristinare la redditività economico-finanziaria nel lungo periodo delle imprese. Gli orientamenti suddetti esigono l'adozione di misure tese a controbilanciare, per quanto possibile, eventuali ripercussioni negative sui concorrenti. Non vi è alcuna traccia di simili misure.

 

(98) Le misure in questione non si limitano alle PMI. Per quanto concerne gli aiuti alle PMI, la Commissione rileva che il regime in esame può applicarsi a imprese diverse dalle PMI e che le agevolazioni non sono qualificabili come aiuto all'investimento, né come aiuti per altri tipi di spese che possano altrimenti essere considerati compatibili in base alle regole applicabili agli aiuti alle PMI.

 

(99) Non è del tutto chiaro il significato della tesi secondo cui l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito sarebbe compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), in quanto volta a favorire la ristrutturazione delle imprese in questione e il passaggio da una struttura di mercato monopolistica ad una struttura di mercato concorrenziale.

 

(100) Se interpretata alla lettera, tale tesi risulta infondata. Infatti ogni SpA ex lege 142/90 fruisce nel comune di appartenenza degli stessi diritti di esclusiva precedentemente spettanti all'azienda municipalizzata o all'azienda speciale che ha sostituito. Questo punto è stato ripetutamente confermato dalle autorità italiane, le quali hanno dichiarato che ogni comune che abbia istituito una SpA ex lege 142/90 le ha concesso in affidamento diretto i compiti precedentemente affidati all'azienda municipalizzata. Ed anche le imprese che hanno presentato osservazioni hanno sottolineato che alle SpA ex lege 142/90 sono stati affidati esattamente gli stessi monopoli locali precedentemente affidati alle aziende municipalizzate o alle aziende speciali [63]. Inoltre i vantaggi concessi ad SpA ex lege 142/90 vanno oltre la trasformazione della loro forma giuridica e durano per tre anni dopo tale trasformazione.

 

(101) Pertanto, il fatto che in passato la Commissione abbia deciso, a proposito di misure di altro tipo, che l'aiuto volto a facilitare il passaggio da una struttura di mercato monopolistica ad una struttura concorrenziale possa essere considerato compatibile ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), è del tutto irrilevante ai fini della valutazione delle misure in questione [64].

 

(102) Per altro verso, questa tesi può essere interpretata nel senso che la misura in questione era volta a favorire la privatizzazione di imprese controllate dagli enti locali al fine di promuovere una maggiore liberalizzazione e partecipazione del capitale privato alla fornitura dei servizi locali.

 

(103) Il ragionamento testé svolto già impedisce alla Commissione di accettare tale tesi. Si può anche aggiungere che se l'obiettivo della misura di aiuto in questione fosse stato effettivamente di aiutare la transizione verso un mercato più liberalizzato e la partecipazione di capitale privato, allora questa misura avrebbe dovuto applicarsi a qualsiasi forma di privatizzazione o avrebbe dovuto applicarsi con maggiore intensità laddove la privatizzazione fosse più pronunciata (ad esempio laddove i comuni avessero mantenuto una partecipazione di minoranza nella SpA). Invece la misura non si applica in maniera uniforme, bensì unicamente a SpA ex lege 142/90 (ossia a prevalente partecipazione pubblica). In ogni caso, secondo il principio della parità di trattamento delle imprese pubbliche e private, il fatto che l'aiuto sia concesso al fine di favorire la privatizzazione di un'impresa non è, in linea di massima, un motivo valido per dichiarare la compatibilità dell'aiuto.

 

(104) Le autorità italiane hanno sostenuto che in assenza dell'esenzione triennale dall'imposta sul reddito sarebbe stato estremamente costoso per i comuni trasformare la loro azienda speciale in una società di diritto privato. Tuttavia è normale che un'impresa che modifica la propria forma giuridica (in questo caso da azienda speciale in SpA) goda dei diritti e vantaggi inerenti alla nuova forma giuridica (la possibilità di operare al di fuori del territorio del comune e in qualsiasi settore economico) e sia assoggettata agli oneri connessi alla nuova forma giuridica, incluso ad un trattamento fiscale diverso. Inoltre è logico che dette conseguenze si riflettano sul proprietario dell'impresa. In ogni caso non è stato dimostrato che in assenza della misura in parola la trasformazione non sarebbe stata realizzata né che il vantaggio sia stato commisurato all'obiettivo perseguito. Infine, come si è già osservato, l'aiuto in questione non è stato accompagnato da misure volte ad attenuare l'inerente distorsione della concorrenza.

 

(105) Tale valutazione non è in contraddizione con la prassi decisionale della Commissione, in particolare non contrasta con la decisione sui trasporti locali olandesi [65], come sostenuto invece dalle autorità italiane. È sufficiente osservare che, diversamente dal caso di specie, in quel caso:

 

- ai beneficiari era fatto divieto di partecipare a gare per tutta la durata dell'aiuto fintantoché i loro mercati domestici non fossero sottoposti a procedure aperte, trasparenti e non discriminatorie,

 

- la concessione dell'aiuto era subordinata all'elaborazione da parte dell'impresa di un piano industriale dettagliato.

 

(106) La Commissione conclude pertanto che l'aiuto accordato per effetto dell'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e dei prestiti concessi ai sensi dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 non può essere considerato compatibile con il trattato in virtù dell'articolo 87, paragrafo 3, lettera c). Inoltre tale disposizione esige che «l'aiuto non alteri le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse», condizione che, alla luce di quanto precede, la Commissione non ritiene soddisfatta nel caso di specie. Di fatto, il principale effetto delle misure in questione non consiste nel rendere più competitivo il mercato italiano, ma nel rafforzare talune imprese italiane (ossia quelle ancora controllate dagli enti locali) rispetto ai loro concorrenti in altri Stati membri e nell'ostacolare la penetrazione di questi ultimi sul mercato italiano.

 

 

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[61] Cfr. a questo riguardo le osservazioni di AEM e di ACEA del 21 gennaio 2000, punto 42.

[62] G.U.C.E. 9 ottobre 1999, n. C 288. I precedenti orientamenti comunitari sugli aiuti di stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà (G.U.C.E. 23 dicembre 1994, n. C 368) e le regole indicate nel 1979 nell'ottava relazione sulla politica di concorrenza, punti 177, 227 e 228 si applicano agli aiuti concessi prima della pubblicazione dei nuovi orientamenti nella Gazzetta ufficiale. A fini del presente caso, il contenuto di tutte queste regole è identico e l'applicazione di una qualsiasi serie di regole non ha alcuna incidenza sulla valutazione del caso di specie.

[63] Osservazioni del 21 gennaio 2000, punto 6.

[64] Cfr. precedente considerando 26.

[65] Causa N 199/99 (servizi trasporto pubblico locali olandesi) (G.U.C.E. 31 dicembre 1999, n. C 379).

 

 

Articolo 86, paragrafo 2, del trattato

107) Secondo le autorità italiane l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e i prestiti concessi ai sensi dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 dovrebbero essere considerati come aiuto di Stato compatibile in virtù dell'articolo 86, paragrafo 2. Esse hanno infatti affermato che la maggior parte delle attività svolte da SpA ex lege 142/90 sono servizi di interesse economico generale e che senza le misure in questione sarebbe stato impossibile per dette imprese svolgere la missione di servizio generale ad esse affidata.

 

(108) La Commissione non condivide l'opinione secondo la quale l'articolo 86, paragrafo 2, può applicarsi all'aiuto in questione, del pari essa non ritiene che dette misure rappresentino un sistema di compensazione per una missione di interesse generale affidata alle SpA ex lege 142/90. Nella sua comunicazione sui servizi di interesse generale in Europa [66], la Commissione ha sottolineato che tre principi sono sottesi all'applicazione dell'articolo 86, paragrafo 2, e alla questione della compensazione di obbligazioni di interesse economico generale:

 

a) la neutralità;

 

b) la libertà dello Stato membro di definire cosa consideri servizio di interesse economico generale;

 

c) la proporzionalità.

 

(109) La neutralità significa che la Commissione non entra nel merito della questione se le imprese responsabili della prestazione di servizi di interesse generale debbano avere natura pubblica o privata. D'altra parte le norme del trattato si applicano indipendentemente dal regime di proprietà di un'impresa.

 

(110) La libertà degli Stati membri di definire cosa considerino servizi di interesse economico generale è limitata unicamente dal controllo della Commissione in caso di abusi o di errore manifesto. «Tuttavia, in ogni caso, affinché sia applicabile la deroga di cui all'articolo 86, paragrafo 2, la missione di servizio pubblico deve essere chiaramente definita ed essere affidata esplicitamente con atto pubblico (compresi i contratti)». Tale obbligo è necessario per garantire la certezza giuridica e la trasparenza nei confronti dei cittadini ed è indispensabile perché la Commissione possa verificare il rispetto del criterio di proporzionalità [67].

 

(111) La proporzionalità implica che i mezzi utilizzati per la missione di interesse generale non devono dare origine a distorsioni non indispensabili degli scambi e non eccedano quanto strettamente necessario per garantire l'adempimento della missione. La prestazione del servizio di interesse economico generale deve essere garantita. Quindi le imprese, alle quali tale compito è affidato, devono essere in grado di sostenere gli oneri specifici e di conseguenza lo Stato può coprire i costi netti supplementari derivanti dal compito particolare assegnato all'impresa interessata.

 

(112) L'invocazione da parte delle autorità italiane dell'articolo 86, paragrafo 2 deve essere respinta in primo luogo per il fatto che dette misure discriminano tra imprese private e imprese pubbliche e quindi sono incompatibili con il principio di neutralità enunciato all'articolo 295 del trattato e con il principio di parità di trattamento e di non discriminazione, che è un principio generale del diritto comunitario.

 

(113) Infatti l'aiuto in questione non è concesso in ragione dell'imposizione di obbligazioni di servizio generale, bensì unicamente sulla base della struttura azionaria di alcune imprese. I prestiti agevolati della CDDPP e l'esenzione triennale dall'imposta sul reddito si applicano unicamente ad imprese trasformate in SpA ex lege 142/90 (ossia nelle quali i comuni mantengono almeno la maggioranza del capitale). Le imprese in cui il comune detiene soltanto una partecipazione di minoranza e le imprese che sono interamente private non sono ammesse a detti vantaggi, neppure se prestano lo stesso servizio.

 

(114) Il fatto che l'applicazione delle misure in questione non sia connessa all'imposizione di alcuna obbligazione di servizio pubblico e la loro natura discriminatoria sono palesi ove si consideri che una SpA ex lege 142/90 avrebbe perso il diritto all'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e la possibilità di contrarre prestiti agevolati con la CDDPP se, durante il periodo di applicazione delle misure di aiuto in questione, la partecipazione azionaria del comune fosse scesa al di sotto della soglia di maggioranza.

 

(115) In secondo luogo la Commissione osserva che, nella fattispecie, non sono rispettati i principi di definizione, e affidamento.

 

(116) Come indicato dalle autorità italiane, le SpA ex lege 142/90 svolgono alcune attività che, in principio, potrebbero fruire di un'esenzione ai sensi dell'articolo 86, paragrafo 2. L'articolo 22 della legge n. 142/90 prevede la possibilità per i comuni di fornire servizi pubblici mediante SpA. Tuttavia tale legge non specifica quali servizi siano effettivamente da considerarsi come servizi pubblici e in quale misura. Inoltre non cita alcuna specifica obbligazione di pubblico servizio. Pertanto tale legge non si può considerare come un atto che definisce chiaramente la missione di servizio pubblico ed espressamente ne affida l'assolvimento a determinate imprese. Le autorità italiane non hanno presentato altre prove, atti normativi o informazioni di qualsiasi sorta relativi vuoi alla definizione vuoi all'affidamento della missione di servizio pubblico.

 

(117) In terzo luogo non è rispettato nemmeno il principio di proporzionalità. Il governo italiano non ha indicato le obbligazioni di servizio generale imposte a tali imprese né i costi netti supplementari derivanti da dette obbligazioni né, infine, l'ammontare dei fondi pubblici concessi a SpA ex lege 142/90 per effetto delle misure in esame o mediante altri strumenti. Di conseguenza, la Commissione si trova nell'impossibilità di effettuare qualsiasi controllo di proporzionalità. Inoltre, il vantaggio derivante dall'esenzione triennale dall'imposta sul reddito dipende dall'ammontare del reddito imponibile dell'impresa e non dal costo netto derivante da un'eventuale obbligazione di servizio pubblico. Quanto ai prestiti CDDPP, le autorità italiane non hanno dimostrato che tali prestiti erano sempre giustificati a causa dei costi derivanti da specifiche obbligazioni di servizio pubblico.

 

(118) È quindi chiaro che le misure di cui trattasi non hanno nulla a che vedere con il rimborso del costo netto supplementare derivante dall'assolvimento di una missione di servizio generale: se così fosse, il rimborso non potrebbe essere collegato alla composizione azionaria dell'impresa, bensì all'imposizione di obbligazioni specifiche. Le misure in questione invece sono unicamente collegate alla composizione azionaria dell'impresa e non vi è alcun indizio di obbligazioni di servizio generale che si applichino unicamente a SpA ex lege 142/90 in ragione della loro forma giuridica e non ad altre imprese che forniscono lo stesso tipo di servizi.

 

(119) Infine, da quanto esposto si evince inoltre che le autorità italiane non hanno indicato dettagliatamente i motivi per cui, in caso di soppressione delle misure controverse, l'assolvimento del compito di interesse economico generale in condizioni economiche accettabili sarebbe, a loro avviso, compromesso. Pertanto le autorità italiane non hanno rispettato il principio stabilito dalla Corte di giustizia secondo cui «spetta allo Stato membro che si richiama all'articolo 86, paragrafo 2, in deroga alle norme fondamentali del trattato, dimostrare che ricorrono i presupposti per l'applicazione di tale norma» [68].

 

(120) Concludendo, la Commissione constata che l'aiuto concesso per effetto dell'esenzione triennale dall'imposta sul reddito e dei prestiti accordati ai sensi dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986 non può essere considerato compatibile con il mercato comune in virtù dell'articolo 86, paragrafo 2, né che queste misure possono essere considerate come una forma di compensazione per un'eventuale missione di interesse generale affidata a dette imprese.

 

 

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[66] G.U.C.E. 19 gennaio 2001, n. C 17.

[67] Punto 22 della comunicazione.

[68] Causa C-159/94 GDF, Racc. 1997, punti 94 e 101, della motivazione.

 

Compatibilità con altre disposizioni del trattato

 

(121) Infine la Commissione constata che l'aiuto di Stato è anche incompatibile con il mercato comune per un'ulteriore ragione. Le misure si applicano a differenti settori economici (acqua, gas, elettricità, ecc.), ma non a tutte le imprese operanti in detti settori. L'ammissibilità di un'impresa ai regimi dipende unicamente dalla sua forma giuridica (ex ente pubblico trasformato in società per azioni) e dalla natura dei suoi azionisti (maggioranza pubblica).

 

(122) Imprese operanti negli stessi settori ma in cui, ad esempio, investitori privati detengano la maggioranza o l'integralità del capitale azionario non sono ammesse alle misure di aiuto in questione. In particolare le condizioni per beneficiare di dette misure non possono mai essere soddisfatte da imprese di altri Stati membri che abbiano una sede secondaria in Italia. L'aiuto quindi discrimina tra imprese operanti nello stesso settore unicamente sulla base della composizione del loro azionariato e, di fatto, dello Stato in cui si trova la sede principale dell'impresa, senza che questa differenza di trattamento sia giustificata da una ragione oggettiva. In quanto tale la misura è contraria al principio di non discriminazione per motivi di nazionalità, che è un principio generale del diritto comunitario ed in particolare è contraria alla libertà di stabilimento di cui all'articolo 43 del trattato CE. Orbene, secondo costante giurisprudenza della Corte, «un aiuto di Stato che, in considerazione di determinate sue modalità, contrasti con altre disposizioni del trattato, non può essere dichiarato dalla Commissione compatibile con il mercato comune» [69].

 

 

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[69] Causa C-156/98 Germania contro Commissione, Racc. 2000, punto 78, della motivazione.

 

 

6. Conclusione

 

(123) La Commissione constata che l'esenzione dalle tasse sui conferimenti di cui all'articolo 3, comma 69, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995 non costituisce aiuto di Stato in quanto concorda con la natura e la struttura generale del sistema.

 

(124) La Commissione constata inoltre che l'Italia, in violazione dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato, ha dato illegittimamente esecuzione ai regimi di aiuto di Stato istituiti dall'articolo 3, comma 70, e dall'articolo 9 bis del decreto legge n. 318/1986. La Commissione conclude inoltre che detti aiuti di Stato sono incompatibili con il mercato comune.

 

(125) Ai sensi di una giurisprudenza consolidata e dell'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999, la Commissione dispone che lo Stato membro interessato deve prendere tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto presso i beneficiari. Nel caso di specie le autorità italiane non hanno sostenuto che il recupero dell'aiuto sarebbe contrario ad un principio generale del diritto comunitario né tantomeno la Commissione ritiene che un tale principio impedisca il recupero dell'aiuto.

 

(126) La presente decisione concerne i due regimi di aiuto in esame e va eseguita senza indugio, in particolare per quanto riguarda il recupero di tutti gli aiuti individuali concessi in base ai medesimi. La Commissione fa inoltre presente che una decisione relativa a regimi di aiuto non pregiudica la possibilità che aiuti individuali siano considerati, interamente o parzialmente, compatibili con il mercato comune per ragioni attinenti al caso specifico (ad esempio per il fatto che la concessione individuale di aiuto rientri nelle regole de minimis oppure nel contesto di una decisione futura della Commissione o in virtù di un regolamento di esenzione).

 

(127) L'aiuto da recuperare comprende gli interessi calcolati, conformemente alla prassi della Commissione, sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionali,

 

ha adottato la presente decisione:

 

 

Articolo 1

L'esenzione dalle tasse sui conferimenti, di cui all'articolo 3, comma 69, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, non costituisce aiuto ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

 

 

Articolo 2

L'esenzione triennale dall'imposta sul reddito disposta dall'articolo 3, comma 70, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, e dall'articolo 66, comma 14, del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993, convertito con legge n. 427 del 29 ottobre 1993, e i vantaggi derivanti dai prestiti concessi ai sensi dell'articolo 9 bis del decreto legge n. 318 del 1° luglio 1986, convertito con modifiche, con legge n. 488 del 9 agosto 1986, a favore di società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria istituite ai sensi della legge n. 142 dell'8 giugno 1990, costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

 

Detti aiuti non sono compatibili con il mercato comune.

 

 

Articolo 3

L'Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari l'aiuto concesso in virtù dei regimi di cui all'articolo 2, già posti illegittimamente a loro disposizione.

 

Il recupero viene eseguito senza indugio e secondo le procedure del diritto nazionale, sempreché queste consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione.

 

L'aiuto da recuperare è produttivo di interessi, decorrenti dalla data in cui l'aiuto è stato posto a disposizione dei beneficiari fino alla data di effettivo recupero, calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionale.

 

Articolo 4

 

Entro due mesi dalla data di notificazione della presente decisione, l'Italia comunica alla Commissione i provvedimenti presi per conformarvisi.

 

 

Articolo 5

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione.

 

 

Fatto a Bruxelles, il 5 giugno 2002.

 

 

Per la Commissione

Mario Monti

membro della Commissione

 

 


 

Reg. (CE) 18 dicembre 2003, n. 2244/2003.
Regolamento della Commissione
che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

(1) Pubblicato nella G.U.U.E. 20 dicembre 2003, n. L 333. Entrato in vigore il 27 dicembre 2003.

 

 

La Commissione delle Comunità europee,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea,

 

visto il regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio, del 20 dicembre 2002, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel quadro della politica comune della pesca, in particolare l'articolo 22, paragrafo 3 e l'articolo 23, paragrafo 5,

 

considerando quanto segue:

 

(1) L'articolo 22, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 2371/2002 vieta ai pescherecci di esercitare le attività disciplinate dalla politica comune della pesca a meno che essi non siano provvisti a bordo di un sistema operativo che ne consenta la localizzazione e l'individuazione mediante sistemi di controllo a distanza.

 

(2) È opportuno stabilire che il sistema di controllo dei pescherecci via satellite (SCP) si applica ai pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 18 metri a decorrere dal 1° gennaio 2004 ed ai pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 15 metri a decorrere dal 1° gennaio 2005.

 

(3) I pescherecci che esercitano l'attività di pesca esclusivamente entro le linee di base degli Stati membri non devono essere assoggettati a tale obbligo poiché l'impatto della loro attività sulle risorse è trascurabile.

 

(4) A norma dell'articolo 23, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2371/2002, gli Stati membri devono predisporre la struttura amministrativa e tecnica necessaria per assicurare efficacemente il controllo, l'ispezione e l'esecuzione, compresi i sistemi di sorveglianza via satellite.

 

(5) L'adozione di disposizioni più rigorose in materia di SCP contribuisce ad accrescere sensibilmente l'efficienza e l'efficacia delle operazioni di monitoraggio, controllo e sorveglianza sia in mare che a terra.

 

(6) È opportuno definire un periodo transitorio per l'applicazione delle disposizioni relative alla comunicazione della velocità e della rotta del peschereccio, a determinate condizioni.

 

(7) È necessario che l'applicazione dell'SCP non comporti disparità tra i pescherecci comunitari e i pescherecci di paesi terzi operanti in acque comunitarie.

 

(8) A causa dell'adozione delle nuove disposizioni, è necessario abrogare il regolamento (CE) n. 1489/97 della Commissione, del 29 luglio 1997, recante modalità d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2847/93 del Consiglio per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite.

 

(9) Le misure previste dal presente regolamento sono conformi al parere del comitato di gestione per il settore della pesca e dell'acquacoltura,

 

ha adottato il presente regolamento:

 

 

Capo I

 

Disposizioni generali

 

Articolo 1

Oggetto.

Il presente regolamento stabilisce le modalità relative alla gestione, da parte degli Stati membri, di un sistema di controllo dei pescherecci via satellite (SCP) ai sensi dell'articolo 22, paragrafo 1, lettera b, e dell'articolo 23, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2371/2002.

 

 

Articolo 2

Campo d'applicazione.

1. Il presente regolamento si applica:

 

a) ai pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 18 metri a decorrere dal 1° gennaio 2004 e

 

b) ai pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 15 metri a decorrere dal 1° gennaio 2005.

 

2. Il presente regolamento non si applica ai pescherecci utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'acquacoltura e che operano esclusivamente all'interno delle linee di base degli Stati membri.

 

 

Articolo 3

Centri di controllo della pesca.

1. Gli Stati membri gestiscono i Centri di controllo della pesca (CCP).

 

2. Il CCP di ciascuno Stato membro sorveglia:

 

a) i pescherecci battenti bandiera dello Stato membro stesso, a prescindere dalle acque in cui operano o dal porto in cui sostano;

 

b) i pescherecci comunitari battenti bandiera di un altro Stato membro e

 

c) i pescherecci di paesi terzi, per tutto il tempo in cui si trovano nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del rispettivo Stato membro.

 

3. Più Stati membri possono gestire un CCP comune.

 

 

Capo II

 

Controllo via satellite dei pescherecci comunitari

 

Articolo 4

Obbligatorietà dell'impianto di localizzazione via satellite sui pescherecci comunitari.

I pescherecci comunitari soggetti all'SCP non possono lasciare il porto se non sono provvisti di un impianto di localizzazione via satellite installato a bordo.

 

 

Articolo 5

Caratteristiche degli impianti di localizzazione via satellite.

1. Gli impianti di localizzazione via satellite installati a bordo dei pescherecci comunitari garantiscono in qualsiasi momento la trasmissione automatica dei seguenti dati al Centro di controllo della pesca (CCP) dello Stato membro di bandiera:

 

a) identificazione del peschereccio;

 

b) ultima posizione geografica del peschereccio, con un margine di errore inferiore ai 500 metri ed un margine di affidabilità del 99%;

 

c) data e ora (espressa in «tempo universale», o «UTC») in cui è stata rilevata detta posizione del peschereccio;

 

d) a decorrere dal 1° gennaio 2006, velocità e rotta del peschereccio.

 

2. Gli Stati membri adottano le misure idonee affinché gli impianti di localizzazione via satellite non consentano la registrazione o la trasmissione di posizioni false e non possano essere alterati manualmente.

 

 

 

Articolo 6

Responsabilità relative agli impianti di localizzazione via satellite.

1. I comandanti dei pescherecci comunitari provvedono affinché gli impianti di localizzazione via satellite siano perfettamente funzionanti in qualsiasi momento e trasmettano i dati specificati all'articolo 5, paragrafo 1.

 

2. In particolare, i comandanti dei pescherecci comunitari provvedono affinché:

 

a) i dati non siano alterati in alcun modo;

 

b) l'antenna o le antenne collegate all'impianto di localizzazione via satellite non siano ostruite in alcun modo;

 

c) l'alimentazione elettrica dell'impianto di localizzazione via satellite non sia mai interrotta;

 

d) l'impianto di localizzazione via satellite non sia asportato dal peschereccio.

 

3. È vietato distruggere, danneggiare, disattivare o comunque manomettere l'impianto di localizzazione via satellite.

 

Articolo 7

Misure di controllo incombenti agli Stati membri di bandiera.

Ciascuno Stato membro di bandiera provvede alla regolare sorveglianza dell'esattezza dei dati trasmessi a norma dell'articolo 5, paragrafo 1 e interviene tempestivamente non appena constati dati inesatti.

 

Articolo 8

Frequenza di trasmissione dei dati.

1. Ciascuno Stato membro provvede affinché il suo CCP riceva almeno ogni ora, attraverso l'SCP, le informazioni richieste all'articolo 5, paragrafo 1, riguardo ai pescherecci battenti la sua bandiera e immatricolati nella Comunità. Il CCP può chiedere che la trasmissione avvenga ad intervalli più ravvicinati.

 

2. In deroga al paragrafo 1, la frequenza di trasmissione dei dati può essere pari a due ore se il CCP ha la possibilità di individuare l'effettiva posizione dei pescherecci.

 

3. Quando il peschereccio è ormeggiato in porto, l'impianto di localizzazione via satellite può essere disinserito, previa notifica al CCP dello Stato membro di bandiera e a quello dello Stato costiero e a condizione che la comunicazione successiva indichi che il peschereccio non ha cambiato posizione rispetto alla comunicazione precedente.

 

 

Articolo 9

Controllo dell'entrata in zone specifiche e della relativa uscita.

Ciascuno Stato membro provvede affinché il proprio CCP controlli, attraverso l'SCP, la data e l'ora dell'entrata e dell'uscita nelle/dalle zone sotto elencate dei pescherecci battenti la sua bandiera e immatricolati nella Comunità:

 

a) tutte le zone soggette a norme specifiche di accesso alle acque e alle risorse;

 

b) le zone di regolamentazione delle organizzazioni regionali per la pesca cui aderiscono la Comunità o taluni Stati membri;

 

c) le acque di un paese terzo.

 

 

Articolo 10

Trasmissione dei dati allo Stato membro costiero.

1. L'SCP adottato da ciascuno Stato membro garantisce, con riguardo ai pescherecci battenti la sua bandiera e immatricolati nella Comunità che si trovino nelle acque di uno Stato membro costiero, la trasmissione automatica al CCP dello Stato membro costiero stesso dei dati da fornire ai sensi dell'articolo 5.

 

Tali dati sono trasmessi simultaneamente al CCP dello Stato membro di bandiera nella forma indicata all'allegato I.

 

2. Ogni Stato membro trasmette agli altri Stati membri un elenco completo delle coordinate geografiche che delimitano la propria zona economica esclusiva o la propria zona di pesca esclusiva.

 

3. Gli Stati membri costieri che esercitano il controllo congiunto in una determinata zona possono precisare una destinazione comune per la trasmissione dei dati da fornire ai sensi dell'articolo 5. Essi ne informano la Commissione e gli altri Stati membri.

 

4. Gli Stati membri assicurano il coordinamento tra le rispettive autorità competenti ai fini dell'istituzione e della gestione dei procedimenti per la trasmissione dei dati al CCP dello Stato membro costiero.

 

5. Ciascuno Stato membro comunica agli altri Stati membri, su richiesta, l'elenco dei pescherecci battenti la sua bandiera che siano soggetti all'SCP. Detto elenco contiene il numero interno dello schedario della flotta, l'identificazione esterna, il nome e l'indicativo internazionale di chiamata di ciascun peschereccio.

 

 

Articolo 11

Guasto tecnico o non funzionamento dell'impianto di localizzazione via satellite.

1. In caso di guasto tecnico o di non funzionamento dell'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo di un peschereccio comunitario, il comandante o l'armatore del peschereccio o il loro rappresentante comunica al CCP dello Stato membro di bandiera e al CCP dello Stato membro costiero ogni quattro ore, a partire dal momento in cui il fatto è stato riscontrato o dal momento in cui egli ne è stato informato ai sensi del paragrafo 3 o dell'articolo 12, paragrafo 1, la posizione geografica aggiornata della nave mediante e-mail, telex, fax, telefono o radio, tramite una stazione radio riconosciuta ai sensi della legislazione comunitaria per il ricevimento delle informazioni di cui trattasi.

 

2. Il peschereccio comunitario non può salpare dal porto, quando si è verificata una situazione di guasto tecnico o di non funzionamento, finché le autorità competenti non abbiano constatato che l'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo funziona normalmente o non abbiano comunque autorizzato il peschereccio a salpare.

 

3. Gli Stati membri provvedono ad informare il comandante o l'armatore del peschereccio comunitario o il loro rappresentante qualora l'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo del peschereccio risulti in situazione di guasto tecnico o di non funzionamento.

 

4. Lo Stato membro di bandiera può autorizzare la sostituzione dell'impianto di localizzazione via satellite difettoso con un impianto funzionante che risponda ai requisiti di cui all'articolo 5.

 

 

Articolo 12

Mancata ricezione dei dati.

1. Quando durante 12 ore non riceva dati a norma degli articoli 8 e 11, il CCP dello Stato membro di bandiera informa quanto prima il comandante o l'armatore del peschereccio o il loro rappresentante. Se, per uno stesso peschereccio, il fatto si ripete più di tre volte nell'arco di un anno, lo Stato membro di bandiera procede al controllo dell'impianto di localizzazione via satellite del peschereccio. Esso dispone inoltre un'indagine per accertare se l'apparecchiatura sia stata manomessa. In deroga all'articolo 6, paragrafo 2, lettera d), l'apparecchiatura può essere asportata per essere esaminata.

 

2. Quando durante 12 ore non riceva dati a norma degli articoli 8 e 11, paragrafo 1, e l'ultima posizione ricevuta sia all'interno delle acque territoriali di uno Stato membro costiero, il CCP dello Stato membro di bandiera informa al più presto possibile il CCP dello Stato membro costiero di cui trattasi.

 

3. Le autorità competenti dello Stato membro costiero, qualora rilevino la presenza di un peschereccio nelle proprie acque territoriali e non abbiano ricevuto dati a norma dell'articolo 10, paragrafo 1, o dell'articolo 11, paragrafo 1, informano il comandante del peschereccio e il CCP dello Stato di bandiera.

 

 

Articolo 13

Controllo delle attività di pesca.

1. I dati ricevuti a norma dell'articolo 8, dell'articolo 10, paragrafo 1, e dell'articolo 11, paragrafo 1, devono essere utilizzati dagli Stati membri ai fini del controllo efficace delle attività di pesca delle navi.

 

2. Gli Stati membri di bandiera garantiscono che i dati pervenuti dai pescherecci battenti la loro bandiera o immatricolati nel loro territorio siano registrati in forma digitale e siano conservati per un periodo di tre anni.

 

3. Gli Stati membri costieri garantiscono che i dati pervenuti dai pescherecci battenti bandiera di un altro Stato membro siano registrati in forma digitale e siano conservati per un periodo di tre anni.

 

 

Capo III

 

Accesso ai dati e relazioni

 

Articolo 14

Accesso ai dati.

1. Gli Stati membri provvedono affinché la Commissione, su richiesta specifica, possa in qualsiasi momento accedere a distanza, mediante sessioni in linea, agli archivi informatizzati dei dati registrati dal CCP.

 

2. I dati ricevuti nell'ambito del presente regolamento sono trattati in modo confidenziale.

 

 

Articolo 15

Informazioni riguardanti le autorità competenti.

1. Il nome, l'indirizzo, i numeri di telefono, di telex e di fax dell'autorità competente responsabile per il CCP, nonché l'indirizzo X. 25 e qualsiasi altro indirizzo utilizzato per la trasmissione elettronica dei dati sono elencati nell'allegato II.

 

2. Qualsiasi modificazione delle informazioni di cui al paragrafo 1 è comunicata alla Commissione e agli altri Stati membri entro una settimana dalla data in cui la modifica è occorsa.

 

 

Articolo 16

Relazioni semestrali degli Stati membri.

1. Entro il 1° maggio e il 1° novembre di ogni anno, gli Stati membri riferiscono alla Commissione sul funzionamento dell'SCP durante il semestre precedente.

 

2. In particolare, gli Stati membri comunicano alla Commissione i seguenti dati:

 

a) il numero dei pescherecci battenti bandiera dello Stato membro o ivi immatricolati, soggetti all'SCP durante il precedente semestre;

 

b) l'elenco dei pescherecci il cui impianto di localizzazione via satellite abbia subìto ripetutamente una situazione di guasto tecnico o non funzionamento durante il precedente semestre;

 

c) il numero di comunicazioni riguardanti la posizione ricevute dal CCP nel corso del precedente semestre suddivise per Stato di bandiera;

 

d) il tempo cumulativo trascorso durante il precedente semestre dai pescherecci battenti bandiera dello Stato membro interessato o ivi immatricolati, soggetti all'SCP, nelle zone marittime individuate secondo le sottozone FAO.

 

3. La forma in cui devono essere comunicate le informazioni di cui al paragrafo 2 può essere determinata in consultazione con gli Stati membri e la Commissione.

 

 

Capo IV

 

Controllo via satellite dei pescherecci di paesi terzi operanti in acque comunitarie

 

Articolo 17

Obbligatorietà dell'impianto di localizzazione via satellite.

I pescherecci di paesi terzi, soggetti all'SCP, devono essere provvisti di un impianto di localizzazione via satellite a bordo mentre si trovano in acque comunitarie.

 

 

Articolo 18

Caratteristiche degli impianti di localizzazione via satellite.

1. Gli impianti di localizzazione via satellite installati a bordo di pescherecci di paesi terzi devono garantire in qualsiasi momento, per tutto il tempo in cui tali pescherecci si trovano in acque comunitarie, la trasmissione automatica dei seguenti dati:

 

a) identificazione del peschereccio;

 

b) ultima posizione geografica del peschereccio, con un margine di errore inferiore ai 500 metri ed un margine di affidabilità del 99%;

 

c) data e ora (espressa in «tempo universale», o «UTC») in cui è stata rilevata detta posizione del peschereccio;

 

d) a decorrere dal 1° gennaio 2006, velocità e rotta del peschereccio.

 

2. Gli impianti di localizzazione via satellite non devono consentire la registrazione o la trasmissione di posizioni false e non devono poter essere alterati manualmente.

 

 

 

Articolo 19

Responsabilità relative agli impianti di localizzazione via satellite.

1. I comandanti dei pescherecci di paesi terzi soggetti all'SCP provvedono affinché gli impianti di localizzazione via satellite siano perfettamente funzionanti in qualsiasi momento e trasmettano i dati specificati al paragrafo 1 dell'articolo 18.

 

2. In particolare, i comandanti dei pescherecci di paesi terzi provvedono affinché:

 

a) i dati non siano alterati in alcun modo;

 

b) l'antenna o le antenne collegate all'impianto di localizzazione via satellite non siano ostruite in alcun modo;

 

c) l'alimentazione elettrica dell'impianto di localizzazione via satellite non sia mai interrotta;

 

d) l'impianto di localizzazione via satellite non sia asportato dal peschereccio.

 

3. È vietato distruggere, danneggiare, disattivare o comunque manomettere l'impianto di localizzazione via satellite.

 

Articolo 20

Frequenza di trasmissione dei dati.

La trasmissione automatica dei dati avviene almeno una volta ogni ora. Tuttavia la frequenza di trasmissione dei dati può essere pari a due ore se il CCP ha la possibilità di individuare l'effettiva posizione del peschereccio.

 

 

Articolo 21

Inoltro dei dati allo Stato membro costiero.

I dati relativi alla posizione di cui all'articolo 18, paragrafo 1, sono inoltrati al CCP dello Stato membro costiero nella forma indicata all'allegato I.

 

 

Articolo 22

Cooperazione tra Stati membri e paesi terzi.

1. Ciascuno Stato membro trasmette alle autorità competenti dei paesi terzi interessati un elenco esaustivo delle coordinate latitudinali e longitudinali che delimitano la propria zona economica esclusiva o la propria zona di pesca esclusiva in una forma compatibile con il World Geodetic System 1984 (WGS-84).

 

2. Gli Stati membri costieri assicurano il coordinamento con le autorità competenti dei paesi terzi interessati ai fini dell'istituzione e della gestione dei procedimenti per la di trasmissione dei dati al proprio CCP.

 

 

Articolo 23

Guasto tecnico o non funzionamento dell'impianto di localizzazione via satellite.

1. Quando l'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo di un peschereccio di un paese terzo sia tecnicamente guasto o non funzioni durante il tempo in cui il peschereccio stesso si trova in acque comunitarie, il comandante o l'armatore o il loro rappresentante comunica ogni due ore, e ogni qualvolta il peschereccio si sposta da una divisione CIEM all'altra, la posizione geografica aggiornata della nave mediante e-mail, telex, fax, telefono o radio.

 

2. Tale informazione è trasmessa al CCP dello Stato membro costiero.

 

3. Il peschereccio di un paese terzo operante in acque comunitarie non può salpare dal porto di uno Stato membro, qualora si sia verificata una situazione di guasto tecnico o non funzionamento, finché le autorità competenti non abbiano constatato che l'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo funziona normalmente o non abbiano comunque autorizzato il pescherecci a salpare.

 

4. Gli Stati membri costieri provvedono ad informare il capitano o l'armatore del peschereccio o il loro rappresentante qualora l'impianto di localizzazione via satellite installato a bordo del peschereccio risulti in situazione di guasto tecnico o di non funzionamento.

 

Articolo 24

Controllo delle attività di pesca.

1. I dati ricevuti a norma dell'articolo 18 e dell'articolo 23, paragrafo 1, devono essere utilizzati dagli Stati membri ai fini del controllo efficace delle attività di pesca delle navi di paesi terzi.

 

2. Gli Stati membri garantiscono che i dati pervenuti dai pescherecci di paesi terzi siano registrati in forma digitale e siano conservati per un periodo di tre anni.

 

3. Nel caso in cui un peschereccio non ottemperi alle norme contenute nel presente capo, gli Stati membri informano immediatamente la Commissione.

 

Capo V

 

Disposizioni finali

 

Articolo 25

Abrogazione.

Il regolamento (CE) n. 1489/97 è abrogato con effetto dal 1° gennaio 2004.

 

I riferimenti al regolamento abrogato si intendono fatti al presente regolamento e vanno letti secondo la tavola di concordanza di cui all'allegato III.

 

 

Articolo 26

Entrata in vigore e applicabilità.

Il presente regolamento entra in vigore il settimo giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

Esso si applica a decorrere dal 1° gennaio 2004.

 

 

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

 

 

Fatto a Bruxelles, il 18 dicembre 2003.

 

 

Per la Commissione

Franz FISCHLER

Membro della Commissione

 


 

Dir. 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa ai rifiuti.

 

 

(1) (2)

--------------------------------------------------------------------------------

(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 27 aprile 2006, n. L 114. Entrata in vigore il 17 maggio 2006.

(2)  Testo rilevante ai fini del SEE.

 

 

 

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in

 

particolare l'articolo 175,

 

vista la proposta della Commissione,

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (3),

 

previa consultazione del Comitato delle regioni,

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (4),

 

considerando quanto segue:

 

(1) La direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti , è stata modificata a più riprese e in modo sostanziale [1]. A fini di razionalità e chiarezza occorre provvedere alla codificazione di tale direttiva.

 

(2) Ogni regolamento in materia di gestione dei rifiuti deve essenzialmente mirare alla protezione della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti.

 

(3) Per rendere più efficace la gestione dei rifiuti nell'ambito della Comunità, sono necessarie una terminologia comune e una definizione dei rifiuti.

 

(4) Una regolamentazione efficace e coerente dello smaltimento e del recupero dei rifiuti dovrebbe applicarsi, fatte salve talune eccezioni, ai beni mobili di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi.

 

(5) È auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l'utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali. Potrebbe risultare necessario adottare apposite norme per i rifiuti riutilizzabili.

 

(6) Ai fini di un'elevata protezione dell'ambiente è necessario che gli Stati membri, oltre a provvedere in modo responsabile allo smaltimento e al recupero dei rifiuti, adottino misure intese a limitare la formazione dei rifiuti promuovendo in particolare le tecnologie «pulite» e i prodotti riciclabili e riutilizzabili, tenuto conto delle attuali e potenziali possibilità del mercato per i rifiuti recuperati.

 

(7) Inoltre, una disparità tra le legislazioni degli Stati membri in materia di smaltimento e di recupero dei rifiuti può incidere sulla qualità dell'ambiente e il buon funzionamento del mercato interno.

 

(8) Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in grado di raggiungere l'autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo obiettivo.

 

(9) Per realizzare tali obiettivi si dovrebbero delineare negli Stati membri programmi di gestione dei rifiuti.

 

(10) Occorre ridurre i movimenti dei rifiuti e a tal fine gli Stati membri possono adottare le misure necessarie nel contesto dei loro piani di gestione.

 

(11) Per assicurare un alto livello di protezione e un controllo efficace, occorre rilasciare le autorizzazioni e procedere ai controlli delle imprese che provvedono allo smaltimento e al recupero dei rifiuti.

 

(12) A determinate condizioni e purché rispettino le esigenze di tutela dell'ambiente, taluni stabilimenti che trattano i propri rifiuti o recuperano rifiuti possono essere dispensati dall'autorizzazione richiesta; tali stabilimenti dovrebbero essere soggetti ad iscrizione.

 

(13) Per assicurare il controllo continuo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento definitivo, occorre anche sottoporre ad autorizzazione o iscrizione e ad un adeguato controllo altre imprese che si occupano di rifiuti, come gli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto e alla mediazione.

 

(14) La parte dei costi non coperta dal recupero dei rifiuti dovrebbe essere ripartita secondo il principio «chi inquina paga».

 

(15) Le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione .

 

(16) La presente direttiva deve far salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione di cui all'allegato III, parte B,

 

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

 

_________

[1] Cfr. allegato III, parte A.

(3)  Pubblicato nella G.U.U.E. 30 aprile 2004, n. C 112.

(4)  Parere del Parlamento europeo del 9 marzo 2004 (G.U.U.E. C 102 E del 28.4.2004) e decisione del Consiglio del 30 gennaio 2006.

 

 

Articolo 1

1. Ai sensi della presente direttiva, si intende per:

 

a) «rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi;

 

b) «produttore»: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti («produttore iniziale») e/o la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti;

 

c) «detentore»: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene;

 

d) «gestione»: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura;

 

e) «smaltimento»: tutte le operazioni previste nell'allegato II A;

 

f) «recupero»: tutte le operazioni previste nell'allegato II B;

 

g) «raccolta»: l'operazione di raccolta, di cernita e/o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto.

 

2. Ai fini del paragrafo 1, lettera a), la Commissione, conformemente alla procedura di cui all'articolo 18, paragrafo 3, prepara un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I. Questo elenco è oggetto di un riesame periodico e, se necessario, è riveduto secondo la stessa procedura.

 

 

Articolo 2

1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:

 

a) gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera;

 

b) qualora già contemplati da altra normativa:

 

i) i rifiuti radioattivi;

 

ii) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;

 

iii) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell'attività agricola;

 

iv) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido;

 

v) i materiali esplosivi in disuso.

 

2. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti possono essere fissate da direttive particolari.

 

 

Articolo 3

1. Gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere:

 

a) in primo luogo, la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, in particolare mediante:

 

i) lo sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un maggiore risparmio di risorse naturali;

 

ii) la messa a punto tecnica e l'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;

 

iii) lo sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati ad essere recuperati;

 

b) in secondo luogo:

 

i) il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo od ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie; o

 

ii) l'uso di rifiuti come fonte di energia.

 

2. Salvo nei casi in cui si applicano le disposizioni della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche , gli Stati membri informano la Commissione delle misure che intendono adottare per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 1. La Commissione informa di tali misure gli altri Stati membri e il comitato di cui all'articolo 18, paragrafo 1.

 

 

Articolo 4

1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare:

 

a) senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora;

 

b) senza causare inconvenienti da rumori od odori;

 

c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

 

2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.

 

 

Articolo 5

1. Gli Stati membri, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, adottano le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi. Questa rete deve consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l'autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

 

2. Tale rete deve permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all'utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.

 

 

Articolo 6

Gli Stati membri stabiliscono o designano l'autorità o le autorità competenti incaricate di porre in atto le disposizioni della presente direttiva.

 

 

Articolo 7

1. Per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o le autorità competenti di cui all'articolo 6 devono elaborare quanto prima uno o più piani di gestione dei rifiuti, che contemplino fra l'altro:

 

a) tipo, quantità e origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire;

 

b) requisiti tecnici generali;

 

c) tutte le disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;

 

d) i luoghi o gli impianti adatti per lo smaltimento.

 

2. I piani di cui al paragrafo 1 possono riguardare ad esempio:

 

a) le persone fisiche o giuridiche abilitate a procedere alla gestione dei rifiuti;

 

b) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento;

 

c) le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti.

 

3. Eventualmente, gli Stati membri collaborano con gli altri Stati membri interessati e la Commissione per l'elaborazione dei piani. Essi li trasmettono alla Commissione.

 

4. Gli Stati membri hanno la facoltà di prendere i provvedimenti necessari per impedire movimenti di rifiuti non conformi con i loro piani di gestione dei rifiuti. Tali provvedimenti devono essere comunicati alla Commissione e agli Stati membri.

 

 

Articolo 8

Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:

 

a) li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B, oppure

 

b) provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della presente direttiva.

 

 

Articolo 9

1. Ai fini dell'applicazione degli articoli 4, 5 e 7, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell'allegato II A debbono ottenere l'autorizzazione dell'autorità competente di cui all'articolo 6.

 

Tale autorizzazione riguarda in particolare:

 

a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti;

 

b) i requisiti tecnici;

 

c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza;

 

d) il luogo di smaltimento;

 

e) il metodo di trattamento.

 

2. Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell'ambiente.

 

 

Articolo 10

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell'allegato II B debbono ottenere un'autorizzazione a tal fine.

 

 

Articolo 11

1. Fatto salvo il disposto della direttiva 91/689/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi , possono essere dispensati dall'autorizzazione di cui all'articolo 9 o all'articolo 10:

 

a) gli stabilimenti o le imprese che provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi di produzione; e

 

b) gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti.

 

2. La dispensa di cui al paragrafo 1 si può concedere solo:

 

a) qualora le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione; e

 

b) qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di recupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all'articolo 4.

 

3. Gli stabilimenti o le imprese contemplati nel paragrafo 1 sono soggetti a iscrizione presso le competenti autorità.

 

4. Gli Stati membri informano la Commissione delle norme generali adottate in virtù del paragrafo 2, lettera a).

 

 

Articolo 12

Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari), debbono essere iscritti presso le competenti autorità, qualora non siano soggetti ad autorizzazione

 

 

Articolo 13

Gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli da 9 a 12 sono sottoposti ad adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti.

 

 

Articolo 14

1. Ogni stabilimento o impresa di cui agli articoli 9 e 10 deve:

 

a) tenere un registro in cui siano indicati la quantità, la natura, l'origine nonché, se opportuno, la destinazione, la frequenza della raccolta, il mezzo di trasporto e il modo di trattamento dei rifiuti, per i rifiuti di cui all'allegato I e per le operazioni previste nell'allegato II A o II B;

 

b) fornire, dietro richiesta, tali informazioni alle autorità competenti di cui all'articolo 6.

 

2. Gli Stati membri possono esigere che anche i produttori adempiano le disposizioni del paragrafo 1.

 

 

Articolo 15

Conformemente al principio «chi inquina paga», il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto:

 

a) dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all'articolo 9; e/o

 

b) dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti.

 

 

Articolo 16

Ogni tre anni gli Stati membri comunicano alla Commissione informazioni sull'applicazione della presente direttiva nel contesto di una relazione settoriale concernente anche le altre direttive comunitarie pertinenti. Tale relazione è elaborata sulla base di un questionario o di uno schema elaborato dalla Commissione secondo la procedura di cui all'articolo 18, paragrafo 2. Il questionario o lo schema sono inviati agli Stati membri sei mesi prima dell'inizio del periodo contemplato dalla relazione. La relazione è trasmessa alla Commissione entro nove mesi dalla fine del periodo di tre anni da essa contemplato.

 

La Commissione pubblica una relazione comunitaria sull'applicazione della direttiva entro nove mesi dalla ricezione delle relazioni degli Stati membri.

 

 

Articolo 17

Le modifiche necessarie per adeguare al progresso scientifico e tecnico gli allegati della presente direttiva sono adottate conformemente alla procedura di cui all'articolo 18, paragrafo 3.

 

 

Articolo 18

1. La Commissione è assistita da un comitato.

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo si applicano gli articoli 4 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa.

 

Il periodo di cui all'articolo 4, paragrafo 3, della decisione 1999/468/CE è fissato a un mese.

 

3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 8 della stessa.

 

Il periodo di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.

 

4. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.

 

 

Articolo 19

Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno emanate nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

 

 

Articolo 20

La direttiva 75/442/CEE è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione di cui all'allegato III, parte B.

 

I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all'allegato IV.

 

 

Articolo 21

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

 

Articolo 22

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

 

Fatto a Strasburgo, addì 5 aprile 2006.

 

 

Per il Parlamento europeo

Il presidente

J. BORRELL FONTELLES

 

Per il Consiglio

The President

H. WINKLER


 

Comunicazione della Commissione.
 Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili, 2007/C 272/05

 

 

 

Gazzetta ufficiale n. C 272 del 15/11/2007

 

 

1. INTRODUZIONE

 

1. Nel 2005 la Commissione ha presentato il suo itinerario di riforma degli aiuti di Stato nel Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato [1]. Il programma di riforma migliorerà l'efficacia, la trasparenza e la credibilità del sistema UE degli aiuti di Stato. Il Piano di azione è incentrato sul principio "aiuti di Stato meno numerosi e più mirati". L'obiettivo centrale del Piano consiste nell'incoraggiare gli Stati membri a ridurre il livello globale di aiuti e a riorientare al contempo le risorse riservate agli aiuti di Stato verso obiettivi aventi un chiaro interesse comunitario. Per conseguire tale finalità la Commissione si impegna a continuare ad adottare un atteggiamento rigoroso nei confronti dei tipi di aiuto che provocano le maggiori distorsioni di concorrenza, in particolare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili.

 

2. In questi ultimi anni la Commissione ha dimostrato che è pronta ad assumere una posizione ferma rispetto agli aiuti illegali. Da quando è entrato in vigore il regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio [2] ("regolamento di procedura"), la Commissione ha sistematicamente ingiunto agli Stati membri di recuperare ogni aiuto illegale da essa giudicato incompatibile con il mercato comune salvo i casi in cui abbia ritenuto che tale recupero fosse in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. Dal 2000 la Commissione ha adottato 110 decisioni di recupero.

 

3. È essenziale ai fini dell'integrità del sistema degli aiuti di Stato l'esecuzione immediata ed effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali (in prosieguo "le decisioni di recupero"). Le informazioni raccolte dalla Commissione negli ultimi anni mostrano che vi è motivo di reale preoccupazione a questo riguardo. L'esperienza indica che praticamente non esiste un solo caso in cui il recupero sia stato completato entro il termine stabilito nella decisione di recupero. Le recenti edizioni del quadro di valutazione degli aiuti di Stato indicano inoltre che al 45 % delle decisioni di recupero adottate nel periodo 2000-2001 non era ancora stata data esecuzione nel giugno 2006.

 

4. Nel 2004 la Commissione ha ordinato uno studio comparativo sull'attuazione della politica degli aiuti di Stato UE nei differenti Stati membri [3] (in prosieguo lo "studio sull'attuazione"). Uno degli obiettivi dello studio consisteva nel valutare l'efficacia delle procedure e delle prassi di recupero in una serie di Stati membri. Gli autori dello studio hanno constatato che "l'eccessiva durata dei procedimenti di recupero è un tema ricorrente in tutte le relazioni redatte per i vari paesi". Essi hanno riconosciuto che negli ultimi anni è lievemente migliorata l'esecuzione delle decisioni di recupero, ma hanno concluso che il recupero degli aiuti di Stato illegali e incompatibili continua ad incontrare una serie di ostacoli nella maggior parte degli Stati membri esaminati.

 

5. Nel suo Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato la Commissione sottolinea la necessità di una esecuzione effettiva delle decisioni di recupero. È chiaro che l'esecuzione di siffatte decisioni è una responsabilità condivisa tra la Commissione e gli Stati membri e, affinché abbia successo, occorreranno notevoli sforzi da entrambe le parti.

 

6. La presente comunicazione si prefigge di spiegare la politica della Commissione in materia di esecuzione delle decisioni di recupero. Essa esamina le conseguenze che i tribunali nazionali possono trarre dal mancato rispetto dell'obbligo di notifica e della clausola sospensiva di cui all'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE. La Commissione ritiene necessario chiarire le misure che intende adottare per facilitare l'esecuzione delle decisioni di recupero e indicare azioni che gli Stati membri potrebbero adottare per conformarsi pienamente alle regole e ai principi enunciati dal diritto europeo e, in particolare, dalla giurisprudenza delle Corti comunitarie. A tal fine, la comunicazione innanzitutto ribadisce la finalità del recupero e i principi fondamentali su cui si basa l'esecuzione delle decisioni di recupero. In secondo luogo, presenta le implicazioni pratiche di questi principi fondamentali per ciascun soggetto interessato dal processo di recupero.

 

2. I PRINCIPI DELLA POLITICA DI RECUPERO

 

2.1. Breve descrizione della politica di recupero

 

7. Ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato CE "alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. […] Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale".

 

8. Qualora gli Stati membri non notifichino alla Commissione progetti diretti a istituire o modificare aiuti prima che sia data esecuzione all'aiuto, l'aiuto è considerato illegale in base al diritto comunitario a decorrere dal momento in cui è stato concesso.

 

9. Nella sentenza Kohlegesetz [4] la Corte di giustizia europea ha confermato per la prima volta che la Commissione ha la facoltà di ordinare il recupero di aiuti di Stato illegali e incompatibili. La Corte ha statuito che la Commissione è competente a decidere che uno Stato membro deve modificare o abolire un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune. Pertanto, dovrebbe inoltre poter chiedere agli Stati membri di farsi restituire dai beneficiari gli aiuti concessi illegalmente. Sulla base di detta sentenza e della successiva giurisprudenza [5], la Commissione, in una comunicazione pubblicata nel 1983, ha informato gli Stati membri che aveva deciso di usare tutti i mezzi a sua disposizione per assicurare il rispetto da parte degli Stati membri, degli obblighi ad essi incombenti ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, incluso l'obbligo di recuperare dal beneficiario gli aiuti di Stato incompatibili concessi illegalmente [6].

 

10. Nella seconda metà degli anni '80 e negli anni '90 la Commissione ha iniziato ad ordinare più sistematicamente il recupero di aiuti illegali e incompatibili. Nel 1999, nel regolamento di procedura sono state incluse le norme di base in materia di recupero. Altre disposizioni di esecuzione relative al recupero sono state inserite nel regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione [7] ("il regolamento di esecuzione").

 

11. L'articolo 14, paragrafo 1, del regolamento di procedura conferma la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia [8] e impone alla Commissione l'obbligo di recuperare gli aiuti illegali e incompatibili, salvo ove ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. Quest'articolo inoltre stabilisce che lo Stato membro interessato adotta tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto illegale che risulti incompatibile. Ai sensi dell'articolo 14, paragrafo 2, l'aiuto deve essere recuperato maggiorato degli interessi che decorrono dalla data in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario fino alla data di recupero. Il regolamento di esecuzione fissa i metodi da utilizzare per il calcolo degli interessi relativi al recupero. Infine, ai sensi dell'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura, "il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione".

 

12. In un certo numero di sentenze recenti, la Corte di giustizia europea ha ulteriormente chiarito l'ambito e l'interpretazione dell'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura, evidenziando la necessità di un'esecuzione immediata ed effettiva delle decisioni di recupero [9]. Inoltre, la Commissione ha anche incominciato ad applicare più sistematicamente la giurisprudenza Deggendorf [10]. In virtù di detta giurisprudenza, la Commissione, qualora siano soddisfatte determinate condizioni, può ordinare agli Stati membri di sospendere il pagamento di un nuovo aiuto compatibile ad un'impresa fintantoché quest'ultima non abbia rimborsato il precedente aiuto illegale e incompatibile che formi oggetto di una decisione di recupero.

 

2.2. Finalità e principi della politica di recupero

 

2.2.1. Finalità del recupero

 

13. La Corte di giustizia europea ha statuito in varie occasioni che la finalità del recupero consiste nel ripristinare la situazione esistente sul mercato precedentemente alla concessione dell'aiuto. Ciò è necessario per assicurare che sia mantenuta parità di condizioni nel mercato interno conformemente all'articolo 3, lettera g), del trattato CE. In tale contesto la Corte di giustizia europea ha sottolineato che il recupero di un aiuto illegale e incompatibile non è una sanzione [11], bensì la logica conseguenza dell'accertamento della sua illegittimità [12]. Non può quindi ritenersi un provvedimento sproporzionato rispetto alle finalità perseguite dalle disposizioni del trattato in materia di aiuti di Stato [13].

 

14. Secondo la Corte di giustizia europea, "il ripristino dello status quo ante è raggiunto quando gli aiuti illegali e incompatibili in parola sono stati restituiti dal beneficiario che, per effetto di tale restituzione, è infatti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti e la situazione esistente prima della corresponsione dell'aiuto è ripristinata" [14]. Per sopprimere eventuali vantaggi finanziari accessori all'aiuto illegale, le somme illegittimamente erogate devono essere recuperate maggiorate degli interessi. L'interesse deve essere equivalente al vantaggio finanziario derivante dalla disponibilità dei fondi in questione, a titolo gratuito, per un determinato periodo [15].

 

15. Inoltre, la Corte di giustizia europea ha insistito sul fatto che ai fini della piena esecuzione della decisione di recupero della Commissione, le azioni intraprese da uno Stato membro devono produrre effetti concreti per quanto concerne il recupero [16] e il recupero deve essere immediato [17]. Perché il recupero possa conseguire la sua finalità, chiaramente è essenziale che il rimborso dell'aiuto abbia luogo senza indugio.

 

2.2.2. L'obbligo di recuperare aiuti di Stato illegali e incompatibili e relative eccezioni

 

16. Ai sensi dell'articolo 14, paragrafo 1, del regolamento di procedura "nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuto illegali, la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario".

 

17. Il regolamento di procedura pone due limiti alla facoltà della Commissione di ordinare il recupero di aiuti illegali e incompatibili. L'articolo 14, paragrafo 1, del regolamento di procedura stabilisce che la Commissione non impone il recupero dell'aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. I principi generali di diritto più frequentemente invocati in questo contesto sono i principi di tutela del legittimo affidamento [18] e della certezza del diritto [19]. È importante osservare che la Corte di giustizia europea ha fornito un'interpretazione alquanto restrittiva di questi principi nel caso del recupero. L'articolo 15 del regolamento di procedura stabilisce che i poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti a un periodo limite di 10 anni (il cosiddetto periodo di prescrizione). Il periodo di prescrizione decorre dal giorno in cui l'aiuto illegale è concesso al beneficiario a titolo di aiuto individuale rientrante in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione [20] oppure da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell'aiuto illegale interrompe il periodo limite.

 

18. Ai sensi dell'articolo 249 del trattato CE la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Pertanto lo Stato membro cui è destinata una decisione di recupero è tenuto ad eseguirla [21]. La Corte di giustizia europea ha ammesso un'unica eccezione all'obbligo posto a carico di uno Stato membro di dare esecuzione a una decisione di recupero ad esso destinata, ossia l'esistenza di circostanze eccezionali da cui derivi l'impossibilità assoluta per lo Stato membro di dare corretta esecuzione alla decisione [22].

 

19. Secondo le corti comunitarie, l'impossibilità assoluta tuttavia non può essere semplicemente supposta. Lo Stato membro deve dimostrare che ha tentato in buona fede di recuperare l'aiuto illegale e deve collaborare con la Commissione conformemente all'articolo 10 del trattato CE al fine di superare le difficoltà incontrate [23].

 

20. Dalla giurisprudenza risulta che le Corti comunitarie hanno interpretato il concetto di "assoluta impossibilità" in maniera alquanto restrittiva. Le Corti hanno confermato in varie occasioni che uno Stato membro non può invocare l'esistenza di prescrizioni nazionali, ad esempio le norme nazionali in materia di prescrizione [24] oppure l'assenza di un'ordinanza di recupero in base al diritto nazionale [25] per giustificare l'inosservanza degli obblighi derivanti dalla decisione di recupero [26]. Del pari, la Corte di giustizia europea ha statuito che l'obbligo di recupero non risente di circostanze connesse alla situazione economica del beneficiario. Essa ha chiarito che un'impresa in difficoltà finanziaria non costituisce prova dell'impossibilità di esecuzione del recupero [27]. In siffatte circostanze la Corte ha statuito che la mancanza di attivi recuperabili è il solo mezzo per uno Stato membro di dimostrare l'assoluta impossibilità di recuperare l'aiuto [28]. In una serie di casi, gli Stati membri hanno affermato che non erano stati in grado di dare esecuzione alla decisione di recupero a causa delle difficoltà amministrative o tecniche che essa presentava (ad esempio il numero particolarmente elevato di beneficiari). La Corte ha costantemente rifiutato di ammettere che siffatte difficoltà costituiscano un'assoluta impossibilità di dare esecuzione al recupero [29]. Infine, il mero timore di difficoltà interne insormontabili non può giustificare l'omissione da parte di uno Stato membro di soddisfare gli obblighi che gli incombono in forza del diritto comunitario [30].

 

2.2.3. L'utilizzazione di procedure nazionali e la necessità di una esecuzione immediata ed effettiva

 

21. Ai sensi dell'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura "il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dallo Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione".

 

22. Se gli Stati membri sono liberi di scegliere, in base al loro diritto nazionale, i mezzi mediante i quali dare esecuzione alle decisioni di recupero, le misure scelte dovrebbero dare pienamente effetto alla decisione di recupero. È pertanto necessario che le misure nazionali adottate dallo Stato membro consentano l'esecuzione effettiva ed immediata della decisione della Commissione.

 

23. Nella sentenza Olympic Airways [31], la Corte di giustizia europea ha sottolineato che le misure di esecuzione adottate dallo Stato membro devono essere effettive e produrre un esito concreto in termini di recupero. Le azioni adottate dagli Stati membri devono portare all'effettivo recupero delle somme dovute dal beneficiario. Nella recente sentenza Scott [32], la Corte di giustizia europea ha confermato tale linea e ha sottolineato che le procedure nazionali che non rispettano le condizioni di cui all'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura non dovrebbero essere applicate. In particolare essa ha respinto la tesi sostenuta dallo Stato membro, ossia che aveva adottato tutte le misure disponibili nel sistema interno, ed ha insistito sul fatto che dette misure dovrebbero inoltre produrre un concreto effetto in termini di recupero e ciò entro il termine stabilito dalla Commissione.

 

24. L'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura stabilisce che alle decisioni di recupero sia data esecuzione effettiva ed immediata. Nella causa Scott, la Corte di giustizia europea ha sottolineato l'importanza della dimensione temporale nell'iter di recupero. La Corte ha precisato che l'applicazione di procedure nazionali non dovrebbe impedire il ripristino della concorrenza effettiva facendo ostacolo all'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. Le procedure nazionali che impediscono il ripristino immediato della situazione antecedente e prorogano l'indebito vantaggio concorrenziale derivante dagli aiuti illegittimi ed incompatibili, non soddisfano i requisiti previsti dall'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

 

25. In tale contesto è importante ribadire che il ricorso di annullamento di una decisione di recupero proposto ex articolo 230 del trattato CE non ha effetto sospensivo. Nell'ambito di siffatto ricorso, il beneficiario dell'aiuto può tuttavia chiedere la sospensione dell'esecuzione della decisione di recupero ai sensi dell'articolo 242 del trattato CE. Le domande di sospensione devono precisare i motivi di urgenza e contenere gli argomenti di fatto e di diritto che giustifichino prima facie l'adozione del provvedimento provvisorio richiesto. La Corte di giustizia o il Tribunale di primo grado possono, quando reputino che le circostanze lo richiedano, ordinare la sospensione della decisione della Commissione che viene contestata.

 

2.2.4. Il principio di leale collaborazione

 

26. L'articolo 10 del trattato obbliga gli Stati membri a facilitare l'adempimento dei compiti comunitari e impone doveri reciproci di leale collaborazione alle istituzioni UE e agli Stati membri al fine di conseguire gli obiettivi del trattato.

 

27. Nel contesto dell'esecuzione delle decisioni di recupero, la Commissione e le autorità degli Stati membri devono quindi collaborare per conseguire l'obiettivo del ripristino delle condizioni di concorrenza nel mercato interno.

 

28. Uno Stato membro, il quale incontri difficoltà impreviste o imprevedibili in occasione dell'esecuzione di una decisione di recupero entro il termine stabilito oppure si renda conto di conseguenze non considerate dalla Commissione, deve sottoporre tali problemi alla valutazione di questa, proponendo appropriate modifiche della decisione stessa [33]. In tal caso la Commissione e lo Stato membro interessato devono collaborare in buona fede per superare le difficoltà nel pieno rispetto delle norme del trattato [34]. Analogamente, il principio di leale collaborazione esige che gli Stati membri forniscano alla Commissione tutte le informazioni atte a permettere di stabilire che i provvedimenti adottati costituiscono un'esecuzione adattata della decisione [35].

 

29. Il fatto di informare la Commissione delle difficoltà tecniche e giuridiche causate dall'esecuzione della decisione non sottrae comunque lo Stato membro dall'obbligo di compiere tutti i passi necessari presso l'impresa per ripetere l'aiuto e proporre alla Commissione modalità di esecuzione della decisione che consentano di superare le difficoltà in questione [36].

 

3. ATTUAZIONE DELLA POLITICA DI RECUPERO

 

30. Sia la Commissione che gli Stati membri hanno un ruolo essenziale da svolgere nella esecuzione delle decisioni di recupero e possono contribuire all'efficace attuazione della politica di recupero.

 

3.1. Il ruolo della Commissione

 

31. La decisione di recupero della Commissione impone allo Stato membro interessato l'obbligo di recupero. Essa esige che lo Stato membro interessato recuperi un certo importo di aiuto da un beneficiario o da un numero di beneficiari entro un determinato periodo di tempo. L'esperienza dimostra che la rapidità con la quale sono eseguite le decisioni di recupero dipende dal grado di precisione o di completezza di detta decisione. La Commissione pertanto continuerà ad adoperarsi per fare in modo che la decisione di recupero fornisca una chiara indicazione dell'importo (importi) di aiuto da recuperare, dell'impresa (imprese) tenuta a rimborsare l'aiuto e del termine entro il quale il recupero deve essere completato.

 

Individuazione delle imprese presso le quali l'aiuto deve essere recuperato

 

32. L'aiuto illegale e incompatibile deve essere recuperato presso le imprese che ne hanno effettivamente tratto vantaggio [37]. La Commissione continuerà a seguire la prassi attuale, consistente nell'individuare nelle decisioni di recupero, laddove possibile, l'identità dell'impresa presso la quale l'aiuto deve essere recuperato. Se, nella fase di esecuzione, risultasse che l'aiuto è stato trasferito ad altri soggetti, lo Stato membro può dover estendere il recupero per includervi tutti i beneficiari effettivi in modo che l'obbligo di recupero non sia eluso.

 

33. Le corti comunitarie hanno fornito alcuni orientamenti sulle condizioni in base alle quali l'obbligo di recupero deve essere esteso a imprese diverse dal beneficiario iniziale dell'aiuto illegale e incompatibile. Secondo la Corte di giustizia europea, può sussistere trasferimento di vantaggio indebito qualora i beni patrimoniali del beneficiario dell'aiuto iniziale siano trasferiti a una terza parte a un prezzo inferiore al loro valore di mercato, a volte a un'impresa che subentra all'impresa beneficiaria costituita per eludere l'ordine di recupero. Qualora la Commissione riesca a dimostrare che sono stati ceduti beni patrimoniali a un prezzo inferiore al loro valore di mercato, in particolare a una società che vi subentra e creata al fine di eludere l'ordine di recupero, la Corte di giustizia europea ritiene che l'ordine di recupero possa essere esteso a detta parte terza [38]. Casi tipici di elusione dell'obbligo di recupero sono i casi in cui il trasferimento non rispecchia alcuna logica economica, eccetto quella di invalidare l'ordine di recupero [39].

 

34. Per quanto concerne il trasferimento di azioni di un'impresa che deve rimborsare un aiuto illegale e incompatibile (cessione di azioni), la Corte di giustizia europea ha statuito [40] che la vendita a un terzo di azioni di una siffatta società non influisce sull'obbligo di recupero [41]. Laddove si possa stabilire che l'acquirente delle azioni ha pagato il prezzo di mercato prevalente per le azioni di quella impresa, non si può ritenere che abbia fruito di un vantaggio che potrebbe configurare un aiuto di Stato [42].

 

35. Quando adotta una decisione di recupero concernenti regimi di aiuti di Stato, la Commissione, di norma, non è in grado di individuare, nella decisione in sé, tutte le imprese che hanno ricevuto aiuti illegali e incompatibili. È solo al livello del recupero degli aiuti da parte dello Stato membro interessato che si renderà necessario verificare la situazione individuale di ciascuna impresa interessata [43].

 

Determinazione dell'importo da recuperare

 

36. La finalità del recupero è realizzata "quando gli aiuti in parola, eventualmente maggiorati degli interessi di mora, sono stati restituiti dal beneficiario o, in altri termini, dalle imprese che ne hanno tratto effettivo vantaggio. Per effetto di tale restituzione, il beneficiario è infatti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti e la situazione esistente prima della corresponsione dell'aiuto è ripristinata" [44].

 

37. La Commissione, come ha fatto in passato, specificherà chiaramente nelle sue decisioni di recupero le misure di aiuto illegali e incompatibili che formano oggetto di recupero. Qualora disponga dei dati necessari, la Commissione inoltre si adopererà per quantificare l'importo esatto di aiuto da recuperare. È chiaro tuttavia che la Commissione non può e non è legalmente tenuta a fissare l'importo esatto da recuperare. È sufficiente che la decisione della Commissione contenga elementi che permettano al destinatario della decisione stessa di determinare senza difficoltà eccessive tale importo [45].

 

38. Nel caso di un regime di aiuti illegali e incompatibili, la Commissione non è in grado di quantificare l'importo di aiuto incompatibile da recuperare presso ciascun beneficiario. Ciò comporta l'analisi dettagliata da parte dello Stato membro dell'aiuto accordato in ciascun singolo caso sulla base del regime in questione. Pertanto, nella sua decisione, la Commissione indica che lo Stato membro deve recuperare tutti gli aiuti a meno che siano stati concessi a un progetto specifico che, all'epoca della concessione, rispondeva a tutte le condizioni richieste dai regolamenti di esenzione per categoria o di un regime di aiuti approvato dalla Commissione.

 

39. In base all'articolo 14, paragrafo 2, del regolamento di procedura, all'aiuto da recuperare ai sensi di una decisione di recupero si aggiungono gli interessi calcolati in base ad un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Gli interessi decorrono dalla data in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero [46]. Il regolamento di esenzione stabilisce che il tasso di interesse è applicato secondo il regime dell'interesse comparato fino alla data di recupero dell'aiuto.

 

Termini per l'esecuzione della decisione

 

40. In passato le decisioni di recupero della Commissione precisavano un unico termine di due mesi entro il quale lo Stato membro interessato era tenuto a comunicare alla Commissione le misure adottate per conformarsi a una determinata decisione. La Corte di giustizia ha riconosciuto che questo termine deve essere considerato il termine per l'esecuzione della decisione stessa della Commissione [47].

 

41. La Corte ha inoltre concluso che i contatti e i negoziati tra la Commissione e lo Stato membro nel contesto dell'esecuzione della decisione della Commissione, non possono sottrarre lo Stato membro dal dovere di adottare tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla decisione entro il termine prescritto [48].

 

42. La Commissione riconosce che il termine di due mesi per l'esecuzione delle decisioni della Commissione è troppo breve nella maggior parte di casi ed ha pertanto deciso di estendere tale termine a quattro mesi. D'ora in poi la Commissione specificherà due termini nelle proprie decisioni:

 

- un primo termine di due mesi a decorrere dall'entrata in vigore della decisione, entro il quale termine lo Stato membro deve informare la Commissione dei provvedimenti previsti o adottati,

 

- un secondo termine di quattro mesi a decorrere dall'entrata in vigore della decisione, entro il quale termine la decisione della Commissione deve essere stata eseguita.

 

43. Se incontra gravi difficoltà che gli impediscono di rispettare l'uno o l'altro di questi termini, lo Stato membro interessato deve informare la Commissione di dette difficoltà fornendo una giustificazione adeguata. La Commissione può allora prorogare il termine, conformemente al principio di leale collaborazione [49].

 

3.2. Il ruolo degli Stati membri: dare esecuzione alle decisioni di recupero

 

3.2.1. Chi è responsabile dell'esecuzione della decisione di recupero?

 

44. Gli Stati membri sono responsabili dell'esecuzione della decisione di recupero. In base all'articolo 14, paragrafo 1, del regolamento di procedura lo Stato membro interessato adotta tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario.

 

45. In tale contesto è importante tener presente che la Corte di giustizia ha ribadito in varie occasioni che la decisione indirizzata dalla Commissione a uno Stato membro è obbligatoria per tutti gli organi di questo, ivi compresi quelli giurisdizionali [50]. Ciò significa che ciascun organo dello Stato membro coinvolto nell'esecuzione di una decisione di recupero deve adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire l'attuazione immediata ed effettiva di siffatta decisione.

 

46. Il diritto comunitario non stabilisce quale organo di uno Stato membro debba essere incaricato dell'esecuzione pratica di una decisione di recupero. Spetta all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare gli organi che saranno responsabili dell'esecuzione di una decisione di recupero. Gli autori dello studio sull'attuazione rilevano che "un principio comune a tutti i paesi esaminati è che il recupero deve essere effettuato dall'autorità che ha concesso l'aiuto. Ciò implica la partecipazione di una serie di organi centrali, regionali e locali al processo di recupero" [51]. Essi inoltre segnalano che alcuni Stati membri hanno affidato a un solo organo centrale il compito di controllare e sorvegliare il processo di recupero. Tale organo di norma si mantiene in contatto con la Commissione. Gli autori dello studio citato concludono che l'esistenza di siffatto organo centrale sembra contribuire ad una esecuzione più efficace delle decisioni di recupero.

 

3.2.2. Esecuzione dell'obbligo di recupero

 

47. L'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento di procedura impone allo Stato membro di effettuare il recupero senza indugio. Come indicato nella sezione 3.1, la decisione di recupero deve specificare il termine entro il quale lo Stato membro è tenuto a fornire informazioni precise sulle misure che ha adottato e previsto per eseguire la decisione. In particolare, lo Stato membro è tenuto a fornire informazioni complete sull'identità dei beneficiari dell'aiuto illegale e incompatibile, sugli importi di aiuto in questione e sulle procedure nazionali applicate per il recupero. Inoltre, lo Stato membro è tenuto a fornire una documentazione attestante che ha notificato al beneficiario l'obbligo di rimborsare l'aiuto.

 

Identificazione del beneficiario dell'aiuto e quantificazione dell'importo da recuperare

 

48. La decisione di recupero non sempre contiene informazioni complete sull'identità del beneficiario né sugli importi di aiuto da recuperare. In tal caso gli Stati membri devono individuare senza indugio le imprese oggetto della decisione e quantificare l'importo esatto di aiuto da recuperare presso ciascuna di esse.

 

49. In caso di regimi di aiuti illegali e incompatibili, lo Stato membro dovrà effettuare un'analisi dettagliata di ogni singolo aiuto concesso in base al regime in questione. Per quantificare l'importo esatto dell'aiuto da recuperare presso ogni singolo beneficiario nell'ambito del regime, esso dovrà determinare in che misura l'aiuto è stato concesso a un progetto specifico che, al momento della concessione, soddisfaceva tutte le condizioni dei regolamenti di esenzione per categoria o un regime di aiuti approvato dalla Commissione. In tali casi, lo Stato membro può anche sostanzialmente applicare i criteri de minimis vigenti al momento della concessione dell'aiuto illegale e incompatibile oggetto della decisione di recupero.

 

50. Nulla osta a che le autorità nazionali prendano in considerazione l'incidenza del sistema fiscale al fine di determinare l'importo da rimborsare. Qualora il beneficiario di un aiuto illegale e incompatibile abbia pagato imposte sull'importo ricevuto, le autorità nazionali possono, in forza della propria normativa interna, tenere conto del pagamento già effettuato a titolo di imposta recuperando soltanto l'importo netto ricevuto dal beneficiario [52]. Secondo la Commissione, in siffatti casi, è necessario che le autorità nazionali si accertino che il beneficiario non potrà beneficiare di un'ulteriore detrazione fiscale adducendo che il rimborso ha ridotto il suo reddito imponibile, poiché ciò significherebbe che l'importo netto del recupero è inferiore all'importo netto ricevuto inizialmente.

 

La procedura di recupero applicabile

 

51. Gli autori dello studio sull'attuazione forniscono ampie prove del fatto che le procedure di recupero variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro. Lo studio mostra anche che, perfino entro uno stesso Stato membro, possono essere applicate procedure diverse per effettuare il recupero di aiuti illegali e incompatibili. Nella maggior parte degli Stati membri, la procedura di recupero applicabile, di norma, è determinata dalla natura della misura su cui si basa la concessione dell'aiuto. Complessivamente, le procedure amministrative tendono a essere più efficaci delle procedure di diritto civile in quanto le ordinanze amministrative di recupero sono o possono essere rese immediatamente esecutive [53].

 

52. Il diritto comunitario non prescrive la procedura che lo Stato membro deve applicare per eseguire una decisione di recupero. Tuttavia gli Stati membri dovrebbero essere consapevoli del fatto che la scelta e l'applicazione di una procedura nazionale sono subordinate alla condizione che detta procedura consenta l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. Ciò implica che le autorità responsabili devono vagliare attentamente l'intera gamma di strumenti di recupero disponibili in base al diritto nazionale e selezionare la procedura più idonea a garantire l'esecuzione immediata della decisione [54]. Esse dovrebbero, ove possibile, utilizzare procedure rapide previste dall'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro. Secondo i principi di equivalenza ed effettività, queste procedure non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario [55].

 

53. In generale gli Stati membri non possono opporsi in qualsivoglia modo a una decisione di recupero della Commissione [56]. Di conseguenza, le autorità dello Stato membro sono tenute a non applicare disposizioni di diritto nazionale che possano ostacolare l'esecuzione immediata della decisione della Commissione [57].

 

La notifica e l'esecuzione degli ordini di recupero

 

54. Una volta determinati i beneficiari, l'importo da recuperare e la procedura applicabile, gli ordini di recupero dovrebbero essere inviati ai beneficiari dell'aiuto illegale e incompatibile senza indugio ed entro il termine prescritto nella decisione della Commissione. Le autorità responsabili dell'esecuzione del recupero devono assicurarsi che detti ordini di recupero siano eseguiti e che il recupero sia completato entro il termine precisato nella decisione. Qualora un beneficiario non si conformi all'ordine di recupero, gli Stati membri devono ottenere l'esecuzione immediata delle loro richieste di recupero in base al diritto nazionale.

 

3.2.3 Contenzioso dinanzi ai tribunali nazionali

 

55. L'esecuzione delle decisioni di recupero può dare luogo a contenzioso dinanzi ai tribunali nazionali. Benché esistano differenze alquanto significative tra le tradizioni e i sistemi giudiziari degli Stati membri, si possono distinguere due principali categorie di contenzioso inerenti al recupero: le azioni promosse dall'autorità incaricata del recupero volte a ottenere un'ordinanza del giudice per obbligare un beneficiario reticente a rimborsare l'aiuto illegale e incompatibile e le azioni promosse dai beneficiari per impugnare l'ordine di recupero.

 

56. L'analisi effettuata nel quadro dello studio sull'attuazione fornisce prove da cui risulta che l'esecuzione di una decisione di recupero può essere ritardata per anni quando le misure nazionali adottate in vista della sua esecuzione sono impugnate dinanzi ai giudici. A maggior ragione quando la decisione di recupero di per sé è impugnata dinanzi alle Corti comunitarie e quando ai giudici nazionali è richiesto di sospendere l'applicazione di misure nazionali in attesa che le Corti comunitarie si pronuncino sulla validità della decisione di recupero.

 

57. La Corte di giustizia europea ha statuito che il beneficiario di un aiuto che avrebbe indubbiamente potuto impugnare dinanzi ad una Corte comunitaria una decisione di recupero della Commissione in forza dell'articolo 230 del trattato CE non può più contestare la validità della decisione in procedimenti dinanzi a un giudice nazionale eccependo la legittimità della decisione [58]. Ne consegue che il beneficiario di un aiuto che avrebbe potuto proporre ricorso alle Corti comunitarie in forza degli articoli 242 e 243 del trattato CE e non lo abbia presentato non può chiedere una sospensione delle misure adottate dalle autorità nazionali per dare esecuzione alla decisione in questione invocando motivi connessi alla validità della medesima. Ciò è di competenza delle Corti comunitarie [59].

 

58. D'altro canto, quando non è manifesto che un ricorso di annullamento nei confronti della decisione contestata proposto dal beneficiario sarebbe stato ammissibile, si deve offrire al beneficiario dell'aiuto una protezione giuridica adeguata. Qualora il beneficiario dell'aiuto contesti l'esecuzione della decisione nell'ambito di procedimenti dinanzi un giudice nazionale eccependo l'illegittimità della decisione di recupero, il giudice nazionale deve presentare richiesta di pronuncia pregiudiziale relativa alla validità della decisione contestata dinanzi alla Corte di giustizia conformemente all'articolo 234 del trattato CE [60].

 

59. Se il beneficiario chiede inoltre la sospensione temporanea di provvedimenti nazionali di esecuzione della decisione di recupero invocando la presunta illegittimità della decisione di recupero della Commissione, il giudice nazionale deve valutare se il caso di specie riunisca le condizioni stabilite dalla Corte di giustizia europea nelle cause Zuckerfabrik [61] e Atlanta [62]. Secondo giurisprudenza consolidata, la sospensione provvisoria può essere ordinata dal giudice nazionale a condizione che:

 

1) tale giudice nutra gravi riserve sulla validità dell'atto comunitario e provveda direttamente ad effettuare l'invio pregiudiziale, nell'ipotesi in cui alla Corte non sia già stata deferita la questione di validità dell'atto contestato;

 

2) ricorrano gli estremi dell'urgenza, nel senso che i provvedimenti provvisori sono necessari per evitare che la parte che li richiede subisca un danno grave e irreparabile;

 

3) il giudice tenga pienamente conto dell'interesse della Comunità;

 

4) nella valutazione di tutti questi presupposti, il giudice nazionale rispetti le pronunce della Corte o del Tribunale di primo grado in ordine alla legittimità dell'atto comunitario o un'ordinanza in sede di procedimento sommario diretta alla concessione, sul piano comunitario, di provvedimenti provvisori analoghi [63].

 

3.2.4. Il caso specifico di beneficiari insolventi

 

60. Come osservazione preliminare, è importante ribadire che la Corte di giustizia ha costantemente dichiarato che il fatto che un beneficiario sia insolvente o oggetto di una procedura fallimentare non ha alcuna incidenza sul suo obbligo di rimborsare un aiuto illegale e incompatibile [64].

 

61. Nella maggior parte dei casi relativi ad un beneficiario di aiuto insolvente, non sarà possibile recuperare l'integralità dell'aiuto illegale e incompatibile (inclusi gli interessi) dato che i beni del beneficiario non saranno sufficienti per soddisfare tutti i creditori. Di conseguenza non è possibile ripristinare interamente la situazione quo ante nel modo tradizionale. Visto che la finalità ultima del recupero consiste nel porre fine alla distorsione di concorrenza, la Corte di giustizia europea ha statuito che la liquidazione del beneficiario in tali casi può essere considerata come un'opzione ammissibile al recupero [65]. La Commissione ritiene pertanto che una decisione che ingiunge allo Stato membro di recuperare un aiuto illegale e incompatibile presso un beneficiario insolvente possa essere considerata correttamente eseguita una volta che sia effettuato il recupero integrale oppure, in caso di recupero parziale, quando la società sia liquidata e i suoi attivi siano venduti a condizioni di mercato.

 

62. Nell'eseguire decisioni di recupero riguardanti beneficiari insolventi, le autorità dello Stato membro dovrebbero accertarsi che durante l'intera procedura di insolvenza si tenga debitamente conto dell'interesse della Comunità e, più in particolare, della necessità di porre immediatamente fine alla distorsione di concorrenza causata dalla concessione di aiuti illegali e incompatibili.

 

63. L'esperienza della Commissione ha tuttavia dimostrato che la semplice richiesta di iscrizione di crediti alla massa fallimentare può non sempre essere sufficiente per garantire l'esecuzione immediata ed effettiva delle decisioni di recupero della Commissione. L'applicazione di determinate disposizioni del diritto fallimentare nazionale può vanificare l'effetto di decisioni di recupero consentendo all'impresa di operare anche in assenza di un recupero completo, permettendo pertanto che prosegua la distorsione di concorrenza. Sulla base dell'esperienza acquisita nei casi di recupero presso beneficiari insolventi, la Commissione ritiene che sia necessario definire gli obblighi incombenti agli Stati membri nelle diverse fasi della procedura fallimentare.

 

64. Lo Stato membro dovrebbe immediatamente richiedere l'iscrizione alla massa fallimentare dei propri crediti [66]. In base alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, il recupero avviene secondo le norme nazionali vigenti in materia di fallimento [67]. L'importo da recuperare verrà pertanto rimborsato in base allo status ad esso attribuito alla normativa nazionale.

 

65. In passato vi sono stati casi nei quali il curatore fallimentare ha rifiutato di iscrivere alla massa fallimentare un credito vantato a titolo di recupero a causa della forma dell'aiuto illegale e incompatibile concesso (ad esempio qualora l'aiuto sia stato concesso sotto forma di conferimento di capitale). La Commissione ritiene che si tratti di una situazione problematica, particolarmente se un simile rifiuto priva le autorità responsabili dell'esecuzione della decisione di recupero dei mezzi per garantire che l'interesse della Comunità sia tenuto in debita considerazione nella procedura di insolvenza. La Commissione ritiene pertanto che lo Stato membro debba contestare l'eventuale rifiuto, opposto dal curatore fallimentare, alla richiesta di iscrizione dei suoi crediti alla massa fallimentare [68].

 

66. Per garantire l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero della Commissione, la Commissione ritiene che le autorità responsabili di detta esecuzione dovrebbero inoltre impugnare qualsiasi decisione del curatore fallimentare o del tribunale fallimentare che consenta la prosecuzione dell'attività del beneficiario insolvente oltre i termini fissati nella decisione di recupero. Analogamente, i tribunali nazionali, di fronte a siffatta richiesta, dovrebbero tenere pienamente conto dell'interesse comunitario e, più in particolare, della necessità di garantire che l'esecuzione della decisione della Commissione sia immediata e che si ponga fine senza indugio alla distorsione di concorrenza causata dall'aiuto illegittimo ed incompatibile. La Commissione ritiene pertanto che i tribunali nazionali non dovrebbero autorizzare la prosecuzione dell'attività del beneficiario insolvente ove non sia integralmente effettuato il recupero.

 

67. Qualora al comitato dei creditori si proponga un piano di prosecuzione che comporti la continuazione dell'attività del beneficiario, le autorità responsabili dell'esecuzione della decisione possono appoggiare tale piano unicamente se garantisce che l'aiuto sarà rimborsato integralmente entro i termini stabiliti nella decisione di recupero della Commissione. In particolare, lo Stato membro non può rinunciare parzialmente alla sua richiesta di recupero né può accettare qualsiasi altra soluzione che non porti alla cessazione immediata dell'attività del beneficiario. In assenza di un rimborso integrale e immediato dell'aiuto illegittimo e incompatibile, le autorità responsabili dell'esecuzione della decisione dovrebbero prendere tutti i provvedimenti disponibili per opporsi all'adozione di un piano di continuazione e dovrebbero insistere sulla cessazione dell'attività del beneficiario entro il termine fissato nella decisione di recupero.

 

68. In caso di liquidazione di un'impresa, fintantoché l'aiuto non sia stato integralmente recuperato, lo Stato membro dovrebbe opporsi a qualsiasi trasferimento dei beni patrimoniali che non sia effettuato a condizioni di mercato e/o che sia organizzato per eludere la decisione di recupero. Ai fini del "corretto trasferimento di beni patrimoniali", lo Stato membro deve accertarsi che il vantaggio indebito creato dall'aiuto non sia trasferito all'acquirente dei beni. Ciò può verificarsi qualora i beni patrimoniali del beneficiario originale dell'aiuto siano trasferiti a un terzo a un prezzo inferiore al loro valore di mercato oppure a una società di salvataggio costituita per eludere l'ordine di recupero. In tal caso è necessario estendere l'ordine di recupero al terzo interessato in questione [69].

 

4. CONSEGUENZE DELLA MANCATA ESECUZIONE DELLA DECISIONE DI RECUPERO DELLA COMMISSIONE

 

69. Si ritiene che lo Stato membro si sia conformato alla decisione di recupero quando l'aiuto è stato integralmente rimborsato entro il termine prescritto oppure, nel caso di un beneficiario insolvente, quando la società sia stata liquidata a condizioni di mercato.

 

70. La Commissione può anche accettare, in casi debitamente giustificati, l'esecuzione provvisoria della decisione qualora essa sia oggetto di controversia dinanzi a tribunali nazionali o comunitari [ad esempio, il pagamento dell'importo integrale dell'aiuto illecito ed illegale in un conto di deposito bloccato [70]]. Lo Stato membro deve accertarsi che cessi nei confronti dell'impresa il vantaggio derivante dall'aiuto illegale e incompatibile [71]. Lo Stato membro dovrebbe presentare per approvazione, alla Commissione, la giustificazione dell'adozione di siffatti provvedimenti provvisori e la descrizione completa del provvedimento provvisorio previsto.

 

71. Qualora lo Stato membro in questione non si conformi alla decisione di recupero e non sia stato in grado di dimostrare l'esistenza dell'impossibilità assoluta, la Commissione può avviare il procedimento di infrazione. Inoltre, purché siano soddisfatte determinate condizioni, la Commissione può, in applicazione del principio Deggendorf, chiedere allo Stato membro in questione di sospendere il pagamento di un nuovo aiuto incompatibile al beneficiario o ai beneficiari interessati.

 

4.1. Procedimento d'infrazione

 

— Azioni ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE

 

72. Qualora lo Stato membro in causa non si conformi alla decisione di recupero entro il termine stabilito e non sia stato in grado di dimostrare l'assoluta impossibilità, la Commissione, come ha già fatto, o qualsiasi altro Stato membro interessato può adire direttamente la Corte di giustizia europea ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 2, del trattato. La Commissione può allora invocare argomenti relativi al comportamento degli organi esecutivi, legislativi o giudiziari dello Stato membro interessato, dato che lo Stato membro viene considerato nella sua unità [72].

 

— Azioni ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del trattato CE

 

73. Qualora la Corte di giustizia europea condanni lo Stato membro per la mancata esecuzione di una decisione della Commissione e la Commissione ritenga che lo Stato membro in questione non si sia conformato alla sentenza della Corte, la Commissione può trattare la questione conformemente all'articolo 228, paragrafo 2, del trattato. In tal caso, dopo aver dato allo Stato membro la possibilità di presentare le sue osservazioni, la Commissione formula un parere motivato nel quale precisa i punti su cui lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte.

 

74. Qualora lo Stato membro in questione non abbia preso entro il termine fissato dalla Commissione i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia europea comporta, la Commissione può adire della questione la Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del trattato CE. La Commissione chiederà allora alla Corte di giustizia di imporre allo Stato membro in questione il pagamento di una penalità. Il pagamento della penalità sarà fissato conformemente alla comunicazione della Commissione sull'applicazione dell'articolo 228 del trattato CE [73] e sarà calcolato sulla base di tre criteri: la gravità della violazione, la durata della violazione e la necessità di garantire che la penalità in sé abbia un effetto dissuasivo rispetto ad ulteriori violazioni. Ai sensi di detta comunicazione, la Commissione chiederà inoltre il pagamento di un importo forfettario per penalizzare la prosecuzione dell'infrazione tra la prima sentenza di mancata esecuzione e la sentenza pronunciata ai sensi dell'articolo 228 del trattato CE. Tenuto conto del fatto che la mancata esecuzione della decisione di recupero della Commissione prolunga la distorsione di concorrenza causata dalla concessione dell'aiuto illegale e incompatibile, la Commissione non esiterà ad avvalersi di tale facoltà qualora risulti necessario garantire il rispetto delle norme in materia di aiuti di Stato.

 

4.2. Applicazione della giurisprudenza Deggendorf

 

75. Nella sentenza pronunciata nella causa Deggendorf, il Tribunale di primo grado ha statuito che "quando la Commissione esamina la compatibilità di un aiuto con il mercato comune, essa deve prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti, ivi compresi eventualmente il contesto già esaminato in una decisione precedente nonché gli obblighi che tale decisione precedente ha potuto imporre ad uno Stato membro. Ne consegue che la Commissione era competente a prendere in considerazione, da un lato, l'eventuale effetto cumulato dai precedenti aiuti […] e dei nuovi aiuti […] e dall'altro, il fatto che gli aiuti [vecchi] dichiarati illegali […] non erano stati restituiti" [74]. In applicazione di detta sentenza, e per evitare una distorsione di concorrenza contraria al comune interesse, la Commissione può ordinare allo Stato membro di sospendere il pagamento di un nuovo aiuto compatibile ad un'impresa che abbia a sua disposizione un aiuto illegale incompatibile oggetto di una precedente decisione di recupero e ciò fino a quando lo Stato membro si sia accertato che l'impresa in questione ha rimborsato il precedente aiuto illegale incompatibile.

 

76. Da qualche anno ormai la Commissione applica il cosiddetto principio Deggendorf in una maniera più sistematica. In pratica, nel corso dell'indagine preliminare di una nuova misura di aiuto, la Commissione chiede allo Stato membro di impegnarsi a sospendere il pagamento di nuovi aiuti a favore di qualsiasi beneficiario che debba ancora rimborsare un aiuto illegale e incompatibile oggetto di una precedente decisione di recupero. Se lo Stato membro non fornisce tale impegno e/o in assenza di dati chiari sulle misure di aiuto in questione [75] che impediscono alla Commissione di valutare l'impatto globale del vecchio aiuto e del nuovo aiuto sulla concorrenza, la Commissione adotterà una decisione finale subordinata a condizioni in base all'articolo 7, paragrafo 4, del regolamento di procedura chiedendo allo Stato membro interessato di sospendere il pagamento del nuovo aiuto fintantoché non sia accertato che il beneficiario in questione ha rimborsato il precedente aiuto illegale e incompatibile, inclusi gli interessi di mora maturati.

 

77. Il principio Deggendorf nel frattempo è stato integrato negli Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà [76] nonché nei recenti regolamenti di esenzione per categoria [77]. La Commissione intende integrare tale principio in tutte le prossime norme e decisioni in materia di aiuti di Stato.

 

78. Infine, la Commissione si rallegra dell'iniziativa dell'Italia di inserire una specifica clausola Deggendorf nella sua legge finanziaria 2007, in base alla quale i beneficiari di nuove misure di aiuti di Stato sono tenuti a dichiarare che non hanno a loro disposizione aiuti di Stato illegali e incompatibili [78].

 

5. CONCLUSIONE

 

79. Il mantenimento di un sistema di libera concorrenza senza distorsioni è uno dei fondamenti della Comunità europea. Nel quadro della politica di concorrenza europea, la disciplina degli aiuti di Stato è essenziale per garantire che nel mercato interno continuino a vigere condizioni di parità in tutti i settori economici in Europa. Rispetto a questo compito essenziale, la Commissione e gli Stati membri condividono la responsabilità di garantire la corretta attuazione della disciplina sugli aiuti di Stato e, in particolare, l'esecuzione delle decisioni di recupero.

 

80. Mediante la pubblicazione della presente comunicazione, la Commissione intende accrescere la consapevolezza dei principi della politica di recupero degli aiuti illegali e incompatibili, quali definiti dalle Corti comunitarie, e chiarire la prassi che essa segue in materia di politica di recupero. La Commissione si impegna a conformarsi ai suddetti principi testé ribaditi e invita gli Stati membri a chiedere consiglio ogniqualvolta incontrino difficoltà nell'esecuzione delle decisioni di recupero. I servizi della Commissione restano a disposizione degli Stati membri per fornire, se necessario, orientamenti e assistenza.

 

81. In cambio, la Commissione si attende dagli Stati membri il rispetto dei principi della politica di recupero. Soltanto grazie agli sforzi congiunti della Commissione e degli Stati membri, la disciplina in materia di aiuti di Stato potrà essere attuata e conseguire l'obiettivo auspicato, ossia il mantenimento di una concorrenza senza distorsioni nell'ambito del mercato interno.

 

 

 

[1] Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato — Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009.

[2] Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE (GU L 83 del 27.3.1999, pag. 1).

[3] "Study on the enforcement of state aid law at national level", Competition studies 6, Luxembourg, Ufficio per le pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee:http://ec.europa.eu/comm/competition/state_aid/overview/studies.html

[4] Causa C-70/72, Commissione contro Germania, Racc. 1973, pag. 813, punto 13.

[5] Causa 121/73, Markmann KG contro Germania e i Land Schleswig-Holstein, Racc. 1973, pag. 1495, causa 122/73, Nordsee, Deutsche Hochseefischerei GmbH contro Germania e Renania Palatinato, Racc. 1973, pag. 1511, e causa 141/73, Fritz Lohrey contro Germania e Land Assia, Racc. 1973, pag. 1527.

[6] GU C 318 del 24.11.1983, pag. 3.

[7] Regolamento (CE) n. 794/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, recante disposizioni di esecuzione del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE (GU L 140 del 30.4.2004, pag. 1).

[8] Causa C-301/87, Francia contro Commissione, Racc. 1990, parte I, pag. 307.

[9] Causa C-415/03, Commissione contro Grecia, ("Olympic Airways") Racc. 2005, parte I, pag. 3875 e causa C-232/05, Commissione contro Francia, ("Scott"), sentenza del 5 ottobre 2006, non ancora pubblicata.

[10] Causa C-188/92, TWD Textilwerke Deggendorf GmbH contro Germania, ("Deggendorf") Racc. 1994, parte I, pag. 833.

[11] Causa C-75/97, Belgio contro Commissione, Racc. 1999 parte I, pag. 3671, punto 65.

[12] Causa C-183/91 Commissione contro Grecia, Racc. 1993, parte I, pag. 3131, punto 16.

[13] Cause riunite C-278/92, C-279/92 e C-280/92, Spagna contro Commissione, Racc. 1994, parte I, pag. 4103, punto 75.

[14] Causa C-348/93, Commissione contro Italia, Racc. 1995, parte I, pag. 673, punto 27.

[15] Causa T-459/93, Siemens contro Commissione, Racc. 1995, parte II, pag. 1675, punti 97-101.

[16] Causa C-415/03, Commissione contro Grecia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[17] Causa C-232/05, Commissione contro Francia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[18] Sul principio della tutela del legittimo affidamento, cfr. la causa C-24/95, Alcan, Racc. 1997, parte I, pag. 1591, punto 25, e la causa C-5/89, BUG-Alutechnik, Racc. 1990, parte I, pag. 3437, punti 13 e 14. Per un esempio in cui la Corte di giustizia europea ha riconosciuto l'esistenza di legittimo affidamento avallato dal beneficiario, cfr. la causa C-223/85, RSV, Racc. 1987, pag. 4617.

[19] Sul principio della certezza del diritto, cfr. la causa T-115/94, Opel Austria GmbH contro Consiglio, Racc. 1997, parte II, pag. 39, la causa C-372/97, Italia contro Commissione, Racc. 2004, parte I, pag. 3679, punti 116-118, e le cause riunite C-74/00 P e C-75/00 P, Falck e Acciaierie di Bolzano contro Commissione, Racc. 2002, parte I, pag. 7869, punto 140. Cfr. inoltre causa T-308/00, Saltzgitter contro Commissione, Racc. 2004, parte II, pag. 1933, punto 166.

[20] Per l'interpretazione della frase "qualsiasi azione della Commissione" cfr. la causa T-369/00, Département du Loiret contro Commissione, Racc. 2003, parte II, pag. 1789.

[21] Causa 94/87, Commissione contro Germania, Racc. 1989, pag. 175.

[22] Causa C-404/00, Commissione contro Spagna, Racc. 2003, parte I, pag. 6695.

[23] Causa C-280/95, Commissione contro Italia, Racc. 1998, parte I, pag. 259.

[24] Causa C-24/95, Alcan, Racc. 1997, pag. 1591, punti 34-37.

[25] Causa C-303/88, Italia contro Commissione, Racc. 1991, parte I, pag. 1433.

[26] Causa C-52/84, Commissione contro Belgio, Racc. 1986, pag. 89, punto 9.

[27] Causa C-52/84, Commissione contro Belgio, citata alla nota a piè di pagina n. 26, punto 14.

[28] Causa C-499/99, Commissione contro Spagna, Racc. 2002, parte I, pag. 6301.

[29] Causa C-280/95, Commissione contro Italia, citata alla nota a piè di pagina n. 23.

[30] Causa C-6/97, Italia contro Commissione, Racc. 1999, parte I, pag. 2981, punto 34.

[31] Causa C-415/03, Commissione contro Grecia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[32] Causa C-232/05, Commissione contro Francia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[33] Causa C-404/00, Commissione contro Spagna, citata alla nota a piè di pagina n. 22.

[34] Causa C-94/87, Commissione contro Germania, Racc. 1989, pag. 175, punto 9; causa C-348/93, Commissione contro Italia, citata alla nota a piè di pagina n. 14, punto 17.

[35] Per una descrizione di proposte di esecuzione cfr. la causa C-209/00, Commissione contro Germania, Racc. 2002, parte I, pag. 11695.

[36] Causa 94/87, Commissione contro Germania, citata alla nota a piè di pagina n. 34, punto 10.

[37] Causa C-303/88, Italia contro Commissione, Racc. 1991, parte I, pag. 1433, punto 57; causa C-277/00, Germania contro Commissione ("SMI"), Racc. 2004, parte I, pag. 3925, punto 75.

[38] Causa C-277/00, Germania contro Commissione, citata nella nota a piè di pagina n. 37.

[39] Cause riunite C-328/99 e C-399/00, Italia e SMI 2 Multimedia SpA contro Commissione. Per un altro esempio di elusione, cfr. causa C-415/03, Commissione contro Grecia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[40] Cause C-328/99 e C-399/00, Italia e SIM 2 Multimedia contro Commissione, Racc. 2003, parte I, pag. 4035, punto 83.

[41] In caso di privatizzazione di un'impresa che abbia ricevuto un aiuto di Stato dichiarato compatibile dalla Commissione, lo Stato membro può introdurre una clausola di responsabilità nell'accordo di privatizzazione per tutelare l'acquirente dell'impresa dal rischio che la decisione iniziale della Commissione di autorizzazione dell'aiuto possa essere rovesciata dalle Corti comunitarie e sostituita da una decisione della Commissione che ordini il recupero di siffatto aiuto dal beneficiario. Tale clausola potrebbe prevedere un aggiustamento del prezzo pagato dall'acquirente per l'impresa privatizzata onde tener debitamente conto della nuova responsabilità in termini di recupero.

[42] Causa C-277/00, Germania contro Commissione, citata alla nota a piè di pagina n. 37, punto 80.

[43] Causa C-310/99, Italia contro Commissione, Racc. 2002, parte I, pag. 2289, punto 91.

[44] Causa C-277/00, Germania contro Commissione, citata alla nota a piè di pagina n. 37, punti 74-76.

[45] Causa C-480/98, Spagna contro Commissione, Racc. 2000, parte I, pag. 8717, punto 25 e cause riunite C-67/85, C-68/85 e C-70/85, Kwekerij van der Kooy BV e altri contro Commissione, Racc. 1988, pag. 219.

[46] Cfr. in tale contesto le deroghe al caso causa C-480/98, Spagna contro Commissione, citata alla nota a piè di pagina n. 45, punti 36 e seguenti.

[47] Causa C-207/05, Commissione contro Italia, Racc. 2006, parte I, pag. 70, punti 31-36; cfr. inoltre la causa C-378/98, Commissione contro Belgio, Racc. 2001, parte I, pag. 5107, punto 28, e causa C-232/05, Commissione contro Francia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[48] Causa C-5/86, Commissione contro Belgio, Racc. 1978, pag. 1773.

[49] Sentenza del 1o giugno 2006 nella causa C-207/95, Commissione contro Italia.

[50] Causa 249/85. Albako Margarinefabrik Maria von der Linde GmbH & Co. KG contro Bundesanstalt für landwirtschaftliche Marktordnung, Racc. 1987, pag. 2345.

[51] Cfr. la pag. 521 dello studio.

[52] Causa T-459/93, Siemens contro Commissione, Racc. 1995, parte II, pag. 1675, punto 83. Cfr. inoltre la causa C-148/04, Unicredito Spa contro Agenzia delle Entrate, Ufficio Genova I, Racc. 2005, parte I, pag. 11137, punti 117-120.

[53] Cfr. pag. 522 e seguenti dello studio.

[54] A questo proposito lo studio illustra il recente tentativo delle autorità tedesche di dare esecuzione a un ordine di recupero nel caso Kvaerner Warnow Werft in cui l'aiuto era stato concesso in base ad un accordo di diritto privato. Quando il beneficiario ha rifiutato di rimborsare l'aiuto, l'autorità competente ha deciso di non adire i tribunali civili, ma ha adottato un atto amministrativo in cui ordinava l'immediato rimborso dell'aiuto. Inoltre, ha dichiarato che l'atto era immediatamente esecutivo. Il Tribunale amministrativo superiore di Berlino-Brandeburgo ha ritenuto che l'autorità competente non era obbligata a recuperare l'aiuto nello stesso modo in cui era stato concesso e ha ammesso che l'effetto utile della decisione della Commissione esigeva che l'autorità competente potesse recuperare l'aiuto attraverso un atto amministrativo. Qualora tale sentenza sia confermata in ulteriori procedimenti, si può prevedere che in Germania, in futuro, il recupero degli aiuti in principio sarà effettuato secondo norme di diritto amministrativo.

[55] Causa C-13/01, Safalero, Racc. 2003, parte I, pag. 8679, punti 49-50.

[56] Causa C-48/71, Commissione contro Italia, Racc. 1972, pag. 529.

[57] Causa C-232/05, Commissione contro Francia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[58] Causa C-188/92, TWD Textilwerke Deggendorf GmbH contro Germania, citata alla nota a piè di pagina n. 10.

[59] Come ribadito nella causa C-232/05, Commissione contro Francia, citata alla nota a piè di pagina n. 9.

[60] Causa C-346/03, Atzeni e altri, Racc. 2006, parte I, pag. 1875, punti 30-34.

[61] Cause riunite C-143/88 e C-92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen A.G. e altri, Racc. 1991, parte I, pag. 415, punti 23 e seguenti.

[62] Causa C-465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft mbH e altri, Racc. 1995, parte I, pag. 3761, punto 51.

[63] Causa C-465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft mbH e altri, citata nella nota a piè di pagina n. 61, punto 51.

[64] Causa C-42/93, Spagna contro Commissione ("Merco"), Racc. 1994, parte I, pag. 4175.

[65] Causa C-52/84, Commissione contro Belgio, Racc. 1986, pag. 89.

[66] Causa C-142/87, Commissione contro Belgio, Racc. 1990, parte I, pag. 959, punto 62.

[67] Causa C-142/87, ibid.; causa C-499/99, Commissione contro Spagna ("Magefesa"), Racc. 2002, parte I, pag. 603, punti 28-44.

[68] Cfr. in tale contesto la sentenza della sezione commerciale del Tribunale di Amberg, del 23 luglio 2001, relativamente all'aiuto concesso dalla Germania a Neue Maxhütte Stahlwerke GmbH [decisione 96/178/CECA della Commissione (GU L 53 del 2.3.1996, pag. 41)]. In tal caso, il tribunale tedesco ha respinto il rifiuto del curatore fallimentare di iscrivere alla massa fallimentare un credito vantato a titolo di un aiuto illegale e incompatibile concesso sotto forma di conferimento di capitale, in quanto ciò avrebbe reso impossibile l'esecuzione della decisione.

[69] Causa C-277/00, Germania contro Commissione, citata nella nota a piè di pagina n. 37.

[70] In pratica, il pagamento dell'importo dell'aiuto, comprensivo di interessi, su un conto bloccato può essere definito in un contratto specifico, sottoscritto dalla banca e dal beneficiario, in base al quale le parti stabiliscono che l'importo sarà sbloccato a favore dell'una o dell'altra una volta risolta la controversia.

[71] Contrariamente alla creazione di un conto bloccato, l'utilizzazione di garanzie bancarie non può essere considerata un provvedimento provvisorio adeguato in quanto l'importo totale dell'aiuto resta a disposizione del beneficiario.

[72] Causa C-224/01, Köbler, Racc. 2003, parte I, pag. 10239, punti 31-33; Causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo, Racc. 2003, parte I, pag. 5177, punti 30-33.

[73] Comunicazione della Commissione sull'applicazione dell'articolo 228 del trattato CE — SEC(2005) 1658 (GU C 126 del 7.6.2007, pag. 15).

[74] Cause T-244/93 e T-486/93, TWD Deggendorf contro Commissione, Racc. 1995, parte II, pag. 2265, punto 56.

[75] Ossia nel caso di regimi di aiuti illegali e incompatibili nei quali non erano noti alla Commissione né l'importo né i beneficiari.

[76] GU C 244 del 1.10.2004, pag. 2, punto 23.

[77] Regolamento (CE) n. 1628/2006 della Commissione, del 24 ottobre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato per investimenti a finalità regionale, GU L 302 del 1.11.2006, pag. 29.

[78] Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1223.


 

Commissione delle Comunità europee COM(2002) 694.
Libera circolazione dei lavoratori – realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità

 

1. INTRODUZIONE

 

Il fine della presente comunicazione è di descrivere in termini pratici alcuni dei problemi più importanti incontrati dai lavoratori migranti e dalle loro famiglie, e il modo in cui la Commissione li affronta e li affronterà, nel contesto della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ("la Corte") e dell'esperienza acquisita dai servizi della Commissione nel trattamento quotidiano dei reclami presentati da cittadini.

La Commissione cerca di ravvicinare l'Unione ai suoi cittadini informando questi ultimi sui loro diritti nel settore della libera circolazione e mettendoli in grado di esercitare ulteriormente tali diritti. A questo proposito, è opportuno rilevare che il principio fondamentale di non discriminazione sulla base della nazionalità contenuto nel trattato è non solo vincolante per le autorità pubbliche, ma anche per i privati.

La libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali garantite dalla legislazione comunitaria; essa presuppone il diritto di vivere e di lavorare in un altro Stato membro. In origine, questa libertà era essenzialmente riconosciuta alle persone economicamente attive e ai loro familiari. Oggi, la libertà di circolare all'interno della Comunità è un diritto di cui godono anche altre categorie di persone, come gli studenti, i titolari di pensioni e di rendite e qualunque cittadino dell'Unione europea in generale . Si tratta probabilmente del diritto individuale più importante riconosciuto nella legislazione comunitaria e di un elemento essenziale della cittadinanza europea.

La libertà di circolazione è un mezzo per creare un mercato dell'occupazione europeo e mettere a disposizione dei lavoratori dipendenti, dei datori di lavoro e degli Stati membri una struttura di mercato del lavoro più efficace e più flessibile. È innegabile che la mobilità dei lavoratori consenta loro di migliorare le prospettive professionali e offra ai datori di lavoro la possibilità di reclutare le persone di cui hanno bisogno. Si tratta di un fattore importante per ottenere mercati del lavoro efficaci e un elevato livello di occupazione.

La sicurezza sociale costituisce un importante aspetto dell'esercizio del diritto alla libera circolazione . Garantendo che il principio della parità di trattamento sia effettivamente applicato e che le persone che si spostano all'interno della Comunità non subiscano pregiudizi nel loro diritto alla sicurezza sociale, questa libertà fondamentale diviene reale e tangibile. Una vera libertà di movimento non si concepisce quindi senza una protezione dei diritti alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti e dei loro familiari, ed è questa una delle ragioni d'essere del Regolamento 1408/71  sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale applicabili alle persone che si spostano all'interno dell'Unione.

È vero tuttavia che esistono numerosi ostacoli pratici, amministrativi e giuridici che impediscono ancora ai cittadini dell'Unione di esercitare il loro diritto alla libera circolazione. È inoltre chiaro che tali ostacoli impediscono ai lavoratori dipendenti e ai datori di lavoro di sfruttare pienamente i vantaggi e le potenzialità della mobilità geografica. Di ciò viene data conferma dal grande numero di lettere inviate dai cittadini e riguardanti l'applicazione corretta delle regole comunitarie in materia di libera circolazione o le misure di esecuzione adottate a livello nazionale  e il numero crescente di sentenze emesse in questo settore dalla Corte.

Per questo motivo, la Commissione ritiene che sia opportuno richiamare l'attenzione dei cittadini e degli Stati membri su alcune delle principali difficoltà pratiche che incontrano ancora i lavoratori migranti e i loro familiari. La Commissione spiegherà in che modo questi problemi sono affrontati, nel quadro della giurisprudenza della Corte e dell'esperienza acquisita ogni giorno dai servizi della Commissione nell'esame dei casi individuali.

A tale proposito, nella sua funzione di custode dei trattati, la Commissione si impegna pienamente a garantire che i diritti attribuiti dal trattato o dal diritto derivato ai cittadini dell'Unione europea siano rispettati dagli Stati membri e dalle autorità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale.

La presente comunicazione prolunga e complementa le relazioni e i testi precedenti relativi alla libera circolazione, come la comunicazione della Commissione del 1990 sui lavoratori frontalieri , la relazione sul Panel di alto livello sulla libera circolazione delle persone (la "Relazione Veil") del 1997, il piano d'azione della Commissione per la libera circolazione dei lavoratori , la risoluzione del Consiglio e degli Stati membri concernente un piano d'azione per la mobilità , la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla Mobilità , la comunicazione della Commissione su una strategia a favore della mobilità nell'ambito dello Spazio europeo della ricerca , la comunicazione sui nuovi mercati europei del lavoro  e il piano d'azione della Commissione in materia di competenze e di mobilità .

La comunicazione mette l'accento su quattro problematiche distinte ma intercorrelate che pongono particolari difficoltà ai cittadini o sono state trattate dalla Corte. Il primo problema riguarda gli ostacoli incontrati attualmente dai lavoratori e dai loro familiari, vale a dire l'accesso all'occupazione, le esigenze linguistiche, la parità di trattamento e i vantaggi sociali, nonché i problemi di ordine amministrativo e giuridico in relazione con i diritti di soggiorno. Saranno affrontate anche altre questioni, come la fiscalità, i regimi di pensione professionale non obbligatori  e i familiari. Il secondo problema ha per oggetto questioni di sicurezza sociale in rapporto con il Regolamento 1408/71, e in particolare le condizioni di residenza fissate per poter beneficiare delle prestazioni e dell'assistenza sanitaria in un altro Stato membro. Il terzo problema riguarda i lavoratori frontalieri che, poiché non risiedono nello Stato d'occupazione, costituiscono una categoria specifica di lavoratori migranti che incontrano problemi particolari per quanto riguarda, ad esempio, le cure sanitarie, la sicurezza sociale e la fiscalità. Infine, poiché l'esercizio di un'attività professionale nel settore pubblico di un altro Stato membro pone grandi problemi, la quarta parte si concentra su questioni quali l'accesso al settore pubblico e il riconoscimento di esperienze professionali precedenti acquisite in un altro Stato membro.

La presente comunicazione non si considera assolutamente esaustiva e non pretende di coprire tutti i diritti derivanti dalla legislazione comunitaria in materia di libera circolazione. Per questo motivo, non affronta i problemi di ordine generale riguardanti la cittadinanza.

 

2. LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

2.1 Introduzione

Qualunque cittadino di uno Stato membro ha il diritto di lavorare in un altro Stato membro . Il termine "lavoratore" non è stato definito nel trattato, ma è stato interpretato dalla Corte come designante qualunque persona che (i) intraprende un lavoro reale ed effettivo (ii) sotto la direzione di un'altra persona, (iii) dalla quale viene retribuita. Questa definizione si applica a qualcuno che lavora 10 ore a settimana  e agli apprendisti . Tuttavia, il direttore di una società di cui sia anche l'azionista unico non è considerato come un lavoratore in mancanza di un vincolo di subordinazione . Una persona conserva la qualità di lavoratore anche se la retribuzione è inferiore al reddito minimo di sopravvivenza fissato nello Stato membro ospitante . Dal momento che la definizione del termine "lavoratore" determina il campo d'applicazione del principio fondamentale della libertà di circolazione, essa non dev'essere interpretata in modo restrittivo . Le persone che abbiano contratti a durata determinata sono considerate come lavoratori per tutto il tempo in cui esse soddisfano le tre condizioni sopra menzionate. In quest'ottica, i funzionari e gli agenti del servizio pubblico sono considerati lavoratori. Il diritto comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori non si applica a situazioni puramente interne. Tuttavia, le persone che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione e ritornano nello Stato membro d'origine rientrano nell'ambito d'applicazione delle norme comunitarie .

Dopo l'allargamento dell'Unione europea, le norme sulla libera circolazione dei lavoratori si applicheranno ai cittadini dei nuovi Stati membri soltanto dopo un periodo di transizione  . Tuttavia, i cittadini dei nuovi Stati membri che lavorino legalmente con un contratto di almeno 12 mesi in uno degli attuali Stati membri alla data di adesione del loro paese all'UE beneficeranno del diritto di libero accesso al mercato del lavoro dello Stato membro in questione. Inoltre, le norme comunitarie in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale si applicheranno a decorrere dalla data di adesione.

In base all'attuale normativa comunitaria, i cittadini di paesi terzi non beneficiano della libera circolazione dei lavoratori, ma se sono familiari di un cittadino dell'UE che abbia esercitato il proprio diritto alla libera circolazione (nella presente comunicazione definito "lavoratore migrante dell'UE"), hanno il diritto di risiedere e lavorare nello Stato membro in cui è impiegato il lavoratore migrante dell'UE. La Commissione ha proposto una normativa sui diritti dei cittadini di paesi terzi che entrano negli Stati membri per svolgervi attività di lavoro e per estendere i diritti alla libera circolazione ai cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo nell'UE.

2.2. Residenza ed espulsione

Il diritto di residenza va di pari passo con il diritto al lavoro in un altro Stato membro e gli Stati membri devono rilasciare ai lavoratori migranti un permesso di residenza come prova di tale diritto di residenza . La Commissione riceve inoltre numerosi reclami presentati da cittadini cui viene richiesto di fornire documenti (quali dichiarazioni fiscali, attestati medici, fogli paga, fatture dell'elettricità, ecc.) diversi da quelli autorizzati dalla legislazione comunitaria (carta d'identità e attestato del datore di lavoro). La Commissione riceve inoltre reclami riguardanti un altro punto, vale a dire il fatto che gli Stati membri non sono autorizzati a rilasciare permessi temporanei, per i quali dev'essere versata un'imposta, prima di rilasciare un permesso di residenza 

Il diritto al lavoro non è condizionato dall'ottenimento del permesso di soggiorno. La Commissione continua a ricevere reclami di cittadini cui viene richiesto di fornire un permesso di soggiorno prima di essere autorizzati ad iniziare il lavoro, e ciò è contrario al diritto comunitario.

Inoltre, la Commissione ha ricevuto numerosi reclami di lavoratori in disoccupazione involontaria che ricevono un'assistenza sociale e che constatano che lo Stato membro ospitante rifiuta di rinnovare il permesso di soggiorno minacciandoli di espulsione. Se una carta di soggiorno avente una durata di cinque anni è stata rinnovata una volta, lo Stato membro non può rifiutare di rinnovarla ancora una volta con il pretesto della disoccupazione involontaria e, di conseguenza, non può neppure espellere una persona che si trovi in questa situazione. La Commissione ritiene che i lavoratori il cui contratto di lavoro a durata determinata viene a scadenza dovrebbero essere classificati nella categoria dei lavoratori in disoccupazione involontaria. Non possono essere invocati motivi di ordine pubblico per giustificare tali espulsioni .

2.3. Accesso all'occupazione e parità di trattamento nell'occupazione

Un cittadino dell'Unione europea che lavora in un altro Stato membro dev'essere trattato esattamente allo stesso modo dei suoi colleghi cittadini di questo Stato sul piano delle condizioni di lavoro, e ciò comprende, ad esempio, la formazione, il licenziamento e la reintegrazione.

Questo diritto alla non discriminazione sulla base della nazionalità si applica anche a regole che, a meno che non siano obiettivamente giustificate e proporzionate all'obiettivo, sono intrinsecamente suscettibili di nuocere maggiormente ai lavoratori migranti che non ai lavoratori nazionali e rischiano di conseguenza di porre i lavoratori migranti in una situazione particolarmente svantaggiata (abitualmente definita "discriminazione indiretta") . Come la Corte ha recentemente ricordato nella causa Gottardo , questo diritto fondamentale alla parità di trattamento esige che uno Stato membro, il quale stipula una convenzione bilaterale di sicurezza sociale con un paese terzo (con il quale si impegna a tenere conto dei periodi di assicurazione compiuti nei paesi terzi per aprire il diritto a prestazioni), conceda ai cittadini di altri Stati membri gli stessi vantaggi concessi ai propri cittadini .

L'attitudine a comunicare con efficacia è evidentemente una condizione importante, e un certo livello di conoscenza linguistica può quindi essere richiesto per l'accesso a un posto di lavoro, ma la Corte ha deciso che qualunque esigenza linguistica dev'essere ragionevole e utile all'esecuzione dei compiti corrispondenti al posto di lavoro in questione e che non può essere utilizzata come argomento per escludere lavoratori di altri Stati membri . Se i datori di lavoro (privati o pubblici) possono richiedere che un candidato a un posto di lavoro disponga di una certa attitudine linguistica, non possono richiedere solo una qualifica specifica a titolo di prova . La Commissione ha ricevuto numerosi reclami riguardanti avvisi di posti vacanti che richiedevano ai candidati di avere una lingua specifica come "lingua madre". La Commissione ritiene che possa essere giustificato, in alcune condizioni molto precise, richiedere un livello estremamente elevato di competenza linguistica per alcuni posti di lavoro, ma che sia inaccettabile esigere che la lingua richiesta sia la lingua madre.

I lavoratori migranti possono incontrare difficoltà a far accettare titoli o diplomi nazionali in altri Stati membri; è stato di conseguenza introdotto un sistema di riconoscimento reciproco delle qualifiche e dei diplomi. Un cittadino di uno Stato membro che sia pienamente competente per esercitare una professione regolamentata (vale a dire una professione che non può essere esercitata in mancanza di alcune qualifiche professionali specifiche) in uno Stato membro può vedere riconosciuta la sua qualifica in un altro Stato membro. Tuttavia, se la formazione fornita o il settore d'attività della professione in questione sono fondamentalmente diversi nello Stato membro ospitante, tale cittadino può essere sottoposto a un periodo di adattamento o a una prova attitudinale; la scelta tra queste due possibilità incombe in linea di principio al lavoratore migrante. Il riconoscimento automatico dei diplomi avviene solo per alcune professioni, prevalentemente nel settore della sanità. Di recente la Commissione ha proposto una direttiva che consolida in un testo unico le direttive esistenti riguardanti il riconoscimento delle qualifiche professionali, in modo tale da rendere il sistema più facilmente comprensibile e applicabile .La proposta intende inoltre di introdurre condizioni semplici e facili, in particolare per la prestazione transfrontaliera di servizi. Inoltre, il Consiglio è intervenuto per rafforzare la cooperazione fra gli Stati membri al fine di agevolare la trasferibilità di qualifiche e competenze nell'ambito delle professioni regolamentate e non, e contribuire quindi a una maggiore mobilità e alla promozione dell'apprendimento permanente.

La Commissione è pienamente consapevole del problema posto ai lavoratori dalla mancanza di una vera e propria "portabilità" delle pensioni professionali . La legislazione comunitaria iniziale sulla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori dipendenti e autonomi che si spostano all'interno della Comunità  è attualmente seguita da una consultazione delle parti sociali sulla portabilità dei diritti a pensione professionale .

2.4. Vantaggi sociali e fiscali

I lavoratori migranti hanno il diritto agli stessi vantaggi sociali e fiscali dei cittadini dello Stato membro ospitante . La Corte ha precisato che si tratta di tutti i vantaggi che, siano essi legati o meno a un contratto, sono in generale concessi ai lavoratori nazionali, primariamente per via del loro status obiettivo di lavoratori o per via del semplice fatto della loro residenza sul territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri ne agevola con ogni probabilità la mobilità all'interno della Comunità . Si ritiene che ciò comprenda, ad esempio, le riduzioni sulle tariffe dei trasporti pubblici per le famiglie numerose , i sussidi di educazione , le indennità funerarie  e le indennità versate a titolo del minimo vitale .

Quando la legislazione nazionale autorizza le detrazioni fiscali per una pensione professionale e per l'assicurazione privata malattia e invalidità, è discriminatorio non permettere detrazioni equivalenti in rapporto ai contributi di sicurezza sociale versati nello Stato membro d'origine del lavoratore migrante .

2.5 Familiari

Sono considerati familiari  il coniuge del lavoratore, i discendenti di età inferiore a 21 anni o a suo carico e gli ascendenti del lavoratore che sono a suo carico. La Corte ha affermato che il termine "coniuge" designa il partner sposato  e non comprende i partner coabitanti . I partner sposati che sono separati, ma non ancora divorziati, mantengono i loro diritti in qualità di familiari di un lavoratore migrante . La Commissione è stata invitata a pronunciarsi in merito ai matrimoni omosessuali celebrati in Stati membri nei quali tali matrimoni beneficiano dello stesso status dei matrimoni "tradizionali" ai fini del diritto alla libera circolazione. La Corte non è stata ancora chiamata a pronunciarsi su questo punto specifico, ma ha in precedenza constatato che poiché non vi è consenso fra gli Stati membri in merito al quesito se partner omosessuali possano essere assimilati ai coniugi di un matrimonio tradizionale se ne debba concludere che i coniugi dello stesso sesso non hanno ancora gli stessi diritti dei coniugi tradizionali ai fini della legislazione comunitaria sulla libera circolazione dei lavoratori . Occorre tuttavia osservare che se uno Stato membro accorda benefici ai propri cittadini che convivono al di fuori di un vincolo matrimoniale, sotto il profilo della parità di trattamento in materia di vantaggi sociali (si veda la sezione 2.4.) gli stessi vantaggi devono essere concessi ai lavoratori migranti.

I familiari, qualunque sia la loro nazionalità, hanno il diritto di risiedere con il lavoratore migrante e di ricevere permessi di soggiorno della stessa durata del lavoratore. Sono stati inviati alla Commissione reclami riguardanti, in particolare, familiari di cittadini di paesi terzi. Inoltre, se cittadini di paesi terzi possono provare di essere familiari di un lavoratore migrante, e non rappresentano alcuna minaccia per l'ordine pubblico, lo Stato membro ospitante non può rifiutare il loro ingresso o soggiorno sul territorio, anche se non possiedono un visto valido . Quando cittadini di uno Stato membro abbiano esercitato il loro diritto alla libera circolazione in un altro Stato membro e rientrino nello Stato membro d'origine, anche i familiari cittadini di un paese terzo rientrano nel campo d'applicazione delle disposizioni regolamentari comunitarie sui diritti di residenza dei lavoratori migranti e dei loro familiari .

I figli dei lavoratori migranti, indipendentemente dalla loro nazionalità, hanno il diritto di accedere all'istruzione nello Stato membro ospitante come i cittadini di quest'ultimo. Essi hanno gli stessi diritti dei figli dei lavoratori nazionali per quanto riguarda la concessione di borse di studio , anche se ritornano nel paese membro d'origine , problema in merito al quale la Commissione ha ricevuto reclami.

I figli conservano il loro diritto di residenza anche se il lavoratore migrante lascia lo Stato membro ospitante e un familiare cittadino di un paese terzo conserva anche il suo diritto di residenza, anche se è divorziato dal lavoratore migrante comunitario, in modo tale che il figlio possa continuare a beneficiare del suo diritto all'istruzione . Il coniuge e i figli del lavoratore migrante hanno il diritto di lavorare nello Stato membro ospitante e di beneficiare delle disposizioni sul riconoscimento delle qualifiche .

2.6. Prospettive

I testi giuridici di base sulla libera circolazione datano degli anni '60 e sono stati completati da numerose sentenze della Corte. Questa situazione ha portato la Commissione a proporre, nel 1988, di consolidare la giurisprudenza e di estendere i diritti dei lavoratori migranti , ma gli Stati membri non sono pervenuti a un accordo su tale proposta. Dieci anni dopo, la Commissione, sostenuta dal Parlamento europeo, ha presentato una nuova proposta che si iscrive nel prolungamento del piano d'azione del 1997 in merito al quale sino ad oggi gli Stati membri non sono riusciti a discutere .

Nel 2001, la Commissione ha proposto un ampio strumento legislativo destinato a sostituire la maggior parte dei testi esistenti sui diritti di residenza dei lavoratori migranti e di altre categorie di cittadini dell'Unione europea, al fine di agevolare l'esercizio del loro diritto alla libera circolazione .

 

3. SICUREZZA SOCIALE

3.1. Introduzione

La legislazione comunitaria sulla sicurezza sociale costituisce il fondamento indispensabile dell'esercizio del diritto alla libera circolazione delle persone. La necessità di un sistema di coordinamento tra i regimi di sicurezza sociale degli Stati membri per garantire una libera circolazione era già stata riconosciuta, all'origine, nel Trattato di Roma .

La legislazione comunitaria garantisce il coordinamento, ma non l'armonizzazione nel settore della sicurezza sociale e pertanto non altera in nulla le competenze degli Stati membri quanto all'organizzazione del loro regime di sicurezza sociale . Questo meccanismo di coordinamento a livello comunitario non si applica all'assistenza sociale . Ciascuno Stato membro è pertanto libero di determinare chi dev'essere assicurato a titolo della propria legislazione  e quali prestazioni sono concesse e a quali condizioni .

Affinché l'applicazione dei vari regimi nazionali di sicurezza sociale non rechi pregiudizio alle persone che esercitano il loro diritto alla libera circolazione, il Regolamento 1408/71 definisce regole e principi comuni. L'obiettivo di queste regole e principi è di garantire a una persona che utilizza il suo diritto di circolare liberamente all'interno della Comunità che non sarà messa in posizione svantaggiata rispetto a un'altra persona che risiede e lavora sempre in un solo Stato membro. Per raggiungere questo obiettivo, le regole di coordinamento garantiscono un meccanismo basato sui seguenti principi:

-      parità di trattamento tra i cittadini nazionali e non nazionali, in modo che una persona che risiede sul territorio di uno Stato membro sia soggetta agli stessi obblighi e goda degli stessi vantaggi dei cittadini di questo Stato membro, senza alcuna discriminazione basata sulla nazionalità ;

-      cumulo dei periodi di assicurazione, di occupazione o di residenza compiuti sotto la legislazione di uno Stato membro affinché tali periodi siano presi in considerazione, eventualmente, per aprire il diritto a prestazioni a titolo della legislazione di un altro Stato membro;

-      esportazione di prestazioni affinché esse possano essere erogate a persone che risiedono in un altro Stato membro;

-      determinazione dello Stato membro la cui legislazione in materia di sicurezza sociale è applicabile; in linea di principio, viene applicato un solo regime di sicurezza sociale alla volta, in modo tale che una persona possa beneficiare di una copertura di sicurezza sociale adeguata senza essere soggetta simultaneamente alla legislazione di due Stati membri e non debba pagare un doppio contributo, o non ne paghi nessuno.

Questi principi si sono dimostrati efficaci nel consentire alle persone assicurate di spostarsi da uno Stato membro all'altro. Ad esempio, per i lavoratori della Comunità, il principio della parità di trattamento e di non discriminazione è servito non solo a vietare la discriminazione diretta chiaramente basata sulla nazionalità, ma anche la discriminazione indiretta basata su criteri diversi dalla nazionalità e che colpisce in particolare i cittadini di altri Stati membri . A ciò si aggiunge il principio dell'assimilazione dei fatti , in modo tale che situazioni che si verificano in altri Stati membri devono essere trattate come se si fossero prodotte nello Stato membro la cui legislazione viene applicata .

Poiché il Regolamento 1408/71 ha il fine di consentire agli assicurati a titolo di questo Regolamento di esercitare più facilmente le libertà riconosciute dal Trattato, la Corte ha sempre interpretato le disposizioni del Regolamento nel senso della libertà fondamentale di circolazione dei lavoratori , della libertà di stabilimento  e, più recentemente, anche della libera circolazione delle persone . Queste libertà fondamentali possono inoltre impedire l'applicazione della legislazione nazionale . Ciò si verifica in particolare quando, malgrado la protezione offerta dal Regolamento 1408/71, le persone che si sono spostate da uno Stato membro all'altro perdono vantaggi di sicurezza sociale poiché la legislazione comunitaria lascia sussistere differenze tra i regimi di sicurezza sociale degli Stati membri. Questo riguarda in particolare le persone che si spostano di frequente fra vari Stati membri nel corso della loro carriera.

Dal momento che ciò ostacolerebbe l'esercizio del diritto alla libera circolazione, e poiché gli Stati membri, le autorità nazionali e i tribunali nazionali sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie a garantire il rispetto degli obblighi derivanti dal Trattato, la Corte ritiene che i tribunali nazionali debbano interpretare la legislazione nazionale alla luce di questi obiettivi del Trattato, in modo da non scoraggiare le persone a recarsi in un altro Stato membro . Nella causa Engelbrecht , la Corte ha persino ritenuto che se un'interpretazione in questo senso non è possibile, una giurisdizione nazionale deve, se necessario, disapplicare una disposizione della legislazione nazionale e sostituirla con la legislazione comunitaria.

Al fine di prendere in considerazione le conseguenze delle interpretazioni date dalla Corte e altri sviluppi a livello comunitario, ma tenendo conto anche dei numerosi cambiamenti che si verificano a livello nazionale, il Regolamento 1408/71 è stato adattato, migliorato e ampliato a più riprese. Ad esempio, in origine, esso si applicava solo ai lavoratori e ai loro familiari. In seguito, è stato esteso ai lavoratori autonomi , a qualunque cittadino europeo coperto da un'assicurazione malattia che necessiti delle prestazioni di malattia in occasione di un soggiorno temporaneo  e agli studenti . A partire dal 1998, in seguito alla decisione nella causa Vougioukas , sono stati inseriti nel Regolamento 1408/71 anche regimi speciali per i funzionari .

Questi numerosi emendamenti hanno reso il Regolamento estremamente complesso e di difficile utilizzazione. La Commissione ha riconosciuto che era essenziale rendere le regole più efficaci e più conviviali. Per questo motivo, nel dicembre 1998 , ha presentato una proposta volta a semplificare e modernizzare il Regolamento 1408/71. Tale proposta è attualmente esaminata dai colegislatori, il Consiglio e il Parlamento europeo, sulla base di una serie di parametri convenuti, vale a dire delle opzioni di base alla luce delle quali il Regolamento deve essere modernizzato. Alcuni di questi parametri sono estremamente specifici e tendono a migliorare i diritti degli assicurati, ad esempio inserendo le prestazioni per le persone non attive e in prepensionamento, agevolando l'accesso transfrontaliero alle cure sanitarie per i lavoratori frontalieri pensionati, ampliando il campo d'applicazione della parte disoccupazione alle regole di assicurazione dei lavoratori autonomi e ampliando i diritti dei titolari di pensioni e di rendite e degli orfani per quanto riguarda le prestazioni familiari. Questa proposta dovrebbe essere adottata entro la fine del 2003. Inoltre, la proposta della Commissione di estendere le disposizioni del regolamento 1408/71 ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti dovrebbe entrare in vigore all'inizio del 2003

3.2. Non esportabilità di prestazioni speciali a carattere non contributivo

Secondo il Regolamento 1408/71, la regola generale vuole che le prestazioni di sicurezza sociale siano pagate qualunque sia lo Stato membro nel quale il beneficiario risiede . Tuttavia, questa regola non si applica a una categoria particolare di prestazioni collegate all'ambiente sociale dello Stato membro. Si tratta delle "prestazioni speciale a carattere non contributivo" . Si tratta delle prestazioni che rientrano nelle categorie tradizionali dell'assistenza e della sicurezza sociale e che intendono compensare problemi particolari come l'assistenza alle persone disabili o la prevenzione della povertà. Tali prestazioni, se sono comprese in uno specifico allegato al Regolamento (allegato II bis), sono soggette a regole speciali di coordinamento e sono erogate unicamente nello Stato membro che le prevede. Non possono quindi essere "esportate" dal beneficiario in un altro Stato membro. Tuttavia un cittadino dell'Unione europea che si sposta in un altro Stato membro sarà riconosciuto beneficiario di prestazioni speciali a carattere non contributivo in questo Stato, anche se queste prestazioni non possono essere equivalenti a quelle cui poteva precedentemente avere diritto. Si tratta di un tema che è stato oggetto di numerosi reclami e richieste di informazione inviati alla Commissione.

Tali disposizioni sono state più volte contestate e sottoposte all'analisi della Corte. Nella causa Snares , la Corte è stata invitata a pronunciarsi sulla validità della non esportabilità di questo tipo di prestazioni a titolo del Regolamento 1408/71. La Corte ha deliberato che questa deroga al principio dell'esportabilità delle prestazioni di sicurezza sociale era compatibile con la legislazione comunitaria.

Tuttavia, prima del 2001, la Corte rifletteva ancora sulla compatibilità o non con la legislazione comunitaria dell'iscrizione da parte di uno Stato membro di una prestazione nell'elenco delle prestazioni non esportabili. La Corte esaminava se la prestazione in questione soddisfaceva effettivamente alle condizioni di non esportabilità, in altri termini se aveva veramente un carattere "speciale" e non contributivo, o se presentava le caratteristiche di una prestazione che rientrava nei settori tradizionali dei regimi di sicurezza sociale che sarebbero stati esportabili. Nella sua sentenza nella causa Jauch , la Corte ha ritenuto che il pagamento dell'assegno assistenziale austriaco (Pflegegeld) non poteva essere limitato al territorio austriaco. La prestazione in questione concedeva ai beneficiari un diritto legalmente definito ed era destinata a integrare prestazioni di assicurazione malattia. Si basava inoltre indirettamente sui contributi versati a titolo dell'assicurazione malattia. La Corte ha ritenuto che tale prestazione non fosse né "speciale" né "a carattere non contributivo" e che di conseguenza, dovevano applicarsi le normali regole di coordinamento. L'assegno assistenziale è stato quindi ridefinito come un'indennità giornaliera di malattia a titolo delle disposizioni generali del Regolamento 1408/71 che doveva pertanto essere versato ai beneficiari che vivevano in altri Stati membri. Inoltre, la Corte ha ritenuto che un assegno di maternità lussemburghese figurasse a torto nell'elenco delle prestazioni non esportabili . Secondo la Corte, una prestazione può essere definita "speciale" quando è strettamente collegata all'ambiente sociale dello Stato membro in questione, e questo non era il caso della prestazione in esame.

Tenuto conto di queste sentenze, e al fine di mantenere una certezza e una trasparenza dal punto di vista giuridico, è chiaro che tutte le prestazioni che figurano attualmente nell'elenco delle prestazioni non esportabili devono essere riesaminate per garantire che esse siano realmente "speciali" e a carattere non contributivo. Alla luce dei criteri fissati dalla Corte, sembra che solo le prestazioni di prevenzione della povertà e di protezione dei disabili abbiano un legame sufficientemente stretto con l'ambiente sociale ed economico dello Stato membro in modo tale da essere considerate come "speciali" e pertanto non esportabili (supponendo che esse siano anche non contributive). La Commissione prevede di presentare una proposta legislativa volta a modificare il Regolamento 1408/71 sin dall'inizio del 2003 per raggiungere tale obiettivo. Occorre inoltre rilevare che un certo numero di cause attualmente pendenti dinanzi alla Corte hanno per oggetto la non esportabilità di alcune prestazioni degli Stati membri . Del resto occorre ricordare che la non esportabilità di prestazioni a partire da alcuni Stati membri è raramente compensata dall'ammissibilità a prestazioni equivalenti nello Stato nel quale la persona intende recarsi. Fatta salva la possibilità per gli Stati membri di limitare il pagamento di alcune indennità al loro territorio, per mantenere la certezza del diritto sarebbe opportuno che ciò avvenisse rispettando scrupolosamente i criteri chiari e obiettivi del Regolamento così come sono stati interpretati dalla Corte. In questo modo, viene garantita la conformità con la legislazione comunitaria.

3.3. Assistenza sanitaria

Il Regolamento 1408/71 contiene disposizioni specifiche sull'assistenza sanitaria e fissa le condizioni alle quali le persone hanno accesso a tale assistenza quando si spostano all'interno dell'Unione europea.

In breve, chiunque soggiorni temporaneamente o risieda in uno Stato membro diverso da quello nel quale è assicurato contro la malattia è autorizzato a ricevere prestazioni di malattia in natura, conformemente alla legislazione di questo Stato membro, come se fosse assicurato in tale Stato, ma a carico dal punto di vista finanziario dell'istituzione assicuratrice. In funzione dello status della persona e/o del tipo di soggiorno, esiste un diritto alle cure immediatamente necessarie , alle cure che divengono necessarie , o a tutte le prestazioni di malattia in natura .

Quando una persona intende recarsi in un altro Stato membro specificamente per sottoporsi a cure sanitarie, il loro costo, conformemente al sistema di coordinamento posto in essere dal Regolamento 1408/71, sarà coperto unicamente dallo Stato membro nel quale la persona è assicurata a condizione di una previa autorizzazione che deve essere rilasciata alla persona interessata. Questo Stato membro ha un'ampia discrezionalità nel concedere o rifiutare l'autorizzazione, ma non può rifiutarla se sussistono contemporaneamente due condizioni: (a) la cura in questione figura tra le cure erogate nell'ambito del programma sanitario dello Stato membro assicurante e (b) la persona non può essere curata entro il termine normalmente necessario per ottenere queste cure, tenuto conto del suo attuale stato di salute e della probabile evoluzione della malattia. Se l'autorizzazione viene concessa, le cure sono prestate conformemente alla legislazione e alle tariffe vigenti nello Stato membro nel quale esse sono fornite, ma a carico dell'istituzione dello Stato membro nel quale la persona è assicurata.

Tuttavia, nella recente causa Vanbraekel , la Corte ha esaminato la questione della fissazione del tasso di rimborso che potrebbe pretendere una persona che si è recata in un altro Stato membro per essere sottoposta a cure mediche programmate quando i costi rimborsati, conformemente alla legislazione di questo Stato membro, erano inferiori all'importo cui la persona avrebbe avuto diritto nello Stato membro assicurante. Anche se la Corte ha confermato che in virtù delle disposizioni del Regolamento 1408/71 il rimborso non poteva essere effettuato se non in base alla tariffe dello Stato membro nel quale le cure vengono prestate, ha ritenuto che, in nome del principio della libertà di prestazione dei servizi, la persona assicurata poteva pretendere un rimborso complementare da parte dello Stato membro assicurante se la legislazione di quest'ultimo prevedeva un livello superiore di rimborso, a condizione che le cure ospedaliere fossero state ricevute nello Stato assicurante.

Per quanto riguarda i pazienti che si recano in un altro Stato membro per ricevere cure mediche, la Corte, nelle cause Kohll  e Decker , si riferisce ad altre libertà fondamentali iscritte nel Trattato, come la libera circolazione delle merci e la libera fornitura di servizi. In queste due cause, e in una terza  che - contrariamente alle due prime cause - riguardava cure mediche prestate in ambiente ospedaliero, la Corte ha confermato la facoltà per lo Stato membro di organizzare come ritiene opportuno il proprio sistema di assistenza sanitaria, ma ha ricordato che lo Stato membro deve rispettare le norme comunitarie di base quali la libertà di fornire e di ricevere servizi. La Corte ha esplicitamente dichiarato che le cure mediche e ospedaliere erano servizi nel senso stabilito dal Trattato. Tuttavia, ha anche concluso che il sistema nazionale di previa autorizzazione poteva costituire un ostacolo alla libertà di fornitura dei servizi; questo sistema poteva nonostante giustificarsi per motivi impellenti quali il mantenimento della stabilità finanziaria dei regimi di sicurezza sociale e un accesso per tutti a dei servizi medici e ospedalieri equilibrati. Tuttavia, affinché sia giustificata una previa autorizzazione amministrativa, essa deve basarsi su criteri obiettivi non discriminatori conosciuti in anticipo. Questi criteri devono circoscrivere l'esercizio del potere discrezionale da parte delle autorità nazionali in modo tale che esse non utilizzino arbitrariamente i loro poteri. Una procedura facilmente accessibile deve consentire che una domanda di autorizzazione sia trattata in modo obiettivo e imparziale ed entro termini ragionevoli. Il rifiuto dell'autorizzazione deve poter essere contestato attraverso vie di ricorso giudiziarie o quasi giudiziarie.

La giurisprudenza ora ricordata non significa che le persone assicurate, dopo aver ricevuto un trattamento sanitario all'estero, godono, ai sensi della legislazione comunitaria, di un diritto generale di essere rimborsate delle relative spese. I pazienti possono richiedere la presa in carico o il rimborso delle spese di cure mediche all'estero solo quando si tratta di cure che il sistema di assicurazione sociale dello Stato membro nel quale sono assicurati avrebbe normalmente rimborsato.

Uno dei motivi più comuni per i quali i pazienti si recano in un altro Stato membro per ottenere la prestazione di cure mediche sono i tempi di ottenimento di tali cure, tenuto conto dello stato di salute dell'assicurato. Anche se il problema delle liste d'attesa è oggetto di una questione pregiudiziale pendente , la Corte, in relazione con la legislazione olandese nella causa Smits/Peerbooms, ha già dato alcune indicazioni sulla nozione di "termine indebito". La Corte ritiene in particolare che al momento di decidere se una cura della stessa efficacia potrebbe essere ottenuta senza il cosiddetto termine indebito, le autorità nazionali dovrebbero tenere conto di tutte le circostanze di ciascun caso specifico, vale a dire non solo dello stato di salute del paziente, ma anche dei suoi antecedenti sanitari.

Spetta ora alla Commissione e agli Stati membri prendere in considerazione questa sentenza e risolvere i problemi di interpretazione al momento della sua applicazione, nonché di quella delle sentenze corrispondenti , alla luce degli interessi dei pazienti. Sforzandosi di garantire un approccio concertato e coerente, la Commissione ha intrapreso un dialogo costruttivo con gli Stati membri e le altre parti interessate. Come prevede uno dei parametri fissati nella proposta di semplificazione e di modernizzazione del Regolamento 1408/71, la Commissione e gli Stati membri rifletteranno inoltre sulla necessità di adeguare il Regolamento in funzione di questa giurisprudenza al fine di rendere le clausole attuali più trasparenti e più affidabili per i pazienti che richiedono la prestazione di cure mediche in un altro Stato membro.

La Commissione ha inoltre preso l'iniziativa di avviare un processo di riflessione di alto livello sull'evoluzione dell'assistenza sanitaria nell'Unione europea, e in particolare sulla libera circolazione dei pazienti. Il fine è quello di riunire i protagonisti interessati in un forum informale e flessibile al fine di riflettere in comune sui problemi riguardanti la sanità e i servizi sanitari nel mercato unico, formulando raccomandazioni per orientare i futuri lavori a livello della Comunità e degli Stati membri, ed evitando di riprodurre o di sostituire le discussioni avviate nell'ambito delle strutture istituzionali e ufficiali dell'Unione europea.

La Commissione ritiene che questa giurisprudenza, nel permettere agli assicurati di ricevere cure mediche in un altro Stato membro e nel fissare regole per il rimborso delle spese ospedaliere, garantisca una protezione supplementare agli assicurati e costituisca un passo concreto sulla via dell'Europa sociale.

3.4. Contributi di sicurezza sociale

Al fine di trarre vantaggio dal diritto alla libera circolazione, è essenziale per le persone interessate sapere in quale Stato membro saranno assicurate e dove devono essere versati i contributi. Il Regolamento 1408/71 fissa regole precise sulla determinazione dello Stato membro la cui legislazione di sicurezza sociale dev'essere applicata, e ciò sulla base di due principi fondamentali:

-      una persona è soggetta alla legislazione di un solo Stato membro alla volta;

-      una persona è abitualmente soggetta alla legislazione dello Stato membro nel quale esercita un'attività professionale (lex loci laboris).

Il fatto di dover pagare contributi in più di uno Stato membro alla volta può scoraggiare le persone dall'utilizzare il loro diritto alla libera circolazione. Solo lo Stato membro nel quale viene esercitata l'attività professionale può reclamare i contributi di sicurezza sociale. Per questo motivo, se una persona esercita un'attività professionale in uno Stato membro, che è quindi competente per l'erogazione delle prestazioni di sicurezza sociale, ma risiede in un altro Stato membro, lo Stato membro di residenza non può reclamare i contributi di sicurezza sociale. È questo il ragionamento che ha seguito la Corte in merito a un prelievo percepito in virtù della legislazione nazionale come una tassa: questo prelievo dev'essere considerato come un contributo di sicurezza sociale a titolo della legislazione comunitaria se serve effettivamente a finanziare direttamente settori del sistema di sicurezza sociale . Lo stesso principio si applica ai contributi di assicurazione malattia dei titolari di pensioni o di rendite: solo lo Stato membro responsabile del pagamento delle spese di assistenza sanitaria dei titolari di pensioni o di rendite può prelevare i contributi corrispondenti .

Da notare tuttavia che il Regolamento 1408/71 contiene disposizioni speciali che si applicano alle persone che lavorano simultaneamente come lavoratori dipendenti in uno Stato membro e come lavoratori autonomi in un altro. Queste persone possono infatti essere soggette alla legislazione di sicurezza sociale di due Stati membri contemporaneamente . Anche se ciò comporta che esse devono di conseguenza pagare contributi di sicurezza sociale in due Stati membri, la Corte ha confermato la validità di questa disposizione nella recente causa Hervein . La Corte ha ritenuto che il Trattato non garantisce che l'estensione delle attività di una persona in più di uno Stato membro sia neutrale per quanto riguarda la sicurezza sociale. Ha tuttavia ricordato che gli Stati membri la cui legislazione si applica simultaneamente devono tuttavia garantire il rispetto dei principi di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento iscritti nel Trattato. In particolare, ciascuno degli Stati membri in questione deve agevolare il cumulo delle prestazioni fornite a titolo delle due legislazioni applicabili e vigilare affinché non siano prelevati contributi di sicurezza sociale quando non vengano erogate corrispondenti prestazioni.

 

4. LAVORATORI FRONTALIERI

4. 1. Introduzione

I lavoratori frontalieri sono persone che vivono in uno Stato membro e lavorano in un altro. In linea generale, tali persone godono di tutte le prestazioni offerte ai lavoratori migranti nello Stato membro d'occupazione. Tuttavia, i lavoratori frontalieri hanno accesso alle indennità di disoccupazione dello Stato di residenza piuttosto che dello Stato d'occupazione , e possono scegliere lo Stato nel quale vogliono essere assicurati per la malattia . I familiari di un lavoratore frontaliero sono assicurati per la malattia solo dal regime dello Stato di residenza, e quando un lavoratore frontaliero va in pensione, non può più essere preso a carico dallo Stato d'occupazione, ma dallo Stato di residenza. Questa situazione un po' complessa può provocare problemi d'ordine pratico, ad esempio se un lavoratore inizia un trattamento di lunga durata nello Stato nel quale lavora; quando va in pensione, non ha più accesso a tale cura ma deve trovare l'equivalente nello Stato in cui vive. La proposta della Commissione volta a modificare e a semplificare il Regolamento 1408/71  prevede di consentire a lavoratori frontalieri pensionati di continuare ad esercitare il loro diritto alle prestazioni sanitarie nello Stato membro nel quale lavoravano precedentemente. Questa proposta è attualmente esaminata dal Consiglio.

I lavoratori frontalieri devono spesso affrontare problemi specifici, a causa delle condizioni di residenza, in particolare sul piano della sicurezza sociale e dei vantaggi sociali, come la Commissione ha avuto occasione di constatare a più riprese . Le clausole di residenza per l'accesso ai vantaggi sociali si giustificano per il loro fine che è quello di aiutare i lavoratori migranti e i membri della famiglia a integrarsi nello Stato membro ospitante. Dal momento che i lavoratori frontalieri non vivono nello Stato membro d'occupazione, gli Stati membri hanno sostenuto che essi non potrebbero beneficiare degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori migranti "normali". La Corte ha respinto tali argomenti, affermando che nessuna condizione di residenza potrebbe essere applicata al figlio di un lavoratore frontaliero che beneficia di uno stesso diritto di scolarizzazione dei figli dei cittadini del paese d'occupazione . La Commissione prevede di avviare procedure di infrazione  nei confronti di numerosi Stati membri che impongono condizioni di residenza per il godimento di vantaggi sociali da parte dei lavoratori migranti.

4.2 Lavoratori frontalieri pensionati

I problemi sopra ricordati sono particolarmente sentiti dai lavoratori frontalieri pensionati il cui Stato di residenza non cambia al momento della pensione e che, di conseguenza, non godono del divieto di discriminazione che si applica ai lavoratori migranti che vanno in pensione nello Stato membro in cui hanno lavorato . Tuttavia la Corte ha decretato che i lavoratori pensionati possono reclamare dallo Stato nel quale hanno precedentemente lavorato vantaggi sociali come il pagamento di indennità speciali per la perdita di un posto di lavoro , nella misura in cui siano in relazione con la loro precedente occupazione. In tali condizioni, gli Stati membri non possono subordinare il pagamento di vantaggi sociali alla condizione della residenza. Tuttavia, la Corte ha deciso che i nuovi diritti che non sono in relazione con l'esperienza precedente, come l'assegno di educazione, non devono essere concessi dallo Stato membro nel quale il lavoratore frontaliero ha lavorato in precedenza . La proposta della Commissione del 1998 recante modifica del Regolamento 1408/71 prevedeva la soppressione, per i titolari di pensione o di rendita, delle clausole di residenza per tutte le prestazioni familiari e non più solo per gli assegni familiari come avviene attualmente.

4.3. Fiscalità

Il diritto dei lavoratori frontalieri di pretendere una parità di trattamento si applica anche alla fiscalità sui redditi. Ad esempio, un lavoratore frontaliero che lavora in uno Stato membro ma che vive con la sua famiglia in un altro Stato non può essere costretto a dover pagare più imposte di una persona che vive e lavora nello Stato d'occupazione quando il principale reddito di questo lavoratore proviene dallo Stato d'occupazione . Inoltre, le clausole in virtù delle quali è più vantaggioso essere soggetti a imposte come coppia familiare piuttosto che come persona singola devono applicarsi ai lavoratori frontalieri alla stessa stregua delle coppie familiari in situazione analoga nello Stato membro di lavoro e non devono essere fatte dipendere da un obbligo di residenza di entrambi i coniugi nello Stato di lavoro .

 

5. SETTORE PUBBLICO

5.1. Introduzione

Considerando che i funzionari e gli agenti del settore pubblico sono lavoratori ai sensi dell'articolo 39 del Trattato CE, le regole relative alla libera circolazione dei lavoratori si applicano in linea di principio anche a loro. Tuttavia, vi è un'eccezione e alcuni problemi specifici:

-      le autorità degli Stati membri sono autorizzate a limitare ai propri cittadini i posti che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia degli interessi generali dello Stato (articolo 39, paragrafo 4 CE);

-      in numerosi Stati membri, esistono disposizioni regolamentari molto specifiche relative all'occupazione nel settore pubblico (ad esempio riguardanti l'accesso a tali impieghi, il riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionale; il riconoscimento dei diplomi, ecc.) e, di conseguenza, ciò pone problemi ulteriori di discriminazione che non si presentano nello stesso modo nel settore privato.

La Commissione continua a ricevere numerosi reclami a questo riguardo, in particolare concernenti la presa in considerazione dell'esperienza professionale acquisita in un altro Stato membro per autorizzare l'accesso alla funzione pubblica e determinare l'importo della retribuzione, ecc. Per questo motivo, la Commissione avvia numerose procedure di infrazione contro gli Stati membri. Su domanda degli stessi Stati membri, la Commissione esprime inoltre consigli diretti alle autorità degli Stati membri, nel quadro di un gruppo di lavoro intergovernativo creato dai direttori generali dell'amministrazione pubblica degli Stati membri.

5.2.  Accesso all'occupazione nella pubblica amministrazione

Per molto tempo, i problemi collegati alla libera circolazione dei lavoratori nella pubblica amministrazione riguardavano esclusivamente le condizioni di accesso e di nazionalità. L'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE stabilisce che la libera circolazione dei lavoratori non si applica all'occupazione nella pubblica amministrazione. Tuttavia la deroga a questa disposizione è sempre stata interpretata in modo estremamente restrittivo dalla Corte  e la Commissione si è sforzata di promuovere attivamente l'accesso alla funzione pubblica, e continua a farlo. In numerose sentenze precedenti, la Corte ha sviluppato la sua interpretazione dell'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE: gli Stati membri sono autorizzati a riservare gli impieghi nella pubblica amministrazione ai loro cittadini solo se questi impieghi sono direttamente collegati ad attività specifiche della pubblica amministrazione, vale a dire quando questa sia investita dell'esercizio dell'autorità pubblica e della responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato, ai quali vanno assimilati quelli delle pubbliche collettività, quali le amministrazioni communali. Questi criteri devono essere valutati caso per caso in funzione della natura dei compiti e delle responsabilità implicati nel posto in questione. In questa sentenza, la Corte ha stabilito che, ad esempio, gli impieghi nelle poste o nelle ferrovie, o ancora gli impieghi di idraulico, di giardiniere o di elettricista, di professore, di infermiere e di ricercatore civile non possono essere limitati ai cittadini nazionali. Al fine di poter controllare l'applicazione di questa giurisprudenza, la Commissione ha lanciato nel 1988 un'azione  che metteva l'accento sull'accesso all'impiego in quattro settori (l'amministrazione dei servizi commerciali, i servizi pubblici di assistenza sanitaria, l'insegnamento, la ricerca a fini non militari). L'approccio settoriale costituiva un importante punto d'avvio del controllo di una corretta applicazione della legislazione comunitaria; è stato seguito da numerose procedure di infrazione su iniziativa della Commissione. L'azione del 1988 e le procedure di infrazione hanno avuto come effetto che gli Stati membri si sono impegnati in vaste riforme di apertura dei rispettivi settori pubblici. In fin dei conti, solo tre procedure di infrazione sono arrivate dinanzi alla Corte, la quale ha pienamente confermato, nel 1996 , la sua precedente giurisprudenza.

La libera circolazione dei lavoratori nei servizi pubblici è indipendente da qualunque settore specifico; essa tiene unicamente conto della natura del posto di lavoro. Per questo motivo, solo due categorie di posti possono essere messe in evidenza: quelle che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia dell'interesse generale dello Stato e quelle che non comportano tale esercizio.

Un'altra questione si pone per quanto riguarda gli impieghi nel settore pubblico che richiedono l'esercizio dell'autorità pubblica. In una recente sentenza, la Corte ha stabilito che gli agenti di sicurezza delle società private non appartengono al servizio pubblico e che pertanto l'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE non è loro applicabile, quali che siano i compiti del lavoratore . Alcune questioni pregiudiziali pendenti dinanzi alla Corte  riguardano attualmente la questione di sapere se lo stesso ragionamento si applica a posti nel settore privato cui lo Stato assegna funzioni di autorità pubblica (ad esempio, comandanti/ufficiali superiori delle navi mercantili e di pesca che esercitano funzioni di polizia).

Anche se questi sviluppi hanno portato a un'apertura sufficientemente ampia dei settori pubblici ai cittadini dell'Unione europea , negli Stati membri il beneficio dei principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte non è sempre garantito ai lavoratori migranti.

La Commissione riceve costantemente reclami riguardanti posti riservati ai cittadini dello Stato membro ospitante mentre questi posti non comportano chiaramente la necessità di esercitare un'autorità pubblica, né una responsabilità di salvaguardia dell'interesse generale dello Stato (ad esempio giardiniere, elettricista, bibliotecario, ecc.). In queste cause, la legislazione non è stata adeguata alla legislazione comunitaria, o lo è stata solo parzialmente, ovvero l'applicazione non è corretta. Ad esempio, le disposizioni-quadro nazionali sull'apertura del settore pubblico non sono ancora state recepite tramite l'adozione dei necessari decreti applicativi. Per questo motivo, questi Stati membri devono sia modificare la loro normativa esistente, sia controllare meglio la sua applicazione nel territorio.

La Commissione continua a ritenere (come ha dichiarato nel 1988) che la deroga prevista all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE riguardi funzioni specifiche dello Stato e di organismi di diritto pubblico, come le forze armate, la polizia e altre forze di mantenimento dell'ordine, le autorità giudiziarie e fiscali e il corpo diplomatico. Tuttavia, i posti in questi settori non comportano tutti l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia dell'interesse generale dello Stato; ad esempio: le funzioni amministrative, la consulenza tecnica; la manutenzione. Questi posti non possono quindi essere riservati a cittadini dello Stato membro ospitante.

Per quanto riguarda i posti nei ministeri statali, presso autorità governative regionali, enti locali, banche centrali e altri organismi di diritto pubblico, che si occupano della preparazione degli atti legislativi, della loro attuazione, del controllo della loro applicazione e del controllo degli organismi subordinati, la Commissione adotta un approccio più rigoroso di quello praticato nel 1988. All'epoca, queste funzioni erano descritte in modo generale, dando l'impressione che tutti i posti collegati a queste attività rientrassero nella deroga prevista all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE. Ciò avrebbe autorizzato gli Stati membri a riservare praticamente tutti i posti (escluse le mansioni amministrative, la consultazione tecnica e la manutenzione) ai loro cittadini, una posizione che dev'essere rivista alla luce della giurisprudenza della Corte degli anni '90. È importante notare che anche se le funzioni amministrative e decisionali che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la salvaguardia dell'interesse generale dello Stato possono essere riservate a cittadini dello Stato membro ospitante, ciò non riguarda tutti gli impieghi nello stesso settore. Ad esempio, il posto di un funzionario che contribuisce alla preparazione delle decisioni sulle autorizzazioni a edificare non dovrebbe essere riservato a cittadini dello Stato membro ospitante.

Gli Stati membri non sono neppure autorizzati ad escludere i lavoratori migranti dai concorsi di reclutamento, a meno che tutti i posti da attribuire attraverso tali concorsi non soddisfino i criteri enunciati all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE (ad esempio, un concorso per l'ammissione a posti giuridici potrebbe essere riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante, mentre un concorso per l'attribuzione di posti di quadri nell'amministrazione generale dovrebbe in linea di principio essere aperto ai lavoratori migranti). Dopo lo svolgimento dei concorsi, l'autorità incaricata del reclutamento ha l'obbligo di valutare il rispetto totale di questi criteri in funzione delle mansioni e delle responsabilità implicate nel posto in questione.

Gli Stati membri non devono avviare procedure di reclutamento interno per lavoratori migranti sinché i cittadini nazionali che non lavorano nello stesso servizio del settore pubblico non sono autorizzati a postulare per questo genere di posti o di concorsi. Tutte le altre procedure di reclutamento devono essere aperte; ad esempio, è inaccettabile che numerose organizzazioni (ad esempio, 15 ospedali statali) siano raggruppate a fini di reclutamento e che il solo personale che già lavora per uno di questi enti possa presentare la sua candidatura agli impieghi in uno degli altri enti.

Inoltre, gli Stati membri non sono autorizzati a rifiutare ai lavoratori migranti lo stato di funzionario, se questo corrisponde all'impiego, quando tali lavoratori sono stati ammessi nel settore pubblico.

La Commissione intende controllare scrupolosamente, a tale riguardo, i regolamenti e le prassi nazionali e adottare le misure necessarie a garantire una reale conformità con la legislazione comunitaria, avviando eventualmente procedure di infrazione. Inoltre, se è vero che l'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE autorizza gli Stati membri a riservare alcuni posti ai cittadini nazionali, occorre ricordare che non vi è obbligo di farlo e che gli Stati membri sono invitati ad aprire i rispettivi servizi pubblici, per quanto possibile, in modo da agevolare la mobilità dei lavoratori.

Ad eccezione dei posti che possono essere riservati ai cittadini dello Stato membro ospitante, i lavoratori migranti sono ammessi a presentare le loro candidature per impieghi nel settore pubblico di un altro Stato membro alle stesse condizioni che si applicano ai cittadini dello Stato membro interessato; ad esempio, essi possono essere soggetti alla stessa procedura di reclutamento o di concorso. Tuttavia, un problema particolare si pone con i concorsi destinati ad assumere persone per una formazione specifica nell'intento di occupare un posto nel relativo settore di attività del servizio pubblico (per esempio, nei settori educativo e sanitario). I lavoratori migranti dell'UE che sono già pienamente qualificati nel settore in questione devono essere esentati dalla relativa formazione alla luce della formazione e dell'esperienza professionale già acquisite nello Stato membro d'origine. La questione se essi siano soggetti o meno alla procedura di concorso è attualmente all'esame della Corte nell'ambito di una pronuncia pregiudiziale .

I lavoratori del settore pubblico chiedono frequentemente alla Commissione se la legislazione comunitaria concede un diritto assoluto ad essere distaccati nel settore pubblico di un altro Stato membro o di accedervi direttamente. Anche se non è così, per molti anni la Commissione ha chiesto alle autorità degli Stati membri di rafforzare la mobilità del loro personale. Di conseguenza, gli Stati membri hanno introdotto numerose possibilità bilaterali di distacco e di scambio di lavoratori tra i loro servizi .

5.3. Riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionali

È opportuno ricordare che il riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionali non è una questione che rientra nella deroga prevista dall'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE. Se un impiego può essere riservato a cittadini nazionali dello Stato membro ospitante in funzione dell'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE, il lavoratore migrante non può essere trattato diversamente rispetto ai cittadini dello Stato ospitante per quanto riguarda altri aspetti dell'accesso alla funzione pubblica e delle condizioni di lavoro, quando questo lavoratore è stato accettato nel settore pubblico .

Secondo la giurisprudenza della Corte, la Commissione ritiene che l'esperienza acquisita dai lavoratori migranti in un impiego comparabile esercitato in un altro Stato membro dev'essere presa in considerazione dalle amministrazioni degli Stati membri in materia di accesso alla loro funzione pubblica e di determinazione dei vantaggi professionali (ad esempio retribuzione, grado) nello stesso modo in cui viene presa in considerazione l'esperienza acquisita nel proprio sistema. Ciò solleva le seguenti questioni:

-      in alcuni Stati membri, l'esperienza o l'anzianità professionali sono sia una condizione formale di accesso a un concorso di reclutamento, sia un motivo per la concessione di punti supplementari nel corso di questa procedura di reclutamento (ponendo in tal modo i candidati in una posizione superiore nell'elenco finale dei candidati prescelti);

-      in numerosi Stati membri, i vantaggi professionali (ad esempio il grado, la retribuzione, i giorni di congedo) sono determinati sulla base dell'esperienza e dell'anzianità professionali.

Se l'esperienza e l'anzianità professionali acquisite da un lavoratore in un altro Stato membro non sono debitamente prese in considerazione, questi lavoratori sono totalmente o parzialmente privati dell'accesso al settore pubblico dell'altro Stato membro, o devono ricominciare la loro carriera dall'inizio o a un livello inferiore. La Commissione riceve costantemente un gran numero di reclami presentati da lavoratori migranti e ha per questo motivo avviato procedure di infrazione.

La Corte ha già più volte dichiarato che le disposizioni legislative nazionali che impediscono la presa in considerazione di periodi di impiego nel settore pubblico in un altro Stato membro costituiscono una discriminazione indiretta e ingiustificata nei confronti, ad esempio, dell'accesso alla funzione pubblica . Nelle sue sentenze successive riguardanti la presa in considerazione dell'esperienza e dell'anzianità professionali ai fini della determinazione del livello di retribuzione, la Corte ha affermato che "periodi anteriori d'impiego comparabile effettuati nel servizio pubblico di un altro Stato membro" devono essere equamente presi in considerazione . Ha inoltre decretato che le esigenze applicate a periodi effettuati in altri Stati membri non possono essere più rigorose di quelle applicate a periodi effettuati nelle istituzioni comparabili dell'altro Stato membro .

La Corte non ha ancora accettato alcuna delle giustificazioni avanzate dagli Stati membri, come la natura specifica dell'impiego nella funzione pubblica, la ricompensa della lealtà (a talune condizioni), le differenze nelle strutture di carriera, la discriminazione all'inverso, le difficoltà di stabilire confronti, il principio d'omogeneità.

Nella pratica, il confronto e la presa in considerazione dell'esperienza e dell'anzianità professionali pongono numerosi problemi ai lavoratori migranti. Al fine di garantire un'applicazione non discriminatoria dei regolamenti degli Stati membri in questo settore, la Commissione sottolinea che l'espressione "periodi anteriori di impiego comparabile" dev'essere interpretata nel quadro di ciascun sistema nazionale. Per questo motivo, se lo Stato membro ospitante applica disposizioni che tengono conto dell'esperienza e dell'anzianità professionali, queste regole devono applicarsi nello stesso modo ai periodi comparabili di impiego effettuati in un altro Stato membro senza che vi sia pregiudizio per il lavoratore migrante. La giurisprudenza sopra menzionata non richiede che una nuova nozione (di periodi di impiego comparabile) sia introdotta nella legislazione degli Stati membri; tuttavia gli Stati membri devono adeguare le loro prassi legislative/amministrative in modo tale da metterle in conformità con questo principio. Considerando la grande diversità dell'organizzazione dei settori pubblici degli Stati membri e delle disposizioni regolamentari in vigore riguardanti la presa in considerazione dell'esperienza professionale, e tenuto conto del fatto che solo gli Stati membri sono competenti ad organizzare la loro funzione pubblica, a condizione che sia rispettata la legislazione comunitaria, la Commissione si è astenuta dal proporre disposizioni precise da applicare nello stesso modo in tutti gli Stati membri.

Tuttavia, la Commissione ritiene che, in linea con la giurisprudenza della Corte, sia opportuno almeno rispettare gli orientamenti sotto indicati al momento dell'adattamento delle regole nazionali e delle prassi amministrative:

-      Gli Stati membri hanno l'obbligo di comparare l'esperienza e l'anzianità professionali; se le autorità trovano difficoltà ad effettuare questo confronto, possono prendere contatto con le autorità di altri Stati membri per chiedere spiegazioni e complementi di informazione.

-      Se l'esperienza e l'anzianità professionali in una qualunque funzione del settore pubblico sono prese in considerazione, lo Stato membro deve anche tenere conto dell'esperienza acquisita da un lavoratore migrante in una funzione qualunque del settore pubblico di un altro Stato membro; alla questione di sapere se l'esperienza è stata acquisita nel settore pubblico, la risposta dev'essere data in funzione dei criteri vigenti nello Stato membro ospitante. Tenendo conto di una qualunque funzione nel settore pubblico, lo Stato membro vuole in generale ricompensare l'esperienza acquisita nel servizio pubblico e facilitare la mobilità. Non si rispetterebbe il principio della parità di trattamento dei lavoratori nella Comunità se lo Stato membro ospitante dovesse considerare che l'esperienza acquisita, secondo i criteri vigenti nello Stato membro del lavoratore migrante, non debba essere presa in considerazione poiché, secondo lo Stato ospitante, rientra nel settore privato.

-      Se uno Stato membro tiene conto di una determinata esperienza (vale a dire di un impiego/di una mansione specifica, in un'istituzione determinata, a un livello, a un grado o in una categoria specifica), deve confrontare il suo sistema con quello dell'altro Stato membro in modo da confrontare i periodi anteriori di occupazione. Le condizioni fondamentali di riconoscimento dei periodi compiuti all'estero devono basarsi su criteri non discriminatori e obiettivi (rispetto ai periodi compiuti all'interno dello Stato membro ospitante). Tuttavia, lo statuto del lavoratore nel suo posto precedente in qualità di funzionario o di lavoratore dipendente (nel caso in cui il sistema nazionale stabilisse una distinzione fra l'esperienza e l'anzianità professionali dei funzionari e dei lavoratori dipendenti), non può essere utilizzato come criterio di confronto .

-      Se uno Stato membro tiene anche conto dell'esperienza professionale acquisita nel settore privato, deve applicare gli stessi principi ai periodi comparabili di esperienza acquisita in un altro Stato membro nel settore privato.

I reclami e i ricorsi in giustizia hanno finora riguardato unicamente la presa in considerazione dell'esperienza professionale acquisita nel settore pubblico di un altro Stato membro. Tuttavia, la Commissione intende sottolineare che a causa della grande diversità nell'organizzazione delle funzioni pubbliche (ad esempio nella sanità, nell'insegnamento, nei servizi di utilità pubblica, ecc.) e della privatizzazione continua di tali funzioni, non può essere escluso che un'esperienza professionale comparabile acquisita nel settore privato di un altro Stato membro debba anche essere presa in considerazione, anche se di massima l'esperienza professionale nel settore privato non è presa in considerazione nello Stato membro ospite. Un ostacolo alla libera circolazione dovuto al rifiuto di prendere in considerazione le esperienze comparabili non potrebbe giustificarsi se non per motivi imperativi estremamente rigorosi.

5.4. Riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi

Il sistema di reciproco riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi (vedi sezione 2.3) si applica anche nel settore pubblico in rapporto alle professioni regolamentate.

Le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE  si applicano solo se i diplomi richiesti per l'esercizio di una professione determinata attestano una formazione che prepara specificamente all'esercizio della professione. Gli impieghi della funzione pubblica di uno Stato membro richiedono spesso un altro tipo di diploma, vale a dire:

-      un diploma che attesta l'acquisizione di un certo livello di istruzione, senza specificazione del contenuto (ad esempio diploma universitario, certificato di conclusione del periodo scolastico secondario seguito da tre anni d'insegnamento superiore, ecc.) ovvero

-      un diploma che attesta un livello di istruzione che corrisponde ad alcuni criteri collegati al contenuto, senza che tale contenuto costituisca una formazione professionale ai sensi delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE (ad esempio l'obbligo di essere titolare di un diploma di economia, di scienze politiche, di scienze o di scienze sociali, ecc.).

Considerando che questi casi non rientrano nel campo d'applicazione delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, può essere invocato solo l'articolo 39 del Trattato CE. La Commissione ritiene che, per soddisfare ai requisiti posti dall'articolo 39 CE, le procedure applicate debbano conformarsi ai seguenti principi:

-      Diploma rilasciato al completamento di un certo livello di istruzione o di formazione senza che sia richiesto un contenuto specifico.

Quando conta unicamente il livello di studi per i quali un diploma è rilasciato, le autorità dello Stato membro ospitante non possono prendere in considerazione il contenuto della formazione. Solo il livello del diploma deve essere preso in considerazione dalle autorità dello Stato membro ospitante.

Per valutare questo livello, si consiglia di consultare in primo luogo le regole vigenti nello Stato membro d'origine. Se un diploma di un dato livello consente di accedere alla funzione pubblica in questo Stato membro o a una procedura di selezione per l'ottenimento di un posto in una categoria particolare, questo diploma deve anche consentire di accedere nello stesso modo a una procedura di selezione per un impiego in una categoria equivalente nel settore pubblico dello Stato membro ospitante.

Per decidere ciò che costituisce una categoria equivalente, la natura delle funzioni alle quali questa categoria dà accesso (amministrazione, decisione, applicazione politica, ecc.) deve essere presa in considerazione. La denominazione reale della categoria è priva di interesse. Così come nel sistema generale per il reciproco riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi, vi dovrebbe essere un meccanismo di sicurezza quando lo scarto tra i diplomi richiesti è eccessivo, ad esempio: maturità nello Stato membro d'origine e diploma di fine studi universitari nello Stato membro ospitante.

-      Diploma che sanziona un livello di formazione rispondente a un certo criterio in materia di contenuti senza che questi ultimi costituiscano una formazione professionale ai sensi delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CE.

La posizione della Commissione riguardante la valutazione del livello del diploma è identica a quella che precede.

Per quanto riguarda la valutazione del contenuto stesso della formazione, si constata che, in linea generale, quando un contenuto di natura accademica viene richiesto, ad esempio in economia, in scienze politiche ecc., l'obiettivo è prima di tutto reclutare una persona che dispone di conoscenze generali nella disciplina in questione, una capacità di ragionamento, di adeguamento a un ambiente ecc. In altri termini, non vi sarà necessariamente un adeguamento perfetto tra il contenuto della formazione seguita dal candidato e la funzione che sarà chiamato ad esercitare. Nella misura in cui il diploma sia stato rilasciato quale riconoscimento del compimento di un livello di istruzione o di formazione nel settore richiesto, l'equivalenza del diploma dev'essere riconosciuta.

Procedura di riconoscimento

Nella misura del possibile, i lavoratori migranti devono poter presentare la loro domanda di riconoscimento di un diploma in qualunque momento e non dover attendere la pubblicazione di un posto vacante. Il fine è di dare loro il tempo necessario per prepararsi a una procedura di selezione. Un problema nel quale spesso si imbattono i lavoratori migranti è quello della lunghezza dei tempi necessari per il riconoscimento di diplomi e qualifiche. Gli Stati membri sono invitati a far sì che tali procedure vengano espletate con la massima celerità possibile al fine di dare il massimo risalto alla mobilità ed evitare di mettere in pericolo le prospettive di carriera dei singoli cittadini.

 

6. CONCLUSIONI

Malgrado il carattere fondamentale del diritto alla libera circolazione, persistono alcuni ostacoli, persino dopo più di 30 anni, suscettibili di minacciare la possibilità di esercitare effettivamente tale diritto. La natura estremamente tecnica e complessa del contesto legislativo esistente e l'immensa giurisprudenza della Corte possono rendere estremamente difficili l'interpretazione e l'applicazione corrette della legislazione comunitaria nel settore della libera circolazione dei lavoratori. Uno sforzo congiunto degli Stati membri, delle istituzioni europee e dei datori di lavoro (del settore pubblico e privato) è pertanto necessario.

Numerosi problemi tra quelli segnalati in precedenza possono trovare una soluzione attraverso un'informazione precisa e aggiornata. La Commissione è convinta che la pubblicazione della presente comunicazione, che si iscrive in questo processo, contribuirà a chiarire per tutte le parti interessate l'interpretazione e l'applicazione delle regole in questo settore .

Gli Stati membri sono ovviamente tenuti a vigilare affinché la legislazione comunitaria sia correttamente attuata, a tutti i livelli dell'amministrazione. La Commissione chiede agli Stati membri di garantire che tutte le misure necessarie siano adottate a livello nazionale in modo che tutte le disposizioni regolamentari comunitarie sulla libera circolazione siano debitamente rispettate.

Una migliore informazione consentirà inoltre alle persone di utilizzare al meglio i diritti che riconosce loro la legislazione comunitaria e pertanto moltiplicare le possibilità reali di mobilità. Il miglioramento deve cominciare a livello nazionale e deve estendersi all'accesso alla giustizia di tutti i lavoratori. Oltre alla Commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti , la Commissione ha creato un certo numero di reti a livello di ciascuno Stato membro incaricate di esaminare i problemi specifici connessi con la libera circolazione e in grado di arrecare soluzioni ai problemi in modo più informale .

I datori di lavoro dovrebbero evitare di praticare una discriminazione, diretta o indiretta. La Corte ha stabilito che le disposizioni del Trattato sull'accesso non discriminatorio all'occupazione sono direttamente applicabili, e ciò significa che qualunque individuo può far valere tali disposizioni per portare dinanzi ai tribunali nazionali un datore di lavoro che gli abbia rifiutato un impiego .

La Commissione proporrà ovviamente nuovi strumenti o emendamenti legislativi, se necessario, al fine di semplificare, migliorare e attualizzare la legislazione vigente . La Commissione invita i colegislatori a discutere e ad adottare tali proposte quanto più rapidamente possibile.

Infine non è meno importante il fatto che i servizi della Commissione controlleranno le norme nazionali vigenti negli Stati membri e la loro applicazione e adotteranno le misure necessarie per garantire l'effettivo rispetto delle libertà previste dal Trattato CE, riservandosi di avviare procedure dinanzi alla Corte sulla base dell'articolo 226 del Trattato CE.

 


Giurisprudenza

 


Giurisprudenza nazionale

 


 

Sentenza n. 179 dell’8 giugno 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

AVV. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO

Prof. ETTORE GALLO

Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1978, n. 695 (Modificazioni alle disposizioni preliminari alla tariffa dei dazi doganali di importazione della Repubblica Italiana), in riferimento agli artt. 189 e 177 del Trattato di Roma, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1979 dal Tribunale di Genova, nel procedimento civile vertente tra S.p.A. Granital e Amministrazione delle Finanze dello Stato iscritta al n. 647 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1979;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il Giudice relatore La Pergola;

udito l'avvocato dello Stato Sergio La porta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 30 aprile 1979 il Tribunale di Genova ha, nel corso del procedimento civile tra la S.p.A. Granital e l'Amministrazione finanziaria, sollevato di ufficio questione di costituzionalità dell'art. 3 del d.P.R. n. 695/78, per presunta violazione dell'art. 11 Cost., in riferimento agli artt. 189 e 177 del Trattato di Roma.

La S.p.A. Granital presentava alla dogana di Savona una dichiarazione di importazione definitiva di 500 tonnellate di orzo canadese, accettata il 22 febbraio 1972.

All'atto della liquidazione dei diritti doganali dovuti é stato applicato - nella misura inferiore, sopravvenuta dopo la data di accettazione della dichiarazione - diritto di prelievo, ai sensi delle disposizioni preliminari alla tariffa doganale, approvata con d.P.R. n. 723/65. Successivamente, con sentenza 15 giugno 1976, la Corte di giustizia della Comunità interpretava l'art. 15 del regolamento CEE n. 120/1967, statuendo che il giorno dell'importazione, con riferimento al quale il prelievo va calcolato, é quello in cui la dichiarazione di importazione risulta accettata dalla dogana.

Con atto ingiuntivo del 28 aprile 1977 la dogana ha quindi intimato alla società il pagamento di un'ulteriore somma (364.000 lire), pari alla differenza fra l'imposta che si assumeva effettivamente dovuta, in quanto vigente, appunto, alla data di accettazione della dichiarazione e l'imposta invece vigente alla data dell'istanza diretta ad ottenere l'applicazione del dazio più favorevole, liquidato all'atto dello sdoganamento.

La società importatrice si opponeva a tale atto ingiuntivo, deducendo innanzi al giudice a quo la nullità dell'ingiunzione, perché priva delle firme dei competenti funzionari doganali; la non applicabilità alla specie della suddetta sentenza della CGCE, in quanto contrastante con i criteri stabiliti dalla Commissione CEE, con le circolari ministeriali trasmesse alle dogane dal 63 al 72, nonché con i precedenti giurisprudenziali delle corti italiane. La società opponente asseriva altresì che la riliquidazione avrebbe posto a carico dell'importatore un onere supplementare senza possibilità di rivalsa sugli acquirenti; e deduceva ancora l'avvenuta riliquidazione del tributo dopo il decorso del semestre, previsto dall'art. 74 del T.U. n. 43 del 1973 per la revisione dell'accertamento doganale.

Nelle more del giudizio davanti al Tribunale, é entrato in vigore il d.P.R. n. 695/78. L'art. 1 n. 3 di detto atto legislativo é dettato in sostituzione dell'art. 6 punto 2 delle disposizioni preliminari alla tariffa doganale (d.P.R. n. 723/65); infatti, esso prevede che, qualora intervenga una variazione del dazio dopo che sia stata accettata la relativa dichiarazione di importazione, l'interessato può chiedere l'applicazione del dazio più favorevole. Occorre, tuttavia, a questo riguardo, che la merce non sia ancora lasciata alla libera disponibilità dell'importatore. Dall'agevolazione così prevista sono eccettuati i prelievi agricoli.

Infine, l'art. 3 del d.P.R. n. 695/78 statuisce che la norma di cui al punto 2 art. 6 delle disposizioni preliminari, come modificate dall'art. 1 del medesimo decreto n. 695, abbia effetto a partire dall'11 settembre 1976. Tale data é precisamente quella in cui é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità la sentenza interpretativa resa dalla CGCE (sopra richiamata e resa in causa 113/75).

Secondo il giudice a quo, é questo ius superveniens a dover essere applicato alla controversia pendente; la nuova normativa (d.P.R. n. 695/78) ritiene il Tribunale, esclude la possibilità di applicare il dazio più favorevole ad importazioni di prodotti agricoli sottoposti al regime dei prelievi comunitari, dovendosi qui unicamente aver riguardo all'imposta in vigore nel giorno di accettazione della dichiarazione doganale.

Le vigenti disposizioni del diritto interno imporrebbero dunque all'interprete di applicare alla specie l'agevolazione preclusa dai citati regolamenti della CEE. La richiesta declaratoria di incostituzionalità avrebbe per contro l'evidente effetto di assicurare la prevalenza della norma comunitaria anche con riguardo al periodo di tempo in cui, nel caso all'esame del Tribunale di Genova, risultano effettuate le importazioni soggette a prelievo.

La rilevanza della questione, così prospettata, non sarebbe scalfita dalla possibilità che l'opposizione sia nel giudizio di merito accolta sulla base di altri e assorbenti motivi dedotti nella domanda. Tali motivi si assumono, infatti ictu oculi infondati. Ad avviso del Tribunale di Genova, non sussiste, anzitutto, la nullità dell'ingiunzione per mancanza delle firme dovute, giacché il difetto fatto valere dall'opponente si riscontra solo nella copia notificata al contribuente, mentre la normativa in materia espressamente prevede che l'ingiunzione possa essere notificata al contribuente in copia autentica e non in originale. Né può poi configurarsi alcuna decadenza per il mancato rispetto del termine di sei mesi prescritti dall'art. 74 del T.U. n. 43/73, dal momento che, trattandosi nel caso in esame di "errore nella misura", opererebbe il termine quinquennale di prescrizione stabilita nell'art. 84 del suddetto Testo Unico.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, essa é, in sostanza, argomentata in questi termini: i regolamenti comunitari sono ex art. 189 del Trattato di Roma immediatamente e direttamente applicabili nell'ordinamento statale; l'emanazione di norme interne riproduttive di quelle emesse dagli organi comunitari offende, oltre che tale precetto, l'art. 177 del Trattato, perché implica che la disciplina di materia riservata alla competenza della Comunità sia sottratta alla cognizione della Corte del Lussemburgo: spetta invero, Si soggiunge, esclusivamente a detto organo interpretare il Trattato e il diritto comunitario, con il risultato che le pronunzie da esso rese ex art. 177 del Trattato vincolano indistintamente tutti i giudici nazionali; l'art. 17 dei regolamenti CEE nn. 19/62 e 120/67 dispongono, secondo l'interpretazione datane dalla Corte della Comunità, che il diritto di prelievo é quello in vigore nel giorno di importazione, e cioé del giorno in cui la dichiarazione di importazione é accettata dagli organi doganali; la normativa interna detta, dal canto suo, altra e divergente disciplina della specie, dalla quale risulta, implicitamente ma inequivocabilmente, che - quando sia sopravvenuto il dazio più favorevole - va riscosso un prelievo diverso da quello vigente dal giorno dell'accettazione. I criteri, rispettivamente accolti dal diritto comunitario e da quello nazionale, sarebbero dunque palesemente incompatibili; e d'altra parte, osserva il giudice a quo, il conflitto che così si prospetta non potrebbe essere composto in sede interpretativa, con l'assumere che la censurata disposizione del legislatore nazionale opera in conformità del diritto comunitario, appunto in quanto é fatta retroagire dalla data in cui la pronunzia interpretativa della Corte del Lussemburgo é venuta ad incidere sul regime cui i prelievi vanno assoggettati. L'interpretazione adottata da detta Corte - precisa il giudice a quo - non può infatti spiegare effetti ex nunc: la natura propria della funzione interpretativa - sia autentica sia giurisdizionale - ed il caratteristico sistema del procedimento regolato dall'art. 177 del Trattato esigono, si afferma, l'efficacia retroattiva della pronunzia del giudice comunitario, indispensabile perché la questione pregiudiziale rilevi ai fini della decisione rimessa al giudice interno, che ha promosso il procedimento innanzi ai giudici del Lussemburgo.

2. - Nel presente giudizio di costituzionalità, si é costituito il Presidente del Consiglio. L'Avvocatura dello Stato deduce che le norme denunziate, nel rendere operante l'applicazione della normativa comunitaria a partire dall'11 settembre 1976, contrastano con il principio della diretta ed immediata applicazione della normativa medesima solo in apparenza. In effetti, però, il legislatore delegato (che ha approvato il d.P.R. n. 695/78) non avrebbe inteso violare tale principio, bensì si sarebbe adeguato ad altro principio dell'ordinamento comunitario, secondo cui la violazione di un obbligo non comporta comunque e necessariamente l'obbligo di adempimento, ed avrebbe su questa base attribuito rilevanza al periodo intercorso fra l'entrata in vigore della norma comunitaria e la data in cui questa é stata interpretata dalla Corte del Lussemburgo.

L'Avvocatura non nega, per parte sua, che dall'applicazione di tale ultimo principio possano derivare inconvenienti. Di questi possibili riflessi la difesa dello Stato italiano ha anzi segnalato la rilevanza in giudizio avanti la Corte della Comunità, sebbene in relazione all'altra ipotesi in cui - al contrario di come accade nella specie - é il singolo a pretendere, in forza delle sentenze interpretative della Corte Comunitaria, la restituzione, anche a distanza di anni dalla riscossione, di somme poi ritenute indebitamente percette dall'amministrazione doganale. Vi sarebbe tuttavia sostanziale differenza fra il caso or ora descritto e quello in esame, che concerne il recupero di somme dovute per diritti doganali erroneamente non applicati. Dove, invero, il singolo agisca in giudizio per la restituzione di quanto risulti riscosso dall'autorità doganale in violazione del Trattato di Roma e di norme comunitarie, viene in rilievo la ratio del divieto di istituire tasse di effetto equivalente al dazio doganale. Tale divieto serve, afferma l'Avvocatura, a rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, nonché ad evitare squilibri negli scambi comunitari e distorsioni nella concorrenza. La proibizione del dazio doganale avrebbe quindi ai sensi del diritto comunitario la precisa ragione giustificativa testé indicata, che non comporta necessariamente la restituzione al singolo del diritto doganale a suo tempo indebitamente riscosso. Ché anzi, ad avviso dell'Avvocatura, l'onere della restituzione "senza alcun retroattivo condizionamento delle situazioni pregresse" viene in definitiva a tradursi in una nuova e pregiudizievole alterazione dell'equilibrio degli scambi commerciali: il che implica un danno ulteriore alla dinamica di tali scambi, non meno grave rispetto alle conseguenze che si avrebbero peraltro verso, se l'incidenza del diritto doganale indebitamente percetto fosse irreversibile. L'onere della restituzione, precisa in proposito l'Avvocatura, si risolve in un sostanziale arricchimento per gli operatori, i quali hanno intanto evidentemente trasferito i maggiori costi a carico dei consumatori. Il rimborso si atteggerebbe peraltro come un aiuto all'importazione; e da ciò discenderebbe, correlativamente all'ingiustificato vantaggio per gli importatori, un duplice maggior aggravio, da un canto per gli stessi contribuenti, che come consumatori sopportano l'onere del diritto doganale indebitamente riscosso, dall'altro per gli esportatori dell'area comunitaria. Questi, si soggiunge hanno infatti prima subito l'incidenza che sulle relazioni commerciali spiega la tassa equivalente al dazio, e poi vedono alterata la concorrenza per effetto dell'"aiuto", scaturente dal rimborso, di cui fruiscono gli operatori dello Stato importatore.

In questa prospettiva la retroazione della norma comunitaria, che dovrebbe automaticamente discendere dalla sua prevalenza nei confronti delle confliggenti statuizioni del legislatore nazionale, incontra allora un limite, imposto dal principio, in virtù del quale la produzione normativa derivata dal Trattato riceve applicazione nei paesi membri, anche sul piano temporale, in stretta e razionale conformità degli scopi da essa istituzionalmente perseguiti. Di guisa che - conclude l'Avvocatura - cessante ratione cessat età ipsa lex.

L'applicazione di un simile principio non sarebbe, tuttavia, altrettanto evidente nel caso di specie. L'Avvocatura, più precisamente, ritiene che il recupero, da parte dell'amministrazione, di somme non liquidate o riscosse, mentre avrebbero dovuto esserlo in conformità della corretta interpretazione della normativa comunitaria, sia in definitiva giustificata, se si riflette che la mancata percezione del prelievo é qui dovuta ad errore dell'amministrazione, e che la successiva pretesa ed acquisizione delle somme dovute non confligge, d'altra parte, con alcuna finalità del Trattato, alla quale la normazione comunitaria debba conformarsi. Con tutto ciò, la difesa del Presidente del Consiglio non giunge ad affermare che l'opposta soluzione sia necessariamente priva di fondamento: invero, potrebbero ravvisarsi serie ed apprezzabili ragioni per escludere il recupero là dove esso dovesse seguire dopo molto tempo l'originaria riscossione del prelievo, giacché in questo caso si avrebbe un evidente ed irreversibile pregiudizio degli operatori interessati, esposti peraltro al rischio di ingiustificate discriminazioni, per via delle eventuali divergenze fra i regimi in questa materia adottati dai legislatori degli Stati membri.

Nella specie, spetta a questa Corte verificare se la norma nazionale denunziata sancisca un criterio compatibile con le esigenze e, prima di tutto, con l'immediata applicabilità del diritto comunitario. Si tratta dunque di stabilire se l'applicazione della normativa comunitaria possa nel presente caso decorrere solo dal momento in cui, con la pronunzia interpretativa della Corte Comunitaria é intervenuta la competente individuazione dei profili di contrasto fra tale normativa e le disposizioni del diritto interno. La questione che si connette, nel senso ora precisato con l'interpretazione della normativa comunitaria, é stata, ricorda l'Avvocatura, già rimessa alla Corte di giustizia della Comunità europea, nella causa discussa all'udienza del 25 ottobre 1979, per la quale il governo italiano ha presentato una memoria allegata in copia nel presente giudizio, che integra e sviluppa le deduzioni sopra esposte.

3. - La parte privata si é costituita nel presente giudizio fuori termine. Del suo atto non si può quindi tener conto.

4. - In una memoria aggiuntiva pervenuta in prossimità dell'udienza l'Avvocatura dello Stato richiama anzitutto altre due ordinanze delle Corti di Appello di Venezia e di Bologna che sollevano questioni analoghe alla presente.

In relazione al presente giudizio l'Avvocatura fa riferimento alla sentenza CGCE del 1976 e alla sentenza 29 gennaio 1979 n. 639 della Cassazione concernente l'interpretazione dell'art. 6 n. 2 del d.P.R. 26 aprile 1965, n. 723.

La difesa del Presidente del Consiglio osserva inoltre che prima dell'entrata in vigore del d.P.R. del 1978 la Corte di Cassazione aveva già più volte affermato l'inapplicabilità ai diritti di prelievo della disposizione di cui al suddetto art. 6 n. 2.

Dopo l'entrata in vigore del detto decreto, la Corte di Cassazione proponeva alla Corte di giustizia della CEE, con due ordinanze un quesito relativo all'interpretazione della disciplina, che si trova ora contenuta nella norma denunciata avanti questa Corte. La Corte di giustizia ha, dal canto suo, con sentenza 27 marzo 1980, precisato che la norma da essa interpretata va applicata anche alle fattispecie anteriori alle sue pronunzie; una limitazione degli effetti retroattivi che si connettono alle pronunzie interpretative rese dalla Corte del Lussemburgo, può essere stabilita solo nella decisione adottata da detto organo. Il che non accade nella specie.

La Corte del Lussemburgo ha inoltre avvertito che, in assenza di norme comunitarie, spetta agli Stati membri stabilire modalità e condizioni della riscossione degli oneri finanziari comunitari e dei prelievi agricoli in particolare; tuttavia dette modalità e condizioni non devono rendere la riscossione delle tasse e degli oneri comunitari più difficile della riscossione delle tasse nazionali dello stesso genere o tipo, per esempio con l'attribuire all'amministrazione statale poteri più ridotti rispetto a quelli che ad essa competono in ordine al tributo interno.

L'Avvocatura rileva poi che il 1 luglio 1980 é entrato in vigore il regolamento CEE 24 luglio 1979 n. 1697 relativo al recupero a posteriori dei dazi (di importazione e di esportazione) non corrisposti dal debitore per le merci dichiarate, quando il regime doganale comportasse invece l'obbligo di effettuare il pagamento.

In seguito ad un nuovo rinvio pregiudiziale, disposto con due ordinanze della Corte di Cassazione del 18 ottobre 1980, la Corte Comunitaria ha ritenuto che il suddetto regolamento non si applica a fattispecie anteriori al 1 luglio 1980, data in cui esso é entrato in vigore (si richiama in proposito la sentenza del 12 novembre 1981, n. 14 della motivazione).

La Corte di Cassazione non ha quindi potuto fare applicazione di tale regolamento nella specie sottoposta al suo esame e ha ritenuto di dover direttamente risolvere i dubbi interpretativi che toccavano la materia di cui essa medesima aveva investito, ex art. 177 del Trattato, la Corte del Lussemburgo, sempre in relazione al disposto dell'art. 3 d.P.R. n. 695 del 1978. Più di preciso il Supremo Collegio ha, con la sentenza n. 3177 del 25 maggio 1982, al riguardo configurato due possibili interpretazioni della normativa in questione, a seconda se si ritenga che il legislatore abbia voluto astenersi dal disciplinare il periodo anteriore all'11 dicembre 1976 o abbia invece, sempre con riguardo a tale periodo, inteso che i prelievi comunitari fruissero del trattamento di favore previsto per i dazi doganali dall'art. 6, secondo comma, d.P.R. n. 723 del 1965. L'interpretazione prospettata per prima é quella preferita dal Supremo Collegio, in quanto conforme al diritto comunitario, sull'assunto che il legislatore abbia adeguato la norma da ultimo citata alle prescrizioni della CEE solo a far tempo dalla data in cui, grazie alla pronunzia della Corte del Lussemburgo, queste risultavano con certezza operanti nell'ordinamento interno: e nulla abbia voluto invece statuire per il periodo anteriore a tale pronunzia, perché non era ancora acclarato l'effetto retroattivo delle decisioni rese dai giudici del Lussemburgo sulla questione pregiudiziale di interpretazione. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione implica, ad avviso dell'Avvocatura, che la norma interna, oggetto della presente controversia, sia letta, in puntuale conformità del diritto comunitario, nel senso che l'aliquota sui prelievi é quella vigente all'atto dell'accettazione della merce da parte degli uffici doganali. Così esigerebbe, per l'appunto, l'art. 17 del Regolamento CEE n. 19 del 1962.

Tale interpretazione - peraltro ribadita dalla Corte di Cassazione in altre pronunzie del corrente anno - renderebbe infine irrilevante e comunque infondata la questione.

5. - Nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il giudice La Pergola ha svolto la relazione e l'Avvocatura dello Stato ha ribadito e sviluppato le conclusioni già adottate.

 

Considerato in diritto

 

1. - La presente controversia trae origine, come si spiega in narrativa, dal giudizio promosso dal Tribunale di Genova, che censura, in riferimento all'art. 11 Cost., l'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1978, n. 695 ("Modificazioni alle disposizioni preliminari della tariffa dei dazi doganali di importazione della Repubblica italiana"), così testualmente formulato: "La norma di cui al punto 2, secondo comma, dell'art. 6, delle disposizioni preliminari della tariffa dei dazi doganali di importazione della Repubblica italiana, quale risulta modificata con l'art. 1 del presente decreto, ha effetto dall'11 settembre 1976". La statuizione, della quale vengono in questi termini individuati gli effetti temporali, é quella che eccettua i prelievi agricoli e le altre imposizioni previste ai sensi dell'art. 235 del Trattato istitutivo della CEE dall'agevolazione concessa agli importatori, in virtù di altra previsione dello stesso decreto, dettata in sostituzione del punto 2, art. 6 delle anzidette disposizioni preliminari. Tale agevolazione é contemplata là dove si dispone che quando "dopo la data indicata nel precedente punto" - e cioé la data in cui la dichiarazione d'importazione é accettata dalla dogana - "interviene una variazione del dazio, l'importatore può chiedere l'applicazione del dazio più favorevole purché la merce non sia lasciata alla libera disponibilità dell'importatore stesso. La domanda deve contenere l'indicazione dell'aliquota daziaria richiesta".

La disciplina in esame confliggerebbe con le prescrizioni del diritto comunitario per le seguenti considerazioni:

A) Il giudice a quo rileva, in primo luogo, che i regolamenti nn. 19/62 e 120/67 adottati dal Consiglio della CEE nel settore, qui considerato, dei cereali, contengono l'uno e l'altro, rispettivamente all'art. 17.1 e 15.1, un'apposita ed espressa disposizione, in forza della quale va riscosso il prelievo in vigore nel giorno dell'importazione. La Corte di giustizia della CEE, prosegue il Tribunale di Genova, ha poi, in sede d'interpretazione del citato art. 15.1 del regolamento n. 120/67, statuito che l'ammontare del prelievo é fissato in relazione al giorno in cui gli uffici doganali accettano la dichiarazione di importazione della merce. Ai sensi di tale pronunzia, il prelievo agricolo deve ritenersi preordinato a compensare la differenza fra il prezzo vigente sul mercato mondiale ed il più elevato prezzo comunitario, di guisa che il mercato comune sia stabilizzato e protetto anche nei confronti delle eventuali variazioni del prezzo del mercato mondiale. Il successivo aumento dei prezzi sul mercato mondiale, e la conseguente diminuzione dell'onere impositivo, non possono, pertanto, influire sulla determinazione dell'aliquota, la quale é fissata, in via di principio, con riguardo al prezzo di acquisto delle merci. Nella richiamata sentenza - osserva infine il giudice a quo - la Corte Comunitaria ha altresì precisato che la raccomandazione della Commissione del 25 maggio 1962, relativa alla data in cui si determina il dazio doganale applicabile alle merci dichiarate per l'immissione in consumo, non concerne il prelievo agricolo.

B) Ciò posto, il d.P.R. n. 695/78 é censurato, per aver da un canto introdotto nell'ordinamento interno il criterio sancito nella normativa comunitaria, e dall'altro congegnato gli effetti temporali della statuizione all'uopo emessa in modo che, per quanto qui interessa, il caso di specie non ricade nella relativa sfera di applicazione. Più precisamente, la norma che eccettua il prelievo agricolo dal regime del dazio più favorevole non può, ad avviso del giudice remittente, operare prima della data dell'11 settembre 1976, testualmente indicata dal legislatore come termine iniziale dell'efficacia della medesima. Si tratta, peraltro, della data di pubblicazione della suddetta sentenza interpretativa della Corte del Lussemburgo, che stabilisce quale, ai fini della determinazione del prelievo, sia il giorno dell'importazione. Così disponendo, la norma censurata avrebbe l'implicita ma inequivoca conseguenza di disattendere, con riguardo alle fattispecie insorte anteriormente all'11 settembre 1976, il precetto secondo cui il prelievo é necessariamente quello del giorno dell'importazione. Tale conclusione varrebbe per il giudizio demandato al Tribunale di Genova, in cui l'importazione soggetta a prelievo risale al 1972. Si assume di conseguenza che la disciplina dedotta in controversia contraddica:

a) il principio della efficacia immediata dei regolamenti emessi dagli organi della CEE, consacrato nell'art. 189 del Trattato di Roma, dal momento che secondo la giurisprudenza di questa Corte qualsiasi trasformazione o ricezione del diritto comunitario nel diritto interno, ancorché operata mediante norme di carattere meramente riproduttivo, risulterebbe incompatibile con l'automatica applicabilità della produzione giuridica derivata dal Trattato, e ne sottrarrebbe indebitamente l'interpretazione alla Corte del Lussemburgo, alla quale spetta, ex art. 177 del Trattato, la cognizione delle questioni pregiudiziali interpretative, necessaria e fondamentale garanzia dell'applicazione uniforme del diritto comunitario in tutti gli Stati membri;

b) l'art. 177 del Trattato, il cui disposto si assume leso anche sotto il riflesso che la norma censurata confligge con il regolamento comunitario come interpretato dalla Corte del Lussemburgo, e così incide sul vincolo scaturente da tale pronunzia per qualsiasi giudice nazionale. Il giudice a quo ritiene, infatti, che l'interpretazione resa dalla Corte di giustizia non possa spiegare effetti solo ex nunc, ma debba anche riguardare le importazioni anteriormente effettuate, di cui, appunto, si tratta nella causa di merito. Secondo il Tribunale di Genova, lo stesso congegno dell'art. 177 del Trattato esige che la sentenza interpretativa pronunziata dal giudice comunitario abbia a retroagire. Diversamente, non potrebbe risultare da tale pronunzia il regolamento del caso, in cui il giudice nazionale ha sollevato questione pregiudiziale in ordine all'interpretazione del diritto comunitario.

La violazione dell'art. 11 Cost. é, quindi, argomentata in base all'asserita incompatibilità fra prescrizione comunitaria e legge nazionale, e alla conseguente inosservanza dei principi stabiliti negli artt. 177 e 189 del Trattato di Roma.

2. - La questione, va subito precisato, é sollevata sull'assunto che, in conformità dell'attuale giurisprudenza, le disposizioni di legge contrarie al regolamento comunitario non possono considerarsi nulle od inefficaci, ma sono costituzionalmente illegittime, e vanno in quanto tali denunziate in questa sede, per violazione dell'art. 11 Cost. La Corte ritiene di dover anzitutto fermare l'attenzione su questo primo e preliminare profilo dell'indagine ad essa demandata.

3. - L'assetto dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno, oggetto di varie pronunzie rese in precedenza da questo Collegio, é venuto evolvendosi, ed é ormai ordinato sul principio secondo cui il regolamento della CEE prevale rispetto alle confliggenti statuizioni del legislatore interno. Questo risultato viene, peraltro, in considerazione sotto vario riguardo. In primo luogo, sul piano ermeneutico, vige la presunzione di conformità della legge interna al regolamento comunitario: fra le possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali va prescelta quella conforme alle prescrizioni della Comunità, e per ciò stesso al disposto costituzionale, che garantisce l'osservanza del Trattato di Roma e del diritto da esso derivato (sentenze nn. 176, 177/81).

Quando, poi, vi sia irriducibile incompatibilità fra la norma interna e quella comunitaria, é quest'ultima, in ogni caso, a prevalere. Tale criterio opera, tuttavia, diversamente, secondo che il regolamento segua o preceda nel tempo la disposizione della legge statale. Nel primo caso, la norma interna deve ritenersi caducata per effetto della successiva e contraria statuizione del regolamento comunitario, la quale andrà necessariamente applicata dal giudice nazionale. Tale effetto caducatorio, com'è stato avvertito nelle più recenti pronunzie di questa Corte, é altresì retroattivo, quando la norma comunitaria confermi la disciplina già dettata - riguardo al medesimo oggetto, e prima dell'entrata in vigore della confliggente norma nazionale - dagli organi della CEE. In questa evenienza, le norme interne si ritengono, dunque, caducate sin dal momento al quale risale la loro incompatibilità con le precedenti statuizioni della Comunità, che il nuovo regolamento ha richiamato. Diversa é la sistemazione data fin qui in giurisprudenza all'ipotesi in cui la disposizione della legge interna confligga con la previgente normativa comunitaria. É stato invero ritenuto che, per il fatto di contrastare tale normativa, o anche di derogarne o di riprodurne il contenuto, la norma interna risulti aver offeso l'art. 11 Cost. e possa in conseguenza esser rimossa solo mediante dichiarazione di illegittimità costituzionale.

La soluzione testé descritta é stata delineata in altro giudizio (cfr. sentenza n. 232/75) ed in sostanza così giustificata: il trasferimento dei poteri alla Comunità non implica, nella materia a questa devoluta, la radicale privazione della sovranità statuale; perciò si é in quell'occasione anche detto che il giudice nazionale non ha il potere di accertare e dichiarare incidentalmente alcuna nullità, dalla quale scaturisca, in relazione alle norme sopravvenute al regolamento comunitario, "un'incompetenza assoluta del nostro legislatore", ma é qui tenuto a denunciare la violazione dell'art. 11 Cost., promuovendo il giudizio di costituzionalità.

La Corte é ora dell'avviso che tale ultima conclusione, e gli argomenti che la sorreggono, debbano essere riveduti. L'assetto della materia va invece lasciato fermo sotto gli altri profili, che non toccano il rapporto fra la regola comunitaria e quella posteriormente emanata dallo Stato.

Per l'esame da compiere, occorre guardare all'approccio della pregressa giurisprudenza, quale si é , nel complesso, disegnato, nei confronti del fenomeno comunitario. Dalle decisioni già rese si ricava, infatti, un'utile traccia per riflettere sulla validità del criterio fin qui adottato. Com'è di seguito spiegato, non vi é ragione per ritenere che il giudice sia abilitato a conoscere dell'incompatibilità fra la regola comunitaria e quella statale, o viceversa tenuto a sollevare la questione di costituzionalità, semplicemente sulla base dell'ordine cronologico in cui intervengono l'una e l'altra norma. Giova al riguardo richiamare alcune premesse di ordine sistematico, poste nelle precedenti pronunzie, per controllarne il significato e precisare il risultato di questa nuova riflessione sul problema.

4. - Vi é un punto fermo nella costruzione giurisprudenziale dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno: i due sistemi sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenza stabilita e garantita dal Trattato. "Esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica postulano che le norme comunitarie - , non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno -, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari". Così la Corte ha statuito nella sentenza n. 183 del 1973. In detta decisione é per la prima volta affermata la prevalenza del regolamento comunitario nei confronti della legge nazionale. Questo criterio va considerato nel contesto della pronunzia in cui é formulato, e quindi inteso in intima e necessaria connessione con il principio secondo cui i due ordinamenti sono distinti e al tempo stesso coordinati. Invero, l'accoglimento di tale principio, come si é costantemente delineato nella giurisprudenza della Corte, presuppone che la fonte comunitaria appartenga ad altro ordinamento, diverso da quello statale. Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così é, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento. In questo senso va quindi spiegata l'affermazione, fatta nella sentenza n. 232/75, che la norma interna non cede, di fronte a quella comunitaria, sulla base del rispettivo grado di resistenza. I principi stabiliti dalla Corte in relazione al diritto - nel caso in esame, al regolamento - comunitario, traggono significato, invece, precisamente da ciò: che l'ordinamento della CEE e quello dello Stato, pur distinti ed autonomi, sono, come esige il Trattato di Roma, necessariamente coordinati; il coordinamento discende, a sua volta, dall'avere la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell'art. 11 Cost., le competenze che questi esercitano, beninteso nelle materie loro riservate.

Occorre, tuttavia, meglio chiarire come, riguardo al fenomeno in esame, si ponga il rapporto fra i due ordinamenti. Sovviene in proposito il seguente rilievo. La disciplina emanata mediante il regolamento della CEE é destinata ad operare, con caratteristica immediatezza, così nella nostra sfera territoriale, come in quella di ogni altro Stato membro; il sistema statuale, dal canto suo, si apre a questa normazione, lasciando che le regole in cui essa si concreta vigano nel territorio italiano, quali sono scaturite dagli organi competenti a produrle. Ora, la Corte ha in altro giudizio affermato che l'esercizio del potere trasferito a detti organi viene qui a manifestarsi in un "atto", riconosciuto nell'ordinamento interno come "avente forza e valore di legge" (cfr. sentenza n. 183/73). Questa qualificazione del regolamento comunitario merita un cenno di svolgimento. Le norme poste da tale atto sono, invero, immediatamente applicate nel territorio italiano per forza propria. Esse non devono, né possono, essere riprodotte o trasformate in corrispondenti disposizioni dell'ordinamento nazionale. La distinzione fra il nostro ordinamento e quello della Comunità comporta, poi, che la normativa in discorso non entra a far parte del diritto interno, né viene per alcun verso soggetta al regime disposto per le leggi (e gli atti aventi forza di legge) dello Stato. Quel che si é detto nella richiamata pronunzia, va allora avvertito, altro non significa, in definitiva, che questo: l'ordinamento italiano - in virtù del particolare rapporto con l'ordinamento della CEE, e della sottostante limitazione della sovranità statuale - consente, appunto, che nel territorio nazionale il regolamento comunitario spieghi effetto in quanto tale e perché tale. A detto atto normativo sono attribuiti "forza e valore di legge", solo e propriamente nel senso che ad esso si riconosce l'efficacia di cui é provvisto nell'ordinamento di origine.

5. - Il risultato cui é pervenuta la precedente giurisprudenza va, quindi, ridefinito, in relazione al punto di vista, sottinteso anche nelle precedenti pronunzie, ma non condotto alle ultime conseguenze, sotto il quale la fonte comunitaria é presa in considerazione nel nostro ordinamento. Il giudice italiano accerta che la normativa scaturente da tale fonte regola il caso sottoposto al suo esame, e ne applica di conseguenza il disposto, con esclusivo riferimento al sistema dell'ente sovrannazionale: cioé al solo sistema che governa l'atto da applicare e di esso determina la capacità produttiva. Le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della "forza e valore", che il Trattato conferisce al regolamento comunitario, nel configurarlo come atto produttivo di regole immediatamente applicabili. Rispetto alla sfera di questo atto, così riconosciuta, la legge statale rimane infatti, a ben guardare, pur sempre collocata in un ordinamento, che non vuole interferire nella produzione normativa del distinto ed autonomo ordinamento della Comunità, sebbene garantisca l'osservanza di essa nel territorio nazionale.

D'altra parte, la garanzia che circonda l'applicazione di tale normativa é - grazie al precetto dell'art. 11 Cost., com'è sopra chiarito - piena e continua. Precisamente, le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti dell'immediata applicabilità devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato. Non importa, al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva. Il regolamento comunitario fissa, comunque, la disciplina della specie. L'effetto connesso con la sua vigenza é perciò quello, non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall'abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all'interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti. Del resto, la norma interna contraria al diritto comunitario non risulta - é stato detto nella sentenza n. 232/75, e va anche qui ribadito - nemmeno affetta da alcuna nullità, che possa essere accertata e dichiarata dal giudice ordinario. Il regolamento, occorre ricordare, é reso efficace in quanto e perché atto comunitario, e non può abrogare, modificare o derogare le confliggenti norme nazionali, né invalidarne le statuizioni. Diversamente accadrebbe, se l'ordinamento della Comunità e quello dello Stato - ed i rispettivi processi di produzione normativa - fossero composti ad unità. Ad avviso della Corte, tuttavia, essi, per quanto coordinati, sono distinti e reciprocamente autonomi. Proprio in ragione, dunque, della distinzione fra i due ordinamenti, la prevalenza del regolamento adottato dalla CEE va intesa come si é con la presente pronunzia ritenuto: nel senso, vale a dire, che la legge interna non interferisce nella sfera occupata da tale atto, la quale é interamente attratta sotto il diritto comunitario.

La conseguenza ora precisata opera però, nei confronti della fonte statuale, solo se e fino a quando il potere trasferito alla Comunità si estrinseca con una normazione compiuta e immediatamente applicabile dal giudice interno. Fuori dall'ambito materiale, e dai limiti temporali, in cui vige la disciplina comunitaria così configurata, la regola nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua efficacia; e d'altronde, é appena il caso di aggiungere, essa soggiace al regime previsto per l'atto del legislatore ordinario, ivi incluso il controllo di costituzionalità.

6. - Il regolamento comunitario va, dunque, sempre applicato, sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incompatibili: e il giudice nazionale investito della relativa applicazione potrà giovarsi dell'ausilio che gli offre lo strumento della questione pregiudiziale di interpretazione, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. Solo così é soddisfatta la fondamentale esigenza di certezza giuridica, sempre avvertita nella giurisprudenza di questo Collegio, che impone eguaglianza e uniformità di criteri applicativi del regolamento comunitario per tutta l'area della Comunità Europea.

Quest'affermazione trova il supporto di due autonome e concorrenti riflessioni.

Va osservato, in primo luogo, che alla conclusione testé enunciata perviene, per parte sua, anche la Corte del Lussemburgo. Detto Collegio considera, é vero, la fonte normativa della Comunità e quella del singolo Stato come integrate in un solo sistema, e quindi muove da diverse premesse, rispetto a quelle accolte nella giurisprudenza di questa Corte. Quel che importa, però, é che col giudice comunitario si possa convenire nel senso che alla normativa derivante dal Trattato, e del tipo qui considerato, va assicurata diretta ed ininterrotta efficacia: e basta questo per concordare sul principio secondo cui il regolamento comunitario é sempre e subito applicato dal giudice italiano, pur in presenza di confliggenti disposizioni della legge interna.

A parte ciò, e per quanto risulta alla Corte, il regolamento comunitario é fatto immediatamente operare, ad esclusione delle norme interne incompatibili, anteriori e successive, in tutti indistintamente gli ordinamenti degli Stati membri, quale che poi, in ciascuno di essi, possa essere la giustificazione di siffatto regime alla stregua delle rispettive previsioni costituzionali. Ed é, certamente, significativo che il controllo sulla compatibilità tra il regolamento comunitario e la norma interna, anche posteriore, sia lasciato alla cognizione del giudice ordinario pur dove un apposito organo giudicante é investito, analogamente a questa Corte, del sindacato di costituzionalità sulle leggi. Così accade, sebbene per ragioni in parte diverse da quelle sopra spiegate, nell'ordinamento federale tedesco. Il criterio ora sancito gode, dunque, di generale osservanza. Il che conferma che esso serve a stabilire e garantire condizioni di parità, sia degli Stati membri, sia dei loro cittadini, di fronte al modo come funziona la disciplina. e la stessa organizzazione, del Mercato Comune.

7. - Le osservazioni fin qui svolte non implicano, tuttavia, che l'intero settore dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno sia sottratto alla competenza della Corte. Questo Collegio ha, nella sentenza n. 183/73, già avvertito come la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana, nell'ipotesi contemplata, sia pure come improbabile, al numero 9 nella parte motiva di detta pronunzia. Nel presente giudizio cade opportuno un altro ordine di precisazioni. Vanno denunciate in questa sede quelle statuizioni della legge statale che si assumano costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi: situazione, questa, evidentemente diversa da quella che si verifica quando ricorre l'incompatibilità fra norme interne e singoli regolamenti comunitari. Nel caso che qui é previsto, la Corte sarebbe, quindi, chiamata ad accertare se il legislatore ordinario abbia ingiustificatamente rimosso alcuno dei limiti della sovranità statuale, da esso medesimo posti, mediante la legge di esecuzione del Trattato, in diretto e puntuale adempimento dell'art. 11 Cost.

8. - In conclusione, la questione sollevata dal Tribunale di Genova é inammissibile. Compete al giudice rimettente accertare se gli invocati regolamenti e principi dell'ordinamento comunitario consentano, e a qual titolo, che il regime del prelievo agricolo, sotto il profilo dedotto nella presente controversia, sia fatto retroagire soltanto fino alla data di pubblicazione della pronunzia interpretativa della Corte del Lussemburgo, sopra richiamata al n. 1B).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1978, n. 6955 sollevata con l'ordinanza in epigrafe dal Tribunale di Genova in riferimento all'art. 11 Cost. e in relazione agli artt. 177 e 189 del Trattato di Roma.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 5 giugno 1984.

 

LEOPOLDO ELIA, PRESIDENTE

 

ANTONIO LA PERGOLA, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria l'8 giugno 1984.

 


 

Ordinanza n.170 del 29 marzo 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Dott. Francesco SAJA,

Giudici

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), promosso con ordinanza emessa il 2 novembre 1987 dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma sui ricorsi riuniti proposti dall'Istituto Romano di S. Michele contro il 1o Ufficio Atti Pubblici di Roma, iscritta al n. 597 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1988.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che nel corso di un giudizio volto ad ottenere l'esenzione integrale dell'I.N.V.IM. decennale per alcuni immobili di proprietà di un'istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, la Commissione tributaria di primo grado di Roma ha sollevato, con ordinanza in data 2 novembre 1987, pervenuta alla Corte costituzionale l'8 ottobre 1988 (reg. ord. n. 597 del 1988), questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento del valore degli immobili), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione;

 

che il combinato disposto dalle norme impugnate viene censurato nella parte in cui, assoggettando ad I.N.V.IM. per decorso decennio anche gli immobili di proprietà degli enti il cui solo fine sia l'assistenza e la beneficenza, si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 53 della Costituzione, dal momento che gli incrementi di valore dei predetti immobili-restando vincolati alla specifica destinazione ai fini di pubblica utilità cui sono destinati i patrimoni degli enti -non costituirebbero reddito in senso proprio e non esprimerebbero, pertanto, alcuna capacita contributiva; b) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto equiparerebbe nel trattamento enti diversi per natura, struttura e fini (enti pubblici e privati, consorzi, società, associazioni non riconosciute);

 

che non si sono costituite le parti, ma é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile, per quanto concerne l'art. 14, e, manifestamente infondata in relazione alle altre disposizioni impugnate.

 

Considerato che l'art. 14 del d.P.R. n. 643 del 1972 (già dichiarato parzialmente illegittimo da questa Corte con sentenza n. 126 del 1979), e stato espressamente abrogato dal legislatore con decreto legge 12 novembre 1979, n. 571 (art. 1), convertito in legge 12 gennaio 1980, n. 2, onde, la relativa questione va dichiarata manifestamente inammissibile per mancanza dell'oggetto;

 

che, in riferimento alle altre norme censurate, questione identica a quella ora sollevata e in relazione agli stessi parametri, é stata già dichiarata infondata da questa Corte con sentenza n. 301 del 1987;

 

che non essendo intervenuti elementi nuovi, nè essendo state prospettate argomentazioni tali da indurre a modificare l'orientamento precedentemente espresso, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento del valore degli immobili), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma con ordinanza in data 2 novembre 1987 (r.o. n. 597 del 1988);

 

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento del valore degli immobili), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma con ordinanza in data 2 novembre 1987 (r.o. n. 597 del 1988).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/03/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 29/03/89.

 

 

 


Giurisprudenza comunitaria

 


 

Sentenza della Corte del 9 marzo 1978
(Causa 106/77).

 

 

- AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE DELLO STATO CONTRO SPA SIMMENTHAL. - (DOMANDA DI PRONUNZIA PREGIUDIZIALE, PROPOSTA DAL PRETORE DI SUSA). - DISAPPLICAZIONE DA PARTE DEL GIUDICE NAZIONALE DI UNA LEGGE IN CONTRASTO COL DIRITTO COMUNITARIO.

 

1 . LA CORTE SI CONSIDERA INVESTITA DI UNA DOMANDA PREGIUDIZIALE , PROPOSTA AI SENSI DELL ' ART . 177 , FINO A QUANDO IL PROVVEDIMENTO DI RINVIO NON SIA STATO REVOCATO DAL GIUDICE A QUO , OVVERO ANNULLATO , IN SEGUITO AD IMPUGNAZIONE , DA UN GIUDICE DI GRADO SUPERIORE .

 

 

2 . L ' APPLICABILITA DIRETTA DEL DIRITTO COMUNITARIO SIGNIFICA CHE LE SUE NORME DEVONO ESPLICARE PIENAMENTE I LORO EFFETTI , IN MANIERA UNIFORME IN TUTTI GLI STATI MEMBRI , A PARTIRE DALLA LORO ENTRATA IN VIGORE E PER TUTTA LA DURATA DELLA LORO VALIDITA . LE DISPOSIZIONI DIRETTAMENTE APPLICABILI SONO UNA FONTE IMMEDIATA DI DIRITTI E DI OBBLIGHI PER TUTTI COLORO CH ' ESSE RIGUARDANO , SIANO QUESTI GLI STATI MEMBRI OVVERO I SINGOLI , SOGGETTI DI RAPPORTI GIURIDICI DISCIPLINATI DAL DIRITTO COMUNITARIO . QUESTO EFFETTO RIGUARDA ANCHE TUTTI I GIUDICI CHE , ADITI NELL ' AMBITO DELLA LORO COMPETENZA , HANNO IL COMPITO , IN QUANTO ORGANI DI UNO STATO MEMBRO , DI TUTELARE I DIRITTI ATTRIBUITI AI SINGOLI DAL DIRITTO COMUNITARIO .

 

 

3 . IN FORZA DEL PRINCIPIO DELLA PREMINENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO , LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO E GLI ATTI DELLE ISTITUZIONI , QUALORA SIANO DIRETTAMENTE APPLICABILI , HANNO L ' EFFETTO , NEI LORO RAPPORTI COL DIRITTO INTERNO DEGLI STATI MEMBRI , NON SOLO DI RENDERE ' IPSO JURE ' INAPPLICABILE , PER IL FATTO STESSO DELLA LORO ENTRATA IN VIGORE , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE PREESISTENTE , MA ANCHE - IN QUANTO DETTE DISPOSIZIONI E DETTI ATTI FANNO PARTE INTEGRANTE , CON RANGO SUPERIORE RISPETTO ALLE NORME INTERNE , DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO VIGENTE NEL TERRITORIO DEI SINGOLI STATI MEMBRI - DI IMPEDIRE LA VALIDA FORMAZIONE DI NUOVI ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI , NELLA MISURA IN CUI QUESTI FOSSERO INCOMPATIBILI CON NORME COMUNITARIE .

 

 

IL RICONOSCERE UNA QUALSIASI EFFICACIA GIURIDICA AD ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI CHE INVADANO LA SFERA NELLA QUALE SI ESPLICA IL POTERE LEGISLATIVO DELLA COMUNITA , O ALTRIMENTI INCOMPATIBILI COL DIRITTO COMUNITARIO , EQUIVARREBBE INFATTI A NEGARE , SOTTO QUESTO ASPETTO , IL CARATTERE REALE D ' IMPEGNI INCONDIZIONATAMENTE ED IRREVOCABILMENTE ASSUNTI , IN FORZA DEL TRATTATO , DAGLI STATI MEMBRI , METTENDO COSI IN PERICOLO LE BASI STESSE DELLA COMUNITA .

 

 

4 . IL GIUDICE NAZIONALE , INCARICATO DI APPLICARE , NELL ' AMBITO DELLA PROPRIA COMPETENZA , LE DISPOSIZIONI DI DIRITTO COMUNITARIO , HA L ' OBBLIGO DI GARANTIRE LA PIENA EFFICACIA DI TALI NORME , DISAPPLICANDO ALL ' OCCORRENZA , DI PROPRIA INIZIATIVA , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE , ANCHE POSTERIORE , SENZA DOVERNE CHIEDERE O ATTENDERE LA PREVIA RIMOZIONE IN VIA LEGISLATIVA O MEDIANTE QUALSIASI ALTRO PROCEDIMENTO COSTITUZIONALE .

 

Parti

 

NEL PROCEDIMENTO 106/77 ,

 

AVENTE AD OGGETTO LA DOMANDA DI PRONUNZIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA A QUESTA CORTE , A NORMA DELL ' ART . 177 DEL TRATTATO CEE , DAL PRETORE DI SUSA ( ITALIA ) NELLA CAUSA DINANZI AD ESSO PENDENTE FRA

 

AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE DELLO STATO

 

E

 

SPA SIMMENTHAL , CON SEDE IN MONZA ,

 

 

Oggetto della causa

 

DOMANDA VERTENTE SULL ' INTERPRETAZIONE DELL ' ART . 189 DEL TRATTATO CEE E , IN PARTICOLARE , SULLE CONSEGUENZE DELL ' EFFICACIA DIRETTA DELLE NORME COMUNITARIE IN CASO DI CONFLITTO CON EVENTUALI DISPOSIZIONI NAZIONALI CON QUESTE CONTRASTANTI ,

 

 

Motivazione della sentenza

 

1     CON ORDINANZA 28 LUGLIO 1977 , PERVENUTA IN CANCELLERIA IL 29 AGOSTO SUCCESSIVO , IL PRETORE DI SUSA HA SOTTOPOSTO A QUESTA CORTE , IN FORZA DELL ' ART . 177 DEL TRATTATO CEE , DUE QUESTIONI PREGIUDIZIALI RELATIVE AL PRINCIPIO DELLA DIRETTA APPLICABILITA DEL DIRITTO COMUNITARIO , ENUNCIATO NELL ' ART . 189 DEL TRATTATO , AL FINE DI DETERMINARE LE CONSEGUENZE DI TALE PRINCIPIO IN CASO DI CONFLITTO FRA UNA NORMA DI DIRITTO COMUNITARIO ED UNA DISPOSIZIONE LEGISLATIVA INTERNA POSTERIORE .

 

 

2     E OPPORTUNO RICORDARE CHE , IN UNA PRECEDENTE FASE DELLA CONTROVERSIA , IL PRETORE AVEVA SOTTOPOSTO A QUESTA CORTE TALUNE QUESTIONI PREGIUDIZIALI INTESE A PERMETTERGLI DI VALUTARE LA COMPATIBILITA COL TRATTATO E CON DETERMINATE DISPOSIZIONI REGOLAMENTARI - IN PARTICOLARE , COL REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO 27 GIUGNO 1968 , N . 805 , RELATIVO ALL ' ORGANIZZAZIONE COMUNE DEI MERCATI NEL SETTORE DELLE CARNI BOVINE ( GU N . L 148 , PAG . 24 ) - DI CERTI DIRITTI DI VISITA SANITARIA RISCOSSI SULLE IMPORTAZIONI DI CARNI BOVINE IN FORZA DEL TESTO UNICO DELLE LEGGI SANITARIE ITALIANE , DIRITTI IL CUI IMPORTO ERA STATO DA ULTIMO FISSATO NELLA TABELLA ALLEGATA ALLA LEGGE 30 DICEMBRE 1970 , N . 1239 ( GAZZETTA UFFICIALE N . 26 , DEL 1* FEBBRAIO 1971 );

 

 

3     IN SEGUITO ALLA SOULUZIONE DATA DALLA CORTE A TALI QUESTIONI NELLA SENTENZA 15 DICEMBRE 1976 ( CAUSA 35/76 , RACC . PAG . 1871 ), IL PRETORE , RITENENDO INCOMPATIBILE LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI CONSIDERATI CON QUANTO DISPOSTO DAL DIRITTO COMUNITARIO , INGIUNGEVA ALL ' AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE DELLO STATO DI RIMBORSARE I DIRITTI INDEBITAMENTE PERCEPITI , PIU GLI INTERESSI ;

 

 

4     L ' AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE FACEVA OPPOSIZIONE AL RELATIVO DECRETO INGIUNTIVO ;

 

 

5     TENENDO CONTO DEGLI ARGOMENTI SVOLTI DALLE PARTI NEL CORSO DEL PROCEDIMENTO DI OPPOSIZIONE , IL PRETORE HA RITENUTO DI TROVARSI DI FRONTE AD UN PROBLEMA DI CONTRASTO FRA CERTE NORME COMUNITARIE ED UNA LEGGE NAZIONALE POSTERIORE ( LEGGE N . 1239 DEL 1970 );

 

 

6     EGLI HA RILEVATO CHE , SECONDO LA RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA ( SENTENZE NN . 232/75 E 205/76 , ORDINANZA N . 206/76 ), LA SOLUZIONE DI UN SIFFATTO PROBLEMA IMPLICA LA NECESSITA DI RINVIARE ALLA STESSA CORTE COSTITUZIONALE LA QUESTIONE DELL ' ILLEGITTIMITA COSTITUZIONALE DELLA LEGGE CONTROVERSA , CON RIGUARDO ALL ' ART . 11 DELLA COSTITUZIONE ;

 

 

7     CONSIDERANDO , DA UN LATO , LA BEN CONSOLIDATA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN TEMA DI EFFICACIA DEL DIRITTO COMUNITARIO NEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI DEGLI STATI MEMBRI E , DALL ' ALTRO , GLI INCONVENIENTI CHE POSSONO DERIVARE DA SITUAZIONI IN CUI IL GIUDICE , INVECE DI DISAPPLICARE DI PROPRIA INIZIATIVA UNA LEGGE CHE OSTA ALLA PIENA EFFICACIA DEL DIRITTO COMUNITARIO , DEBBA SOLLEVARE LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE , IL PRETORE SI E RIVOLTO A QUESTA CORTE PER SOTTOPORLE DUE QUESITI DEL SEGUENTE TENORE :

 

A ) POSTO CHE , AI SENSI DELL ' ART . 189 DEL TRATTATO CEE E DELLA COSTANTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE , LE DISPOSIZIONI COMUNITARIE DIRETTAMENTE APPLICABILI DEVONO ESPLICARE , A DISPETTO DI QUALSIVOGLIA NORMA O PRASSI INTERNA DEGLI STATI MEMBRI , PIENA , INTEGRALE ED UNIFORME EFFICACIA NEGLI ORDINAMENTI DI QUESTI ULTIMI , ANCHE AL FINE DELLA GARANZIA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE CREATE IN CAPO AI PRIVATI , SE NE CONSEGUA CHE LA PORTATA DI DETTE NORME VA INTESA NEL SENSO CHE EVENTUALI DISPOSIZIONI NAZIONALI SUCCESSIVE CON ESSE CONTRASTANTI VANNO IMMEDIATAMENTE DISAPPLICATE SENZA CHE SI DEBBA ATTENDERE LA LORO RIMOZIONE AD OPERA DELLO STESSO LEGISLATORE NAZIONALE ( ABROGAZIONE ) O DI ALTRI ORGANI COSTITUZIONALI ( DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITA ), SPECIE OVE SI CONSIDERI , RISPETTO A QUESTA SECONDA IPOTESI , CHE FINO A DETTA DICHIARAZIONE , PERMANENDO LA PIENA EFFICACIA DELLA LEGGE NAZIONALE , RISULTA IMPEDITA L ' APPLICAZIONE DELLE NORME COMUNITARIE , E QUINDI NON GARANTITA LA PIENA , INTEGRALE ED UNIFORME APPLICAZIONE DELLE MEDESIME E NON PROTETTE LE SITUAZIONI GIURIDICHE CREATE IN CAPO AI PRIVATI .

 

 

B) IN RELAZIONE AL QUESITO CHE PRECEDE , QUALORA IL DIRITTO COMUNITARIO AMMETTA CHE LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE , SORTE PER EFFETTO DI DISPOSIZIONI COMUNITARIE ' DIRETTAMENTE APPLICABILI ' , POSSA ESSERE RINVIATA AL MOMENTO DELLA EFFETTIVA RIMOZIONE AD OPERA DEI COMPETENTI ORGANI NAZIONALI DELLE EVENTUALI MISURE NAZIONALI CONTRASTANTI , SE TALE OPERAZIONE DEBBA AVERE IN OGNI CASO EFFICACIA TOTALMENTE RETROATTIVA IN MODO DA EVITARE OGNI CONSEGUENZA PREGIUDIZIEVOLE PER LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE .

 

 

SUL RINVIO PREGIUDIZIALE

 

8     NELLE SUE OSSERVAZIONI ORALI , L ' AGENTE DEL GOVERNO ITALIANO HA RICHIAMATO L ' ATTENZIONE DI QUESTA CORTE SULLA SENTENZA N . 163/77 , EMESSA DALLA CORTE COSTITUZIONALE IL 22 DICEMBRE 1977 IN MERITO A QUESTIONI DI COSTITUZIONALITA SOLLEVATE DAI TRIBUNALI DI MILANO E DI ROMA , E NELLA QUALE VIENE DICHIARATA L ' ILLEGITTIMITA COSTITUZIONALE DI TALUNE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE 30 DICEMBRE 1970 , FRA CUI QUELLE RILEVANTI NELLA CAUSA PENDENTE DINANZI AL PRETORE DI SUSA ;

 

 

9     POICHE LE DISPOSIZIONI CONTROVERSE SONO STATE ELIMINATE IN VIRTU DELLA DICHIARAZIONE D ' INCOSTITUZIONALITA , LE QUESTIONI FORMULATE DAL PRETORE AVREBBERO PERDUTO OGNI INTERESSE , DI GUISA CHE NON SAREBBE NECESSARIO RISOLVERLE .

 

 

10    IN PROPOSITO OCCORRE RICORDARE CHE , SECONDO UNA PRASSI COSTANTE , QUESTA CORTE SI CONSIDERA INVESTITA DI UNA DOMANDA PREGIUDIZIALE , PROPOSTA AI SENSI DELL ' ART . 177 , FINO A QUANDO IL PROVVEDIMENTO DI RINVIO NON SIA STATO REVOCATO DAL GIUDICE A QUO , OVVERO ANNULLATO , IN SEGUITO AD IMPUGNAZIONE , DA UNA GIURISDIZIONE SUPERIORE ;

 

 

11    EFFETTI ANALOGHI A QUELLI DELLA REVOCA O DELL ' ANNULLAMENTO NON POSSONO DERIVARE DALLA RICHIAMATA SENTENZA , INTERVENUTA NELL ' AMBITO DI PROCEDIMENTI ESTRANEI ALLA CONTROVERSIA CHE HA DATO LUOGO AL RINVIO PREGIUDIZIALE , E LA CUI EFFICACIA NEI CONFRONTI DEI TERZI NON PUO ESSERE VALUTATA DA QUESTA CORTE ;

 

 

12    L ' OBIEZIONE PRELIMINARE SOLLEVATA DAL GOVERNO ITALIANO VA QUINDI RESPINTA .

 

 

NEL MERITO

 

13    LA PRIMA QUESTIONE MIRA IN SOSTANZA A FAR PRECISARE LE CONSEGUENZE DELL ' APPLICABILITA DIRETTA DI UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO COMUNITARIO IN CASO D ' INCOMPATIBILITA CON UNA DISPOSIZIONE SUCCESSIVA FACENTE PARTE DELLA LEGISLAZIONE D ' UNO STATO MEMBRO .

 

 

14    CONSIDERATA SOTTO QUESTO PROFILO , L ' APPLICABILITA DIRETTA VA INTESA NEL SENSO CHE LE NORME DI DIRITTO COMUNITARIO DEVONO ESPLICARE LA PIENEZZA DEI LORO EFFETTI , IN MANIERA UNIFORME IN TUTTI GLI STATI MEMBRI , A PARTIRE DALLA LORO ENTRATA IN VIGORE E PER TUTTA LA DURATA DELLA LORO VALIDITA ;

 

 

15    DETTE NORME SONO QUINDI FONTE IMMEDIATA DI DIRITTI E DI OBBLIGHI PER TUTTI COLORO CH ' ESSERE RIGUARDANO , SIANO QUESTI GLI STATI MEMBRI OVVERO I SINGOLI , SOGGETTI DI RAPPORTI GIURIDICI DISCIPLINATI DAL DIRITTO COMUNITARIO ;

 

 

16    QUESTO EFFETTO RIGUARDA ANCHE TUTTI I GIUDICI CHE , ADITI NELL ' AMBITO DELLA LORO COMPETENZA , HANNO IL COMPITO , IN QUANTO ORGANI DI UNO STATO MEMBRO , DI TUTELARE I DIRITTI ATTRIBUITI AI SINGOLI DAL DIRITTO COMUNITARIO ;

 

 

17    INOLTRE , IN FORZA DEL PRINCIPIO DELLA PREMINENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO , LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO E GLI ATTI DELLE ISTITUZIONI , QUALORA SIANO DIRETTAMENTE APPLICABILI , HANNO L ' EFFETTO , NEI LORO RAPPORTI COL DIRITTO INTERNO DEGLI STATI MEMBRI , NON SOLO DI RENDERE ' IPSO JURE ' INAPPLICABILE , PER IL FATTO STESSO DELLA LORO ENTRATA IN VIGORE , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE PREESISTENTE , MA ANCHE - IN QUANTO DETTE DISPOSIZIONI E DETTI ATTI FANNO PARTE INTEGRANTE , CON RANGO SUPERIORE RISPETTO ALLE NORME INTERNE , DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO VIGENTE NEL TERRITORIO DEI SINGOLI STATI MEMBRI - DI IMPEDIRE LA VALIDA FORMAZIONE DI NUOVI ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI , NELLA MISURA IN CUI QUESTI FOSSERO INCOMPATIBILI CON NORME COMUNITARIE ;

 

 

18    IL RICONOSCERE UNA QUALSIASI EFFICACIA GIURIDICA AD ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI CHE INVADANO LA SFERA NELLA QUALE SI ESPLICA IL POTERE LEGISLATIVO DELLA COMUNITA , O ALTRIMENTI INCOMPATIBILI COL DIRITTO COMUNITARIO , EQUIVARREBBE INFATTI A NEGARE , SOTTO QUESTO ASPETTO , IL CARATTERE REALE D ' IMPEGNI INCONDIZIONATAMENTE ED IRREVOCABILMENTE ASSUNTI , IN FORZA DEL TRATTATO , DAGLI STATI MEMBRI , METTENDO COSI IN PERICOLO LE BASI STESSE DELLA COMUNITA ;

 

 

19    LA STESSA CONCEZIONE SI DESUME DALLA ' RATIO ' DELL ' ART . 177 DEL TRATTATO , SECONDO CUI QUALSIASI GIUDICE NAZIONALE HA LA FACOLTA DI RIVOLGERSI ALLA CORTE , OGNIQUALVOLTA REPUTI NECESSARIA , PER EMANARE LA PROPRIA SENTENZA , UNA PRONUNZIA PREGIUDIZIALE SU QUESTIONI D ' INTERPRETAZIONE O DI VALIDITA RELATIVE AL DIRITTO COMUNITARIO ;

 

 

20    L ' EFFETTO UTILE DI TALE DISPOSIZIONE VERREBBE RIDOTTO , SE IL GIUDICE NON POTESSE APPLICARE , IMMEDIATAMENTE , IL DIRITTO COMUNITARIO IN MODO CONFORME AD UNA PRONUNZIA O ALLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE ;

 

 

21    DAL COMPLESSO DELLE PRECEDENTI CONSIDERAZIONI RISULTA CHE QUALSIASI GIUDICE NAZIONALE , ADITO NELL ' AMBITO DELLA SUA COMPETENZA , HA L ' OBBLIGO DI APPLICARE INTEGRALMENTE IL DIRITTO COMUNITARIO E DI TUTELARE I DIRITTI CHE QUESTO ATTRIBUISCE AI SINGOLI , DISAPPLICANDO LE DISPOSIZIONI EVENTUALMENTE CONTRASTANTI DELLA LEGGE INTERNA , SIA ANTERIORE SIA SUCCESSIVA ALLA NORMA COMUNITARIA ;

 

22    E QUINDI INCOMPATIBILE CON LE ESIGENZE INERENTI ALLA NATURA STESSA DEL DIRITTO COMUNITARIO QUALSIASI DISPOSIZIONE FACENTE PARTE DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO DI UNO STATO MEMBRO O QUALSIASI PRASSI , LEGISLATIVA , AMMINISTRATIVA O GIUDIZIARIA , LA QUALE PORTI AD UNA RIDUZIONE DELLA CONCRETA EFFICACIA DEL DIRITTO COMUNITARIO PER IL FATTO CHE SIA NEGATO AL GIUDICE , COMPETENTE AD APPLICARE QUESTO DIRITTO , IL POTERE DI FARE , ALL ' ATTO STESSO DI TALE APPLICAZIONE , TUTTO QUANTO E NECESSARIO PER DISAPPLICARE LE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE NAZIONALI CHE EVENTUALMENTE OSTINO ALLA PIENA EFFICACIA DELLE NORME COMUNITARIE ;

 

 

23    CIO SI VERIFICHEREBBE QUALORA , IN CASO DI CONFLITTO TRA UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO COMUNITARIO ED UNA LEGGE NAZIONALE POSTERIORE , LA SOLUZIONE FOSSE RISERVATA AD UN ORGANO DIVERSO DAL GIUDICE CUI E AFFIDATO IL COMPITO DI GARANTIRE L ' APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO , E DOTATO DI UN AUTONOMO POTERE DI VALUTAZIONE , ANCHE SE L ' OSTACOLO IN TAL MODO FRAPPOSTO ALLA PIENA EFFICACIA DI TALE DIRITTO FOSSE SOLTANTO TEMPORANEO ;

 

 

24    LA PRIMA QUESTIONE VA PERCIO RISOLTA NEL SENSO CHE IL GIUDICE NAZIONALE , INCARICATO DI APPLICARE , NELL ' AMBITO DELLA PROPRIA COMPETENZA , LE DISPOSIZIONI DI DIRITTO COMUNITARIO , HA L ' OBBLIGO DI GARANTIRE LA PIENA EFFICACIA DI TALI NORME , DISAPPLICANDO ALL ' OCCORRENZA , DI PROPRIA INIZIATIVA , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE , ANCHE POSTERIORE , SENZA DOVERNE CHIEDERE O ATTENDERE LA PREVIA RIMOZIONE IN VIA LEGISLATIVA O MEDIANTE QUALSIASI ALTRO PROCEDIMENTO COSTITUZIONALE .

 

 

25    CON LA SECONDA QUESTIONE SI CHIEDE IN SOSTANZA - PER IL CASO IN CUI SIA AMMESSO CHE LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE SORTE PER EFFETTO DI NORME COMUNITARIE POSSA ESSERE RINVIATA AL MOMENTO DELL ' EFFETTIVA RIMOZIONE , DA PARTE DEI COMPETENTI ORGANI NAZIONALI , DELLE EVENTUALI MISURE NAZIONALI CONTRASTANTI - SE TALE RIMOZIONE DEBBA AVERE IN OGNI CASO EFFICACIA TOTALMENTE RETROATTIVA , IN MODO DA EVITARE OGNI CONSEGUENZA PREGIUDIZIEVOLE PER LE SUDDETTE SITUAZIONI GIURIDICHE .

 

 

26    DALLA SOLUZIONE DATA ALLA PRIMA QUESTIONE RISULTA CHE IL GIUDICE NAZIONALE HA L ' OBBLIGO DI GARANTIRE LA TUTELA DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE SORTE PER EFFETTO DELLE NORME DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO COMUNITARIO , SENZA DOVER CHIEDERE O ATTENDERE L ' EFFETTIVA RIMOZIONE , AD OPERA DEGLI ORGANI NAZIONALI ALL ' UOPO COMPETENTI , DELLE EVENTUALI MISURE NAZIONALI CHE OSTINO ALLA DIRETTA E IMMEDIATA APPLICAZIONE DELLE NORME COMUNITARIE ;

 

 

27    LA SECONDA QUESTIONE RISULTA QUINDI PRIVA DI OGGETTO .

 

 

Decisione relativa alle spese

 

 

SULLE SPESE

 

28    LE SPESE SOSTENUTE DAL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E DALLA COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE , CHE HANNO PRESENTATO OSSERVAZIONI ALLA CORTE , NON POSSONO DAR LUOGO A RIFUSIONE ;

 

 

29    NEI CONFRONTI DELLE PARTI , IL PRESENTE PROCEDIMENTO HA IL CARATTERE DI UN INCIDENTE SOLLEVATO NELL ' AMBITO DELLA CAUSA PENDENTE DINANZI AL GIUDICE NAZIONALE , CUI SPETTA QUINDI STATUIRE SULLE SPESE .

 

 

Dispositivo

 

 

PER QUESTI MOTIVI ,

 

LA CORTE ,

 

PRONUNCIANDOSI SULLE QUESTIONI SOTTOPOSTELE DAL PRETORE DI SUSA CON ORDINANZA 28 LUGLIO 1977 , DICHIARA :

 

IL GIUDICE NAZIONALE , INCARICATO DI APPLICARE , NELL ' AMBITO DELLA PROPRIA COMPETENZA , LE DISPOSIZIONI DI DIRITTO COMUNITARIO , HA L ' OBBLIGO DI GARANTIRE LA PIENA EFFICACIA DI TALI NORME , DISAPPLICANDO ALL ' OCCORRENZA , DI PROPRIA INIZIATIVA , QUALSIASI DISPOSIZIONE CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE , ANCHE POSTERIORE , SENZA DOVERNE CHIEDERE O ATTENDERE LA PREVIA RIMOZIONE IN VIA LEGISLATIVA O MEDIANTE QUALSIASI ALTRO PROCEDIMENTO COSTITUZIONALE .


 

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 aprile 2002.
(Causa C-290/00).

 

Johann Franz Duchon contro Pensionsversicherungsanstalt der Angestellten.

Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria. - Sicurezza sociale dei lavoratori migranti - Artt. 48 e 51 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 42 CE) - Artt. 9 bis e 94 del regolamento (CEE) n. 1408/71 - Infortunio sul lavoro intervenuto in un altro Stato membro prima dell'entrata in vigore del citato regolamento nello Stato membro d'origine - Inabilità al lavoro. - Causa C-290/00.

 

Parti

 

 

Nel procedimento C-290/00,

 

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dall'Oberster Gerichtshof (Austria) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

 

Johann Franz Duchon

 

e

 

Pensionsversicherungsanstalt der Angestellten,

 

domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 48 e 51 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 42 CE), nonché sull'interpretazione o sulla validità degli artt. 9 bis e 94 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97 (GU 1997, L 28, pag. 1),

 

LA CORTE (Quinta Sezione),

 

composta dai sigg. P. Jann, presidente di sezione, S. von Bahr e M. Wathelet (relatore), giudici,

 

avvocato generale: F.G. Jacobs

 

cancelliere: R. Grass

 

viste le osservazioni scritte presentate:

 

- per il sig. Duchon, dai sigg. A. Hawel e E. Eypeltauer, Rechtsanwälte;

 

- per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente;

 

- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. W. Bogensberger, in qualità di agente,

 

vista la relazione del giudice relatore,

 

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 22 novembre 2001,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

 

Motivazione della sentenza

 

 

1 Con ordinanza 27 giugno 2000, pervenuta in cancelleria il successivo 24 luglio, l'Oberster Gerichtshof (Corte di cassazione austriaca) ha sottoposto alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 48 e 51 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 42 CE), nonché sull'interpretazione o sulla validità degli artt. 9 bis e 94 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97 (GU 1997, L 28, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1408/71»).

 

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra il sig. Duchon, vittima di un infortunio sul lavoro nel 1968, allorché lavorava in Germania, e la Pensionsversicherungsanstalt der Angestellten (ente previdenziale austriaco dei lavoratori subordinati) avente ad oggetto il riconoscimento in suo favore, in base alla legislazione austriaca, del diritto alla pensione di invalidità, con effetto dal 1° gennaio 1998.

 

Contesto normativo

 

Disposizioni comunitarie

 

3 Il regolamento n. 1408/71 è divenuto applicabile alla Repubblica d'Austria il 1° gennaio 1994 in forza dell'accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l'«accordo SEE»). A partire dal 1° gennaio 1995 esso si applica alla Repubblica d'Austria in qualità di Stato membro dell'Unione europea.

 

4 L'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71, dal titolo «Prolungamento del periodo di riferimento», così dispone:

 

«Se la legislazione di uno Stato membro subordina il riconoscimento del diritto a una prestazione al compimento di un periodo assicurativo minimo durante un periodo determinato, precedente il verificarsi del rischio assicurativo (periodo di riferimento) e dispone che i periodi durante i quali sono state erogate prestazioni a norma della legislazione di questo Stato membro o i periodi dedicati all'educazione dei figli nel territorio di questo Stato membro prolungano detto periodo di riferimento, quest'ultimo è parimenti prolungato dai periodi durante i quali sono state corrisposte pensioni d'invalidità o di vecchiaia o prestazioni di malattia, di disoccupazione o d'infortunio sul lavoro (eccetto le rendite) in virtù della legislazione di un altro Stato membro, nonché dei periodi dedicati all'educazione dei figli nel territorio di un altro Stato membro».

 

5 L'art. 61 del regolamento n. 1408/71 contiene alcune specifiche norme intese a tener conto delle particolarità di talune legislazioni nazionali in ordine all'assicurazione relativa agli infortuni sul lavoro ovvero alle malattie professionali. In tal senso, i nn. 5 e 6 del citato articolo dispongono quanto segue:

 

«5. Se la legislazione di uno Stato membro prevede espressamente o implicitamente che gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali verificatisi o accertati anteriormente siano presi in considerazione per valutare il grado d'inabilità, accertare il diritto alla prestazione o determinarne l'ammontare, l'istituzione competente di tale Stato prende in considerazione anche gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali verificatisi o accertati anteriormente sotto la legislazione di un altro Stato membro, come se si fossero verificati o fossero stati accertati sotto la legislazione che essa applica.

 

6. Se la legislazione di uno Stato membro prevede espressamente o implicitamente che gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali verificatisi o accertati posteriormente siano presi in considerazione per valutare il grado di inabilità, accertare il diritto alla prestazione o determinarne l'ammontare, l'istituzione competente di tale Stato prende in considerazione anche gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali verificatisi o accertati posteriormente sotto la legislazione di un altro Stato membro, come se si fossero verificati o fossero stati accertati sotto la legislazione che essa applica a condizione che:

 

1) l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale verificatisi o accertati anteriormente sotto la legislazione che essa applica non abbiano dato luogo ad indennizzo;

 

2) l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale verificatisi o accertati posteriormente non diano luogo, nonostante il paragrafo 5, ad un indennizzo a titolo della legislazione dell'altro Stato membro sotto la quale essi si sono verificati o sono stati accertati».

 

6 L'art. 94, nn. 1-3, del regolamento n. 1408/71, dal titolo «Disposizioni transitorie per i lavoratori subordinati», prevede:

 

«1. Il presente regolamento non fa sorgere alcun diritto per un periodo precedente il 1° ottobre 1972 o la data della sua applicazione nel territorio dello Stato membro interessato o in una parte di esso.

 

2. Ogni periodo di assicurazione e, eventualmente, ogni periodo di occupazione o di residenza compiuto sotto la legislazione di uno Stato membro prima del 1° ottobre 1972 o della data di applicazione del presente regolamento nel territorio dello Stato membro interessato o in una parte di esso, è preso in considerazione per la determinazione dei diritti acquisiti in conformità delle disposizioni del presente regolamento.

 

3. Fatte salve le disposizioni del paragrafo 1, un diritto è acquisito in virtù del presente regolamento anche se si riferisce ad un evento verificatosi prima del 1° ottobre 1972 o della data d'applicazione del presente regolamento nel territorio dello Stato membro interessato o in una parte di esso».

 

Normativa nazionale

 

7 La legislazione austriaca riconosce ai lavoratori dipendenti il diritto alla pensione di invalidità alla duplice condizione che sussista una diminuita capacità lavorativa e che ricorra il generale presupposto del compimento del periodo di carenza («Wartezeit») (art. 235, n. 1, dell'Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, legge generale austriaca sulla previdenza sociale; in prosieguo: l'«ASVG»), equivalente al numero di mesi in cui l'interessato ha versato contributi assicurativi («Versicherungszeiten») nel corso di un determinato periodo (in prosieguo: il «periodo di riferimento») prima della data di decorrenza del diritto alla pensione («Stichtag»).

 

8 Per i soggetti che non abbiano compiuto i 50 anni di età, il periodo di carenza è pari a 60 mesi, che devono obbligatoriamente risultare compiuti nel corso dei 120 mesi (periodo di riferimento) precedenti la data della domanda di pensione, se quest'ultima corrisponde al primo giorno del mese, ovvero il primo giorno del mese successivo alla data in cui la domanda è stata presentata [artt. 223, n. 2, e 236, nn. 1, punto 1, lett. a), e 2, punto 1, dell'ASVG).

 

9 Ai sensi dell'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG, il periodo di carenza non è richiesto qualora l'evento che fonda il diritto alla pensione sia conseguenza di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale occorsi a un soggetto titolare di assicurazione previdenziale obbligatoria ai sensi dell'ASVG o di altra legge federale austriaca, o a un soggetto titolare di assicurazione volontaria ai sensi dell'art. 19 a dello stesso ASVG.

 

10 Inoltre, ai sensi dell'art. 236, n. 3, dell'ASVG, il periodo di riferimento può essere prolungato in caso di «mesi neutri». L'art. 234, n. 1, dell'ASVG dispone:

 

«I seguenti periodi, che non sono periodi di assicurazione, vanno considerati come neutri:

 

(...)

 

2. Periodi durante i quali l'assicurato aveva un diritto riconosciuto con decisione amministrativa a

 

(...)

 

b) una pensione di invalidità derivante dall'assicurazione legale contro gli infortuni sulla base di una riduzione della capacità lavorativa pari ad almeno il 50%;

 

(...)».

 

Causa principale e questioni pregiudiziali

 

11 Il sig. Duchon, cittadino austriaco nato il 18 gennaio 1949, ha subìto un infortunio sul lavoro l'8 settembre 1968, allorché lavorava in Germania come apprendista. Da tale data, egli percepisce dall'ente previdenziale tedesco un'indennità di invalidità corrispondente a una diminuzione della capacità lavorativa del 50%.

 

12 Una prima istanza del sig. Duchon, mirante ad ottenere dalle autorità austriache una pensione di invalidità con effetto dal 1° gennaio 1994, è stata respinta dalla Pensionsversicherungsanstalt der Angestellten. Il 15 aprile 1997 anche l'Oberster Gerichtshof rigettava il ricorso presentato avverso tale decisione dal sig. Duchon, posto che quest'ultimo non aveva compiuto il periodo di carenza di 60 mesi entro il periodo di riferimento di 120 mesi, che il suo caso non rientrava tra le eccezioni previste dagli artt. 235, n. 3, lett. a), 236, n. 3, e 234, n. 1, punto 2, lett. b), dell'ASVG e che, poiché i fatti costituitivi del suo diritto alla pensione si erano verificati anteriormente al 1° gennaio 1994, egli non poteva neppure beneficiare della normativa comunitaria relativa alla libera circolazione dei lavoratori.

 

13 Il 22 dicembre 1997 il sig. Duchon ha presentato una nuova istanza volta ad ottenere la pensione di invalidità professionale, con effetto, questa volta, dal 1° gennaio 1998. Anche tale domanda veniva rigettata, con pronuncia 11 agosto 1998, e ciò sempre in ragione del mancato compimento del periodo di carenza. Il ricorso proposto avverso tale decisione veniva rigettato in data 29 settembre 1999 dal Landesgericht Linz (Tribunale di Linz), e ciò in considerazione del giudicato formatosi tra le stesse parti in forza della sentenza 15 aprile 1997 dell'Oberster Gerichtshof, da cui era già stato deciso il punto controverso relativo alla valutazione dei periodi assicurativi maturati in Germania, a seguito dell'infortunio sul lavoro ivi subito dal sig. Duchon. A parere del Landesgericht Linz, un solo profilo poteva ancora essere esaminato, e cioè se il ricorrente, sulla base dei periodi contributivi maturati in Austria, avesse compiuto il periodo di carenza ai sensi delle disposizioni nazionali rilevanti. Orbene, il Landesgericht Linz ha ritenuto che tale ipotesi non ricorresse nel caso sottoposto al suo esame. Poiché tale sentenza è stata confermata in appello, con pronuncia 11 febbraio 2000, dall'Oberlandesgericht Linz (Corte d'appello di Linz), il sig. Duchon ha investito l'Oberster Gerichtshof di un ricorso per cassazione («Revision»).

 

14 Il giudice del rinvio si interroga sul fondamento della tesi secondo cui il regolamento n. 1408/71, e specificamente il suo art. 94, non trova applicazione in riferimento a fatti occorsi prima dell'adesione della Repubblica d'Austria all'accordo SEE e, successivamente, all'Unione Europea.

 

15 Se, per un verso, risulta provato che l'inabilità al lavoro, per la quale il sig. Duchon richiede il riconoscimento in suo favore di una pensione austriaca, è stata cagionata da un infortunio sul lavoro verificatosi in Germania nel 1968, il giudice a quo si chiede, ai fini dell'applicazione dell'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG, se tale infortunio rappresenti un «evento» ai sensi dell'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71. Infatti, se così fosse, il regolamento stesso sarebbe applicabile al riconoscimento del diritto alla pensione del ricorrente, ancorché si tratti di un evento occorso nel passato, rimanendo inteso che il diritto medesimo diverrebbe effettivo solo a partire dalla data di entrata in vigore del citato regolamento nella Repubblica d'Austria, in conformità al suo art. 94, n. 1.

 

16 Per altro verso, se dovesse risultare che l'inabilità al lavoro del ricorrente non deriva dall'infortunio del 1968, il giudice del rinvio si chiede se il diritto comunitario imponga di tenere in considerazione i periodi di godimento di una rendita da infortunio, percepita sulla base della legislazione tedesca, ai fini della proroga del periodo di riferimento ai sensi dell'art. 236, n. 3, dell'ASVG.

 

17 A tal proposito il giudice a quo si chiede inoltre se l'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71 sia compatibile con gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato, nella parte in cui introduce, in tema di equiparazione, un'eccezione riferita proprio alle rendite da infortunio sul lavoro, e, a tal proposito, richiama la sentenza 4 ottobre 1991, causa C-349/87, Paraschi (Racc. pag. I-4501). Esso rileva in tal modo che, se il ricorrente avesse sempre lavorato in Austria e ivi avesse subìto l'infortunio sul lavoro, secondo il diritto interno opererebbe una proroga del periodo di riferimento corrispondente a quello del godimento della rendita. Il fatto che non si tenga in considerazione anche il godimento della rendita tedesca porrebbe i lavoratori subordinati migranti in posizione svantaggiata rispetto ai lavoratori subordinati stanziali. Questa discriminazione non avrebbe alcuna giustificazione oggettiva.

 

18 Sulla base di tali premesse, l'Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1) Se la posizione di un lavoratore, cittadino di uno Stato attualmente membro, il quale era occupato, prima dell'adesione di questo Stato membro, come lavoratore dipendente in un altro Stato membro e ivi aveva subìto un infortunio sul lavoro, rientri nell'ambito d'applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001, modificato dal regolamento del Consiglio 30 aprile 1992, n. 1249, qualora l'interessato abbia introdotto, dopo la data di adesione dello Stato membro, una domanda per una pensione di invalidità e possa reclamare, in forza del detto incidente sul lavoro, il diritto alla pensione di invalidità.

 

Nel caso di risposta affermativa alla prima domanda:

 

2) Se gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE (divenuti artt. 39, n. 2, CE e 42 CE), così come il regolamento (CEE) n. 1408/71, debbano essere interpretati nel senso che ostano a che una normativa nazionale presupponga, per l'esclusione del periodo di carenza ai fini di una prestazione previdenziale contro il rischio assicurato di riduzione della capacità lavorativa, accanto alla circostanza che il sinistro sia conseguenza di un incidente sul lavoro, che il detto sinistro sia occorso a un soggetto titolare di un'assicurazione previdenziale obbligatoria ai sensi dell'Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (austriaco) [legge generale sulla previdenza sociale] (ASVG) o di un'altra legge federale (austriaca), o sia occorso al titolare di un'assicurazione volontaria ai sensi dell'art. 19 a dell'ASVG (austriaco) e pertanto non comprenda gli infortuni sul lavoro verificatisi nel corso di un'attività lavorativa svolta in un altro Stato membro.

 

3) Se gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE (divenuti artt. 39, n. 2, CE e 42 CE) debbano essere interpretati nel senso che ostano a che l'art. 9 bis del regolamento (CEE) n. 1408/71, così come una normativa nazionale, escludano in generale la proroga del periodo di riferimento per un tempo pari a quello di godimento di una rendita, oppure la limitino al caso di un diritto alla rendita sancito dall'assicurazione legale sugli infortuni dello Stato membro interessato».

 

Sulle questioni pregiudiziali

 

Sulla prima questione

 

19 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se rientri nell'ambito d'applicazione del regolamento n. 1408/71 la posizione di un cittadino di uno Stato membro che, prima dell'adesione di questo Stato all'Unione Europea, ha esercitato un'attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro ove ha subìto un infortunio sul lavoro e che, a seguito dell'adesione dello Stato membro di cui è cittadino, ha inoltrato domanda alle autorità di quest'ultimo Stato per l'ottenimento di una pensione di invalidità in conseguenza del detto infortunio.

 

20 Il sig. Duchon, il governo austriaco e la Commissione ritengono sia necessario dare risposta affermativa a tale questione.

 

21 In proposito è opportuno ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il principio della certezza del diritto osta a che un regolamento venga applicato retroattivamente, e ciò a prescindere dalle conseguenze favorevoli o sfavorevoli che una siffatta applicazione potrebbe avere per l'interessato, a meno che vi siano indizi sufficientemente chiari, vuoi nella sua lettera, vuoi nei suoi scopi, i quali consentano di ritenere che il regolamento non disponga esclusivamente per l'avvenire (sentenze 29 gennaio 1985, causa 234/83, Gesamthochschule Duisburg, Racc. pag. 327, punto 20, e 7 febbraio 2002, causa C-28/00, Kauer, Racc. pag. I-1343, punto 20). Se la nuova legge ha validità solo per l'avvenire, è pur vero che, secondo un principio generalmente riconosciuto, essa si applica anche, salvo deroga, agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l'impero della vecchia legge (v., in tal senso, sentenze 15 febbraio 1978, causa 96/77, Bauche e Delquignies, Racc. pag. 383, punto 48; 25 ottobre 1978, causa 125/77, Koninklijke Scholten-Honig e De Bijenkorf, Racc. pag. 1991, punto 37; 5 febbraio 1981, causa 40/79, P/Commissione, Racc. pag. 361, punto 12; 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/Comitato economico e sociale, Racc. pag. 2305, punto 31; 29 gennaio 2002, causa C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer, Racc. pag. I-1049, punti 49 e 50, e Kauer, cit., punto 20).

 

22 L'art. 94, n. 1, del regolamento n. 1408/71, disponendo che quest'ultimo non fa sorgere alcun diritto per un periodo precedente la data della sua applicazione nel territorio dello Stato membro interessato, si inscrive pienamente nell'ambito del principio di certezza del diritto appena richiamato.

 

23 Nello stesso senso, allo scopo di consentire l'applicazione del regolamento n. 1408/71 agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l'impero della vecchia legge, da una parte, l'art. 94, n. 2, dello stesso sancisce l'obbligo di prendere in considerazione, al fine di determinare il diritto ad una prestazione, ogni periodo di assicurazione, di occupazione o di residenza compiuto sotto la legislazione di uno Stato membro «prima del 1° ottobre 1972 o prima della data di applicazione del (...) regolamento nel territorio dello Stato membro interessato». Da questa disposizione deriva quindi che uno Stato membro non può legittimamente rifiutare di tenere conto dei periodi di assicurazione compiuti nel territorio di un altro Stato membro ai fini della costituzione di una pensione di anzianità, per la sola ragione che tali periodi sono maturati prima dell'entrata in vigore del regolamento nel suo territorio (v. sentenze 7 febbraio 1991, causa C-227/89, Rönfeldt, Racc. pag. I-323, punto 16, e Kauer, cit., punto 22).

 

24 D'altra parte, l'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71 prevede pure che venga preso in considerazione ogni evento al quale si riferisce il diritto in questione, anche se si è verificato «prima del 1° ottobre 1972 o prima della data di applicazione del (...) regolamento nel territorio dello Stato membro interessato».

 

25 Non vi è alcun dubbio che un infortunio sul lavoro intervenuto nel territorio di uno Stato membro prima che entrasse in vigore il regolamento n. 1408/71 in un diverso Stato membro, secondo la cui legislazione sia stata richiesta una prestazione d'invalidità sulla base dell'infortunio medesimo, rappresenta un «evento» ai sensi dell'art. 94, n. 3, del regolamento citato.

 

26 Pertanto, occorre risolvere la prima questione dichiarando che rientra nell'ambito d'applicazione del regolamento n. 1408/71 la posizione di un cittadino di uno Stato membro che, prima dell'adesione di questo Stato all'Unione europea, ha esercitato un'attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro ove ha subìto un infortunio sul lavoro e che, a seguito dell'adesione dello Stato membro di cui è cittadino, ha inoltrato domanda alle autorità di quest'ultimo Stato per l'ottenimento di una pensione di invalidità in conseguenza del detto infortunio.

 

Sulla seconda questione

 

27 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato, così come il regolamento n. 1408/71, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui all'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG, la quale prevede l'esenzione dal requisito del periodo di carenza ai fini del diritto alla pensione per invalidità professionale derivante da un infortunio sul lavoro - occorso, nella fattispecie, prima della data di entrata in vigore del citato regolamento nello Stato membro interessato - nel solo caso in cui la vittima fosse, all'epoca del sinistro, titolare di un'assicurazione previdenziale obbligatoria o volontaria ai sensi della legislazione di tale Stato, con esclusione della legislazione di ogni altro Stato membro.

 

28 A tale proposito è opportuno in primo luogo valutare la legittimità di una disposizione quale l'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG, alla luce del diritto comunitario, come applicabile nell'ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro fosse intervenuto dopo l'adesione della Repubblica d'Austria all'Unione europea.

 

29 Conformemente alle osservazioni del governo austriaco e della Commissione, è giocoforza rilevare che una simile disposizione, pur applicandosi senza discriminare i lavoratori interessati sulla base della cittadinanza, è ciononostante idonea a sfavorire, dal punto di vista previdenziale, i soggetti che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione, sancito dal Trattato, posto che è minore per questi ultimi la possibilità di soddisfare il requisito della titolarità di un'assicurazione previdenziale ai sensi dell'ASVG rispetto a quanto accada per i lavoratori residenti in Austria.

 

30 Peraltro, il governo austriaco ritiene che spetti al giudice nazionale dare all'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG un'interpretazione tale da equiparare la titolarità di un'assicurazione previdenziale relativa ad un'attività professionale svolta in un altro Stato membro a quella relativa ad un'attività professionale svolta all'interno del territorio nazionale.

 

31 In merito a quest'ultimo punto, occorre ricordare che effettivamente il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario (v. sentenza 26 settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 40).

 

32 In secondo luogo, nel caso in cui, come nella causa principale, la normativa nazionale si applichi al riconoscimento di un diritto alla pensione per invalidità al lavoro derivante da un infortunio occorso prima della data di entrata in vigore del regolamento n. 1408/71 nello Stato membro in cui è richiesta la prestazione previdenziale, deve rilevarsi per un verso che la liquidazione di un diritto a pensione acquisito dopo l'adesione della Repubblica d'Austria all'Unione europea, anche se basato su di un evento intervenuto prima di questa data, deve essere effettuata dalle autorità austriache in conformità al diritto comunitario e, in particolare, alle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori (v., in tal senso, sentenza Kauer, cit., punto 45).

 

33 D'altra parte, nella valutazione, in particolare, dell'evento di cui alla causa principale, cioè l'infortunio intervenuto nel 1968 in Germania, si deve applicare la disposizione transitoria di cui all'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71, la quale, per sua natura, è destinata a riferirsi a situazioni sorte in un'epoca in cui il detto regolamento non era ancora applicabile nello Stato membro interessato. Questa disposizione ha l'obiettivo specifico, come è stato già sottolineato ai punti 23 e 24 della presente sentenza, di consentire l'applicazione del regolamento n. 1408/71 agli effetti futuri di situazioni sorte in un'epoca in cui, per definizione, non veniva ancora garantita la libertà di circolazione delle persone nell'ambito delle relazioni tra lo Stato membro considerato e lo Stato nel cui territorio si sono verificate le situazioni specifiche da prendere eventualmente in considerazione.

 

34 In tali circostanze, il fatto che il sig. Duchon abbia lavorato in Germania prima che l'accordo SEE entrasse in vigore nella Repubblica d'Austria o prima dell'adesione di tale Stato membro all'Unione europea non osta, in quanto tale, all'applicazione dell'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71.

 

35 Orbene, l'applicazione della condizione prevista all'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG ad un infortunio intervenuto anteriormente alla data di entrata in vigore del regolamento n. 1408/71 nello Stato membro ove viene richiesta la prestazione previdenziale per invalidità rischia di rendere illusoria la possibilità di avvalersi dell'art. 94, n. 3, del detto regolamento, allorché la stessa legislazione nazionale non consente di prendere in considerazione la titolarità di un'assicurazione ai sensi della legislazione di un altro Stato membro, in difetto, precisamente, di una norma comunitaria che imponga di prendere in considerazione tale circostanza per il periodo antecedente la data indicata.

 

36 Conseguentemente, la seconda questione va risolta dichiarando che l'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71, in combinato disposto con l'art. 48, n. 2, del Trattato, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, quale quella di cui all'art. 235, n. 3, lett. a), dell'ASVG, la quale preveda l'esenzione dal requisito del periodo di carenza ai fini del diritto alla pensione per invalidità professionale derivante da un infortunio sul lavoro - occorso, nella fattispecie, prima della data di entrata in vigore del citato regolamento nello Stato membro interessato - nel solo caso in cui la vittima fosse, all'epoca del sinistro, titolare di un'assicurazione previdenziale obbligatoria o volontaria ai sensi della legislazione di tale Stato, con esclusione della legislazione di ogni altro Stato membro.

 

Sulla terza questione

 

37 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che una disposizione, quale l'art. 234, n. 1, punto 2, lett. b), dell'ASVG, in combinato disposto con l'art. 236, n. 3, della stessa legge, si limiti a prendere in considerazione, ai fini della proroga del periodo di riferimento in cui deve compiersi il periodo di carenza per l'ottenimento di un diritto alla pensione, i soli periodi in cui l'assicurato abbia goduto di una rendita da invalidità sulla base di un regime previdenziale nazionale, escludendo invece la possibilità di proroga del periodo di riferimento nel caso di una rendita di tal genere erogata sulla base della legislazione di un altro Stato membro. Il giudice del rinvio si chiede altresì se l'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71 sia compatibile con gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato nella parte in cui esclude espressamente, ai fini della proroga del periodo di riferimento nella legislazione di uno Stato membro, la rilevanza dei periodi di godimento di rendite da infortunio sul lavoro che siano state erogate in base alla normativa di un altro Stato membro.

 

38 Come rilevato a tal proposito dal governo austriaco e dalla Commissione, emerge già dalla giurisprudenza di questa Corte che, anche se, sotto il profilo formale, una normativa come quella considerata nella causa principale si applica a qualsiasi lavoratore comunitario, senza distinzione di cittadinanza, che può così fruire della proroga del periodo di riferimento alle condizioni da essa previste, una simile legislazione, in quanto non contempla alcuna possibilità di proroga qualora fatti o circostanze - quali il godimento di una rendita da infortunio - corrispondenti a quelli che consentono la proroga si verifichino in un altro Stato membro, può arrecare pregiudizio in maniera molto più rilevante ai lavoratori migranti in quanto sono soprattutto questi ultimi che, particolarmente in caso di infortunio, hanno tendenza a rientrare nei rispettivi paesi d'origine (v., in tal senso, sentenza Paraschi, cit., punto 24).

 

39 In tali circostanze, gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato ostano a che una normativa nazionale, che consente, a talune condizioni, la proroga del periodo di riferimento, ometta tuttavia di prevedere una possibilità di proroga qualora fatti o circostanze corrispondenti a quelli che consentono la proroga si verifichino in un altro Stato membro (sentenza Paraschi, cit., punto 27).

 

40 Sulla base delle stesse motivazioni già esposte al punto 38 della presente sentenza, si deve dichiarare invalido l'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71 allorché, ai fini della proroga del periodo di riferimento nella legislazione di uno Stato membro, esclude espressamente la rilevanza dei periodi di godimento di rendite da infortunio sul lavoro che siano state erogate in base alla normativa di un altro Stato membro.

 

41 Il governo austriaco nega tuttavia che gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato siano conferenti ai fini della decisione del giudizio principale. Posto che, infatti, l'infortunio in oggetto si è verificato prima dell'entrata in vigore dell'accordo SEE nella Repubblica d'Austria, le norme del Trattato sarebbero inapplicabili, ratione temporis, al detto giudizio.

 

42 Il governo austriaco aggiunge che le disposizioni transitorie di cui all'art. 94 del regolamento n. 1408/71 non implicano in particolare alcuna regola di equiparazione, comparabile a quella dell'art. 9 bis, che garantisca la proroga del periodo di riferimento.

 

43 Si deve a tale proposito rilevare che il giudizio principale non ha ad oggetto il riconoscimento di un diritto alla pensione per un periodo anteriore all'entrata in vigore dell'accordo SEE per la Repubblica d'Austria, bensì riguarda il riconoscimento di un tale diritto a partire dal 1° gennaio 1998.

 

44 Come già rilevato dalla Corte nella sentenza 30 novembre 2000, causa C-195/98, Österreichischer Gewerkschaftsbund (Racc. pag. I-10497, punto 55), l'Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d'Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei Trattati sui quali si fonda l'Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1) non contiene nessuna disposizione transitoria relativa all'applicazione dell'art. 48 del Trattato. Le disposizioni di questo articolo devono ritenersi immediatamente applicabili e vincolanti nei confronti della Repubblica d'Austria a decorrere dalla data d'adesione di quest'ultima all'Unione europea, vale a dire dal 1° gennaio 1995. Da tale data le dette disposizioni possono essere invocate da lavoratori migranti provenienti da tutti gli Stati membri e possono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti e futuri di circostanze verificatesi anteriormente all'adesione della Repubblica d'Austria all'Unione europea.

 

45 Questa osservazione di carattere generale non può essere contraddetta dal fatto che l'art. 94 del regolamento n. 1408/71 non ha espressamente previsto la possibilità di considerare, ai fini del diritto ad una prestazione previdenziale a norma della legislazione di uno Stato membro, i periodi compiuti in un altro Stato membro prima della data di entrata in vigore di tale regolamento all'interno del primo Stato, nel corso dei quali siano state erogate all'assicurato talune prestazioni, quali, nel caso di specie, rendite da infortunio sul lavoro.

 

46 Alla luce delle suesposte considerazioni, la terza questione deve essere risolta come segue:

 

- gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che una disposizione, quale l'art. 234, n. 1, punto 2, lett. b), dell'ASVG, in combinato disposto con l'art. 236, n. 3, della stessa legge, si limiti a prendere in considerazione, ai fini della proroga del periodo di riferimento in cui deve compiersi il periodo di carenza per l'ottenimento di un diritto alla pensione, i soli periodi in cui l'assicurato abbia goduto di una pensione d'invalidità sulla base di un regime previdenziale nazionale, escludendo invece la possibilità di proroga del periodo di riferimento nel caso di una rendita di tal genere erogata sulla base della legislazione di un altro Stato membro.

 

- si dichiara invalido l'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71, che è incompatibile con gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE, nella parte in cui esclude, ai fini della proroga del periodo di riferimento nella legislazione di uno Stato membro, la rilevanza dei periodi di godimento di rendite da infortunio sul lavoro che siano state erogate in base alla normativa di un altro Stato membro.

 

 

Decisione relativa alle spese

 

 

Sulle spese

 

47 Le spese sostenute dal governo austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

 

 

Dispositivo

 

 

Per questi motivi,

 

LA CORTE (Quinta Sezione),

 

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall'Oberster Gerichtshof con ordinanza 27 giugno 2000, dichiara:

 

1) La posizione di un cittadino di uno Stato membro che, prima dell'adesione di questo Stato all'Unione europea, ha esercitato un'attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro ove ha subìto un infortunio sul lavoro e che, a seguito dell'adesione dello Stato membro di cui è cittadino, ha inoltrato domanda alle autorità di quest'ultimo Stato per la concessione di una pensione di invalidità in conseguenza del detto infortunio, rientra nell'ambito d'applicazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97.

 

2) L'art. 94, n. 3, del regolamento n. 1408/71, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento n. 118/97, in combinato disposto con l'art. 48, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39, n. 2, CE), deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, quale quella di cui all'art. 235, n. 3, lett. a), dell'Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, la quale preveda l'esenzione dal requisito del periodo di carenza ai fini del diritto alla pensione per invalidità professionale derivante da un infortunio sul lavoro - occorso, nella fattisspecie, prima della data di entrata in vigore del citato regolamento nello Stato membro interessato - solo nel caso in cui la vittima fosse, all'epoca del sinistro, titolare di un'assicurazione previdenziale obbligatoria o volontaria ai sensi della legislazione di tale Stato, con esclusione della legislazione di ogni altro Stato membro.

 

3) Gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39, n. 2, CE e 42 CE) devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che una disposizione, quale l'art. 234, n. 1, punto 2, lett. b), dell'Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, in combinato disposto con l'art. 236, n. 3, della stessa legge, si limiti a prendere in considerazione, ai fini della proroga del periodo di riferimento in cui deve compiersi il periodo di carenza per la concessione di un diritto alla pensione, i soli periodi in cui l'assicurato ha goduto di una pensione d'invalidità sulla base di un regime previdenziale nazionale, escludendo invece la possibilità di proroga del periodo di riferimento nel caso di una rendita di tal genere erogata sulla base della legislazione di un altro Stato membro.

 

4) Si dichiara invalido l'art. 9 bis del regolamento n. 1408/71, nella versione modificata e aggiornata dal regolamento n. 118/97, che è incompatibile con gli artt. 48, n. 2, e 51 del Trattato CE, nella parte in cui, ai fini della proroga del periodo di riferimento nella legislazione di uno Stato membro, esclude la rilevanza dei periodi di godimento di rendite da infortunio sul lavoro che siano state erogate in base alla normativa di un altro Stato membro.


 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del
12 maggio 2005
(Causa C-278/03)

 

 

«Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei lavoratori – Concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana – Omessa o insufficiente presa in considerazione dell’esperienza professionale acquisita in altri Stati membri – Art. 39 CE – Art. 3 del regolamento (CEE) n. 1612/68»

 

Nel procedimento C278/03,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 26 giugno 2003,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra M.J. Jonczy, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Seconda Sezione),

 

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dai sigg. C. Gulmann, R. Schintgen, G. Arestis e J. Klučka, giudici,

 

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl

 

cancelliere: sig. R. Grass

 

vista la fase scritta del procedimento,

 

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di trattare la causa senza conclusioni,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto dell’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari nella funzione pubblica di un altro Stato membro ai fini della partecipazione dei detti cittadini a concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 39 CE e 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).

 

 Ambito normativo

 

 La normativa comunitaria

 

2.    Ai sensi dell’art. 39, n. 1, CE, «la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata». Essa implica, in base al n. 2 dello stesso articolo, «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».

 

3.    L’art. 3 del regolamento n. 1612/68 esplicita i principi stabiliti dall’art. 39 CE per quanto riguarda, più in particolare, l’accesso all’impiego. Pertanto, ai sensi del n. 1 di questa disposizione, non sono applicabili, nell’ambito del detto regolamento, «le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o le pratiche amministrative di uno Stato membro:

 

–     che limitano o subordinano a condizioni non previste per i nazionali la domanda e l’offerta di impiego, l’accesso all’impiego ed il suo esercizio da parte degli stranieri;

 

–     o che, sebbene applicabili senza distinzione di nazionalità, hanno per scopo o effetto esclusivo o principale di escludere i cittadini degli altri Stati membri dall’impiego offerto».

 

 La normativa nazionale

 

4.    Nella sua versione applicabile ai fatti della presente causa, l’art. 37 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Supplemento ordinario alla GURI n. 30 del 6 febbraio 1993; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 29/1993»), stabiliva:

 

«1.   cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.

 

2.    Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1.

 

3.    Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina».

 

 La fase precontenziosa del procedimento ed il ricorso

 

5.    Avendo avuto conoscenza dei problemi incontrati da diversi cittadini comunitari nell’ambito della loro partecipazione ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, problemi derivanti essenzialmente dalla mancata presa in considerazione, da parte delle autorità italiane, dell’esperienza professionale acquisita precedentemente da tali cittadini in altri Stati membri, la Commissione, in data 24 novembre 1999, ha inviato alla Repubblica italiana una lettera nella quale invitava quest’ultima a presentare le sue osservazioni relative a tale situazione e ad informarla sia sulle norme vigenti in materia sia sul modo in cui essa intendeva in concreto risolvere i detti problemi.

 

6.    In un primo tempo, le autorità italiane hanno negato qualsiasi obbligo di prendere in considerazione l’esperienza acquisita dai cittadini comunitari al di fuori dell’Italia. Con lettera 28 marzo 2000 del Ministero della Pubblica istruzione, tali autorità hanno infatti sostenuto che, in considerazione delle regole e delle caratteristiche proprie di ciascun sistema scolastico nazionale, era obbligatorio che la detta esperienza fosse acquisita presso istituti rientranti nel sistema scolastico italiano. Una previa armonizzazione dei criteri applicabili in ciascuno Stato membro sarebbe quindi indispensabile affinché le attività di insegnamento prestate da cittadini comunitari in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana possano essere prese in considerazione ai fini della partecipazione di questi cittadini a concorsi per l’assunzione nel servizio pubblico italiano.

 

7.    In seguito all’invio, in data 6 aprile 2001, di una lettera di diffida con cui si richiamava l’attenzione delle autorità italiane sugli obblighi derivanti dagli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68, come interpretati dalla Corte, in particolare nella sentenza 23 febbraio 1994, causa C419/92, Scholz (Racc. pag. I505), il governo italiano ha ammesso che la posizione adottata, nel caso di specie, dal Ministero della Pubblica istruzione appariva in contrasto con le disposizioni della normativa nazionale, le quali contemplerebbero, all’art. 37 del decreto legislativo n. 29/1993, l’obbligo di prendere in considerazione le qualificazioni e l’esperienza acquisite nel servizio pubblico di altri Stati membri. Lo stesso governo ha aggiunto tuttavia che il riconoscimento dell’esperienza e dell’anzianità di servizio maturata dai cittadini comunitari al di fuori del territorio nazionale continuava a porre un certo numero di difficoltà a causa della mancata attuazione, da parte di tale Ministero, della procedura prevista dall’art. 37, n. 3, del detto decreto legislativo. Secondo il governo italiano, la mancata trasmissione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dei documenti necessari per l’adozione del decreto che stabilisce l’equivalenza tra diplomi, titoli e qualificazioni acquisiti negli altri Stati membri costituisce, innegabilmente, una violazione degli obblighi incombenti al Ministero della Pubblica istruzione, ma tale violazione comporterebbe tuttavia unicamente una violazione del diritto interno, in quanto la normativa nazionale è di per sé compatibile con il diritto comunitario.

 

8.    In tale contesto, ritenendo che l’inadempimento persistesse poiché non erano stati adottati tutti i provvedimenti al fine di rendere effettivo l’obbligo delle autorità italiane di prendere in considerazione l’esperienza e l’anzianità acquisite da cittadini comunitari nelle attività di insegnamento svolte al di fuori dell’Italia, la Commissione, in data 26 giugno 2002, ha emesso un parere motivato con cui invitava la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notifica. Non avendo ottenuto alcuna risposta a tale parere, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

 

 Sul ricorso

 

 Argomenti delle parti

 

9.    Nel controricorso, il governo italiano contesta la fondatezza dell’inadempimento addebitato. Facendo riferimento, in particolare, all’art. 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001) – il quale corrisponde, in sostanza, all’art. 37 del decreto legislativo n. 29/1993 – nonché al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 febbraio 1994, n. 174, relativo al «Regolamento recante le norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche» (GURI n. 61 del 15 marzo 1994), tale governo sostiene che sia la normativa sia la prassi delle autorità italiane sarebbero conformi ai requisiti comunitari.

 

10.   Per quanto riguarda, più in particolare, il settore dell’insegnamento, lo stesso governo fa presente che l’assunzione degli insegnanti avviene, in Italia, in base a tre distinte modalità, ossia, per il 50% dei posti disponibili in ogni anno scolastico, mediante concorso per titoli ed esami, ai sensi dell’art. 400 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (Supplemento ordinario alla GURI n. 115, del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 297/1994»), e, per il residuo 50%, mediante graduatorie permanenti di cui all’art. 401 del medesimo decreto legislativo; apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, contenenti i nomi degli insegnanti abilitati ad effettuare sostituzioni, vengono infine utilizzate per coprire i posti disponibili temporaneamente vacanti.

 

11.   Secondo il governo italiano, non è stata operata alcuna discriminazione tra i cittadini italiani e quelli degli altri Stati membri per quanto riguarda la prima e la terza modalità di assunzione del personale docente poiché, nel primo caso, ossia quello del concorso per titoli ed esami, l’esperienza professionale non svolgerebbe alcun ruolo nell’ambito del procedimento di assunzione mentre, nel terzo caso, relativo alle ipotesi di sostituzione o di supplenza, il decreto ministeriale 25 maggio 2000, n. 201, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo ai sensi dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124» (GURI n. 168 del 20 luglio 2000; in prosieguo: il «decreto n. 201/2000»), contemplerebbe esplicitamente l’attribuzione di un certo punteggio corrispondente alle attività di insegnamento svolte nelle scuole o negli istituti universitari degli altri Stati membri. Il governo italiano fa riferimento in particolare, a tal riguardo, all’allegato A di questo decreto il quale, al punto E, nota 9, equiparerebbe tali attività a servizi di terza fascia, che danno diritto, in Italia, all’attribuzione di un punteggio di 0,50 per ogni mese di insegnamento svolto in un altro Stato membro, fino ad un massimo di tre punti per anno.

 

12.   Per quanto riguarda invece la seconda modalità di assunzione del personale docente in Italia, ossia l’assunzione operata mediante graduatorie permanenti, il governo italiano non nega che esiste una disparità di trattamento a seconda che le attività d’insegnamento di cui trattasi siano state svolte in Italia o in altri Stati membri. Secondo questo governo, una tale disparità è tuttavia giustificata in quanto l’insegnamento svolto all’estero avverrebbe sulla base di ordinamenti, programmi e contenuti diversi da quelli previsti in Italia e quindi sarebbe sprovvisto del requisito di «specificità» voluto dalla legge, il quale dà diritto, conformemente al decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 123, relativo al «Regolamento recante le norme sulle modalità di integrazione e aggiornamento delle graduatorie permanenti previste dagli articoli 1, 2, 6 e 11, comma 9, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (GURI n. 113 del 17 maggio 2000; in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 123/2000»), all’attribuzione di un punteggio supplementare nell’ambito del procedimento di assunzione.

 

 Giudizio della Corte

 

13.   In via preliminare, occorre respingere subito l’argomento del governo italiano secondo cui nessuna violazione del diritto comunitario può essere addebitata alla Repubblica italiana in quanto la sua normativa è conforme a tale diritto e l’inadempimento deriva, nella fattispecie, da una semplice prassi adottata dalle autorità competenti o dal ritardo di queste ultime nell’adozione dei provvedimenti necessari per il riconoscimento dell’esperienza acquisita dai cittadini comunitari in attività di insegnamento esercitate al di fuori del territorio nazionale. Infatti, un inadempimento può derivare dall’esistenza di una prassi amministrativa che viola il diritto comunitario, anche se la normativa nazionale vigente è, di per sé, compatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenza 26 giugno 2001, causa C212/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I4923, punto 31).

 

14.   Per quanto riguarda poi la materialità dell’infrazione addebitata, relativa alla violazione degli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68, occorre ricordare che, secondo il primo di questi due articoli come interpretato dalla Corte, qualora un ente pubblico di uno Stato membro, assumendo personale per posti che non rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 39, n. 4, CE, stabilisca di tener conto delle attività lavorative anteriormente svolte dai candidati presso una pubblica amministrazione, tale ente non può, nei confronti dei cittadini comunitari, operare alcuna distinzione a seconda che tali attività siano state esercitate presso la pubblica amministrazione dello stesso Stato membro o presso quella di un altro Stato membro (v., in particolare, sentenza Scholz, cit., punto 12).

 

15.   Per quanto riguarda l’art. 3 del regolamento n. 1612/68, occorre ricordare che esso esplicita i diritti enunciati all’art. 39 CE per quanto riguarda, in particolare, l’accesso all’impiego e deve pertanto essere interpretato allo stesso modo dell’art. 39 CE.

 

16.   Orbene, nel caso di specie, non si può negare che questi diritti vengono violati dalla Repubblica italiana per quanto riguarda l’accesso dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica di tale Stato membro.

 

17.   Per quanto riguarda, infatti, l’assunzione di personale docente effettuata sulla base di graduatorie permanenti le quali, come è stato rilevato al punto 10 della presente sentenza, riguardano la metà dei posti disponibili per anno scolastico, il governo italiano, nel controricorso, ha riconosciuto che ai cittadini comunitari veniva applicato un trattamento diverso a seconda che l’esperienza professionale presa in considerazione ai fini dell’iscrizione in tali graduatorie fosse stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri, giustificando tale disparità con l’assenza di equivalenza tra i contenuti e i programmi dell’insegnamento italiano e quelli dell’insegnamento svolto al di fuori dell’Italia.

 

18.   Orbene, dalla giurisprudenza menzionata al punto 14 della presente sentenza risulta che un rifiuto assoluto di prendere in considerazione l’esperienza acquisita grazie ad attività d’insegnamento svolte in altri Stati membri, il quale sarebbe basato sull’esistenza di differenze tra i programmi d’insegnamento di detti Stati non può essere giustificato. Infatti, non si può negare che un’esperienza d’insegnamento specifica quale quella richiesta dalla normativa italiana, in particolare nel settore dell’insegnamento artistico o nell’insegnamento prestato ai portatori di handicap, può essere acquisita anche in altri Stati membri.

 

19.   Per quanto riguarda la terza modalità di assunzione, richiamata al punto 10 della presente sentenza, relativa all’assunzione operata sulla base di apposite graduatorie per il conferimento di supplenze, nemmeno essa sembra garantire pienamente la parità di trattamento richiesta dagli artt. 39 CE e 3 del regolamento n. 1612/68. Infatti, dall’analisi delle disposizioni comunicate dal governo italiano nel corso del presente procedimento emerge un diverso grado di valutazione dell’esperienza professionale a seconda che questa sia stata acquisita nel territorio nazionale o in altri Stati membri.

 

20.   Come la Commissione ha rilevato nella replica, risulta infatti dal decreto ministeriale n. 201/2000, e più in particolare dal suo allegato A, punto E, nota 9, che i servizi forniti in scuole o istituti universitari degli altri Stati membri sono sempre valutati come servizi della terza fascia del detto punto E, relativa alle «altre attività di insegnamento», le quali danno diritto all’attribuzione di mezzo punto per mese di insegnamento prestato, con un massimo di tre punti per ciascun anno scolastico. La lettura dello stesso decreto rileva tuttavia anche che solo le attività d’insegnamento svolte in istituzioni convittuali o in scuole materne, elementari, secondarie o artistiche della Repubblica italiana – siano esse pubbliche o private, ma riconosciute o sovvenzionate dallo Stato italiano – vengono fatte rientrare nelle prime due fasce dello stesso punto E, che riguardano, rispettivamente, il servizio «specifico» o «non specifico» di insegnamento, che danno in particolare diritto, il primo, all’attribuzione di due punti per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di dodici punti per ciascun anno scolastico e, il secondo, ad un punto per ogni mese di insegnamento fino ad un massimo di sei punti per ciascun anno scolastico.

 

21.   In tale contesto, si deve constatare che, anche se l’esperienza professionale acquisita da cittadini comunitari fuori del territorio nazionale viene presa in considerazione nell’ambito dell’assunzione operata sulla base delle graduatorie per il conferimento di supplenze, essa non viene sempre valutata allo stesso modo di un’esperienza analoga acquisita nel territorio nazionale, senza che il governo italiano abbia fornito a tal riguardo la minima giustificazione.

 

22     Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre quindi constatare che la Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione di cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 39 CE e 3, n. 1, del regolamento n. 1612/68.

 

 Sulle spese

 

23.   Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è rimasta soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)    La Repubblica italiana, non tenendo conto o, quantomeno, non tenendo conto in maniera identica, ai fini della partecipazione dei cittadini comunitari ai concorsi per l’assunzione di personale docente nella scuola pubblica italiana, dell’esperienza professionale acquisita da questi cittadini nelle attività di insegnamento a seconda che queste attività siano state svolte nel territorio nazionale o in altri Stati membri, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 39 CE e 3, n. 1, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

 

2)    La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 


 

Sentenza della Corte (Quinta Sezione)
del 24 maggio 2007
(Causa C
394/05)

 

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2000/53/CE – Veicoli fuori uso – Artt. 3, n. 5, 5, n. 1, 7, n. 2, nonché 8, nn. 3 e 4 – Trasposizione non conforme»

 

Ricorso per inadempimento – Esame della Corte nel merito – Situazione da prendere in considerazione – Situazione alla scadenza del termine fissato dal parere motivato (Art. 226 CE) (v. punto 25)

 

Oggetto

 

 Inadempimento di uno Stato – Violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso (GU L 269, pag. 34) 

 

 

Dispositivo

 

1) La Repubblica italiana, avendo adottato il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, che traspone in diritto nazionale le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso, in maniera non conforme a quest’ultima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 3, n. 5, 5, n. 1, 7, n. 2, lett. a), secondo comma, nonché 8, nn. 3 e 4, di tale direttiva.

 

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 

 

 


 

Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 12 gennaio 2006,
(Causa C
85/05)

 

Inadempimento di uno Stato — Direttiva 2000/60/CE — Politica comunitaria in materia di acque — Mancata trasposizione entro il termine prescritto

 

Ricorso per inadempimento — Esame della fondatezza da parte della Corte — Situazione da prendere in considerazione — Situazione alla scadenza del termine fissato nel parere motivato (Art. 226 CE) (v. punto 7)

 

Oggetto:

 

Inadempimento di uno Stato – Mancata adozione delle disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 327, pag. 1) 

 

 

Dispositivo:

 

 Non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi di tale direttiva.

 

 La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 

 

 


 

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del
5 ottobre 2006
(Causa C-232/05)

 

«Inadempimento di uno Stato – Aiuti concessi dagli Stati – Aiuti a favore della Scott Paper SA/Kimberly-Clark – Obbligo di recupero – Mancata esecuzione a causa dell’applicazione del procedimento nazionale – Autonomia procedurale nazionale – Limiti – “Procedura nazionale che consenta l’esecuzione immediata ed effettiva” ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento (CE) n. 659/1999 – Procedura nazionale che prescrive effetti sospensivi dei ricorsi proposti contro i titoli di riscossione emessi dalle autorità nazionali»

 

Nel procedimento C232/05,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 88, n. 2, secondo comma, CE, proposto il 26 maggio 2005,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. C. Giolito, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra S. Ramet, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Prima Sezione),

 

composta dal sig. P. Jann (relatore), presidente di sezione, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. K Lenaerts ed E Juhász, giudici,

 

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

 

cancelliere: sig. R. Grass

 

vista la fase scritta del procedimento,

 

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 maggio 2006,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede che la Corte voglia dichiarare che la Repubblica francese, non avendo eseguito entro il termine stabilito la decisione della Commissione 12 luglio 2000, 2002/14/CE, relativa all’aiuto di Stato concesso dalla Francia a favore di Scott Paper SA/KimberlyClark (GU 2002, L 12, pag. 1), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 249, quarto comma, CE nonché degli artt. 2 e 3 della detta decisione.

 

Contesto normativo

 

Normativa comunitaria

 

2.    L’art. 14, n. 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell’articolo [88 CE] (GU L 83, pag. 1), precisa le norme in materia di recupero degli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune:

 

«Fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’articolo 185 del Trattato [divenuto art. 242 CE], il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario».

 

Normativa nazionale

 

3.    L’art. L4 del codice di giustizia amministrativa dispone quanto segue:

 

«Fatte salve disposizioni legislative speciali, i ricorsi sono privi di effetto sospensivo tranne nel caso in cui l’organo giurisdizionale competente disponga altrimenti».

 

4.    Nella sua qualità di disposizione legislativa speciale, l’art. 6 del decreto n. 921369 del 29 dicembre 1992, che modifica il decreto n. 62-1587 del 29 dicembre 1962, il quale reca la disciplina generale in materia di contabilità pubblica e fissa le disposizioni applicabili al ricupero dei crediti dello Stato menzionati all’art. 80 del detto decreto (JORF del 30 dicembre 1992, pag. 17954), prevede, per quanto riguarda i titoli di riscossione emessi dallo Stato o dagli enti pubblici nazionali, quanto segue:

 

«I titoli di riscossione menzionati all’art. 85 del sopracitato decreto 29 dicembre 1962 possono essere oggetto, da parte dei relativi debitori, di un’opposizione all’esecuzione qualora venga contestata l’esistenza del credito, il suo importo o la sua esigibilità, o di un’opposizione agli atti esecutivi qualora venga contestata la validità dell’azione esecutiva da un punto di vista formale.

 

Gli altri ordinativi di riscossione possono essere oggetto di un’opposizione agli atti esecutivi.

 

Tali opposizioni non comportano la sospensione dell’azione di recupero».

 

5.    Parimenti, per quanto attiene ai titoli di riscossione emessi dagli enti territoriali e dagli enti pubblici locali, l’art. L1617-5, n. 1, secondo comma, del codice generale degli enti territoriali, introdotto dalla legge n. 96-314 del 12 aprile 1996 (JORF del 13 aprile 1996, pag. 5707), dispone che «(…) la proposizione dinanzi ad un organo giurisdizionale di un ricorso che contesti la validità di un credito certo, liquidato da un ente territoriale o da un ente pubblico locale sospende l’efficacia esecutiva di tali atti (…)».

 

Fase precontenziosa del procedimento

 

Gli antefatti della decisione 2002/14

 

6.    Nel 1969 la società di diritto americano Scott Paper Company ha acquistato la società francese Bouton Brochard e ha costituito una società distinta, la Bouton Brochard Scott SA (in prosieguo: la «Bouton Brochard Scott»), che ha ripreso le attività della Bouton Brochard.

 

7.    Nel 1986 la Bouton Brochard Scott ha deciso di installare uno stabilimento in Francia e ha scelto a tal fine un terreno nel dipartimento del Loiret, nella zona industriale di La Saussaye, a Orléans.

 

8.    Il 31 agosto 1987 la città di Orléans e il citato dipartimento hanno concesso alla Bouton Brochard Scott talune agevolazioni. Per un verso, tali enti hanno ceduto alla Bouton Brochard Scott, a condizioni preferenziali, un terreno di 48 ettari nella citata zona industriale. Per altro verso, si sono impegnati a calcolare la tassa di risanamento in base ad un tasso parimenti preferenziale.

 

9.    Nel novembre 1987 la Bouton Brochard Scott ha cambiato la propria denominazione in «Scott SA» (in prosieguo: la «Scott»).

 

10.   Nel gennaio 1996 le azioni di quest’ultima società sono state acquistate dalla Kimberly-Clark Corporation (in prosieguo: la «Kimberly-Clark»).

 

11.   Nel gennaio 1998 questa ha annunciato la chiusura dello stabilimento in questione, i cui attivi, cioè il terreno e la cartiera, sono stati acquistati dalla Procter & Gamble nel giugno 1998.

 

12.   Il 12 luglio 2000 la Commissione ha adottato la decisione 2002/14, con il cui art. 1 sono stati dichiarati incompatibili gli aiuti di Stato concessi dalla Repubblica francese a favore della Scott, sotto forma di prezzo preferenziale del terreno (al valore attualizzato di EUR 12,3 milioni) e di tariffa preferenziale della tassa di risanamento (importo che doveva essere determinato dalle autorità francesi) (in prosieguo: gli «aiuti controversi»).

 

13.   L’art. 2 della decisione 2002/14 precisa quanto segue:

 

«1. La Francia adotta tutte le misure necessarie per recuperare presso il beneficiario [gli aiuti controversi] di cui all’articolo 1, già post[i] illegalmente a disposizione.

 

2.    Il recupero è effettuato senza indugio conformemente alle procedure del diritto nazionale purché permettano l’esecuzione immediata e effettiva della presente decisione (…)».

 

14.   Ai sensi dell’art. 3 della citata decisione:

 

«La Francia informa la Commissione, entro il termine di due mesi a decorrere dalla data della notifica della presente decisione, delle misure adottate per conformarvisi».

 

15.   Il 31 luglio 2000 la decisione 2002/14 è stata notificata alla Repubblica francese.

 

16.   Il 30 novembre e il 4 dicembre 2000, la Scott e il dipartimento del Loiret hanno entrambi presentato un ricorso di annullamento avverso la citata decisione dinanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee. Le parti non hanno chiesto la sospensione dell’esecuzione a norma dell’art. 242 CE.

 

 Le iniziative adottate dalla Repubblica francese in seguito alla decisione 2002/14, per quanto riguarda l’aiuto sotto forma di prezzo preferenziale del terreno

 

17.   Per quanto riguarda l’aiuto sotto forma di prezzo preferenziale del terreno, in data 15 dicembre 2000 il consiglio generale del Loiret ha emesso un avviso di pagamento per un importo pari a EUR 5 054 721. La città di Orléans ha emesso, il 2 gennaio 2001, un avviso di pagamento per un importo pari a EUR 8 002 231.

 

18.   A causa, tuttavia, di un errore materiale relativo al calcolo dell’importo di cui all’aiuto in questione, la Commissione ha effettuato la sua rettifica e ha inviato, nel marzo 2001, un corrigendum alla Repubblica francese.

 

19.   Di conseguenza, gli avvisi di pagamento risalenti al 15 dicembre 2000 e al 2 gennaio 2001 sono stati annullati in data 23 marzo 2001.

 

20.   In seguito a ciò, il 5 ottobre 2001 il consiglio generale del Loiret ha emesso un nuovo avviso di pagamento per un importo di EUR 4 691 370, così come vi ha provveduto la città di Orléans, il 18 ottobre 2001, per un importo pari ad EUR 7 621 937.

 

21.   Questi due avvisi di pagamento sono stati oggetto di ricorsi, presentati dalla Kimberly-Clark dinanzi al Tribunal administratif (tribunale di primo grado competente per il contenzioso amministrativo) d’Orléans in data 29 ottobre e 27 novembre 2001.

 

22.   Dal momento che i ricorsi di questo tipo hanno un automatico effetto sospensivo nel diritto francese, i citati importi non sono stati recuperati.

 

Le iniziative adottate dalla Repubblica francese a seguito della decisione 2002/14, per quanto riguarda l’aiuto sotto forma di tariffa preferenziale della tassa di risanamento

 

23.   Per quanto riguarda l’aiuto sotto forma di tariffa preferenziale della tassa di risanamento, la città di Orléans, nel gennaio e nell’agosto 2001, ha emesso sei avvisi di pagamento per un importo complessivo di EUR 1 046 903.

 

24.   Uno di questi avvisi, di importo pari a EUR 165 887, è stato pagato dalla società Procter & Gamble, che ha rilevato lo stabilimento di Orléans.

 

25.   Gli altri cinque avvisi di pagamento sono stati sostituiti da tre avvisi del 5 dicembre 2001 per un complessivo importo di EUR 881 015.

 

26.   Questi ultimi sono stati oggetto di ricorsi, presentati dalla Kimberly-Clark dinanzi al Tribunal administratif d’Orléans in data 8 marzo 2002.

 

27.   Considerando l’automatico effetto sospensivo dei detti ricorsi, i citati avvisi di pagamento non sono stati pagati.

 

Il procedimento dinanzi al Tribunal administratif d’Orléans

 

28.   Nella sua lettera 2 luglio 2003, il governo francese ha rilevato che il Tribunal administratif d’Orléans aveva sospeso il giudizio in attesa della decisione del Tribunale di primo grado delle Comunità europee in merito alla questione della validità della decisione 2002/14. Nel suo controricorso questo governo ha ammesso tuttavia che la detta affermazione era inesatta.

 

Le discussioni condotte prima della proposizione del presente ricorso

 

29.   Con lettere in data 8 maggio, 31 luglio, 8 ottobre 2001, 13 marzo, 26 agosto, 23 dicembre 2002, 13 febbraio, 16 maggio, 21 novembre 2003, 27 gennaio, 9 marzo e 29 aprile 2004, la Commissione ha chiesto alle autorità francesi di informarla in merito allo stato di avanzamento del recupero delle somme dovute e di fornire alcuni documenti e informazioni con riguardo ai procedimenti pendenti dinanzi al Tribunal administratif d’Orléans. Nelle sue lettere, la Commissione ha sottolineato l’importanza di un’esecuzione immediata ed effettiva nonché la sua possibilità di adire direttamente la Corte ai sensi dell’art. 88, n. 2, CE. Nella sua ultima lettera del 29 aprile 2004, ha concesso al governo francese un’ultima proroga di 20 giorni.

 

30.   Non ritenendosi soddisfatta delle risposte fornite dalla Repubblica francese nelle sue lettere del 13 novembre 2001, 27 novembre 2002, 25 marzo e 2 luglio 2003, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

 

 Sul ricorso

 

31.   A sostegno del suo ricorso, la Commissione fa valere un solo addebito relativo, in sostanza, alla violazione dell’art. 249, quarto comma, CE, nonché degli artt. 2 e 3 della decisione 2002/14, per il fatto che la Repubblica francese non ha eseguito tale decisione entro il termine previsto.

 

 Sulla data rilevante ai fini della valutazione dell’inadempimento

 

32.   Da una costante giurisprudenza emerge che il termine di riferimento per l’applicazione dell’art. 88, n. 2, secondo comma, CE è quello previsto nella decisione di cui si lamenta l’omessa esecuzione o, eventualmente, quello fissato successivamente dalla Commissione (v., in tal senso, sentenze 3 luglio 2001, causa C378/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-5107, punto 26; 2 luglio 2002, causa C499/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I6031, punto 28, e 1° giugno 2006, causa C207/05, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punto 31).

 

33.   Nella fattispecie, gli artt. 2 e 3 della decisione 2002/14 prescrivono un termine di due mesi, a decorrere dalla data della sua notifica, affinché il governo francese adotti le misure necessarie in vista del recupero degli aiuti controversi e ne informi la Commissione. Dopo molte discussioni tra le parti, la Commissione, nella sua lettera del 29 aprile 2004, ha stabilito un ultimo termine, che sarebbe scaduto 20 giorni dopo questa data.

 

34.   Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che il termine stabilito dall’art. 3 della decisione 2002/14 sia stato sostituito da quello risultante dalla lettera del 29 aprile 2004 (v., in tal senso, sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35). Il termine in questione è stato di conseguenza prorogato fino al 19 maggio 2004.

 

 Sull’addebito

 

 Argomenti delle parti

 

35.   La Commissione rileva che, oltre cinque anni dopo l’adozione della decisione 2002/14, i provvedimenti adottati dalle autorità francesi non hanno comportato il recupero degli aiuti controversi. Questa decisione, pertanto, non sarebbe stata debitamente eseguita.

 

36.   La Commissione ammette che l’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999 autorizza l’applicazione delle procedure previste dal diritto nazionale, ma sottolinea che ciò vale solo per procedure che consentano l’esecuzione «immediata ed effettiva» della decisione della Commissione. Orbene, a giudizio di quest’ultima, una procedura nazionale che prescrive un automatico effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro i titoli di riscossione emessi per il recupero di un aiuto concesso non soddisfarebbe tali criteri.

 

37.   Il governo francese replica che le autorità francesi hanno impiegato tutta la necessaria diligenza per eseguire la decisione 2002/14.

 

38.   In applicazione delle procedure nazionali, le dette autorità avrebbero inviato al destinatario dell’aiuto vari titoli di riscossione destinati ad acquisire efficacia esecutiva al termine del procedimento dinanzi al giudice nazionale competente.

 

39.   Il governo francese rileva che l’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999 prevede infatti in modo esplicito un siffatto ricorso alle procedure nazionali, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. Orbene, le norme di procedura nazionali applicate nel caso di specie, comprese quelle che prescrivono l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro i titoli di riscossione, non osterebbero a una siffatta esecuzione.

 

40.   Il governo francese sottolinea che, a suo giudizio, l’esecuzione «immediata ed effettiva» della decisione della Commissione non equivale necessariamente a un immediato rimborso dell’aiuto. Per contro, tale esecuzione implicherebbe che lo Stato membro avvii immediatamente la procedura nazionale che deve condurre al recupero dell’aiuto concesso.

 

 Giudizio della Corte

 

41.   Ai sensi dell’art. 249, quarto comma, CE, le decisioni sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari da esse designati.

 

42.   Dalla giurisprudenza emerge che lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione (v. sentenze 12 dicembre 2002, causa C209/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I11695, punto 31, e 26 giugno 2003, causa C404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I6695, punto 21) e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute (v., in tal senso, sentenze 12 maggio 2005, causa C415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3875, punto 44, nonché Commissione/Italia, cit., punti 36 e 37).

 

43.   L’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999 precisa che il recupero dell’aiuto dichiarato incompatibile deve essere effettuato «senza indugio».

 

44.   Nel caso di specie, la decisione 2002/14 obbliga la Repubblica francese ad adottare tutte le misure necessarie per recuperare presso il beneficiario gli aiuti controversi già posti illegalmente a disposizione. La Commissione le ha accordato, a tale scopo, un termine di due mesi. Quest’ultimo, sostituito da quello risultante dalla lettera del 29 aprile 2004, è stato quindi prorogato al 19 maggio 2004.

 

45.   Occorre constatare che, alla scadenza di quest’ultimo termine, ossia quasi quattro anni dopo l’adozione della decisione 2002/14, le azioni intraprese dalle autorità francesi non avevano condotto a un effettivo recupero degli aiuti controversi, fatta eccezione per il pagamento di EUR 165 887 rispetto alla somma dovuta di EUR 13 350 000.

 

46.   Infatti, come riconosce lo stesso governo francese, considerato l’automatico effetto sospensivo proprio dei ricorsi presentati contro i titoli di riscossione, questi ultimi, prima della decisione del competente organo giurisdizionale nazionale, non possono produrre alcun concreto effetto per quanto attiene al rimborso dei suddetti aiuti.

 

47.   Di conseguenza il beneficiario dell’aiuto, nel corso del detto periodo, può conservare fondi provenienti dagli aiuti dichiarati incompatibili e beneficiare dell’indebito vantaggio concorrenziale che ne deriva.

 

48.   Il governo francese rileva tuttavia che il ritardo in oggetto è dovuto all’applicazione delle procedure previste dal diritto francese, applicazione esplicitamente autorizzata dall’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999.

 

49.   Occorre rammentare a tale proposito che, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999, l’applicazione delle procedure nazionali è soggetta alla condizione che queste ultime consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, condizione che riflette i requisiti imposti dal principio di effettività sancito precedentemente dalla giurisprudenza (v. sentenze 2 febbraio 1989, causa 94/87, Commissione/Germania, Racc. pag. 175, punto 12; 20 marzo 1997, causa C24/95, Alcan Deutschland, Racc. pag. I-1591, punto 24, e 12 dicembre 2002, Commissione/Germania, cit., punti 3234).

 

50.   Al tredicesimo ‘considerando’ del citato regolamento viene precisato che, in caso di aiuti illegali non compatibili con il mercato comune, occorrerebbe ripristinare la concorrenza effettiva e che a tal fine è necessario che l’aiuto venga recuperato senza indugio. Si afferma inoltre che l’applicazione delle procedure nazionali non deve quindi impedire, facendo ostacolo ad un’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, il ripristino della concorrenza effettiva e che, per ottenere tale risultato, gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire l’efficacia della citata decisione.

 

51.   Orbene, dal momento che prevede l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro i titoli di riscossione emessi in vista del recupero di un aiuto concesso, non si può ritenere che la procedura prevista dal diritto francese e applicata nel caso di specie consenta l’esecuzione «immediata ed effettiva» della decisione 2002/14. Al contrario, poiché accorda un tale effetto sospensivo, essa può notevolmente differire il rimborso degli aiuti.

 

52.   Questa procedura nazionale, nel violare gli obiettivi perseguiti dalle regole comunitarie in materia di aiuti di Stato, ha quindi impedito il ripristino immediato della situazione antecedente e ha prorogato l’indebito vantaggio concorrenziale derivante dagli aiuti controversi.

 

53.   Da quanto sopra esposto consegue che la procedura prevista dal diritto nazionale non soddisfa nella fattispecie i requisiti previsti dall’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999. Non si sarebbe quindi dovuta applicare la norma francese che prescrive l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro i titoli di riscossione.

 

54.   Ciò premesso, non vi è bisogno di decidere se, in casi specifici, il giudice nazionale possa disporre la sospensione dell’esecuzione di titoli di riscossione a seguito della proposizione di ricorsi che non contengano addebiti mossi nei riguardi della decisione della Commissione.

 

55.   Occorre aggiungere, in tale contesto, che l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali non può essere considerato indispensabile al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva con riferimento al diritto comunitario.

 

56.   Una tutela di questo tipo è infatti già pienamente garantita mediante gli strumenti posti a disposizione dal Trattato CE, in questo caso, segnatamente, il ricorso di annullamento previsto dall’art. 230 CE.

 

57.   Si deve rammentare che, poiché la Comunità europea è una comunità di diritto nella quale le relative istituzioni sono soggette al controllo della conformità dei loro atti al Trattato e ai principi generali del diritto, il Trattato ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, affidandolo al giudice comunitario (v., in tal senso, sentenza 25 luglio 2002, causa C50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punti 38 e 40).

 

58.   Dalla giurisprudenza emerge che il beneficiario di un aiuto dichiarato incompatibile è legittimato a proporre ricorso d’annullamento ex art. 230, secondo comma, CE, anche qualora la decisione abbia come destinatario uno Stato membro (v., in tal senso, sentenze 17 settembre 1980, causa 730/79, Philip Morris/Commissione, Racc. pag. 2671, e 9 marzo 1994, causa C188/92, TWD Textilwerke Deggendorf, Racc. pag. I-833, punto 14).

 

59.   Per contro, il beneficiario di un aiuto dichiarato incompatibile, che avrebbe potuto impugnare la decisione della Commissione, non può contestare la legittimità della medesima dinanzi ai giudici nazionali nell’ambito di un ricorso proposto avverso i provvedimenti presi dalle autorità nazionali in esecuzione di questa decisione. Ammettere infatti che in circostanze del genere l’interessato possa, dinanzi al giudice nazionale, opporsi all’esecuzione della decisione comunitaria eccependo l’illegittimità di quest’ultima equivarrebbe a riconoscergli la possibilità di eludere il carattere definitivo della decisione nei suoi confronti dopo la scadenza del termine di ricorso previsto all’art. 230, quinto comma, CE (v., in tale senso, sentenze 9 marzo 1994, causa C-188/92, TWD Textilwerke Deggendorf, Racc. pag. I-833, punti 17 e 18, e 15 febbraio 2001, causa C239/99, Nachi Europe, Racc. pag. I-1197, punto 37).

 

60.   Ne discende che è da escludersi che si possa contestare, dinanzi a un giudice nazionale, la decisione della Commissione relativa al recupero delle somme dovute. Tale questione è riservata al Tribunale di primo grado delle Comunità europee, che la risolverà nell’ambito di un ricorso di annullamento dinanzi ad esso proposto. Orbene, dall’art. 242 CE emerge che, in mancanza di una decisione del Tribunale di primo grado di orientamento contrario, un siffatto ricorso è privo di effetto sospensivo.

 

61.   Sulla base di quanto precede, si deve dichiarare che la Repubblica francese, non avendo adottato entro il termine stabilito tutte le misure necessarie al fine di recuperare presso il loro beneficiario gli aiuti previsti dalla decisione 2002/14, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 249, quarto comma, CE nonché degli artt. 2 e 3 della detta decisione.

 

 Sulle spese

 

62.   Ai termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica francese, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)    La Repubblica francese, non avendo adottato entro il termine stabilito tutte le misure necessarie al fine di recuperare presso il loro beneficiario gli aiuti previsti dalla decisione della Commissione 12 luglio 2000, 2002/14/CE, relativa all’aiuto di Stato concesso dalla Francia a favore di Scott Paper SA/Kimberly-Clark, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 249, quarto comma, CE nonché degli artt. 2 e 3 della detta decisione.

 

2).   La Repubblica francese è condannata alle spese.

 


 

 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione)
del 26 ottobre 2006
(Causa C-371/04)

 

«Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei lavoratori – Impiego nel settore pubblico – Mancata presa in considerazione dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite in altri Stati membri – Artt. 10 CE e 39 CE – Art. 7, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1612/68»

 

Nella causa C371/04,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 30 agosto 2004,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. G. Rozet e A. Aresu, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Albenzio, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Seconda Sezione),

 

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, e dai sigg. R. Schintgen, P. Kūris, J. Klučka (relatore) e G. Arestis, giudici,

 

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

 

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

 

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 9 marzo 2006,

 

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° giugno 2006,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il ricorso in esame, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo preso in considerazione l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite in un altro Stato membro da un lavoratore comunitario dipendente nel settore del pubblico impiego italiano, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 10 CE, 39 CE e 7, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2; in prosieguo: il «regolamento»).

 

 Contesto normativo

 

2.    L’art. 7, n. 1, del regolamento dispone quanto segue:

 

«Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato».

 

 Procedimento precontenzioso

 

3.    In seguito ad una denuncia, la Commissione, con lettera 18 dicembre 2001, ha chiesto alla Repubblica italiana talune informazioni sulla situazione di un cittadino comunitario che ha insegnato in una scuola pubblica francese nell’ambito di un contratto di lavoro con un comitato d’assistenza scolastica italiana (in prosieguo: il «Coascit») e la cui esperienza professionale e la cui anzianità acquisite in Francia non sono state prese in considerazione, in seguito, in Italia. La detta domanda è rimasta senza risposta.

 

4.    Con lettere 25 marzo e 12 agosto 2002, la Commissione ha nuovamente richiesto alla Repubblica italiana informazioni sulla situazione del detto cittadino nonché su quella di altri denuncianti che si trovavano di fronte ad analoghi problemi di mancata presa in considerazione dell’esperienza professionale o dell’anzianità acquisita in un altro Stato membro. Più in generale, essa ha chiesto informazioni sulla normativa e sulla prassi amministrativa italiane in materia.

 

5.    Non avendo ottenuto risposta alle sue richieste e dopo aver diffidato, il 19 dicembre 2002, la Repubblica italiana ingiungendole di presentare le proprie osservazioni, la Commissione ha emesso, in data 15 marzo 2003, un parere motivato invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro due mesi dalla sua notifica.

 

6.    Non ritenendo soddisfacente la risposta al detto parere, la Commissione ha presentato il ricorso in esame.

 

 Sul ricorso

 

7.    A sostegno del suo ricorso, la Commissione fa valere due censure, l’una vertente sulla violazione dell’art. 10 CE, l’altra sulla violazione degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento.

 

 Sul motivo vertente sulla violazione dell’art. 10 CE

 

8.    Occorre ricordare, in via preliminare, che la Corte può esaminare d’ufficio se ricorrano i presupposti previsti dall’art. 226 CE per la proposizione di un ricorso per inadempimento (v., tra le altre, sentenze 31 marzo 1992, causa C362/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I2353, punto 8; 27 ottobre 2005, causa C525/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I9405, punto 8, e 4 maggio 2006, causa C98/04, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I4003, punto 16).

 

9.    In proposito si deve sottolineare che il procedimento precontenzioso ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato la possibilità di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario o di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (sentenza 2 febbraio 1988, causa 293/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 305, punto 13, e ordinanza 11 luglio 1995, causa C266/94, Commissione/Spagna, Racc. pag. I1975, punto 16). La regolarità di tale procedimento costituisce così una garanzia essenziale, prevista dal Trattato CE a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi. Solo quando tale garanzia è rispettata il procedimento in contraddittorio dinanzi alla Corte può consentire a quest’ultima di stabilire se lo Stato membro sia effettivamente venuto meno agli obblighi che la Commissione sostiene esso abbia violato (ordinanza Commissione/Spagna, cit., punti 17 e 18). In particolare, nel procedimento precontenzioso la lettera di diffida ha lo scopo di circoscrivere l’oggetto del contendere e di fornire allo Stato membro, invitato a presentare le sue osservazioni, i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa (sentenza 5 giugno 2003, causa C 145/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I5581, punto 17).

 

10.   Nel caso di specie, la lettera di diffida del 19 dicembre 2002 non menziona la censura vertente sulla violazione dell’art. 10 CE.

 

11.   Ne risulta che il ricorso in esame non è ricevibile nella parte in cui è diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del detto articolo.

 

 Sulla censura vertente sulla violazione degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento

 

12.   Facendo riferimento alle sentenze 15 gennaio 1998, causa C15/96, Schöning-Kougebetopoulou (Racc. pag. I47); 12 marzo 1998, causa C187/96, Commissione/Grecia (Racc. pag. I1095); 30 novembre 2000, causa C195/98, Österreichischer Gewerkschaftsbund (Racc. pag. I10497), e 12 maggio 2005, causa C278/03, Commissione/Italia (Racc. pag. I3747), la Commissione fa valere che il principio della parità di trattamento dei lavoratori comunitari, che deriva dagli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento, osta a che i periodi di impiego svolti da uno di tali lavoratori in un analogo settore di attività in uno Stato membro non siano presi in considerazione dall’amministrazione di un altro Stato membro nella determinazione delle condizioni d’esercizio dell’attività lavorativa, quali la retribuzione, il grado o la carriera, mentre si tenga conto dell’esperienza maturata nel pubblico impiego di quest’ultimo Stato.

 

13.   Alla luce di tale giurisprudenza, nella causa in esame la Repubblica italiana avrebbe violato le disposizioni in questione non avendo tenuto conto dell’esperienza e dell’anzianità acquisite in altri Stati membri da lavoratori dipendenti nel settore del pubblico impiego italiano, in particolare nei settori pubblici dell’istruzione e della sanità.

 

14.   Al contrario, il governo italiano sostiene che l’obbligo incombente alle autorità pubbliche di uno Stato membro di riconoscere, per determinati fini, periodi di lavoro svolti in precedenza in un altro Stato membro è subordinato alla presenza di due condizioni cumulative: da una parte, i settori delle attività svolte nei due Stati membri devono essere analoghi e, dall’altra, l’attività svolta nell’altro Stato membro dev’essere riconducibile al servizio pubblico.

 

15.   Orbene, se una persona che ha esercitato la sua attività lavorativa in un determinato settore pubblico è stata assunta nell’ambito di un contratto di lavoro di diritto privato, senza aver superato alcun concorso, la seconda condizione non sarebbe soddisfatta. Secondo il governo italiano, il riconoscimento dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite in un altro Stato membro dal lavoratore comunitario successivamente impiegato nel settore pubblico italiano è subordinato all’assunzione previo concorso, come accade in Italia.

 

16.   In proposito risulta da una giurisprudenza costante che, in forza dell’art. 39 CE, qualora, assumendo personale per posti che non rientrano nella sfera d’applicazione del n. 4 di tale disposizione, un ente pubblico di uno Stato membro stabilisca di prendere in considerazione le attività lavorative svolte in precedenza dai candidati presso una pubblica amministrazione, tale ente non può, nei confronti di cittadini comunitari, operare alcuna distinzione a seconda che tali attività siano state esercitate nello Stato membro cui appartiene il detto ente o in un altro Stato membro (v., in particolare, sentenze 23 febbraio 1994, causa C419/92, Scholz, Racc. pag. I505, punto 12; 12 maggio 2005, Commissione/Italia, cit., punto 14, e 23 febbraio 2006, causa C205/04, Commissione/Spagna, non pubblicata nella Raccolta, punto 14).

 

17.   Per quanto riguarda l’art. 7 del regolamento, occorre ricordare che tale articolo costituisce solamente una particolare espressione del principio di non discriminazione – sancito dall’art. 39, n. 2, CE – nel campo specifico delle condizioni di impiego e di lavoro e che, pertanto, esso deve essere interpretato allo stesso modo di quest’ultimo articolo (sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 15).

 

18.   Dall’insieme di tale giurisprudenza si evince che il rifiuto di riconoscere l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso un’amministrazione pubblica di un altro Stato membro da cittadini comunitari successivamente impiegati nel settore pubblico italiano, con la motivazione che i detti cittadini non avrebbero superato alcun concorso prima di esercitare la loro attività nel settore pubblico di tale altro Stato, non può essere ammesso dato che, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni, non tutti gli Stati membri assumono i dipendenti del loro settore pubblico in questo solo modo. La discriminazione può essere evitata solo tenendo conto dei periodi di attività analoga svolta nel settore pubblico di un altro Stato membro da una persona assunta conformemente alle condizioni locali.

 

19.   Parimenti, il fatto che un cittadino comunitario, come ad esempio quello all’origine della prima denuncia ricevuta dalla Commissione nella causa in esame, sia stato titolare di un contratto che lo vincolava al Coascit, è privo di incidenza, dato che non viene contestato che tale cittadino abbia esercitato la propria attività d’insegnamento, in forza di un siffatto contratto, nell’ambito del servizio pubblico francese dell’istruzione nazionale. La Repubblica italiana non ha contestato che tale attività sia stata esercitata dal cittadino in questione, in conformità alle disposizioni nazionali francesi.

 

20.   Pertanto, non può essere accolto nessuno degli elementi addotti dal governo italiano per giustificare il mancato riconoscimento dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite dal detto cittadino in un altro Stato membro.

 

21.   Di conseguenza, la censura vertente sulla violazione degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento deve essere considerata fondata, con la precisazione che, per quanto riguarda gli impieghi non rientranti nell’art. 39, n. 4, CE, il governo italiano, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, non aveva adottato le misure necessarie affinché fossero riconosciute l’esperienza professionale e l’anzianità acquisite in altri Stati membri da cittadini comunitari successivamente impiegati nel settore pubblico italiano.

 

22.   Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre constatare che la Repubblica italiana, non avendo tenuto conto dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso una pubblica amministrazione di un altro Stato membro da un lavoratore comunitario impiegato nel settore pubblico italiano, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento.

 

 Sulle spese

 

23.   Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1).   La Repubblica italiana, non avendo tenuto conto dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso una pubblica amministrazione di un altro Stato membro da un lavoratore comunitario impiegato nel settore pubblico italiano, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE e 7, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

 

2).   Per il resto, il ricorso è respinto.

 

3).   La Repubblica italiana è condannata alle spese.

 


 

 

Sentenza della Corte (Terza Sezione)
26 aprile 2007
(Causa C-135/05

 

«Inadempimento di uno Stato – Gestione dei rifiuti – Direttive 75/442/CEE, 91/689/CEE e 1999/31/CE»

 

Nella causa C135/05,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 22 marzo 2005,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. M. Konstantinidis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Terza Sezione),

 

composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J. Klučka (relatore), U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

 

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

 

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

 

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 gennaio 2007,

 

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:

 

–     er assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;

 

–     ffinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»);

 

–     ffinché tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;

 

–     ffinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e

 

–     affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), e dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182, pag. 1).

 

 Contesto normativo

 

 La direttiva 75/442

 

2.    L’art. 4 della direttiva 75/442 prevede quanto segue:

 

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (…)

 

(…)

 

Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».

 

3.    L’art. 8 della direttiva 75/442 impone agli Stati membri di adottare le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B di tale direttiva, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni di detta direttiva.

 

4.    ’art. 9, n. 1, della direttiva 75/442 dispone che, ai fini dell’applicazione, in particolare, dell’art. 4 della stessa direttiva, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni di smaltimento di rifiuti debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente incaricata di attuare le disposizioni di tale direttiva. L’art. 9, n. 2, precisa che dette autorizzazioni possono essere concesse per un periodo determinato, essere rinnovate, essere accompagnate da condizioni e obblighi, o essere rifiutate segnatamente quando il metodo di smaltimento previsto non è accettabile dal punto di vista della protezione dell’ambiente.

 

La direttiva 91/689

 

5.    L’art. 2 della direttiva 91/689 così dispone:

 

«1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per esigere che in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati.

 

(…)».

 

 La direttiva 1999/31

 

6.    Ai sensi dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva 1999/31:

 

«Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se (...)

 

a)    entro un anno dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1 [vale a dire entro il 16 luglio 2002], il gestore della discarica elabora e presenta all’approvazione dell’autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell’articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1;

 

b).   in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell’articolo 7, lettera g), e dell’articolo 13, le discariche che, in forza dell’articolo 8, non ottengono l’autorizzazione a continuare a funzionare;

 

c).   sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l’attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1 [ossia entro il 16 luglio 2009]».

 

7.    Ai sensi dell’art. 18, n. 1, della detta direttiva, gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa entro due anni a decorrere dalla sua entrata in vigore [vale a dire, entro il 16 luglio 2001] e ne informano immediatamente la Commissione.

 

 Procedimento precontenzioso

 

8.    A seguito di varie denunce, di interrogazioni parlamentari, di articoli di stampa, nonché della pubblicazione, avvenuta il 22 ottobre 2002, di un rapporto del Corpo forestale dello Stato (in prosieguo: il «CFS»), che evidenziava l’esistenza di un gran numero di discariche illegali e non controllate in Italia, la Commissione ha deciso di controllare l’osservanza da parte di detto Stato membro degli obblighi ad esso incombenti ai sensi delle direttive 75/442, 91/689 e 1999/31.

 

9.    Tale rapporto completava la terza fase di un procedimento avviato nel 1986 dal CFS al fine di contabilizzare le discariche illegali nei territori boschivi e montagnosi delle Regioni a statuto ordinario in Italia (vale a dire la totalità delle regioni italiane, eccetto il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta). Un primo censimento, avvenuto nel 1986, aveva riguardato 6 890 degli 8 104 comuni italiani e aveva consentito al CFS di accertare l’esistenza di 5 978 discariche illegali. Un secondo censimento, effettuato nel 1996, aveva riguardato 6 802 comuni e aveva rivelato al CFS l’esistenza di 5 422 discariche illegali. Dopo il censimento del 2002, il CFS ha ancora catalogato 4 866 discariche illegali, 1 765 delle quali non figuravano nei precedenti studi. Secondo il CFS, 705 tra le dette discariche abusive contenevano rifiuti pericolosi. Per contro, il numero delle discariche autorizzate era soltanto di 1 420.

 

10.   I risultati di quest’ultimo censimento sono riassunti dalla Commissione come segue:

 

Regione

Numero di discariche abusive

Superficie delle discariche abusive (m²)

Discariche attive/non attive

Discariche bonificate/non bonificate

Abruzzo

361

1 016 139

111 / 250

70 / 291

Basilicata

152

222 830

40 / 112

43 / 109

Calabria

447

1 655 479

81 / 366

19 / 428

Campania

225

445 222

40 / 185

37 / 188

Emilia Romagna

380

254 398

189 / 191

59 / 321

Lazio

426

663 535

120 / 306

110 / 316

Liguria

305

329 507

145 / 160

58 / 247

Lombardia

541

1 132 233

124 / 417

159 / 382

Marche

244

364 781

70 / 174

41 / 203

Molise

84

199 360

14 / 70

13 / 71

Piemonte

335

270 776

114 / 221

119 / 216

Puglia

599

3 861 622

440 / 159

37 / 562

Toscana

436

545 005

107 / 329

154 / 282

Umbria

157

71 510

33 / 124

61 / 96

Veneto

174

5 482 527

26 / 148

50 / 124

Totale

4 866

16 519 790

1 654 / 3 212

1 030 / 3 836

 

11.   Benché i dati forniti dal CFS riguardino soltanto le quindici regioni italiane a statuto ordinario, la Commissione dichiara di voler perseguire, nel procedimento in esame, la Repubblica italiana per la totalità delle discariche abusive esistenti sul suo territorio. Infatti, la Commissione disporrebbe di informazioni da cui risulterebbe che la situazione è analoga nelle regioni a statuto speciale.

 

12.   Detta istituzione rinvia, al riguardo, al piano di gestione dei rifiuti della Regione Siciliana, notificato alla Commissione il 4 marzo 2003 e al quale è allegato il piano di bonifica delle zone inquinate della regione in questione. Tale piano evidenzierebbe l’esistenza di numerose discariche abusive, di siti di rifiuti abbandonati, di depositi di rifiuti non autorizzati e di siti non specificati, di cui alcuni conterrebbero rifiuti pericolosi.

 

13.   o stesso varrebbe per le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Sardegna, in relazione alle quali la Commissione completa la descrizione della situazione complessiva in Italia mediante documenti ufficiali provenienti dalle autorità di dette regioni e mediante rapporti delle commissioni parlamentari di inchiesta, nonché attraverso articoli di stampa.

 

14.   A titolo di esempio, la Commissione menziona una discarica situata nella località «Cascina Corradina» nel comune di San Fiorano, che inizialmente ha costituito oggetto di un procedimento distinto, successivamente riunito al procedimento in esame ai fini del ricorso dinanzi alla Corte.

 

15.   In base a tutte queste informazioni la Commissione, conformemente all’art. 226 CE, con lettera dell’11 luglio 2003, ha invitato il governo italiano a presentare le sue osservazioni a tale riguardo.

 

16.   Non avendo ottenuto dalle autorità italiane alcuna informazione che consentisse di concludere che era stato posto fine agli inadempimenti addebitati, la Commissione, con lettera del 19 dicembre 2003, ha emanato un parere motivato, invitando la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi ad esso entro due mesi dalla sua notifica.

 

17.   La Commissione non ha ricevuto alcuna risposta al detto parere motivato. Di conseguenza, essa ha proposto il ricorso in esame.

 

 Sul ricorso

 

 Sulla ricevibilità

 

18.   Il governo italiano sostiene che il ricorso della Commissione dovrebbe essere dichiarato irricevibile a causa della genericità e dell’indeterminatezza dell’inadempimento addebitato, che impedirebbe a detto governo di presentare una difesa precisa tanto in fatto quanto in diritto. In particolare, la Commissione non avrebbe individuato i detentori o i gestori delle discariche né i proprietari dei siti sui quali i rifiuti sono stati abbandonati.

 

19.   La Commissione ritiene, per contro, di poter esaminare, in un unico procedimento, la questione dello smaltimento dei rifiuti sulla totalità del territorio italiano. Siffatto approccio, da essa qualificato «orizzontale», consentirebbe, da un lato, di individuare e di correggere più efficacemente i problemi strutturali sottesi all’asserito inadempimento della Repubblica italiana e, dall’altro, di alleggerire i sistemi di controllo del rispetto del diritto comunitario in materia ambientale. A questo proposito, la Commissione rinvia alle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed, relative alla causa C494/01, Commissione/Irlanda (sentenza 26 aprile 2005, Racc. pag. I3331).

 

20.   Anzitutto, occorre evidenziare che, fatto salvo l’obbligo della Commissione di soddisfare l’onere della prova gravante su di essa nell’ambito della procedura prevista dall’art. 226 CE, il Trattato CE non contiene alcuna norma che si opponga all’esame complessivo di un numero rilevante di situazioni, in base alle quali la Commissione ritenga che uno Stato membro sia stato inadempiente, in modo ripetuto e prolungato, agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto comunitario.

 

21.   i desume poi da costante giurisprudenza che una prassi amministrativa può costituire oggetto di un ricorso per inadempimento, qualora risulti in una certa misura costante e generale (v., specificamente, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

 

22.   Infine, occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato ricevibili ricorsi della Commissione proposti in contesti analoghi, in cui quest’ultima deduceva precisamente una violazione strutturale e generalizzata degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442 da parte di uno Stato membro (sentenza 6 ottobre 2005, causa C502/03, Commissione/Grecia, non pubblicata nella Raccolta) e una violazione di tali medesimi articoli, nonché dell’art. 14 della direttiva 1999/31 (sentenza 29 marzo 2007, causa C423/05, Commissione/Francia, non pubblicata nella Raccolta).

 

23.   i conseguenza, il ricorso della Commissione è ricevibile.

 

Nel merito

 

Sull’onere della prova

 

24.   Il governo italiano sostiene che le fonti di informazione sulle quali la ricorrente fonda il suo ricorso sarebbero prive di credibilità in quanto, da un lato, i rapporti del CFS non sono stati elaborati in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, che sarebbe l’unica autorità nazionale competente rispetto all’ordinamento giuridico comunitario, e, dall’altro, gli atti delle commissioni parlamentari di inchiesta o gli articoli di stampa costituirebbero non confessioni, ma soltanto fonti generiche di prova, la cui fondatezza dev’essere dimostrata da chi le invoca.

 

25.   La Commissione, al contrario, considera che i rapporti elaborati dal CFS costituiscono una fonte di informazioni affidabili e privilegiate in materia ambientale. Infatti, il CFS costituirebbe una forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile che ha il compito, in particolare, di difendere il patrimonio forestale italiano, di tutelare l’ambiente, il paesaggio e l’ecosistema, nonché di esercitare attività di polizia giudiziaria al fine di vigilare sul rispetto delle normative nazionali e internazionali in materia.

 

26.   A tale riguardo si deve ricordare che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari affinché questa accerti l’esistenza di siffatto inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (sentenza 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6).

 

27.   Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste, in particolare, ai sensi dell’art. 211 CE, nel vigilare sull’applicazione delle norme del Trattato, nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza dello stesso Trattato (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

 

28.   In una simile prospettiva, si deve tener conto del fatto che, nel verificare la corretta applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire la concreta attuazione di direttive, tra cui quelle adottate nel settore dell’ambiente, la Commissione, che non dispone di propri poteri di indagine in materia, dipende in ampia misura dagli elementi forniti da eventuali denuncianti, da organizzazioni private o pubbliche attive sul territorio dello Stato membro interessato, nonché da questo stesso Stato membro (v., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

 

29.   tal riguardo, i rapporti elaborati dal CFS e da commissioni parlamentari d’inchiesta o documenti ufficiali provenienti, in particolare, da autorità regionali possono essere considerati, quindi, come valide fonti d’informazione per l’avvio, da parte della Commissione, del procedimento di cui all’art. 226 CE.

 

30.   Ne discende, in particolare, che, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far emergere determinati fatti verificatisi sul territorio dello Stato membro convenuto, spetta a quest’ultimo confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti dalla Commissione e le conseguenze che ne derivano (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

 

31.   In simili circostanze, infatti, spetta innanzi tutto alle autorità nazionali effettuare i controlli in loco necessari, in uno spirito di cooperazione leale, conformemente al dovere di ogni Stato membro, ricordato al punto 27 della presente sentenza, di facilitare l’adempimento del compito generale della Commissione (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

 

32.   Pertanto, quando la Commissione si richiama a denunce circostanziate, dalle quali emergono ripetuti inadempimenti alle disposizioni della direttiva, spetta allo Stato membro interessato confutare in modo concreto i fatti affermati in tali denunce. Del pari, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far risultare che le autorità di uno Stato membro hanno posto in essere una prassi reiterata e persistente contraria alle disposizioni di una direttiva, spetta a tale Stato membro confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti, nonché le conseguenze che ne derivano (sentenza Commissione/Irlanda, cit., punti 46 e 47, nonché giurisprudenza ivi citata). Tale obbligo incombe agli Stati membri in virtù del dovere di leale cooperazione, enunciato all’art. 10 CE, durante tutto il procedimento di cui all’art. 226 CE. Orbene, risulta dal fascicolo che le autorità italiane non hanno cooperato pienamente con la Commissione ai fini dell’istruzione della presente causa nella fase del procedimento precontenzioso.

 

 Sulla violazione degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva 1999/31

 

–     Argomenti delle parti

 

33.   Per confutare le censure dedotte dalla Commissione, il governo italiano, fondandosi sulle informazioni che ha potuto ottenere presso le amministrazioni regionali, provinciali, nonché presso il Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri, sostiene anzitutto che i dati forniti dalla Commissione sono inconsistenti e non corrispondono alla situazione reale in Italia. Esso contesta, in particolare, il numero di «discariche abusive» censite dalla Commissione in quanto quest’ultima, in primo luogo, avrebbe conteggiato talune discariche più volte, in secondo luogo, avrebbe qualificato come discariche abusive semplici depositi o siti con rifiuti in abbandono, di cui una parte starebbe per essere bonificata o in cui i rifiuti sarebbero già stati rimossi e, in terzo luogo, avrebbe travisato il loro grado di pericolosità, poiché la maggior parte di tali discariche sarebbe sotto controllo o sotto sequestro.

 

34.   Il governo italiano ricorda, poi, i progressi recenti che la Repubblica italiana ha realizzato nell’attuazione degli obblighi derivanti dalle direttive 75/442, 91/689 e 1999/31.

 

35.   La Commissione sostiene, in primo luogo, che il governo italiano non fornisce informazioni in senso contrario, provenienti da una fonte di livello paragonabile alle proprie. In secondo luogo, benché la Commissione prenda atto del fatto che i rifiuti sono stati rimossi da talune discariche, essa sostiene che le situazioni che stanno per essere regolarizzate sono in numero notevolmente minore di quelle per le quali le autorità nazionali non hanno avviato alcuna azione per rimediare al loro carattere abusivo.

 

–     Giudizio della Corte

 

36.   Anzitutto, risulta da giurisprudenza costante che l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi, quand’anche essi costituiscano un’attuazione corretta delle norme di diritto comunitario che sono oggetto del ricorso per inadempimento (v., in tal senso, sentenze 11 ottobre 2001, causa C111/00, Commissione/Austria, Racc. pag. I7555, punti 13 e 14; 30 gennaio 2002, causa C103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I1147, punto 23; 28 aprile 2005, causa C157/04, Commissione/Spagna, non pubblicata nella Raccolta, punto 19; e 7 luglio 2005, causa C214/04, Commissione/Italia, non pubblicata nella Raccolta, punto 14).

 

37.   Successivamente, per quanto riguarda più specificamente la valutazione della violazione da parte di uno Stato membro dell’art. 4 della direttiva 75/442, occorre ricordare che quest’ultimo prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, senza peraltro precisare il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare tale obiettivo. Tuttavia, ciò non toglie che tale disposizione vincola gli Stati membri quanto all’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenza 9 novembre 1999, causa C365/97, Commissione/Italia, detta «San Rocco», Racc. pag. I7773, punto 67). Non è quindi possibile, in via di principio, dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4 di tale direttiva che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione. Nondimeno, è pacifico che la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno abusato del potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro (sentenza San Rocco, cit., punti 67 e 68).

 

38.   A tale riguardo, occorre constatare che la fondatezza delle censure addebitate alla Repubblica italiana risulta chiaramente dal fascicolo. Infatti, benché le informazioni fornite da tale governo abbiano permesso di constatare che il rispetto in Italia degli obiettivi previsti dalle disposizioni del diritto comunitario che costituiscono l’oggetto dell’inadempimento è migliorata nel corso del tempo, tali informazioni rivelano tuttavia che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, persisteva una generale mancanza di conformità delle discariche a siffatte disposizioni.

 

39.   Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 4 della direttiva 75/442, è pacifico che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, vi era sul territorio italiano un considerevole numero di discariche in cui i gestori non avevano garantito il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti in modo tale da non mettere in pericolo la salute dell’uomo e da non utilizzare procedimenti o metodi che potessero recare pregiudizio all’ambiente, nonché un considerevole numero di siti di smaltimento incontrollato di rifiuti. A titolo d’esempio, come risulta dall’allegato 1 alla controreplica del governo italiano, quest’ultimo ha ammesso l’esistenza, constatata durante un controllo a livello locale a seguito del censimento effettuato dal CFS, di 92 siti interessati da abbandono di rifiuti nella Regione Abruzzo.

 

40.   L’esistenza di una tale situazione per un periodo prolungato di tempo ha necessariamente per conseguenza un degrado rilevante dell’ambiente.

 

41.   Quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 8 della direttiva 75/442, è accertato che, alla scadenza del termine impartito, le autorità italiane non hanno garantito che i detentori di rifiuti procedessero essi stessi allo smaltimento o al recupero dei rifiuti o li consegnassero ad un raccoglitore o ad un’impresa incaricata di effettuare tali operazioni, conformemente alle disposizioni della direttiva 75/442. A tale riguardo, risulta dall’allegato 3 alla controreplica del governo italiano che le autorità italiane hanno recensito almeno 9 siti con tali caratteristiche nella Regione Umbria e 31 nella Regione Puglia, in provincia di Bari.

 

42.   Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 9 della direttiva 75/442, non è contestato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, numerose discariche erano in funzione senza aver ottenuto l’autorizzazione delle autorità competenti. Lo testimoniano, in particolare, così come risulta chiaramente dall’allegato 3 alla controreplica del governo italiano, i casi di abbandono di rifiuti già menzionati ai punti 39 e 41 della presente sentenza, ma anche la presenza di almeno 14 discariche abusive nella Regione Puglia, in provincia di Lecce.

 

43.   Per quanto riguarda la censura relativa al fatto che le autorità italiane non hanno garantito la catalogazione o l’identificazione dei rifiuti pericolosi in ogni discarica o luogo in cui questi ultimi fossero depositati, ossia quella relativa alla violazione dell’art. 2 della direttiva 91/689, è sufficiente rilevare che il governo di detto Stato membro non presenta argomenti e prove specifiche al fine di contraddire le affermazioni della Commissione. In particolare, esso non nega l’esistenza sul suo territorio, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non sono quindi sottoposti ad alcuna misura di controllo. Ne consegue che le autorità italiane non possono conoscere il flusso di rifiuti pericolosi depositati in tali discariche e che, pertanto, l’obbligo di catalogarli ed identificarli non è stata rispettato.

 

44.   Infine, ciò vale anche per la censura relativa alla violazione dell’art. 14 della direttiva 1999/31. Nella fattispecie, il governo italiano ha segnalato esso stesso che 747 discariche che si trovano sul proprio territorio nazionale avrebbero dovuto costituire oggetto di un piano di riassetto. Orbene, l’esame dell’insieme dei documenti forniti in allegato alla controreplica del governo italiano rivela che, alla scadenza del termine impartito, tali piani erano stati presentati solo per 551 discariche e che solo 131 piani erano stati approvati dalle competenti autorità. Peraltro, così come giustamente fa notare la Commissione, detto governo non ha precisato quali fossero le azioni intraprese per quanto riguarda le discariche i cui piani di riassetto non erano stati approvati.

 

45.   Ne consegue che la Repubblica italiana è venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva 1999/31. Di conseguenza, il ricorso della Commissione è fondato.

 

46.   Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre dichiarare che, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:

 

–     per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;

 

–     affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva 75/442;

 

–     affinché tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;

 

–     affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e

 

–     affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, dell’art. 2, n. 1, della direttiva 91/689 e dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva 1999/31.

 

 Sulle spese

 

47    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)    Non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari:

 

–     per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;

 

–     affinché ogni detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero, oppure provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento conformandosi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE;

 

–     affinché tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento siano soggetti ad autorizzazione dell’autorità competente;

 

–     affinché in ogni luogo in cui siano depositati (messi in discarica) rifiuti pericolosi, questi ultimi siano catalogati e identificati; e

 

–     affinché, in relazione alle discariche che hanno ottenuto un’autorizzazione o erano già in funzione alla data del 16 luglio 2001, il gestore della discarica elabori e presenti per l’approvazione dell’autorità competente, entro il 16 luglio 2002, un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni relative alle condizioni per l’autorizzazione e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie; e affinché, in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottino una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni, facendo chiudere al più presto le discariche che non ottengano l’autorizzazione a continuare a funzionare, o autorizzando i necessari lavori e stabilendo un periodo di transizione per l’attuazione del piano,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e dell’art. 14, lett. a)c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti.

 

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese


 

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 24 maggio 2007
(Causa C
394/05)

 

Ricorso per inadempimento – Esame della Corte nel merito – Situazione da prendere in considerazione – Situazione alla scadenza del termine fissato dal parere motivato (Art. 226 CE) (v. punto 25)

 

Oggetto

 

 Inadempimento di uno Stato – Violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso (GU L 269, pag. 34) 

 

 

Dispositivo

 

1) La Repubblica italiana, avendo adottato il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, che traspone in diritto nazionale le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso, in maniera non conforme a quest’ultima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 3, n. 5, 5, n. 1, 7, n. 2, lett. a), secondo comma, nonché 8, nn. 3 e 4, di tale direttiva.

 

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.


 

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 luglio 2007
(CausaC-134/05)

 

«Inadempimento di uno Stato – Libera prestazione dei servizi – Diritto di stabilimento – Recupero crediti in via stragiudiziale»

 

Nella causa C134/05,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 22 marzo 2005,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. E. Traversa, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Prima Sezione),

 

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász, K. Schiemann e E. Levits (relatore), giudici,

 

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

 

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

 

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 5 ottobre 2006,

 

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 dicembre 2006,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee ha chiesto alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo sottoposto l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale ad una serie di condizioni, è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE.

 

 Contesto normativo

 

2.    Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, adottato mediante regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146, del 23 giugno 1931; in prosieguo: il «testo unico»), dispone quanto segue.

 

3.    Ai sensi dell’art. 115 del testo unico:

 

«Non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l’oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del Questore.

 

La licenza è necessaria anche per l’esercizio del mestiere di sensale o di intromettitore.

 

Tra le agenzie indicate in questo articolo sono comprese le agenzie per la raccolta di informazioni a scopo di divulgazione mediante bollettini od altri simili mezzi.

 

La licenza vale esclusivamente pei locali in essa indicati.

 

È ammessa la rappresentanza».

 

4.    L’art. 8 del testo unico è così formulato:

 

«Le autorizzazioni di polizia sono personali: non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge.

 

Nei casi in cui è consentita la rappresentanza nell’esercizio di un’autorizzazione di polizia, il rappresentante deve possedere i requisiti necessari per conseguire l’autorizzazione e ottenere la approvazione dell’autorità di pubblica sicurezza che ha conceduto l’autorizzazione».

 

5.    L’art. 9 del testo unico prevede quanto segue:

 

«Oltre le condizioni stabilite dalla legge, chiunque ottenga un’autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni, che l’autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse».

 

6.    L’art. 11 del testo unico stabilisce che:

 

«Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

 

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

 

2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

 

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

 

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione».

 

7.    L’art. 16 del testo unico dispone che:

 

«Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza hanno facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all’esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia e di assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalla legge, dai regolamenti o dall’Autorità».

 

8.    L’art. 120 del testo unico è così formulato:

 

«Gli esercenti le pubbliche agenzie indicate negli articoli precedenti sono obbligati a tenere un registro giornale degli affari, nel modo che sarà determinato dal regolamento, ed a tenere permanentemente affissa nei locali dell’agenzia, in modo visibile, la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.

 

Tali esercenti non possono fare operazioni diverse da quelle indicate nella tabella predetta, ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa (…)».

 

9.    La circolare del Ministero degli Interni 2 luglio 1996, n. 559/C 22103.12015 (in prosieguo: la «circolare»), indirizzata a tutti i questori dello Stato italiano, completa ed interpreta talune disposizioni del testo unico.

 

10.Tale circolare afferma, fra l’altro, che, per evitare eccessive differenze tra le tariffe praticate in una stessa provincia, occorre fissare parametri oggettivi ed omogenei.

 

11.   Per quanto riguarda la compatibilità dell’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale con quello di altre attività sottoposte a diversa regolamentazione, la circolare precisa che «debbono ritenersi non consentite alle suddette agenzie [di recupero crediti] le operazioni finanziarie disciplinate dal [decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (Supplemento ordinario alla GURI n. 230 del 30 settembre 1993; in prosieguo: la “legge sulle attività bancarie e creditizie”)] che sono riservate esclusivamente agli intermediari finanziari iscritti in apposito albo tenuto dal Ministero del Tesoro».

 

Procedimento precontenzioso

 

12.   La Commissione, ritenendo talune disposizioni del testo unico, come precisate e completate dalla circolare, incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE, il 21 marzo 2002 ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica italiana.

 

13.   Pur negando l’esistenza di una violazione degli articoli summenzionati del Trattato CE, le autorità italiane hanno risposto che un gruppo di lavoro era stato incaricato di approfondire la disciplina in causa, nell’intento di pervenire ad una revisione della stessa.

 

14.   Dopo aver chiesto alle citate autorità di trasmetterle i risultati dei lavori del predetto gruppo, la Commissione ha ricevuto, nel corso del maggio 2004, una lettera in cui si annunciava la predisposizione di un disegno di legge per attuare una revisione della normativa in parola.

 

15.   Tuttavia, non avendo ricevuto comunicazione né del testo né del calendario di adozione di tale disegno di legge, il 7 luglio 2004 la Commissione ha emesso un parere motivato, invitando la Repubblica italiana a conformarsi a tale parere nel termine di due mesi dal ricevimento dello stesso. Ritenendo persistesse una situazione insoddisfacente, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

 

 Sul ricorso

 

16.   A sostegno del suo ricorso, la Commissione fa valere otto censure relative alle condizioni e agli obblighi previsti dalla normativa in vigore in Italia per l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale in tale Stato membro.

 

17.Tali censure si riferiscono, rispettivamente, a quanto segue:

 

–     incompatibilità con l’art. 49 CE della condizione relativa al rilascio di un’autorizzazione da parte del questore;

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione territoriale dell’autorizzazione;

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE dell’obbligo di disporre di locali nel territorio oggetto dell’autorizzazione;

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE dell’obbligo di conferimento di un mandato ad un rappresentante autorizzato per l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale in una provincia per la quale l’operatore non dispone di autorizzazione;

 

–     incompatibilità con l’art. 49 CE dell’obbligo di affissione, nei locali, delle prestazioni che possono essere effettuate per i clienti;

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della facoltà, spettante al questore, d’imporre prescrizioni aggiuntive dirette a garantire il rispetto della sicurezza pubblica nell’interesse generale;

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione della libertà di fissare le tariffe; e

 

–     incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del divieto di esercitare allo stesso tempo le attività oggetto della legge sulle attività bancarie e creditizie.

 

 Sulla prima censura, relativa all’incompatibilità con l’art. 49 CE della condizione relativa al rilascio di una licenza da parte del questore

 

 Argomenti delle parti

 

18.   La Commissione sostiene che la normativa italiana, subordinando l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale al rilascio di una licenza da parte del questore, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi. Siffatta restrizione non sarebbe compatibile con l’art. 49 CE, in quanto essa si applica agli operatori stabiliti in altro Stato membro, senza che sia preso in considerazione l’adempimento, da parte di tali operatori, degli obblighi previsti dalla normativa del loro Stato membro d’origine per tutelare l’interesse pubblico.

 

19.   A tal proposito, la Repubblica italiana afferma innanzitutto che l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale è di rilevante interesse pubblico. Siffatta circostanza sarebbe idonea a giustificare che l’art. 115 del testo unico imponga, sia ai cittadini italiani sia a quelli di altri Stati membri, di disporre di un’autorizzazione per poter esercitare l’attività in parola. L’autorizzazione di cui trattasi è rilasciata dal questore.

 

20.   Lo Stato membro in parola precisa successivamente che la normativa nazionale si applica nello stesso modo ai cittadini italiani e ai cittadini appartenenti ad altri Stati membri e non è minimamente basata su condizioni, quali la residenza, che potrebbero condurre a discriminazioni indirette dei cittadini di altri Stati membri rispetto ai cittadini italiani. Tale Stato membro insiste, inoltre, sulla circostanza che né l’art. 115 del testo unico né la circolare prevedono, neppure implicitamente, che non si debba tenere conto della situazione giuridica dell’interessato nel suo Stato membro d’origine nell’ambito della procedura di rilascio dell’autorizzazione.

 

21.   In pratica, la situazione sarebbe la seguente: chiunque intenda esercitare un’attività di recupero crediti in via stragiudiziale, di agenzia di pubblici incanti, di pubbliche relazioni o di agenzia matrimoniale deve presentare al questore una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 115 del testo unico. Tale domanda è presentata depositando un modulo, disponibile su Internet, di cui un esemplare è stato esibito alla Corte nell’udienza del 5 ottobre 2006, con cui l’interessato dichiara, in sostanza, di non versare nelle condizioni ostative previste dall’art. 11 del testo unico.

 

22.   Conformemente all’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (GURI del 18 agosto 1990, n. 192, pag. 7), la dichiarazione di cui trattasi viene esaminata entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta di autorizzazione. In caso di assenza di elementi tali da far dubitare il questore dell’esattezza della dichiarazione in parola, l’autorizzazione è rilasciata. In caso contrario, si procede alle verifiche ritenute necessarie. A tal fine, il questore si rivolge, se del caso, alle autorità dello Stato membro di origine del richiedente. Le informazioni o documenti forniti in siffatta occasione da queste ultime sono presi in considerazione senza ulteriori verifiche e senza avanzare dubbi di sorta a loro riguardo.

 

Giudizio della Corte

 

23.   Occorre innanzi tutto constatare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, una normativa nazionale che subordina l’esercizio di prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro al rilascio di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 7 ottobre 2004, causa C189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I9289, punto 17, e 21 settembre 2006, causa C168/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I9041, punto 40).

 

24.   Pertanto, una normativa quale quella in discussione nella presente causa è contraria, in via di principio, all’art. 49 CE e, di conseguenza, vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata, segnatamente, da motivi imperativi d’interesse generale.

 

25      A tale proposito, giova ricordare che la Corte ha statuito che, escludendo che si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero è già assoggettato nello Stato membro nel quale è stabilito, una normativa nazionale eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di garantire uno stretto controllo sulle attività di cui trattasi (sentenze 29 aprile 2004, causa C171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I5645, punto 60, e Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18).

 

26.   Va osservato che, in udienza, la Repubblica italiana ha illustrato con precisione la prassi seguita nei casi di rilascio dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 115 del testo unico. Tale prassi, descritta ai punti 21 e 22 della presente sentenza, si limita in realtà a chiedere all’interessato di presentare, tramite un modulo disponibile su Internet, una semplice dichiarazione di «buona condotta» ai sensi dell’art. 11 del testo unico, il cui contenuto l’autorità competente deve verificare entro 30 giorni.

 

27.   L’esistenza della prassi così descritta non è stata posta in dubbio dalla Commissione durante l’udienza, e la Corte non ha a disposizione alcun elemento idoneo a sollevare dubbi sull’effettiva esistenza di detta prassi.

 

28.   Considerando che il modulo in questione è disponibile, in particolare, su Internet, il sistema di rilascio di autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale può essere ritenuto dotato di adeguata pubblicità.

 

29.   Orbene, la richiesta di una dichiarazione di «buona condotta» ai sensi dell’art. 11 del testo unico è di gran lunga meno impegnativa di quella di fornire determinati documenti all’autorità competente. Dal momento che è onere del prestatore dei servizi dichiarare di non trovarsi in una delle posizioni descritte nell’articolo in parola, senza che si distingua fra la posizione di soggetti stabiliti in Italia e quella di soggetti stabiliti in altri Stati membri, non si può sostenere che la procedura di cui trattasi non tenga conto dell’adempimento, da parte di tali prestatori, di obblighi previsti dalla normativa del loro Stato d’origine.

 

30.   Di conseguenza, non si può ritenere che la prassi italiana ecceda quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di garantire uno stretto controllo sulle attività di recupero crediti in via stragiudiziale. Tale prassi, pertanto, è conforme al principio di proporzionalità.

 

31.   Da quanto precede risulta che la condizione relativa al previo rilascio di un’autorizzazione, imposta per l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale, quale prevista dalla normativa italiana e realizzata nella prassi, è giustificata in virtù di motivi connessi all’interesse generale.

 

32.   Per tali ragioni, la prima censura della Commissione è infondata.

 

 Sulla sesta censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della facoltà spettante al questore d’imporre prescrizioni aggiuntive dirette a garantire il rispetto della sicurezza pubblica nell’interesse generale

 

 Argomenti delle parti

 

33.   La Commissione è dell’avviso che la circostanza che il questore, in forza dell’art. 9 del testo unico, possa imporre prescrizioni aggiuntive a quelle previste dalla legge, non previamente note agli operatori interessati, dirette a garantire il rispetto della sicurezza pubblica nell’interesse generale, violi gli artt. 43 CE e 49 CE.

 

34.   Per quanto riguarda le prescrizioni in parola, richiamate nella parte intitolata «Avvertenze» del modulo menzionato al punto 21 della presente sentenza, la Repubblica italiana osserva che, poiché la discrezionalità dell’amministrazione è nettamente circoscritta dall’art. 11 del testo unico, le prescrizioni di cui all’art. 9 del testo unico sono marginali e residuali. Di conseguenza, esse non sarebbero tali da scoraggiare realmente eventuali interessati dall’operare in Italia. Inoltre, tenuto conto di circostanze mutevoli ed imprevedibili, è inevitabile che l’amministrazione possa trovarsi nella necessità di compiere valutazioni particolari, caso per caso. Pertanto, pretendere che la legge preveda in maniera rigorosa tutti i criteri ai quali l’amministrazione debba attenersi sarebbe eccessivo.

 

 Giudizio della Corte

 

35.   È indubbio, come affermato dalla Repubblica italiana, che l’autorità nazionale di pubblica sicurezza deve poter godere di un certo potere discrezionale per valutare le situazioni caso per caso e che può essere obbligata ad imporre prescrizioni ai titolari di autorizzazioni di polizia senza che dette prescrizioni possano essere stabilite anticipatamente.

 

36.   Come risulta dal dettato stesso dell’art. 9 del testo unico, esso prevede che chiunque abbia ottenuto un’autorizzazione di polizia deve osservare le prescrizioni che l’autorità di pubblica sicurezza ritenga di imporgli nel pubblico interesse.

 

37.   Benché tale disposizione non precisi le condizioni alle quali un individuo può essere soggetto nell’esercizio di un’attività di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia, la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di una situazione d’incertezza del diritto tale da pregiudicare l’accesso al mercato italiano dei servizi di recupero crediti in via stragiudiziale.

 

38.   La Commissione, infatti, non ha presentato alcun esempio di esercizio della detta discrezionalità sulla cui base si possa sostenere che sarebbero ostacolati lo stabilimento in Italia di imprese che vi intendano svolgere attività di recupero crediti in via stragiudiziale e lo svolgimento di siffatte attività in Italia da parte di un’impresa stabilita in un altro Stato membro.

 

39.   Orbene, l’esistenza di un ostacolo alle libertà di circolazione e di stabilimento non può essere dedotta dalla sola circostanza che un’autorità nazionale dispone del potere d’integrare il quadro normativo che, in un dato momento, disciplina un’attività economica assoggettando ulteriormente detta attività a condizioni aggiuntive.

 

40.   Da quanto precede risulta che anche la sesta censura della Commissione è infondata.

 

Sulla terza censura (in parte) e sulla quinta censura, relative all’incompatibilità con l’art. 49 CE degli obblighi di disporre di locali nel territorio oggetto dell’autorizzazione e di affiggervi le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti

 

 Argomenti delle parti

 

41.   La Commissione rileva che l’obbligo di disporre di un locale nel territorio oggetto dell’autorizzazione, che discende dall’art. 115, quarto comma, del testo unico, equivale ad esigere che l’operatore vi si stabilisca, il che, secondo giurisprudenza ben consolidata della Corte, sarebbe radicalmente contrario al principio della libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE. A parere della Commissione, da quanto precede si deduce che l’obbligo connesso di affiggere in tale locale l’elenco delle prestazioni che possono essere effettuate per i clienti, imposto dall’art. 120 del testo unico, è anch’esso contrario all’art. 49 CE.

 

42.   La Repubblica italiana osserva che l’obbligo di disporre di un locale nel territorio oggetto dell’autorizzazione è giustificato dalla necessità di consentire, nell’interesse generale, all’autorità di pubblica sicurezza di accedere, a fini di controllo, ai documenti relativi alle operazioni effettuate in Italia. Pertanto, l’obbligo connesso, relativo all’affissione dell’elenco delle prestazioni che possono essere effettuate, previsto per tutte le agenzie pubbliche le cui attività sono soggette al rilascio di un’autorizzazione, sarebbe altresì compatibile con la libera prestazione dei servizi garantita dal Trattato.

 

Giudizio della Corte

 

43.   Occorre innanzi tutto ricordare che, secondo giurisprudenza costante, la condizione in base alla quale il prestatore di servizi deve avere la sua sede di attività nello Stato membro ove il servizio è fornito è direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (sentenza 14 dicembre 2006, causa C257/05, Commissione/Austria, non pubblicata nella Raccolta, punto 21 e giurisprudenza ivi citata). Del resto, la Repubblica italiana non nega che l’obbligo di disporre di un locale nel territorio oggetto dell’autorizzazione costituisca un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE.

 

44.   Orbene, siffatto ostacolo non può essere giustificato dallo scopo invocato dalla Repubblica italiana.

 

45.   Secondo giurisprudenza costante della Corte, infatti, misure restrittive della libera prestazione dei servizi possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale solamente ove dette misure risultino necessarie ai fini della tutela degli interessi perseguiti e in quanto tali obiettivi non possano essere conseguiti con provvedimenti meno restrittivi (v., in questo senso, sentenza 14 dicembre 2006, Commissione/Austria, cit., punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

 

46.   Orbene, il controllo sulle attività delle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale e sui loro documenti relativi alle operazioni effettuate in Italia non è per nulla condizionato dall’esistenza di un locale di cui dette agenzie dovrebbero disporre in tale Stato membro. Allo stesso modo, le prestazioni effettuate dalle agenzie in questione possono essere portate a conoscenza dei clienti con modalità meno gravose dell’affissione in locali realizzati, fra l’altro, a tal fine, quali la pubblicazione in un giornale locale o una pubblicità adeguata.

 

47.   Occorre quindi constatare che, avendo previsto l’obbligo per i soggetti che intendono esercitare attività di recupero crediti in via stragiudiziale di disporre di locali nel territorio oggetto dell’autorizzazione e di affiggere nei locali in parola le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 49 CE.

 

 Sulla seconda e sulla quarta censura, relative all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione territoriale dell’autorizzazione ad esercitare l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale e dell’obbligo di conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato per l’esercizio di tale attività in una provincia per la quale l’operatore non dispone di autorizzazione, nonché sulla terza censura, nella parte relativa all’incompatibilità con l’art. 43 CE dell’obbligo di disporre di un locale in ogni provincia

 

 Argomenti delle parti

 

48.   La Commissione ritiene che la circostanza che l’autorizzazione rilasciata dal questore sia valida soltanto nella provincia sottoposta alla sua autorità costituisca una restrizione sia della libertà di stabilimento, sia della libera prestazione dei servizi. Dato che il territorio italiano è suddiviso in 103 province, la quantità di autorizzazioni da ottenere per poter esercitare l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale sull’insieme del territorio italiano rappresenterebbe un ostacolo quasi insormontabile per un operatore economico di un altro Stato membro.

 

49.   Secondo la Commissione, tale restrizione, da cui derivano conseguenze sia quanto alla rappresentanza, sia quanto ai locali di cui l’operatore deve disporre in ogni provincia, non risulterebbe giustificata da preminenti ragioni di interesse pubblico, segnatamente una maggiore efficacia del controllo sulle attività di cui trattasi.

 

50.   La Commissione, infatti, sostiene che tale controllo possa essere organizzato a livello nazionale, effettuando eventualmente taluni controlli a livello locale, ma senza che sia necessario imporre agli operatori di disporre di un’autorizzazione per ogni provincia in cui esercitino le loro attività. Inoltre, il controllo in parola potrebbe essere operato in modo efficace mediante uno scambio di informazioni fra le autorità di pubblica sicurezza delle varie province in cui gli operatori intendano esercitare le loro attività.

 

51.   La Commissione dubita per di più dell’idoneità del regime italiano a raggiungere l’obiettivo perseguito, dal momento che il numero di enti amministrativi coinvolti, in considerazione del complesso delle autorizzazioni necessarie, nonché il numero di locali da controllare per uno stesso operatore si potrebbero rivelare controproducenti ai fini di un controllo efficace.

 

52.   La Repubblica italiana critica il punto di vista della Commissione. Tenuto conto, infatti, della sua natura specifica, l’attività di cui trattasi sarebbe legata alle condizioni economiche locali. Risulterebbe pertanto indispensabile che il questore, prima del rilascio di un’autorizzazione, valuti la situazione nel territorio di sua competenza. Se le autorizzazioni avessero una validità geograficamente più estesa del territorio della provincia per cui sono richieste, la valutazione in parola non potrebbe avvenire in un’altra provincia ove la situazione potrebbe essere diversa.

 

53.   La Repubblica italiana afferma inoltre che, una volta ammesso che l’attività in esame possa essere controllata da un’autorità di pubblica sicurezza, il che non è negato dalla Commissione, non compete né a quest’ultima né alla Corte stabilire le modalità tecniche concrete attraverso le quali tale controllo debba essere effettuato.

 

54.   Per quanto riguarda il numero di enti coinvolti nel detto controllo, la Repubblica italiana non vede come tale circostanza possa influire sulla valutazione dell’idoneità di un sistema di controllo a conseguire il suo scopo.

 

55.   La Repubblica italiana conclude che il sistema delle autorizzazioni territoriali è giustificato da preminenti ragioni di interesse pubblico ed è proporzionato rispetto allo scopo perseguito, pur essendo ipotizzabili anche altri sistemi.

 

 Giudizio della Corte

 

56      Ai sensi della normativa in esame, un’agenzia può esercitare attività di recupero crediti in via stragiudiziale solamente nella provincia per la quale sia stata ad essa rilasciata un’autorizzazione, salvo conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato per l’esercizio di tali attività in un’altra provincia. Inoltre, un’agenzia può ottenere un’autorizzazione per l’esercizio di dette attività in altre province solamente qualora disponga di un locale in ognuna di esse.

 

57.   Benché tali norme si applichino in maniera identica agli operatori stabiliti in una provincia italiana ed interessati ad estendere le loro attività in altre province e agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono esercitare le loro attività in più province italiane, esse costituiscono nondimeno, per gli operatori non stabiliti in Italia, un serio ostacolo all’esercizio delle loro attività in tale Stato membro, pregiudicandone l’accesso al mercato.

 

58.   Poiché, infatti, le disposizioni di cui trattasi impongono ad un operatore proveniente da un altro Stato membro e che intenda esercitare le sue attività in più province italiane, di non limitarsi ad un solo stabilimento nel territorio italiano, ma di disporre di locali in ognuna di tali province, salvo conferire un mandato ad un rappresentante autorizzato, dette disposizioni lo collocano in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani attivi in Italia che hanno già un locale in almeno una delle province in questione e per i quali, di regola, risulta più facile che per gli operatori stranieri stabilire contatti con operatori autorizzati ad esercitare in altre province al fine di conferire loro, eventualmente, un mandato con rappresentanza (v., in questo senso, sentenza 5 ottobre 2004, causa C442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I8961, punti 12 e 13).

 

59.   Per quanto riguarda, inoltre, i motivi avanzati dalla Repubblica italiana per giustificare siffatto ostacolo alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE, è giocoforza innanzi tutto constatare che né la limitazione territoriale dell’autorizzazione, né l’obbligo di disporre di un locale nella provincia per la quale l’autorizzazione è stata concessa possono essere immediatamente qualificati inidonei a conseguire lo scopo loro attribuito di realizzare un controllo efficace sulle attività in oggetto.

 

60.   Tuttavia, come rilevato dalla Commissione, le disposizioni in parola eccedono quanto necessario per raggiungere tale scopo, poiché esso può essere conseguito attraverso misure meno restrittive.

 

61.   Come osservato al punto 27 della presente sentenza, il sistema italiano prevede la concessione di un’autorizzazione territoriale in base ad una dichiarazione di «buona condotta» ai sensi dell’art. 11 del testo unico. Se tale dichiarazione è stata verificata dall’autorità competente della provincia in cui è stata presentata e detta autorità ha rilasciato un’autorizzazione all’interessato, non è necessario sottoporre la medesima dichiarazione ad altre autorità provinciali.

 

62.   Un’autorizzazione rilasciata dal questore di una provincia, infatti, dovrebbe essere sufficiente per poter svolgere attività di recupero crediti in via stragiudiziale sulla totalità del territorio italiano, salvo che la dichiarazione su cui è basata l’autorizzazione divenga inesatta, circostanza che il titolare della stessa è tenuto a dichiarare.

 

63.   Con riferimento alla posizione della Repubblica italiana, la quale fa valere che il riconoscimento, da parte delle autorità competenti di una provincia, di un’autorizzazione rilasciata in un’altra provincia contrasterebbe con la circostanza che la concessione di siffatta autorizzazione dipende, per di più, dalla valutazione delle condizioni economiche locali ad opera del questore di ogni provincia, è sufficiente ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante qualsiasi regime di autorizzazione preventiva dev’essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo agli interessati (sentenze 13 maggio 2003, causa C463/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I4581, punto 69 e giurisprudenza ivi citata, e 16 maggio 2006, C372/04, Watts, Racc. pag. I4325, punto 116). Poiché la valutazione in parola è priva di criteri oggettivi e noti in anticipo alle imprese interessate, tale argomentazione non può giustificare il mancato riconoscimento, da parte del questore di una provincia, dell’autorizzazione rilasciata dal questore di un’altra provincia.

 

64.   Occorre pertanto constatare che, avendo obbligato un’agenzia di recupero crediti in via stragiudiziale, che disponga di un’autorizzazione per l’esercizio di detta attività rilasciata dal questore di una provincia, a chiederne una nuova in ognuna delle altre province ove essa intenda svolgere le sue attività, salvo conferire mandato ad un rappresentante autorizzato in tale altra provincia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE.

 

65.   Per quanto riguarda l’obbligo per le agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale di disporre di un locale in ognuna delle province ove esse intendano svolgere le loro attività, è sufficiente ricordare che, come rilevato al punto 46 della presente sentenza, il controllo sulle attività delle agenzie di cui trattasi e sui loro documenti relativi alle attività effettuate non è per nulla condizionato dall’esistenza di un locale di cui dette agenzie debbano disporre in tale provincia.

 

66.   Pertanto, avendo obbligato le agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale a disporre di un locale in ogni provincia in cui esse intendano svolgere le loro attività, la Repubblica italiana è venuta meno ancora una volta agli obblighi ad essa imposti dall’art. 43 CE.

 

 Sulla settima censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE della limitazione della libertà di fissare le tariffe

 

 Argomenti delle parti

 

67.   La Commissione sostiene che le disposizioni della circolare indirizzata ai questori, che segnalano la necessità di fissare parametri oggettivi ed omogenei al fine di evitare tariffe eccessivamente divergenti in una stessa provincia, mancano di trasparenza e prevedibilità. Esse costituirebbero un ostacolo alle libertà sancite dagli artt. 43 CE e 49 CE, che inciderebbe maggiormente sugli operatori stranieri rispetto a quelli italiani.

 

68.   La Commissione fa valere inoltre che le disposizioni in parola non rispondono ad uno scopo di tutela della pubblica sicurezza e a tal proposito richiama la giurisprudenza della Corte, secondo cui le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate da un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva interessata. Orbene, la Repubblica italiana non avrebbe avanzato argomenti convincenti a tale riguardo.

 

69.   Detto governo asserisce al contrario che gli operatori interessati non sarebbero privati della libertà di fissare le tariffe, poiché la circolare conterrebbe solamente una raccomandazione diretta ai questori, invitando questi ultimi ad indicare agli operatori in parola tariffari basati su elementi obiettivi, quali i costi o il rapporto tra la domanda e l’offerta del servizio di cui trattasi. Tali indicazioni avrebbero la finalità di evitare che si sviluppi una concorrenza incontrollata sul prezzo delle prestazioni, fonte di potenziali turbative dell’ordine pubblico in detto settore di attività.

 

 Giudizio della Corte

 

70.   Per quanto riguarda l’art. 49 CE, secondo una costante giurisprudenza, esso osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. sentenza 8 settembre 2005, cause riunite C544/03 e C545/03, Mobistar e Belgacom Mobile, Racc. pag. I7723, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

 

71.   Così, per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha già dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C94/04 e C202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I11421, punto 70).

 

72.   Un divieto di tale natura, infatti, priva gli operatori economici stabiliti in un altro Stato membro della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente nello Stato membro interessato e ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori economici stabiliti all’estero fidelizzare la clientela (v., in questo senso, sentenza Cipolla e a., cit., punto 59, e, per analogia, sentenza CaixaBank France, cit., punto 13).

 

73.   Allo stesso modo, un divieto siffatto limita la scelta dei destinatari dei servizi in questione nello Stato membro interessato, poiché questi ultimi non possono ricorrere ai servizi di operatori economici stranieri che potrebbero offrire, in tale Stato membro, le loro prestazioni ad un prezzo inferiore rispetto a quello risultante dalle tariffe in parola (v., in questo senso, sentenza Cipolla e a., cit., punto 60).

 

74.   Occorre tuttavia rilevare che, nella citata sentenza Cipolla e a., il divieto, qualificato come ostacolo all’art. 49 CE, discendeva da una disciplina in vigore che vietava in maniera categorica ed assoluta di derogare convenzionalmente ad una tariffa imposta, mentre nella causa in esame si tratta di una mera indicazione contenuta in una circolare, diretta ai questori e qualificata dalla Repubblica italiana come «raccomandazione», che si limita a chiedere di stabilire taluni «parametri obiettivi ed omogenei».

 

75.   Va inoltre constatato, come osservato dalla Commissione stessa nel suo ricorso, che le autorità italiane non hanno fornito precisazioni quanto alle misure adottate sulla base di tale indicazione della circolare, che risale al 1996. L’esistenza stessa di tariffari destinati alle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale non appare quindi certa.

 

76.   Da quanto precede discende che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di una restrizione della libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE.

 

77.   Quanto precede vale anche rispetto alla censura di cui trattasi, in quanto relativa all’incompatibilità con l’art. 43 CE della limitazione della libertà di fissare le tariffe.

 

78.   Alla luce di tale contesto, occorre concludere che la settima censura della Commissione è integralmente infondata.

 

 Sull’ottava censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del divieto di esercitare allo stesso tempo le attività oggetto della legge sulle attività bancarie e creditizie

 

 Argomenti delle parti

 

79.   La Commissione è del parere che l’incompatibilità, prevista dalla circolare, tra l’esercizio delle attività di recupero crediti in via stragiudiziale e quello di altre attività si risolva, per gli operatori bancari e creditizi di altri Stati membri, in un divieto, contrario agli artt. 43 CE e 49 CE, di esercitare in Italia l’attività di recupero crediti in parola.

 

80.   Anche qualora la circolare fosse diversamente interpretata dalle autorità italiane, la disposizione controversa violerebbe in ogni caso gli articoli in questione, dal momento che essa è formulata in maniera assai equivoca. Gli operatori di cui trattasi, infatti, non sarebbero posti nella condizione di valutare, in modo chiaro e preciso, se essi siano o meno autorizzati ad esercitare l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia. Secondo costante giurisprudenza della Corte, tale circostanza sarebbe sufficiente a far rilevare una violazione del diritto comunitario.

 

81.   La Repubblica italiana respinge tali critiche. La circolare si limiterebbe a ricordare che l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale non rientra tra quelle di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, disciplinate dalla legge sulle attività bancarie e creditizie, e che quindi l’autorizzazione a svolgere la prima attività non può valere come autorizzazione ad esercitare anche le seconde.

 

82.   Secondo detto Stato membro, anche qualora si dovesse ritenere che, nella circolare, il termine «incompatibilità» sia usato impropriamente, non potrebbero sorgere dubbi ragionevoli sul fatto che nulla impedisca ad un soggetto autorizzato a svolgere entrambi i tipi di attività di poterli esercitare contemporaneamente.

 

 Giudizio della Corte

 

83.   Occorre constatare, da un lato, che la circolare concerne le competenze delle agenzie di recupero crediti in via stragiudiziale relativamente alle operazioni finanziarie disciplinate dalla legge sulle attività bancarie e creditizie, e non il divieto per gli operatori bancari di esercitare attività di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia.

 

84.   Dall’altro, si deve rilevare, come affermato dalla Repubblica italiana, che dal testo della circolare, così come riportato al punto 11 della presente sentenza, risulta che questo si limita a confermare che l’autorizzazione riguardante l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale non comporta automaticamente l’autorizzazione a svolgere le attività disciplinate dalla legge sulle attività bancarie e creditizie.

 

85.   Poiché non risulta che la circolare sia fonte di incertezze del diritto per quanto riguarda l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale rispetto a quello delle attività oggetto della legge sulle attività bancarie e creditizie, non vi è ostacolo alla libertà garantita dall’art. 49 CE con riferimento agli operatori stranieri per quanto concerne l’esercizio dell’attività di recupero crediti in via stragiudiziale in Italia.

 

86.   Di conseguenza, l’ottava censura formulata dalla Commissione è infondata.

 

87.   Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che, avendo previsto, nell’ambito del testo unico, l’obbligo per qualsiasi agenzia che eserciti l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale di:

 

–     chiedere, benché l’agenzia disponga di un’autorizzazione rilasciata dal questore di una provincia, una nuova autorizzazione in ognuna delle altre province ove essa intenda svolgere le sue attività, salvo conferire mandato ad un rappresentante autorizzato in tale altra provincia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–     disporre di locali nel territorio oggetto dell’autorizzazione ed affiggervi le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 49 CE;

 

–     disporre di un locale in ogni provincia in cui essa intenda svolgere le sue attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 43 CE.

 

88.   Per il resto, il ricorso è respinto.

 

 Sulle spese

 

89.   Ai sensi dell’art. 69, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

 

90.   Nel caso di specie, poiché la Commissione e la Repubblica italiana sono rimaste entrambe soccombenti in taluni capi delle loro conclusioni, occorre decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1).   Avendo previsto, nell’ambito del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, adottato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, l’obbligo, per ogni agenzia che esercita attività di recupero crediti in via stragiudiziale, di:

 

–     chiedere, benché l’agenzia disponga di un’autorizzazione rilasciata dal questore di una provincia, una nuova autorizzazione in ognuna delle altre province ove essa intenda svolgere le sue attività, salvo conferire mandato ad un rappresentante autorizzato in tale altra provincia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–     disporre di locali nel territorio oggetto dell’autorizzazione ed affiggervi le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 49 CE;

 

–     disporre di un locale in ogni provincia in cui essa intenda svolgere la sua attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 43 CE.

 

2)    Per il resto, il ricorso è respinto.

 

3)    La Commissione delle Comunità europee e la Repubblica italiana devono sopportare ciascuna la propria parte di spese.

 


 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del
13 dicembre 2007 (Causa C-465/05)

 

«Inadempimento di uno Stato – Libera prestazione dei servizi – Diritto di stabilimento – Professione di operatore della vigilanza – Servizi di vigilanza privata – Giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana – Autorizzazione prefettizia – Sede operativa – Numero minimo di personale – Versamento di una cauzione – Controllo amministrativo dei prezzi dei servizi forniti»

 

Nella causa C465/05,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 dicembre 2005,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra E. Montaguti, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Seconda Sezione),

 

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. L. Bay Larsen, K. Schiemann, J. Makarczyk (relatore) e dalla sig.ra C. Toader, giudici,

 

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

 

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

 

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 giugno 2007,

 

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1.    Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo disposto che:

 

–     l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;

 

–     l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un’autorizzazione del Prefetto;

 

–     la suddetta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza già operanti nel medesimo territorio;

 

–     le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività;

 

–     il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza;

 

–     le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate;

 

–     le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti;

 

–     i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione,

 

è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.

 

 Contesto normativo

 

2.    L’art. 134 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), così come modificato (in prosieguo: «il Testo Unico»), recita:

 

«Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.

 

Salvo il disposto dell’art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell’Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo.

 

I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.

 

La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale».

 

3.    Ai sensi dell’art. 135, dal quarto al sesto comma, del Testo Unico:

 

«I direttori suindicati devono (…) tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.

 

Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello Stato.

 

La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto».

 

4.    Ai sensi del secondo comma dell’art. 136 del Testo Unico, la licenza può essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti.

 

5.    L’art. 137 del Testo Unico prevede quanto segue:

 

«Il rilascio della licenza è subordinato al versamento nella Cassa depositi e prestiti di una cauzione nella misura da stabilirsi dal Prefetto.

 

(…)

 

Il Prefetto, nel caso di inosservanza, dispone con decreto che la cauzione, in tutto o in parte, sia devoluta all’erario dello Stato.

 

(…)».

 

6.    L’art. 138 del Testo Unico è così formulato:

 

«Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:

 

1°      essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea;

 

2°      avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;

 

3°      sapere leggere e scrivere;

 

4°      non avere riportato condanna per delitto;

 

5°      essere persona di ottima condotta politica e morale;

 

6°      essere munito della carta di identità;

 

7°      essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.

 

La nomina delle guardie particolari deve essere approvata dal prefetto.

 

Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d’armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell’interno (…)».

 

7        L’art. 250 del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento per l’esecuzione del Testo Unico, così come modificato dall’art. 5 della legge 23 dicembre 1946, n. 478 (in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), dispone quanto segue:

 

«Constatato il possesso dei requisiti prescritti dall’art. 138 della legge, il Prefetto rilascia alle guardie particolari il decreto di approvazione.

 

Ottenuta l’approvazione, le guardie particolari prestano innanzi al Pretore giuramento con la seguente formula:

 

“Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere le funzioni affidatemi con coscienza e diligenza e con l’unico intento di perseguire il pubblico interesse”.

 

Il Pretore attesta, in calce al decreto del Prefetto, del prestato giuramento.

 

La guardia particolare è ammessa all’esercizio delle sue funzioni dopo la prestazione del giuramento».

 

8.    L’art. 252 del regolamento di esecuzione stabilisce che:

 

«Salvo quanto disposto da leggi speciali, quando i beni, che le guardie particolari sono chiamate a custodire, siano posti nel territorio di province diverse, è necessario il decreto di approvazione da parte del Prefetto di ciascuna provincia.

 

Il giuramento è prestato presso uno dei Pretori, nei cui mandamenti siano i beni da custodire».

 

9.    L’art. 257 dello stesso regolamento così prevede:

 

«La domanda per ottenere la licenza prescritta dall’art. 134 della legge deve contenere l’indicazione del Comune o dei Comuni in cui l’istituto intende svolgere la propria azione, della tariffa per le operazioni singole o per l’abbonamento, dell’organico delle guardie adibitevi, delle mercedi a queste assegnate, del turno di riposo settimanale, dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia, dell’orario e di tutte le modalità con cui il servizio deve essere eseguito.

 

Alla domanda deve essere allegato il documento comprovante l’assicurazione delle guardie, tanto per gli infortuni sul lavoro che per l’invalidità e la vecchiaia.

 

Se trattasi di istituto che intende eseguire investigazioni o ricerche per conto di privati, occorre specificare, nella domanda, anche le operazioni all’esercizio delle quali si chiede di essere autorizzati, ed allegare i documenti comprovanti la propria idoneità.

 

L’atto di autorizzazione deve contenere le indicazioni prescritte per la domanda e l’approvazione delle tariffe, dell’organico, delle mercedi, dell’orario e dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia.

 

Ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell’istituto deve essere autorizzata dal Prefetto».

 

10.   Per quanto riguarda gli atti amministrativi adottati in applicazione della normativa nazionale, si deve rilevare che numerose autorizzazioni dei Prefetti all’esercizio di attività di vigilanza privata stabiliscono che le imprese del ramo debbano avere un numero minimo e/o massimo di dipendenti.

 

11.   Peraltro, da una circolare del Ministero dell’Interno risulta che le imprese non possono esercitare le loro attività al di fuori della giurisdizione di competenza della Prefettura che ha emesso il provvedimento autorizzatorio.

 

 Fase precontenziosa del procedimento

 

12.   Con lettera di costituzione in mora del 5 aprile 2002 la Commissione ha intimato alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni sulla compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi con libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento.

 

13.   In seguito alle risposte fornite dalla Repubblica italiana il 6 giugno 2002, la Commissione ha inviato a detto Stato membro un parere motivato il 14 dicembre 2004, invitandolo ad adottare le misure necessarie per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica. Una proroga di tale termine, richiesta dalla Repubblica italiana, è stata rifiutata dalla Commissione.

 

14.   La Commissione, non soddisfatta delle risposte fornite dalla Repubblica italiana, ha deciso di proporre il presente ricorso.

 

 Sul ricorso

 

15.   A sostegno del suo ricorso, la Commissione deduce otto censure relative, in sostanza, ai requisiti stabiliti dalla normativa italiana per l’esercizio di un’attività di vigilanza privata in Italia.

 

16.   In via preliminare, occorre ricordare che, se è pur vero che, in un settore non assoggettato ad un’armonizzazione completa a livello comunitario, come accade nel caso dei servizi di vigilanza privata, come del resto ammesso sia dalla Repubblica italiana sia dalla Commissione in udienza, gli Stati membri restano, in linea di principio, competenti a definire le condizioni di esercizio delle attività nel detto settore, ciò non toglie che essi devono esercitare i loro poteri nel settore medesimo nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE (v., in particolare, sentenze 26 gennaio 2006, causa C514/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I963, punto 23, e 14 dicembre 2006).

 

17.   A tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e 49 CE impongono l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tali libertà (v. sentenze 15 gennaio 2002, causa C439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I2941, punto 31, e 26 ottobre 2006, causa C65/05, Commissione/Grecia, Racc. pag. I10341, punto 48).

 

18.   La Corte ha anche dichiarato che i provvedimenti nazionali restrittivi dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni per poter risultare giustificati: applicarsi in modo non discriminatorio, rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C424/97, Haim, Racc. pag. I5123, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonché Commissione/Grecia, cit., punto 49).

 

19.   Alla luce di tali principi si deve procedere all’esame delle censure presentate dalla Commissione.

 

 Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell’obbligo di prestare giuramento

 

 Argomenti delle parti

 

20.   La Commissione fa valere che l’obbligo per le guardie particolari di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri Stati membri attivi nell’ambito della vigilanza privata, un ostacolo ingiustificato tanto all’esercizio del diritto di stabilimento quanto alla libera prestazione dei servizi.

 

21.   Peraltro, secondo la Commissione, l’obbligo in parola non può essere considerato giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia, assicurare una migliore tutela dell’ordine pubblico.

 

22.   La Repubblica italiana afferma che le attività di cui è causa, considerate dal Testo Unico, implicherebbero l’esercizio di pubblici poteri ai sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III, parte terza, del Trattato.

 

23.   La Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e specifico all’esercizio di pubblici poteri.

 

24.   Essa fa valere, a tal proposito, che dette attività di vigilanza forniscono, per loro natura, un contributo rilevante alla sicurezza pubblica, ad esempio per quanto riguarda la vigilanza armata presso istituti di credito e la scorta di furgoni per il trasporto valori.

 

25.   Lo Stato membro di cui trattasi sottolinea altresì che i verbali redatti dalle guardie particolari giurate nello svolgimento delle loro attività hanno un valore probatorio privilegiato rispetto a quello delle dichiarazioni di privati cittadini. Esso aggiunge che le guardie in parola possono procedere ad arresti in flagranza di reato.

 

26.   In risposta a siffatta argomentazione, la Commissione sostiene che gli artt. 45 CE e 55 CE, in quanto disposizioni che derogano a libertà fondamentali, devono essere interpretati in maniera restrittiva, conformemente alla giurisprudenza della Corte.

 

27.   Peraltro, secondo la Commissione, gli elementi prospettati dalla Repubblica italiana non sarebbero idonei a giustificare un’analisi diversa da quella che ha indotto la Corte a dichiarare, in modo costante, che le attività di sorveglianza o di vigilanza privata non costituiscono di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri.

 

28.   Indipendentemente dal richiamo dell’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, la Repubblica italiana fa valere i seguenti motivi di difesa.

 

29.   Essa sostiene che la Commissione potrebbe muovere critiche all’obbligo di prestare giuramento solo relativamente alle limitazioni che da questo obbligo deriverebbero per la libera circolazione dei lavoratori e non in base agli artt. 43 CE e 49 CE, dal momento che le guardie particolari devono necessariamente essere lavoratori subordinati.

 

30.   Inoltre, essa fa valere che la prestazione di giuramento, che non costituisce un’operazione obiettivamente gravosa, garantisce il corretto esercizio delle delicate funzioni che le guardie sono chiamate a prestare in materia di sicurezza e che sono disciplinate da leggi dello Stato a carattere imperativo, sottolineando quindi il legame di causa ad effetto che sussisterebbe fra il giuramento ed il rafforzamento della tutela preventiva dell’ordine pubblico.

 

 Giudizio della Corte

 

31.   Considerate le conseguenze derivanti dall’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, occorre innanzitutto verificare se tali disposizioni siano effettivamente da applicare nel caso di specie.

 

32.   Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la deroga di cui agli artt. 45, primo comma, CE e 55 CE va limitata alle attività che, considerate di per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. sentenze 29 ottobre 1998, causa C114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I6717, punto 35; 9 marzo 2000, causa C355/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I1221, punto 25, e 31 maggio 2001, causa C283/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I4363, punto 20).

 

33.   La Corte ha anche dichiarato che l’attività delle imprese di sorveglianza o di vigilanza privata non costituisce di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. citate sentenze Commissione/Belgio, punto 26, e 31 maggio 2001, Commissione/Italia, punto 20).

 

34.   Peraltro, al punto 22 della sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia, cit., la Corte ha dichiarato che la deroga prevista dall’art. 55, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 45, primo comma, CE) non si applicava nel caso di specie.

 

35.   Occorre, pertanto, accertare se gli elementi presentati dalla Repubblica italiana nel ricorso in questione, alla luce della formulazione attuale del Testo Unico e del regolamento di esecuzione, possano indurre ad una valutazione della situazione in Italia diversa rispetto a quelle all’origine della giurisprudenza citata ai punti 33 e 34 della presente sentenza.

 

36.   Secondo l’art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell’ambito della vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attività di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o ricerche per conto di privati.

 

37.   Anche se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla Repubblica italiana all’udienza, in determinate circostanze e in via eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici poteri.

 

38.   La Corte, del resto, ha già dichiarato che il mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque può essere chiamato a offrire, non costituisce un tale esercizio (v. sentenza 29 ottobre 1998, Commissione/Spagna, cit., punto 37).

 

39.   Peraltro, l’art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all’esercizio delle attività di sorveglianza, e cioè che queste ultime non possono mai comportare l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque alcun potere coercitivo.

 

40.   Pertanto, la Repubblica italiana non può validamente sostenere che le imprese di vigilanza privata, nell’ambito delle loro attività, effettuino operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, assimilabili ad un esercizio di pubblici poteri.

 

41.   Inoltre, per quanto riguarda l’argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate, si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da quelli redatti nell’esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli agenti della polizia giudiziaria.

 

42.   Infine, relativamente all’argomento attinente alla possibilità, per le guardie particolari giurate, di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato già avanzato dalla Repubblica italiana nella causa all’origine della citata sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell’ambito del presente ricorso.

 

43.   Da quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, in quanto le attività di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica sicurezza.

 

44.   Pertanto, le deroghe di cui agli artt 45 CE e 55 CE non sono applicabili nel caso di specie.

 

45.   Per quanto concerne, poi, specificamente i requisiti di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, dalla normativa italiana risulta che, per fornire servizi di vigilanza privata, le imprese possono impiegare unicamente guardie che abbiano prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, dinanzi al Prefetto, in italiano.

 

46.   A tale proposito, benché tale norma si applichi in modo identico sia agli operatori stabiliti in Italia sia a quelli provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attività nel territorio italiano, essa ciò non di meno costituisce per qualsiasi operatore non stabilito in Italia un ostacolo all’esercizio della sua attività in questo Stato membro che pregiudica il suo accesso al mercato.

 

47.   Infatti, rispetto agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attività in Italia, quelli insediati in una provincia italiana possono disporre con maggiore facilità di personale che accetti di prestare il giuramento richiesto dalla normativa italiana. È quindi palese che siffatta promessa solenne di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, data la sua portata simbolica, sarà pronunciata più agevolmente da cittadini di tale Stato membro o da soggetti già stabiliti in detto Stato. Di conseguenza, gli operatori stranieri sono posti in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani insediati in Italia.

 

48.   Pertanto, il giuramento controverso, così imposto ai dipendenti delle imprese di vigilanza privata, costituisce, per gli operatori non stabiliti in Italia, un ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

 

49.   Per quanto riguarda il motivo dedotto in subordine dalla Repubblica italiana per giustificare l’ostacolo così constatato alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE e relativo alla tutela dell’ordine pubblico, si deve ricordare che la nozione di ordine pubblico può essere richiamata in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività. Come tutte le deroghe ad un principio fondamentale del Trattato, l’eccezione di ordine pubblico va interpretata in modo restrittivo (v. sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

 

50.   Orbene, non si può ritenere che le imprese di vigilanza privata stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potrebbero realizzare, esercitando il loro diritto alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi e assumendo personale che non ha prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, una minaccia effettiva e grave ad un interesse fondamentale della collettività.

 

51.   Da quanto precede emerge che il requisito del giuramento che risulta dalla normativa italiana è contrario agli artt. 43 CE e 49 CE.

 

52.   La prima censura dedotta dalla Commissione a sostegno del suo ricorso è quindi fondata.

 

 Sulla seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di detenere una licenza con validità territoriale

 

 Argomenti delle parti

 

53.   Secondo la Commissione, l’obbligo di ottenere una previa autorizzazione valida su una data parte del territorio italiano, di cui all’art. 134 del Testo Unico, per mere prestazioni occasionali di servizi di vigilanza privata, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE.

 

54.   Siffatte restrizioni sono giustificabili soltanto nella misura in cui esse rispondano a motivi imperativi di interesse generale e, in particolare, tale interesse generale non sia garantito dagli obblighi cui il prestatore di servizi è già soggetto nello Stato membro in cui è stabilito.

 

55.   La Repubblica italiana fa valere, in via principale, l’applicazione delle deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE.

 

56.   In subordine, essa sostiene che, dal momento che il settore dell’attività in questione non è armonizzato e non vige in esso alcun regime di mutuo riconoscimento, persiste il potere dell’amministrazione dello Stato membro ospitante di sottoporre ad autorizzazione interna i soggetti provenienti da altri Stati membri.

 

57.   Infine, la Repubblica italiana aggiunge che, in ogni caso, per valutare se l’autorizzazione possa essere concessa, l’amministrazione competente tiene conto, nella sua prassi, degli obblighi cui i prestatori sono già soggetti nello Stato di origine.

 

 Giudizio della Corte

 

58.   Secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che subordina l’esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale, da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 9 agosto 1994, causa C43/93, Vander Elst, Racc. pag. I3803, punto 15; Commissione/Belgio, cit., punto 35; 7 ottobre 2004, causa C189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I9289, punto 17, e 18 luglio 2007, causa C134/05, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).

 

59.   Inoltre, la limitazione dell’ambito di applicazione territoriale dell’autorizzazione che obbliga il prestatore, ai sensi dell’art. 136 del Testo Unico, a chiedere un’autorizzazione in ognuna delle province ove intende esercitare la sua attività, tenendo presente la suddivisione dell’Italia in 103 province, rende ancora più complicato l’esercizio della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 2002, causa C298/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I3129, punto 64).

 

60.   Pertanto, una normativa quale quella in discussione nella presente causa è contraria, in via di principio, all’art. 49 CE e, di conseguenza, vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata da motivi imperativi d’interesse generale e a condizione, peraltro, di essere proporzionata rispetto allo scopo perseguito (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 24).

 

61.   Occorre in primo luogo rilevare che il requisito di un’autorizzazione amministrativa o di una licenza preventive per l’esercizio di un’attività di vigilanza privata appare in sé idoneo a rispondere all’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, tenuto conto della natura specifica dell’attività di cui trattasi.

 

62.   Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, una restrizione può essere giustificata solo qualora l’interesse generale dedotto non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro in cui è stabilito (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 43).

 

63.   Non si può dunque considerare necessaria per raggiungere lo scopo perseguito una misura adottata da uno Stato membro la quale, in sostanza, si sovrappone ai controlli già effettuati nello Stato membro in cui il prestatore è stabilito.

 

64.   Nel caso di specie, la normativa italiana, non prevedendo che, ai fini del rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero è già assoggettato nello Stato membro nel quale è stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che è quello di garantire uno stretto controllo sulle attività di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 38; 29 aprile 2004, causa C171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I5645, punto 60; Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit. supra, punto 25).

 

65.   Quanto all’argomento della Repubblica italiana secondo cui vigerebbe una prassi amministrativa applicando la quale, al momento della decisione circa le richieste di autorizzazione, l’autorità competente terrebbe conto degli obblighi posti dallo Stato membro di origine, si deve rilevare che non è stata fornita prova di tale prassi. In ogni caso, per giurisprudenza costante, semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19).

 

66.   Infine, come osservato al punto 44 della presente sentenza, le deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE non sono applicabili nella fattispecie in esame.

 

67.   Pertanto, la seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di licenza con validità territoriale, è fondata, mancando nella normativa italiana una disposizione che imponga espressamente di prendere in considerazione i requisiti previsti nello Stato membro di stabilimento.

 

Sulla terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialità della licenza e della rilevanza, ai fini del rilascio di tale licenza, del numero e dell’importanza delle imprese già operanti nel medesimo territorio

 

68.   Come osservato al punto 59 della presente sentenza, dall’art. 136 del Testo Unico risulta che il fatto di disporre di una licenza consente di esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa è stata rilasciata.

 

69.   Spetta peraltro al Prefetto valutare l’opportunità di rilasciare le licenze in considerazione del numero e dell’importanza delle imprese già attive nel territorio interessato.

 

 Argomenti delle parti

 

70.   Secondo la Commissione le disposizioni in parola rappresentano una restrizione ingiustificata e sproporzionata della libertà di stabilimento e, per il fatto stesso della licenza, della libera prestazione dei servizi.

 

71.   Inoltre, essa sottolinea che il Prefetto, nel valutare il rischio per l’ordine pubblico costituito dalla presenza di un numero eccessivo di imprese attive nel settore della vigilanza privata su un dato territorio, determinerebbe une situazione di incertezza giuridica per gli operatori provenienti da un altro Stato membro, aggiungendo che non è stata peraltro fornita la prova di una minaccia grave ed effettiva all’ordine e alla sicurezza pubblica.

 

72.   La Repubblica italiana afferma che tale limitazione territoriale non è contraria all’art. 43 CE e che essa è direttamente connessa alla valutazione relativa alla tutela dell’ordine pubblico cui il Prefetto subordina il rilascio della licenza. Detta valutazione si fonderebbe necessariamente su circostanze di natura puramente territoriale, come la conoscenza della criminalità organizzata su un dato territorio.

 

73.   Essa fa infine valere che è opportuno vegliare a che tali imprese di vigilanza privata non si sostituiscano alla pubblica autorità.

 

 Giudizio della Corte

 

74.   La Repubblica italiana non contesta il fatto che la limitazione territoriale della licenza costituisca una restrizione sia alla libertà di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi, ai sensi della giurisprudenza della Corte citata al punto 17 della presente sentenza. In via principale, a sua difesa, essa richiama la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, sottolineando, a tale riguardo, che l’attività di vigilanza privata deve svolgersi al riparo da infiltrazioni criminali di stampo locale.

 

75.   Per quanto riguarda i motivi di ordine pubblico fatti valere dalla Repubblica italiana per giustificare siffatta restrizione, e alla luce della giurisprudenza costante della Corte quale ricordata al punto 49 della presente sentenza, anche ammettendo che il rischio di infiltrazioni di dette organizzazioni possa essere ritenuto esistente, la Repubblica italiana non asserisce né dimostra che il sistema delle licenze territoriali sarebbe l’unico idoneo ad eliminare tale rischio ed a garantire il mantenimento dell’ordine pubblico.

 

76.   La Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare l’attuazione di un efficace controllo dell’attività di vigilanza privata, sia necessario rilasciare un’autorizzazione per ogni ambito territoriale provinciale in cui un’impresa di un altro Stato membro intende svolgere l’attività di cui trattasi a titolo della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente al riguardo che l’attività in parola, di per sé, non è tale da creare turbative per l’ordine pubblico.

 

77.   A questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla Repubblica italiana, ad esempio l’introduzione di controlli amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di un’autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare un risultato analogo e garantire il controllo dell’attività di vigilanza privata, in quanto l’autorizzazione in questione potrebbe essere del resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all’ordine pubblico.

 

78.   Infine, non può essere accolto nemmeno l’argomento secondo cui sarebbe necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di stabilirsi per esercitare attività di vigilanza privata o di offrire i loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinché dette imprese non si sostituiscano all’autorità di pubblica sicurezza, segnatamente in mancanza di identità fra l’attività di cui è causa e quella rientrante nell’esercizio di pubblici poteri, come esposto al punto 40 della presente sentenza.

 

79.   Di conseguenza, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che risultano dalla normativa controversa non sono giustificate.

 

80.   Pertanto, la terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialità della licenza, è fondata.

 

 Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l’attività di vigilanza privata

 

81.   Dall’applicazione del Testo Unico e del regolamento di esecuzione risulta che le imprese di vigilanza privata sono tenute ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui intendono esercitare la loro attività.

 

 Argomenti delle parti

 

82.   La Commissione sostiene che l’obbligo menzionato è una restrizione alla libera prestazione dei servizi non giustificata da alcuna ragione imperativa di interesse generale.

 

83.   La Repubblica italiana, che non contesta la prassi prefettizia in questione né la restrizione alla libera prestazione dei servizi che essa comporta, fa valere che l’obbligo di disporre di una tale sede operativa o di locali è diretto ad assicurare, in particolare, un ragionevole livello di prossimità fra l’area di operatività delle guardie particolari giurate e l’esercizio delle responsabilità direttive, di comando e controllo del titolare della licenza.

 

 Giudizio della Corte

 

84.   Occorre, innanzi tutto, ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la condizione in base alla quale un’impresa di sorveglianza deve avere la sua sede di attività nello Stato membro in cui è fornito il servizio è direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 27, nonché 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

 

85.   È pacifico che la prassi di cui trattasi nella fattispecie costituisce un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE, come del resto ammesso dalla la Repubblica italiana.

 

86.   Orbene, una tale restrizione alla libera prestazione dei servizi non può ritenersi giustificata, qualora non siano soddisfatte le condizioni ricordate al punto 18 della presente sentenza, e ciò in quanto la condizione relativa alla sede operativa eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di assicurare un efficace controllo dell’attività di vigilanza privata.

 

87.   Il controllo dell’attività di vigilanza privata, infatti, non è assolutamente condizionato dall’esistenza di una sede operativa in ogni provincia di detto Stato nell’ambito della quale le imprese intendono esercitare la loro attività a titolo della libera prestazione dei servizi. Un regime di autorizzazioni e gli obblighi che ne discendono, purché, come osservato al punto 62 della presente sentenza, le condizioni da rispettare per ottenere tale autorizzazione non si sovrappongano alle condizioni equivalenti già soddisfatte dal prestatore di servizi transfrontaliero nello Stato membro di stabilimento, sono sotto quest’aspetto sufficienti per conseguire lo scopo di controllo dell’attività di vigilanza privata (v., in tal senso, sentenza 11 marzo 2004, causa C496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I2351, punto 71).

 

88.   Si deve quindi constatare che, obbligando i prestatori di servizi ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l’attività di vigilanza privata, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 49 CE.

 

89.   Di conseguenza, la quarta censura dev’essere accolta.

 

 Sulla quinta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’esigenza di autorizzazione del personale delle imprese di vigilanza privata

 

90.   In applicazione dell’art. 138 del Testo Unico, l’esercizio dell’attività di guardia particolare giurata è soggetto ad un certo numero di requisiti. Peraltro, la nomina delle guardie giurate dev’essere approvata dal Prefetto.

 

 Argomenti delle parti

 

91.   Secondo la Commissione, l’instaurazione di tale autorizzazione per il personale delle imprese di vigilanza privata insediate in altri Stati membri è contraria all’art. 49 CE poiché la legislazione nazionale non tiene conto dei controlli ai quali ogni guardia particolare giurata è soggetta nello Stato membro d’origine.

 

92.   La Repubblica italiana afferma che tale censura dovrebbe essere esaminata solo sotto il profilo della libera circolazione dei lavoratori. Inoltre, essa ribadisce la difesa già prospettata in base all’art. 55 CE relativamente alla partecipazione degli interessati all’esercizio di pubblici poteri.

 

 Giudizio della Corte

 

93.   La Corte ha già dichiarato che il requisito secondo il quale gli appartenenti al personale di un’impresa di vigilanza privata devono ottenere una nuova autorizzazione specifica nello Stato membro ospitante costituisce una restrizione non giustificata alla libera prestazione dei servizi di tali imprese ai sensi dell’art. 49 CE, in quanto non tiene conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine (citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 66; Commissione/Paesi Bassi, punto 30, e 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, punto 55).

 

94.   Orbene, ciò si verifica nel caso del Testo Unico. Pertanto, dal momento che l’argomento della Repubblica italiana relativo all’applicazione dell’art. 55 CE non è pertinente, come già dimostrato in precedenza, anche la quinta censura è fondata.

 

 Sulla sesta censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della fissazione di requisiti relativi al numero dei dipendenti

 

 Argomenti delle parti

 

95.   Secondo la Commissione, l’art. 257 del regolamento di esecuzione prevede il requisito di un numero minimo e/o massimo come organico di guardie particolari giurate per ogni impresa di vigilanza privata.

 

96.   Essa cita, peraltro, tre autorizzazioni prefettizie, rilasciate da Prefetti di province diverse, in cui è menzionato il numero di guardie particolari assunte da imprese di vigilanza privata.

 

97.   La Commissione ritiene che sulla gestione delle imprese di vigilanza gravi un vincolo assai pesante, poiché, da un lato, il numero esatto dei dipendenti impiegati in ciascuna sede provinciale è un elemento indefettibile della domanda di licenza e, dall’altro, ogni modifica dell’organico del personale dipendente deve essere autorizzata dal Prefetto. Un obbligo siffatto costituirebbe un ostacolo ingiustificato e sproporzionato sia all’esercizio del diritto di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi.

 

98.   La Repubblica italiana fa valere che l’unico obbligo imposto dalla lettera della legge riguarda la necessità di comunicare al Prefetto la composizione dell’organico del personale dipendente, al fine di porre l’autorità di pubblica sicurezza in condizione di sapere quante persone in armi prestano servizio in un dato territorio, e ciò per l’espletamento dei necessari controlli.

 

99.   Essa aggiunge che le autorizzazioni prefettizie, citate a titolo esemplificativo dalla Commissione, considerano solamente i dipendenti dichiarati dai responsabili stessi delle imprese di vigilanza privata e, di per sé, non impongono alcun obbligo.

 

 Giudizio della Corte

 

100.È pacifico che, in applicazione dell’art. 257 del regolamento di esecuzione, qualsiasi variazione o modifica nel funzionamento dell’impresa, segnatamente una modifica del numero delle guardie impiegate, deve essere comunicata al Prefetto e da questo autorizzata. L’autorizzazione prefettizia necessaria per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata viene quindi concessa tenuto conto, in particolare, dell’organico del personale dipendente.

 

101.Una tale condizione può indirettamente indurre a vietare un aumento o una diminuzione del numero di persone assunte dalle imprese di vigilanza privata.

 

102.Detta circostanza è tale da incidere sull’accesso degli operatori stranieri al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata. Tenuto conto, infatti, delle limitazioni così imposte al potere di organizzazione e direzione dell’operatore economico e delle relative conseguenze in termini di costi, le imprese straniere di vigilanza privata possono essere dissuase dal costituire stabilimenti secondari o filiali in Italia o dall’offrire i loro servizi sul mercato italiano.

 

103.Per quanto riguarda il motivo dedotto dalla Repubblica italiana per giustificare l’ostacolo alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE, è giocoforza constatare che l’obbligo di assoggettare ad autorizzazione del Prefetto qualsiasi modifica nel funzionamento dell’impresa non può essere immediatamente qualificato inidoneo a conseguire lo scopo ad esso attribuito di realizzare un controllo efficace sull’attività di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 59).

 

104.Tuttavia, la Repubblica italiana non ha sufficientemente dimostrato in diritto che il controllo della fissazione del numero dei dipendenti richiesto dalla legislazione in vigore è necessario per raggiungere lo scopo perseguito.

 

105.Di conseguenza la sesta censura dev’essere accolta.

 

 Sulla settima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell’obbligo di versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti

 

106.Ai sensi dell’art. 137 del Testo Unico, le imprese di vigilanza privata sono tenute a versare una cauzione, nella misura da stabilirsi dal Prefetto, presso la sezione della Tesoreria provinciale dello Stato, a favore della Cassa depositi e prestiti, in ciascuna provincia in cui sono autorizzate ad esercitare la loro attività. Detta cauzione è diretta a garantire il pagamento di eventuali sanzioni amministrative in caso di inosservanza delle condizioni che disciplinano il rilascio della licenza.

 

 Argomenti delle parti

 

107.Secondo la Commissione, tale requisito impone un onere economico supplementare alle imprese che non hanno la loro sede principale in Italia, in quanto la norma di legge italiana non tiene conto dell’eventuale identico obbligo che può già esistere nello Stato membro di origine.

 

108  La Repubblica italiana osserva che, non essendo l’attività di vigilanza privata soggetta ad armonizzazione comunitaria, non si può che tener conto caso per caso della possibilità che l’impresa stabilita in altro Stato membro abbia già potuto prestare nello Stato membro di origine idonee garanzie presso istituti di credito analoghi alla Cassa depositi e prestiti italiana.

 

 Giudizio della Corte

 

109  La Corte ha già dichiarato, in materia di vigilanza privata, che l’obbligo di provvedere ad un deposito cauzionale presso una cassa depositi e prestiti può ostacolare o scoraggiare l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, nella misura in cui essa rende la fornitura di prestazioni di servizi o la costituzione di una filiale o di uno stabilimento secondario più onerosa per le imprese di vigilanza privata stabilite in altri Stati membri rispetto a quelle stabilite nello Stato membro di destinazione (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 41).

 

110  Si deve osservare che, nel caso di specie, l’obbligo di versare una cauzione va adempiuto in ciascuna delle province in cui l’impresa intende esercitare la sua attività.

 

111  Una restrizione siffatta può essere giustificata solo in quanto l’interesse generale dedotto, vale a dire porre a disposizione delle autorità italiane somme che garantiscano l’assolvimento di tutti gli obblighi di diritto pubblico sanciti dalla dalla normativa nazionale vigente, non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro in cui è stabilito.

 

112  A tale riguardo, la normativa italiana richiede il deposito di cauzioni senza tenere conto di eventuali garanzie già prestate nello Stato membro di origine.

 

113  Orbene, dalle osservazioni della Repubblica italiana risulta che le autorità prefettizie competenti, nelle loro prassi, prenderebbero in considerazione, caso per caso, le cauzioni versate presso istituti di credito di altri Stati membri analoghi alla Cassa depositi e prestiti.

 

114  Con questa prassi, la Repubblica italiana stessa riconosce che il deposito di una nuova cauzione in ciascuna delle province in cui l’operatore, proveniente da altri Stati membri, intende esercitare la sua attività in base alla libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi non è necessario per raggiungere lo scopo perseguito.

 

115  In tale contesto, la settima censura è fondata.

 

 Sull’ottava censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’imposizione di un controllo amministrativo dei prezzi

 

116  In base all’art. 257 del regolamento di esecuzione, il Prefetto è incaricato di approvare le tariffe applicate dalle imprese a ogni prestazione di sicurezza privata. Qualsiasi modifica di tali tariffe deve essere autorizzata alle stesse condizioni.

 

117  Peraltro, dalla circolare del Ministero dell’Interno dell’8 novembre 1999, n. 559/C. 4770.10089. D, risulta che i Prefetti fissano una tariffa legale per ciascun tipo di servizio, nonché un’oscillazione percentuale della citata tariffa all’interno della quale ogni impresa è libera di scegliere la propria tariffa per ciascun servizio.

 

118  I Prefetti devono verificare che le tariffe proposte rientrino nell’ambito della citata fascia di oscillazione prima di approvarle. Nel caso in cui quest’ultima non sia osservata, i titolari delle imprese devono giustificare la fissazione di tariffe non conformi, spettando ai Prefetti accertare se le imprese possano operare su tale base. Se detta ultima condizione non può essere dimostrata in maniera inequivocabile, le tariffe non vengono approvate e, di conseguenza, la licenza non può essere rilasciata.

 

 Argomenti delle parti

 

119  La Commissione ritiene che tale disciplina non sia compatibile con la libera prestazione dei servizi. Considerato il controllo dei prezzi così realizzato, le tariffe praticate in Italia impedirebbero ad un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di presentarsi sul mercato italiano o di offrire i suoi servizi a prezzi più vantaggiosi di quelli praticati dai suoi concorrenti in Italia, o di proporre servizi più costosi ma ad elevato valore aggiunto, e dunque più concorrenziali.

 

120  Una tale disciplina costituirebbe una misura idonea ad ostacolare l’accesso al mercato dei servizi di vigilanza privata, per il fatto di impedire un’efficace concorrenza sul piano dei prezzi.

 

121  La Repubblica italiana fa valere che la regolamentazione controversa risulta giustificata dalla necessità di evitare la fornitura di servizi a prezzi eccessivamente bassi, che determinerebbero inevitabilmente uno scadimento del servizio, compromettendo quindi, in particolare, la tutela di interessi fondamentali riguardanti la sicurezza pubblica.

 

 Giudizio della Corte

 

122  Secondo una costante giurisprudenza, l’art. 49 CE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra gli Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citata sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, punto 70).

 

123  Per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha già dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C94/04 e C202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I11421, punto 70, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 71).

 

124  Nella controversia in esame, la circolare n. 559/C. 4770.10089. D, menzionata al punto 117 della presente sentenza, riconosce ai Prefetti un potere decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e all’approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, con conseguente diniego dell’autorizzazione qualora le dette tariffe non siano state approvate.

 

125+La restrizione così apportata alla libera fissazione delle tariffe è idonea a restringere l’accesso al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata di operatori, stabiliti in altri Stati membri, che intendano offrire i loro servizi nello Stato in questione. Tale limitazione, infatti, ha, da un lato, l’effetto di privare gli operatori in parola della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente in Italia e ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori economici stabiliti all’estero fidelizzare la clientela (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Dall’altro, questa stessa limitazione è idonea ad impedire ad operatori stabiliti in altri Stati membri di inserire nelle tariffe delle loro prestazioni taluni costi che non devono sopportare gli operatori stabiliti in Italia.

 

126  Infine, il margine d’oscillazione concesso agli operatori non è tale da compensare gli effetti della limitazione così apportata alla libera fissazione delle tariffe.

 

127  Si realizza pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE.

 

128  Per quanto riguarda i motivi dedotti dalla Repubblica italiana per giustificare la restrizione di cui trattasi, detto Stato membro non ha fornito elementi idonei a dimostrare le conseguenze positive del regime di fissazione dei prezzi né in relazione alla qualità dei servizi prestati ai consumatori, né in relazione alla sicurezza pubblica.

 

129  In tale contesto, occorre concludere che l’ottava censura è fondata.

 

130.Alla luce di quanto precede, si deve constatare che, avendo disposto, nell’ambito del Testo Unico, che:

 

–     l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–     l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un’autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–     la detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–     le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–     il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–     le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–     le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e

 

–     i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE.

 

 Sulle spese

 

131  Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)      Avendo disposto, nell’ambito del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, così come modificato, che:

 

–        l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–        l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un’autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–        la detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–        le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–        il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;

 

–        le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;

 

–        le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e

 

–        i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE.

 

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.


 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione)
10 aprile 2008
(Causa C
442/06)

 

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 1999/31/CE – Discariche di rifiuti – Normativa nazionale relativa alle discariche esistenti – Trasposizione non corretta»

 

Nella causa C442/06,

 

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 26 ottobre 2006,

 

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia e dal sig. M. Konstantinidis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

ricorrente,

 

contro

 

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Fiengo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

 

convenuta,

 

LA CORTE (Seconda Sezione),

 

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. L. Bay Larsen, K. Schiemann, J. Makarczyk e dalla sig.ra C. Toader (relatore), giudici,

 

avvocato generale: sig.ra J. Kokott,

 

cancelliere: sig. R. Grass

 

vista la fase scritta del procedimento,

 

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di decidere la causa senza conclusioni,

 

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

1       Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, avendo adottato e mantenuto in vigore il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, (Supplemento ordinario alla GURI n. 40 del 12 marzo 2003), come modificato dal decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 (GURI n. 230 del 30 ottobre 2005, pag. 4; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 36/2003»), che traspone nell’ordinamento nazionale le disposizioni della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti (GU L 182, pag. 1), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt.  214 di tale direttiva.

 

 Contesto normativo

 

 Normativa comunitaria

 

2       Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 1999/31 ha lo scopo di prevedere misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente risultanti dalle discariche di rifiuti.

 

3       L’art. 2 contiene l’elenco delle definizioni a cui si riferisce la direttiva. Esso menziona in particolare le nozioni di rifiuti e di discariche, queste ultime intese come le aree di smaltimento dei rifiuti adibite al deposito degli stessi sulla o nella terra. All’art. 3, la direttiva 1999/31 definisce il suo ambito di applicazione stabilendo che essa riguarda, in linea di principio, tutte le discariche, quali specificate al suo art. 2.

 

4       Agli artt. 4 e 6, la direttiva 1999/31 suddivide le discariche in tre categorie, ossia le discariche per rifiuti pericolosi, le discariche per rifiuti non pericolosi nonché le discariche per rifiuti inerti, ed essa precisa quali sono i rifiuti ammissibili in queste tre categorie di discariche.

 

5       Per quanto riguarda i rifiuti e i trattamenti non ammissibili in una discarica, tale direttiva prevede, all’art. 5, n. 1, che «[n]on oltre due anni dopo la data [di trasposizione della detta direttiva] gli Stati membri elaborano una strategia nazionale al fine di procedere alla riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare a discarica e la notificano alla Commissione», fissando al n. 2 di tale art. 5, i termini per l’attuazione di tale riduzione dei rifiuti.

 

6       L’art. 10 della direttiva 1999/31 stabilisce regole riguardanti i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche. L’art. 11 e l’allegato II di tale direttiva stabiliscono le regole relative alle procedure di ammissione dei rifiuti nelle discariche, l’art. 12 e l’allegato III della detta direttiva fissano quelle relative alle procedure di controllo e di sorveglianza delle operazioni compiute all’interno delle discariche e l’art. 13 della stessa direttiva riguarda la procedura di chiusura e di gestione successiva alla chiusura.

 

7       La direttiva 1999/31 prevede, agli artt. 79, la procedura di autorizzazione di nuove discariche. Essa sottopone altresì le discariche preesistenti a misure particolari. Al riguardo, l’art. 14 di tale direttiva dispone:

 

«Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un’autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se i provvedimenti in appresso sono adottati con la massima tempestività e al più tardi entro otto anni dalla data prevista all’articolo 18, paragrafo 1:

 

a)       entro un anno dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica elabora e presenta all’approvazione dell’autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell’articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1;

 

b)       in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull’eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell’articolo 7, lettera g), e dell’articolo 13, le discariche che, in forza dell’articolo 8, non ottengono l’autorizzazione a continuare a funzionare;

 

c)       sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l’attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all’allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1;

 

d)       i) entro un anno dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, gli articoli 4, 5, e 11 e l’allegato II si applicano alle discariche di rifiuti pericolosi;

 

ii) entro tre anni dalla data prevista nell’articolo 18, paragrafo 1, l’articolo 6 si applica alle discariche di rifiuti pericolosi».

 

8       L’art. 18 della direttiva 1999/31 fissa il termine di trasposizione di quest’ultima nei termini seguenti:

 

«1.      Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni dalla sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

(...)»

 

9       Tale direttiva è entrata in vigore il 16 luglio 1999. Il termine di trasposizione previsto all’art. 18 di quest’ultima è scaduto il 16 luglio 2001.

 

10     Il 19 dicembre 2002, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la decisione 2003/33/CE, che stabilisce criteri e procedure per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche, ai sensi dell’art. 16 e dell’allegato II della direttiva 1999/31 (GU 2003, L 11, pag. 27).

 

 Normativa nazionale

 

11     Il decreto legislativo n. 36/2003 traspone, nell’ordinamento italiano, tutte le disposizioni della direttiva 1999/31.

 

12     Esso prevede in particolare, all’art. 5, che le regioni debbono elaborare e approvare, entro il termine di un anno a partire dalla sua entrata in vigore, un programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili presenti nelle discariche. Esso fissa anche le scadenze da rispettare ai fini di una riduzione graduale di tali rifiuti nelle discariche. L’art. 6 del decreto legislativo n. 36/2003 traspone la disposizione della direttiva 1999/31 riguardante i rifiuti non ammissibili in una discarica, mentre l’art. 11 dello stesso decreto fissa le regole procedurali relative all’ammissione dei rifiuti nelle discariche.

 

13     L’art. 17 di tale decreto legislativo, dal titolo «Disposizioni transitorie e finali», che fissa le regole relative al trattamento delle discariche preesistenti, dispone:

 

«1.      Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate.

 

2.      Fino al 31 dicembre 2006 è consentito lo smaltimento nelle nuove discariche, in osservanza delle condizioni e dei limiti di accettabilità previsti dalla deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984 (...) relativamente:

 

a) nelle discariche per rifiuti inerti, ai rifiuti precedentemente avviati a discariche di II categoria, tipo A;

 

b) nelle discariche per rifiuti non pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di prima categoria e di II categoria, tipo B;

 

c) nelle discariche per rifiuti pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di II categoria tipo C e terza categoria.

 

3.      Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell’autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all’autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all’articolo 14.

 

4.       Con motivato provvedimento l’autorità competente approva il piano di cui al comma 3, autorizzando la prosecuzione dell’esercizio della discarica e fissando i lavori di adeguamento, le modalità di esecuzione e il termine finale per l’ultimazione degli stessi, che non può in ogni caso essere successivo al 16 luglio 2009. (...)

 

5.      In caso di mancata approvazione del piano di cui al comma 3, l’autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all’articolo 12, comma 1, lettera c).

 

(...)».

 

14     La deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984, a cui rinvia l’art. 17, n. 2, del decreto legislativo n. 36/2003, prevede la classificazione delle discariche in tre categorie. Le discariche di II categoria, tipo C, e quelle di III categoria, alle quali fa riferimento il detto art. 17, n. 2, lett. c), sono quelle destinate a ricevere rifiuti tossici e pericolosi (punti 4.2.3.3 e 4.2.4 della detta deliberazione).

 

 Procedimento precontenzioso

 

15     A seguito di un reclamo in cui veniva segnalata una non corretta trasposizione della direttiva 1999/31 ad opera del decreto legislativo n. 36/2003, il 17 ottobre 2003 la Commissione inviava alla Repubblica italiana una lettera di diffida in cui faceva valere che tale decreto legislativo non era conforme agli artt. 2, 5, 6, 10, 13 e 14 di tale direttiva. Nella parte introduttiva di tale lettera, la Commissione sottolineava che le osservazioni contenute nella lettera stessa «[non pregiudicavano] il fatto che ulteriori questioni [avrebbero potuto] eventualmente essere portate all’attenzione delle autorità italiane».

 

16     La Repubblica italiana rispondeva a tale lettera con due note distinte, rispettivamente in data 12 dicembre 2003 e 28 gennaio 2004.

 

17     Il 9 luglio 2004, la Commissione inviava a tale Stato membro una lettera di diffida complementare in cui essa esprimeva dubbi sul carattere corretto della trasposizione non solo degli articoli della direttiva 1999/31 considerati nella lettera di diffida iniziale, ma anche degli artt. 3, 4, 79, 11 e 12 della stessa direttiva. Essa invitava inoltre la Repubblica italiana a fornire informazioni sull’esatto numero di discariche cui non erano applicabili le disposizioni della detta direttiva relative alle nuove discariche nonché a presentare le sue osservazioni entro un termine di due mesi a decorrere dal ricevimento della lettera di diffida complementare.

 

18     Non ritenendosi soddisfatta dai chiarimenti forniti dalla Repubblica italiana, il 19 dicembre 2005 la Commissione inviava a quest’ultima un parere motivato. In tale parere essa ritirava alcuni degli addebiti formulati nella lettera di diffida iniziale e confermava quelli basati sulla non conformità alla direttiva 1999/31 delle disposizioni nazionali relative alle discariche preesistenti. Essa intimava altresì alla Repubblica italiana di prendere le disposizioni necessarie per conformarsi a tale parere motivato entro un termine di due mesi dal ricevimento dello stesso.

 

19     Non essendo rimasta convinta dagli argomenti addotti dalla Repubblica italiana in risposta al detto parere motivato nella sua nota del 28 febbraio 2006, la Commissione ha proposto il ricorso in esame.

 

 Sul ricorso

 

 Sull’eccezione di irricevibilità, fondata sull’irregolarità del procedimento precontenzioso

 

20     La Repubblica italiana fa valere un vizio che a suo parere inficia il procedimento precontenzioso, vizio che comporterebbe l’irricevibilità del ricorso della Commissione. Essa rileva che tale istituzione ha modificato gli addebiti fatti valere. Infatti, mentre nella lettera di diffida iniziale, per quanto riguarda il trattamento delle discariche preesistenti, la Commissione aveva menzionato la non conformità all’art. 14 della direttiva 1999/31 del decreto legislativo n. 36/2003, essa ha fatto valere, nella lettera di diffida complementare, la violazione degli artt. 214 della stessa direttiva. Tale Stato membro sottolinea altresì che, già nella lettera di diffida iniziale, la Commissione aveva inserito una menzione secondo la quale «ulteriori dubbi» avrebbero potuto sorgere in futuro quanto alla conformità alla direttiva 1999/31 della normativa nazionale di recepimento di quest’ultima. L’inserimento di tale menzione consentirebbe alla Commissione di modificare gli addebiti mossi nei confronti di uno Stato membro, secondo le sue esigenze e senza che essa sia tenuta ad avviare un nuovo procedimento per inadempimento. D’altro canto, l’estensione della diffida complementare a nuovi addebiti comporterebbe una violazione del dovere di leale collaborazione di cui all’art. 10 CE.

 

21     La Commissione contesta l’esistenza di una siffatta violazione dato che la lettera di diffida complementare inviata alla Repubblica italiana aveva lo scopo di aggiungere nuovi addebiti o di modificare quelli già fatti valere. Per specificare quanto già esposto in una lettera di diffida e per integrare l’analisi della risposta delle autorità nazionali, la Commissione rivolgerebbe allo Stato membro interessato un parere motivato. Invece, conformemente all’art. 226 CE, per estendere gli addebiti fatti valere, la Commissione invierebbe al detto Stato una lettera di diffida complementare sulla quale quest’ultimo avrebbe la possibilità di presentare i propri argomenti.

 

22     A questo proposito, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la regolarità del procedimento precontenzioso costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato CE, non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita. Da tale finalità risulta che la lettera di diffida ha lo scopo, da un lato, di circoscrivere l’oggetto del contendere e di fornire allo Stato membro, invitato a presentare le sue osservazioni, i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa e, dall’altro, di permettere a detto Stato di mettersi in regola prima che venga adita la Corte (sentenze 13 dicembre 2001, causa C1/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I9989, punto 54, e 5 novembre 2002, causa C476/98, Commissione/Germania, Racc. pag. I9855, punti 46 e 47).

 

23     La Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di diffida complementare, impartendo a tale Stato membro un nuovo termine per presentare le sue osservazioni, prima di inviargli un parere motivato fondato sugli stessi addebiti contenuti in tale lettera di diffida complementare. Pertanto la Commissione non ha leso i diritti della difesa, dato che la Repubblica italiana è stata messa in grado di predisporre la sua difesa prima di ricevere il parere motivato.

 

24     Di conseguenza, tale eccezione di irricevibilità sollevata dalla Repubblica italiana dev’essere respinta.

 

 Sul primo motivo di doglianza, relativo alla violazione degli artt. 214 della direttiva 1999/31 derivante dal ritardo con cui si è proceduto alla trasposizione di quest’ultima

 

 Argomenti delle parti

 

25     La Commissione sostiene che, a seguito della trasposizione tardiva della direttiva 1999/31, avvenuta solo il 27 marzo 2003 con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 36/2003, mentre tale trasposizione avrebbe dovuto essere operata entro il 16 luglio 2001, il trattamento applicato, nell’ordinamento italiano, alle discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 27 marzo 2003 è stato quello riservato alle discariche preesistenti e non quello, più rigoroso, previsto per le discariche nuove. La Repubblica italiana avrebbe quindi violato, per quanto riguarda tali discariche, gli artt. 214 di tale direttiva, in quanto tali articoli non sarebbero stati applicati a tutte le dette discariche, che avrebbero dovuto, invece, essere considerate come nuove. Le autorità italiane avrebbero così deliberatamente scelto di violare le disposizioni comunitarie interessate, dato che, anche trasponendo tardivamente la detta direttiva, esse avrebbero potuto e dovuto assoggettare queste stesse discariche al trattamento riservato dalla stessa direttiva alle discariche nuove.

 

26     La Commissione aggiunge che il fatto, invocato durante il procedimento amministrativo, che la Repubblica italiana abbia preferito attendere, in maniera unilaterale, l’adozione della decisione 2003/33/CE, non giustifica il ritardo con cui si è proceduto alla trasposizione della direttiva 1999/31. Infatti, tale trasposizione non dipenderebbe in alcun modo dall’esistenza di un atto del genere, dato che, conformemente alla direttiva stessa, gli Stati membri dovevano utilizzare criteri nazionali conformi alle prescrizioni dell’allegato II di quest’ultima.

 

27     La Repubblica italiana solleva, in primo luogo, un’eccezione di irricevibilità di tale motivo di doglianza affermando che la Commissione non può adire la Corte sulla base del ritardo con cui si è proceduto alla trasposizione della direttiva 1999/31 mentre il decreto legislativo di trasposizione è stato adottato prima dell’avvio del procedimento precontenzioso e tale ritardo costituisce un fatto a cui è impossibile rimediare.

 

28     Tale Stato membro fa valere, in secondo luogo, che il detto ritardo ha comportato la necessità di sottoporre, per motivi esclusivamente tecnici e amministrativi, le discariche autorizzate tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/31 e quella dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 36/2003 agli obblighi fissati da tale direttiva per quanto riguarda le discariche preesistenti. Infatti, sarebbe stato necessario prevedere, per tali discariche, in cui era già presente una determinata quantità di rifiuti, un periodo transitorio durante il quale i titolari di autorizzazioni di gestione avrebbero dovuto provvedere all’adeguamento delle discariche stesse. Tale regime transitorio risponderebbe, inoltre, alla necessità di non creare una situazione di disparità per gli operatori economici già beneficiari di autorizzazioni del genere alla data di entrata in vigore del detto decreto legislativo. Il regime considerato sarebbe stato, in ogni caso, estremamente vincolante e avrebbe previsto un termine imperativo per la presentazione di un piano di adeguamento dei siti più breve di quello fissato dalla direttiva 1999/31.

 

 Giudizio della Corte

 

29     Per quanto riguarda l’eccezione di irricevibilità, sollevata dalla Repubblica italiana, relativa alla pretesa mancanza di interesse a constatare il ritardo con cui si è proceduto alla trasposizione della direttiva 1999/31, occorre rilevare che le conclusioni del ricorso in esame, in particolare quelle che si fondano sul primo motivo di doglianza di quest’ultimo, non sono dirette a far accertare un tale ritardo, ma la non conformità a questa direttiva delle disposizioni transitorie del decreto legislativo n. 36/2003 per quanto riguarda il trattamento delle discariche aperte durante il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione della detta direttiva e quella di entrata in vigore di tale decreto legislativo.

 

30     Orbene, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, uno Stato membro che non ha trasposto, entro il termine prescritto, una direttiva comunitaria e contro il quale viene proposto un ricorso per inadempimento avente ad oggetto non tale omissione, ma il mancato rispetto di un obbligo derivante da tale direttiva, non può invocare il fatto di non aver adottato le misure necessarie per la trasposizione della detta direttiva per opporsi alla ricevibilità del ricorso e, pertanto, a che la Corte esamini la domanda diretta a far dichiarare il detto inadempimento (sentenza 11 agosto 1995, causa C431/92, Commissione/Germania, Racc. pag. I2189, punto 23).

 

31     Di conseguenza, l’eccezione di irricevibilità del primo motivo di doglianza del ricorso, relativa ad una mancanza di interesse ad agire da parte della Commissione, dev’essere respinta.

 

32     Per quanto riguarda il merito di questo motivo di doglianza, è importante constatare che, come è stato giustamente rilevato dalla Commissione e non è stato contestato dalla Repubblica italiana, il decreto legislativo n. 36/2003 non prevede l’applicazione alle discariche autorizzate tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/31 e quella di entrata in vigore di tale decreto legislativo delle disposizioni relative alle discariche nuove, ossia, in particolare, degli artt. 213 della detta direttiva. Esso prevede, invece, l’applicazione a tali discariche del trattamento riservato alle discariche preesistenti, sottoponendole alla procedura di adeguamento prevista al suo art. 17.

 

33     Orbene, risulta da una giurisprudenza costante che uno Stato membro non può eccepire l’attuazione tardiva di una direttiva da parte sua per giustificare l’inosservanza o il rispetto tardivo di altri obblighi imposti da quella stessa direttiva (v. sentenze 13 aprile 2000, causa C274/98, Commissione/Spagna, Racc. pag. I2823, punto 22, e 8 novembre 2001, causa C127/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I8305, punto 45). Infatti, quando una direttiva, come quella di cui trattasi nel caso di specie, sancisce obblighi inequivocabili a carico delle autorità nazionali competenti, gli Stati membri che non hanno trasposto tale direttiva non possono considerarsi dispensati dal rispetto di tali obblighi dopo la scadenza del termine di trasposizione e non possono escludere, con una disposizione transitoria, l’applicazione delle disposizioni della detta direttiva. Il fatto di ammettere una siffatta facoltà dello Stato porterebbe a permettere la proroga da parte di quest’ultimo del termine di trasposizione (v., in tal senso, sentenza 9 agosto 1994, causa C396/92, Bund Naturschutz in Bayern e a., Racc. pag. I3717, punto 19).

 

34     Ne consegue che la Repubblica italiana avrebbe dovuto applicare alle discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 27 marzo 2003 le disposizioni della direttiva 1999/31 relative alle discariche nuove, contenute negli artt. 213 di quest’ultima. Pertanto, avendo adottato e mantenuto in vigore il decreto legislativo n. 36/2003 che esclude tale applicazione, essa è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali articoli.

 

35     Inoltre, avendo applicato il regime previsto all’art. 14 della direttiva 1999/31 relativo alle discariche preesistenti a discariche nuove, essa è anche venuta meno agli obblighi derivanti da tale articolo.

 

36     D’altro canto, le ragioni fatte valere da tale Stato membro per giustificare il ritardo con cui si è proceduto alla trasposizione e all’applicazione della direttiva 1999/31, ragioni relative alla necessità di attendere l’adozione della decisione 2003/33, non sono fondate. Infatti, tale decisione ha lo scopo di precisare le regole relative ai criteri e alle procedure di ammissione dei rifiuti nelle discariche. Orbene, tali regole sono enunciate in tale direttiva e la loro applicazione non è subordinata all’adozione di una siffatta decisione in forza dell’art. 16 della detta direttiva.

 

37     Pertanto, il primo motivo di doglianza fatto valere dalla Commissione a sostegno del suo ricorso dev’essere considerato fondato.

 

 Sul secondo motivo di doglianza, relativo alla violazione dell’art. 14, lett. d), i), della direttiva 1999/31

 

 Argomenti delle parti

 

38     Con il suo secondo motivo di doglianza, la Commissione rileva che l’art. 14, lett. d), i), della direttiva 1999/31, che fissa regole transitorie relative alle discariche di rifiuti pericolosi, prevede che gli artt. 4, 5 e 11 nonché l’allegato II di quest’ultima si applicano, a partire dal 16 luglio 2002, alle discariche preesistenti, mentre il decreto legislativo n. 36/2003 non prevede assolutamente l’applicazione di tali disposizioni alle stesse discariche, limitandosi, invece, a prevedere all’art. 17, n. 2, lett. c), regole transitorie unicamente per le discariche nuove. Quest’ultima disposizione sarebbe dunque in contrasto non soltanto con l’art. 14, lett. d), i), di tale direttiva, ma anche con le disposizioni da applicare alle discariche preesistenti, e cioè, in particolare, gli artt. 4, 5 e 11 nonché l’allegato II della detta direttiva. Inoltre, neppure la normativa italiana applicabile a queste ultime discariche prima dell’entrata in vigore della stessa direttiva sarebbe conforme a tali disposizioni.

 

39     La Repubblica italiana fa rilevare che l’eventuale accertamento dell’inadempimento risultante da questo motivo di doglianza non le consentirà di adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva 1999/31 dato che la sentenza della Corte sarà emanata dopo la scadenza del termine fissato, per quanto riguarda il regime transitorio proprio alle discariche di rifiuti pericolosi, al 31 dicembre 2006.

 

40     Tale Stato membro sottolinea, per quanto riguarda il merito di questo secondo motivo di doglianza, che l’art. 17 del decreto legislativo n. 36/2003 traspone correttamente l’art. 14, lett. d), i), della direttiva 1999/31 in quanto prevede l’applicazione degli artt. 4, 5 e 11 di quest’ultima alle discariche preesistenti. Infatti, in forza dei nn. 35 del detto art. 17, i gestori di tali discariche avrebbero dovuto presentare, entro il 27 settembre 2003, un piano di adeguamento dei siti all’autorità competente. Quest’ultima dovrebbe approvare tale piano alla luce delle condizioni fissate dalle disposizioni di trasposizione di tale direttiva, relative alla classificazione delle discariche e alle condizioni che permettono la prosecuzione dell’esercizio di queste ultime, entro il 16 luglio 2009, termine fissato dalla detta direttiva per completare il riassetto delle discariche preesistenti.

 

41     Inoltre, l’art. 17, n. 2, lett. c), del decreto legislativo n. 36/2003, fatto valere dalla Commissione, enuncerebbe una disposizione transitoria ai sensi della quale i rifiuti pericolosi destinati, secondo la normativa anteriore a tale decreto legislativo, alle discariche per rifiuti pericolosi e tossici, possono essere ammessi in discariche del genere sino al 31 dicembre 2006. Orbene, secondo la Repubblica italiana, tale normativa, in particolare il decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141 (GURI n. 108 del 12 maggio 1998, pag. 22), anche se non trasponeva le disposizioni della direttiva 1999/31, prevedeva divieti e procedure specifiche per l’ammissione di tali rifiuti nelle dette discariche, conformemente alle norme previste da tale direttiva.

 

 Giudizio della Corte

 

42     Sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Repubblica italiana, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in base alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato. Così, anche ove l’inadempimento sia stato eliminato dopo la scadenza di tale termine, la prosecuzione dell’azione mantiene un interesse, consistente in particolare nello stabilire il fondamento di una responsabilità che può insorgere per uno Stato membro in conseguenza del suo inadempimento nei confronti, in particolare, di coloro che derivano diritti dal detto inadempimento (v., in tal senso, sentenze 18 marzo 1992, causa C29/90, Commissione/Grecia, Racc. pag. I1971, punto 12, e 14 aprile 2005, causa C519/03, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I3067, punti 18 e 19).

 

43     Nella fattispecie, è importante constatare che l’art. 17, n. 2, lett. c), del decreto legislativo n. 36/2003 contiene una disposizione transitoria relativa alle discariche per rifiuti pericolosi che, come ha confermato la Repubblica italiana, era applicabile anche allo scadere del termine impartito a tale Stato membro per conformarsi al parere motivato rivoltogli dalla Commissione.

 

44     Occorre sottolineare, inoltre, che, contrariamente a quanto afferma il detto Stato membro, l’inadempimento contestato dalla Commissione è fondato sulla non conformità al diritto comunitario di varie disposizioni del diritto italiano applicabili alle dette discariche. Tali disposizioni comprendono non soltanto quella che menziona i rifiuti ammissibili in tali discariche, per le quali il decreto legislativo n. 36/2003 prevede modalità di trattamento transitorie, ma anche le disposizioni relative al trattamento dei rifiuti e alla procedura di ammissione di questi ultimi nelle discariche.

 

45     Ne consegue che il secondo motivo di doglianza del ricorso, vertente sulla violazione dell’art. 14, lett. d), i), della direttiva 1999/31, è ricevibile.

 

46     Sul merito di questo secondo motivo di doglianza si deve ricordare che l’art. 14, lett. d), i), di tale direttiva stabilisce che gli artt. 4, 5 e 11 nonché l’allegato II di quest’ultima si applicano alle discariche preesistenti di rifiuti pericolosi entro il termine di un anno dalla data di scadenza del termine di trasposizione della detta direttiva, ossia a partire dal 16 luglio 2002. Tale disposizione prevede così, indipendentemente dalla durata della procedura di riassetto delle discariche preesistenti che deve concludersi il 16 luglio 2009, un termine breve per l’applicazione delle dette disposizioni a tali discariche.

 

47     Per contro, come la Commissione ha giustamente sottolineato, l’art. 17, n. 2, lett. c), del decreto legislativo n. 36/2003, che stabilisce in particolare le disposizioni transitorie relative al trattamento dei rifiuti pericolosi, si applica solo alle discariche nuove e non prevede regole transitorie per il trattamento di tali rifiuti nelle discariche preesistenti.

 

48     Contrariamente a quanto afferma la Repubblica italiana, neppure l’art. 17, nn. 35, del decreto legislativo n. 36/2003 prevede l’applicazione a tali discariche, a partire dal 16 luglio 2002, degli artt. 4, 5 e 11, nonché dell’allegato II della direttiva 1999/31. Infatti, tale disposizione di diritto nazionale stabilisce solo una procedura di adeguamento che si applica a tutte le discariche, indipendentemente dalla categoria a cui esse appartengono. Ai sensi di tale disposizione, il titolare dell’autorizzazione alla gestione di una discarica deve presentare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di tale decreto legislativo, un piano di adeguamento del sito all’autorità competente. Quest’ultima autorizza la prosecuzione dell’esercizio della discarica e fissa i lavori di adeguamento, le modalità di esecuzione e il termine per l’ultimazione della procedura. L’adeguamento della discarica dev’essere ultimato entro il 16 luglio 2009.

 

49     Inoltre, nel corso di questo periodo di transizione che consente l’adeguamento delle discariche preesistenti, le norme di legge nazionali, anteriori al decreto legislativo n. 36/2003, che erano relative alla procedura di smaltimento dei rifiuti pericolosi, anche se stabilivano disposizioni specifiche per l’ammissione nelle discariche di tali rifiuti, non garantivano la piena applicazione degli artt. 4, 5 e 11 della direttiva 1999/31 alle discariche in cui erano versati tali rifiuti. La Repubblica italiana ha infatti ammesso, nel suo controricorso, che tale normativa nazionale non aveva lo stesso contenuto delle pertinenti disposizioni della detta direttiva.

 

50     Da queste considerazioni risulta che anche il secondo motivo di doglianza fatto valere dalla Commissione dev’essere considerato fondato.

 

51     Occorre di conseguenza constatare che, avendo adottato e mantenuto in vigore il decreto legislativo n. 36/2003 che traspone nell’ordinamento nazionale le disposizioni della direttiva 1999/31,

 

–       in quanto tale decreto legislativo non prevede l’applicazione degli artt. 213 della direttiva 1999/31 alle discariche autorizzate dopo la data di scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva e prima di quella dell’entrata in vigore del detto decreto legislativo e

 

–       in quanto esso non provvede alla trasposizione dell’art. 14, lett. d), i), della detta direttiva,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 214 della direttiva 1999/31.

 

 Sulle spese

 

52     Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)      Avendo adottato e mantenuto in vigore il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, così come modificato, che traspone nell’ordinamento nazionale le disposizioni della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti,

 

–       in quanto tale decreto legislativo non prevede l’applicazione degli artt. 213 della direttiva 1999/31 alle discariche autorizzate dopo la data di scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva e prima di quella dell’entrata in vigore del detto decreto legislativo e

 

–       in quanto esso non provvede alla trasposizione dell’art. 14, lett. d), i), della detta direttiva,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 214 della direttiva 1999/31.

 

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.