Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee D.L. 59/2008 - A.C. 6
Riferimenti:
AC N. 6/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 2
Data: 06/05/2008
Descrittori:
CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA   DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Attuazione di obblighi comunitari ed esecuzione di sentenze della
Corte di giustizia CE

D.L. 59/2008 - A.C. 6

Schede di lettura

 

 

 

 

n. 2

 

 

6 maggio 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SIWEB

 

Coordinamento: Dipartimento Istituzioni

 

I paragrafi “Procedure di contenzioso” e “Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea” sono curati dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: D08059.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia civile)      3

§      Art. 2 (Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia tributaria)9

§      Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, recante norme in materia ambientale in attuazione della direttiva 2000/60/CE. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 12 gennaio 2006, nella causa C-85/05. Procedura di infrazione n. 2004/59)                                                                                                         19

§      Art. 4 (Modifiche all'art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di recupero stragiudiziale dei crediti. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 18 luglio 2007 nella causa C-134/05. Procedura di infrazione n. 2001/5171. Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in materia di servizi di sicurezza privati. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 13 dicembre 2007 nella causa C-465/05. Procedura di infrazione n. 2000/4196)                                         27

§      Art. 5 (Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio pubblico svolto nell'ambito dell'Unione europea. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 26 dicembre 2006 nella causa C-371/04. Procedura di infrazione n. 2002/4888)                              47

§      Art. 6 (Disposizioni transitorie in materia di piani di adeguamento di cui all'articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti. Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. Procedura di infrazione n. 2003/2077 - esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia resa in data 26 aprile 2007 nella causa C-135/05. Procedura di infrazione 2003/4506 - causa C-442/06. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2006/4482)                      51

§      Art. 7 (Modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, e successive modificazioni, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 24 maggio 2007 nella causa C-394/05. Procedura di infrazione n. 2003/2204)                                                                                                     57

§      Art. 8 (Modifiche ai decreti legislativi del 26 maggio 2004, n. 153 e n. 154, in materia di pesca ed alla legge 14 luglio 1965, n. 963, in materia di pesca marittima. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 1992/5006. Procedura di infrazione n. 2001/2118 - esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 7 dicembre 2006 nella causa C-161/05. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 2004/2225. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2007/2284)                                                                                61

§      Art. 9 (Trasferimento alla Federazione russa del diritto di proprietà sul complesso architettonico della Chiesa Russa Ortodossa di Bari)                                                                 65

§      Art. 10 (Disposizioni concernenti le strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri)                                                                                                     67

§      Art. 11 (Disposizioni finanziarie)                                                                    71

§      Art. 12 (Entrata in vigore)                                                                               73

Disegno di legge

§      A.C. 6 (Governo), Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee                                                                                         77

 

 


Schede di lettura

 


Art. 1
(Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia civile)

 

L’articolo 1 (al pari del successivo articolo 2) è diretto a rendere più agevole e spedito il recupero di aiuti concessi dallo Stato in violazione del trattato CE.

 

La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato trova la sua fonte primaria negli articoli 87-89 del Trattato istitutivo della Comunità europea nonché in atti di diritto derivato, adottati sulla base delle norme del Trattato.

In particolare si rileva che l’articolo 87 TCE introduce il principio di incompatibilità degli aiuti di Stato con il sistema complessivo del diritto comunitario, fatti salvi la possibilità di preventiva autorizzazione dell’aiuto medesimo nonché un sistema di deroghe espressamente individuato.

La procedura per il controllo sugli aiuti di stato, sia a livello preventivo su quelli di nuova istituzione, sia a livello permanente sugli aiuti esistenti, è contenuta invece all’articolo 88 TCE.

Infine, l’articolo 89 attribuisce al Consiglio la competenza ad adottare i regolamenti necessari ai fini dell’applicazione degli articoli 87 ed 88.

L’articolo 87 TCE dichiara incompatibili con il mercato comune – nella misura in cui incidano sugli scambi intracomunitari – gli aiuti concessi dagli Stati membri sotto qualsiasi forma che, favorendo determinate imprese o produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

Rispetto al divieto generale degli aiuti di stato, lo stesso articolo 87 ammette alcune deroghe, ritenendo talune forme di aiuto compatibili con il mercato comune (paragrafo 2) e rimettendo, invece, alla discrezionalità della Commissione o del Consiglio la valutazione della compatibilità di altre (paragrafo 3).

La procedura di controllo degli aiuti di stato è disciplinata, in via generale, dall’articolo 88 del Trattato, che affida prevalentemente alla Commissione – con l’ausilio degli Stati membri – l’esame dei regimi di aiuto e dal regolamento (CE) n. 659/1999 del 22 marzo 1999, come integrato e completato dal successivo regolamento (CE) n. 794/2004 del 21 aprile 2004[1].

Nel caso in cui un aiuto prestato da uno Stato membro venga riconosciuto dalla Commissione come incompatibile con il diritto comunitario, in quanto concesso senza rispettare gli articoli 87 e 88 TCE, esso non può più esplicare i suoi effetti. In questo caso, si possono verificare due distinte situazioni:

-      l’aiuto non era stato ancora erogato e, pertanto, la declaratoria di incompatibilità ne impedisce la concreta prestazione;

-      l’aiuto sia stato già attuato.

In questa seconda ipotesi, non solo dovrà cessare erogazione del beneficio dopo il riconoscimento dell’incompatibilità, ma si pone un problema di recupero delle somme già percepite. A tal fine, gli articoli 14 e 15 del Regolamento (CE) n. 659/1999[2] predispongono una specifica procedura.

In particolare, l’articolo 14 (Recupero degli aiuti) prevede che la Commissione adotti una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di assumere tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario, c.d. "decisione di recupero". Tale recupero deve essere “effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione” (art. 14, reg. n. 659).

Spetta sempre al singolo Stato, e non alla Commissione, determinare l’ammontare dell’aiuto da recuperare, cui si aggiungono gli interessi, calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione. Tali interessi decorrono dal momento in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data del recupero.

L’operazione di recupero incontra però un termine di prescrizione, fissato dall’articolo 15 del citato Regolamento (periodo limite). È infatti possibile procedere entro il periodo limite di dieci anni, che decorre dal giorno in cui l'aiuto illegale viene concesso.

Tale periodo può essere:

§         interrotto da qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro nei confronti dell'aiuto illegale; ogni interruzione fa ripartire il periodo da zero;

§         sospeso per il tempo in cui la decisione della Commissione è oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee.

Nel caso di decorso del termine, l’aiuto si considera come un aiuto esistente.

Il recupero dell’aiuto non ha carattere assoluto, potendo in alcuni casi venire meno. In particolare:

1)    la Commissione non impone il recupero dell'aiuto, se ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario (art. 14, par. 1, reg. n. 659);

2)    vi è l’assoluta impossibilità di procedere al recupero, per difficoltà impreviste o imprevedibili.

Fatta salva un'eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell'articolo 185 del trattato, il recupero viene effettuato secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione.

A tal fine, e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario.

 

In particolare, a fronte di una decisione di recupero adottata dalla Commissione europea, e del conseguente atto dell’autorità nazionale volto a dare efficacia esecutiva alla decisione comunitaria, l’articolo 1, comma 1, individua i presupposti per la concessione da parte del giudice civile di provvedimenti cautelari di sospensione di tale efficacia.

Analiticamente, il comma 1 dispone che il giudice possa sospendere l’efficacia dell’atto (amministrativo o giudiziale) di recupero in presenza di due presupposti:

§         gravi motivi di illegittimità della decisione comunitaria di recupero, ovvero evidente errore di individuazione del soggetto tenuto alla restituzione, oppure errore nel calcolo della somma da recuperare;

§         periculum in mora consistente nel pregiudizio imminente e irreparabile.

 

Se l’istanza cautelare è accolta per motivi attinenti alla presunta illegittimità della decisione di recupero, il comma 2 dispone che il giudice debba sospendere il giudizio e rinviare la questione alla Corte di giustizia, chiedendo contestualmente una trattazione d’urgenza ai sensi dell’articolo 104-ter del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 19 giugno 1991[3], salvo che la questione sia già pendente dinanzi al giudice comunitario.

 

L’articolo 104-ter del regolamento di procedura disciplina le ipotesi di procedimento d’urgenza nel caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Presupposto per l’applicazione del  rito speciale è che le questioni sollevate siano relative al settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (titolo VI del Trattato sull’Unione) o della concorrenza e della fiscalità (titolo IV della parte terza del Trattato CE). Esso si applica di norma su domanda del giudice nazionale o, in via eccezionale, d'ufficio; ove il rito si attivi su impulso del giudice nazionale, la relativa domanda deve contenere le circostanze di diritto e di fatto che comprovano l'urgenza e giustificano l'applicazione di tale procedimento derogatorio nonché, per quanto possibile, la soluzione che il giudice del rinvio propone alle questioni pregiudiziali[4]. La decisione di sottoporre un rinvio al procedimento d'urgenza è adottata dalla sezione designata (paragrafo 1 dell’articolo 104-ter).

L’articolo detta disposizioni specifiche altresì in ordine alla notifica del rinvio e della decisione in ordine all’applicazione del rito speciale; in caso di esito positivo, è la stessa decisione a fissare i termini per il deposito di memorie o osservazioni scritte. La decisione può precisare i punti di diritto sui quali devono vertere tali memorie o osservazioni scritte e può fissare la lunghezza massima di tali scritti. Qualora il rinvio non sia sottoposto al procedimento d'urgenza, il procedimento prosegue conformemente alle disposizioni generali.

E’ altresì previsto che (paragrafo 4 dell’articolo 104-ter), in casi di estrema urgenza, la sezione cui si demanda la decisione in ordine all’applicazione del rito speciale possa omettere la fase scritta del procedimento. Sono dettate, infine, norme sulla composizione del collegio, sul deposito e sulla notifica degli atti processuali.

 

Il comma 2 precisa che l’istanza cautelare non può in ogni caso essere accolta se l’istante non ha anche impugnato la decisione di recupero in sede comunitaria (ai sensi dell’art. 230 del trattato CE), o non ha richiesto la sospensione della decisione sempre in sede comunitaria (ai sensi dell’articolo 242 del trattato Ce), ovvero, in caso di richiesta, la stessa non è stata accolta in sede comunitaria.

 

L’articolo 230 del Trattato CE autorizza (ultimi due paragrafi) qualsiasi persona fisica o giuridica a proporre  ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente.

Tali ricorsi devono essere proposti nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell'atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza.

L’articolo 242 prevede, in via generale, che i ricorsi proposti alla Corte di giustizia non abbiano effetto sospensivo: tuttavia la norma autorizza la Corte, quando essa reputi che le circostanze lo richiedano, ad ordinare la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.

 

Al di fuori delle ipotesi disciplinate dal comma 2, il comma 3 dispone che il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale accoglie l’istanza cautelare, fissi l’udienza di discussione della causa nel merito entro 30 giorni. La causa dovrà essere decisa nei successivi 60 giorni.

Il provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della decisione di recupero cessa di produrre effetti trascorsi 90 giorni dalla sua adozione; il termine può essere prorogato di ulteriori 60 giorni se permangono i presupposti per la concessione della sospensione di cui al comma 1.

 

Nell’ottica di un’accelerazione della definizione del giudizio, il comma 4 prevede che trattazione avvenga con le modalità previste dalla legge n. 689 del 1981[5] per il giudizio sull’opposizione all’ordinanza-ingiunzione.

 

In particolare, la disposizione richiama l’articolo 22 e parte dell’articolo 23 della legge n. 689/81 che disciplinano l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione ed il relativo giudizio. Il giudizio si caratterizza per la speditezza:

§         se alla prima udienza l'opponente o il suo procuratore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza appellabile, convalida il provvedimento opposto, ponendo a carico dell'opponente anche le spese successive all'opposizione;

§         il giudice dispone, anche d'ufficio, i mezzi di prova;

§         al termine dell'istruttoria il giudice invita le parti a precisare le conclusioni ed a procedere nella stessa udienza alla discussione della causa, pronunciando subito dopo la sentenza mediante lettura del dispositivo[6];

§         il giudice può anche redigere e leggere, unitamente al dispositivo, la motivazione della sentenza, che è subito dopo depositata in cancelleria.

 

 

Il comma 5 detta una disciplina transitoria relativa ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legge. In particolare, la disposizione stabilisce:

-          la non applicazione a tali giudizi del comma 4;

-          il rispetto dei termini di cui al comma 3 (eventualmente con anticipazione delle udienze di trattazione già fissate) laddove sia stato già concesso il provvedimento di sospensione;

-          il riesame del provvedimento di sospensione già concesso per verificarne la compatibilità con i presupposti di cui ai commi 1 e 2.

 

Da ultimo, il comma 6 affida alla responsabilità del presidente di sezione del Tribunale (o, se il Tribunale non è diviso in sezioni, del presidente del Tribunale) la vigilanza sul rispetto dei termini posti dal decreto legge e l’obbligo di relazione trimestrale al presidente del Tribunale (o al Presidente della Corte d’appello, nel secondo caso) per le determinazioni di competenza.

 

Procedure di contenzioso

Si veda la scheda relativa all’articolo 2.

 

 


Art. 2
(Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia tributaria)

 

I primi due articoli del decreto-legge n. 59 del 2008 contengono disposizioni finalizzate ad agevolare l’adempimento, da parte del Governo, dell’obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi in violazione dell’articolo 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea,dunque illegittimi, ed altresì dichiarati incompatibili con il mercato interno con decisione della Commissione europea.

L’articolo 2, nel dettaglio, reca una speciale forma di tutela cautelare sospensiva nel corso del giudizio innanzi agli organi della giustizia tributaria.

 

Il comma 1 dell’articolo 2 inseriscenel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546[7] l’articolo 47-bis, che regola la sospensione di atti volti al recupero di aiuti di Stato.

 

Per un quadro generale sulla disciplina comunitaria degli aiuti di stato, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 1.

 

Il nuovo articolo 47-bis, al comma 1, disciplina i presupposti del provvedimento di sospensione.

La norma dispone che, ove sia chiesta in via cautelare la sospensione dell’esecuzione di un atto volto al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili - in esecuzione di una decisione “di recupero” adottata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio - la Commissione tributaria provinciale può concedere la sospensione dell'efficacia del titolo di pagamento conseguente a detta decisione, a patto che:

§         vi siano gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nella individuazione del soggetto tenuto alla restituzione dell'aiuto di Stato o evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale errore;

§         sussista il pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile per il soggetto che ha avanzato l’istanza.

 

L’articolo 14 del regolamento CE n. 659/1999 dispone che, nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali,  la Commissione europea adotti una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario (denominata "decisione di recupero").

Tuttavia, il recupero del’aiuto non può essere imposto ove ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario. Il calcolo della somma da recuperare (paragrafo 2) si effettua aggiungendo gli interessiall’ammontare dell’aiuto, che sono calcolati in base a un tasso adeguato stabilito dalla Commissione e decorrono dalla data in cui l'aiuto illegale è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data di recupero.

Dal punto di vista procedurale, fattasalva l’eventuale ordinanza della Corte di giustizia che disponga la sospensione dell’atto impugnato (articolo 242 del Trattato), il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione.

A tal fine, e in caso di procedimento dinanzi ai tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario.

 

Si tratta dunque di presupposti più stringenti rispetto a quanto previsto dall’articolo 47 del d. lgs. n. 546 del 1992, che reca la disciplina generale della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato innanzi al giudice tributario. L’articolo 47 prevede infatti che il ricorrente possa chiedere alla commissione tributaria provinciale competenteun provvedimento che sospenda l’esecuzione dell’atto impugnato, alla condizione che da esso possa derivargli un danno grave ed irreparabile [8].

 Rispetto alla norma generale, dunque, per la sospensione dell’efficacia del titolo di pagamento è richiesto non solo il periculum in mora (ovvero un pregiudizio “imminente ed irreparabile” per il ricorrente), ma anche un fumus boni iuris (decisione gravemente illegittima, o palesemente errata nell’individuazione del destinatario dell’atto o nel calcolo delle somme dovute).

 

Il comma 2del nuovo articolo47-bisregola l’ipotesi in cui la sospensione cautelare si fondi su motivi attinenti alla legittimità della decisione presa in sede comunitaria.

In tale ipotesi, la Commissione tributaria provinciale è tenuta a provvedere con ordinanza alla sospensione del giudizio e all'immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia delle Comunità europee, con richiesta di trattazione d'urgenza, ove ad essa non sia stata già deferita la questione di validità dell'atto comunitario contestato. 

La formulazione del comma 2 del nuovo articolo 47-bis è sostanzialmente identica a quella del comma 2 dell’articolo 1 del decreto-legge in esame, alla cui scheda di lettura pertanto si rinvia.

 

Il comma 3 dell’articolo 47-bis estende all’ipotesi trattatal’applicazione di alcune norme generali sulla sospensione cautelare dell’esecuzione degli atti nel processo tributario.

 

In particolare, fermi i presupposti di fatto e di diritto sottesi alla misura in esame, sono applicabili le disposizioni in materia di cui ai commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8 dell'articolo 47 del d. lgs. n. 546 del 1992, relative a:

-      forma e termini dell’istanza di provvedimento sospensivo;

-      fissazione, con decreto del presidente della Commissione tributaria provinciale competente, della trattazione dell’istanza (per la prima camera di consiglio utile, con  comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima della trattazione);

-      decisione da parte del collegio in ordine all’istanza del ricorrente, (sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito) con ordinanza motivata;

-      possibilità di sospensione parziale dell’esecuzione dell’atto, subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nei modi e termini indicati nel provvedimento che concede la sospensione;

-      cessazione degli effetti della sospensione (dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado);

-      possibilità di revoca o modifica prima della sentenza del provvedimento cautelare, in caso di mutamento delle circostanze e su istanza motivata di parte. In particolare, il terzo comma dell’articolo 47-bis dispone che ai fini della revoca o modifica del provvedimento cautelare, per il “mutamento delle circostanze” rilevi anche il mutamento del diritto comunitario.

 

Il comma 4del nuovo articolo 47-bis dispone che, ove sia pronunziata ordinanza di sospensione, la controversia sia definita nel merito entro  sessanta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza medesima; comunque, il provvedimento sospensivo perde efficacia alla scadenza del termine di sessanta giorni dall'emanazione dell'ordinanza di sospensione salvo che la Commissione tributaria provinciale entro il medesimo termine riesamini, su istanza di parte, l'ordinanza di sospensione e ne disponga la conferma, anche parziale - sulla base dei già esaminati presupposti, di cui ai commi 1 e 2 -  fissando comunque un termine di efficacia non superiore a sessanta giorni ed improrogabile. E’ prevista inoltre la non applicazione della disciplina sulla sospensione feriale dei termini.

Nel caso di rinvio pregiudiziale, il termine per la definizione nel merito (sessanta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione) è sospeso dal giorno del deposito dell'ordinanza di rinvio e riprende a decorrere dalla data della trasmissione della decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee.

 

La Relazione illustrativa allegata al decreto-legge rileva che le suddette norme sono state predisposte “al fine di garantire la pronta definizione delle controversie” ed al contempo “il diritto alla difesa del contribuente”.

 

I commi 5 e 6 dell’articolo 47-bis dettano disposizioni procedurali di accelerazione del giudizio di merito. In particolare, si dispone che la discussione avvenga in pubblica udienza e che, subito dopo la discussione, il Collegio giudicante deliberi la decisione in camera di consiglio. A pena di nullità, il Presidente redige e sottoscrive il dispositivo e ne dà lettura in udienza. La sentenza è depositata nella segreteria della Commissione tributaria provinciale entro quindici giorni dalla lettura del dispositivo; il segretario fa risultare l'avvenuto deposito apponendo sulla sentenza la propria firma e la data e ne dà immediata comunicazione alle parti.

 

Infine, il comma 7 reca norme di accelerazione del giudizio di secondo grado. In particolare, in caso di impugnazione della sentenza pronunciata sul ricorso, tutti i termini del giudizio di appello davanti alla Commissione tributaria regionale - ad eccezione di quello stabilito per la proposizione del ricorso – sono ridotti alla metà; in tale grado di giudizio viene altresì assegnata, nel processo di appello, priorità assoluta nella trattazione alle controversie concernenti atti di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili.

Le medesime norme dispongono che anche neanche in appello – analogamente a quanto previsto per il primo grado - si applichi la sospensione feriale dei termini.

Al secondo grado di giudizio si applicano poi le norme di sospensione dei termini per la definizione nel merito, qualora sia disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, nonché le disposizioni (commi 5 e 6 del nuovo articolo 47) di accelerazione del giudizio di merito previste per il primo grado.

 

Il comma 2 dell’articolo 2 del decreto-legge in esame dispone che si applichi la definizione “accelerata” nel merito - ovvero entro sessanta giorni dalla data in vigore del decreto-legge[9] - anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, qualora sia stata concessa la sospensione.

Ai sensi delle medesime norme, fermo restando il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore del d.l. in esame, la Commissione tributaria provinciale - su istanza di parte - riesamina i provvedimenti di sospensione già concessi e ne dispone la revoca, ove non ricorrano i presupposti di fatto e di diritto previsti dal nuovo articolo 47-bis (ai già esaminati commi 1 e 2). 

Inoltre, il comma 2 prevede che  il termine previsto per la comunicazione alle parti della data di trattazione della controversie concernenti il recupero degli aiuti di stato sia  di dieci giorni liberi (rispetto ai trenta giorni previsti in via ordinaria dall’articolo 31 del d. lgs. n 546 del 1992).

Infine, le medesime disposizioni prevedono che le norme di accelerazione del giudizio di secondo grado (comma 7 dell’articolo 47-bis) si estendano alle controversie pendenti in appello alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

 

Il comma 3 dell’articolo 2  incarica il Presidente di sezione di vigilare, in ogni grado del procedimento, sul rispetto delle norme riguardanti l’immediato rinvio pregiudiziale  - con ordinanza - alla Corte di giustizia,qualora la sospensione si fondi su motivi attinenti alla illegittimità della decisione di recupero, nonché sul rispetto dei termini di accelerazione della definizione del giudizio nel merito, sia in primo grado che in appello. E’ inoltre previsto che il Presidente di sezione riferisca al presidente della commissione tributaria provinciale e regionale, con relazione trimestrale, per le determinazioni di competenza.

 

Il comma 4 dell’articolo 2, infine, sopprime parzialmente la disciplina speciale  contenuta nell’articolo 1 del D.L. 15 febbraio 2007 n. 10[10], relativa al recupero degli aiuti di Stato in esecuzione della decisione 2003/193/CE, emanata con  l’intento di porre fine al contenzioso pendente tra la Repubblica italiana e la Commissione europea in materia di agevolazioni fiscali e prestiti agevolati concessi alle c.d. ex aziende municipalizzate.

 

Con la decisione 2003/193/CE, la Commissione europea aveva infatti riconosciuto come aiuto di Stato - ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del Trattato CE – l’esenzione triennale dall’imposta sul reddito (ex IRPEG, ora IRES) concessa a favore di società per azioni a partecipazione totale o maggioritaria degli enti locali (c.d. ex municipalizzate), nonché la possibilità per queste di stipulare prestiti a tassi agevolati con la Cassa Depositi e Prestiti (CCDDPP), obbligando l’Italia al recupero delle somme indebitamente erogate (decisione riguardante “l’aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall’Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico - C 27/99”).

A seguito dell’inadempimento dello Stato italiano in relazione a tale obbligo, la Corte di giustizia delle Comunità europee (con sentenza resa in data 1° giugno 2006 nella causa C-207/2005) aveva condannato l’Italia per non aver proceduto al recupero delle agevolazioni dichiarate illegittime.

Il Governo italiano non aveva però tempestivamente provveduto a dare esecuzione alla pronuncia della Corte di Giustizia, con conseguente avvio, da parte della Commissione, della procedura d’infrazione n. 2006/2456, promossa ai sensi dell’articolo 228 del Trattato CE.

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 228 la Commissione può avviare un’apposita procedura nei confronti di uno Stato che – sebbene condannato dalla Corte di giustizia per violazione di uno degli obblighi su di esso incombenti in virtù del Trattato – non abbia adottato i provvedimenti derivanti dall’esecuzione della sentenza della Corte. Spetta pertanto alla Commissione europea vigilare sul mancato adempimento degli Stati e avviare la procedura di cui all’articolo 228 del trattato CE, che consente alla Commissione di adire la Corte di giustizia, proponendo l’imposizione di una sanzione pecuniaria nella forma di una somma forfettaria o di una penalità – o di entrambe - di importo determinato.

L’articolo 1 del D.L. n. 10 del 2007, pertanto, al fine di chiudere il contenzioso con la Commissione europea, ha riscritto la procedura per il recupero degli aiuti illegittimi censurati dalla decisione 2003/193/CE(già oggetto di vari interventi normativi nel 2005). La norma ha attribuito all’Agenzia delle entrate il compito di recuperare gli aiuti concretizzatisi nella mancata corresponsione di imposte, nonché i relativi interessi, in relazione a ciascun periodo di imposta nel quale l’aiuto è stato fruito (commi 1 e 2). E’ stata demandata inoltre all’Agenzia la liquidazione degli importi (imposte e relativi interessi) da restituire all’Amministrazione finanziaria ed il recupero degli aiuti nella misura della loro effettiva fruizione, mediante apposita comunicazione recante l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo.

 

La disposizione soppressa dal comma 4 dell’articolo 2 in esame (articolo 1, comma 2, ultimo periodo del d.l. n. 10 del 2007) prevedeva che l’autorità giudiziaria – previo accertamento della gravità e irreparabilità del pregiudizio allegato dal richiedente –  potesse disporre la sospensione cautelativa delle ingiunzioni di pagamento comunicate al contribuente dall’Agenzia delle entrate, in ottemperanza all’obbligo di recuperare gli aiuti censurati dalla citata decisione della Commissione, nelle sole seguenti ipotesi:

a)      errore di persona;

b)      errore materiale del contribuente;

c)      evidente errore di calcolo.

 

Nel disporre la sospensione, l’autorità giudiziaria doveva peraltro tenere conto del preminente interesse nazionale connesso alle condanne irrogabili verso la Repubblica italiana – ai sensi e per gli effetti del citato articolo 228, paragrafo 2, Trattato CE – nonché dell’effetto negativo delle determinazioni della Commissione europea sugli interventi in favore di imprese nazionali.

 

Alla luce della normativa introdotta con l’articolo 2 del d.l. in esame, che ha disciplinato ex novo la sospensione cautelare – innanzi agli organi della giustizia tributaria - di atti volti al recupero di aiuti di stato, appare agevole comprendere la ratio della soppressione della disposizione dell’articolo 1, comma 2, ultimo periodo del d.l. n. 10 del 2007, in quanto si tratta di una norma speciale che, come tale, risulta superata dal complessivo riordino della materia.

 

Procedure di contenzioso

Per quanto riguarda il recupero degli aiuti di Stato illegittimamente prestati si segnala che il 31 gennaio 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia due pareri motivati. La Commissione, infatti, procedendo in base all’articolo 228 TCE[11], ha formalmente chiesto all'Italia di dare esecuzione a due sentenze della Corte di giustizia europea che ordinano il recupero di aiuti di Stato giudicati illegittimi e incompatibili.

In particolare, si tratta delle seguenti procedure:

·       n. 2006/2456, riguardante la sentenza relativa alla cd. “causa municipalizzate” (C-207/05).

La Commissione ritiene che l’Italia non abbia ancora ottemperato all’obbligo di procedere al recupero effettivo e senza ritardo degli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili dalla Corte di giustizia - concessi sotto forma di esenzioni fiscali e prestiti agevolati in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico - sebbene le autorità italiane abbiano, in vista del recupero di tali aiuti, emesso delle ingiunzioni di pagamento. Alcune di tali ingiunzioni, infatti, sarebbero state oggetto di decisioni di sospensione da parte dei giudici nazionali, ma secondo la Commissione, in ossequio alla recente giurisprudenza europea[12], l’applicazione di procedure di diritto interno non deve ostacolare il processo di recupero immediato ed effettivo degli aiuti dichiarati incompatibili da una decisione della Commissione. In virtù di tale giurisprudenza, infatti, le procedure nazionali che prevedano l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro titoli di riscossione, emessi in vista del recupero di un aiuto illegittimamente concesso, possono avere come effetto il notevole differimento del rimborso degli aiuti. Al contrario, il diritto comunitario e la giurisprudenza della Corte impongono allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per ripristinare, senza indugio, la situazione esistente sul mercato precedentemente alla concessione dell'aiuto e assicurare, così, effettiva parità di condizioni nel mercato interno[13].

·       n. 2007/2229, riguardante la sentenza relativa ad una causa promossa dalla Commissione contro l’Italia per mancato recupero di aiuti a favore dell’occupazione (C-99/02).

In assenza di una notifica ufficiale in tal senso, la Commissione ha motivo di ritenere che l'Italia non abbia ancora completato il recupero degli aiuti dichiarati illegittimi e incompatibili – gli aiuti in questione sono stati giudicati non adatti a conseguire l'obiettivo della creazione di posti di lavoro. Peraltro, le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione che solo lo 0,5% di tali aiuti sarebbe stato restituito senza fornire in seguito aggiornamenti sugli importi degli aiuti recuperati[14].

Sebbene le sentenze in questione risalgano al 2004 e al 2006, le autorità italiane non hanno ancora notificato alla Commissione il completamento del processo di recupero. Qualora l'Italia continui a non conformarsi alle decisioni della Corte, la Commissione può nuovamente adire la Corte di giustizia e chiedere l'imposizione di ammende fino al completo recupero degli aiuti, sotto forma di penalità di mora, somme forfettarie o entrambe.

L’atteggiamento particolarmente rigoroso della Commissione nei confronti degli aiuti di Stato illegali è inteso a migliorare l'efficacia, la trasparenza e la credibilità del sistema UE degli aiuti di Stato, secondo quanto annunciato nel piano di azione nel settore degli aiuti di Stato del giugno 2005 e nella comunicazione sull'esecuzione delle decisioni di recupero del novembre 2007.

 

 


Art. 3
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, recante norme in materia ambientale in attuazione della direttiva 2000/60/CE. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 12 gennaio 2006, nella causa C-85/05. Procedura di infrazione n. 2004/59)

 

L’articolo in esame modifica l’art. 77 del d.lgs. n. 152/2006 (che disciplina l’individuazione ed il perseguimento di obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici), riscrivendo i commi 6 e 7 ed aggiungendo un comma 10-bis, al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea.

Nella relazione illustrativa si legge, infatti, che “La Commissione europea, a seguito della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 12 gennaio 2006 per mancato recepimento della direttiva 2000/60/CE, ha avviato una seconda procedura, ex articolo 228 del TCE, arrivata allo stadio di parere motivato, in quanto ha ritenuto incompleto il provvedimento adottato per dare esecuzione alla citata sentenza della Corte di giustizia. Secondo la Commissione europea il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, e successive modificazioni, con il quale è stata formalmente trasposta la direttiva, non prevede, infatti, disposizioni di recepimento dei paragrafi 4, 5 e 7 dell'articolo 4 della direttiva in questione”.

Il seguente testo a fronte evidenzia come i nuovi commi 6, 7 e 10-bis dell’art. 77 del d.lgs. n. 152/2006 garantiscano una maggiore conformità al dettato della direttiva 2000/60/CE (cd. direttiva acque).

 

D.Lgs. n. 152/2006

Art. 77, commi 6 e 7

(Testo previgente)

D.Lgs. n. 152/2006

Art. 77, commi 6, 7 e 10-bis

(Testo novellato dal DL n. 59/08)

Direttiva 2000/60/CE

Art. 4, paragrafi 4, 5

6. Le Regioni possono motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello stato di "buono" entro il 22 dicembre 2015, nel rispetto di quanto stabilito al comma 9 e purchè sussista almeno uno dei seguenti motivi:

 

 

 

 

 

 

a) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

b) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

c) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti.

6. Le regioni possono motivatamente prorogare il termine del 23 dicembre 2015 per poter conseguire gradualmente gli obiettivi dei corpi idrici purché non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato dei corpi idrici e sussistano tutte le seguenti condizioni:

a) i miglioramenti necessari per il raggiungimento del buono stato di qualità ambientale non possono essere raggiunti entro i termini stabiliti almeno per uno dei seguenti motivi:

 

1) i miglioramenti dello stato dei corpi idrici possono essere conseguiti per motivi tecnici solo in fasi successive al 23 dicembre 2015;

2) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionalmente costoso;

3) le condizioni naturali non consentono il miglioramento del corpo idrico nei tempi richiesti;

 

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate nei piani di cui agli articoli 117 e 121;

 

 

c) le proroghe non possono superare il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti dei piani di cui alla lettera b), fatta eccezione per i casi in cui le condizioni naturali non consentano di conseguire gli obiettivi entro detto periodo;

 

d) l'elenco delle misure, la necessità delle stesse per il miglioramento progressivo entro il termine previsto, la giustificazione di ogni eventuale significativo ritardo nella attuazione delle misure, nonché il relativo calendario di attuazione delle misure devono essere riportati nei piani di cui alla lettera b). Le informazioni devono essere aggiornate nel riesame dei piani.

4. A condizione che non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione, è possibile prorogare i termini fissati dal paragrafo 1 allo scopo di conseguire gradualmente gli obiettivi per quanto riguarda i corpi idrici, e che sussistano tutte le seguenti condizioni:

a) gli Stati membri stabiliscono che tutti i miglioramenti necessari dello stato dei corpi idrici non possono essere ragionevolmente raggiunti entro i termini fissati nel suddetto paragrafo per almeno uno dei seguenti motivi:

i) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

ii) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

iii) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti;

b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate e spiegate nel piano di gestione dei bacini idrografici prescritto dall'articolo 13;

 

c) le proroghe non superano il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico, tranne i casi in cui le condizioni naturali non consentono di conseguire gli obiettivi entro tale periodo;

 

d) nel piano di gestione del bacino idrografico figurano un elenco delle misure previste dall'articolo 11 e considerate necessarie affinché i corpi idrici raggiungano progressivamente lo stato richiesto entro il termine prorogato, la giustificazione di ogni significativo ritardo nell'attuazione di tali misure, nonché il relativo calendario di attuazione. Negli aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico devono essere inclusi un riesame dell'attuazione di tali misure e un elenco delle eventuali misure aggiuntive.

7. Le Regioni possono motivatamente stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorra almeno una delle condizioni seguenti:

a) il corpo idrico ha subito, in conseguenza dell'attività umana, gravi ripercussioni che rendono manifestamente impossibile o economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato qualitativo;

b) il raggiungimento dell'obiettivo di qualità previsto non è perseguibile a causa della natura litologica ovvero geomorfologica del bacino di appartenenza.

7. Le regioni, per alcuni corpi idrici, possono stabilire di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli di cui al comma 4, qualora, a causa delle ripercussioni dell'impatto antropico rilevato ai sensi dell'articolo 118 o delle loro condizioni naturali, non sia possibile o sia esageratamente oneroso il loro raggiungimento.

 

Devono, in ogni caso, ricorrere le seguenti condizioni:

 

a) la situazione ambientale e socioeconomica non consente di prevedere altre opzioni significativamente migliori sul piano ambientale ed economico;

 

 

 

 

b) la garanzia che:

1) per le acque superficiali venga conseguito il migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

2) per le acque sotterranee siano apportate modifiche minime al loro stato di qualità, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

 

c) per lo stato del corpo idrico non si verifichi alcun ulteriore deterioramento;

 

            d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico e del piano di tutela di cui agli articoli 117 e 121 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni nell'ambito della revisione di detti piani.

5. Gli Stati membri possono prefiggersi di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli previsti dal paragrafo 1, per corpi idrici specifici qualora, a causa delle ripercussioni dell'attività umana, definita ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, o delle loro condizioni naturali, il conseguimento di tali obiettivi sia non fattibile o esageratamente oneroso, e ricorrano le seguenti condizioni:

 

a) i bisogni ambientali e socioeconomici cui sono finalizzate dette attività umane del corpo idrico non possono essere soddisfatti con altri mezzi i quali rappresentino un'opzione significativamente migliore sul piano ambientale e tale da non comportare oneri esagerati;

 

b) gli Stati membri garantiscono:

- per le acque superficiali, il raggiungimento del migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento,

- per le acque sotterranee, le minime modifiche possibili allo stato delle acque sotterranee, tenuto conto degli impatti che non avrebbero potuto ragionevolmente essere evitati data la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

 

c) non si verifica alcun ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico in questione;

 

d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni.

 

 

10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui:

a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei;

b) l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni:

1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni;

3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l'ambiente e la società, risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, siano inferiori rispetto ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile;

4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori.

7. Gli Stati membri non violano la presente direttiva qualora:

 

- il mancato raggiungimento del buono stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento dello stato del corpo idrico superficiale o sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni del livello di corpi sotterranei, o

- l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni:

a) è fatto tutto il possibile per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

 

b) le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall'articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni;

c) le motivazioni di tali modifiche o alterazioni sono di prioritario interesse pubblico e/o i vantaggi per l'ambiente e la società risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 sono inferiori ai vantaggi derivanti dalle modifiche o alterazioni per la salute umana, il mantenimento della sicurezza umana o lo sviluppo sostenibile, e

 

 

d) per ragioni di fattibilità tecnica o costi sproporzionati, i vantaggi derivanti da tali modifiche o alterazioni del corpo idrico non possono essere conseguiti con altri mezzi che costituiscano una soluzione notevolmente migliore sul piano ambientale.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea

Il 17 luglio 2006 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e recante modifica della direttiva 2000/60/CE (COM (2006) 397).

In particolare, si ricorda che l’articolo 16 della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) definisce una strategia per far fronte all’inquinamento chimico delle acque. Il primo intervento nell'ambito di tale strategia è stata l'adozione di un elenco di sostanze prioritarie (decisione n. 2455/2001/CE), che annovera 33 sostanze che destano particolari timori a livello comunitario. La proposta intende garantire un livello elevato di protezione contro i rischi che tali sostanze prioritarie e alcuni altri inquinanti comportano per l’ambiente acquatico o attraverso di esso e per questo definisce degli standard di qualità ambientale (SQA).

Sulla proposta, che segue la procedura di codecisione, il Consiglio del 20 dicembre 2007 ha adottato una posizione comune che è stata trasmessa al Parlamento europeo per la seconda lettura prevista per giugno 2008.

Il 22 marzo 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione sulla prima fase di attuazione della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE[15].

In base alla valutazione delle relazioni presentate da tutti i 27 Stati membri, la Commissione rileva che, nonostante gli indubbi progressi compiuti nel settore, il recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali è in molti casi inadeguato e lamenta il considerevole ritardo di alcuni Stati membri nell'incorporare strumenti economici nei sistemi di gestione dell'acqua. Per quanto riguarda le disposizioni amministrative della direttiva (art. 3), gli Stati membri hanno, invece, proceduto con successo all’istituzione dei distretti idrografici e alla designazione delle autorità competenti. A tale proposito la Commissione ricorda che gli Stati membri devono ultimare il primo piano di gestione dei bacini idrografici entro il 2009 ed istituire una politica tariffaria per le acque nel 2010.  Gli Stati membri sono inoltre invitati:

-   ad attuare completamente la normativa UE attinente alla direttiva quadro sulle acque, ed in particolare le direttive sulle acque reflue urbane (91/271/CEE) e  sull’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole (91/676/CEE);

-   a mettere in atto tutti gli strumenti economici previsti dalla direttiva (definizione delle tariffe, recupero dei costi dei servizi idrici, costi ambientali e delle risorse e principio “chi inquina paga”);

-   ad istituire un sistema nazionale completo di valutazione e classificazione ecologica che costituisca la base per attuare la direttiva e raggiungere l’obiettivo di un “buono stato ecologico” delle acque.

Ulteriori approfondimenti circa i temi affrontati dalla Comunicazione sono contenuti nel documento di lavoro della Commissione[16].

 

Procedure di contenzioso

In merito alla procedura 2004/59 che l’intervento del Governo intende sanare, si ricorda che il 12 gennaio 2006 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia per mancata attuazione della direttiva quadro in materia di acque 2000/60/CE[17]. La direttiva, contenuta nell’allegato B della legge comunitaria 2003 (legge n. 306 del 2003), è stata successivamente recepita con il decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152. Il 27 giugno 2007 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato ex articolo 228 del Trattato che istituisce la Comunità europea per non essersi adeguata alla sentenza della Corte. La Commissione ritiene infatti che non tutte le disposizioni della direttiva 2000/60/CE siano state trasposte nell’ordinamento italiano per mezzo di tale decreto legislativo. In particolare a parere della Commissione sono state recepite solo in parte le disposizioni dell’articolo 4, che stabiliscono le condizioni che gli Stati membri devono soddisfare qualora intendano derogare agli obiettivi ambientali e al calendario previsti dalla direttiva[18].

 

 

 

 

 


Art. 4
(Modifiche all'art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di recupero stragiudiziale dei crediti. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 18 luglio 2007 nella causa C-134/05. Procedura di infrazione n. 2001/5171. Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in materia di servizi di sicurezza privati. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 13 dicembre 2007 nella causa C-465/05. Procedura di infrazione n. 2000/4196)

 

L’articolo 4 assicura l’attuazione di obblighi comunitari derivanti da due sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, provvedendo all’adeguamento di diverse norme del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.)[19] riferite rispettivamente alla disciplina delle agenzie di affari che offrono servizi di recupero stragiudiziale dei crediti e alla regolamentazione dei servizi di sicurezza privati.

 

In particolare, in materia di recupero stragiudiziale dei crediti, l’articolo in esame, al comma 1, lettera a) integra l’art. 115 del T.U.L.P.S, adeguandolo a quanto disposto dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa C-134/2005[20], che aveva ritenuto talune delle limitazioni ed autorizzazioni previste dalla disciplina vigente in contrasto con le norme del Trattato CE, e, più in particolare, con i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

 

L’art. 115 fa parte del Capo IV del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza dedicato alle Agenzie pubbliche. In particolare, l’articolo si riferisce alle agenzie di prestiti su pegno o ad altre agenzie di affari, quali che ne siano l'oggetto e la durata; nella fattispecie vengono comprese anche le agenzie di vendita, di esposizioni, le mostre o fiere campionarie nonché le agenzie per la raccolta di informazioni a scopo di divulgazione mediante bollettini od altri simili mezzi. Tali agenzie, come l’esercizio del mestiere di sensale o di intromettitore (l'attività d'intromettitore o battitore/banditore ha lo scopo di favorire la commercializzazione di prodotti dell'artigianato), a norma dell’art. 115, non possono aprirsi o condursi senza licenza del Questore, peraltro valida solamente per i locali nei quali è previsto lo svolgimento dell’attività.

Come precisato dal regolamento di esecuzione del testo unico[21], le agenzie d’affari sono quelle imprese, comunque organizzate, che si offrono come intermediarie nell’assunzione o trattazione di affari altrui, prestando la propria opera a chiunque ne faccia richiesta. In tale ambito ricadono le attività dei commissionari, dei mandatari, dei piazzisti, dei sensali, dei ricercatori di merci, di clienti o di affari per esercizi od agenzie autorizzati, delle agenzie per abbonamenti ai giornali; delle agenzie teatrali; delle agenzie di viaggi, di pubblici incanti, degli uffici di pubblicità, e simili[22], mentre la licenza non è richiesta[23] per l'esercizio della professione di mediatore.

Per quanto attiene alle procedure per il rilascio delle licenze, rilevanti innovazioni sono state introdotte a seguito delle c.d. “riforme Bassanini”. Ai sensi dell’art. 163 del D.Lgs. 112/1998[24], infatti, sono stati, tra l’altro, trasferiti ai comuni le funzioni e compiti amministrativi relativi a:

§         rilascio delle licenze concernenti le agenzie d'affari nel settore delle esposizioni, mostre e fiere campionarie (art. 163, co. 2, lett. b));

§         il rilascio delle licenze concernenti le agenzie di affari, ad esclusione di quelle relative all'attività di recupero crediti, pubblici incanti, agenzie matrimoniali e di pubbliche relazioni (art. 163, co. 2, lett. d)).

A fronte di tale quadro normativo, con la sentenza del 18 luglio 2007, nella causa C-134/05, la Corte di giustizia delle Comunità europee decidendo sulla procedura di infrazione n. 2001/5171, ha ritenuto, in parziale accoglimento delle contestazioni mosse dalla Commissione europea contro l’Italia, che le disposizioni che disciplinano contenute nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.), siano in contrasto con il Trattato istitutivo della Comunità Europea costituendo una restrizione della libera prestazione dei servizi (art. 49 del Trattato CE) e della libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro (art. 43 del Trattato CE), laddove impongono a chi esercita l’attività di recupero crediti in via stragiudiziale:

§         la limitazione dell’attività in ambito provinciale conseguente all’obbligo di richiedere una autorizzazione da parte del questore per ognuna delle province in cui l’agenzia intenda esercitare la propria attività, a meno che venga conferito mandato a un rappresentante autorizzato nelle altre province;

§         l’obbligo di munirsi di una sede, con il connesso obbligo di affissione delle prestazioni consentite;

§         l’obbligo di munirsi di una sede in ogni provincia.

 

A fronte delle violazioni degli obblighi imposti dal Trattato CE riscontrate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, la disposizione in esame novella l’art. 115, aggiungendovi tre commi, in  base ai quali, in deroga alla disciplina di carattere generale sulle agenzie di affari:

§         la validità della licenza abilitativa del questore allo svolgimento di attività di recupero stragiudiziale dei crediti non è più limitata ai soli locali indicati nella licenza e non ha limiti territoriali;

§         si introducono modalità alternative di adempimento degli obblighi di informazione nei confronti del cliente che prescindono dalla disponibilità di locali in ogni provincia nella quale si eserciti l’attività di recupero crediti (in luogo dell’affissione nei locali dell'agenzia, della tabella delle operazioni effettuate e delle relative tariffe, richiesto dall’art. 120, primo comma, del T.U.L.P.S. si consente anche l’esibizione o la comunicazione al cliente della licenza, delle relative prescrizioni, nonché delle operazioni consentite e delle tariffe);

Con riferimento alla formulazione del settimo ed ottavo comma dell’articolo 115 del T.U.L.P.S., introdotto dalla disposizione in esame, potrebbe valutarsi l’opportunità di riformularlo in termini di novella all’articolo 120 del testo unico, che è oggetto della deroga prevista dalla disposizione.

§         il titolare della licenza deve comunicare preventivamente all'ufficio competente al rilascio della stessa l'elenco dei propri agenti, indicandone il rispettivo ambito territoriale, ed a tenere a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza il registro delle operazioni. Da parte loro, gli agenti sono tenuti ad esibire copia della licenza ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed a fornire alle persone con cui trattano compiuta informazione della propria qualità e dell'agenzia per la quale operano.

 

L’art. 120 del T.U.L.P.S. prevede che gli esercenti delle agenzie di affari siano obbligati a tenere un registro giornale degli affari, secondo modalità la cui specifica disciplina è affidata al regolamento di esecuzione. A tale riguardo, il regolamento prevede in via generale[25] che il registro debba indicare, di seguito e senza spazi in bianco, il nome e cognome e domicilio del committente, la data e la natura della commissione, il premio pattuito, esatto o dovuto e l'esito della operazione.

 

Le successive lettere dell’articolo 4 modificano ed integrano disposizioni in materia di vigilanza privata contenute nel T.U.L.P.S. al fine di recepire quanto disposto dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa C-465/2005[26], che aveva ritenuto talune delle limitazioni ed autorizzazioni previste dalla disciplina vigente in contrasto con le norme del Trattato CE, e, più in particolare, con i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

 

Le guardie private (definite anche “particolari” in quanto agiscono nell’interesse di singoli soggetti, pubblici o privati, o “giurate” poiché sono ammesse all’esercizio delle loro funzioni dopo la prestazione del giuramento) esercitano attività di vigilanza o custodia di beni mobili o immobili per conto di privati o alle dipendenze di enti o di istituti di vigilanza, oppure attività investigativa alle dipendenze di istituti di investigazione.

Le due attività sono regolate dallo stesso complesso di disposizioni, pur sussistendo tra di loro una rilevante eterogeneità: l’attività di vigilanza è finalizzata a prevenire i reati contro il patrimonio, e gli atti in cui si concretizza sono affini a quelli compiuti dall’autorità di pubblica sicurezza; l’attività investigativa dei privati non ha invece scopi convergenti con le finalità della funzione di polizia.

La disciplina in materia di vigilanza e investigazione privata trova collocazione:

§         nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.), (artt. da 133 a 141);

§         nel regolamento di esecuzione del testo unico (artt. da 249 a 260);

§         nel R.D.L. 1952/1935[27] (guardie particolari giurate);

§         nel R.D.L. 2144/1936[28]  (istituti di vigilanza privata).

In base a tali disposizioni, gli enti pubblici, gli altri enti collettivi ed i privati possono avvalersi di guardie particolari con lo scopo di vigilare e custodire le loro proprietà immobiliari e mobiliari. Essi possono anche, previa autorizzazione del prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie.

Non è ammesso l’esercizio dell’attività di vigilanza da parte di persone che non rivestano la qualifica di guardia giurata o che non dipendano, comunque, da istituti di vigilanza. L’art. 251 del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. stabilisce che non può essere attribuita la qualità di guardia particolare giurata a chi ne faccia richiesta per custodire le proprietà che appartengono a lui o ai suoi parenti o affini.

Presupposto della prestazione d’opera di vigilanza o custodia e di investigazione, da parte di enti o privati, è l’autorizzazione prefettizia. In base all’art. 134 del T.U.L.P.S., senza licenza del prefetto è vietato, ad enti o privati, di prestare opera di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.

In base a detta disposizione, la licenza non può essere concessa:

§         a persone che non abbiano la cittadinanza italiana o di Paesi membri dell’Unione europea, siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo;

§         a persone che non siano in grado di dimostrare la capacità tecnica per i servizi che intendono esercitare;

§         per operazioni che comportino un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale.

Il rilascio della licenza è subordinato al versamento, alla Cassa depositi e prestiti, di una cauzione nella misura da stabilirsi dal prefetto, a garanzia di tutte le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’ufficio e della osservanza delle condizioni imposte dalla licenza.

L’art. 136 del T.U.L.P.S. prevede inoltre che la licenza possa essere negata o revocata per ragioni di sicurezza e ordine pubblico.

L’art. 33 della legge comunitaria 2001 (L. 1 marzo 2002, n. 39) ha modificato gli artt. del T.U.L.P.S. concernenti il rilascio di licenza per la conduzione di istituti di vigilanza privata o di agenzie investigative (art. 134) ed i requisiti per la nomina delle guardie giurate (art. 138), al fine di dare esecuzione a una sentenza della Corte di giustizia (la C-283/99 del 31 maggio 2000) che ha giudicato i due articoli in contrasto con l’ordinamento comunitario prevedendo che la licenza per la conduzione di istituti di vigilanza privata e l’approvazione della nomina di guardia giurata potessero essere conseguiti solo da cittadini italiani. Così, i primi due commi dell’art. 33 integrano l’art. 134 T.U.L.P.S. precisando che i cittadini comunitari possono conseguire tale licenza alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.

Il servizio delle guardie particolari giurate e degli istituti di vigilanza che abbiano alla loro dipendenza non meno di venti guardie giurate, è inoltre posto sotto la diretta vigilanza del questore.

Coloro che impiegano guardie particolari giurate debbono infatti sottoporre all’approvazione del questore della provincia, nel cui territorio viene disimpegnato il servizio, tutte le modalità con cui il servizio stesso deve essere eseguito con la specificazione dei compiti assegnati ad ogni singola guardia: è inoltre vietato a chi impiega guardie particolari giurate di disporre delle stesse in modo non conforme alle norme di servizio approvate dal questore.

Il questore ha anche il potere disciplinare sulle guardie particolari in servizio degli istituti di vigilanza privata (da cui queste dipendono), con facoltà di sospenderle immediatamente e ritirare loro le armi di cui sono in possesso, salvo il provvedimento di revoca da parte del prefetto.

Per quanto riguarda la collaborazione con le forze di polizia, l’art. 139 del T.U.L.P.S. stabilisce l’obbligo, sia per gli istituti di vigilanza sia per quelli di investigazione privata, di prestare la loro opera a richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza, e, per gli agenti dipendenti da questi istituti, di aderire a tutte le richieste ad essi direttamente rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria.

L'art. 257 del R.D. 635/1940, di approvazione del regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, dispone inoltre che i corrispettivi richiesti dalle imprese per i servizi resi nel settore della vigilanza privata siano approvati dal Prefetto competente per territorio con provvedimento parte integrante dell’autorizzazione per l'esercizio della stessa attività di vigilanza.

Al riguardo, rispondendo ad una interrogazione nel corso della XV legislatura, il Viceministro dell’interno[29], aveva evidenziato come il sistema di approvazione delle tariffe è stato imperniato sulla cosiddetta «tariffa di legalità», con la quale il prefetto determina, entro margini di congruità preventivamente valutati, il corrispettivo di ciascuna tipologia di servizio, prevedendo, nell'ambito di tale corrispettivo, un'oscillazione percentuale fra un minimo ed un massimo, all'interno della quale è consentito ai singoli operatori di scegliere la propria tariffa, secondo valutazioni legate alla libera attività imprenditoriale. In questo quadro, si rilevava tuttavia come la più recente giurisprudenza amministrativa avesse ritenuto che alla tariffa dovesse attribuirsi l'esclusiva valenza di canoni di congruità dei prezzi praticati dagli istituti, ai fini del controllo amministrativo sulla serietà ed affidabilità dell'impresa, con la conseguenza della esclusione di ogni riflesso dell'osservanza dei limiti tariffari sulla validità delle offerte economiche - inferiori alla soglia minima consentita dall'atto di approvazione delle tariffe - presentate da imprese in procedure indette per l'affidamento di pubblici servizi di vigilanza.

Gli investigatori privati possono collaborare con la difesa per l’acquisizione di prove ai fini del processo penale.

A tale proposito, l’art. 38 del D.Lgs. 271/1989[30] , recante disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, stabilisce che il difensore, al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall’art. 190 c.p.p., possa svolgere, direttamente o per mezzo di sostituti e consulenti tecnici, investigazioni per ricercare elementi di prova in favore degli assistiti; il difensore può dare mandato, per l’espletamento di tale attività, ad investigatori privati in possesso di una specifica autorizzazione. Tale autorizzazione, secondo quanto previsto in via transitoria dal successivo art. 222 del D.Lgs. 271/1989, in attesa dell’approvazione di una nuova disciplina dell’attività di investigazione privata, è rilasciata dal prefetto agli investigatori capaci di garantire un congruo grado di esperienza professionale e di affidabilità. Per garantire la riservatezza nella ricerca degli elementi probatori, nell’esercizio di questa attività non si applicano le disposizioni che impongono agli investigatori privati l’obbligo di collaborazione con le forze di polizia e con gli organi di polizia giudiziaria, e sono altresì estese agli investigatori le garanzie in materia di tutela del segreto professionale previste per i consulenti tecnici.

La mancanza di un quadro normativo aggiornato ha sollecitato la presentazione nel corso delle ultime legislature di diverse proposte di riforma.

Nella XIII legislatura furono esaminati undici progetti di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 1227 e abb.) e la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera nello scorcio finale della legislatura, approvò un testo unificato il cui esame in Assemblea non ebbe tuttavia inizio.

Nella XIV legislatura alla Camera furono invece esaminate dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare, nonché un disegno di legge di iniziativa governativa, presentato il 25 luglio 2003 recante Disposizioni in materia di sicurezza sussidiaria (A.C. 4209). In quella occasione, la I Commissione approvò un testo unificato (A.C. 301-A), il cui esame in Assemblea non si è tuttavia concluso a seguito della fine della legislatura.

Con riferimento al descritto tessuto normativo, la Corte di giustizia delle Comunità europee, con la sentenza 13 dicembre 2007, nella causa C-465/05, ha rilevato come alcune disposizioni del testo unico del testo di pubblica sicurezza in materia di servizi di vigilanza privata siano in contrasto con i principi di libertà di stabilimento (art. 43 Trattato CE) e di libera prestazione dei servizi (art. 49 Trattato CE), in quanto sottopongono l’attività di vigilanza ad una serie di vincoli e limitazioni ingiustificati.

In particolare, la Corte di giustizia ha rilevato una violazione del diritto comunitario con riferimento alle disposizioni in base alle quali:

§         l’attività è subordinata alla prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;

§         l’attività di vigilanza può essere esercitata da prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo previo rilascio di un’autorizzazione del Prefetto senza tener conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro d’origine;

§         la suddetta autorizzazione ha una validità territoriale limitata ed il suo rilascio è subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza già operanti nel medesimo territorio;

§         si richieda che l’impresa di vigilanza abbia una sede operativa in ogni provincia in cui intendono esercitare la propria attività;

§         il personale delle imprese deve essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza senza tener conto delle verifiche già effettuate nello Stato di origine;

§         le imprese di vigilanza devono utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate;

§         le imprese di vigilanza devono versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti;

§         i prezzi per i servizi di vigilanza privata sono fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione.

 

In particolare, il comma 1, lettera b), prevede l’inserimento di un ulteriore comma all’art. 134 del T.U.L.P.S. affidando al regolamento di esecuzione il compito di disciplinare l’estensione degli accertamenti riguardanti l’assenza di precedenti penali e di polizia anche nei confronti di coloro che esercitano poteri di rappresentanza, direzione e amministrazione dell’impresa (in tale ambito si richiama espressamente l’institore[31]).

 

Tale modifica non consegue in modo diretto alle violazioni del diritto comunitario riscontrate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ma - come rilevato dalla relazione illustrativa allegata al disegno di legge di conversione – intende  adeguare le disposizioni vigenti alla struttura organizzativa più complessa che gli istituti di vigilanza privata potranno assumere operando a livello nazionale.

 

Nei confronti di tali soggetti viene altresì accertata l’assenza delle cause ostative all’attribuzione di licenze o autorizzazioni di polizia, previste in viua generale dall’art. 11 del testo unico di pubblica sicurezza e dall’art. 10 della L. 575/1965[32].

 

L’art. 11 del T.U.L.P.S. stabilisce che – fatte salve ulteriori condizioni stabilite dalla legge nei singoli casi – le autorizzazioni di polizia siano in ogni caso negate:

§         a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo, qualora non abbia ottenuto la riabilitazione;

§         a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

È inoltre previsto che le autorizzazioni di polizia possano essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità[33].

Gli accertamenti si estendono altresì alla verifica all’assenza delle condizioni previste dall’art. 10 della L. 575/1965 (applicazione, con provvedimento definitivo, di una misura di prevenzione per appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso).

 

Il comma 1, lettera c) dispone l’inserimento nel T.U.L.P.S. di un nuovo articolo 134-bis, in materia di disciplina delle attività già autorizzate in un altro Stato membro dell'Unione europea. Al riguardo, si prevede, in particolare, che:

§         l’esercizio delle attività di vigilanza privata da parte di un’impresa legalmente autorizzata a svolgere la stessa attività presso un altro Stato membro sia sottoposto alle medesime condizioni dell’imprese ed istituti stabiliti in Italia, tenendo altresì conto degli adempimenti già assolti nello Stato di stabilimento. L’adempimento degli obblighi e degli oneri, qualora non sia attestato dallo Stato rilasciante, deve essere verificato dal prefetto (co. 1);

§         il Ministro dell’interno sia autorizzato a sottoscrivere accordi di collaborazione e di reciproco riconoscimento dei requisiti necessari  per lo svolgimento dell'attività, nonché  dei provvedimenti amministrativi previsti dai rispettivi ordinamenti (co. 3).

Il comma 2 dell’articolo 134-bis introdotto dalla lettera in esame demanda invece al regolamento di esecuzione la disciplina delle condizioni e delle modalità di svolgimento dei servizi transfrontalieri e temporanei di vigilanza e custodia da imprese di altri Stati membri dell’Unione.

 

Le successive lettere d) ed e) intervengono sulla disciplina del controllo amministrativo delle tariffe praticate dagli istituti di vigilanza, che la Corte di giustizia delle Comunità europee aveva dichiarato non conforme ai principi di libertà di stabilimento  e libera prestazione dei servizi sanciti dagli articoli 43 e 49 del trattato CE.

In particolare, attraverso due novelle all’articolo 135 del T.U.L.P.S. si prevede l’eliminazione:

§         del divieto di ricevere compensi superiori a quelle fissate dalla tariffa (lett. d));

§         della previsione dell’obbligo di vidimazione autorizzativa da parte del prefetto della tabella delle operazioni e del relativo tariffario praticate dall’istituto di vigilanza privato (lett. e)).

 

La lettera f) del comma 4, intervenendo su un'altra disposizione che la Corte di giustizia delle Comunità europee aveva dichiarato in contrasto con il diritto dell’Unione, rimuove – con una modifica testuale all’articolo 136 del T.U.L.P.S. - la possibilità per il prefetto di negare il rilascio della licenza per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti nel territorio interessato dalla licenza.

 

La successiva lettera g) reca tre novelle all’art. 138 del T.U.L.P.S. che innovano in ordine ai requisiti e allo status giuridico delle guardie particolari giurate.

In particolare, il numero 1) della lettera affida l’individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione delle guardie giurate ad un decreto del Ministro dell’interno, che dovrà essere adottato dopo aver sentito le Regioni secondo modalità che saranno determinate nel regolamento d’attuazione del testo unico.

Il successivo numero 2) con una norma analoga a quella prevista dall’articolo 134-bis, introdotto dalla precedente lettera c), per le imprese di vigilanza, prevede che, ai fini dell’approvazione della nomina a guardia particolare giurata di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea, il prefetto tiene conto dei controlli e delle verifiche effettuati al medesimo fine nel Paese di provenienza. Attraverso un richiamo al comma 3 dell’articolo 134-bis si autorizza, inoltre, il Ministro dell’interno a sottoscrivere accordi di collaborazione e di reciproco riconoscimento dei requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di guardia giurata, nonché dei provvedimenti amministrativi previsti dai rispettivi ordinamenti.

Con una modifica che non è riconducibile in modo diretto alla pronuncia della Corte di giustizia, il numero 3) riconosce, infine, alle guardie particolari giurate, nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate, la qualità di incaricati di un pubblico servizio.

 

Al riguardo, la relazione illustrativa allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge evidenzia come la modifica introdotta risponde “all’esigenza di assicurare alle guardie particolari giurate una difesa penale non inferiore a quella assicurata agli steward addetti agli impianti sportivi”. Si precisa, inoltre, che – tenuto conto della limitazione dell’attribuzione della qualifica ai soggetti addetti a funzioni di custodia e vigilanza di beni mobili e immobili – essa “è meramente ricognitoria delle situazioni di fatto contemplate dall’articolo 358 del codice penale”.

In base alla richiamata disposizione codicistica[34], ai fini della legge penale, si intendono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, svolgono un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

Al riguardo si rileva che, nella giurisprudenza successiva alla modifica dell’art. 358 c.p., la Cassazione ha in molte circostanze riconosciuto alla guardia particolare giurata la qualità di incaricato di pubblico servizio non avente la qualifica di pubblico impiegato, negando il riconoscimento dello status di pubblico ufficiale[35].

In altre pronunce[36], peraltro, la Cassazione ha invece rilevato che le guardie particolari giurate hanno compiti circoscritti alla vigilanza e alla custodia delle proprietà mobiliari e immobiliari loro affidate ed in relazione a tali compiti di istituto è loro riconosciuta la qualità di pubblici ufficiali.

Quanto alla tutela giuridica riconosciuta agli steward, si ricorda che l’art. 6-quater della L. 401/1989[37], inserito dal D.L. 162/2005[38] estende anche ai soggetti incaricati del controllo dei titoli di accesso e dell’instradamento degli spettatori nelle manifestazioni sportive ed a quelli incaricati di assicurare il rispetto del regolamento d’uso dell’impianto dove si svolgono dette manifestazioni - purché essi siano riconoscibili come tali e limitatamente alle mansioni svolte – la disciplina prevista dagli articoli 336 e 337 c.p. per i casi di violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio.

Peraltro come evidenziatosi[39] nel corso dell’esame in Commissione presso l’altro ramo del Parlamento del disegno di legge di conversione del D.L. 8/2007[40], recante misure volte a contrastare violenze nelle manifestazioni sportive, nei provvedimenti adottati si è deciso di non procedere all’individuazione la qualificazione giuridica degli addetti alla sicurezza interna degli stadi, preferendosi, al contrario, demandare al Governo tale definizione, e rinviare nel contempo ad una normativa più generale la disciplina della cosiddetta sicurezza sussidiaria.

Il tema dell’inquadramento giuridico degli addetti alla sicurezza negli stadi è stato affrontato anche nel corso del successivo esame del provvedimento da parte della Camera ed in tale sede il sottosegretario di Stato per la giustizia Luigi Scotti ha sottolineato come “la questione dell’individuazione di soggetti privati ai quali attribuire compiti inerenti al rispetto negli stadi delle norme di ordine pubblico debba essere risolta in via generale e non solamente in relazione alle violenze in occasione di manifestazioni sportive”[41]. Sulla materia sono stati quindi accettati dal Governo due ordini del giorno, l’uno volto a impegnare il Governo ad una precisa qualificazione giuridica del personale addetto agli impianti sportivi e ad una più specifica regolamentazione del suo status[42] e l’altro a meglio precisare il compito loro attribuito di far rispettare il regolamento dell’impianto sportivo.

 

Da ultimo, si segnala che, per quanto attiene alle violazioni di obblighi comunitari rilevate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con riferimento a disposizioni contenute nel regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S., la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame evidenzia che “con separato provvedimento si provvederà a completare il quadro normativo adeguando la disciplina regolamentare vigente alle determinazioni della Corte di giustizia delle Comunità europee”.

 


 

R.D. 773/1931 – testo vigente

R.D. 773/1931  – testo modificato dal D.L. D.L. 59/2008

[…]

[…]

Art.115

Art.115

1. Non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l'oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del Questore.

1. [identico]

2. La licenza è necessaria anche per l'esercizio del mestiere di sensale o di intromettitore.

2. [identico]

3. Tra le agenzie indicate in questo articolo sono comprese le agenzie per la raccolta di informazioni a scopo di divulgazione mediante bollettini od altri simili mezzi.

3. [identico]

4. La licenza vale esclusivamente pei locali in essa indicati.

4. [identico]

5. È ammessa la rappresentanza.

5. [identico]

 

6. Per le attività di recupero stragiudiziale dei crediti per conto di terzi non si applica il quarto comma del presente articolo e la licenza del questore abilita allo svolgimento delle attività di recupero senza limiti territoriali, osservate le prescrizioni di legge o di regolamento e quelle disposte dall'autorità.

 

7. Per le attività previste dal sesto comma del presente articolo, l'onere di affissione di cui all'articolo 120 può essere assolto mediante l'esibizione o comunicazione al committente della licenza e delle relative prescrizioni, con la compiuta indicazione delle operazioni consentite e delle relative tariffe.

 

8. Il titolare della licenza è, comunque, tenuto a comunicare preventivamente all'ufficio competente al rilascio della stessa l'elenco dei propri agenti, indicandone il rispettivo ambito territoriale, ed a tenere a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza il registro delle operazioni.

 

9. I suoi agenti sono tenuti ad esibire copia della licenza ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed a fornire alle persone con cui trattano compiuta informazione della propria qualità e dell'agenzia per la quale operano.

[…]

[…]

Art. 134

Art. 134

1. Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.

1. [identico]

2. Salvo il disposto dell'art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell'Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo.

2. [identico]

3. I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.

3. [identico]

 

4. Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l'institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell'istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l'assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall'articolo 11 del presente testo unico, nonché dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575.

5. La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale.

 

[identico].

[…]

[…]



Art. 134-bis
Disciplina delle attività autorizzate in altro Stato dell'Unione europea

 

1. Le imprese di vigilanza privata stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea possono stabilirsi nel territorio della Repubblica italiana in presenza dei requisiti, dei presupposti e delle altre condizioni richiesti dalla legge e dal regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, tenuto conto degli adempimenti, degli obblighi e degli oneri già assolti nello Stato di stabilimento, attestati dall'autorità del medesimo Stato o, in mancanza, verificati dal prefetto.

2. I servizi transfrontalieri e quelli temporanei di vigilanza e custodia da parte di imprese stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea sono svolti alle condizioni e con le modalità indicate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico.

3. Il Ministro dell'interno e' autorizzato a sottoscrivere, in materia di vigilanza privata, accordi di collaborazione con le competenti autorità degli Stati membri dell'Unione europea, per il reciproco riconoscimento dei requisiti, dei presupposti e delle condizioni necessari per lo svolgimento dell'attività, nonche' dei provvedimenti amministrativi previsti dai rispettivi ordinamenti.

[…]

[…]

Art.135

Art.135

1. I direttori degli uffici di informazioni, investigazioni o ricerche, di cui all'articolo precedente, sono obbligati a tenere un registro degli affari che compiono giornalmente, nel quale sono annotate le generalità delle persone con cui gli affari sono compiuti e le altre indicazioni prescritte dal regolamento.

 

1. [Identico]

 

2. Tale registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.

 

2. [Identico]

 

3. Le persone, che compiono operazioni con gli uffici suddetti, sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

 

3. [Identico]

 

4. I direttori suindicati devono inoltre tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.

4. [Identico]

 

5. Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa  o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

 

5. Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

6. La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto.

6. [soppresso]

[…]

[…]

Art.136

Art.136

1. La licenza è ricusata a chi non dimostri di possedere la capacità tecnica ai servizi che intende esercitare.

1. [Identico]

 

2. Può, altresì, essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti.

2. [soppresso]

3. La revoca della licenza importa l'immediata cessazione dalle funzioni delle guardie che dipendono dall'ufficio.

3. [identico]

 

4. L'autorizzazione può essere negata o revocata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico.

 

4. [Identico]

[…]

[…]

Art.138

Art.138

1. Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:

1° essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea (262);

2° avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;

3° sapere leggere e scrivere;

4° non avere riportato condanna per delitto (263) (264);

5° essere persona di ottima condotta politica e morale (265);

6° essere munito della carta di identità;

7° essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.

1. [Identico]

 

 

2. Il Ministro dell'interno con proprio decreto, da adottarsi con le modalità individuate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, sentite le regioni, provvede all'individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione delle guardie particolari giurate.

3. La nomina delle guardie particolari giurate deve essere approvata dal prefetto. Con l'approvazione, che ha validità biennale, il prefetto rilascia altresì, se ne sussistono i presupposti, la licenza per il porto d'armi, a tassa ridotta, con validità di pari durata.

3. [Identico]

 

4. Ai fini dell'approvazione della nomina a guardia particolare giurata di cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea il prefetto tiene conto dei controlli e delle verifiche effettuati nello Stato membro d'origine per lo svolgimento della medesima attività. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 134-bis, comma 3.

5. Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell'Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d'armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell'interno. Si osservano, altresì, le disposizioni degli articoli 71 e 256 del regolamento di esecuzione del presente testo unico.

5. [Identico]

 

6. Salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio.

Procedure di contenzioso

Recupero stragiudiziale dei crediti

Il 17 ottobre 2007 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ex art.228 TCE (procedura di infrazione n. 2001/5171) per non aver preso i provvedimenti necessari all’esecuzione della sentenza C-134/05, pronunciata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 18 luglio 2007.

La sentenza in questione ha dichiarato incompatibili con il principio della libertà di stabilimento di cui all’articolo 43 TCE e con il principio della libera prestazione di servizi di cui all'articolo 49 TCE[43], alcune disposizioni del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza adottato con regio decreto 18 giugno 1931, n.773, relative all’esercizio della attività di recupero crediti extragiudiziale da parte delle agenzie.

La sentenza ha fatto seguito al ricorso presentato ex art. 226 TCE dalla Commissione europea il 22 marzo 2005. In esso la Commissione rilevava l’incompatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni del TULPS che:

-   sottopongono l'attività di recupero extragiudiziale dei crediti ad una licenza rilasciata dall'autorità locale di polizia (Questore);

-   limitano la validità della licenza al territorio della provincia nella quale quest'ultima è stata rilasciata;

-   legano l'esercizio dell'attività di recupero extragiudiziale dei crediti a locali specificamente indicati nella licenza;

-   subordinano l'esercizio dell'attività in una provincia per la quale l'operatore non dispone di licenza al conferimento di un mandato ad un rappresentante autorizzato;

-   obbligano gli operatori ad esporre in modo visibile una tabella indicante tutte le operazioni che possono essere effettuate per i clienti;

-   prevedono che l'autorità locale di polizia (Questore) possa subordinare la licenza a prescrizioni aggiuntive;

-   limitano la libertà di fissazione delle tariffe da parte degli operatori;

-   dichiarano l'attività di recupero crediti incompatibile con le attività bancarie e creditizie oggetto del decreto legislativo n. 385/93.

La sentenza della Corte ha accolto solo in parte le censure mosse dalla Commissione. Si segnala in particolare che la Corte ha comunque ritenuto legittime la disposizione che subordina l’esercizio dell’attività ad una autorizzazione da parte del questore e la disposizione che attribuisce al questore la facoltà di prevedere prescrizioni aggiuntive rispetto a quelle previste dal TULPS, al fine di garantire il rispetto della pubblica sicurezza nell’interesse generale.

 

Servizi di sicurezza privati

Il 13 dicembre 2007 la Corte di giustizia delle Comunità europee ha condannato l’Italia (sentenza n. C-465/05) per incompatibilità con l’art. 43 TCE (libertà di stabilimento) e con l’art. 49 TCE (libera prestazione di servizi)[44] di alcune disposizioni del Testo unico delle Leggi di Pubblica sicurezza, relative alla professione di agente di sicurezza privata.

Nel ricorso ex. art. 226 TCE presentato il 23 dicembre 2005, nell’ambito procedura di infrazione 2000/4196, la Commissione europea aveva ritenuto non conformi al diritto comunitario (artt. 43 e 49 TCE) le disposizioni del TULPS in base alle quali:

-   l'attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;

-   l'attività di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un'autorizzazione del Prefetto,senza considerare analoghi obblighi cui il prestatore di tali servizi sia già soggetto nello Stato membro in cui è stabilito;

-   la suddetta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell'importanza delle imprese di vigilanza già operanti nel medesimo territorio;

-   le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività;

-   il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza;

-   le imprese di vigilanza debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di dipendenti per essere autorizzate;

-   le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti;

-   i prezzi per i servizi di vigilanza privati siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell'ambito di un determinato margine d'oscillazione.

La sentenza della Corte ha accolto le censure della Commissione.

 

 

 

 


Art. 5
(Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio pubblico svolto nell'ambito dell'Unione europea. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 26 dicembre 2006 nella causa C-371/04. Procedura di infrazione n. 2002/4888)

 

L’articolo 5 reca disposizioni inerenti il riconoscimento, da parte delle amministrazioni pubbliche italiane, dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite dai cittadini comunitari nel territorio di altri Stati dell’Unione europea.

Secondo la relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, la disposizione in esame ha lo scopo di conformare l’ordinamento italiano all’orientamento degli organi comunitari formatosi sull’interpretazione dell’articolo 39 del Trattato CE.

In particolare, la relazione evidenzia come, anche recentemente, nei confronti dello Stato italiano sono state pronunciate alcune decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee che hanno accertato l'inadempimento agli obblighi derivanti dal Trattato CE e dal regolamento (CEE) n. 1612/68 ai fini del riconoscimento dell'esperienza professionale e dell'anzianità acquisite nel territorio di altri Stati membri. In relazione a ciò, “si rende necessario introdurre una previsione normativa espressa che sancisca la parità di trattamento per i casi in cui un cittadino comunitario abbia svolto, al di fuori del nostro territorio nazionale, un'attività lavorativa analoga a quella considerata e valutata dalle pubbliche amministrazioni italiane”.

In sostanza, la disposizione in esame, continua la relazione, dando attuazione sia all’orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia delle Comunità europee sia alla comunicazione della Commissione europea COM (2002) 694 “Libera circolazione dei lavoratori - realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità”, dell'11 dicembre 2002, determina l’obbligo, per l’amministrazione pubblica italiana, nel caso in cui la stessa richieda quale requisito per lo svolgimento di un determinato servizio o incarico che siano possedute determinate esperienze professionali e anzianità, del riconoscimento di queste ultime secondo condizioni di parità a prescindere dallo Stato dell’Unione europea ove le stesse sono state maturate, senza creare alcuna discriminazione. Viene inoltre considerato valutabile il servizio prestato presso le amministrazioni pubbliche degli Stati membri in periodi antecedenti alla loro adesione all'Unione europea.

 

L’articolo in esame, in particolare, prevede che le amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del principio di libera circolazione dei lavoratori di cui agli articoli 39 del Trattato CE e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968[45], devono valutare, fatti salvi i casi in cui siano presenti previsioni più favorevoli, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nell'esercizio di un'attività analoga a quella considerata rilevante e svolta in un altro Stato membro – anche prima dell’adesione di tale Stato all’Unione europea - o presso organismi dell'Unione europea secondo condizioni di parità rispetto a quelle acquisite nell'ambito dell'ordinamento italiano.

Si prevede l’inapplicabilità delle disposizioni normative e delle clausole della contrattazione collettiva contrastanti con la norma in esame.

Viene infine precisato che, ai fini dell'accesso dei cittadini comunitari nelle amministrazioni pubbliche, rimane fermo quanto previsto dall'articolo 38 del D.Lgs. 165/2001.

 

L’articolo 39 del Trattato CE assicura la libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, affermando l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

La libera circolazione, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, importa il diritto (paragrafo 3):

a)       di rispondere a offerte di lavoro effettive,

b)       di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri,

c)       di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali,

d)       di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

Le disposizioni dell’articolo in oggetto non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione (paragrafo 4).

 

Il richiamato articolo 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 dispone il diritto, per il lavoratore cittadino di uno Stato membro, di ricevere sul territorio degli altri Stati membri un trattamento identico da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato (paragrafo 1).

Allo stesso tempo, è riconosciuto al lavoratore il diritto ad usufruire degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali (paragrafo 2), nonché, allo stesso titolo ed alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali, dell'insegnamento delle scuole professionali e dei centri di riadattamento o di rieducazione (paragrafo 3).

Lo stesso articolo, infine, prevede (paragrafo 4) la nullità di diritto di tutte le clausole di contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni collettive concernenti l'accesso all'impiego, l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e di licenziamento, nel caso in cui prevedano o autorizzino condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri.

 

Infine, l’articolo 38 del D.Lgs. 165/2001 regola l’accesso dei cittadini comunitari agli impieghi pubblici.

Più specificamente, si stabilisce che i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possano accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale.

Si affida ad un D.P.C.M l’individuazione dei posti e delle funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché dei requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini comunitari.

Infine, nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all'equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con D.P.C.M, su proposta dei ministri competenti. Con identica procedura si stabilisce l'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell'ammissione al concorso e della nomina.

 

Procedure di contenzioso

Con sentenza ex art. 226 del 26 ottobre 2006[46] causa C-371/2004, la Corte di Giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi incombenti ai sensi dell’articolo 39 del trattato CE e 7 del Regolamento del Consiglio 1612/1968.

Con lettera di messa in mora del 17 dicembre 2002 la Commissione ha avviato una procedura di infrazione (2002/4888) poiché riteneva che la Repubblica italiana, non avendo tenuto conto dell’esperienza professionale e dell’anzianità acquisite nell’esercizio di un’attività analoga presso una Pubblica amministrazione di un altro Stato membro, fosse venuta meno agli obblighi incombenti ai sensi dell’articolo 39del trattato CE e 7 del Regolamento del Consiglio 1612/1968[47]. La Commissione ha successivamente inviato all’Italia un parere motivato, il 13 maggio 2003.

In particolare, la Commissione ha ricevuto denuncia da parte di un cittadino comunitario che ha insegnato in una scuola pubblica francese, e la cui esperienza professionale acquisita in Francia non è stata presa in considerazione in Italia. Le disposizioni comunitarie, viceversa, applicano il principio della libera circolazione dei lavoratori e implicano che gli Stati membri, ai fini della determinazione della retribuzione e dell’avanzamento di carriera di dipendenti pubblici, siano tenuti a considerare l’esperienza e l’anzianità maturata dal lavoratore presso un ente pubblico operante in un altro Stato membro.

Dal momento che l’Italia non ha  dato esecuzione a tale sentenza, la Commissione, il 21 marzo 2007, ha inviato una lettera di messa in mora, ex art. 228 del TCE, che può preludere ad una sentenza di condanna a sanzioni pecuniarie per l’Italia.

 

 

 


Art. 6
(Disposizioni transitorie in materia di piani di adeguamento di cui all'articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti. Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. Procedura di infrazione n. 2003/2077 - esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia resa in data 26 aprile 2007 nella causa C-135/05. Procedura di infrazione 2003/4506 - causa C-442/06. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2006/4482)

 

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica l’art. 17 del d.lgs. n. 36/2003, recante disposizioni transitorie in materia di piani di adeguamento delle discariche di rifiuti, mediante l’aggiunta di due commi 4-bis e 4-ter, che integrano le previsioni dei commi 3 e 4 del medesimo articolo 17.

 

Il nuovo comma 4-bis dispone in merito all’approvazione, da parte dell’autorità competente, dei piani di adeguamento delle seguenti discariche:

§         discariche di rifiuti pericolosi;

§         discariche autorizzate dopo il 16 luglio 2001 e fino al 23 marzo 2003.

 

In particolare viene previsto che il provvedimento di approvazione debba fissare un termine per l'ultimazione dei lavori di adeguamento, che non può essere successivo al 1° ottobre 2008.

 

Il comma 4-ter dispone, per le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2003, che, qualora il provvedimento di approvazione del piano di adeguamento stabilisca un termine finale per l'ultimazione dei lavori di adeguamento successivo al 1° ottobre 2008, tale termine si intende anticipato al 1° ottobre 2008.

 

Si ricorda che l’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 36/2003 ha disposto che “le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate” (termine prorogato, da ultimo, sino al 31 dicembre 2008 dal comma 166 dell'art. 1 della legge finanziaria 2008).

Il successivo comma 3 ha invece disposto che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell'autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all'autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all'articolo 14”.

Il comma 4 del medesimo art. 17 ha poi stabilito che “con motivato provvedimento l'autorità competente approva il piano di cui al comma 3, autorizzando la prosecuzione dell'esercizio della discarica e fissando i lavori di adeguamento, le modalità di esecuzione e il termine finale per l'ultimazione degli stessi, che non può in ogni caso essere successivo al 16 luglio 2009. Nel provvedimento l'autorità competente prevede anche l'inquadramento della discarica in una delle categorie di cui all'articolo 4. Le garanzie finanziarie prestate a favore dell'autorità competente concorrono alla prestazione della garanzia finanziaria”.

 

La motivazione sottesa alle modifiche in esame viene chiaramente individuata, dalla relazione illustrativa, nella necessità di introdurre una disciplina speciale per particolari tipi di discariche, che origina dal tardivo recepimento della direttiva 1999/31/CE.

Tale direttiva avrebbe, infatti, dovuto essere trasposta entro il 16 luglio 2001, mentre il decreto legislativo di recepimento (n. 36/2003) è entrato in vigore solo il 27 marzo 2003 (essendo stato pubblicato nella G.U. n. 59 del 12 marzo 2003 – S.O. n. 40).

Nella relazione si legge, infatti, che “per effetto di tale ritardo non si è attribuita alle discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 23 marzo 2003 la qualifica di discariche ex novo, che avrebbe comportato l'applicazione della nuova disciplina introdotta dalla direttiva, bensì quella di discariche preesistenti per le quali sono sufficienti la presentazione e l'approvazione di un piano di adeguamento. La Commissione europea contesta, inoltre, la mancata trasposizione di alcune disposizioni dello stesso articolo 14 della direttiva relative alle discariche per i rifiuti pericolosi, che avrebbero dovuto essere applicate nel 2002 (articoli 4, 5 e 11 della direttiva) e nel 2004 (articolo 6 della direttiva)” e che, pertanto, “si rende necessario meglio precisare la portata dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, introducendo una disciplina specifica (e sostanzialmente differenziata rispetto a quella prevista per tutte le altre discariche) per le discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 23 marzo 2003 e per quelle per rifiuti pericolosi. In tale modo si fa venire meno il regime di generale e indistinta equiparazione tra tutte le discariche preesistenti al marzo 2003 contenuto nel decreto legislativo n. 36 del 2003, regime di equiparazione che, secondo le autorità comunitarie, si pone in contrasto con la diversa disciplina che la direttiva 1999/31/CE assegna alle discariche per rifiuti pericolosi e a quelle autorizzate prima della sua entrata in vigore”.

 

Si osserva che, probabilmente per un mero refuso, il comma in esame si riferisce al 23 marzo 2003, anziché al 26 marzo (giorno precedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2003). Si ritiene pertanto opportuna la correzione del testo.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame elimina la definizione di «apparecchiature elettriche ed elettroniche usate» prevista dall'art. 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 151/2005, con il quale sono state recepite nell'ordinamento nazionale direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti elettrici.

 

Nella relazione illustrativa viene sottolineato, infatti, che “tale modifica è necessaria al fine di risolvere una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea in quanto la definizione, non contemplata dalla direttiva 2002/96/CE e introdotta nella normativa nazionale dal citato decreto legislativo n. 151 del 2005, opera un indebito restringimento del campo di applicazione della stessa direttiva, nonché, conseguentemente, della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, sui rifiuti. Per effetto di tale previsione, infatti, le apparecchiature elettriche ed elettroniche che il detentore consegna al distributore all'atto dell'acquisto di un apparecchio equivalente non sono rifiuti, bensì apparecchiature usate, spettando al distributore che le riceve decidere successivamente se le stesse siano o meno rifiuti”.

 

L’art. 3, comma 1, lettera c), definiva «apparecchiature elettriche ed elettroniche usate»: le apparecchiature elettriche ed elettroniche “che il detentore consegna al distributore al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura di tipo equivalente, affinché quest'ultimo possa valutare, prima di disfarsene, il possibile reimpiego ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b).

L’art. 1, comma 1, dispone, tra l’altro, che “il presente decreto stabilisce misure e procedure finalizzate a:

a) prevenire la produzione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di seguito denominati RAEE;

b) promuovere il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei RAEE, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento”.

 

Procedure di contenzioso

Il 31 gennaio 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ex art. 228 TCE per non aver preso i provvedimenti necessari all’esecuzione della sentenza C-135/05, con cui la Corte di giustizia ha condannato l’Italia[48]per non corretta applicazione degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CE; dell’articolo 2, comma 1, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, e dell’articolo 14 della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti.

La Corte ha accolto i rilievi avanzati dalla Commissione che - nel ricorso presentato il 23 marzo 2005 - dichiara di essere venuta a conoscenza dell’esistenza sul territorio italiano di un elevato numero di discariche funzionanti illegalmente e senza controllo delle autorità pubbliche, alcune delle quali contenenti rifiuti pericolosi. La Commissione ritiene che, fintanto che tolleri la presenza di tali discariche, la Repubblica italiana violi gli obblighi derivanti dalle citate direttive. Inoltre, in relazione alle discariche già esistenti alla data del 16 luglio 2001, la mancanza di informazioni sui piani di riassetto che i gestori di tali discariche avrebbero dovuto presentare entro il 16 luglio 2002, porta la Commissione a considerare non esistenti tali piani e le relative misure di autorizzazione e di eventuale chiusura delle discariche non rispondenti ai requisiti di legge.

Il 10 aprile 2008 la Corte di giustizia ha emesso nei confronti dell’Italia una sentenza di inadempimento[49], per essere venuta meno agli obblighi previsti dagli articoli 2, 5, 6, 10, 13 e 14 della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti,  che è stata recepita nell’ordinamento italiano per mezzo del decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003.

Nel ricorso presentato alla Corte il 26 ottobre 2006, la Commissione rileva la non conformità della legislazione nazionale alla citata direttiva a causa del recepimento tardivo effettuato dalla Repubblica italiana. La direttiva prevede, infatti, due regimi giuridici diversi, a seconda che ci si trovi in presenza di discariche nuove o preesistenti. A causa del recepimento tardivo operato dal decreto legislativo, alcune discariche che avrebbero dovuto essere assoggettate al regime previsto per le nuove discariche, sono invece assoggettate al regime previsto per le discariche preesistenti.

Il 12 ottobre 2006 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[50] per non conformità del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, con il quale sono state trasposte nel diritto interno le direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti.

Secondo la valutazione della Commissione il decreto legislativo, introducendo la definizione di “apparecchiature elettriche ed elettroniche usate” non contenuta nella direttiva, rischia di restringere l’ambito di applicazione della direttiva 2002/96/CE. Risulta infatti essere stabilito dal decreto legislativo che le apparecchiature elettriche ed elettroniche che il detentore consegna al distributore all’atto dell’acquisto di un apparecchio equivalente non possono mai essere rifiuti ma, sempre e comunque, “apparecchiature usate”. Mentre sulla base della citata direttiva in tali casi le apparecchiature sono chiaramente da considerarsi rifiuti, il decreto legislativo risulta aver stabilito in ogni caso che sia il distributore a decidere se l’apparecchiatura consegnata dal detentore sia o meno un rifiuto.

 

 

 

 


Art. 7
(Modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, e successive modificazioni, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 24 maggio 2007 nella causa C-394/05. Procedura di infrazione n. 2003/2204)

 

L’articolo in esame apporta alcune modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, al fine di superare alcuni rilievi mossi dalla Commissione europea.

Nella relazione illustrativa si legge, infatti, che tali modifiche “sono necessarie ed urgenti per dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 24 maggio 2007 nella causa C-394/05. In tale sentenza la Corte di giustizia ha statuito il non corretto recepimento degli articoli 3, paragrafo 5, 5, paragrafo 1, 7, paragrafo 2, lettera a), secondo comma, e 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva ad opera del citato decreto legislativo n. 209 del 2003”.

 

Si ricorda, infatti, che il d.lgs. n. 209/2003 ha dato attuazione (seppur tardiva[51]) alla direttiva comunitaria 2000/53/CE, introducendo nell’ordinamento nazionale una nuova disciplina in materia di gestione di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso, dai loro componenti e materiali e dai pezzi di ricambio.

In seguito all’emanazione del d.lgs. n. 209/2003, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione (n. 2003/2204) per il recepimento non corretto delle disposizioni contenute nella direttiva 2000/53/CE. Con l’art. 1, comma 5, del D.L. n. 115/2005, convertito, con modificazioni dalla legge n. 168/2005, al fine di recepire i rilievi formulati nel parere motivato complementare inviato dalla Commissione europea allo Stato italiano nell’ambito della procedura d’infrazione, il Governo è stato delegato ad adottare disposizioni integrative e correttive del decreto n. 209. Tali disposizioni sono state quindi adottate con il d.lgs. n. 149/2006.

Pertanto, il disposto normativo del decreto n. 209/2003, così come modificato dal decreto n. 149/2006, individua, disciplinandole organicamente, le fasi della raccolta, del trattamento, del reimpiego e recupero dei veicoli fuori uso e dei suoi componenti e materiali.

 

Nello specifico, la modifica di cui alla lettera a) del comma 1, che novella l’art. 1, comma 2, del decreto n. 209/2003, introduce per gli operatori economici l’obbligo di istituire, anche per i veicoli a tre ruote, sistemi di raccolta delle parti usate asportate al momento della riparazione di tali veicoli.

Tale disposizione, come evidenziato nella relazione illustrativa “consentirà di trasporre correttamente l'articolo 3, paragrafo 5, della direttiva”.

 

L’art. 3, par. 5, della direttiva 2000/53/CE prevede l’applicabilità, per i veicoli a motore a tre ruote, del solo art. 5, par. 1 e 2 e dell'art. 6 della stessa direttiva. L’art. 5 relativo alla raccolta, prevede, al par. 1, l’obbligo, per gli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinché gli operatori economici istituiscano sistemi di raccolta di tutti i veicoli fuori uso e, nella misura in cui ciò sia tecnicamente fattibile, dei mezzi usati allo stato di rifiuto, asportati al momento della riparazione delle autovetture, assicurando un'adeguata presenza di centri di raccolta sul territorio nazionale e l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari affinché tutti i veicoli fuori uso siano consegnati ad impianti di trattamento autorizzati (par. 2). L’art. 6 è relativo al trattamento e prevede l’adozione, da parte degli Stati membri, di provvedimenti necessari ai fini del deposito, anche temporaneo, e del trattamento di tutti i veicoli fuori uso nel rispetto dei requisiti generali di cui all'articolo 4 della direttiva 75/442/CEE e secondo le prescrizioni tecniche minime di cui all'allegato I della presente direttiva, fatte salve le norme nazionali sulla salute e sull'ambiente.

 

Le due modifiche di cui alla lettera b) del comma 1, novellano l’art. 5 del decreto n. 209/2003, al fine di un completo recepimento dell’art. 5, par. 1, della direttiva 2000/53/CE.

La prima di esse, attraverso una novella al comma 3, prevede l'obbligo, per i produttori di veicoli, di istituire, se tecnicamente fattibile, sistemi di raccolta delle parti usate derivanti dalla riparazione dei veicoli, ad eccezione di quelli per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta.

La seconda, modificativa del comma 15, dispone che le imprese esercenti attività di autoriparazione devono consegnare, ove ciò sia tecnicamente fattibile, i pezzi usati allo stato di rifiuto, derivanti dalle riparazioni dei veicoli, ad un centro di raccolta di cui all'articolo 5, comma 3, invece che ad un operatore autorizzato come disposto dal testo originario del decreto n. 209.

 

La modifica di cui alla lettera c) del comma 1, novellando l’art. 10, comma 1, prevede che le informazioni che i produttori di veicoli sono tenuti a fornire agli impianti di trattamento autorizzati devono corrispondere a quanto richiesto dai gestori degli impianti di trattamento autorizzati, e non più essere concordate con gli stessi come dispone il testo vigente.

Tali informazioni devono consentire di identificare i diversi componenti e materiali del veicolo e l'ubicazione di tutte le sostanze pericolose in esso presenti.

Tale modifica è volta al corretto recepimento all'articolo 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2000/53/CE.

 

L’art. 8, par. 3 e 4 della direttiva 2000/53/CE prevede che gli Stati  membri adottano i provvedimenti necessari affinché i produttori forniscano informazioni per la demolizione per ogni tipo di nuovo veicolo immesso sul mercato entro sei mesi dalla sua immissione sul mercato, nonché i provvedimenti necessari per garantire che i produttori di componenti utilizzati nei veicoli mettano a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati le informazioni appropriate in materia di demolizione, stoccaggio e verifica dei componenti che possono essere riutilizzati, per quanto richiesto da tali impianti.

 

Il d.lgs. n. 209/2003

Raccolta

Il d.lgs. n. 209/2003 conferma il ruolo centrale dei centri di raccolta (già previsti dal decreto Ronchi) nei quali devono essere consegnati dal detentore (oppure dal concessionario o gestore della succursale della casa costruttrice o dell’automercato, nel caso in cui il detentore intenda cedere il veicolo per acquistarne un altro) i veicoli destinati alla demolizione (art. 5), diventando così il fulcro dell’intero sistema di recupero e smaltimento dei veicoli fuori uso. Lo stesso decreto ha previsto che siano gli stessi produttori di veicoli a organizzare una rete di centri di raccolta dei veicoli “fuori uso” opportunamente distribuiti sul territorio nazionale.

L’art. 5, comma 7, prevede inoltre il rilascio al detentore, da parte del titolare del centro di raccolta (che si assume così tutte le responsabilità, civili, penali e amministrative, legate alla gestione del veicolo a fine vita), di apposito certificato di rottamazione conforme ai requisiti di cui all'allegato IV, completato dalla descrizione dello stato del veicolo consegnato, nonché dall'impegno a provvedere alla cancellazione dal PRA e al trattamento del veicolo.

Il d.lgs. n. 209/2003 precisa, altresì, i casi in cui un veicolo è classificato “fuori uso” e, quindi, deve essere trattato come rifiuto ai sensi della legislazione vigente in materia (art. 3, commi 2 e 3).

 

Trattamento

Come rilevato in dottrina, “se fino a qualche anno fa il trattamento dei veicoli finalizzato alla demolizione era un processo semplice e veloce, ora gli impianti dovranno prevedere specifici e complessi cicli di lavoro al fine di garantire un’adeguata protezione dell’ambiente anche in fase di chiusura e cessazione dell’attività”[52]. Ciò in base all’articolo 6, comma 3, del decreto.

 

Riciclaggio e recupero

La finalità, mutuata dalla direttiva, di prevenire la produzione di rifiuti, viene perseguita mediante la fissazione di precisi ed elevati obiettivi percentuali di riciclaggio e recupero[53] da raggiungere in due successive scadenze temporali: al 1° gennaio 2006 e al 1° gennaio 2015. Nella stessa direzione vanno le norme volte alla limitazione dell’uso di sostanze pericolose nella costruzione dei veicoli (l’art. 9 prevede infatti il divieto, dal 1° luglio 2003, di produrre o immettere sul mercato materiali e componenti di veicoli contenenti piombo, mercurio, cadmio o cromo esavalente), nonché ad incentivare una progettazione dei veicoli che ne agevoli la demolizione (art. 10).

 

Controlli e sanzioni

Ulteriori disposizioni sono dettate per aumentare i controlli della pubblica amministrazione (in particolare l’art. 6, comma 5, subordina l'ammissione delle attività di recupero dei rifiuti derivanti da veicoli fuori uso alle procedure semplificate, ad una preventiva ispezione da parte della provincia competente per territorio) e per incentivare il ricorso a sistemi di gestione ambientale (art. 6, comma 8, e art. 15, comma 6). L’intera disciplina introdotta è poi supportata da disposizioni di carattere sanzionatorio (art. 13) indirizzate a tutti i soggetti coinvolti dal decreto e più severe rispetto a quelle previste in precedenza.

 

Procedure di contenzioso

Il 24 maggio 2007 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia[54] per essere venuta meno agli obblighi previsti in forza degli articoli 3, 5, 7 e 8 della  direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso, che è stata recepita nell’ordinamento italiano per mezzo del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209.

La sentenza fa seguito al ricorso presentato dalla Commissione il 9 novembre 2005, in cui si rileva per più aspetti il recepimento non conforme della direttiva da parte dell’Italia. In particolare, la Commissione osserva che, per quanto riguarda i veicoli a motore a tre ruote, l’Italia non ha adottato le disposizioni necessarie ad assicurare che gli operatori economici istituiscano sistemi di raccolta di tutti i veicoli fuori uso e - nella misura in cui ciò sia tecnicamente fattibile - delle parti usate allo stato di rifiuto, asportate al momento della riparazione di veicoli, e che i centri di raccolta abbiano siano adeguatamente presenti sul territorio nazionale. Inoltre, la Commissione contesta all’Italia di non avere comunicato – come previsto dalla direttiva – le ragioni che l’hanno portata a fissare per i veicoli prodotti anteriormente al 1° gennaio 1980 una percentuale di reimpiego e recupero inferiore a quella stabilita dalla normativa comunitaria. Infine, la Commissione rileva che, in fase di trasposizione, l’Italia ha omesso di specificare che le informazioni da fornire da parte dei produttori di veicoli e componenti devono corrispondere a quanto richiesto dagli impianti di trattamento.  

 

 


Art. 8
(Modifiche ai decreti legislativi del 26 maggio 2004, n. 153 e n. 154, in materia di pesca ed alla legge 14 luglio 1965, n. 963, in materia di pesca marittima. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 1992/5006. Procedura di infrazione n. 2001/2118 - esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 7 dicembre 2006 nella causa C-161/05. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 2004/2225. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2007/2284)

 

L’articolo 8 novella numerose disposizioni in materia di pesca marittima allo scopo di adeguare il relativo apparato sanzionatorio alle disposizioni comunitarie, introducendo nuove fattispecie di infrazione e  nuove o più severe sanzioni amministrative.

 

Il comma 1 modifica l’art. 6 del D.Lgs. n. 153/2004[55], che vieta lo sbarco, il trasporto o il trasbordo degli esemplari catturati che abbiano dimensioni al di sotto della taglia minima consentita per la specie, disponendo nel contempo la non sanzionabilità delle catture accidentali o accessorie realizzate con gli attrezzi rispondenti alle norme comunitarie e autorizzati dalla licenza di pesca.

La novella introduce l’obbligo di rigettare a mare gli esemplari fuori taglia accidentalmente pescati, ed estende la sanzione prevista per chi commercializzi gli esemplari fuori taglia (sospensione dell’esercizio commerciale da cinque a dieci giorni) anche a chi commercializzi esemplari di specie di cui è vietata la cattura.

 

Il comma 2 modifica l’art. 11 del D.Lgs. n. 154/2004[56], che attribuisce al Dicastero agricolo il compito di programmare la produzione dei dati statistici riguardanti il settore della pesca nonché di individuare le procedure per la rilevazione dei dati (comma 1 dell’art. 11). Sull’imprenditore ittico, che sia anche armatore, grava l’obbligo di presentare le dichiarazioni sulle catture e sugli sbarchi richieste da disposizioni nazionali o comunitarie.

Il comma 2-bis dell’art. 11, introdotto dalla disposizione in commento, sanziona l’omissione delle dichiarazioni con una sanzione amministrativa pecuniaria compresa fra 500 euro e 3000 euro, che è triplicata se l’omissione riguarda specie tutelate da “piani di protezione”[57] o pescate fuori dalle acque del mediterraneo.

Uno dei principali obiettivi della politica comune della pesca (PCP) è di evitare che la pressione delle attività di pesca su determinati stock ittici possa pregiudicarne la capacità riproduttiva o farne rischiare il collasso. Il reg. (CE) 20 dicembre 2002, n. 2371/2002, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della politica comune della pesca, prevede l’adozione delle seguenti misure:

a) l'adozione dei piani di ricostituzione di cui all'articolo 5;

b) l'adozione dei piani di gestione di cui all'articolo 6;

c) la definizione di obiettivi per uno sfruttamento sostenibile degli stock;

d) la limitazione delle catture;

e) la fissazione del numero e del tipo di pescherecci autorizzati ad operare;

f) il contenimento dello sforzo di pesca;

g) l'adozione di misure tecniche, tra cui: la definizione degli attrezzi da pesca consentiti, al loro numero e dimensione per unità di pesca, alle modalità del loro utilizzo; la definizione delle zone e/o dei periodi nei quali le attività di pesca sono vietate o sottoposte a restrizioni; la taglia minima degli individui che possono essere tenuti a bordo e/o sbarcati.

Per la conservazione di talune specie il Consiglio può adottare due tipi di piani pluriennali in base allo stato degli stock interessati: i piani di ricostituzione sono elaborati per contribuire al ripopolamento degli stock scesi al di sotto del limite biologico di sicurezza e che rischiano il crollo (art. 5), mentre i piani di gestione sono intesi a mantenere gli stock entro livelli biologici sicuri (art. 6).

 

Il comma 3 novella in più punti la legge n. 963/1965[58]che fino all’intervento dei due decreti legislativi n. 153 e 154 del 2004, che l’hanno ampiamente abrogata, costituiva il quadro normativo di riferimento per l’esercizio della pesca marittima.

La lettera a) modifica l’art. 15, lettera b), che pone il divieto di pescare con mezzi o strumenti vietati o non espressamente consentiti, di collocare apparecchi privi o difformi dalla autorizzazione, di detenere trasportare o commerciare le catture provenienti dal mancato rispetto delle norme.

La novella introdotta aggiunge anche il divieto di detenere gli attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alle norme, così consentendo di rilevare l’illecito anche in precedenza o in mancanza dell’utilizzo dell’attrezzo vietato.

La lettera b) novella l’art. 26 della legge n. 963, che reca le sanzioni da applicare alle enumerate infrazioni.

La novella in primo luogo introduce nuove fattispecie di infrazione, con le relative sanzioni amministrative:

-             per la vendita o commercio dei prodotti derivanti dall’esercizio della pesca ricreativa o sportiva è previsto il versamento della somma da 2 mila a 6 mila euro (comma 4 dell’art. 15);

-             per la navigazione con apparecchiatura blue box manomessa, o per la modifica o interruzione del segnale VMS la sanzione va da 2 mila a 12 mila euro. In caso di recidiva della violazione, si applica la sospensione della licenza di pesca per un periodo compreso tra 10 giorni e 30 giorni;

-             per la violazione dei piani di ricostituzione nazionali o comunitari la somma dovuta è compresa fra 2 mila e 12 mila euro (comma 8 dell’art. 26).

Le restanti disposizioni si limitano a rideterminare gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie traducendoli in euro (anziché in lire) ed aggiornandone l’importo.

La lettera c) novella l’art. 27 che definisce le sanzioni amministrative accessorie, prevedendo con disposizioni aggiuntive che alla confisca degli strumenti o attrezzi non consentiti segua la loro distruzione con spese per la custodia e demolizione a carico del contravventore, e prevedendo altresì che per le recidive si proceda alla sospensione della licenza di pesca per un periodo compreso fra 10 e 30 giorni.

 

Procedure di contenzioso

Il 16 marzo 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato  per il mancato controllo circa l’impiego di reti da posta derivanti (procedura d’infrazione n. 1992/5006). Secondo la Commissione la normativa italiana  risulterebbe carente di un sistema di controllo adeguato dell’osservanza del divieto di utilizzare reti da pesca di lunghezza superiore a 2,5 km, nonché di un sistema sanzionatorio chiaro, che punisca coloro che violano le norme comunitarie in materia. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la Commissione evidenzia in particolare la violazione dell’art. 31, paragrafi 1 e 2 del regolamento  (CEE) n. 2847/93, ai sensi del quale gli Stati membri devono adottare delle misure, comprese azioni amministrative o penali, tali da privare coloro che violano la normativa menzionata del beneficio economico derivante dall’infrazione commessa, in modo tale da scoraggiare la reiterazione dell’infrazione.

Più recentemente la Commissione ha deciso di presentare ricorso alla Corte di giustizia.

 

Il 7 dicembre 2006 la Corte di giustizia ha emesso una sentenza di condanna ex art. 226 TCE nei confronti dell’Italia alla quale ha fatto seguito un sollecito per l’adozione delle misure necessarie all’adeguamento a detta sentenza entro il 24 febbraio 2007, pena la riapertura della procedura d’infrazione ex art. 228.

Nell’ambito di tale procedura d’infrazione (n. 2001/2118), la Commissione aveva inviato all’Italia, il 21 novembre 2001, una lettera di messa in mora per non avere comunicato i dati concernenti le specie ed i quantitativi di pesce sbarcati per gli anni 1999 e 2000 nei modi ed entro i termini stabiliti dal regolamento CEE n. 2847/93 che istituisce il regime di controllo applicabile nell’ambito della Politica comune della pesca. Successivamente la Commissione aveva rilevato come l’Italia avesse omesso di comunicare altresì i dati medesimi per gli anni 2001-2004.

 

Il 27 giugno 2007 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato per non avere ottemperato agli obblighi previsti dal regolamento CE n. 2371/2002, sulla conservazione e sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca, nonché del regolamento CE n. 2244/2003, concernente i sistemi di controllo via satellite dei pescherecci (procedura d’infrazione n. 2004/2225). In particolare la Commissione ritiene che sussistano, da parte italiana, le seguenti inosservanze:

·       in Italia il controllo viene effettuato solo sui pescherecci di misura superiore a 24 metri, laddove la normativa europea richiede che i controlli vadano effettuati a partire dai 15 metri di lunghezza, a partire dal 1° gennaio 2005;

·       non viene dato seguito all’obbligo di trasmettere a Bruxelles la relazione semestrale sul funzionamento dei sistemi di controllo sui pescherecci;

·       non viene assicurato il rispetto dell’obbligo di installazione sui pescherecci di un impianto di localizzazione via satellite;

·       mancata emanazione da parte delle autorità marittime delle istruzione in materia di riservatezza delle informazioni trasmesse e delle ispezioni.

 

Il 25 settembre 2007 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura d’infrazione n. 2007/2284) per violazione del diritto comunitario in materia di attuazione del piano di salvaguardia del tonno rosso e controllo della sua pesca. In particolare l’Italia non avrebbe ottemperato all’obbligo di comunicazione alla Commissione dei dati relativi alle catture e all’attuazione di norme in materia di controllo della pesca del tonno rosso.

 

 

 

 


Art. 9
(Trasferimento alla Federazione russa del diritto di proprietà sul complesso architettonico della Chiesa Russa Ortodossa di Bari)

 

L’articolo 9 prevede, al comma 1, il trasferimento a titolo gratuito della proprietà della Chiesa Russa Ortodossa di Bari alla Federazione russa.

La disposizione, che si inquadra nella politica di promozione e di miglioramento dei rapporti di amicizia tra l'Italia e la Federazione russa, trae origine dai numerosi accordi stipulati tra i due Paesi e, segnatamente, dal Trattato di amicizia e cooperazione del 1994, entrato in vigore il 22 maggio 1997.  

 

Anche se non perfettamente riconducibile alla medesima fattispecie, si ricorda che l’articolo 22 di tale Trattato – autorizzato alla ratifica con la legge 8 febbraio 1996, n. 69 – auspica la reciproca collaborazione in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale ed artistico e reca l’accordo tra le Parti a restituire le opere d'arte trafugate o esportate illegalmente che si trovano nel loro territorio all'altra Parte.

 

La decisione di cedere la Chiesa Russa Ortodossa di Bari è stata assunta in occasione del vertice Italo Russo del marzo 2007 e della visita del premier russo Vladimir Putin a Bari. La Chiesa, costruita negli anni 1912-13 con il contributo dello zar Nicola II, è attualmente proprietà del comune di Bari che dal 1998 l’ha attribuita in comodato d’uso a Vladimir Kuchumov, plenipotenziario in Italia del Patriarcato di Mosca.

 

Il comma 2 prevede che alla consegna dell'immobile di cui al comma 1 alla Federazione russa provveda il Ministero dell'economia e delle finanze, per il tramite dell'Agenzia del demanio, con apposito verbale, che costituisce titolo per la gratuita trascrizione e voltura.

 

A tale proposito si ricorda che all’Agenzia del Demanio è attribuito il compito di amministrare i beni immobiliari dello Stato razionalizzandone e valorizzandone l’uso, anche attraverso la loro gestione economica. L’Agenzia del Demanio è un Ente Pubblico Economico (in base al Decreto Legislativo 173/03), sottoposto all’alta vigilanza del Ministro dell’economia e delle finanze, che ne detta gli indirizzi.

Si ricorda che nell’ottobre del 2007 è stato portato a compimento il lavoro di censimento del patrimonio immobiliare dello Stato, effettuato dell’Agenzia del demanio, che ha portato all’emanazione del Decreto direttoriale del 22 febbraio 2008 recante Individuazione dei beni immobili di proprietà dello Stato, contenente, in allegato, l’elenco dei cespiti immobiliari.

 


Art. 10
(Disposizioni concernenti le strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri)

 

La disposizione in esame prevede che sia la Struttura di missione istituita presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, sia le altre Strutture di missione operanti presso la Presidenza del Consiglio, possano proseguire la loro attività fino al 30° giorno successivoalla data del giuramento del nuovo Governo; decorso tale termine le stesse Strutture, qualora non vengano riconfermate, cesseranno la loro attività.

Al riguardo si rileva che l’art. 1 del DPCM 28 luglio 2006, con il quale è stata istituita la Struttura di missione operante presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, ne aveva determinato la durata fino alla scadenza del mandato del Governo in carica.

L’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 303/1999[59] – come di recente modificato dal comma 155 dell’art. 2 del d.l. n. 262/2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 286/2006 – ha infatti stabilito, come norma di carattere generale, che la durata delle strutture di missione non possa essere superiore a quella del Governo che le ha istituite.

Nella relazione presentata dal Governo al disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, si evidenzia peraltro come sia necessario garantire la prosecuzione dell’attività delle Strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio, ed in particolare di quella operante presso il Dipartimento delle politiche comunitarie, in considerazione della delicatezza e dell’importanza dell’attività svolta da quest’ultima, in modo da garantire il buon esito delle azioni intraprese presso la Commissione europea per la chiusura delle procedure di infrazione in corso, dalle quali potrebbero scaturire condanne pecuniarie onerose.

Nella medesima relazione si precisa inoltre che la disposizione in commento non comporta oneri aggiuntivi, in quanto la copertura finanziaria per le spese relative alle strutture di missione era già stata prevista per tutto l’anno 2008.

 

Si osserva che l’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 prevede una disposizione analoga per il personale assegnato presso gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri: all'atto del giuramento di un nuovo Ministro, tutte le assegnazioni di personale – compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell'ambito degli uffici di collaborazione diretta – decadono automaticamente, ove non confermate, entro trenta giorni dal giuramento.

 

La Struttura di missione, istituita con DPCM del 28 luglio 2006 presso il Dipartimento per le Politiche comunitarie ha il compito di attivare tutte le azioni possibili atte a prevenire l’insorgere del contenzioso comunitario e di rafforzare il coordinamento delle attività volte alla risoluzione delle procedure d’infrazione. Alla medesima Struttura possono poi essere assegnati ulteriori compiti su indicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Struttura svolge una funzione di assistenza e di coordinamento delle Amministrazioni nazionali e di cura dei rapporti con la Commissione europea, contribuendo in tal modo alla risoluzione delle procedure d’infrazione ed alla complessiva riduzione dell’incidenza del contenzioso comunitario.

Nella relazione presentata dal Governo al d.d.l. di conversione del decreto legge in esame, viene evidenziato come a seguito delle azioni svolte dalla Struttura si sia registrata una considerevole diminuzione delle procedure d’infrazione che sono scese, “alla fine del 2007, per la prima volta dal 2002 al di sotto della soglia delle 200 unità, e di 80 unità rispetto al momento dell’insediamento del Governo”.

 

Le strutture di missione sono organismi amministrativi di durata determinata e finalizzati all'adempimento di specifici mandati assegnati dal Presidente del Consiglio. Tale tipologia di ufficio è stata introdotta dal D.Lgs. 303/1999 e va inquadrata nell’ambito dell’ampia riorganizzazione della Presidenza del Consiglio da esso operata. La riforma ha ridefinito il ruolo della Presidenza quale struttura di supporto del Presidente del Consiglio per l’esercizio delle funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento dell’azione di Governo. Di conseguenza ha previsto il trasferimento ad altre amministrazioni di compiti operativi e gestionali in settori specifici (turismo, aree urbane ecc.). Inoltre, ha provveduto a riformare l’organizzazione della Presidenza dotandola di autonomia gestionale e contabile e prevedendo un sistema di strutture interne adatto ai nuovi compiti. Tra queste, le strutture di missione, che possono essere istituite per:

§      svolgere compiti particolari;

§      raggiungere risultati determinati;

§      realizzare specifici programmi.

Le strutture di missione sono istituite con decreto del Presidente del Consiglio; sempre con DPCM vengono disciplinate anche le eventuali strutture di supporto alle strutture di missione.

In ogni caso hanno una durata predeterminata (di solito coincidente con la durata del Governo) specificata nell’atto istitutivo.

Si tratta di organismi caratterizzati da una ampia flessibilità e rapidità di costituzione, utilizzate per diversi scopi. Ad esempio la struttura di missione denominata Ufficio per il programma di Governo istituita con il DPCM 1° febbraio 2003 ha costituito la struttura di supporto al Ministro per il programma di Governo fino alla istituzione di un Dipartimento ad hoc presso la Presidenza del Consiglio.

 

Presso la Presidenza del Consiglio risultano attualmente operanti 11 strutture di missione.

Di queste, 5 sono organismi pre-esistenti riconfermati dal Governo Prodi[60]:

§      struttura di missione per il supporto della delegazione italiana della Commissione intergovernativa per la realizzazione della linee ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione: istituita con il DPCM 12 dicembre 2003 fino alla scadenza del Governo allora in carica e successivamente riconfermata (DPCM 4 agosto 2006);

§      unità tecnica e-Government per lo sviluppo: istituita con il DPCM 30 gennaio 2003 e riconfermata (DPCM 4 agosto 2006);

§      struttura di missione con compiti di studio, analisi e valutazione delle implicazioni economiche e finanziarie dei provvedimenti normativi; opera presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi - DAGL (istituita il 23 aprile 2005 e riconfermata con DPCM 1 luglio 2006);

§      struttura di missione presso il Dipartimento per le politiche comunitarie, scaduta il 17 maggio 2006 e istituita nuovamente con il DPCM 28 luglio 2006;

§      struttura di missione Progetto opportunità delle regioni in Europa (PORE), istituita nel febbraio del 2004 quale strumento di informazione e di diffusione della conoscenza in materia di fondi tematici comunitari; riconfermata con il DPCM 10 gennaio 2007.

 

Le altre 6 strutture sono state istituite ex novo:

§      segreteria tecnica dell’Unità per la semplificazione e la qualità della Regolazione, presso il DAGL (DPCM 9 febbraio 2007);

§      unità strategica per la comunicazione nell’attività di governo (DPCM 12 aprile 2007);

§      struttura di missione per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia (DPCM 15 giugno 2007);

§      struttura di missione per il coordinamento delle attività dei tavoli istituzionali territoriali (DPCM 20 luglio 2007);

§      struttura di missione per le politiche per la famiglia (istituita con il DPCM 4 agosto 2006 e riconfermata con il DPCM 29 settembre 2007);

§      struttura di missione per le politiche giovanili e lo sport (istituita con il DPCM 4 agosto 2006 e riconfermata con il DPCM 29 settembre 2007).

 

Queste ultime due strutture sono organismi di carattere temporaneo, volti a fornire il supporto necessario per l’attività dei due nuovi ministri senza portafoglio istituiti dal Governo in carica (Ministro delle politiche per la famiglia e Ministro delle politiche giovanili e attività sportive) fino alla costituzione dei rispettivi dipartimenti.

 

 


Art. 11
(Disposizioni finanziarie)

L’articolo 11, comma 1, reca la norma di copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione delle misure in materia di riconoscimento del servizio pubblico svolto nell'ambito dell'Unione europea contenute nell’articolo 5 del decreto legge.

A tali oneri, quantificati in 7, 023 milioni di euro per l'anno 2008, 12, 083 milioni per l'anno 2009 e 13.946 milioni a decorrere dall'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del Fondo speciale di parte corrente – allocato nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze - allo scopo utilizzando i seguenti accantonamenti:

(in migliaia di euro)

Fondo Speciale di parte corrente :
Accantonamenti utilizzati a copertura

2008

2009

2010

Ministero della giustizia

2.273

5.981

6.488

Ministero degli affari esteri

1.136

3.427

3.145

Ministero della pubblica istruzione

2.014

-

-

Ministero per i beni e le attività culturali

314

1.021

2.458

Ministero dei trasporti

70

654

855

Ministero dell'università e della ricerca

1.000

1.000

1.000

Ministero della solidarietà sociale

216

-

-

Totale

7.023

12.083

13.946

 

Con riferimento a tale modalità di copertura, si ricorda che la legge di contabilità (n.468/78) prevede, all’articolo 11-bis, comma 4, che le quote dei fondi speciali non possono essere utilizzate per destinazioni diverse da quelle previste nelle relative tabelle per la copertura finanziaria di provvedimenti d’urgenza, salvo cheessi riguardino spese di primo intervento per fronteggiare calamità naturali o improrogabili esigenze connesse alla tutela della sicurezza del Paese o situazioni di emergenza economico-finanziaria.

Occorrerebbe pertanto verificare la compatibilità della clausola di copertura con le richiamate disposizioni della legge di contabilità, tenendo peraltro presente che il decreto legge in esame è intervenuto in regime di prorogatio delle Camere utilizzando accantonamenti di parte corrente destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi il cui iter di approvazione non si è concluso in ragione del termine anticipato della legislatura. Qualora gli accantonamenti del predetto fondo speciale recassero le necessarie disponibilità, occorrerebbe comunque considerare revocati gli eventuali pareri e le conseguenti prenotazioni relative ai provvedimenti non approvati in via definitiva nella XV legislatura

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 3 reca una reca una clausola di salvaguardia, prevedendo il monitoraggio da parte del Ministro dell’economia e finanze degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni del decreto-legge in esame, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi previsti dall’art. 11-ter, co. 7, della legge di contabilità generale dello Stato[61].

 

L’articolo 11-ter, comma 7, della legge di contabilità, come successivamente modificata dal D.L. n. 194/2002 (cd. decreto-legge “tagliaspese”), impegna i Ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi. Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative. Il Ministro dell'economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.

 

È inoltre prevista la trasmissione alle Camere degli eventuali decreti adottati - prima dell’adozione delle misure di correzione di cui sopra - dal Ministro dell’economia e delle finanze ai sensi dell’art. 7, secondo comma, punto 2), della legge n. 468 del 1978. Si tratta dei decreti mediante i quali il Ministro dell’economia e finanze provvede ad aumentare gli stanziamenti di capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio, con risorse prelevate a valere sul Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine.

Si ricorda che allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze del bilancio dello Stato (legge n. 298/2006) è allegato l'elenco (elenco 1) dei capitoli relativi a spese obbligatorie, per i quali è possibile l’utilizzo del citato Fondo di riserva.


Art. 12
(Entrata in vigore)

L’articolo si limita a prevedere che il decreto-legge entri in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

 

 


Disegno di legge

 


N. 6

¾

CAMERA DEI DEPUTATI

______________________________

DISEGNO DI LEGGE

 

presentato dal presidente del consiglio dei ministri

(PRODI)

e dal ministro per le politiche europee

(BONINO)

di concerto con il ministro della giustizia

(SCOTTI)

con il ministro degli affari esteri

(D'ALEMA)

con il ministro dell'economia e delle finanze

(PADOA SCHIOPPA)

con il ministro dell'interno

(AMATO)

con il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare

(PECORARO SCANIO)

con il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione

(NICOLAIS)

con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali

(DE CASTRO)

con il ministro della salute

(TURCO)

con il ministro del lavoro e della previdenza sociale

(DAMIANO)

e con il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali

(LANZILLOTTA)

 ¾

 

Conversione in legge del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee

 

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Presentato alla Camera dei deputati nella XV legislatura il 9 aprile 2008 e mantenuto all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione

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Onorevoli Deputati! - L'articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e successive modificazioni, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro per le politiche europee il potere di proposta di provvedimenti normativi, anche urgenti, necessari a fare fronte ad atti normativi o a sentenze che comportino obblighi statali di adeguamento, allorquando la scadenza di tali obblighi risulti anteriore alla presunta data di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all'anno in corso.

      Come previsto dalla citata legge n. 11 del 2005, il Governo - fin dal suo insediamento - ha ritenuto di affiancare lo strumento della decretazione d'urgenza a quello ordinario della legge comunitaria al fine di attuare l'adeguamento dell'Italia agli obblighi comunitari. Infatti, mentre il disegno di legge comunitaria viene presentato alle Camere all'inizio di ogni anno prevalentemente allo scopo di conferire la delega al Governo per la trasposizione delle direttive comunitarie pubblicate nell'anno precedente, l'adozione di provvedimenti d'urgenza è finalizzata alla risoluzione delle procedure di infrazione per le quali il mancato adeguamento in tempi brevi preluda alla certa condanna pecuniaria.

      Dopo un primo intervento con il decreto-legge 27 dicembre 2006, n. 297, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2007, n. 15, anche nello scorso anno il Governo ha ritenuto necessario impiegare questo utile strumento e ha emanato il decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46, con il quale si è posto rimedio a ben nove procedure di infrazione. Grazie a queste e ad altre misure - ad esempio la modifica del regolamento interno del Consiglio dei Ministri (cosiddetta «bollinatura comunitaria») disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 settembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 213 del 13 settembre 2007 - nonché al grande impegno profuso da tutte le amministrazioni per rafforzare l'attività di attuazione delle direttive, è stato possibile conseguire una sensibile riduzione del numero delle procedure di infrazione che, per la prima volta dal 2002, è sceso al di sotto della soglia delle 200, con una riduzione complessiva di circa 80 unità dall'insediamento del Governo. Inoltre, nell'ultimo Internal Market Scoreboard della Commissione europea (n. 16-bis del 14 febbraio 2008), si è registrato il miglior risultato mai raggiunto dall'Italia, riducendo fino all'1,3 per cento il deficit di trasposizione della normativa comunitaria.

      Al contempo, con l'obiettivo di confermare e migliorare gli ottimi risultati già raggiunti, è proseguita l'attività di individuazione di proposte di interventi normativi idonei a porre rimedio ad altre procedure di infrazione, tutte verificate con i competenti uffici della Commissione europea e confluite in un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 novembre 2007 (atto Camera n. 3435).

      Sostanzialmente l'intento è stato quello di creare un sistema binario affiancando all'ordinario strumento di adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee, cioè la legge comunitaria annuale, che si ritiene debba essere un veicolo snello e il più possibile veloce per garantire il celere recepimento delle direttive comunitarie, un altro strumento normativo che consenta di intervenire anche successivamente, per sanare appunto le infrazioni comunitarie in corso.

      A causa dell'anticipato scioglimento delle Camere e nell'impossibilità di proseguire l'iter ordinario del disegno di legge, numerosi interventi già annunciati alle istituzioni comunitarie e indispensabili per non incorrere in ormai imminenti e onerose sanzioni economiche, prima di essere inseriti nel presente provvedimento, erano stati proposti come emendamenti al disegno di legge comunitaria 2007 (ora legge 25 febbraio 2008, n. 34), ma successivamente ritirati al fine di consentire l'entrata in vigore del provvedimento prima dell'inizio della prossima legislatura, evitando altresì la reiterazione dell'iter di approvazione.

      Per tre delle procedure di infrazione in questione, poi (mancato recupero degli aiuti di Stato a società municipalizzate e degli aiuti di Stato a favore dell'occupazione, nonché mancato recepimento della direttiva quadro 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, per l'azione comunitaria in materia di acque), la Commissione europea ha già annunciato l'imminente ricorso presso la Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'articolo 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni (TCE).

      Senza un immediato intervento legislativo che eviti tale ricorso l'Italia rischia, per ciascuna delle tre procedure di infrazione indicate, la condanna al pagamento di una somma forfetaria minima di 9.920.000 euro, oltre ad una penalità di mora compresa tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'attuazione della seconda sentenza. Ormai, infatti, una volta introdotto il ricorso, la Commissione europea non procede più al ritiro dello stesso anche in caso di adeguamento tardivo dello Stato inadempiente.

      Pertanto, ancor più in questo frangente, sussistono i presupposti costituzionali di necessità ed urgenza per l'esercizio del potere di decretazione da parte del Governo che, pur dimissionario, resta impegnato nel disbrigo degli affari correnti e nell'esame degli atti normativi imposti da obblighi internazionali e comunitari. Tali presupposti, che evidentemente si collegano, in via generale, agli obblighi sopranazionali di adeguamento del diritto interno, che si impongono a norma degli articoli 117 e 11 della Costituzione, si evidenziano, altresì, in relazione alle particolari esigenze sopra esposte e che saranno via via illustrate trattando dell'articolato.

 

Articoli 1 e 2.

      Gli articoli 1 e 2 sono volti ad agevolare l'adempimento da parte del Governo dell'obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi in violazione dell'articolo 88, paragrafo 3, del TCE, e quindi illegittimi, dichiarati incompatibili con il mercato interno da una decisione della Commissione europea.

      La mancata esecuzione di queste decisioni nei tempi indicati dalla Commissione europea comporta il deferimento dello Stato membro alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 2, del TCE, affinché questa sancisca, con una prima sentenza di condanna, l'inadempimento dello Stato destinatario della decisione ai sensi dell'articolo 249 del TCE. A seguito di una prima condanna, qualora lo Stato non completi rapidamente le operazioni di recupero, la Commissione europea può aprire una procedura di infrazione ai sensi dell'articolo 228 del TCE, all'esito della quale sono comminate allo Stato inadempiente pesantissime sanzioni pecuniarie.

      Le operazioni di recupero, cui le pubbliche amministrazioni sono tenute per adempiere alle cosiddette «decisioni di recupero» della Commissione europea, sono di norma alquanto complesse, per la necessità di individuare correttamente sia un ampio numero di beneficiari, sia l'importo dovuto da ciascuno di questi. A tale proposito l'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, stabilisce che le decisioni di recupero della Commissione europea siano eseguite in base alle procedure nazionali applicabili, a condizione però che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. La necessità di dare attuazione immediata a tali decisioni è implicita nella finalità stessa dell'ordine di recupero, il quale mira ad eliminare l'indebito vantaggio concorrenziale derivante a un'impresa dalla concessione di aiuti illegittimi e incompatibili, ripristinando le condizioni di mercato precedenti a tale concessione.

      Il tempo impiegato per individuare i beneficiari e gli importi da recuperare da ciascuno di essi ha condotto all'aggravamento delle procedure di infrazione n. 2006/2456 «municipalizzate» e n. 2007/2229 «aiuti concessi per interventi a favore dell'occupazione», per le quali l'Italia è già stata condannata con due pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee.

      Per la procedura «municipalizzate», la prima pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee risale al giugno 2006 e sancisce l'inadempimento quadriennale alla decisione n. 2003/193/CE della Commissione, del 5 giugno 2002.

      La prima condanna nell'ambito della procedura «aiuti concessi per interventi a favore dell'occupazione» risale invece all'aprile 2004 e sanziona il pluriennale inadempimento alla decisione n. 2000/128/CE della Commissione, dell'11 maggio 1999.

      Nonostante che le amministrazioni interessate abbiano attivamente proseguito le operazioni di recupero già avviate negli scorsi anni, l'Italia ha ricevuto nel gennaio 2008 due pareri motivati ex articolo 228 del TCE, anticamera del secondo deferimento alla Corte di giustizia delle Comunità europee e delle conseguenti sanzioni finanziarie. Le contestazioni mosse dalla Commissione europea nei suddetti pareri motivati riguardano principalmente l'adozione da parte dei competenti organi giurisdizionali nazionali di ordinanze di sospensione dei procedimenti, a seguito di ricorsi presentati dai destinatari degli ordini di recupero degli aiuti. Una volta conclusasi la complessa fase dell'individuazione dei beneficiari, appare infatti che il diritto processuale e la diffusa possibilità da questo offerta ai giudici di sospendere gli effetti esecutivi dei provvedimenti nazionali di recupero costituiscano la principale causa di rallentamento nella corretta esecuzione delle decisioni della Commissione europea. Tale situazione di stallo vanifica di fatto il lavoro compiuto dalle amministrazioni interessate, sottoponendo lo Stato nel caso delle due procedure di infrazione sopra menzionate al concreto e imminente rischio di sanzioni pecuniarie per mancata esecuzione delle sentenze di condanna della Corte di giustizia delle Comunità europee sopra ricordate.

      Le due norme in esame si rendono quindi necessarie al fine sia di agevolare i procedimenti di recupero attualmente sospesi dinanzi ai competenti organi giurisdizionali, sia in via più generale per conformare il diritto processuale nazionale applicabile anche in futuro ai casi di recupero di aiuti di Stato in attuazione di decisioni della Commissione europea ai requisiti di immediatezza ed effettività previsti dal diritto comunitario. Nella recente pronuncia resa nella causa C-232/05, Commissione europea contro Francia (sentenza del 5 ottobre 2006), la Corte di giustizia delle Comunità europee ha sottolineato a tale proposito l'importanza che la dimensione temporale assume nei procedimenti di recupero, evidenziando che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare il diritto processuale nazionale qualora questo non soddisfi i requisiti previsti dall'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 659/1999.

      A fronte dell'incertezza giuridica che potrebbe derivare da singoli casi di disapplicazione del diritto processuale nazionale, si rende quindi necessario un intervento legislativo che, seppure nel rispetto delle specificità del processo civile e di quello tributario, disciplini in maniera analoga i presupposti per la concessione di provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia esecutiva degli atti adottati dalle autorità nazionali per eseguire una decisione di recupero della Commissione europea. L'articolo 1 del decreto-legge riguarda i procedimenti dinanzi agli organi di giustizia civile, mentre l'articolo 2, novellandone la disciplina prevista nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, si rivolge al processo tributario.

      Nell'ambito del processo civile, il comma 1 dell'articolo 1 definisce i presupposti sostanziali per la concessione dei provvedimenti di sospensione cautelare degli atti e delle procedure di recupero, richiedendo la ricorrenza delle seguenti condizioni: a) gravi motivi di illegittimità della decisione comunitaria di recupero ovvero evidente errore sul soggetto tenuto alla restituzione o nel calcolo degli importi da recuperare; b) periculum in mora consistente nel pregiudizio imminente e irreparabile.

      Il comma 2, in attuazione di consolidata giurisprudenza comunitaria (si vedano, da ultimo, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee - Prima sezione - 5 ottobre 2006, resa nella causa C-232/05, e la giurisprudenza richiamata dalla comunicazione n. 2007/C 272/05 della Commissione «Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea n. C 272/4 del 15 novembre 2007), prevede che qualora a fondamento del provvedimento che accoglie l'istanza cautelare sia posta l'illegittimità della decisione di recupero della Commissione europea, il giudice sospende il giudizio e provvede all'immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 234 del TCE, con contestuale richiesta di trattazione d'urgenza ai sensi dell'articolo 104-ter del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 19 giugno 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 176 del 4 luglio 1991, e successive modificazioni, salvo che la medesima questione non sia già pendente innanzi al giudice comunitario. La sospensione cautelare non potrà essere concessa qualora l'istante, pur avendone facoltà, poiché individuata o chiaramente individuabile (si veda, da ultimo, la recentissima sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 marzo 2008, resa nella causa C-125/06), non abbia impugnato la decisione di recupero della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 230 del TCE, ovvero non abbia esperito i rimedi previsti dall'articolo 242 del TCE, oppure quando, pur avendo esperito i suddetti rimedi, essi non abbiano trovato accoglimento presso il giudice comunitario.

      I commi 3 e 4 mirano a realizzare la massima concentrazione processuale al fine di consentire una rapida definizione nel merito delle controversie, conformando così ai requisiti di immediatezza ed effettività previsti dall'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 659/1999 il diritto processuale applicabile al contenzioso relativo al recupero degli aiuti di Stato.

      In particolare, il comma 3 prevede che con il provvedimento di accoglimento della domanda cautelare il giudice fissi l'udienza di discussione nel merito entro trenta giorni dall'emanazione del provvedimento. La causa dovrà essere decisa nei successivi sessanta giorni. Decorsi novanta giorni dall'emanazione del provvedimento cautelare, la sospensione perde efficacia, ma è ammessa la sua conferma da parte del giudice, su istanza di parte, ove ricorrano i presupposti di cui ai commi 1 e 2. In tale caso il giudice fissa un termine di efficacia della misura confermata non superiore a sessanta giorni.

      Il comma 4, nella medesima ottica acceleratoria, prevede, per i giudizi di merito, l'applicazione del rito di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, che è concentrato, tendenzialmente, in un'unica udienza.

      Il comma 5 detta la disciplina intertemporale, prevedendo che l'articolo si applichi anche ai giudizi pendenti, salvo per quanto disposto dal comma 4 in relazione al mutamento del rito. È espressamente disciplinata l'ipotesi in cui alla data di entrata in vigore del presente decreto la procedura di recupero risulti sospesa per effetto dell'emanazione di un provvedimento cautelare. In tale caso, al fine di sbloccare le procedure di recupero, si prevede che la causa sia decisa nei termini di cui al comma 3, previa eventuale anticipazione dell'udienza di trattazione già fissata. Il giudice, su istanza di parte, riesamina il provvedimento di sospensione già concesso e ne dispone la revoca qualora non ricorrano i presupposti di cui ai commi 1 e 2.

      Il comma 6 affida al presidente di sezione o, per i tribunali non divisi in sezioni, al presidente del tribunale il compito di vigilare sul rispetto dei termini di cui al comma 3 e di riferire con relazione trimestrale al presidente del tribunale o della corte d'appello per le determinazioni di competenza.

      Con l'articolo 2 è novellato il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 («Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413») attraverso l'introduzione di un apposito articolo (articolo 47-bis), recante la disciplina speciale della sospensione cautelare degli atti volti al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il diritto comunitario e della definizione nel merito delle relative controversie.

      In maniera analoga a quanto descritto per l'articolo 1, i commi 1 e 2 del nuovo articolo 47-bis limitano i casi di sospensione dei titoli di pagamento alle ipotesi di evidente errore nella individuazione del soggetto tenuto alla restituzione dell'aiuto o di evidente errore di calcolo della somma da recuperare, oltre che alle ipotesi di contestazione della legittimità della decisione comunitaria di recupero nei limiti previsti dai princìpi consolidatisi nell'ordinamento comunitario. Si tratta, peraltro, di princìpi già applicabili in via diretta nell'ordinamento interno: per questa via si spiega come l'istanza di sospensione dell'atto impugnato per motivi attinenti alla legittimità della decisione comunitaria presupposta non possa essere accolta in tutti i casi in cui la parte istante, pur avendone facoltà, non abbia proposto impugnazione in sede comunitaria avverso la decisione della Commissione europea che ha disposto il recupero ovvero, pur avendo proposto l'impugnazione e avendo richiesto in sede comunitaria la sospensione della decisione della Commissione, il provvedimento cautelare non sia stato concesso.

      Il comma 3 prevede l'applicazione delle disposizioni procedurali di carattere generale di cui ai commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8 dell'articolo 47 del medesimo decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, specificando che, ai fini del mutamento delle condizioni che legittimano la revoca o la modifica del provvedimento cautelare, rilevano anche i mutamenti del diritto comunitario.

      Il comma 4, al fine di assicurare la pronta definizione delle controversie garantendo al contempo il diritto alla difesa del contribuente, prevede che le controversie siano definite nel merito nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione. Si prevede, inoltre, che l'ordinanza cautelare perda efficacia decorsi sessanta giorni dalla sua emanazione, salvo che, su istanza di parte, la commissione tributaria provinciale non ne disponga la conferma (entro il medesimo termine), fissandone, altresì, il termine di efficacia, che non dovrà essere superiore a sessanta giorni.

      I commi 5 e 6 dettano disposizioni procedurali relative ai giudizi di merito anch'esse volte ad accelerare la definizione del contenzioso. Si prevede che la discussione avvenga in pubblica udienza e che la delibera della decisione sia resa, in camera di consiglio, successivamente alla discussione con l'immediata lettura del dispositivo in udienza. Il deposito della sentenza deve avvenire entro quindici giorni dalla lettura del dispositivo ed essa è comunicata immediatamente alle parti.

      Il comma 7 del nuovo articolo 47-bis assicura che, nel giudizio di appello innanzi alla commissione tributaria regionale, tutti i termini, ad eccezione di quello per la proposizione del ricorso, siano ridotti della metà. Anche nei giudizi di appello si applicano le disposizioni di cui ai commi 4, terzo e quarto periodo, 5 e 6.

      Fuor di novella, con il comma 2 dell'articolo 2 viene disciplinata l'applicazione dei princìpi di cui all'articolo 47-bis, introdotto dal comma 1 dello stesso articolo, ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

      Il comma 3, onde garantire l'effettiva applicazione delle norme introdotte, stabilisce che il presidente del collegio, in ogni grado del procedimento, vigila sul rispetto dei termini introdotti dalla disposizione di cui al comma 2 e dei commi 4 e 7, primo periodo, dell'articolo 47-bis e riferisce con relazione trimestrale, rispettivamente, al presidente della commissione tributaria provinciale e della commissione tributaria regionale per le determinazioni di competenza.

      Il comma 4 sopprime l'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46, che prevedeva una disciplina speciale per il recupero degli aiuti condotto in esecuzione della decisione n. 2003/193/CE.

 

Articolo 3.

      La Commissione europea, a seguito della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 12 gennaio 2006 per mancato recepimento della direttiva 2000/60/CE, ha avviato una seconda procedura, ex articolo 228 del TCE, arrivata allo stadio di parere motivato, in quanto ha ritenuto incompleto il provvedimento adottato per dare esecuzione alla citata sentenza della Corte di giustizia. Secondo la Commissione europea il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, e successive modificazioni, con il quale è stata formalmente trasposta la direttiva, non prevede, infatti, disposizioni di recepimento dei paragrafi 4, 5 e 7 dell'articolo 4 della direttiva in questione.

      Al fine di ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee si rende, pertanto, necessario modificare l'articolo 77 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e, più specificamente, sostituire i commi 6 e 7 e introdurre, dopo il comma 10, un nuovo comma 10-bis.

 

Articolo 4.

      In questo articolo sono contenute modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni.

      In particolare, le disposizioni di cui al comma 1 riguardano la materia del recupero stragiudiziale di crediti. Come è noto, con sentenza del 18 luglio 2007, nella causa C-134/05, la Corte di giustizia delle Comunità europee, in parziale accoglimento delle contestazioni mosse dalla Commissione europea contro l'Italia, ha ritenuto in contrasto con il TCE e con i princìpi in esso contenuti agli articoli 43 e 49 il fatto di:

          a) «chiedere, benché l'agenzia disponga di una autorizzazione rilasciata dal questore di una provincia, una nuova autorizzazione in ognuna delle altre province ove essa intenda svolgere le sue attività» (limitazione dell'attività in ambito provinciale);

          b) obbligare l'agenzia a «disporre di locali nel territorio oggetto dell'autorizzazione ed affiggervi le prestazioni che possono essere effettuate per i clienti» (obbligo di munirsi di una sede, con il connesso obbligo di affissione delle prestazioni consentite);

          c) obbligare l'agenzia a «disporre di un locale in ogni provincia in cui essa intenda svolgere la sua attività» (obbligo di munirsi di una sede in ogni provincia).

      Essendo, quindi, necessario provvedere tempestivamente all'adeguamento del diritto interno alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la lettera a) del comma 1 dell'articolo 4 prevede anche procedure alternative di adempimento degli obblighi di informazione del cliente e di esibizione degli atti agli organi di controllo. L'intervento normativo non incide sulle disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali e di prevenzione dei reati, con particolare riguardo alla prevenzione del riciclaggio di capitali di provenienza illecita, che non solo non sono state oggetto di censura da parte della Corte di giustizia, ma sono state adottate, come è noto, in esecuzione di specifiche direttive europee.

      Le disposizioni di cui alle lettere b) e c) del medesimo comma 1 recano modifiche alle norme in materia di vigilanza privata contenute nel citato testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto n. 773 del 1931.

      Infatti, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, la Corte di giustizia delle Comunità europee, decidendo la causa C-465/05 (Commissione europea contro Repubblica italiana), ha tra l'altro statuito che la normativa italiana recante l'ordinamento della vigilanza privata e, in particolare, alcune disposizioni del citato testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (articoli da 133 a 141), sono in contrasto con gli articoli 43 e 49 del TCE, concernenti, rispettivamente, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi.

      Segnatamente, il giudice europeo ha stabilito che avendo disposto, nell'ambito del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, così come modificato, che:

          1) (punto 2 del dispositivo): «l'attività di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un'autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall'articolo 49 CE»;

          2) (punto 3 del dispositivo): «la detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell'importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli articoli 43 CE e 49 CE»;

          3) (punto 6 del dispositivo): «le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli articoli 43 CE e 49 CE»;

          4) (punto 8 del dispositivo): «i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell'ambito di un determinato margine d'oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall'articolo 49 CE»;

          5) (punto 5 del dispositivo): «il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall'articolo 49 CE».

      La modifica normativa proposta alle lettere d), e), f) e g) del comma 1 tende appunto a uniformare le vigenti disposizioni degli articoli 135 e 136 del citato testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto n. 773 del 1931, ai richiamati punti 3, 6 e 8 del dispositivo della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee; inoltre, per aderire ai punti 2 e 5 dello stesso dispositivo, si è ritenuto di intervenire introducendo l'articolo 134-bis e aggiungendo nuovi commi al vigente articolo 138 del medesimo testo unico.

      Più in dettaglio, il comma inserito nell'articolo 134, in relazione alla struttura organizzativa complessa che potrebbero assumere gli istituti, operando in una dimensione territoriale anche nazionale, è finalizzato ad estendere gli accertamenti riguardanti l'assenza di precedenti penali e di polizia nei confronti di coloro che esercitano poteri di rappresentanza, ovvero di direzione, amministrazione o gestione dell'impresa; con l'articolo 134-bis vengono, invece, disciplinate le modalità di rilascio della licenza per l'esercizio dell'attività di vigilanza privata da parte di un'impresa legalmente autorizzata a svolgere la medesima attività in un altro Stato membro dell'Unione europea, alle medesime condizioni delle imprese e degli istituti stabiliti in Italia. Con la stessa disposizione si provvede altresì ad autorizzare il Ministro dell'interno a sottoscrivere con le competenti autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea accordi di collaborazione e di reciproco riconoscimento dei requisiti e delle condizioni necessari per lo svolgimento dell'attività, nonché dei provvedimenti sanzionatori, cautelari e amministrativi contemplati dalle disposizioni vigenti nei rispettivi ordinamenti.

      All'articolo 135 si provvede a eliminare la previsione dell'obbligo di vidimazione della tabella delle operazioni e la conseguente approvazione delle tariffe praticate dall'istituto di vigilanza privata da parte del prefetto, con il conseguente divieto per le imprese di praticare tariffe maggiori di quelle approvate, previsione che ad avviso della Corte di giustizia delle Comunità europee contrasta con la libera circolazione dei servizi e ancora di più con i princìpi che regolano il libero mercato.

      All'articolo 136, aderendo ad analoga richiesta della Corte di giustizia delle Comunità europee, viene eliminata la previsione che il prefetto possa negare il rilascio delle licenze in considerazione del numero e dell'importanza delle imprese di vigilanza già operanti sul territorio provinciale.

      Infine, le modifiche all'articolo 138, apportate dalla lettera g) del comma 1, sono finalizzate:

          a) al numero 1): ad assicurare una maggiore professionalità delle guardie particolari giurate e a migliorarne la qualificazione;

          b) al numero 2): a introdurre una norma analoga a quella dell'articolo 134-bis, da far valere per l'approvazione della nomina delle guardie particolari giurate, già autorizzate a svolgere la medesima attività in altro Stato membro dell'Unione europea;

          c) al numero 3): al formale riconoscimento, per le guardie particolari giurate, della qualità di «incaricato di un pubblico servizio», rispondendo all'esigenza di assicurare alle stesse una difesa penale non inferiore a quella assicurata agli steward addetti agli impianti sportivi. Nei limiti e alle condizioni previsti dalla novella (deve trattarsi di guardie particolari giurate addette ai servizi di vigilanza e custodia), l'attribuzione non pare travalicare i limiti disegnati dalla legge penale, in quanto è meramente ricognitoria delle situazioni di fatto contemplate dall'articolo 358 del codice penale.

      L'intervento complessivo è finalizzato ad evitare la soccombenza dell'amministrazione nel probabile contenzioso che potrebbe essere avviato dalle imprese di vigilanza privata operanti in ambito europeo, atteso che le sentenze del giudice comunitario sono immediatamente attivabili presso il giudice nazionale e comunque impongono alla pubblica amministrazione di informare ad esse la propria azione.

      Infine, la disposizione proposta tende anche ad evitare le conseguenze negative di una eventuale condanna dello Stato italiano da parte della Commissione europea, per inottemperanza al giudicato comunitario.

      Con separato provvedimento si provvederà a completare il quadro normativo adeguando la disciplina regolamentare vigente alle determinazioni della Corte di giustizia delle Comunità europee.

      La norma non comporta oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.

 

Articolo 5.

      La disposizione ha lo scopo di conformare l'ordinamento italiano all'orientamento degli organi comunitari formatosi sull'interpretazione dell'articolo 39 del TCE.

      Considerato che anche recentemente nei confronti dello Stato italiano sono state pronunciate alcune decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee che hanno accertato l'inadempimento agli obblighi derivanti dal TCE e dal regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, per il riconoscimento dell'esperienza professionale e dell'anzianità maturate in altri Paesi dell'Unione europea (esempio: Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 26 ottobre 2006, causa C-371/04; Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 12 maggio 2005, causa C-278/03), si rende necessario introdurre una previsione normativa espressa che sancisca la parità di trattamento per i casi in cui un cittadino comunitario abbia svolto, al di fuori del nostro territorio nazionale, un'attività lavorativa analoga a quella considerata e valutata dalle pubbliche amministrazioni italiane. L'articolo già inserito nel disegno di legge cosiddetto «salva-infrazioni» (atto Camera n. 3435), approvato dal Consiglio dei Ministri in data 16 novembre 2007, è stato anticipato fin dallo scorso novembre alla Commissione europea che, proprio in considerazione della sua imminente adozione, non ha proceduto alla notifica del parere motivato, nell'ambito della procedura di infrazione n. 2002/4888, attualmente allo stadio della messa in mora complementare ex articolo 228 del TCE, del 16 novembre 2007; infatti - come sopra ricordato - la Corte di giustizia delle Comunità europee ha già emesso al riguardo una sentenza di condanna ex articolo 226 del TCE, il 26 ottobre 2006, nella causa C-371/04.

      In sostanza, mediante la disposizione si vuole dare attuazione - oltre che all'orientamento della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee - al contenuto della comunicazione della Commissione europea COM (2002) 694 «Libera circolazione dei lavoratori - realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità», dell'11 dicembre 2002. L'introduzione della disposizione in questione, infatti, determina che, laddove l'amministrazione italiana richieda quale requisito per lo svolgimento di un determinato servizio o incarico che siano possedute determinate esperienze professionali e anzianità, queste ultime sono riconosciute secondo condizioni di parità a prescindere dal Paese europeo ove le stesse sono state maturate, senza creare alcuna discriminazione. In attuazione del principio formulato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (ex multis, sentenza 18 aprile 2002, causa C-290/00, Duchon), viene altresì considerato valutabile il servizio prestato presso le amministrazioni pubbliche degli Stati membri in periodi antecedenti alla loro adesione all'Unione europea.

      La disposizione, per la quale è stata predisposta un'apposita relazione tecnica, introduce una norma di carattere generale ricognitiva di obblighi già esistenti per l'ordinamento italiano e quindi per le pubbliche amministrazioni, stante l'efficacia diretta delle disposizioni contenute nel TCE e nel regolamento (CEE) n. 1612/68. Per completezza si segnala il generale obbligo di applicare il diritto comunitario anche da parte delle autorità amministrative con disapplicazione del diritto interno eventualmente contrastante, potere/dovere di disapplicazione ormai riconosciuto dall'orientamento consolidato della giurisprudenza (Corte costituzionale, sentenze n. 389 del 1989 e n. 170 del 1984; Corte di giustizia delle Comunità europee, causa 106/77, sentenza 9 marzo 1978; Consiglio di Stato, sezione IV, n. 5194; Consiglio di Stato, sezione VI, n. 430 del 2001).

      Viene fatto salvo l'articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il quale, in aderenza alla normativa comunitaria, già prevede l'accesso dei cittadini comunitari nelle pubbliche amministrazioni, con le limitazioni ivi previste.

 

Articolo 6.

      L'articolo reca disposizioni dirette a risolvere alcune procedure di infrazione in materia di rifiuti.

      In particolare, le disposizioni di cui al comma 1 sono volte a superare due procedure di infrazione avviate, tra l'altro, per non corretto recepimento e mancata attuazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti. Tale articolo è stato trasposto nell'ordinamento interno dall'articolo 17 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36.

      Nella procedura di infrazione n. 2003/2077 la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza del 26 aprile 2007, ha statuito la mancata attuazione dell'articolo 14 della direttiva, in quanto l'Italia non ha fornito dati certi sulla chiusura delle discariche che non hanno presentato nei termini prescritti il piano di adeguamento o il cui piano è stato respinto.

      Nella procedura di infrazione n. 2003/4506, invece, allo stadio di ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-442/06), la Commissione europea contesta, tra l'altro, il tardivo recepimento della direttiva che, ai sensi dell'articolo 14, avrebbe dovuto essere trasposta entro il 16 luglio 2001, visto che il decreto legislativo di recepimento è entrato in vigore solo nel marzo 2003. Per effetto di tale ritardo non si è attribuita alle discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 23 marzo 2003 la qualifica di discariche ex novo, che avrebbe comportato l'applicazione della nuova disciplina introdotta dalla direttiva, bensì quella di discariche preesistenti per le quali sono sufficienti la presentazione e l'approvazione di un piano di adeguamento. La Commissione europea contesta, inoltre, la mancata trasposizione di alcune disposizioni dello stesso articolo 14 della direttiva relative alle discariche per i rifiuti pericolosi, che avrebbero dovuto essere applicate nel 2002 (articoli 4, 5 e 11 della direttiva) e nel 2004 (articolo 6 della direttiva).

      Al fine, dunque, di risolvere le due predette procedure di infrazione, si rende necessario meglio precisare la portata dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, introducendo una disciplina specifica (e sostanzialmente differenziata rispetto a quella prevista per tutte le altre discariche) per le discariche autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 23 marzo 2003 e per quelle per rifiuti pericolosi.

      In tale modo si fa venire meno il regime di generale e indistinta equiparazione tra tutte le discariche preesistenti al marzo 2003 contenuto nel decreto legislativo n. 36 del 2003, regime di equiparazione che, secondo le autorità comunitarie, si pone in contrasto con la diversa disciplina che la direttiva 1999/31/CE assegna alle discariche per rifiuti pericolosi e a quelle autorizzate prima della sua entrata in vigore.

      La modifica contenuta nel comma 2 è volta ad eliminare la definizione di «apparecchiature elettriche ed elettroniche usate» prevista all'articolo 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, con il quale sono state recepite nell'ordinamento interno le direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti elettrici. Tale modifica è necessaria al fine di risolvere una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea in quanto la definizione, non contemplata dalla direttiva 2002/96/CE e introdotta nella normativa nazionale dal citato decreto legislativo n. 151 del 2006, opera un indebito restringimento del campo di applicazione della stessa direttiva, nonché, conseguentemente, della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, sui rifiuti.

      Per effetto di tale previsione, infatti, le apparecchiature elettriche ed elettroniche che il detentore consegna al distributore all'atto dell'acquisto di un apparecchio equivalente non sono rifiuti, bensì apparecchiature usate, spettando al distributore che le riceve decidere successivamente se le stesse siano o meno rifiuti.

 

Articolo 7.

      Le modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, proposte nel presente articolo sono necessarie ed urgenti per dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 24 maggio 2007 nella causa C-394/05. In tale sentenza la Corte di giustizia ha statuito il non corretto recepimento degli articoli 3, paragrafo 5, 5, paragrafo 1, 7, paragrafo 2, lettera a), secondo comma, e 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva ad opera del citato decreto legislativo n. 209 del 2003.

      In particolare, la modifica di cui al comma 1, volta ad introdurre espressamente per gli operatori economici, la previsione dell'obbligo di istituire, anche per i veicoli a tre ruote, sistemi di raccolta delle parti usate asportate al momento della riparazione di tali veicoli, consentirà di trasporre correttamente l'articolo 3, paragrafo 5, della direttiva.

      Le modifiche di cui alla lettera b) consentiranno, invece, di dare corretto recepimento all'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, in quanto prevedono l'obbligo di istituire, se tecnicamente fattibile, sistemi di raccolta delle parti usate derivanti dalla riparazione dei veicoli, come imposto dalla direttiva.

      La modifica di cui alla lettera c) è, invece, volta a dare corretto recepimento all'articolo 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva, che prevede che le informazioni che i produttori di veicoli e dei loro componenti sono tenuti a fornire devono corrispondere a quanto richiesto dagli impianti di trattamento.

 

Articolo 8.

      L'articolo 8, attraverso la modifica dei decreti legislativi 26 maggio 2004, n. 153 e n. 154, e della legge 14 luglio 1965, n. 963, adegua la normativa nazionale sulla pesca alla normativa e ai princìpi comunitari, consentendo l'archiviazione delle quattro procedure di infrazione in materia di pesca attualmente pendenti.

      In particolare, il comma 1 sostituisce l'articolo 6 del decreto legislativo n. 153 del 2004 al fine di escludere la tolleranza del 10 per cento nella detenzione di esemplari sotto misura, garantendo una effettiva tutela alle specie ittiche per le quali è prevista una taglia minima della normativa nazionale, così come disposto dai diversi regolamenti comunitari che non prevedono tale tolleranza per le specie indicate, ed estende la sanzione accessoria della sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, prevista per la commercializzazione di prodotti sotto misura, alla commercializzazione di specie di cui è vietata la cattura (ad esempio datteri).

      Per tale ultima fattispecie, sebbene sicuramente più grave, attualmente non è previsto questo tipo di sanzione accessoria.

      Il comma 2 introduce la sanzione per la violazione dell'obbligo di trasmettere i dati statistici delle catture e degli sbarchi, previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 154 del 2004 (procedura di infrazione n. 2001/2118). Esso prevede in particolare che la medesima sanzione sia triplicata per le fattispecie relative ai piani di protezione degli stock ittici (attualmente tonno rosso) e per la pesca fuori del Mar Mediterraneo (pesca oceanica). Al fine di rispondere alle contestazioni mosse dalla Commissione europea in particolare nell'ambito delle procedure di infrazione nn. 2001/2118 e 2007/2284, si è ritenuto di diversificare le sanzioni in funzione della specie pescata e del luogo di cattura. Tali dichiarazioni concernenti le catture e gli sbarchi assumono particolare importanza al fine di determinare lo stato delle risorse e di agevolare l'attività di controllo e di verifica sulle attività di pesca.

      Il comma 3 interviene sulla legge 14 luglio 1965, n. 963, al fine di adeguare il sistema sanzionatorio nel settore della pesca a quanto previsto dalla normativa comunitaria.

      In particolare, la lettera a) introduce espressamente il divieto di detenzione di attrezzi non consentiti, previsto da diverse norme comunitarie ma non chiaramente esplicitato nell'ordinamento giuridico nazionale, anche se riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.

      La Commissione europea ha sempre contestato, in merito al fenomeno delle cosiddette «spadare» (oggetto della procedura di infrazione n. 1992/5006), la mancanza di un idoneo sistema sanzionatorio in linea con la normativa comunitaria e adeguato agli obiettivi della Politica comune della pesca (PCP).

       Infatti, attualmente la legge n. 963 del 1965 prevede una sanzione amministrativa per la pesca con attrezzi non consentiti, mentre per la violazione delle numerose norme che vietano la detenzione di attrezzi non consentiti bisogna fare ricorso all'articolo 2 del regio decreto 4 aprile 1940, n. 1155, che peraltro l'indirizzo giurisprudenziale dominante ritiene implicitamente abrogato per incompatibilità con la disciplina della pesca marittima dettata dalla citata legge n. 963 del 1965.

      L'inserimento di tale divieto, che trova sanzione nel nuovo testo dell'articolo 26 della citata legge n. 963 del 1965, consente di chiudere la procedura di infrazione n. 1992/5006, riguardante il controllo delle misure tecniche comunitarie relative alle reti da posta derivanti, oltre a semplificare l'attività di vigilanza e controllo.

      La lettera b) adegua le sanzioni amministrative in materia di pesca, previste dallo stesso articolo 26 della citata legge n. 963 del 1965, come sostituito dalla legge n. 381 del 1988, rendendole maggiormente dissuasive, seguendo così le indicazioni contenute nella comunicazione annuale della Commissione europea sulle relazioni trasmesse dagli Stati membri circa le infrazioni gravi alle norme della PCP commesse nel 2005.

      A tal fine, l'articolo 26 viene sostituito integralmente, introducendo anche le sanzioni amministrative per la violazione delle norme del regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, relative al sistema VMS (oggetto della procedura di infrazione n. 2004/2225), nonché per la violazione delle norme relative alla tutela di determinati stock ittici (oggetto della procedura di infrazione n. 2007/2284) e per la vendita e commercializzazione dei prodotti della pesca sportiva o a scopo ricreativo.

      Infine, la lettera c) modifica l'articolo 27 della legge n. 963 del 1965, intervenendo sulle sanzioni amministrative accessorie, al fine in particolare di sanzionare in maniera più stringente i casi di recidiva.

 

Articolo 9.

      La disposizione consente di adempiere ad indifferibili obblighi internazionali, conseguenti alla ratifica, autorizzata con legge 8 febbraio 1996, n. 69, degli accordi bilaterali tra la Repubblica italiana e la Federazione russa e in particolare del trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Federazione russa, firmato a Mosca il 14 ottobre 1994.

 

Articolo 10.

      Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 28 luglio 2006 è stata istituita, presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, una struttura di missione con il compito di attivare tutte le azioni possibili dirette sia a prevenire l'insorgere del contenzioso comunitario che a risolvere le procedure di infrazione in corso. L'azione svolta dalla predetta struttura ha portato ad una consistente diminuzione delle stesse procedure, le quali sono scese, alla fine del 2007, per la prima volta dal 2002 al di sotto della soglia delle 200 unità, e di 80 unità rispetto al momento dell'insediamento del Governo, che aveva posto tra gli obiettivi prioritari della sua politica europea la riduzione del contenzioso comunitario. In base alla disciplina vigente, la durata di tale struttura non può essere superiore a quella del Governo che l'ha istituita, con immediata decadenza all'atto dell'insediamento del nuovo Governo. Tuttavia, considerate la delicatezza e l'importanza dell'attività che la struttura sta svolgendo, in costante rapporto con gli uffici della Commissione europea, è necessario garantirne la prosecuzione in modo da assicurare il buon esito delle azioni urgenti già intraprese per la chiusura delle procedure di infrazione in corso, dalle quali - anche in ragione della cadenza mensile assunta dalle decisioni della Commissione europea in questo settore - potrebbero scaturire condanne pecuniarie onerose. Pertanto, al fine di impedire che tale attività si interrompa improvvisamente e al contempo di consentire al nuovo Governo di assicurarne la prosecuzione senza soluzione di continuità, si prevede che essa decada decorsi trenta giorni dal giuramento del nuovo Governo, ove non confermata, al pari di quanto avviene con il personale incardinato presso gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri ai sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.

      Analoghe considerazioni valgono per le altre strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per le quali è necessario assicurare senza soluzione di continuità la prosecuzione delle rispettive attività, sino a che il nuovo Governo non assuma determinazioni al riguardo.

      L'intervento normativo, peraltro, non comporta oneri, in quanto la copertura finanziaria era stata già assicurata per l'intero anno 2008.

      Infine, l'articolo 11 contiene norme per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 5.

 

 


 

 


 

RELAZIONE TECNICA

(Articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni).

 

 

Articolo 5.

        La disposizione contenuta nel comma 1, sebbene ricognitiva di obblighi già esistenti per l'ordinamento italiano e quindi per le pubbliche amministrazioni, stante l'efficacia diretta delle disposizioni contenute nel TCE e nel regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, consente ai cittadini comunitari l'effettivo riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, delle esperienze professionali e delle anzianità maturate nell'ambito dei Paesi e degli organismi dell'Unione europea.

        Per talune categorie di personale pubblico il riconoscimento dei servizi prestati all'estero ha riflesso sul relativo trattamento economico, determinando così effetti finanziari a carico delle rispettive amministrazioni.

        Per la quantificazione di tali effetti sono state individuate le categorie di personale potenzialmente interessate nei settori della scuola, del Servizio sanitario nazionale (SSN) e dell'università.

        Sulla base dei dati forniti dalla scuola e dal SSN è stata effettuata una stima di massima degli effetti finanziari in riferimento ai singoli settori.

        Per il comparto della scuola, ai fini della quantificazione della maggiore spesa derivante dall'attuazione della suddetta norma, si è ipotizzato, sulla base del numero del personale già di ruolo, nonché di quello iscritto nelle graduatorie permanenti per le immissioni in ruolo, che il numero complessivo dei potenziali aventi diritto al riconoscimento dei benefìci in questione sia pari a circa 4.000 unità e che mediamente i periodi di servizio da riconoscere siano di circa 4 anni.

        È stato considerato, per il personale a tempo determinato, il trattamento economico iniziale del docente di scuola secondaria di I grado e, per il personale di ruolo, il trattamento economico corrispondente al docente di scuola secondaria di I grado con anzianità media di 15-20 anni, sulla base delle retribuzioni tabellari previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro 2006-2009, biennio economico 2006-2007.

        Le unità di personale interessato risulterebbero così distribuite:

            anno 2008: n. 2.500 unità (di cui n. 1.800 già di ruolo);

            anno 2009: n. 3.250 unità (2.500 + 750);

            anno 2010: n. 4.000 unità (3.250 + 750).

    Ciò premesso, ne consegue che per il comparto della scuola la spesa stimata in ragione d'anno risulta la seguente:

 

COMPARTO SCUOLA

UNITÀ

2008

2009

2010

 

2.500

2.500

2.500

 

 

  750

  750

 

 

  

  750

 

Totale  

2.500

3.250

4.000

 

 

2008

2009

2010

 

SPESA
PER ANNO
SCOLASTICO

€ 6.043.000

€ 6.043.000

€ 6.043.000

 

 

€   623.000

€   623.000

 

 

  

€   623.000

 

Totale  

€ 6.043.000

€ 6.666.000

€ 7.289.000

 

 

2008

2009

2010

2011

SPESA
PER ANNO
FINANZIARIO

€ 2.014.333

€ 6.043.000

€ 6.043.000

€ 6.043.000

 

€   207.667

€   623.000

€   623.000

 

  

€   207.667

€   623.000

Totale  

€ 2.014.333

€ 6.250.667

€ 6.873.667

€ 7.289.000

 

 

 Per il comparto del SSN, sulla base delle vigenti disposizioni contrattuali, è potenzialmente destinatario di trattamenti collegati all'anzianità maturata solo il personale dirigente.

        Per quanto riguarda le unità potenzialmente interessate, in assenza di dati a livello nazionale, sono stati presi a riferimento quelli della regione Emilia-Romagna dai quali si evince che il personale dirigente interessato è esclusivamente quello medico, sia per quanto riguarda i dipendenti del servizio sanitario regionale provenienti da altri Paesi comunitari, sia per quanto riguarda i riconoscimenti dei servizi prestati all'estero dai dipendenti del predetto servizio sanitario regionale. Sulla base di tali dati, che riguardano la situazione al momento attuale, si è provveduto, quindi, ad effettuare una proiezione, su scala nazionale, del numero dei medici potenzialmente interessati considerando il numero complessivo del personale medico del SSN risultante dal conto annuale 2006 e ad ipotizzare un incremento nel triennio di 50 unità annue.

        Per la quantificazione dell'onere sono stati considerati i trattamenti economici collegati all'anzianità riguardanti il predetto personale e cioè l'indennità di esclusività e la retribuzione di posizione. In particolare, sono stati presi a riferimento, in via prudenziale, come valori medi, per quanto concerne l'indennità di esclusività, il differenziale tra il valore previsto per i dirigenti medici con esperienza professionale fino a 5 anni e quello tra 5 e 15 anni; per la retribuzione di posizione, è stato considerato il differenziale tra il valore previsto per i dirigenti medici con anzianità inferiore a 5 anni e quelli con anzianità superiore non titolari di incarichi. Il relativo costo unitario annuo lordo (comprensivo della tredicesima mensilità) determinato sulla base delle vigenti disposizioni contrattuali risulta pari a 13.678 euro.

         Pertanto, per il comparto del SSN le unità ipotizzate e la spesa stimata in ragione d'anno sono riportate nello schema seguente:

 

COMPARTO SSN

 

2008

2009

2010

UNITÀ

300

300

300

 

  50

  50

 

  

  50

Totale  

300

350

400

 

2008

2009

2010

SPESA
PER ANNO
FINANZIARIO

€ 4.103.400

€ 4.103.400

€ 4.103.400

 

€   683.900

€   683.900

 

  

€   683.900

Totale  

€ 4.103.400

€ 4.787.300

€ 5.471.200

        Per l'università, le figure professionali individuate sono quelle di ricercatore confermato a tempo pieno e di docente ordinario a tempo pieno, in favore delle quali, sulla base delle disposizioni vigenti, è stato ipotizzato il riconoscimento di un'anzianità massima di 8 anni (4 classi biennali all'8 per cento) pari a 8.977 euro annui lordi per il ricercatore e a 16.337 euro annui lordi per il docente (comprensivi del rateo della tredicesima mensilità).

        In mancanza di dati effettivi sul numero dei destinatari, le unità di personale potenzialmente interessate sono state calcolate in via prudenziale, sulla base dei dati del conto annuale 2006, rapportando il numero totale dei ricercatori, pari a 13.758 unità, e dei docenti, pari a 14.464 unità, alla percentuale dello 0,25 per cento, risultante dall'incidenza media dedotta dagli altri due comparti, incrementata ipoteticamente, nel triennio, di 11 unità annue.

        Conseguentemente, per l'università le unità ipotizzate e la spesa stimata in ragione d'anno sono riportate nello schema seguente:

UNIVERSITÀ

 

2008

2009

2010

UNITÀ

71

71

71

 

11

11

 

  

11

Totale  

71

82

93

 

2008

2009

2010

SPESA

€ 905.179

€   905.179

€   905.179

 

€   140.239

€   140.239

 

  

€   140.239

Totale  

€ 905.179

€ 1.045.418

€ 1.185.657

 

        Si riporta nello schema seguente il riepilogo della spesa stimata per i comparti considerati:

Comparto

A.F. 2008

A.F. 2009

A.F. 2010

A.F. 2011

Scuola

€ 2.014.333

€ 6.250.667

€ 6.873.667

€ 7.289.000

SSN

€ 4.103.400

€ 4.787.300

€ 5.471.200

€ 5.471.200

Università

€ 905.179

€ 1.045.418

€ 1.185.657

€ 1.185.657

Spesa tot.

€ 7.022.912

€ 12.083.385

€ 13.530.524

€ 13.945.857

        Gli effetti finanziari stimati sono, quindi, pari a euro 7.022.912 per l'anno 2008, a euro 12.083.385 per l'anno 2009, a euro 13.530.524 per l'anno 2010 e a euro 13.945.857 a regime dall'anno 2011.


Allegato
(Previsto dall'articolo 17, comma 30,
della legge 15 maggio 1997, n. 127)

 

TESTO INTEGRALE DELLE NORME ESPRESSAMENTE MODIFICATE O ABROGATE DAL DECRETO-LEGGE

 

Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Norme in materia ambientale.

(omissis)

 

Art. 77.

(Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale).

 

(omissis)

        6. Le regioni possono motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello stato di «buono» entro il 22 dicembre 2015, nel rispetto di quanto stabilito al comma 9 e purchè sussista almeno uno dei seguenti motivi:

            a) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

            b) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

            c) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti.

        7. Le regioni possono motivatamente stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorra almeno una delle condizioni seguenti:

            a) il corpo idrico ha subito, in conseguenza dell'attività umana, gravi ripercussioni che rendono manifestamente impossibile o economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato qualitativo;

            b) il raggiungimento dell'obiettivo di qualità previsto non è perseguibile a causa della natura litologica ovvero geomorfologica del bacino di appartenenza.

(omissis)

 

Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.

Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

(omissis)

 

Capo IV

DELLE AGENZIE PUBBLICHE

 

Art. 115.

(Articolo 116 T.U. 1926).

        Non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l'oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del Questore.

        La licenza è necessaria anche per l'esercizio del mestiere di sensale o di intromettitore.

        Tra le agenzie indicate in questo articolo sono comprese le agenzie per la raccolta di informazioni a scopo di divulgazione mediante bollettini od altri simili mezzi.

        La licenza vale esclusivamente pei locali in essa indicati.

        È ammessa la rappresentanza.

(omissis)

 

Art. 135.

(Articolo 136 T.U. 1926).

        I direttori degli uffici di informazioni, investigazioni o ricerche, di cui all'articolo precedente, sono obbligati a tenere un registro degli affari che compiono giornalmente, nel quale sono annotate le generalità delle persone con cui gli affari sono compiuti e le altre indicazioni prescritte dal regolamento.

        Tale registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.

        Le persone, che compiono operazioni con gli uffici suddetti, sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

        I direttori suindicati devono inoltre tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.

        Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato.

        La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto.

 

Art. 136.

(Articolo 137 T.U. 1926).

        La licenza è ricusata a chi non dimostri di possedere la capacità tecnica ai servizi che intende esercitare.

        Può, altresì, essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti.

        La revoca della licenza importa l'immediata cessazione dalle funzioni delle guardie che dipendono dall'ufficio.

        L'autorizzazione può essere negata o revocata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico.

(omissis)

 

Art. 138.

(Articolo 139 T.U. 1926).

        Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:

            1o essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea;

            2o avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;

            3o sapere leggere e scrivere;

            4o non avere riportato condanna per delitto;

            5o essere persona di ottima condotta politica e morale;

            6o essere munito della carta di identità;

            7o essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.

        La nomina delle guardie particolari giurate deve essere approvata dal prefetto. Con l'approvazione, che ha validità biennale, il prefetto rilascia altresì, se ne sussistono i presupposti, la licenza per il porto d'armi, a tassa ridotta, con validità di pari durata.

        Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell'Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d'armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto ministeriale 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell'interno. Si osservano, altresì, le disposizioni degli articoli 71 e 256 del regolamento di esecuzione del presente testo unico.

(omissis)

 

 

Decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36.

Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.

(omissis)

 

Art. 17.

(Disposizioni transitorie e finali).

        1. Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate.

        2. Fino al 31 dicembre 2006 è consentito lo smaltimento nelle nuove discariche, in osservanza delle condizioni e dei limiti di accettabilità previsti dalla Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984, di cui all'articolo 6 decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994, e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1994, nonché dalle deliberazioni regionali connesse, relativamente:

            a) nelle discariche per rifiuti inerti, ai rifiuti precedentemente avviati a discariche di II categoria, tipo A;

            b) nelle discariche per rifiuti non pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di prima categoria e di II categoria, tipo B;

            c) nelle discariche per rifiuti pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di II categoria tipo C e terza categoria.

        3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell'autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all'autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all'articolo 14.

        4. Con motivato provvedimento l'autorità competente approva il piano di cui al comma 3, autorizzando la prosecuzione dell'esercizio della discarica e fissando i lavori di adeguamento, le modalità di esecuzione e il termine finale per l'ultimazione degli stessi, che non può in ogni caso essere successivo al 16 luglio 2009. Nel provvedimento l'autorità competente prevede anche l'inquadramento della discarica in una delle categorie di cui all'articolo 4. Le garanzie finanziarie prestate a favore dell'autorità competente concorrono alla prestazione della garanzia finanziaria.

        5. In caso di mancata approvazione del piano di cui al comma 3, l'autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all'articolo 12, comma 1, lettera c).

        6. Sono abrogati:

            a) il paragrafo 4.2 e le parti attinenti allo stoccaggio definitivo dei paragrafi 5 e 6 della citata Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale; ai fini di cui al comma 2, restano validi fino al 31 dicembre 2006 i valori limite e le condizioni di ammissibilità previsti dalla deliberazione;

            b) il decreto ministeriale 11 marzo 1998, n. 141 del Ministro dell'ambiente;

            c) l'articolo 5, commi 6 e 6-bis, e l'articolo 28, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, e successive modificazioni;

            d) l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994.

        7. Le Regioni adeguano la loro normativa alla presente disciplina.

(omissis)

 

Decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151.

Attuazione della direttiva 2002/95/CE, della direttiva 2002/96/CE e della direttiva 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti.

(omissis)

 

Art. 3.

(Definizioni).

        1. Ai fini del presente decreto si intende per:

(omissis)

            c) «apparecchiature elettriche ed elettroniche usate»: le apparecchiature di cui alla lettera a) che il detentore consegna al distributore al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura di tipo equivalente, affinché quest'ultimo possa valutare, prima di disfarsene, il possibile reimpiego ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b);

(omissis)

 

Decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209.

Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso.

Art. 1.

(Campo di applicazione).

(omissis)

        2. Ai veicoli a motore a tre ruote si applicano solo le disposizioni di cui all'articolo 5, commi 1 e 3, e all'articolo 6.

(omissis)

 

 

Art. 5.

(Raccolta).

(omissis)

        3. I produttori di veicoli provvedono a ritirare i veicoli fuori uso alle condizioni di cui al comma 2, organizzando, direttamente o indirettamente, su base individuale o collettiva, una rete di centri di raccolta opportunamente distribuiti sul territorio nazionale.

(omissis)

        15. Le imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, devono consegnare, ove ciò sia tecnicamente fattibile, i pezzi usati allo stato di rifiuto, derivanti dalle riparazioni dei veicoli, ad eccezione di quelle per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta, ad un operatore autorizzato alla raccolta di cui all'articolo 3, comma 1, lettera u).

(omissis)

Art. 10.

(Informazioni per la demolizione e codifica).

        1. Il produttore del veicolo, entro sei mesi dall'immissione sul mercato dello stesso veicolo, mette a disposizione degli impianti di trattamento autorizzati le informazioni per la demolizione, sotto forma di manuale o su supporto informatico, concordate con i gestori degli impianti di trattamento autorizzati. Tali informazioni devono consentire di identificare i diversi componenti e materiali del veicolo e l'ubicazione di tutte le sostanze pericolose in esso presenti.

(omissis)

 

Decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153.

Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima.

(omissis)

 

Art. 6.

(Tutela di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima).

        1. Fermo restando il divieto comunitario di sbarco, trasporto, trasbordo e commercializzazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari, non è sanzionabile la cattura accidentale o accessoria di tali esemplari, realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e autorizzati dalla licenza di pesca.

        2. La commercializzazione di cui al comma 1 è sanzionata con la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni.

 

Decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154.

Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38.

(omissis)

 

Art. 11.

(Statistiche della pesca e dell'acquacoltura).

 

(omissis)

        2. L'imprenditore ittico di cui all'articolo 6, titolare di licenza di pesca in qualità di armatore, è tenuto a presentare, nei tempi e nei modi previsti dalle pertinenti norme comunitarie e nazionali, le dichiarazioni concernenti le catture e gli sbarchi.

(omissis)

 

Legge 14 luglio 1965, n. 963.

Disciplina della pesca marittima.

(omissis)

 

Art. 15.

(Tutela delle risorse biologiche e dell'attività di pesca).

        1. Al fine di tutelare le risorse biologiche delle acque marine ed assicurare il disciplinato esercizio della pesca, è fatto divieto di:

(omissis)

            b) pescare con navi o galleggianti, attrezzi o strumenti, vietati dai regolamenti o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza o in difformità della necessaria autorizzazione, nonché detenere, trasportare o commerciare il prodotto di tale pesca;

(omissis)

Art. 26.

(Sanzioni amministrative).

        1. Chiunque contravvenga ai divieti posti dal precedente articolo 15, lettere a) e b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei milioni.

         2. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquecentomila a lire tre milioni chiunque eserciti la pesca marittima senza la preventiva iscrizione nel registro dei pescatori marittimi.

        3. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei milioni chi violi le norme del regolamento per l'esercizio della pesca sportiva e subacquea.

        4. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquecentomila a lire tre milioni chiunque ceda un fucile subacqueo o altro attrezzo simile a persona minore degli anni sedici; alla stessa sanzione soggiace chi affida un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, qualora questa ne faccia uso.

        5. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire duecentomila a lire unmilioneduecentomila, salvo che il fatto non costituisca reato, chiunque non consente o impedisce l'ispezione da parte degli addetti alla vigilanza sulla pesca, prevista dal precedente articolo 23.

 

 

 

Art. 27.

(Sanzioni amministrative accessorie).

        1. Alle violazioni dell'articolo 15, lettere a) e b), sono applicate le seguenti sanzioni amministrative accessorie:

            a) la confisca del pescato;

            b) la confisca degli strumenti, degli attrezzi e degli apparecchi di pesca usati, in contrasto con le norme della presente legge, escluse le navi;

            c) l'obbligo di rimettere in pristino, entro un termine prestabilito, le zone in cui sono stati costruiti opere o impianti non autorizzati.

(omissis)

 


 

 


disegno di legge

¾¾¾

 

 

Art. 1.

 

      1. È convertito in legge il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

      2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 


 

Decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 9 aprile 2008.

 

Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

        Visti gli articoli 77, 87 e 117 della Costituzione;

        Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni al fine di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee e da procedure di infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano;

        Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 1o aprile 2008;

        Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per le politiche europee, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri, dell'economia e delle finanze, dell'interno, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, delle politiche agricole alimentari e forestali, della salute, del lavoro e della previdenza sociale e per gli affari regionali e le autonomie locali;

 

emana

il seguente decreto-legge:

 

 

Articolo 1.

(Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia civile).

        1. Nei giudizi civili concernenti gli atti e le procedure volti al recupero di aiuti di Stato in esecuzione di una decisione di recupero adottata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, di seguito denominata: «decisione di recupero», il giudice può concedere la sospensione dell'efficacia del titolo amministrativo o giudiziale di pagamento, conseguente a detta decisione, se ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni:

            a) gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nella individuazione del soggetto tenuto alla restituzione dell'aiuto di Stato o evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale errore;

            b) pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile.

        2. Qualora la sospensione si fondi su motivi attinenti alla illegittimità della decisione di recupero il giudice provvede alla sospensione del giudizio e all'immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia delle Comunità europee, con richiesta di trattazione d'urgenza ai sensi dell'articolo 104-ter del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 19 giugno 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 176 del 4 luglio 1991, e successive modificazioni, se ad essa non sia stata già deferita la questione di validità dell'atto comunitario contestato. Non può, in ogni caso, essere accolta l'istanza di sospensione dell'atto impugnato per motivi attinenti alla legittimità della decisione di recupero quando la parte istante, pur avendone facoltà perché individuata o chiaramente individuabile, non abbia proposto impugnazione avverso la decisione di recupero ai sensi dell'articolo 230 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni, ovvero quando, avendo proposto l'impugnazione, non abbia richiesto la sospensione della decisione di recupero ai sensi dell'articolo 242 del Trattato medesimo ovvero l'abbia richiesta e la sospensione non sia stata concessa.

        3. Fuori dei casi in cui è stato disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, con il provvedimento che accoglie l'istanza di sospensione, il giudice fissa la data dell'udienza di trattazione nel termine di trenta giorni. La causa è decisa nei successivi sessanta giorni. Allo scadere del termine di novanta giorni dalla data di emanazione del provvedimento di sospensione, il provvedimento perde efficacia salvo che il giudice, su istanza di parte, riesamini lo stesso e ne disponga la conferma, anche parziale, sulla base dei presupposti di cui ai commi 1 e 2, fissando un termine di efficacia non superiore a sessanta giorni.

        4. Per quanto non disposto dai commi da 1 a 3 ai giudizi di cui al comma 1, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ad eccezione dei commi terzo, quarto e decimo del medesimo articolo 23.

        5. Ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto non si applica il comma 4. Se è già stato concesso il provvedimento di sospensione la causa è decisa nei termini di cui al comma 3, previa eventuale anticipazione dell'udienza di trattazione già fissata. Il giudice, su istanza di parte, riesamina il provvedimento di sospensione già concesso e ne dispone la revoca qualora non ricorrano i presupposti di cui ai commi 1 e 2.

        6. Il presidente di sezione, in ogni grado del procedimento, vigila sul rispetto dei termini di cui al comma 3 e riferisce con relazione trimestrale, rispettivamente, al presidente del tribunale o della corte d'appello per le determinazioni di competenza. Nei tribunali non divisi in sezioni le funzioni di vigilanza sono svolte direttamente dal Presidente del tribunale.

 

 

Articolo 2.

(Disposizioni in materia di recupero di aiuti di Stato innanzi agli organi di giustizia tributaria).

        1. Dopo l'articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, è inserito il seguente:

        «Art. 47-bis. - (Sospensione di atti volti al recupero di aiuti di Stato e definizione delle relative controversie). - 1. Qualora sia chiesta in via cautelare la sospensione dell'esecuzione di un atto volto al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, di seguito denominata: "decisione di recupero", la Commissione tributaria provinciale può concedere la sospensione dell'efficacia del titolo di pagamento conseguente a detta decisione se ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni:

        a) gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nella individuazione del soggetto tenuto alla restituzione dell'aiuto di Stato o evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale errore;

            b) pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile.

        2. Qualora la sospensione si fondi su motivi attinenti alla illegittimità della decisione di recupero la Commissione tributaria provinciale provvede con separata ordinanza alla sospensione del giudizio e all'immediato rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di giustizia delle Comunità europee, con richiesta di trattazione d'urgenza ai sensi dell'articolo 104-ter del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 19 giugno 1991, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 176 del 4 luglio 1991, e successive modificazioni, se ad essa non sia stata già deferita la questione di validità dell'atto comunitario contestato. Non può, in ogni caso, essere accolta l'istanza di sospensione dell'atto impugnato per motivi attinenti alla legittimità della decisione di recupero quando la parte istante, pur avendone facoltà perché individuata o chiaramente individuabile, non abbia proposto impugnazione avverso la decisione di recupero ai sensi dell'articolo 230 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni, ovvero quando, avendo proposto l'impugnazione, non abbia richiesto la sospensione della decisione di recupero ai sensi dell'articolo 242 del Trattato medesimo ovvero l'abbia richiesta e la sospensione non sia stata concessa.

        3. Fermi restando i presupposti di cui ai commi 1 e 2, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8 dell'articolo 47; ai fini ell'applicazione del comma 8 rileva anche il mutamento del diritto comunitario.

        4. Le controversie relative agli atti di cui al comma 1 sono definite, nel merito, nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza di sospensione di cui al medesimo comma 1. Alla scadenza del termine di sessanta giorni dall'emanazione dell'ordinanza di sospensione, il provvedimento perde comunque efficacia, salvo che la Commissione tributaria provinciale entro il medesimo termine riesamini, su istanza di parte, l'ordinanza di sospensione e ne disponga la conferma, anche parziale, sulla base dei presupposti di cui ai commi 1 e 2, fissando comunque un termine di efficacia, non prorogabile, non superiore a sessanta giorni. Non si applica la disciplina sulla sospensione feriale dei termini. Nel caso di rinvio pregiudiziale il termine di cui al primo periodo è sospeso dal giorno del deposito dell'ordinanza di rinvio e riprende a decorrere dalla data della trasmissione della decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee.

        5. Le controversie relative agli atti di cui al comma 1 sono discusse in pubblica udienza e, subito dopo la discussione, il Collegio giudicante delibera la decisione in camera di consiglio. Il Presidente redige e sottoscrive il dispositivo e ne dà lettura in udienza, a pena di nullità.

        6. La sentenza è depositata nella segreteria della Commissione tributaria provinciale entro quindici giorni dalla lettura del dispositivo. Il segretario fa risultare l'avvenuto deposito apponendo sulla sentenza la propria firma e la data e ne dà immediata comunicazione alle parti.

        7. In caso di impugnazione della sentenza pronunciata sul ricorso avverso uno degli atti di cui al comma 1, tutti i termini del giudizio di appello davanti alla Commissione tributaria regionale, ad eccezione di quello stabilito per la proposizione del ricorso, sono ridotti alla metà. Nel processo di appello le controversie relative agli atti di cui al comma 1 hanno priorità assoluta nella trattazione. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 4, terzo e quarto periodo, 5 e 6».

        2. Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nel caso sia stata concessa la sospensione, le relative controversie sono definite nel merito, entro sessanta giorni dalla medesima data di entrata in vigore del presente decreto; fermo restando il predetto termine, la commissione tributaria provinciale, su istanza di parte, riesamina i provvedimenti di sospensione già concessi e ne dispone la revoca, qualora non ricorrano i presupposti di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come introdotto dal presente articolo. Il termine previsto dall'articolo 31 del decreto legislativo n. 546 del 1992 per la comunicazione dell'avviso di trattazione è ridotto a dieci giorni liberi. Alle medesime controversie pendenti in appello si applica il comma 7 del predetto articolo 47-bis come introdotto dal comma 1 del presente articolo.

        3. Il presidente di sezione, in ogni grado del procedimento, vigila sul rispetto dei termini di cui al comma 2 e ai commi 4 e 7, primo periodo, dell'articolo 47-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dal comma 1 del presente articolo e riferisce con relazione trimestrale, rispettivamente, al presidente della commissione tributaria provinciale e della commissione tributaria regionale per le determinazioni di competenza.

        4. L'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46, è soppresso.

 

 

Articolo 3.

(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, recante norme in materia ambientale in attuazione della direttiva 2000/60/CE. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 12 gennaio 2006, nella causa C-85/05. Procedura di infrazione n. 2004/59).

        1. All'articolo 77 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) il comma 6 è sostituito dal seguente:

        «6. Le regioni possono motivatamente prorogare il termine del 23 dicembre 2015 per poter conseguire gradualmente gli obiettivi dei corpi idrici purché non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato dei corpi idrici e sussistano tutte le seguenti condizioni:

            a) i miglioramenti necessari per il raggiungimento del buono stato di qualità ambientale non possono essere raggiunti entro i termini stabiliti almeno per uno dei seguenti motivi:

                1) i miglioramenti dello stato dei corpi idrici possono essere conseguiti per motivi tecnici solo in fasi successive al 23 dicembre 2015;

                2) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionalmente costoso;

                3) le condizioni naturali non consentono il miglioramento del corpo idrico nei tempi richiesti;

            b) la proroga dei termini e le relative motivazioni sono espressamente indicate nei piani di cui agli articoli 117 e 121;

            c) le proroghe non possono superare il periodo corrispondente a due ulteriori aggiornamenti dei piani di cui alla lettera b), fatta eccezione per i casi in cui le condizioni naturali non consentano di conseguire gli obiettivi entro detto periodo;

            d) l'elenco delle misure, la necessità delle stesse per il miglioramento progressivo entro il termine previsto, la giustificazione di ogni eventuale significativo ritardo nella attuazione delle misure, nonché il relativo calendario di attuazione delle misure devono essere riportati nei piani di cui alla lettera b). Le informazioni devono essere aggiornate nel riesame dei piani»;

            b) il comma 7 è sostituito dal seguente:

        «7. Le regioni, per alcuni corpi idrici, possono stabilire di conseguire obiettivi ambientali meno rigorosi rispetto a quelli di cui al comma 4, qualora, a causa delle ripercussioni dell'impatto antropico rilevato ai sensi dell'articolo 118 o delle loro condizioni naturali, non sia possibile o sia esageratamente oneroso il loro raggiungimento. Devono, in ogni caso, ricorrere le seguenti condizioni:

            a) la situazione ambientale e socioeconomica non consente di prevedere altre opzioni significativamente migliori sul piano ambientale ed economico;

            b) la garanzia che:

                1) per le acque superficiali venga conseguito il migliore stato ecologico e chimico possibile, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

                2) per le acque sotterranee siano apportate modifiche minime al loro stato di qualità, tenuto conto degli impatti che non potevano ragionevolmente essere evitati per la natura dell'attività umana o dell'inquinamento;

            c) per lo stato del corpo idrico non si verifichi alcun ulteriore deterioramento;

            d) gli obiettivi ambientali meno rigorosi e le relative motivazioni figurano espressamente nel piano di gestione del bacino idrografico e del piano di tutela di cui agli articoli 117 e 121 e tali obiettivi sono rivisti ogni sei anni nell'ambito della revisione di detti piani»;

        c) dopo il comma 10 è aggiunto il seguente:

        «10-bis. Le regioni non violano le disposizioni del presente decreto nei casi in cui:

            a) il mancato raggiungimento del buon stato delle acque sotterranee, del buono stato ecologico delle acque superficiali o, ove pertinente, del buon potenziale ecologico ovvero l'incapacità di impedire il deterioramento del corpo idrico superficiale e sotterraneo sono dovuti a nuove modifiche delle caratteristiche fisiche di un corpo idrico superficiale o ad alterazioni idrogeologiche dei corpi idrici sotterranei;

            b) l'incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale sia dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano purché sussistano le seguenti condizioni:

                1) siano state avviate le misure possibili per mitigare l'impatto negativo sullo stato del corpo idrico;

                2) siano indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni;

                3) le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni di cui alla lettera b) siano di prioritario interesse pubblico ed i vantaggi per l'ambiente e la società, risultanti dal conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, siano inferiori rispetto ai vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni per la salute umana, per il mantenimento della sicurezza umana o per lo sviluppo sostenibile;

                4) per motivi di fattibilità tecnica o di costi sproporzionati, i vantaggi derivanti dalle modifiche o dalle alterazioni del corpo idrico non possano essere conseguiti con altri mezzi che garantiscono soluzioni ambientali migliori».

 

 

Articolo 4.

(Modifiche all'art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di recupero stragiudiziale dei crediti. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 18 luglio 2007 nella causa C-134/05. Procedura di infrazione n. 2001/5171. Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in materia di servizi di sicurezza privati. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 13 dicembre 2007 nella causa C-465/05. Procedura di infrazione n. 2000/4196).

        1. Al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) all'articolo 115 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

        «Per le attività di recupero stragiudiziale dei crediti per conto di terzi non si applica il quarto comma del presente articolo e la licenza del questore abilita allo svolgimento delle attività di recupero senza limiti territoriali, osservate le prescrizioni di legge o di regolamento e quelle disposte dall'autorità.

      Per le attività previste dal sesto comma del presente articolo, l'onere di affissione di cui all'articolo 120 può essere assolto mediante l'esibizione o comunicazione al committente della licenza e delle relative prescrizioni, con la compiuta indicazione delle operazioni consentite e delle relative tariffe.

      Il titolare della licenza è, comunque, tenuto a comunicare preventivamente all'ufficio competente al rilascio della stessa l'elenco dei propri agenti, indicandone il rispettivo ambito territoriale, ed a tenere a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza il registro delle operazioni. I suoi agenti sono tenuti ad esibire copia della licenza ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed a fornire alle persone con cui trattano compiuta informazione della propria qualità e dell'agenzia per la quale operano»;

            b) all'articolo 134, dopo il terzo comma, è inserito il seguente:

        «Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l'institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell'istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l'assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall'articolo 11 del presente testo unico, nonché dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575»;

            c) dopo l'articolo 134 è inserito il seguente:

        «Art. 134-bis. - (Disciplina delle attività autorizzate in altro Stato dell'Unione europea). - 1. Le imprese di vigilanza privata stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea possono stabilirsi nel territorio della Repubblica italiana in presenza dei requisiti, dei presupposti e delle altre condizioni richiesti dalla legge e dal regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, tenuto conto degli adempimenti, degli obblighi e degli oneri già assolti nello Stato di stabilimento, attestati dall'autorità del medesimo Stato o, in mancanza, verificati dal prefetto.

        2. I servizi transfrontalieri e quelli temporanei di vigilanza e custodia da parte di imprese stabilite in un altro Stato membro dell'Unione europea sono svolti alle condizioni e con le modalità indicate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico.

        3. Il Ministro dell'interno è autorizzato a sottoscrivere, in materia di vigilanza privata, accordi di collaborazione con le competenti autorità degli Stati membri dell'Unione europea, per il reciproco riconoscimento dei requisiti, dei presupposti e delle condizioni necessari per lo svolgimento dell'attività, nonché dei provvedimenti amministrativi previsti dai rispettivi ordinamenti»;

            d) all'articolo 135, quinto comma, le parole: «o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa» sono soppresse;

            e) all'articolo 135, il sesto comma è abrogato;

            f) all'articolo 136, il secondo comma è abrogato;

            g) all'articolo 138:

                1) dopo il primo comma è inserito il seguente:

        «Il Ministro dell'interno con proprio decreto, da adottarsi con le modalità individuate nel regolamento per l'esecuzione del presente testo unico, sentite le regioni, provvede all'individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione delle guardie particolari giurate»;

                2) dopo il secondo comma è inserito il seguente:

        «Ai fini dell'approvazione della nomina a guardia particolare giurata di cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea il prefetto tiene conto dei controlli e delle verifiche effettuati nello Stato membro d'origine per lo svolgimento della medesima attività. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 134-bis, comma 3»;

                3) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

        «Salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio».

 

 

Articolo 5.

(Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio pubblico svolto nell'ambito dell'Unione europea. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 26 dicembre 2006 nella causa C-371/04. Procedura di infrazione n. 2002/4888).

        1. Le amministrazioni pubbliche tenute al rispetto del principio di libera circolazione dei lavoratori di cui agli articoli 39 del Trattato che istituisce la Comunità europea e 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, salve più favorevoli previsioni, valutano, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nell'esercizio di un'attività analoga a quella considerata rilevante e svolta in un altro Stato membro, anche in periodi antecedenti all'adesione del medesimo all'Unione europea, o presso organismi dell'Unione europea secondo condizioni di parità rispetto a quelle maturate nell'ambito dell'ordinamento italiano. Sono inapplicabili le disposizioni normative e le clausole dei contratti collettivi contrastanti con il presente comma. Ai fini dell'accesso rimane fermo quanto previsto dall'articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

 

Articolo 6.

(Disposizioni transitorie in materia di piani di adeguamento di cui all'articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante attuazione della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti. Modifiche al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. Procedura di infrazione n. 2003/2077 - esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia resa in data 26 aprile 2007 nella causa C-135/05. Procedura di infrazione 2003/4506 - causa C-442/06. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2006/4482).

        1. All'articolo 17 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, dopo il comma 4, sono inseriti i seguenti:

        «4-bis. Il provvedimento con cui l'autorità competente approva i piani di adeguamento, presentati ai sensi del comma 3, per le discariche di rifiuti pericolosi e per quelle autorizzate dopo la data del 16 luglio 2001 e fino al 23 marzo 2003, deve fissare un termine per l'ultimazione dei lavori di adeguamento, che non può essere successivo al 1o ottobre 2008.

        4-ter. Nel caso in cui, per le discariche di cui al comma 1, il provvedimento di approvazione del piano di adeguamento di cui al  comma 4, stabilisca un termine finale per l'ultimazione dei lavori di adeguamento successivo al 1o ottobre 2008, tale termine si intende anticipato al 1o ottobre 2008».

        2. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, la lettera c) è soppressa.

 

 

Articolo 7.

(Modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, e successive modificazioni, recante attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 24 maggio 2007 nella causa C-394/05. Procedura di infrazione n. 2003/2204).

        1. Al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) all'articolo 1, comma 2, dopo le parole: «di cui all'articolo 5, commi 1 e 3,» sono aggiunte le seguenti: «all'articolo 5, comma 15,»;

            b) all'articolo 5:

                1) al comma 3 dopo le parole: «di cui al comma 2,» sono inserite le seguenti: «e, ove sia tecnicamente fattibile, i pezzi usati allo stato di rifiuto, derivanti dalle riparazioni dei veicoli, ad eccezione di quelli per cui è previsto dalla legge un consorzio obbligatorio di raccolta,»;

                2) al comma 15 le parole: «ad un operatore autorizzato alla raccolta di cui all'articolo 3, comma 1, lettera u),» sono sostituite dalle seguenti: «ad un centro di raccolta di cui all'articolo 5, comma 3»;

            c) all'articolo 10, comma 1, le parole: «concordate con i gestori degli impianti» sono sostituite dalle seguenti: «richieste dai gestori degli impianti».

 

 

Articolo 8.

(Modifiche ai decreti legislativi del 26 maggio 2004, n. 153 e n. 154, in materia di pesca ed alla legge 14 luglio 1965, n. 963, in materia di pesca marittima. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 1992/5006. Procedura di infrazione n. 2001/2118 - esecuzione della sentenza della Corte di giustizia resa in data 7 dicembre 2006 nella causa C-161/05. Parere motivato nell'ambito della procedura di infrazione n. 2004/2225. Messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2007/2284).

        1. L'articolo 6 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153, è sostituito dal seguente:

        «Art. 6. - (Tutela di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima). - 1. Sono vietati lo sbarco, il trasporto, il trasbordo e la commercializzazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali applicabili.

        2. Non è sanzionabile la cattura accidentale o accessoria degli esemplari di cui al comma 1, realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali, autorizzati dalla licenza di pesca. Gli esemplari eventualmente catturati di dimensioni inferiori alla taglia minima devono essere rigettati in mare.

        3. La commercializzazione e la somministrazione di esemplari di specie di cui al comma 1 ovvero di cui è vietata la cattura è sanzionata con la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni».

        2. All'articolo 11 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154, dopo il comma 2 è inserito il seguente:

        «2-bis. L'imprenditore ittico che viola le disposizioni di cui al comma 2 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 3000 euro. Tale sanzione è triplicata nel caso di violazione di dichiarazione concernente le catture e gli sbarchi di specie ittiche tutelate dai piani di protezione degli stock ittici o pescate fuori dalle acque mediterranee».

        3. Alla legge 14 luglio 1965, n. 963, sono apportate le seguenti modificazioni:

            a) all'articolo 15, comma 1, lettera b), dopo la parola: «detenere» sono inserite le seguenti: «attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente e detenere»;

            b) l'articolo 26 è sostituito dal seguente:

        «Art. 26. - (Sanzioni amministrative). - 1. Chiunque contravvenga ai divieti posti dall'articolo 15, comma 1, lettere a) e b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 6.000 euro.

        2. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 3.000 euro chiunque eserciti la pesca marittima senza la preventiva iscrizione nel registro dei pescatori marittimi.

        3. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 3.000 euro chiunque violi le norme del regolamento per l'esercizio della pesca sportiva e subacquea.

        4. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro chiunque venda o commerci i prodotti della pesca esercitata a scopo ricreativo o sportivo.

        5. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 2.000 euro chiunque ceda un fucile subacqueo o altro attrezzo simile a persona minore degli anni sedici; alla stessa sanzione soggiace chi affida un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, qualora questa ne faccia uso.

        6. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque non consenta o impedisca l'ispezione da parte degli addetti alla vigilanza sulla pesca, prevista dal precedente articolo 23.

        7. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro il comandante di una unità da pesca che navighi con l'apparecchiatura blue box, di cui al regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, manomessa o alterata. Alla medesima sanzione è soggetto chiunque ponga in essere atti diretti alla modifica o alla interruzione del segnale trasmesso dal sistema VMS o violi le norme che ne disciplinano il corretto funzionamento. Si applica la sanzione accessoria di cui all'articolo 27, comma 1, lettera c-bis).

        8. È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 12.000 euro chiunque violi le norme relative ai piani di ricostituzione di specie ittiche previste da normative nazionali e comunitarie»;

            c) all'articolo 27, comma 1:

                1) alla lettera b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «gli attrezzi confiscati non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente sono distrutti e le spese relative alla custodia e demolizione sono poste a carico del contravventore;»;

                2) dopo la lettera c), è inserita la seguente:

            «c-bis) la sospensione della licenza di pesca, in caso di recidiva della violazione, per un periodo compreso tra 10 giorni e 30 giorni».

 

 

Articolo 9.

(Trasferimento alla Federazione russa del diritto di proprietà sul complesso architettonico della Chiesa Russa Ortodossa di Bari).

        1. Nell'ambito degli accordi bilaterali tra la Repubblica italiana e la Federazione russa ed in particolare del trattato di amicizia e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Federazione russa, firmato a Mosca il 14 ottobre 1994 e ratificato ai sensi della legge 8 febbraio 1996, n. 69, il complesso architettonico della «Chiesa Russa Ortodossa di Bari», previo trasferimento dall'ente proprietario allo Stato, è immediatamente trasferito in proprietà a titolo gratuito alla Federazione russa.

        2. Alla consegna dell'immobile di cui al comma 1 alla Federazione russa provvede il Ministero dell'economia e delle finanze, per il tramite dell'Agenzia del demanio, con apposito verbale, che costituisce titolo per la gratuita trascrizione e voltura.

 

 

Articolo 10.

(Disposizioni concernenti le strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri).

        1. La struttura di missione istituita presso il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 28 luglio 2006, nonché le altre strutture di missione operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, decadono, ove non confermate, decorsi 30 giorni dal giuramento del nuovo Governo.

 

 

Articolo 11.

(Disposizioni finanziarie).

        1. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 5, valutato in euro 7.023.000 per l'anno 2008, euro 12.083.000 per l'anno 2009 ed euro 13.946.000 a decorrere dall'anno 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo utilizzando i seguenti accantonamenti:

 

Accantonamenti

2008

2009

2010

 

(in migliaia di euro)

Ministero della giustizia

2.273

5.981

6.488

Ministero degli affari esteri

1.136

3.427

3.145

Ministero della pubblica istruzione

2.014

-

-

Ministero per i beni e le attività culturali

314

1.021

2.458

Ministero dei trasporti

70

654

855

Ministero dell'università e della ricerca

1.000

1.000

1.000

Ministero della solidarietà sociale

216

-

-

 

        2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

        3. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri recati dal presente decreto, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati di apposite relazioni illustrative.

 

 

Articolo 12.

(Entrata in vigore).

        1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

        Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

        Dato a Roma, addì 8 aprile 2008.

 

 

NAPOLITANO

 

Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri. 

Bonino, Ministro per le politiche europee.

Scotti, Ministro della giustizia.

D'Alema, Ministro degli affari esteri.

Padoa Schioppa, Ministro dell'economia e delle finanze.

Amato, Ministro dell'interno.

Pecoraro Scanio, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Nicolais, Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione.

De Castro, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

Turco, Ministro della salute.

Damiano, Ministro del lavoro e della previdenza sociale.

Lanzillotta, Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali.

 

Visto, il Guardasigilli: Scotti.

 

 


 



[1]    Si osserva che l'articolo 93 del trattato attribuisce alla Commissione la competenza specifica a decidere in merito alla compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune quando si tratti di esaminare i regimi esistenti, di decidere su aiuti da istituire o modificare e di intervenire in caso di mancato rispetto delle sue decisioni o dell'obbligo di notifica.

[2]  Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999 recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE.

[3]    Regolamento di procedura della Corte di giustizia delle Comunità europee, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. L 176 del 4 luglio 1991.

[4]    Se il giudice nazionale non ha presentato alcuna domanda diretta all’adozione del procedimento d'urgenza, il presidente della Corte, qualora l'applicazione di tale procedimento sembri prima facie imporsi, può chiedere alla sezione di seguito indicata di verificare la necessità di sottoporre il rinvio al detto procedimento.

[5]    Legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.

[6]    In deroga a questo principio, l’art. 23 dispone che dopo la precisazione delle conclusioni, il giudice possa, se necessario, concedere alle parti un termine non superiore a 10 giorni per il deposito di note difensive e rinvia la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine per la discussione e la pronuncia della sentenza.

[7]    D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, “Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413”.

[8]    Si ricorda altresì che, ai sensi dell’articolo 47 del d. lgs. n. 546 del 1992, in via ordinaria il presidente della commissione tributaria competente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, con comunicazione alle parti dieci giorni liberi prima dell’udienza camerale. Tuttavia, ove ricorrano presupposti di eccezionale urgenza e previa delibazione del merito, può essere disposta la provvisoria sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, fino alla pronuncia del collegio.

La sospensione può riguardare l’intero atto, oppure essere parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia.L’accoglimento dell’istanza di sospensione imprime un’accelerazione al processo tributario; ove essa sia accordata, la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia.  Il provvedimento che concede la sospensione dell’atto impugnato è revocabile o modificabile su istanza di parte, ove si verifichi un mutamento delle circostanze sottese alla pronuncia stessa.

[9]    Il d.l. n. 59 del 2008 è entrato in vigore il 9 aprile 2008, giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

[10]   Decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, recante disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali e convertito in legge, con modificazioni dall’art. 1, L. 6 aprile 2007, n. 46.

[11] La procedura di infrazione nei confronti di uno Stato membro è articolata in diverse fasi, secondo quanto disposto dagli articoli 226 e 228 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE). In particolare, l’articolo 226 prevede che la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù di detto Trattato, possa porlo, attraverso l’invio di una lettera di messa in mora, in condizione di presentare le sue osservazioni. La procedura d’infrazione può proseguire con l’invio di un parere motivato, che rappresenta il secondo e ultimo avvertimento scritto, prima che la Commissione proceda al deferimento formale dello Stato membro davanti alla Corte di giustizia, affinché accerti la sussistenza di una violazione del diritto comunitario. In base all’articolo 228 del TCE, qualora la Corte di giustizia riconosca tale violazione, lo Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Nel caso in cui lo Stato si sia reso inottemperante alla sentenza della Corte, la Commissione invia una lettera di messa in mora, nella quale esprime raccomandazioni volte a porre fine all’illecito e invita lo Stato membro in questione a presentare le sue osservazioni. Qualora  lo Stato membro persista nell’inottemperanza, la procedura prosegue con l’invio, da parte della Commissione, di un parere motivato, nel quale sono indicati precisamente i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza della Corte di giustizia. Nel caso in cui lo Stato membro non rispetti il termine fissato dalla Commissione per l’adozione dei  provvedimenti di esecuzione della sentenza, la Commissione ha infine la facoltà diadire la Corte di giustizia, precisando nel ricorso l'importo della somma forfetaria o della penalità. La Corte di giustizia, qualora accolga il ricorso della Commissione, pronuncia una sentenza di condanna nei confronti dello Stato medesimo.

[12] Sentenza Scott del 5 ottobre 2006, causa C-232/05.

[13] Al fine di aumentare la consapevolezza dei principi della politica di recupero degli aiuti illegali e incompatibili, e di rendere più chiara la prassi per una sua corretta attuazione, la Commissione ha recentemente approvato la Comunicazione “Verso l'esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili” (pubblicata in GUUE n. C 272 del 15 novembre 2007) in cui, tra l’altro, si ribadisce l’importanza di un corretto funzionamento della disciplina degli aiuti di Stato per garantire che nel mercato interno continuino a vigere condizioni di parità in tutti i settori economici in Europa.

[14] Secondo quanto indicato nella lettera delle autorità italiane alla Commissione del 27 marzo 2007 e nella risposta del 21 settembre 2008 alla lettera di messa in mora inviata dalla Commissione il 19 luglio 2007.

[15] COM (2007)128.

[16]             SEC(2007) 362.

[17]            Causa C-85/05.

[18]   Secondo quanto indicato dalla Commissione nel parere motivato, risultano tuttora non trasposti i paragrafi 4, lettera c), 5, lettera a) e b) e 7 dell’articolo 4.

[19]    R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. (T.U.L.P.S.).

[20]   Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 18 luglio 2007, causa C-134/2005 (Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana). Per il contenuto della sentenza v. subito infra.

[21]    Art. 205, primo co., R.D. 6 maggio 1940, n. 635, Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza. Al riguardo v. anche il sito ufficiale della Polizia di Stato, pagina dedicata alle Licenze di agenzie di affari: http://www.poliziadistato.it/pds/ps/licenze/agenzie_affari.html.

[22]   Art. 205, secondo co., R.D. 6 maggio 1940, n. 635,

[23]   Art. 3 della L. 21 marzo 1958, n. 253, Disciplina della professione di mediatore.

[24]   D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[25]   Art. 219 R.D. 6 maggio 1940, n. 635. Una disciplina speciale è prevista per il registro che deve essere tenuto dalle agenzie di prestiti su pegno dall’art. 218 del regolamento.

[26]   Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 13 dicembre 2007, causa C-465/2005 (Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana). Per il contenuto della sentenza v. subito infra.

[27]      R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952, Disciplina del servizio delle guardie particolari giurate

[28]    R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144, Disciplina degli istituti di vigilanza privata.

[29]    Camera dei deputati – Allegato B al resoconto della seduta n. 152 del 7 maggio 2007. Risposta scritta del Viceministro dell'interno, Marco Minniti, all’interrogazione 4-00223 dell’on. Buontempo.

[30]    D .Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.

[31]   L’art.  2203 c.c. definisce come institore il soggetto preposto dal titolare di un'impresa commerciale all'esercizio dell’impresa stessa, ovvero all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa stessa.

[32]    L. 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.

[33]   Il secondo comma dell’art. 11 prevedeva anche la possibilità di negare l’autorizzazione di polizia a chi non può provare la sua buona condotta, ma tale fattispecie è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte Costituzionale 16 dicembre 1993, n. 440.

[34]   Così come modificata dall'art. 18 della L. 26 aprile 1990, n. 86, Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

[35]   in tal senso v. Cass. penale, sezione VI, sentenza  n. 3224 del 21 marzo 1992. Analogamente, v. anche Cass. penale, sezione I, sentenza n. 8532 del 19 settembre 1996.

[36]   V. Cass. penale, sezione I, sentenza n. 5527 del 20 maggio 1991.

[37]   L. 13 dicembre 1989, n. 401, Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive.

[38]   D.L. 17 agosto 2005, n. 162, Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 ottobre 2005, n. 210.

[39]   Intervento del sen. Sinisi. Resoconto della 7ª seduta (mercoledì 28 febbraio 2007) delle Commissioni riunite 1ª(Affari Costituzionali) e2ª(Giustizia).

[40]   D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2007, n. 41.

[41]   Resoconto delle Commissioni riunite II (Giustizia) e VII (Cultura, scienza e istruzione).

[42]   L’o.d.g. 9/2340/2 (Pescante) specificamente impegna il Governo ad adottare tutte le iniziative di propria competenza volte a: qualificare giuridicamente il personale addetto agli impianti sportivi di cui all’articolo 2-ter come «incaricati di pubblico servizio», denominandoli sul modello inglese: steward; prevedere per questo personale specifici requisiti e criteri di selezione fisica e psico-attitudinale rigorosi e finalizzati ai delicati compiti che dovrà svolgere; prevedere forme adeguate di tutela giuridica contro reati commessi nei loro confronti; affidare agli steward funzioni specifiche di collaborazione con le forze dell’ordine per garantire la sicurezza degli spettatori e contrastare episodi di violenza negli stadi contro persone e cose.

[43] Si ricorda che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenza 13 febbraio 2003, in causa C-131/01), gli articoli 43 e 49 TCE prescriverebbero non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisca legittimamente servizi analoghi.

[44] Vedi nota n.1

[45]   “Regolamento del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità”.

[46]   Si fa presente che la rubrica dell’art. 5 del decreto legge in esame fa riferimento alla diversa data del 26 dicembre 2006.

[47]   Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio del 15 ottobre 1968 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità. L’articolo 7, paragrafo 1, in particolare, dispone che “il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato”.

[48]            Procedura d’infrazione 2003/2077, causa C-135/05. Vi è confluita anche la procedura d’infrazione 2002/2133 ‘Discarica di rifiuti definita La Marca, località Sardone di Giffoni Valle Piana (Salerno)’.

[49]            Procedura d’infrazione 2003/4506. Causa C-442/06.

[50] 2006/4482

[51] La direttiva 2000/53/CE avrebbe dovuto essere attuata entro il 21 aprile 2002, circostanza che ha determinato l’avvio di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2002/0168) nei confronti del nostro Paese.

[52] A. Merlin, Con il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, veicoli fuori uso smaltiti correttamente, in “Ambiente e sicurezza” n. 19/2003.

[53] Le percentuali fissate sono tutte superiori all’80% del peso medio per veicolo e per anno.

[54]            Procedura d’infrazione 2003/2204. Causa C-394/05.

[55]   D.Lgs. 26 maggio 2004, n. 153, Attuazione della L. 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima.

[56]   26 maggio 2004, n. 154, Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38.

[57]   La relazione illustrativa precisa che tali piani riguardano attualmente il tonno rosso.

[58]   Legge 14 luglio 1965, n. 963 ,  Disciplina della pesca marittima.

[59] Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

[60]    All’inizio della legislatura risultava in essere un’altra struttura di missione, quella per i Giochi olimpici Torino 2006, la cui attività è terminata il 28 febbraio 2007.

[61]   Legge 5 agosto 1978, n. 468, “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”.