Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di professioni dei beni culturali A.C. 1614 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 1614/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 724
Data: 09/11/2012
Descrittori:
BENI CULTURALI ED ARTISTICI   CODICE E CODIFICAZIONI
LIBERI PROFESSIONISTI   TUTELA DEL PAESAGGIO
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione

SIWEB

 

9 novembre 2012

 

n. 724/0

 

Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di professioni dei beni culturali

A.C. 1614

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

 

Numero del progetto di legge

1614

Titolo

Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professioni dei beni culturali

Iniziativa

Parlamentare

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3

Date:

 

presentazione o trasmissione alla Camera

5 agosto 2008

assegnazione

27 ottobre 2008

Commissione competente

VII Cultura

Sede

Referente

Pareri previsti

I, II, V, X, XIV e Commissione parlamentare per le questioni regionali

 


Contenuto

La proposta di legge novella il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.lgs. 42/2004, attraverso l’inserimento di due nuovi articoli.

Essa reca disposizioni in materia di esercizio della professione dei soggetti impegnati nelle attività di tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione e fruizione dei beni culturali, a tal fine prevedendo (in via transitoria) l’istituzione di registri nazionali ai quali sono tenuti ad iscriversi i professionisti idonei allo svolgimento degli interventi.

La proposta verte, dunque, nell’ambito della disciplina delle professioni non organizzate in ordini o collegi affrontato, in termini generali e senza riferimento a specifiche professioni, dall’A.S. 3270, già approvato dalla Camera (A.C. 1934 e abb.).

La relazione illustrativa evidenzia che si intende intervenire nel settore delle professionalità degli operatori privati, in un’ottica “di tutela dei consumatori (che in questo caso equivalgono all’intera collettività nazionale)”. La specifica relativa ai soli operatori privati non è peraltro presente nell’articolato.

Si tratta di un aspetto da chiarire, in relazione a quanto si esporrà infra.

Preliminarmente si ricorda che, in materia di professioni dei beni culturali, il Codice disciplina solo le figure di restauratore di beni culturalie di collaboratore restauratore di beni culturali (art. 29 e, per la fase transitoria, art. 182).

In particolare, l’art. 29ha previsto che, fermo quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di opere su beni architettonici, gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva dai restauratori di beni culturali. Ha, inoltre, affidato ad un regolamento ministeriale, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, la definizione dei profili di competenza dei restauratori e degli “altri operatori che svolgono attivitàcomplementari al restauro o altre attività di conservazione[1] dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici”[2] e ha disposto che la formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione è assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa regionale. I relativi corsi si adeguano a criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni.

L’art. 182 reca, invece, la disciplina transitoria:in particolare, la qualifica di restauratore è attribuita - previa verifica del possesso dei requisiti indicati (co. 1), ovvero previo superamento di una prova di idoneità con valore di esame di stato abilitante (co. 1-bis) - con provvedimenti del MIBAC che danno luogo all’inserimento in un apposito elenco.

Si tratta di un argomento sul quale al Senato è in corso l’esame di due proposte di legge di modifica (v. infra).

L’art. 1 della pdl inserisce nella parte prima del Codice, recante Disposizioni generali (artt. 1-9), l’art. 9-bis. Esso dispone che gli interventi di tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione e fruizione dei beni culturali[3], ma anche quelli relativi alla loro valorizzazione (infatti, benché non esplicitamente citati, il riferimento ai titoli I e II della parte seconda del Codice relativi, rispettivamente, a “Tutela” e “Fruizione e valorizzazione”, indubbiamente li include[4]), ”da qualunque soggetto realizzati”, sono affidati, secondo le rispettive competenze, alla responsabilità o alla diretta attuazionedi archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi o storici dell’arte “in possesso di adeguata formazione e professionalità”, nonché alla responsabilità o alla diretta attuazione “degli operatori delle altre professioni già regolamentate”.

 

Occorrerebbe esplicitare il significato dell’espressione “da qualunque soggetto realizzati”, dal momento che la possibilità che gli interventi possano non essere attuati direttamentedai professionisti citati (ma che, realizzati da altri, a costoro ne sia affidata comunque la responsabilità) è già contemplata dalla medesima disposizione.

Inoltre, sembrerebbe opportuno esplicitare a quali professioni già regolamentate si faccia riferimento.

Al riguardo si ricorda che l’art. 4, co. 1, lett. a), del D.lgs. 206/2007 - di attuazione della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali - definisce, ai soli fini del decreto medesimo, ossia del mutuo riconoscimento delle qualifiche, “professione regolamentata” “l'attività, o l'insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità”.

Definizione più stringente è fornita dall’art. 1 del regolamento di riforma degli ordinamenti professionali (DPR 137/2012), che intende quale “professione regolamentata” “l’attività, o l’insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi[5]subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità”.

 

In ordine al possesso di “adeguata formazione e professionalità” di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi o storici dell’arte, è l’art. 2 a chiarire il concetto.

L’art. 2, infatti, introduce nella parte quinta del Codice – recante, fra l’altro, disposizioni transitorie – l’art. 182-bis: esso prevede – nella fase transitoria che precede il “riordino delle classi di laurea” e la “definizione dei livelli minimi di qualificazione per l’accesso alle professioni” – l’istituzione presso il Mibac di registri nazionali dei professionisti archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi e storici dell’arte idonei allo svolgimento degli interventi di cui all’art. 9-bis: letteralmente, peraltro, i registri hanno “funzione ricognitiva” (co. 1 dell’art. 182-bis).

Al di là della lettera, l’iscrizione nei registri nazionali appare dunque condizione di esercizio della professione: si introduce, così, anche se limitandola alla fase transitoria, una riserva di attività in favore dei soli professionisti iscritti (si veda, invece, infra, quanto prevede l’A.S. 3270).

Appare, dunque, contraddetta la natura ricognitiva dei registri.

L’individuazione delle modalità e dei requisiti di iscrizione ai registri nazionali e delle relative modalità di tenuta è demandata ad un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e la Conferenza Stato-regioni, e in collaborazione (tanto per l’individuazione dei requisiti di iscrizione, quanto per la tenuta dei registri) con le relative associazioni professionali rappresentative a livello nazionale (v. infra).

Si stabilisce peraltro sin d’ora che l’iscrizione nei registri avviene previa certificazione professionale rilasciata dalle stesse associazioni. Tale attestazione, pertanto, costituisce requisito necessarioper l’iscrizione (co. 2 dell’art. 182-bis).

Occorre valutare l’opportunità di affidare il rilascio della certificazione ad associazioni di natura privata, dal momento che la tutela dei beni culturali - come meglio si esporrà infra - è ricollegabile a interessi generali.

 

In materia si ricorda, preliminarmente, che, per il diritto europeo, i professionisti sono, al pari delle imprese, soggetti alle regole di concorrenza (dettate dall’art. 101 del Trattato sull’Unione europea, ex art. 81 del TCE)[6]. L’UE è dunque particolarmente attenta ai c.d. diritti esclusivi, ovvero a tutte le regolamentazioni che riservino alcune attività a una ristretta categoria di professionisti.

In particolare, l’art. 16 della “direttiva servizi (n. 2006/123/CE) prevede, fra l’altro, che gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:a)non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell'ubicazione della sede legale;b)necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente; c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo. Il punto (56) dei considerando della direttiva, peraltro, evidenzia che “motivi imperativi di interesse generale” – tra i quali rientrano, in particolare, per quanto qui interessa, la tutela dei consumatori e dei destinatari di servizi, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale (art. 4 della direttiva) – “possono giustificare l'applicazione di regimi di autorizzazione e altre restrizioni”, fatto salvo il rispetto dei citati principi di necessità e proporzionalità[7].

In maniera analoga dispone il D.lgs. n. 59 del 2010, emanatoin attuazione delladirettiva citata. In particolare – ribadita all’art. 8 la definizione di “motivi imperativi d'interesse generale” recata dall’art. 4 della direttiva – gli artt. 14 e 15prevedono che, fatte salve le disposizioni istitutive relative ad ordini, collegi e albi professionali, regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione. Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi devono essere, tra l’altro: non discriminatorie; commisurate all'obiettivo di interesse generale; chiare ed inequivocabili; oggettive; rese pubbliche preventivamente; trasparenti e accessibili[8].

 

In base a quanto esposto occorre, dunque, valutare se, nel caso specifico, le condizioni alle quali è subordinato l’esercizio delle citate professioni siano commisurate all’obiettivo di interesse generale. La valutazione è necessaria soprattutto alla luce del fatto che, come ante anticipato, l’articolato non esplicita che ci si riferisce esclusivamente ai professionisti privati, e non anche ai dipendenti pubblici (in quanto già vincitori di pubblici concorsi banditi dalla P.A.) con la qualifica di bibliotecari, archivisti o archeologi.

Si segnala, inoltre, una certa indeterminatezza del riferimento alla fase transitoria - collegata, fra l’altro, alla definizione dei livelli minimi di qualificazione - anche in considerazione dell’attuale sussistenza di percorsi universitari e di scuole di specializzazione per gli ambiti in questione[9].

Infine, sembrerebbe opportuno un coordinamento con quanto dispone il testo del già citato A.S. 3270.

In particolare, il DDL - all’esame della 10ª Commissione del Senato -, oltre a prevedere la possibilità per i professionisti di costituire associazioni professionali su base privatistica con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza, prevede un sistema di attestazione professionale che le associazioni possono rilasciare ai propri iscritti, al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi professionali. Il testo specifica che il possesso dell’attestazione non rappresenta requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale.

Con riferimento alle associazioni professionali rappresentative a livello nazionale, si evidenzia che il DM 28 aprile 2008 – al quale si fa riferimento in un passaggio del co. 2del nuovo art. 182-bis (mentre in altro passaggio dello stesso comma si fa riferimento all’art. 26 del D.lgs. 206/2007) – è stato annullato (v. infra). Pertanto, non è corretto riferirsi allo stesso.

 

Al riguardo,si ricorda che l’art. 26 del D.lgs n. 206/2007 ha disposto che, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni – definite dall’art. 4, co. 1, lett. n), quali “l'insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione[10]” – da sottoporre alla Commissione europea, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie - convoca conferenze di servizi cui partecipa l’autorità competente (per le attività afferenti al settore del restauro e della manutenzione dei beni culturali, il MIBAC, ex art. 5, co. 1, lett. i)). Sulla ipotesi di piattaforma elaborata vengono sentite, in particolare – se si tratta di professioni regolamentate (in mancanza di ordini, collegi o albi), se si tratta di professioni non regolamentate o se si tratta di attività nell’area dei servizi non intellettuali –, le associazioni rappresentative a livello nazionale. Esse sono sentite anche ai fini dell'elaborazione di piattaforme comuni proposte da altri Stati membri e in ogni altro caso in cui a livello europeo deve essere espressa la posizione italiana in materia di piattaforma comune.

Sempre l’art. 26 ha indicato i requisiti da considerare per valutare la rappresentatività a livello nazionaledelle associazioni delle professioni non regolamentate. Le associazioni in possesso dei prescritti requisiti sono individuate, previo parere del CNEL, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per le politiche europee, e del Ministro competente per materia.

Successivamente è intervenuto il decreto del Ministro della giustizia 28 aprile 2008 che ha integrato il disposto dello stesso D.lgs. con ulteriori requisiti.

L’adozione del decreto ha generato un contenzioso davanti al giudice amministrativo, che ha portato al suo annullamento.

In particolare, il TAR del Lazio,consentenze nn. 3159 e 3160 dell’11 febbraio 2009, ha annullato il decreto rilevando, in particolare, che esso “non si è limitato a chiarire le modalità per la individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello nazionale delle associazioni delle professioni regolamentate, ove non siano esistenti ordini, albi o collegi, delle professioni non regolamentate o delle attività nell’area dei servizi non intellettuali, ma ha integrato una disciplina legislativa già di per sé autosufficiente”. Inoltre, il TAR ha rilevato che il decreto appare atto normativo regolamentare emanato in assenza della previsione legislativa richiesta dall’art. 17, co. 3, L. 400/1988, atteso che l’art. 26 del D.lgs. 207/2006 non ha conferito tale potere.

 

L’art. 3, infine, dispone l’immediata entrata in vigore della legge.

Relazioni allegate

La proposta di legge è corredata di relazione illustrativa.

Necessità dell’intervento con legge

L’intervento con legge si rende necessario poiché si novella un decreto legislativo, dunque una fonte normativa primaria.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina recata dalla pdl è riconducibile alle materie beni culturali - riguardando sia la tutela che la valorizzazione degli stessi - e professioni.

L’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. ha annoverato la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (a sua volta, l’art. 116, terzo comma, Cost. ha previsto la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia), mentre l’art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali tra le materie di legislazione concorrente. Conseguentemente, spetta alla legislazione dello Stato determinare i principi fondamentali, in conformità con i quali le regioni potranno esercitare la propria potestà legislativa.

Inoltre, l’art. 118, terzo comma, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni.

Con riferimento al riparto di competenze sopra delineato, la Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 478/2002 e 307/2004, , ha affermato che lo sviluppo della cultura corrisponde a finalità di interesse generale, “il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 Cost), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni”.

Successivamente all’adozione del Codice, la Corte, nella sentenza n. 232/2005, ha richiamato, ai fini del riparto di competenze, le disposizioni in esso contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, c. 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, c. 3). Nelle materie in questione, quindi, la Corte ribadisce la coesistenza di competenze normative.

Anche la disciplina delle professioni rientra nell’ambito della competenza legislativa concorrente.

In proposito si ricorda che, in base alla giurisprudenza costituzionale, la potestà legislativa regionale in materia deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

L’art. 9 della Costituzione prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Si rinvia a quanto esposto nel par. Contenuto.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Facendo seguito ad un Libro verde del 22 giugno 2011, il 19 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione (COM(2011)883) della direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

Con l’obiettivo, in particolare, di introdurre una maggiore automaticità nel riconoscimento delle qualifiche, la proposta prevede la definizione di un quadro comune di formazione o verifiche professionali comuni, che dovrebbe sostituire lo strumento delle piattaforme comuni previsto dalla direttiva vigente.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo il 5 febbraio 2013.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

L’art. 2 prevede l’intervento di un decreto ministeriale (per l’oggetto, si veda par. Contenuto).

Collegamento con lavori legislativi in corso

Come anticipato nel paragrafo Contenuto, la Camera ha approvato, il 17 aprile 2012, un testo unificato in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi, ora all’esame della 10ª Commissione del Senato (A.S. 3270 e abb.).

Inoltre, la 7a Commissione del Senato sta esaminando gli AA.SS. 2997, concernente “Modifica della disciplina transitoria del conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali e di collaboratore restauratore di beni culturali” e 2794, concernente “Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professioni dei beni culturali”. In particolare, l’art. 1 di quest’ultimo è pressoché identico agli artt. 1 e 2della pdl in esame. Occorre, peraltro, evidenziare che nella seduta del 3 agosto 2012 la Commissione ha adottato quale testo base il nuovo testo unificato presentato dai relatori nella seduta del 2 agosto 2012, che affronta solo la questione relativa ai restauratori16.

Occorre in ogni caso valutare se non si debbano attivare le intese con il Presidente del Senato di cui all’art. 78 del Regolamento della Camera.

__________________________________

16 http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=677227.

 


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[1]    In base allo stesso art. 29, la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto. Per manutenzione si intende il complesso di attività ed interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento della sua integrità, efficienza funzionale ed identità. Per restauro si intende l'intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate alla sua integrità materiale e al suo recupero, nonché alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. Nel caso di beni immobili situati nelle zone dichiarate a rischio sismico, il restauro comprende l'intervento di miglioramento strutturale.

[2]    In attuazione, è intervenuto il DM n. 86/2009, nella cui premessa si evidenzia che le professionalità afferenti a specifiche aree disciplinari con competenze storico-critiche – quali lo storico dell'arte,l'archeologo, l'architetto, l'archivista, il bibliotecario, l'etnoantropologo, il paleontologo –esercitano le rispettive competenze durante l'intero iter di svolgimento degli interventi conservativi.

[3]    L’art. 10, co. 1, del Codice definisce beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico o a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (c.d. interesse culturale) Il co. 2 considera, inoltre, “beni culturali”, laddove siano di appartenenza pubblica: le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi; gli archivi e i singoli documenti; le raccolte librarie delle biblioteche. Infine, il co. 3 ricomprende nella categoria dei “beni culturali” i beni a chiunque appartenenti, quando sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13.

[4]    In base all’art. 3 del Codice, la tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.

In base all’art. 6, la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.

[5]    E non anche in albi, registri o elenchi tenuti da amministrazioni ed enti pubblici.

[6]   Il diritto comunitario non conosce deroghe al principio secondo cui, ai fini antitrust, l'attività professionale, nella misura in cui ha una valenza economica, è attività di impresa, quale che sia la professione intellettuale coinvolta. Numerose sono le decisioni della Corte di Giustizia in tal senso: Spedizionieri doganali italiani (CGE,18 giugno 1998, C-35/96), caso Poucet et Pistre sul settore dei servizi di assicurazione sociale (CGE, 17 febbraio 1993, cause riunite 159 e 160/91), professione forense (Wouters, 19 febbraio 2002, C-309/99, punti 44-49, Arduino, 19 febbraio 2002, C-35/99).

Analoga posizione ha assunto fin dal 1997 l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella delibera di avvio dell’indagine conoscitiva sulle libere professioni.

Il T.A.R. del Lazio (28 gennaio 2000, n. 466) ha riaffermato la sovrapponibilità della nozione di impresa ai professionisti intellettuali.

[7]    In materia si è pronunciata anche la Corte di giustizia UE. Fra le altre, si veda Sentenza 19 maggio 2009 (causa C-531/06) con la quale la Corte è stata chiamata a giudicare della conformità con il diritto europeo della norma italiana che riserva ai soli farmacisti il diritto di gestire una farmacia. Applicando il principio di proporzionalità la Corte ha affermato che «uno Stato membro può stabilire che la gestione di una farmacia da parte di un non farmacista rappresenti un rischio per la sanità pubblica, in particolare per la sicurezza e la qualità della distribuzione dei medicinali al dettaglio».

[8]    Il D.lgs. stabilisce anche che “autorità competente” al rilascio dei titoli autorizzatori sono considerati, oltre alle amministrazioni statali, regionali o locali, anche gli altri soggetti responsabili del controllo o della disciplina delle attività di servizi, inclusi ordini, collegi e albi professionali (art. 8).

[9]    In base ai DD.MM. 16.3.2007, di definizione delle classi di laurea e di laurea magistrale, come modificati dal D.M. 28.12.2010, risultano istituite, in particolare, le seguenti classi: L-1 Classe delle lauree in Beni culturali; L-43 Classe delle lauree in Diagnostica per la conservazione dei beni culturali; LM-2 Classe delle lauree magistrali in Archeologia; LM-5Classe delle lauree magistrali in Archivistica e Biblioteconomia; LM-10 Classe delle lauree magistrali in Conservazione dei beni architettonici e ambientali; LM-11 Classe delle lauree magistrali in Scienze per la conservazione dei beni culturali; LM-89 Classe delle lauree magistrali in Storia dell’arte. Infine, il D.M. 2.3.2011 ha definito la classe di laurea magistrale a ciclo unico LMR/02 in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali.

Con D.M. 31.1.2006 sono state definite 8 tipologie di Scuole di specializzazione nel settore della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi dell’art. 6 della L. n. 29/2001. Esse riguardano i beni archeologici;i beni architettonici e del paesaggio; i beni storici artistici; i beni archivistici e librari; i beni demoetnoantropologici; i beni musicali; i beni scientifici e tecnologici; i beni naturali e territoriali.

[10]   “Le differenze sostanziali sono individuate tramite il confronto tra la durata ed i contenuti della formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione. Le differenze nei contenuti della formazione possono risultare dalle differenze sostanziali nel campo di applicazione delle attività professionali”.