Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Legge di stabilità 2013 - A.C. 5534-bis Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 5534-BIS/XVI     
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 462
Data: 19/11/2012
Descrittori:
BILANCIO DELLO STATO     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

16 novembre 2012

 

n. 462

Legge di stabilità 2013

A.C. 5534-bis

Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale

 

Numero del progetto di legge

5534-bis

Titolo

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)

Iniziativa

Governativa

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3

Commissione competente

V Bilancio

Sede e stato dell’iter

Esame in Assemblea – Svolta la discussione generale

Iscrizione nel programma dell’Assemblea

 

 


Contenuto

Per il contenuto del disegno di legge di stabilità, si rinvia al dossier del Servizio Studi, n. 708/2, del 16 novembre 2012.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il disegno di legge di stabilità 2013 appare nel suo complesso riconducibile alle materie:

§          sistema tributario e contabile dello Statoe tutela della concorrenza,rimesse alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.);

Sin dalla sentenza n. 14 del 2004, la Corte ha rilevato che l'inclusione della tutela della concorrenza nella lettera e) dell'art. 117, secondo comma, Cost. - insieme alle materie moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie - «evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica (nello stesso senso, cfr., sent. nn. 14 e 272 del 2004, nn. 175 e 242 del 2005, nn. 401, 430, 443 e 452 del 2007 nonché nn. 320 e 322 del 2008).

§          armonizzazione dei bilanci pubblici, spettante, a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.);

§          coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni.

Detto coordinamento – come già precisato dalla I Commissione Affari costituzionali nei pareri espressi sulle leggi finanziarie, a partire da quella per il 2002, e come confermato dalla giurisprudenza costituzionale – non sembra costituire propriamente un ambito materiale quanto piuttosto una finalità assegnata alla legislazione statale, funzionale anche al perseguimento di impegni finanziari assunti in sede europea, ivi inclusi gli obiettivi quantitativi collegati al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello europeo.

La coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea per l'equilibrio dei bilanci e per la sostenibilità del debito pubblico e l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea sono principi ora direttamente richiamati dagli articoli 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost., a seguito delle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 1/2012.

 

Circa le norme del disegno di legge di stabilità che dispongono in ordine al contenimento delle spese degli enti territoriali, si ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale, una disposizione statale di principio, adottata in materia di legislazione concorrente, quale quella del coordinamento della finanza pubblica, può incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni (sentenze n. 237 del 2009, n. 159 del 2008, n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005). Da ciò consegue che il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio – anche se questi ultimi, indirettamente, vengono ad incidere sull’autonomia regionale di spesa – per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il contenimento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (sentenza n. 237/2009, n. 267 del 2006 e n. 425 del 2004)

Dunque, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. n. 193 e n. 148 del 2012, sentenze n. 232 del 2011, n. 326 del 2010, n. 297, n. 237 e n. 139 del 2009, n. 289, n. 159 e n. 120 del 2008, n. 181 del 2006, n. 417 del 2005,n. 36 del 2004).

La portata di principio fondamentale va riscontrata con riguardo alla peculiarità della materia e, qualora la stessa sia identificata nel coordinamento della finanza pubblica, ciò che viene in particolare evidenza è la finalità cui la disciplina tende (sentenza n. 237/2009). Nella sentenza n. 16 del 2010, la Corte ha inoltre precisato che, nella dinamica dei rapporti tra Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula sempre valida, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia.

Si ricorda altresì che la legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, ha modificato l’art. 119, primo comma, Cost. sull’autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti territoriali richiamando il rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci e prevedendo che tali enti concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.

 

L’articolo 1, comma 89 e 90, del disegno di legge di stabilità, modificando le somme già definite dal decreto-legge n. 95/2012 (cd. spending review), aumenta di 1.000 milioni per le regioni a statuto ordinario e di 500 milioni per le regioni a statuto speciale e per le province autonome, i risparmi che i predetti enti territoriali sono tenuti a conseguire negli anni 2013 e 2014, nonché a decorrere dall'anno 2015.

Deve in proposito essere segnalata la recente sentenza della Corte costituzionale n. 193/2012. Richiamando la propria consolidata giurisprudenza in materia di contenimento dei costi degli enti territoriali (su cui v. supra), la Corte rileva che l’estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive previste nella precedente normativa, operata dal DL n. 98/2011, fa venir meno una delle due condizioni richieste per la legittimità degli interventi del legislatore statale, ossia la temporaneità delle restrizioni. La Corte ritiene inoltre di dedurre un termine finale che consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste dal DL n. 98/2011 e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno finanziario in corso, individuando siffatto dies ad quem nell’anno 2014.

In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui estende anche agli anni successivi al 2014 le misure disposte per l’anno 2013 dall’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, e del comma 5 dello stesso art. 20, nella parte in cui dispone che le misure previste si applichino, nei confronti delle Regioni speciali, «per gli anni 2012 e successivi» e «a decorrere dall’anno 2012» (lettera b), anziché «sino all’anno 2014». Per le medesime ragioni la Corte ha dichiarata, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale delle restanti parti del comma 5 dell’art. 20 (lettere a, c e d), le quali dispongono ulteriori misure restrittive – in riferimento alle Regioni ordinarie (lettera a), alle Province (lettera c) ed ai Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti (lettera d) – senza indicare un termine finale di operatività delle misure stesse. L’intervento ablativo concerne pertanto le suddette norme nella parte in cui prevedono che gli interventi restrittivi si applichino, nella misura indicata, «a decorrere dall’anno 2012» (lettera a), «a decorrere dall’anno 2013» (lettera c), e «a decorrere dall’anno 2013» (lettera d), anziché «sino all’anno 2014».

 

Le disposizioni dell’articolo 1, commi 89 e 90, che prevedono una disciplina restrittiva dell’autonomia finanziaria delle regioni e delle province autonome di carattere permanente, devono essere valutati alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 193/2012.

 

L’articolo 1, comma 91, anch’essomodificando il decreto-legge n.95/2012 (cd. spendind review), aumenta di 500 milioni annui la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio dei comuni, riduzione che diviene così pari a 2.500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e a 2.600 milioni a decorrere dall’anno 2015.

Il comma 92 opera una analoga riduzione di risorse nei confronti delle province, per un importo di 200 milioni annui, intervenendo sul decreto-legge n.95/2012 nella parte relativa al fondo sperimentale di riequilibrio provinciale.

 

Anche le disposizioni dell’articolo 1, commi 91 e 92, che dispongono una misura di risparmio permanente nei confronti di comuni e province, dovrebbero esser valutate alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 193/2012.

 

Più in generale, alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia di contenimento delle spese degli enti territoriali, devono essere valutate le seguenti disposizioni:

§         articolo 1, comma 97, capoverso 1-quater, che introduce, per l’anno 2013, per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, il divieto di acquisto di immobili a titolo oneroso e di stipula di contratti di locazione passiva (con alcune eccezioni), senza escludere gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale;

§         articolo 1, commi 100-104, che introduce, per gli anni 2013 e 2014, per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, limiti all’acquisto di mobili e arredi, prevedendo che per le regioni il rispetto di detti limiti costituisce condizione per l’erogazione da parte dello Stato dei trasferimenti erariali di cui all’art. 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (sui cc.dd. costi della politica delle regioni, attualmente all’esame del Senato), ossia dell'80 per cento dei trasferimenti erariali diversi da quelli destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale ed al trasporto pubblico locale, nonché del 5 per cento dei trasferimenti destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale.

Si ricorda in proposito che, secondo la sentenza n. 27 del 2010, spetta alle Regioni, allorché rivendichino l’illegittimità di norme che prevedono la riduzione dei trasferimenti erariali,  dimostrare che tale riduzione determini l’insufficienza dei mezzi finanziari per l’adempimento dei propri compiti;

§         articolo 1, comma 105, che, per tutte le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (senza esclusione di enti territoriali e regioni), prevede il ricorso a consulenze in materia informatica solo in casi eccezionali.

 

L’articolo 2, comma 21, prevede, tra l’altro,  che non è riconosciuta, per l'anno 2014, la rivalutazione automatica, ove prevista, dei vitalizi percepiti da coloro che hanno ricoperto o ricoprono cariche elettive regionali e nazionali, secondo le modalità stabilite nell'esercizio dell'autonomia costituzionale delle rispettive istituzioni.

Con riferimento all'indicizzazione dei vitalizi parlamentari, si rileva innanzitutto che la stessa è stata congelata a seguito di autonoma determinazione delle Camere; pertanto la disposizione non è destinata a produrre effetti sostanziali.

In tale materia occorre comunque tenere conto dell’autonomia costituzionalmente garantita delle Camere, secondo quanto chiarito in merito dalla giurisprudenza costituzionale.

 

Nell’ambito di tale giurisprudenza, con riferimento all’istituto del vitalizio si ricorda quanto affermato con la sentenza n. 289/1994. Secondo tale pronuncia, tra pensione e vitalizio “non sussiste, infatti, una identità né di natura, né di regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego. La diversità tra assegno vitalizio e pensione (…) assume, d'altro canto, un'evidenza particolare in relazione ai vitalizi spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, dal momento che questo parti colare tipo di previdenza ha trovato la sua origine in una forma di mutualità (…) che si è gradualmente trasformata in una forma di previdenza obbligatoria di carattere pubblicistico, conservando peraltro un regime speciale che trova il suo assetto non nella legge, ma in regolamenti interni delle Camere.”

 

Per ciò che attiene all’adeguamento automatico dei vitalizi dei consiglieri regionali (adeguamento attualmente previsto solo da cinque regioni),può essere nuovamenterichiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui le disposizioni statali possono solo prevedere criteri ed obiettivi cui devono attenersi le Regioni, senza imporre precetti specifici e puntuali.

 

In particolare, la sentenza n. 157 del 2007 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione della legge finanziaria 2006, nella parte in cui prevedeva una riduzione delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali nella misura del 10 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005.

La recente sentenza n. 198 del 2012 ha peraltro dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alle disposizioni del decreto-legge n. 138/2011, n. 138, che prevedono un numero massimo di consiglieri e assessori regionali, la riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali entro il limite dell’indennità massima spettante ai parlamentari e la commisurazione del trattamento economico dei consiglieri regionali all’effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio. Secondo la Corte, tali disposizioni, inserita nel titolo IV del decreto-legge n. 138/2011, dedicato alla «Riduzione dei costi degli apparati istituzionali», dettano parametri diretti esplicitamente al «conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica», in tal modo intervenendo sulla struttura organizzativa delle Regioni, regolata dagli articoli 121 e 123 Cost. e fissando un rapporto tra il numero degli abitanti e quello dei consiglieri, e quindi tra elettori ed eletti (nonché tra abitanti, consiglieri e assessori), in applicazione del principio in base al quale tutti i cittadini hanno il diritto di essere egualmente rappresentati.

 

L’articolo 2, comma 21, deve essere valutato alla luce dell’autonomia costituzionalmente garantita delle Camere e delle regioni, come definita dalla richiamata giurisprudenza costituzionale.

 

L’articolo 2, comma 27 reca un’autorizzazione di spesa di 223 milioni di euro per il 2013 destinata di fatto al finanziamento delle scuole non statali.

In particolare, la norma autorizza, per l’anno 2013, la spesa di 223 milioni di euro da destinare alle finalità di cui all’art. 2, comma 47, della legge finanziaria 2009 (L. 203/2008).

Il citato articolo 2, comma 47, prevede che, fermo il rispetto delle prerogative regionali in materia di istruzione scolastica, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, sono stabiliti i criteri per la distribuzione alle regioni delle risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione delle misure relative al programma di interventi in materia di istruzione. Contestualmente la legge di bilancio per il 2009 (L. 204/2008) ha inserito nello stato di previsione del MIUR, nell’ambito della Missione Istruzione scolastica, un nuovo programma 1.10 – Interventi in materia di istruzione. Le risorse sono state allocate nel capitolo 1299 – Somme da trasferire alle regioni per il sostegno delle scuole paritarie, capitolo di nuova istituzione.

L’autorizzazione di spesa di cui all’art. 2, co. 47, della L. 203/2008 è stata rifinanziata per gli anni successivi dalla legge finanziaria (poi, di stabilità).

Si ricorda peraltro che, secondo la giurisprudenza costituzionale, i finanziamenti alle scuole non statali sono riconducibili alla materia dell’istruzione, di competenza concorrente; sono di conseguenza costituzionalmente illegittimi finanziamenti statali in questo ambito (sentenze n. 50/2008 e n. 423/2004). La Corte ha peraltro fatto salvi gli eventuali procedimenti in corso, anche se non esauriti, a garanzia della continuità di erogazione di finanziamenti inerenti a diritti fondamentali dei destinatari.

Nelle citate sentenze la Corte ha ricordato che non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale ovvero concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.

 

L’articolo 2, comma 43, modificando l’art. 16-bis del DL n. 95/2012 (cd. spending review) istituisce il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario.

I criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del Fondo sono definiti, entro il 31 gennaio 2013, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi d’intesa con la Conferenza unificata, sulla base peraltro di alcune indicazioni contenute nella disposizione in esame (nuovo art. 16-bis, comma 4, DL n. 95/2012).

Le regioni a statuto ordinario, al fine di ottenere l’assegnazione dei contributi, entro quattro mesi dall’emanazione del citato DPCM devono adottare un piano di riprogrammazione dei propri servizi, secondo le indicazioni dello stesso DPCM, e rimodulare i servizi a domanda debole. Inoltre, entro 180 giorni dall’emanazione del DPCM, le stesse regioni devono sostituire modalità di trasporto diseconomiche con altre modalità che consentano di garantire il servizio (nuovo art. 16-bis, comma 5, DL n. 95/2012).

La ripartizione tra le regioni del Fondo è effettuata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, da emanarsi entro il 30 giugno di ciascun anno, previa verifica degli effetti prodotti del piano di riprogrammazione dei servizi. Per l’anno 2013, il riparto delle risorse è effettuato sulla base dei criteri e delle modalità previsti dal DPCM di cui al comma 4, previa adozione da parte delle regioni del piano di riprogrammazione (nuovo art. 16-bis, comma 6, DL n. 95/2012).

Nelle more dell’emanazione del decreto di ripartizione di cui al comma 6, il 60 per cento dello stanziamento del Fondo è ripartito tra le regioni, a titolo di anticipazione, mediante decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata (nuovo art. 16-bis, comma 7, DL n. 95/2012).

 

Si ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 222 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva l’istituzione di un Fondo per il conseguimento di risultati di maggiore efficienza e produttività dei servizi di trasporto pubblico locale, limitatamente alla parte cui prevedeva il parere della Conferenza Stato-regioni, anziché l’intesa con la Conferenza medesima, ai fini l’adozione del relativo decreto di riparto.

In particolare, nella richiamata sentenza, la Corte costituzionale rileva innanzitutto che la materia del trasporto pubblico locale rientra nell’ambito delle competenza legislativa residuale delle Regioni.

La Corte sottolinea poi che, ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo n. 422/97, aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati» e prevedendo la ripartizione delle risorse statali di finanziamento tramite decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

La Corte prosegue richiamando la propria giurisprudenza secondo cui, nell'ambito del nuovo Titolo V della Costituzione, non è di norma consentito allo Stato prevedere propri finanziamenti in ambiti di competenza delle Regioni né istituire fondi settoriali di finanziamento delle attività regionali. Nella perdurante situazione di mancata attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di garanzia dell'autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali e del vigente finanziamento statale nel settore del trasporto pubblico locale, la Corte ha comunque ritenuto legittima l’istituzione del fondo, richiedendo però un pieno coinvolgimento delle Regioni nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi, attraverso lo strumento dell’intesa con la Conferenza Stato-regioni.

I commi 6, primo periodo, e 7 dell’art. 16-bis del DL n. 95/2012, come modificato dall’art. 2, comma 43, del disegno di legge in esame, devono essere valutati alla luce della giurisprudenza costituzionale nella parte in cui prevedono il parere della Conferenza Stato-regioni, anziché l’intesa, ai fini del riparto delle risorse del Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale (l’art. 16-bis, comma 7, riguarda peraltro una ripartizione meramente provvisoria, a titolo di anticipazione) .

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

 

L’articolo 1, comma 36, prevede la dismissione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, della sede del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca di piazzale Kennedy, in Roma, e la risoluzione del relativo contratto di locazione.

Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimità costituzionale di disposizioni normative aventi un contenuto non generale ed astratto ma concreto e particolare (cd. leggi-provvedimento), ha rilevato che non è preclusa alla legge la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati alla autorità amministrativa, purchè siano osservati i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e dell'intangibilità del giudicato e non sia vulnerata la funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso (tra le molte, sentenze n. 94 del 2009, n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n. 282 del 2005). Secondo la Corte, inoltre, da ciò non deriva un vulnus al diritto di difesa del cittadino riguardo agli effetti provvedimentali dell’atto normativo, posto che la posizione soggettiva di questo troverà la sua adeguata tutela sul piano della giurisdizione costituzionale (sentenza n. 289/2010).

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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