Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo - D.L. 138/2011 - A.C. 4612 - Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale
Riferimenti:
AC N. 4612/XVI   DL N. 138 DEL 13-AGO-11
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 317
Data: 08/09/2011
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2011 0138   FINANZA PUBBLICA
PIANI DI SVILUPPO   POLITICA ECONOMICA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
Altri riferimenti:
AS N. 2887/XVI     

 

8 settembre 2011

 

n. 317

Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria
e per lo sviluppo

D.L. 138/2011 - A.C. 4612

Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale

 

Numero del disegno di legge di conversione

4612

Numero del decreto-legge

138

Titolo del decreto-legge

Conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo"

Iter al Senato

Sì (A.S. 2887)

Numero di articoli:

 

testo originario

20

testo approvato dal Senato

26

Date:

 

emanazione

13 agosto 2011

pubblicazione in Gazzetta ufficiale

13 agosto 2011

approvazione del Senato

7 settembre 2011

assegnazione

7 settembre 2011

scadenza

12 ottobre 2011

Commissione competente

V Commissione (Bilancio)

Stato dell’iter

All’esame della Commissione in sede referente

 

 


Contenuto

Il disegno di legge di conversione del decreto-legge 138/2011 è stato approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica ed è ora all’esame della Camera.

Il decreto legge, a seguito delle modifiche approvate durante l’esame presso il Senato (con l’introduzione di sei nuovi articoli e numerosi commi) si compone di 26 articoli, raggruppati in cinque titoli.

Il titolo I (articoli 01, 1, 1-bis, 1-ter e 2) reca disposizioni per la stabilizzazione finanziaria. In particolare, l’articolo 1 agisce sul fronte delle spese e l’articolo 2 sul fronte delle entrate.

Il titolo II (articoli 3-7) contiene disposizioni in materia di liberalizzazioni, privatizzazioni e d altre misure per favorire lo sviluppo.

Il titolo III (articoli 8-12) reca misure a sostegno dell’occupazione.

Il titolo IV (articoli 13-20) contiene una serie di disposizioni volte a contenere i costi degli apparati istituzionali, nonché le disposizioni finali (articolo 19) e la clausola di entrata in vigore (articolo 20).

Il Senato ha introdotto, nell’ambito dell’articolo 1 del disegno di legge di conversione, i commi da 2 a 5, volti a delegare il Governo a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.

L’indicazione degli articoli e dei relativi commi è stata effettuata sulla base della ripartizione del testo, contenuta nel maxi-emendamento presentato dal Governo al Senato il 7 settembre 2011.

Relazioni allegate o richieste

Il disegno di legge di conversione non è corredato né della relazione sull’analisi tecnico-normativa (ATN), né della relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR). La relazione illustrativa, difformemente da quanto disposto dall’articolo 9, comma 3, del regolamento di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 11 settembre 2008, n. 170, non “contiene il riferimento alla disposta esenzione [dall’obbligo di redazione della relazione AIR] e alle sue ragioni giustificative”, né “indica sinteticamente la necessità ed i previsti effetti dell’intervento normativo sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, dando conto della eventuale comparazione di opzioni regolatorie alternative.

Precedenti decreti-legge sulla stessa materia

Come recita il titolo, il provvedimento reca misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo ulteriori rispetto a quelle recentemente adottate con i decreti-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia) e 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria). Quest’ultimo decreto, in particolare, è oggetto di novelle e di modifiche non testuali.

In numerose circostanze il Governo ha provveduto all’emanazione di decreti-legge contenenti misure volte ad anticipare o accompagnare la manovra annuale di finanza pubblica o, comunque, a realizzare – ancor prima dell’istituzionalizzazione della legge finanziaria – interventi economico-finanziari ad ampio spettro.

Nella XVI legislatura, si segnala in particolare l’uso dei provvedimenti d’urgenza come anticipazione della legge finanziaria annuale: con il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria; con il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini, poi ulteriormente corretto dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103; con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica; con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia e il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

 

Collegamento con lavori legislativi in corso

Talune disposizioni richiamano processi di riforma, anche costituzionale, in ordine ai quali sono stati presentati numerosi progetti di iniziativa parlamentare e si è attivato anche il Governo A titolo esemplificativo, l’articolo 2, comma 36-bis opera “in anticipazione della riforma del sistema fiscale”, oggetto del disegno di legge di delega al Governo C. 4566.

In altri casi, non c’è un richiamo esplicito: così. l’articolo 3, comma 1, che impone a comuni, province, regioni e Stato di adeguare i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, anticipa a livello di legislazione ordinaria una disposizione oggetto del disegno di legge costituzionale del Governo C. 4144, di riforma dell’articolo 41 Cost., attualmente all’esame della Commissione affari costituzionali ed iscritto nel calendario dell’Assemblea a partire dal 26 settembre.

L'articolo 15 - nel testo modificato dal Senato – non contiene più le disposizioni finalizzate alla soppressione delle province e conserva la disposizione che dimezza i consiglieri e gli assessori provinciali, a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province.

Si ricorda che l'Assemblea della Camera, dopo due rinvii in commissione, ha respinto una proposta di legge di modifica costituzionale volta a sopprimere le province. La Commissione affari costituzionali aveva conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento (A.C. 1990). E’ in corso l’esame presso la Commissione affari costituzionali di proposte di legge in tema di modifica all’articolo 133 della Costituzione, in materia di istituzione, modificazione e soppressione delle province. Da ultimo, il Consiglio dei Ministri dell’8 settembre 2011 ha approvato un disegno di legge costituzionale che disciplina il procedimento di soppressione della Provincia quale ente locale statale.

Motivazioni della necessità ed urgenza

Come si ricava dalle premesse al decreto-legge, il provvedimento è dettato dalla straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica con riferimento all’eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilità dei mercati, nonché per rispettare gli impegni assunti in sede di Unione europea, con l’obiettivo di favorire altresì lo sviluppo e la competitività del Paese.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le misure del decreto appaiono riconducibili in via prevalente alla materia armonizzazione dei bilanci pubblici e (il) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, che, in base al disposto del terzo comma dello stesso articolo 117, rientrano tra le materie di potestà legislativa concorrente, nelle quali è riservata allo Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali. Tale ambito competenziale è altresì richiamato dalla stessa Costituzione all’articolo 119, secondo comma, ove si prevede che comuni, province, città metropolitane e regioni stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Detto coordinamento – come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale (v. in particolare la sentenza n. 35 del 2005) – non sembra peraltro costituire propriamente un ambito materiale, quanto piuttosto una finalità assegnata alla legislazione statale, funzionale anche al perseguimento di impegni finanziari assunti in sede europea, ivi inclusi gli obiettivi quantitativi collegati al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello europeo.

Occorre inoltre considerare la materia sistema tributario e contabile dello Stato, demandata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.

A tale ambito materiale sono riconducibili in particolare le disposizioni dell’articolo 2.

Per quanto riguarda le singole disposizioni, rilevano altresì ulteriori ambiti materiali attribuibili alla competenza legislativa esclusiva o concorrente dello Stato.

Quanto agli ambiti rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 Cost., assumono, in particolare, rilievo:

§         “tutela della concorrenza”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione;

§         “tutela del risparmio e mercati finanziari”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione;

§         “organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera f) della Costituzione;

§         “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera g) della Costituzione;

§         “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione;

§         “previdenza sociale”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera o) della Costituzione.

§         “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione.

Sempre con riferimento a singole disposizioni, può altresì rilevare, tra le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., la materia delle “professioni”.

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Con riferimento a specifiche disposizioni del provvedimento si osserva quanto segue.

L’articolo 1, comma 02, prevede, limitatamente al quinquennio 2012-2016, la possibilità di rimodulare le dotazioni finanziarie di ciascuno stato di previsione del bilancio dello Stato, incidendo anche sulle autorizzazioni di spesa legislativamente previste, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario, da esprimere nel breve termine di 15 giorni.

Con riguardo alla gerarchia delle fonti del diritto, occorre rilevare che le disposizioni in esame consentono di variare con atto amministrativo, e dunque con fonte di rango secondario, autorizzazioni di spesa disposte in via legislativa, modificando in tal modo decisioni in materia di bilancio e di leggi di spesa assunte, in conformità al vigente ordinamento contabile, dal Parlamento. Al riguardo, va rammentato, come accennato, che la possibilità di disporre variazioni con atto amministrativo di autorizzazioni di spesa derivanti da fattori legislativi, prevista dal citato art. 14 del D.L. 98/11, è stata assoggettata ad un vaglio sia preventivo da parte del Parlamento - in quanto i relativi decreti devono essere adottati previo parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari – sia ad una ratifica successiva, dal momento che qualora il Parlamento non approvi le variazioni in sede di assestamento i relativi decreti perdono efficacia ex tunc.

L’articolo 2, comma 1, del decreto-legge, nella versione approvata dal Consiglio dei ministri, introduce un contributo di solidarietà per i titolari – sia dipendenti pubblici, sia dipendenti privati ed autonomi, sia pensionati – di tutti i redditi superiori a 90.000 e 150.000 euro, contestualmente abrogando “le disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nonché quelle di cui all' articolo 18, comma 22-bis , del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98”, riguardanti la decurtazione delle retribuzioni e dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti. Il disegno di legge di conversione, nel rimodulare il contributo di solidarietà per i dipendenti privati e gli autonomi (fissato ora al 3 per cento sula parte di reddito eccedente i 300.000 euro), ripristina la vigenza delle disposizioni relative alle decurtazioni delle retribuzioni e delle pensioni dei pubblici dipendenti, utilizzando la formula “continuano ad applicarsi”, non idonea nel caso in esame, in cui si configura una reviviscenza di norme attualmente abrogate.

L’articolo 2, comma 1-bis, ultimo periodo demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, la possibilità di prorogare l’efficacia del contributo di solidarietà stabilito per il periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2013 a carico dei titolari di redditi superiori ai 300.000 euro “anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio”. Si demanda così ad un atto del Presidente del Consiglio la possibilità di incidere sull’efficacia di una disposizione di rango primario, in una materia – peraltro- riservata alla legge ai sensi dell’articolo 23 della Costituzione.

Si osserva in merito che costante giurisprudenza costituzionale (a partire dalla sent. C. Cost. n. 122/1957) ritiene che le leggi che impongono prestazioni di carattere patrimoniale debbano avere un contenuto minimo, tale da delimitare la discrezionalità dell’amministrazione e dell’ente impositore.

L’articolo 2, comma 36-vicies semel novella il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, concernente la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali. Ulteriori disposizioni riguardano i termini di prescrizione dei suddetti reati e i presupposti per l’accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena.

In primo luogo si osserva che la disposizione appare nella sua formulazione contraddittoria in quanto per alcuni delitti (fattispecie degli articoli da 2 a 10 del decreto legislativo) il primo periodo afferma l’inapplicabilità della sospensione condizionale della pena in caso di evasione d’imposta superiore a 3 milioni mentre il secondo periodo aggiunge l’ulteriore requisito del superamento del 30% del volume d’affari. Per le residue fattispecie (articoli 10-bis, 10-ter, 10-quater) è “sufficiente” l’evasione di 3 milioni di euro per rendere inapplicabile il beneficio della sospensione condizionale.

In secondo luogo sembra che la medesima disposizione sia ispirata ad un orientamento di segno inverso rispetto alle restanti novelle al decreto legislativo n. 74/2000, tutte in generale volte ad abbassare la soglia di punibilità dell’evasione fiscale: infatti, la previsione congiunta delle due condizioni contenuta nel secondo periodo sembrerebbe mitigare la posizione dei soggetti evasori che hanno un grande volume di affari. Essi, infatti, potranno avvalersi della sospensione condizionale della pena, pur sottraendo all’erario somme anche notevolmente superiori ai 3 milioni di euro, in conseguenza della previsione del tetto del 30% del volume di affari.

Con l’articolo 4 viene sostanzialmente ridefinita la disciplina dell’affidamento dei servizi locali di rilevanza economica a seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis del decreto legge n. 112/2008 conseguente all’esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, privilegiando la loro liberalizzazione e lasciando uno spazio ridotto all'affidamento diretto "in house", possibile solo per servizi di valore economico pari o inferiori a 900.000 euro annui. La regola generale per i servizi “in esclusiva” è invece, conformemente alle norme comunitarie, l’affidamento tramite gara pubblica anche nel caso di conferimento a società a capitale misto pubblico-privato (con almeno il 40% della società in mano privata).

Al riguardo, appare opportuno valutare la compatibilità della nuova disciplina introdotta alla luce dell’esito referendario del 12/13 giugno 2011, in considerazione della nuova disciplina introdotta dall’articolo 4, con riferimento specifico alle società in house e ai settori esclusi.

In merito si fa presente che nel parere espresso il 24 agosto scorso sul testo del provvedimento in esame, la Commissione affari costituzionali del Senato ha posto la condizione della riformulazione dell'art. 4 nei seguenti termini:"appare necessaria, al fine di evitare possibili censure di incostituzionalità e perché sia assicurato il pieno rispetto della volontà popolare, un'attenta verifica della compatibilità di tale nuova disciplina con gli effetti abrogativi prodotti da due dei quattro referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011 relativi, rispettivamente, alle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito".

L'articolo 13 interviene in materia di riduzione dei costi delle istituzioni prevedendo anche la riduzione delle indennità parlamentari (commi 1 e 2), disciplina della quale andrebbe approfondita la compatibilità con gli ordinamenti degli organi costituzionali.

L’articolo 14 reca una serie di parametri cui le regioni – ordinarie e speciali - devono adeguare la propria normativa, al fine di accedere alle misure premiali previste dalla disciplina del patto di stabilità per gli enti più virtuosi, in termini di non applicazione o applicazione parziale dei vincoli di spesa.

I parametri di virtuosità previsti da tali disposizioni si traducono in un onere per le regioni ordinarie di introduzione di modifiche statutarie. Tale onere appare valutabile alla luce della giurisprudenza costituzionale che, in relazione all’art. 123 Cost., ravvisa nell’ordinamento regionale ordinario vere e proprie riserve normative a favore della fonte statutaria (sentenza 188 del 2011); in questo quadro, si ritiene che la determinazione del numero dei membri del Consiglio rientri in tali riserve, in quanto la composizione dell’organo legislativo regionale rappresenta una fondamentale “scelta politica sottesa alla determinazione della “forma di governo” della Regione” (sentenza n. 3 del 2006). Quanto alle regioni a statuto speciale, le medesime disposizioni andrebbero valutate alla luce dell’autonomia ad esse costituzionalmente garantita; inoltre appare opportuno tenere anche conto dei tempi di svolgimento del procedimento costituzionale, necessario per l’adeguamento ai suddetti parametri per la valutazione della congruità dei termini stabiliti per l’adeguamento stesso.

L’articolo 16 prevede lo svolgimento di funzioni comunali in forma associata con lo strumento delle unioni. In merito a tali funzioni - che attengono, per i comuni con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti, alle funzioni amministrative dei medesimi e a tutti i servizi pubblici spettanti a legislazione vigente; per i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, solo alle funzioni fondamentali e ai servizi ad esse inerenti - occorre rilevare che l’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione individua, tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, solo le funzioni fondamentali di comuni, province, e città metropolitane, accanto alla legislazione elettorale e alla disciplina degli organi di governo degli enti locali. Dall’art. 118 Cost. risulta che ai comuni spettano funzioni amministrative proprie e funzioni conferite dalla legge dello Stato o della regione secondo le rispettive competenze.

In materia si ricorda che costante giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 237 del 2009, da ultimo richiamata dalla sentenza 27 del 2009, entrambe in tema di comunità montane) riconosce la legittimità di disposizioni statali in materie di competenza residuale regionale in quanto “effettivamente espressione di princípi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica”, con lo scopo “di contribuire, su un piano generale, al contenimento della spesa pubblica corrente nella finanza pubblica allargata e nell’ambito di misure congiunturali dirette a questo scopo nel quadro della manovra finanziaria”.

Inoltre, in merito alle disposizioni che delineano l'ambito di intervento riservato alla Regione in tema di istituzione di unioni di comuni, si rileva che, qualora sia ritenuto solo ricognitivo di quanto altrove deliberato, senza possibilità di autonomo intervento -potrebbe essere valutato alla luce dell'autonomia regionale sancita in Costituzione.

Quanto alla disciplina stabilita per il potere sostitutivo della regione, la giurisprudenza costituzionale (sentenze 397/2006, 167/2005; 236/2004 e 69/2004) ha chiarito che l'art. 120, secondo comma, della Costituzione non può essere inteso nel senso che esaurisca, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, richiedendo - alle condizioni e nei termini previsti - un procedimento nel quale l'ente sostituito (anche il Comune sostituito dalla Regione) sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento.

Attribuzione di poteri normativi

All’articolo 1 del disegno di legge di conversione, i commi da 2 a 5 recano, a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, alcune disposizioni di delega volte a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.

In proposito si segnala la costante giurisprudenza del Comitato per la legislazione che, nei propri pareri, ha sempre formulato condizioni volte alla soppressione di tali disposizioni in quanto l’inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale, soprattutto se recanti disposizioni di delega, non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge.

L’articolo 3, comma 3, ultimo periodo autorizza il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2012, uno o più regolamenti di delegificazione, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988, con i quali vengono individuate le disposizioni abrogate per effetto di quanto disposto nel comma 3 ed è definita la disciplina regolamentare della materia ai fini del’adeguamento al principio di cui al comma 1.

Si tratta di un’autorizzazione che si discosta dal modello di delegificazione delineato dall’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che richiede di esplicitare quali siano le norme generali regolatrici della materia, nonché le disposizioni da abrogare con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari. In questo caso, sembrerebbe che il contenuto prevalente del regolamento di delegificazione sia rappresentato dall’elenco delle disposizioni abrogate in quanto incompatibili con il principio che “è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”.

Anche l’articolo 3, comma 10 prevede l’adozione dei regolamenti ex art. 17, co. 2, l. 400/1988, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall'entrata in vigore del decreto, con cui revocare le restrizioni diverse da quelle elencate nel comma 9 precedente.

L’articolo 3, comma 11, consente al Governo di adottare D.P.C.M. su proposta di concerto del Ministro di settore competente e del Ministro dell’Economia e sentita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato per mantenere per talune attività economiche, restrizioni altrimenti soggette all’abrogazione automatica ai sensi dei commi 8-9 del medesimo articolo.

Oltre a quest’ultima ipotesi, che configura fattispecie di delegificazione spuria, il testo in esame prevede l’adozione di ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, talora su proposta di altri Ministri (a titolo esemplificativo: articolo 1, comma 12-ter, lettera e) ovvero previa deliberazione del Consiglio dei ministri (articolo 1, comma 24).

È prevista l’adozione di decreti di natura non regolamentare dall’articolo 2, comma 1-bis, per la determinazione delle modalità tecniche di attuazione delle disposizioni del comma 1, relativo alla decurtazione – oltre determinate soglie – dei redditi dei pubblici dipendenti.

Si segnala che il Comitato per la legislazione ha più volte rammentato che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 116 del 2006, ha definito un decreto ministeriale del quale si esplicitava la natura non regolamentare (articolo 3 del decreto-legge n. 279/2004) “un atto statale dalla indefinibile natura giuridica”.

 


 

 

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