Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria - D.L. 112/2008 - A.C. 1386
Riferimenti:
AC N. 1386/XVI   DL N. 112 DEL 25-GIU-08
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 5
Data: 07/07/2008
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   FINANZA PUBBLICA
ORGANIZZAZIONE FISCALE   PIANI DI SVILUPPO
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

SIWEB

Casella di testo: Note per la I Commissione7 luglio 2008                                                                                                                                              n. 5

Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria

D.L. 112/2008 - A.C. 1386

Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale

 

Numero del disegno di legge di conversione

A.C. 1386

Numero del decreto-legge

112/2008

Titolo del decreto-legge

Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria

Iter al Senato

No

Numero di articoli:

 

testo originario

85

Date:

 

emanazione

25 giugno 2008

pubblicazione in Gazzetta ufficiale

25 giugno 2008

assegnazione

25 giugno 2008

scadenza

24 agosto 2008

Commissione competente

V (Bilancio) e VI (Finanze)

Stato dell’iter

All’esame delle Commissioni riunite in sede referente

 

 


Contenuto

Il disegno di legge è finalizzato alla conversione del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che consta di 85 articoli, strutturati in 5 titoli.

Il titolo I, composto del solo articolo 1, definisce le finalità e l’ambito di intervento del decreto, delineando la cornice economico-finanziaria delle singole previsioni, nonché gli obiettivi previsti complessivi del provvedimento.

Il titolo II reca la rubrica “Sviluppo economico, semplificazione e competitività” e si compone di 10 capi.

Il capo I (“Innovazione”) reca (art. 2-4) disposizioni volte a favorire lo sviluppo della banda larga, la fase di start up delle nuove imprese, nonché la diffusione di strumenti innovativi di investimento.

Il capo II (“Impresa”) prevede (art. 5 e 6) misure in materia di sorveglianza dei prezzi e di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese.

Il capo III (“Energia”) reca 4 articoli, che disciplinano rispettivamente: la definizione di una “Strategia energetica nazionale” e la stipula di accordi internazionali per ridurre le emissioni di anidride carbonica, anche con il ricorso all’energia nucleare (art. 7); lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dell’Alto Adriatico, nonché lo sfruttamento dei giacimenti marginali (art. 8); la sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi (art. 9); la promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni (art. 10).

Il capo IV (“Casa e infrastrutture”) prevede l’adozione di un piano nazionale di edilizia abitativa (art. 11); l’abrogazione della revoca delle concessioni TAV (art. 12); misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico (art. 13); finanziamenti per la realizzazione dell’Esposizione universale che si svolgerà a Milano nel 2015 (art. 14).

Il capo V (“Istruzione e ricerca”) reca misure volte a: introdurre nuove modalità di fruizione dei libri scolastici attraverso la rete internet (art. 15); consentire la trasformazione delle università in fondazioni (art. 16); sopprimere la Fondazione IRI, trasferendo le dotazioni patrimoniali e i rapporti giuridici alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia (art. 17).

Il capo VI (“Liberalizzazioni e deregolazione) reca disposizioni in materia lavoristica e contributiva, concernenti: il reclutamento del personale delle società pubbliche (art. 18); l’abolizione dei limiti di cumulo tra pensione e redditi di lavoro (art. 19); interventi in materia contributiva (art. 20); i contratti di lavoro a tempo determinato (art. 21), occasionali di tipo accessorio (art. 22) e di apprendistato (art. 23).

Il capo VII (“Semplificazioni”) è il capo più ampio del provvedimento e si compone di 22 articoli, il cui contenuto è prevalentemente riferito a misure di semplificazione.

Rientrano, in particolare, in questo capo le disposizioni “taglia-leggi” (art. 24), “taglia oneri amministrativi” (art. 25), “taglia enti” (art. 26), “taglia-carta” (art. 27), varie misure di semplificazione di carattere organizzativo ed amministrativo ed interventi che non paiono direttamente riconducibili a tale finalità (v. ad esempio l’art. 36, che rinvia al 1° gennaio 2009 l’entrata in vigore della disciplina sulla “class action” o le disposizioni dell’art. 37, co. 2, in materia di condizione giuridica dei cittadini dell’Unione europea).

Il capo VIII (“Piano industriale della pubblica amministrazione”) reca 4 articoli riferiti alle Pubbliche amministrazioni, finalizzati alla riduzione delle collaborazioni e consulenze (art. 46), alla verifica del rispetto della disciplina delle incompatibilità (art. 47), al risparmio energetico (art. 48) e all’utilizzo di contratti di lavoro flessibile (art. 49).

Il capo IX (“Giustizia”) reca disposizioni in materia di processo civile (artt. 50 e 51), di spese di giustizia (art. 52), di razionalizzazione del processo del lavoro (art. 53), di accelerazione del processo amministrativo (art. 54), di accelerazione del contenzioso tributario (art. 55), prevedendo anche una normativa di carattere transitorio (art. 56).

Il capo X (“Privatizzazioni”) comprende 3 articoli che disciplinano: i servizi di cabotaggio (art. 57); la ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali (art. 58); la possibilità per il Ministero dell’economia di sottoscrivere azioni di nuova emissione di Finmeccanica S.p.A. (art. 59).

Il titolo III concerne la stabilizzazione della finanza pubblica e si articola in 4 capi.

Il capo I (“Bilancio dello Stato”) reca in primo luogo disposizioni relative alle missioni di spesa del bilancio per il triennio 2009 – 2011 nonché, più in generale, alla gestione del bilancio dello Stato (art. 60); si prevedono inoltre interventi di potenziamento degli strumenti di controllo Corte dei conti sulle amministrazioni regionali (art. 61), nonché misure volte al contenimento dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali (art. 62) e al finanziamento di interventi di carattere prioritario (art. 63).

Il capo II (“Contenimento della spesa per il pubblico impiego”): è costituito da 13 articoli, che recano misure riguardanti sia singoli settori (come, ad esempio, la scuola –art. 64 - e le forze armate – art. 65) sia temi di carattere trasversale (come, per esempio, gli interventi in materia di turn over di cui all’art. 66 e di part time, di cui  all’art. 73).

Il capo III (“Patto di stabilità interno”) definisce il concorso delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011 (art. 77), recando inoltre disposizioni urgenti per Roma capitale (art. 78).

Il capo IV (“Spesa sanitaria e per invalidità”): disciplina la programmazione delle risorse per la spesa sanitaria (art. 79) e prevede un piano straordinario di verifica delle invalidità civili (art. 80).

Il titolo IV si compone di un solo capo (“Perequazione tributaria”) che reca (artt. 81-83) numerose misure di carattere fiscale e organizzativo, nonché misure di carattere sociale.

Il titolo V contiene le disposizioni finanziarie e finali: l’art. 84 reca la copertura finanziaria del provvedimento e l’art. 85 dispone la sua immediata entrata in vigore.

Relazioni allegate o richieste

Il disegno di legge di conversione è accompagnato dalla relazione illustrativa e dalla relazione tecnica sugli effetti finanziari  del provvedimento.

Non risultano invece allegate né la relazione sull’analisi tecnico-normativa (ATN) né la relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).

 

Precedenti decreti-legge sulla stessa materia

In numerose circostanze il Governo ha provveduto all’emanazione di decreti-legge contenenti misure volte ad anticipare o accompagnare la manovra annuale di finanza pubblica o, comunque, a realizzare – ancor prima dell’istituzionalizzazione della legge finanziaria – interventi economico-finanziari ad ampio spettro (i c.d. “decretoni”).

Tra i casi successivi all’istituzione della legge finanziaria, si ricordano – a titolo di esempio – il D.L. 30 maggio 1988, n. 173, Misure urgenti in materia di finanza pubblica per l'anno 1988, nonché il D.L. 19 settembre 1992, n. 384, Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali.

Per la sua particolare ampiezza, si ricorda inoltre il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, che fu presentato insieme al disegno di legge finanziaria per il 2004 e si affiancava, con portata generale, al disegno di legge finanziaria nel delineare la manovra finanziaria per l’anno successivo.

Negli anni immediatamente precedenti, con decreto-legge si erano dettate più limitate misure di accompagnamento o correzione in corso d’opera delle manovre finanziarie. Si rammentano in particolare i D.L. nn. 350 e 351 del 2001, emanati in data 25 settembre 2001, che hanno concorso alla definizione dei saldi e al prospetto di copertura della legge finanziaria per il 2002.

In tempi più recenti il D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, emanato contestuale al disegno di legge finanziaria 2008, ha disposto l’utilizzo della maggiori entrate nette rispetto alle previsioni di bilancio 2007 (c.d. extra-gettito) al fine riavviare “un processo di restituzione del maggior gettito fiscale, rispetto alle previsioni, dando priorità ai soggetti incapienti ed intervenendo a sostegno della realizzazione di infrastrutture ed investimenti”. Analogo meccanismo era stato utilizzato dal D.L. 2 luglio 2007, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria.

Collegamento con lavori legislativi in corso

A seguito dell’approvazione, da parte dell’Assemblea della Camera, dell’emendamento del Governo Dis. 1.1, sul quale è stata posta la questione di fiducia, l’art. 5, co. 3, del D.L. 27 maggio 2008, n. 93, Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, reca una disposizione pressoché identica a quella presente nell’articolo 60, co. 6, del presente decreto.

Il disegno di legge di conversione è attualmente all’esame del Senato (A.S. 866).

Motivazioni della necessità ed urgenza

La premessa del decreto-legge individua le motivazioni di straordinaria necessità ed urgenza del provvedimento, richieste dall’articolo 77, secondo co. Cost., nell’esigenza di emanare disposizioni finalizzate :

§         alla promozione dello sviluppo economico e alla competitività del Paese, anche mediante l'adozione di misure volte alla semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti, in particolare, la libertà di iniziativa economica, nonché a restituire potere di acquisto alle famiglie, a garantire la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione amministrativa, oltre che la necessaria semplificazione dei procedimenti giudiziari incidenti su tali ambiti;

§         alla stabilizzazione della finanza pubblica, al fine di garantire il rispetto degli impegni in sede internazionale ed europea indispensabili, nell'attuale quadro di finanza pubblica, per il conseguimento dei connessi obiettivi di stabilità e crescita assunti;

§         alla adozione di interventi di perequazione tributaria occorrenti per il rispetto dei citati vincoli assunti a livello internazionale ed europeo.

Al riguardo, si segnala che l’articolo 24 dispone l’abrogazione – a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto – di 3.574 atti normativi di rango primario riportati nell’allegato A al decreto-legge.

La relazione illustrativa evidenzia, al riguardo, che si tratta di “un gran numero di atti di forza di legge che hanno esaurito i propri effetti:

§       leggi provvedimento ad efficacia temporanea;

§       leggi implicitamente abrogate che appesantiscono l’ordinamento vigente;

§       leggi tuttora vigenti considerate, tuttavia, dalle amministrazioni di riferimento palesemente obsolete”.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Come evidenziato, oltre che nelle premesse, anche nell’art. 1 del decreto-legge, le disposizioni del provvedimento in esame intendono realizzare un intervento organico diretto a conseguire, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel DPEF, gli obiettivi di indebitamento netto e di rapporto tra debito pubblico e PIL indicati dallo stesso documento, promuovendo altresì un incremento del tasso di crescita del PIL attraverso misure volte a promuovere lo sviluppo economico e sociale del Paese.

In questa ottica, le misure del decreto appaiono pertanto riconducibili in via prevalente alla materia “sistema tributario e contabile dello Stato”, demandata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.

A tale ambito materiale sono inoltre riconducibili le disposizioni del provvedimento che recano specifiche misure di carattere tributario (si vedano, ad esempio, l’art. 3, che prevede agevolazioni fiscali per favorire l’avvio delle imprese; l’art. 9, in materia di sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi, nonché  le disposizioni in tema di perequazione tributaria previste dall’art. 81, co. 1-26 e dall’art. 82).

 

Occorre inoltre considerare che in base al disposto del terzo comma dello stesso articolo 117, l’“armonizzazione dei bilanci pubblici e (il) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” rientrano tra le materie di potestà legislativa concorrente, nelle quali è riservata allo Stato la sola determinazione dei princìpi fondamentali. Tale ambito competenziale è altresì richiamato dalla stessa Costituzione all’articolo 119, secondo comma, ove si prevede che comuni, province, città metropolitane e regioni stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Detto coordinamento – come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale (v. in particolare la sentenza n. 35 del 2005) – non sembra peraltro costituire propriamente un ambito materiale, quanto piuttosto una finalità assegnata alla legislazione statale, funzionale anche al perseguimento di impegni finanziari assunti in sede europea, ivi inclusi gli obiettivi quantitativi collegati al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello europeo.

 

In questo contesto si collocano diverse disposizioni del decreto in esame. In particolare, si vedano:

§          l’art. 62, che prevede un divieto per gli enti territoriali di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati nonché di ricorrere a determinate forme di indebitamento;

§          l’art. 76 che reca misure dirette alla riduzione e alla razionalizzazione della spesa di personale degli enti locali;

§          l’art. 77, che definisce la misura del concorso degli enti territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica,

 

Con più specifico riferimento agli interventi contenuti nel decreto, che recano misure volte al sostegno o al rilancio dell'economia, si ricorda che - secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale - l'attribuzione alla legislazione esclusiva dello Stato della competenza in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e) Cost.), pur non attribuendo in toto  gli interventi in materia di sviluppo economico alla competenza dello Stato, tuttavia «evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese».

In questo contesto, nell’attuale quadro costituzionale, l'intervento statale trova una giustificazione nella sua rilevanza macroeconomica e – entro tali limiti - è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall'ordinamento comunitario, purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio economico generale».

 

In proposito la Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 14 del 2004, ha chiarito che “l’aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest’ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali”.

La successiva giurisprudenza della Corte ha confermato e sviluppato tali principi (si vedano, da ultimo, le sentenze n. 430/2007, 431/2007, 443/2007 e 452/2007).

 

A tale ambito materiale sono, in particolare, riconducibili diverse disposizioni del provvedimento:

§         l’art. 6, che reca misure di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese;

 

L’ascrivibilità alla materia della tutela della concorrenza delle misure agevolative volte a promuovere i prodotti italiani all’estero è, in particolare,  affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2005.

 

§         l’art. 10 che inserisce le infrastrutture relative al settore energetico e delle reti di telecomunicazione, tra i progetti di investimentoprioritari ai fini dei finanziamenti a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca;

§         l’art. 43, che reca norme di semplificazione degli strumenti di attrazione di investimenti e di sviluppo delle imprese;

 

Per quanto riguarda le singole disposizioni, rilevano altresì ulteriori ambiti materiali attribuibili alla competenza legislativa esclusiva o concorrente dello Stato:

 

Quanto agli ambiti rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi del secondo comma dell’art. 117 Cost., assumono, in particolare, rilievo le seguenti materie:

§         “politica estera e rapporti internazionali dello Stato”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione;

§         “rapporti dello Stato con l’Unione europea”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione;

§         “difesa e Forze armate”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera d) della Costituzione;

§         “moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione;

§         “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera g) della Costituzione;

§         “anagrafi”, di cui alla lettera i) della Costituzione;

§         “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione;

§         “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione;

La competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è espressamente richiamata dal provvedimento in esame con riferimento a due disposizioni in materia di semplificazione amministrativa, gli art. 30 e 38 del decreto, riferiti rispettivamente alla semplificazione dei controlli ambientali e allo sportello unico per le attività produttive (c.d. “impresa in un giorno”).

§         “norme generali sull’istruzione”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera n) della Costituzione;

§         “previdenza sociale”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera o) della Costituzione;

§         “organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane”, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione;

§         “pesi, misure e determinazione del tempo”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione;

§         “coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione;

§         “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione;

 

Sempre con riferimento a singole disposizioni, possono altresì rilevare, tra le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma Cost.:

§         “commercio con l’estero”;

§         “tutela e sicurezza del lavoro”;

§         “istruzione”;

§         “ricerca scientifica e tecnologica” e “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”;

§         “tutela della salute”

§         “protezione civile”;

§         “governo del territorio”;

§         “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”;

§         “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e “promozione e organizzazione di attività culturali”;

 

Con riferimento a specifiche disposizioni del provvedimento si osserva quanto segue.

 

Gli art. 11 e 13, che prevedono rispettivamente l’adozione di un piano nazionale di edilizia abitativa e misure volte alla valorizzazione del patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, intervengono in ambiti materiali in cui si realizza un intreccio tra le competenze legislative statali e regionali.

 

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 94/2007 ha evidenziato che “dopo il mutamento della sistematica costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni – la materia dell’edilizia residenziale pubblica si estende su tre livelli normativi. Il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come precisato di recente da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale”.

 

Le disposizioni in esame, peraltro, prevedono un forte coinvolgimento delle autonomie territoriali.

L’art. 11 richiede infatti il raggiungimento di una intesa in sede di Conferenza unificata sulla proposta di piano per l’edilizia abitativa,

L’art. 13 si limita invece a prevedere che vengano promossi accordi con regioni ed enti locali per la valorizzazione del patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari.

 

Si segnala che con la ricordata sentenza n. 94/2007, era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 597 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 (n. 266/2005), che prevedeva una misura di valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli IACP analoga a quella prevista dall’art. 13 del decreto in esame. L’individuazione delle modalità di semplificazione non era tuttavia demandata alla conclusione di accordi con regioni ed enti locali, bensì ad un D.P.C.M., che interveniva al di fuori degli ambiti di competenza esclusiva dello Stato.

 

L’art. 18, co. 1, prevede che le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica debbano adottare provvedimenti per individuare criteri e modalità di reclutamento del personale e di conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi previsti in via generale per le pubbliche amministrazioni dall’articolo 35, co. 3, del D.Lgs. 165/2001.

Al riguardo, pare opportuno un approfondimento al fine di verificare se la norma, in ragione delle sue evidenti finalità di garanzia dell’efficiente e trasparente utilizzo delle risorse pubbliche, possa costituire una norma di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo co., Cost. o rientrare nell’ambito della disciplina delle funzioni fondamentali degli enti locali, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.

 

Con riferimento agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, si ricorda preliminarmente che la Corte ha ammesso interventi legislativi dello Stato in materia di servizi pubblici locali nella misura in cui essi erano riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (v. sentenza n. 272/2004).

Con specifico riferimento alla disposizione in esame, si segnala, peraltro, che con la sentenza n. 29 del 2006 la Corteha dichiarato infondata la questione diillegittimità costituzionale di una disposizione di una legge regionale che prevedeva che le società a capitale interamente pubblico, affidatarie di un servizio pubblico locale fossero obbligate al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente.

In quella sede la Corte evidenziò come la norma non rientrasse nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e  fosse finalizzata a dare applicazione ai principi contenuti nell’art. 97 della Costituzione rispetto ad una società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, poteva essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici.

 

L’art. 23 interviene sulla disciplina del contratto di apprendistato, che – come più volte evidenziato dalla Corte Costituzionale (v. subito infra) - si colloca al confine di una pluralità di ambiti materiali, rimessi in parte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (“ordinamento civile”), in parte alla competenza delle regioni (“formazione professionale”) e in parte alla competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni (“tutela del lavoro” e “istruzione”).

 

Nell’esaminare la disciplina dell’apprendistato introdotta dal D.Lgs. 276/2003 ed i principi della relativa delega legislativa, contenuti nella L. 30/2003 (c.d. Legge Biagi), la Corte Costituzionale - con la sentenza n. 50/2005 - ha innanzitutto precisato che i contratti a contenuto formativo, “tradizionalmente definiti a causa mista, rientrano pur sempre nell’ampia categoria dei contratti di lavoro, la cui disciplina fa parte dell’ordinamento civile e spetta alla competenza esclusiva dello Stato”. Rientra, inoltre, in tale ambito materiale anche la formazione professionale che i datori di lavoro somministrano in azienda (c.d. formazione aziendale), in quanto essa si colloca all’interno del sinallagma contrattuale.

La competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi.

La Corte ha inoltre precisato che i contratti a contenuto formativo sono caratterizzati da un collegamento permanente con l’ordinamento dell’istruzione, come dimostra il fatto che il contratto di apprendistato è utilizzabile anche per percorsi di alta formazione, la cui disciplina è rimessa allo Stato per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione, mentre per il resto rientra nella competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni.

Tale ricostruzione ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza costituzionale, nella quale la Corte ha più volte ribadito come la formazione all’interno delle aziende rientri nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, mentre la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materiadi istruzione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l’istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni (in questo senso v. anche le sentenze nn. 406/2006, 425/2006, 21/2007 e 24/2007).

La Corte Costituzionale ha inoltre precisato come un intervento legislativo dello Stato in materia – proprio perché incidente su plurime competenze tra loro inestricabilmente correlate – deve prevedere strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 51/2005).

Alla luce di tale riparto di competenze, vanno quindi valutate le disposizioni dell’articolo in esame, con particolare riferimento al comma 4, il quale prevede che l’apprendistato di alta formazione possa essere attivato con apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le università e le altre istituzioni formative qualora le regioni non abbiano adottato una regolamentazione al riguardo.

 

Gli artt. 30 e 38 recano misure in materia di semplificazione di controlli ed adempimenti amministrativi, che – come si è detto – sono espressamente individuate dal legislatore come finalizzate alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Più in particolare, l’art. 30 prevede che, per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi e le ulteriori attività amministrative di verifica previste per l’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività. L’individuazione delle tipologie dei controlli e degli ambiti interessati dall’applicazione della disposizione e delle sue modalità attuative è rimessa ad un regolamento di delegificazione.

L’art. 38 demanda a un regolamento di delegificazione, da adottare su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa, la semplificazione e il riordino della disciplina dello sportello unico delle attività produttive di cui al D.P.R. 447/1998.

Con riferimento a tali disposizioni sembrano rilevare – oltre alla finalità di garanzia dei livelli essenziali esplicitata dalle norme stesse - anche le materie “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” e “coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale”, riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, rispettivamente lett. g) e r).

Anche in considerazione del fatto che non sono previste forme di coinvolgimento delle autonomie territoriali nell’adozione degli atti regolamentari cui è demandata la concreta definizione della normativa in esame, sembra peraltro necessario un approfondimento al fine di verificare se gli adempimenti oggetto della semplificazione prevista rientrino anche nell’ambito di materie attribuite alla competenza legislativa regionale.

Detto approfondimento appare in particolare opportuno con riferimento alla disciplina dello sportello unico per le imprese, nel quale confluiscono e si coordinano atti ed adempimenti facenti capo a diverse competenze e responsabilità delle amministrazioni deputate alla cura degli interessi pubblici coinvolti.

 

Al riguardo, si ricorda che la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle province autonome, nel parere espresso il 23 settembre 2004 sullo schema originario del disegno di legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005 (AC 5864, ora legge n. 246 del 2005), sollevò perplessità sulla norma di delega in materia di semplificazione degli adempimenti amministrativi delle imprese (art. 5), segnalando tra l’altro la necessità di individuare una soluzione tecnico-giuridica che consenta di salvaguardare le competenze legislative regionali attinenti all’articolata materia della liberalizzazione dell’attività di impresa e demandate alla loro competenza concorrente o esclusiva.

In relazione a tale parere, il Governo ha introdotto il comma 2 dell’articolo 5 della citata legge n. 246 del 2005, il quale prevede l’adozione di intese o accordi tra Governo e regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, finalizzati a favorire il coordinamento dell’esercizio delle competenze statali e regionali in materia (in primo luogo, normative). Uno degli obiettivi specifici di tale disposizione è proprio quello di assicurare la rimozione degli ostacoli alla piena operatività degli “sportelli unici” per le imprese, nonché lo sviluppo dell’operatività degli stessi (v. lett. f)).

Sul punto si vedano altresì i pareri espressi nella scorsa legislatura dalle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato sulla proposta di legge (A.C. 1428 - A.S. 1532), recante modifiche alla normativa sullo sportello unico per le imprese e disciplina dell' avvio dell' attività di impresa, che richiamavano la necessità di un maggior coinvolgimento delle autonomie territoriali nella definizione della disciplina dello sportello unico.

 

L’art. 58 prevede che regioni, province, comuni e altri enti locali predispongano un “Piano delle Alienazioni immobiliari”, individuando con delibera dei rispettivi organi esecutivi, i singoli beni immobili non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali che ricadono nel territorio di propria competenza.

 

Disposizioni di analogo tenore sono contenute nel decreto-legge n. 351 del 2001, Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, che rimetteva ad appositi decreti dirigenziali dell'Agenzia del demanio l’individuazione dei beni immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici non territoriali, dei beni ubicati all'estero e di quelli, non strumentali, attribuiti a società integralmente controllate dallo Stato, distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile.

Il co. 6 dell’art. 1 di detto decreto prevedeva peraltro che esso si applicasse ai beni di regioni, province, comuni ed altri enti locali solo qualora essi che ne facessero richiesta.

 

La disposizione in esame individua in modo dettagliato i caratteri dell’intervento, prevedendo analiticamente l’imposizione di specifiche procedure amministrative per l’adozione del piano (individuando anche l’organo competente per la sua adozione), nonché le modalità che gli enti territoriali debbono utilizzare per la valorizzazione dei propri beni.

Anche alla luce di tali caratteristiche della disposizione, dovrebbe valutarsi se i suoi contenuti possano rappresentare “principi generali” in materia di attribuzione del patrimonio a Comuni, Province, Città metropolitane e regioni e, pertanto, rientrare nella competenza legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 119, sesto co., Cost. ovvero possano, comunque, ritenersi norme recanti principi di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo co. dell’art. 117 Cost..

 

L’art. 61 conferisce alle sezioni regionali della Corte dei conti un generale potere di controllo concomitante sulla gestione delle amministrazioni regionali, che può essere attivato anche d’ufficio dalla Corte (attraverso un concerto tra la sezione regionale e il Presidente della Corte) e può determinare la sostanziale inefficacia di atti e provvedimenti amministrativi o, comunque, un obbligo di recepimento da parte dell’amministrazione regionale dei rilievi della Corte.

Sembra al riguardo opportuno, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, un approfondimento in ordine all’incidenza delle forme di controllo contabile previste dall’articolo in esame nell’ambito della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle autonomie regionali.

 

Con riferimento alla compatibilità con il quadro costituzionale a seguito della modifica del Titolo V della Parte II Costituzione di disposizioni statali che introducono forme di controllo contabile sugli enti territoriali, si segnala in particolare che con la sent. 179/2007, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 1, commi 166-169, della legge finanziaria per il 2006.

Al riguardo, la Consulta ha avuto modo di evidenziare come dette norme “introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost.”.

In questo contesto, la Corte ha sottolineato la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme della finanziaria per il 2006, che si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie. C’è, dunque – secondo la Corte – una netta separazione tra la funzione di controllo della Corte dei conti e l’attività amministrativa degli enti, che sono sottoposti al controllo stesso, né la Corte ritiene possa dirsi che la vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l’attività di vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l’effettività del controllo stesso.

Pertanto, la Consulta ritiene che, alla luce del fatto che il controllo sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, ed è utile per soddisfare l’esigenza degli equilibri di bilancio, la previsione da parte di una legge dello Stato del controllo in esame rientri nella competenza propria di quest’ultimo di dettare principi nella materia concorrente della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.).

 

Il comma 29 dell’art. 81 prevede listituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti destinato in via prioritaria al soddisfacimento delle esigenze di natura alimentare e, successivamente, anche a quelle di carattere energetico. Il successivo comma 31 rimette ad un decreto del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, la definizione delle modalità di utilizzo del Fondo per la erogazione di aiuti eccezionali in presenza di effettive situazioni di bisogno.

I commi 32-38 dell’art. 81 “al fine di soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di particolare bisogno” istituiscono e disciplinano la carta acquisti, concessa, con onere a carico dello Stato, ai cittadini residenti richiedenti che versano in condizione di maggior disagio economico, individuati sulla base di specifici criteri, per l’acquisto di beni alimentari e di servizi di carattere energetico.

La definizione dei titolari del beneficio, dell’ammontare dello stesso e delle modalità del suo utilizzo viene demandata ad un decreto ministeriale.

 

Per entrambi questi gruppi di disposizioni, che non prevedono forme di coinvolgimento delle autonomie regionali né sotto il profilo della definizione degli interventi, né sul versante attuativo, appare rilevante verificare, con riferimento alle questioni attinenti al riparto delle competenze legislative, se essi possano presentare profili che incidono nell’ambito materiale attinente ai servizi sociali e all’assistenza, che rientra nella competenza legislativa regionale prevista dall’art. 117, quarto comma, Cost.

 

In proposito, si segnala che nella sentenza n. 287 del 2004, relativa al c.d. bonus bebè previsto dall’art. 21 del D.L. 269/2003, la Corte Costituzionale ha evidenziato come nel nostro ordinamento la nozione di "servizi sociali" debba, innanzi tutto, essere dedotta alla L. 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la quale, all’art. 1, co. 1, nel fissare i principi generali e la finalità della legge, ha affermato che "la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione".

L’articolo 128 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, richiamato dall’art. 1, co. 2, della L. 328/2000, precisa inoltre come per "interventi e servizi sociali” si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.

Anche alla luce di tali enunciati normativi la Corte rileva “la sussistenza di un nesso funzionale tra i servizi sociali, quali che siano i settori di intervento (ad esempio famiglia, minori, anziani, disabili), e la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona”.

Tale ricostruzione ha trovato successivamente conferma nella successiva giurisprudenza costituzionale in materia (v. in particolare le sentenze n 423/2004 e n. 50/2008).

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Con riferimento alle abrogazioni disposte dall’art. 24 del decreto si segnale che al n. 1511 dell’Allegato A si dispone l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni concernente la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti, di cui aldecreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1954, n. 1217 il quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza 4-10 aprile 1962, n. 32.

Al riguardo, si ricorda che ai sensi dell’art. 136, primo comma, Cost. “quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.

 

L’art. 30, terzo co. della L. 87/1953 precisa che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.

 

Andrebbe quindi valutato quali effetti giuridici possano conseguire all’abrogazione di una disposizione alla quale è, comunque, impedito di produrre effetti anche con riferimento a rapporti sorti precedentemente alla dichiarazione di incostituzionalità.

 

L’art. 37, co 2, interviene sul T.U. in materia di immigrazione, estendendone l’applicazione anche ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea nel solo caso in cui questo sia previsto da norme di attuazione del diritto comunitario, mentre in precedenza l’applicazione ai cittadini comunitari era prevista in presenza di norme a loro più favorevoli.

La ratio della norma in commento risiede, come esplicitato nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione, nell’intenzione di escludere i cittadini comunitari dal miglior trattamento previsto – in particolari situazioni – per i cittadini extracomunitari con specifico riguardo al settore sanitario.

L’abolizione della clausola – essendo riferita all’intero campo di applicazione del testo unico, potrebbe peraltro incidere in diversi settori (ad es. protezione sociale, accesso all’abitazione, diritto allo studio).

L’ambito di efficacia della disposizione appare non facilmente determinabile a priori, in considerazione del fatto che l’art. 19 del D.Lgs. 30/2007 dispone (co. 2) che ogni cittadino dell'Unione residente, in base al decreto, nel territorio nazionale “gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato”, derogando a tale principio (co. 3) solo con riguardo al diritto a prestazioni di assistenza sociale nei primi tre mesi di soggiorno o comunque in caso di ingresso finalizzato alla ricerca di un posto di lavoro.

Sembra in ogni caso opportuna una valutazione, alla luce del principio costituzionale di ragionevolezza, della disparità di trattamento tra cittadini dell’Unione e cittadini di altri Stati che, quanto meno in ipotesi, la disposizione appare suscettibile di determinare.

 

L’art. 60, co. 6 – con una disposizione pressoché identica a quella recata dall’art. 5, co. 3, del D.L. 27 maggio 2008, n. 93, Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, a seguito delle modifiche introdotte nel corso dell’esame da parte della Camera–  reca una norma generale di flessibilità del bilancio, che in via sperimentale, fino alla riforma della legge di contabilità nazionale, e nel rispetto dell’obiettivo di consolidare l’articolazione di ciascuno stato di previsione per missioni e programmi, consente di rimodulare tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa”, con la sola eccezione delle spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito.

La disposizione andrebbe valutata alla luce del complessivo quadro delle decisioni di bilancio definito dall’articolo 81 della Costituzione, considerando, segnatamente, come esso autorizzi di fatto a:

§         modificare (anche) con un atto amministrativo, autorizzazioni di spesa stabilite con norma primaria (non è infatti esclusa la possibilità di effettuare variazioni compensative in relazione a spese predeterminate da leggi) ovvero

§         rimodulare gli stanziamenti di unità previsionali di base, anche relative a programmi che interessano diversi stati di previsione (e determinando quindi un trasferimento di risorse tra diverse amministrazioni), oggetto di deliberazione parlamentare in sede di esame del bilancio di previsione.

La disposizione precisa, peraltro, che gli schemi dei decreti aventi ad oggetto rimodulazioni sono trasmessi al Parlamento per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Nel caso in cui si operino rimodulazioni di dotazioni direttamente determinate da disposizioni di legge, il parere parlamentare, limitatamente ai profili finanziari, ha carattere vincolante.

In proposito si ricorda che il comma 507 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2007 (L. 297/2006), prevede - a fronte dell’accantonamento e della conseguente indisponibilità di una quota delle dotazioni delle unità previsionali di base iscritte nel bilancio dello Stato, anche con riferimento alle autorizzazioni di spesa predeterminate legislativamente, relativamente a determinate categorie economiche - la possibilità, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare su proposta dei Ministri competenti, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, di rimodulare in via compensativa gli accantonamenti all’interno degli stati di previsione dei singoli Ministeri (le singole Amministrazioni sono state in sostanza autorizzate a proporre variazioni compensative al fine di determinare scelte allocative all’interno del medesimo comparto).L’articolo 22, comma 19, della L. 245/2007  (Legge di bilancio 2008) autorizza inoltre variazioni compensative tra capitoli delle unità previsionali di base afferenti il medesimo stato di previsione, fatta comunque eccezione per le autorizzazioni di spesa di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate con legge.