Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Osservatorio legislativo e parlamentare
Titolo: Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione - A.C. n. 2105 - Elementi di valutazione sulla qualità del testo
Riferimenti:
AC N. 2105/XVI     
Serie: Note per il Comitato per la legislazione    Numero: 42
Data: 12/03/2009
Descrittori:
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA   FEDERALISMO
SISTEMA TRIBUTARIO     
Organi della Camera: Comitato per la legislazione

 

12 marzo 2009

 

n. 42

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,
in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione

A.C. n. 2105

Elementi di valutazione sulla qualità del testo

 

 

Numero del progetto di legge

2105

Titolo

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione

Iniziativa

Governo

Iter al Senato

Numero di articoli

27

Date:

 

adozione quale testo base

--

richiesta di parere

3 marzo 2009

Commissione competente

Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze)

Sede e stato dell’iter

All’esame delle Commissioni riunite in sede referente

Iscrizione nel programma dell’Assemblea

Sì (dal 16 marzo)

 

 


Contenuto

Il disegno di legge delega in esame reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. In questo quadro, uno degli obiettivi principali del disegno di legge è il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali. A tal fine il disegno di legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, il disegno di legge distingue tra le spese connesse alle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione – per le quali si prevede l’integrale copertura del fabbisogno – e le spese connesse alle altre funzioni, per le quali si prevede la perequazione delle capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione.

Tra le funzioni riconducibili al suddetto vincolo costituzionale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione sono comprese la sanità, l’assistenza e l’istruzione, quest’ultima limitatamente alle spese per i servizi e le prestazioni inerenti all’esercizio del diritto allo studio, nonché per le altre funzioni di carattere amministrativo già ora attribuite alle regioni. Per tali funzioni, concernenti diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni.

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo. Conseguentemente, è prevista l’eliminazione dal bilancio statale delle previsioni di spesa per il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali (tranne le spese per i fondi perequativi e le risorse per gli interventi speciali).

Il disegno di legge reca pertanto i criteri direttivi volti ad individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei princıpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali, definendo un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.

Alle regioni, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, viene attribuito un complesso di poteri, quali quello di istituire tributi regionali e locali, determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che gli enti locali possono applicare nell’esercizio della loro autonomia, nonché istituire a favore di enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali.

Tra gli altri criteri direttivi di carattere generale si ricordano il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, finalizzato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa delle funzioni fondamentali, nonché la previsione del coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

Viene prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione - ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario, ovvero di scioglimento degli organi nei casi più gravi. Per gli enti che non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni ovvero l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali, le misure sanzionatorie possono determinare anche l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione.

Il disegno di legge delinea, infine, la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e in ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge il termine per la l’adozione degli altri.

 

Dopo che l’articolo 1 ha individuato l’ambito generale di intervento, l’articolo 2 detta le linee fondamentali, già ricordate, del nuovo sistema.

Le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delegasul federalismo fiscale.

Gli organi, collocati in una posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), sono i seguenti:

§    Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (articolo 3);

§    Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (articolo 4);

§    Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (articolo 5).

L’articolo 6 amplia invece le competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.

 

Per quanto concerne l’autonomia finanziaria delle regioni, le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate e disciplinate – con principi e criteri specifici – dal capo II del disegno di legge, che ha riguardo particolare alla finanza delle regioni a statuto ordinario, dal comma 2 dell’articolo 1 e dall’articolo 25, che hanno riguardo all’assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome e dall’articolo 19, che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema con principi posti per il complesso delle regioni e criteri direttivi formulati per l’attuale sistema di finanza delle regioni a statuto ordinario.

Gli articoli 7, 8, 9 e 10 costituiscono il complesso unitario dei criteri in base ai quali il legislatore delegato è chiamato a disciplinare il futuro assetto della finanza delle regioni a statuto ordinario: l’articolo 7 disciplina le entrate, indicando quale sia la natura e la misura delle risorse da attribuire; l’articolo 8 concerne il rapporto che intercorre fra il finanziamento delle funzioni esercitate e il livello delle spese che esse determinano; l’articolo 9 prevede l’istituzione di un fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante;; l’articolo 10 riguarda infine la conversione degli attuali tributi e compartecipazioni delle regioni ordinarie alla disciplina che sarà dettata dai futuri decreti delegati.

Gli articoli 10 e 19 disciplinano il passaggio dall’assetto attuale a quello futuro: l’uno per la trasformazione delle norme che regolano attualmente la finanza delle regioni a statuto ordinario, l’altro per far si che il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei fabbisogni avvenga gradualmente e progressivamente.

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano il comma 2 dell’articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l’articolo 25, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali; l’articolo 14, recante i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane; l’articolo 21, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale».

La disciplina speciale dettata dall’articolo 25 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca – con esclusione degli altri – i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. 

Per quanto concerne l’autonomia finanziaria degli enti locali, il nuovo assetto finanziario è definito dagli articoli 11, 12, 13 e 14 del disegno di legge. Gli articoli 20 e 22 recano le disposizioni da applicarsi nel periodo transitorio, con riferimento, rispettivamente, al comparto dei comuni e delle province e alle città metropolitane.

Per quanto concerne l’autonomia di entrata degli enti locali, il provvedimento demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei comuni e delle province. Anche la regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, può istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.

Nell'attuazione della delega, la legge statale può inoltre sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a comuni e province tributi o parti di tributi già erariali. E’ prevista peraltro la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi, entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di “flessibilità fiscale”.

Infine, per i comuni e le province sono previsti “tributi di scopo”, che l’ente può applicare in riferimento a particolari finalità.

Con riferimento alle città metropolitane è previsto uno specifico decreto legislativo relativo all’assegnazione a tali enti dei tributi e delle entrate proprie. L’articolo 22 reca inoltre una disciplina di natura ordinamentale finalizzata alla prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma (della quale si occupa ilsuccessivo articolo 23). Tale disciplinarimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge organica che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane.

Le modalità di finanziamento di comuni, province e Città metropolitane è strutturato sulla base di una classificazione delle spese in tre tipologie:

a)     spese riconducibili alle funzioni "fondamentali", ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale;

b)     spese relative alle “altre funzioni”, non riconducibili a quelle fondamentali;

c)     spese che, prescindendo dall’oggetto delle funzioni, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.

I criteri generali di delega prevedono il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi criteri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali: il fabbisogno standard, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.

Per le spese connesse alle funzioni fondamentali è prevista la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard.

Il finanziamento deve essere assicurato, in via prioritaria, dal gettito derivante da tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e da addizionali a tributi erariali e regionali. Il disegno di legge individua espressamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere specificamente destinate al finanziamento delle funzioni fondamentali. In particolare, per i comuni è fatto riferimento, in via prioritaria, al gettito derivante dalla compartecipazione all’IVA, alla compartecipazione all’IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale.

È rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l’applicazione dei tributi loro assegnati in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.

Il finanziamento integrale è assicurato dall’intervento del fondo perequativo. Il provvedimento prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato.

Con riferimento al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni "non fondamentali" non è previsto il finanziamento integrale. Il disegno di legge stabilisce che esse siano finanziate con i tributi propri, con le compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo. A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato soltanto sulla capacità fiscale per abitante ed è espressamente diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.

Per gli enti locali con minor popolazione, la perequazione è effettuata tenendo conto di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell’ente a forme associative.

 

L’articolo 23 affronta poi il tema dell’attuazione dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione, ove si dispone che la legge dello Stato disciplini l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica. Tale disciplina, sotto il profilo ordinamentale oltre che finanziario, è definita dall’articolo in via transitoria, in attesa che l'attuazione della disciplina sulle città metropolitane determini l'istituzione della città metropolitana di Roma capitale.

Nel frattempo, l’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale denominato “Roma capitale”, dotato di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria ad esso attribuita in ragione delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali, nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri.

A Roma capitale sono attribuite ulteriori funzioni amministrative, in aggiunta a quelle già spettanti al comune di Roma, da esercitare mediante regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma, ridenominato “Assemblea capitolina”

Ampia parte della disciplina di Roma capitale – e segnatamente quella relativa ai profili finanziari e patrimoniali e quella concernente i raccordi istituzionali e le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma – è rimessa a un decreto legislativo da approvare nell’ambito dell’esercizio della delega prevista dal disegno di legge in esame.

 

L’articolo 15 del disegno di legge, richiamando l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione in merito alla destinazione delle risorse aggiuntive e agli interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, enuncia i princìpi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato dovrà fare riferimento nel predisporre i decreti attuativi. Dovranno essere definite le modalità per cui tali interventi saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti comunitari non potranno avere valenza sostitutiva dei contributi speciali dello Stato. Dovrà essere prevista la confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il loro vincolo finalistico.

I decreti delegati dovranno considerare le specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica, alla prossimità al confine con Stati esteri o con regioni a statuto speciale, alla qualifica di territorio montano o di isola minore.

I decreti dovranno individuare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona. Gli obiettivi e i criteri annuali saranno disciplinati con i provvedimenti annuali che definiranno la manovra finanziaria e che determineranno l’ammontare delle risorse.

Anche l’articolo 21 richiama l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, prevedendo una ricognizione degli interventi infrastrutturali ad esso riconducibili previsti da norme vigenti, che riguardino la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, e le strutture portuali ed aeroportuali. Vengono, pertanto, indicati i principi e criteri direttivi in base ai quali effettuare la ricognizione. Successivamente alla ricognizione, al fine di recuperare il deficit infrastrutturale esistente, saranno individuate le opere da inserire nel “Programma delle infrastrutture strategiche”, annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), tenendo conto anche della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.

 

L’articolo 18 reca i principi e criteri direttivi finalizzati all’attribuzione alle Regioni e agli Enti locali di un proprio patrimonio, in conformità a quanto previsto dall’ultimo comma dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Per quanto concerne il coordinamento della spesa pubblica, il disegno di legge (articoli 16 e 17) prevede il concorso di tutti i livelli di governo al conseguimento degli obiettivi della politica di bilancio nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai Trattati internazionali.

Nel nuovo assetto delle relazioni economico-finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali prefigurato dal disegno di legge, il coordinamento della finanza pubblica assume un ruolo centrale e si estende anche al monitoraggio e al controllo dei livelli, dei costi e della qualità dei servizi pubblici.

In tale prospettiva, il Patto di stabilità interno, sinora adottato per definire l’entità del concorso dei diversi enti territoriali agli obiettivi della politica di bilancio, dovrebbe essere ricondotto nell’ambito del “Patto di convergenza” previsto dall’articolo 17 del disegno di legge, consistente in un insieme di regole per il coordinamento dinamico della finanza pubblica che il Governo è chiamato a definire annualmente nell’ambito della legge finanziaria.

Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il disegno di legge prevede, all’articolo 5, l’istituzione di una specifica Conferenza permanente.

Qualora l’attività di monitoraggio del Patto di convergenza rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare – previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante – un procedimento correttivo denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”.

 

Tipologia del provvedimento

Si tratta di un disegno di legge approvato dal Senato in prima lettura (A. S. 1117), attualmente all’esame della Camera. Esso è sottoposto all’esame del Comitato ai sensi dell’articolo  16-bis, comma 6-bis, del regolamento, in quanto contenente  disposizioni di delega al Governo.

Il disegno di legge è stato presentato dal Governo al Senato il 15 ottobre 2008, antecedentemente alla pubblicazione ed entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 11 settembre 2008, n. 170, che reca una disciplina a regime dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR). Esso è comunque corredato sia della relazione sull’analisi tecnico-normativa (ATN), sia della relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).

 

Collegamento con lavori legislativi in corso

E’ in corso d’esame presso la Commissione Affari costituzionali del Senato una proposta di legge (A. S. 1208) recante delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali. Anche il Governo ha preannunciato la presentazione di un disegno di legge sull’argomento.

 

 

Omogeneità delle disposizioni

Il provvedimento in esame reca 27 articoli, raccolti in dieci capi, finalizzati, attraverso un complesso procedimento di delega, a fissare un nuovo assetto finanziario nei rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, relativo al cosiddetto “federalismo fiscale”.

 

Coordinamento con la legislazione vigente e semplificazione

L’articolo 2, comma 2, lettera b) indica – tra i principi e criteri direttivi generali della delega – la “lealtà istituzionale tra tutti i livelli di governo”. Si tratta di un concetto che non trova riscontri né nel diritto positivo né nella giurisprudenza della Corte costituzionale, dove è invece diffuso il principio – di significato molto prossimo – di “leale cooperazione”.

L’articolo 2, comma 2, nell’ambito dei principi e criteri direttivi generali della delega, indica, alla lettera i), la “coerenza con i principi di cui all’articolo 53 della Costituzione” e, alla lettera m), il “rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Trattandosi del rispetto di principi costituzionali, la loro osservanza sarebbe comunque necessaria anche in assenza di specifiche previsioni.

L’articolo 2, comma 2, lettera o) indica – tra i principi e criteri direttivi generali della delega – la “continenza e responsabilità nell’imposizione di tributi propri” da parte degli enti locali. Il termine “continenza” – nell’accezione qui utilizzata –  risulta un neologismo, di cui andrebbero meglio specificati gli elementi contenutistici.

 

L’articolo 5, nel prevedere l’istituzione – nell’ambito della Conferenza unificata – della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sembra superare la cornice tracciata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che individua nelle tre Conferenze ivi previste (Stato-Regioni, Stato-città e autonomie locali ed Unificata) gli unici soggetti chiamati ad intervenire in tutti i processi decisionali di interesse regionale e delle autonomie.

 

L’articolo 17 prevede un nuovo istituto –denominato “patto di convergenza” – volto a garantire un”coordinamento dinamico” della finanza pubblica finalizzato ad agevolare, tra l’altro, il riallineamento dei costi e dei fabbisogni dei vari livelli di governo. La norma in esame prefigura nella sostanza un ampliamento del contenuto tipico della legge finanziaria, vincolando l’iniziativa legislativa del Governo all’inserimento nel relativo disegno di legge sia di regolazioni programmatiche di tipo quantitativo dei flussi finanziari tra Stato ed autonomie territoriali (livello dei saldi, di ricorso al debito e della pressione fiscale), sia di norme, eventualmente anche di carattere ordinamentale, volte ad assicurare la convergenza tra costi e fabbisogni standard ovvero a definire gli obiettivi di servizio per ciascun livello di governo[1]. In proposito, andrebbe valutata l’opportunità di riformulare la disposizione in esame in termini di novella all’articolo 11 della legge di contabilità generale n. 468 del 1978.

Con riguardo alla formulazione della norma, andrebbe valutata l’opportunità di chiarire i soggetti, i tempi e le modalità di avvio e svolgimento della nuova “procedura” diretta a definire le azioni correttive necessarie per il conseguimento degliobiettivi di convergenza. Andrebbe, inoltre, valutata l’opportunità di coordinare tali disposizioni con quelle concernenti la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 5, alla quale sono demandati una serie di compiti strettamente connessi con le norme in oggetto, quali, ad esempio, la verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza.

 

L’articolo 23, comma 4 reca l’innovativa previsione della pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale” dello statuto di Roma capitale (che peraltro entrerebbe in vigore alla data della sua pubblicazione, senza decorrenza della ordinaria vacatio legis di quindici giorni). Si segnala in proposito che l’articolo 6 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali stabilisce, al comma 5, che gli statuti comunali e provinciali vengano pubblicati nel Bollettino ufficiale della regione.  Inoltre, il testo unico delle disposizioni sullapromulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblicae sullepubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, di cui al DPR 28 dicembre 1985, n. 1092, individua gli atti da pubblicare nella “Gazzetta Ufficiale” ed andrebbe quindi valutata l’opportunità di riformulare la previsione relativa alla pubblicazione dello statuto di Roma capitale come novella al citato testo unico, anche al fine di preservarne i caratteri di organicità.

 

L’articolo 24, comma 1, lettera a), nell’indicare i principi e criteri direttivi cui il Governo si deve attenere in ordine alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni, prevede, tra l’altro, “adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate”.Si rileva, in  proposito, che l’assetto territoriale dell’Agenzia delle entrate prevede, attualmente, la presenza di “Direzioni regionali” e non di “Agenzie regionali”. Andrebbe dunque valutata l’opportunità di chiarire i motivi per cui la norma rechi tale ultima dizione.

 

Chiarezza e proprietà della formulazione del testo

Procedure di emanazione dei decreti legislativi

L’articolo 2, comma 3 dispone che “gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all’articolo 3 [la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale] e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario”. Si segnala, in proposito, che, in un caso analogo[2], il Comitato per la legislazione ha ravvisato  che “la previa intesa prevista, finalizzata ad una stesura di un testo condiviso tra Governo statale e Giunte regionali,  rende potenzialmente meno incisivo il successivo parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari”. Nel medesimo parere, il Comitato ha dato conto delle precedenti occasioni in cui è stata prevista – senza  trovare compiuta realizzazione – una procedura analoga:

- in tre casi la delega non è stata esercitata: articolo 24, comma 2 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo); articolo 1, comma 2, della legge 28 marzo 2003, n. 53, in materia di istruzione e formazione professionale; articolo 6 della legge 31 marzo 2005, n. 56 (che ha aggiunto ulteriori commi all’articolo 9 della legge 29 luglio 2003, n. 229, recanti delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese);

 - all’articolo 6 della legge 8 luglio 2003, n. 172, recante delega al Governo per l’emanazione del codice sulla nautica da diporto, è stata data attuazione con il decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, che nel preambolo fa riferimento all’acquisizione del parere (in luogo dell’intesa) della Conferenza unificata;

- alla delega di cui all’articolo 4 della citata legge n. 53/2003, in materia di alternanza scuola-lavoro, è stata data attuazione con il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, il cui preambolo dà conto della “mancata intesa”[3].

Con riguardo al termine per l’espressione del parere e la possibilità di richiedere una proroga, andrebbe valutata l’opportunità di coordinare la disposizione in esame  (articolo 2, comma 3)  con l’articolo 3, comma 4, che prevede la possibilità – per la sola Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale – di ottenere una proroga di venti giorni per l’adozione del parere di sua competenza.

Sempre con riguardo a tale questione,  si segnala inoltre che:

§      la richiesta di proroga può essere avanzata nel caso in cui la materia oggetto degli schemi didecreto legislativo sia particolarmente complessa oppure quando si verifichi l’assegnazione contemporanea alla Commissione per l’espressione del parere di un elevato numero di atti e non anche, come in altri casi è stato previsto anche in via automatica, senza necessità di una richiesta[4], quando lo schema di decreto sia presentato in prossimità della scadenza del termine per l’esercizio della delega. Si osserva in proposito che l’articolo 2, comma 3 non prevede neppure un termine entro il quale gli schemi dei decreti legislativi devono essere trasmessi alle Camere;

§      sembrerebbe che la proroga si applichi sia al primo sia al secondo dei pareri previsti dall’articolo 2, commi 3 e 4, per i quali il termine è rispettivamente di 60 giorni e di 30 giorni. La disposizione di cui al comma 4 in esame andrebbe peraltro coordinata con quella di cui al comma 4 dell’articolo 2, che autorizza il Governo ad adottare comunque in via definitiva i decreti una volta decorsi trenta giorni dalla trasmissione dello schema (senza alcun richiamo all'ipotesi di richiesta o concessione di proroga).

 

Le disposizioni relative alla procedura di adozione dei decreti legislativi introducono tre innovazioni rispetto alle precedenti disposizioni contenenti deleghe al Governo:

• l’articolo 2, comma 1 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in tema di federalismo fiscale “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”; il comma 6 del medesimo articolo dispone tuttavia che “almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. In questo modo, la complessiva attuazione della delega è condizionata all’adozione di un decreto legislativo in tempi più brevi rispetto  a quelli previsti in via generale. Andrebbe in proposito valutata l’opportunità di riformulare le disposizioni in oggetto, individuando – conformemente a quanto disposto dall’articolo 76 della Costituzione – l’oggetto del decreto legislativo da adottare nel termine più breve di dodici mesi;

• l’articolo 3, comma 1 istituisce la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, chiamata non soltanto a pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi ma anche a verificare lo stato di attuazione della legge, con l’innovativa previsione che “la composizione della Commissione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione”;

• l’articolo 3, comma 2 dispone che la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, prevista dal comma 1 del medesimo articolo, “assicura il raccordo con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell’ambito della Conferenza unificata”. Quest’ultima espressione relativa alla nomina – che spetta alla componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali in seno alla Conferenza unificata – appare innovativa   e sembrerebbe riferita al ruolo dei rappresentanti di ciascun livello territoriale nella Conferenza che, in questo caso, effettuerebbe la nomina non in quanto unificata ma attraverso le sue singole componenti. Si segnala inoltre che si pone innovativamente in capo alla Commissione parlamentare l’obbligo di raccordarsi con un Comitato espressione degli stessi livelli di governo territoriali che già intervengono, peraltro, nella fase della previa intesa sugli schemi dei decreti legislativi.

 

Coordinamento interno del testo

L’articolo 2, comma 2, lettera d) indica – tra i principi e criteri direttivi generali della delega – “il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale”. Lo stesso concetto, in termini diversi, è ripreso sia dall’articolo 7, comma 1, lettera d), n. 5), sia dall’articolo 26, comma 2, lettera c). Andrebbe valutata l’opportunità di un coordinamento tra le tre disposizioni.

L’articolo 11, comma 1, lettera g)contiene due principi di delega con finalità tra loro in apparenza divergenti: mentre per “l’ottimale svolgimento” delle funzioni la dimensione demografica deve essere in via generale consistente (per consentire, ad esempio, la prestazione di servizi a costi unitari minori), la salvaguardia dei piccoli comuni richiede che vengano tutelate anche le dimensioni demografiche numericamente esigue.

All’articolo 12, comma 1, la lettera l) fa riferimento inizialmente ai “comuni virtuosi” e, successivamente, più in generale, alle “politiche di bilancio degli enti locali”. Sembrerebbe che il riferimento corretto debba essere a tutti gli enti locali

All’articolo 13, comma 1, la lettera a) istituisce due fondi perequativi: uno a favore dei comuni ed uno a favore delle province e delle città metropolitane; la lettera f) e la lettera h), nel riferirsi a quest’ultimo, richiamano soltanto le province. Analogo rilievo concerne anche l’articolo 20, comma 1, lettera c).

All’articolo 22 – che reca una normativa transitoria per le città metropolitane “fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge” – andrebbe valutata l’opportunità di individuare con maggiore chiarezza l’efficacia temporale delle disposizioni che riguardano le funzioni e l’attribuzione delle risorse alle medesime città metropolitane di nuova istituzione, dal momento che la formulazione letterale del comma 9 non consente di definire in modo univoco se esso è immediatamente operativo (sia pure “in via provvisoria”) ovvero se la sua efficacia è subordinata all’attuazione della nuova legge in materia; infatti la disposizione in commento fissa la propria efficacia “dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi”, che dovrebbero dunque essere quelli indicati dal comma 7: “La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della cittàmetropolitana, individuati dalla legge” (recante la suddetta disciplina organica);

Analogamente, all’articolo 23 – volto ad introdurre l’ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, anche in questo caso fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane – andrebbe valutata l’opportunità di definire con maggiore nettezza l’ambito temporale di vigenza della disciplina che, da un lato, appare immediatamente operativa in quanto consente al Consiglio comunale (che assume il nome di Assemblea capitolina) di adottare appositi regolamenti per lo svolgimento di ulteriori finzioni amministrative e, dall’altro lato stabilisce, al medesimo comma 4, che il nuovo Statuto di Roma capitale possa essere adottato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo che, ai sensi del comma 5, disciplina “l’ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale”.

Con riguardo al coordinamento tra i citati articoli 22 e 23 – relativi, rispettivamente, all’istituzione delle città metropolitane e all’ordinamento di Roma capitale – andrebbe valutata l’opportunità di specificare che la futura legge prevista dall’articolo 22, comma 1 avrà il compito anche di definire la procedura per l’istituzione, in luogo dell’ente territoriale “Roma capitale”, della città metropolitana di “Roma capitale”. La disposizione da ultimo citata, infatti, che disciplina le modalità per la prima istituzione di otto città metropolitane, non contiene alcun riferimento a Roma.

 

Formulazione del testo

L’articolo 3, comma 5 prevede che la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale sia sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20. Tali articoli stabiliscono in cinque anni la durata della fase transitoria, demandando la specificazione del termine da cui decorre ai decreti legislativi di cui all’articolo 2. In questo modo, la Commissione, pronunciandosi sul complesso degli schemi, avrà modo di pronunciarsi anche sulla propria durata.

All’articolo 4, comma 1, l’espressione “rappresentanti tecnici” appare suscettibile di interpretazioni non univoche. Non risulta in particolare chiaro se essi siano necessariamente dipendenti delle amministrazioni pubbliche oppure se possano anche essere soggetti esterni, da queste designati.

All’articolo 10, andrebbe valutata l’opportunità di fare riferimento, sia nella rubrica sia nell’alinea del comma 1, alle funzioni amministrative trasferite alle regioni.

All’articolo 15, comma 1, la lettera c), nell’indicare i principi e criteri direttivi della delega riguardante gli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, individua la “considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo (…) ai diritti della persona”.

L’articolo 24, comma 8 stabilisce il divieto di operare modifiche, deroghe o abrogazioni implicite delle norme sull’ordinamento transitorio di Roma capitale. Si segnala in proposito che, non potendo una norma di legge vincolare una norma successiva di grado gerarchico equivalente, tale divieto ha una valenza meramente monitoria nei confronti del legislatore.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: Cl042.doc



[1] Il Patto di convergenza sembrerebbe configurarsi, pertanto, come una sorta di Patto di stabilità interno dai contenuti più estesi, da definire annualmente nella legge finanziaria previo confronto con le autonomie territoriali in sede di Conferenza unificata, come del resto già avvenuto per prassi negli ultimi anni.

 

[2] Si tratta del parere espresso dal Comitato il 4 febbraio 2009 sul disegno di legge di cui all’A.C. 2031, recante delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti”.

[3]Recita esattamente il preambolo: “Considerato che, nella seduta del 14 ottobre 2004, la Conferenza unificata, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, ha espresso la mancata intesa”.

[4] Si veda per tutti il caso dei decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie previsti dalle leggi comunitarie.