Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari sociali
Titolo: Assistenza alla nascita e tutela della salute del neonato - AA.C. 918, 1353, 1513, 3303 e 1266 - Schede di lettura e normativa di riferimento
Riferimenti:
AC N. 1266/XVI   AC N. 918/XVI
AC N. 1353/XVI   AC N. 1513/XVI
AC N. 3303/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 333
Data: 27/09/2010
Descrittori:
ASSISTENZA SANITARIA   NEONATI
TUTELA DELLA SALUTE     
Organi della Camera: XII-Affari sociali
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Assistenza alla nascita e tutela della salute del neonato

AA.C. 918, 1353, 1513, 3303 e 1266

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 333

Seconda edizione

 

 

27 settembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari Sociali

( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier:

Servizio Studi – Sezione Affari regionali

- ( 066760-9265 – * st_regioni@camera.it

 

 

 

 

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File: AS0067.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro di riferimento normativo nazionale  3

§      Il ruolo dei consultori3

§      Il progetto obiettivo materno infantile 1998-2000  4

§      I livelli essenziali di assistenza  6

§      Il Piano sanitario nazionale 2006- 2008  6

§      Sindrome della morte improvvisa del lattante  7

§      I lavori usuranti8

§      Conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale  11

Quadro di riferimento normativo regionale  15

§      Principi generali15

§      Riduzione del numero di parti cesarei17

§      Il controllo del dolore  19

§      L’allattamento materno  20

§      L’integrazione socio-sanitaria e i consultori20

Contenuto delle proposte di legge  23

§      La proposta di legge A.C. 918  23

§      La proposta di legge A.C. 1353  25

§      La proposta di legge A.C. 1513  31

§      Le proposte di legge A.C. 3303 e A.C. 1266  36

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Codice Civile (Art. 1)43

§      Costituzione della Repubblica (Art. 117, co. 2, lett. m))44

§      L. 29 luglio 1975, n. 405 Istituzione dei consultori familiari45

§      L. 4 maggio 1983, n. 184. Diritto del minore ad una famiglia.47

§      D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421. (Art. 1, co. 11)81

§      D.L. 18 gennaio 1993, n. 9. Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale.82

§      D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 374. Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera f), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante benefici per le attività usuranti.87

§      D.M. 15 aprile 1994. Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed ospedaliera.90

§      D.M. 14 dicembre 1994. Tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera.94

§      L. 23 dicembre 1994, n. 724. Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (Art. 12)96

§      L. 23 dicembre 1996, n. 662. Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (Art. 1, co. 34)97

§      D.M. 24 aprile 2000. Adozione del progetto obiettivo materno-infantile relativo al «Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000  98

§      L. 8 novembre 2000 n. 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. (Art. 8, co. 5)176

§      D.M. 17 aprile 2001. Attuazione dell'art. 78, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001). Benefìci in favore dei lavoratori che risultino aver svolto prevalentemente mansioni particolarmente usuranti per le caratteristiche di maggior gravità dell'usura.177

§      L. 27 dicembre 2002 n. 289. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003). (Art. 54)179

§      L. 5 giugno 2003, n. 131. Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. (Art. 8)180

§      Intesa 23 marzo 2005. Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della L. 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell'articolo 1, comma 173, della L. 30 dicembre 2004, n. 311. (Art. 9)181

§      Intesa, ai sensi dell’articolo 115, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sulla proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di deliberazione CIPE relativa all’assegnazione alle Regioni delle risorse vincolate, ai sensi dell’articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, alla realizzazione degli obiettivi di Piano sanitario nazionale per l’anno 2009.183

§      Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulla proposta del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di linee guida per l’utilizzo da parte delle Regioni e Province autonome delle risorse vincolate, ai sensi dell’articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009.189

Normativa regionale

§      Elenco dei principali provvedimenti delle Regioni e delle Province autonome  199

§      L.R. 8 gennaio 2004, n. 1. Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento. (Artt. 5 e 58)205

§      L.R. 8 gennaio 2004, n. 1. Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento. (Artt. 5 e 58)208

§      L.R. 2 maggio 2006, n. 16. Modifiche all'articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 (Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento).211

Giurisprudenza

§      Sentenza della Corte Costituzionale 5 maggio 1994, n. 171  215

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Quadro di riferimento normativo nazionale

Il ruolo dei consultori

I consultori familiari sono stati istituiti con la legge 29 luglio 1975, n. 405, al fine di garantire l’assistenza psicologica e sociale alle famiglie, con particolare riferimento alle problematiche dei minori, alla tutela della salute della donna e alla massima informazione in tema di procreazione responsabile.

I consultori possono essere realizzati direttamente da enti locali ovvero da altre istituzioni, enti pubblici e privati che abbiano finalità sociali, sanitarie e assistenziali senza scopo di lucro. Per le strutture promosse dai comuni, i consultori sono organismi operativi delle ASL e si avvalgono del personale pubblico sanitario; nel secondo caso, gli stessi operano attraverso convenzioni con le ASL.

Il personale di consulenza e di assistenza deve essere in possesso di titoli specifici in una delle seguenti discipline: medicina, psicologia, pedagogia, assistenza sociale; ove prescritto, il personale deve avere l’abilitazione all'esercizio professionale.

Le prestazioni dei consultori sono gratuite per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri residenti o che soggiornino, anche temporaneamente, sul territorio italiano, con eccezione delle prescrizioni di prodotti farmaceutici a carico dell'ente o del servizio cui compete l'assistenza sanitaria.

 

Le leggi regionali hanno disciplinato le modalità di funzionamento dei consultori, ponendo una particolare attenzioni ai seguenti profili:

-            assistenza socio-sanitaria nei confronti della donna, dei genitori e dei neonati;

-            programmazione degli interventi, con particolare riferimento all’individuazione del fabbisogno di tali strutture rispetto alla popolazione;

-            definizione delle figure professionali presenti negli organici ovvero con rapporto di tipo convenzionale;

-            le forme di partecipazione sociale degli utenti e delle associazioni operanti nel territorio alla programmazione e controllo dei consultori;

-            le modalità di autorizzazione e requisiti richiesti per l’apertura di consultori privati;

-            la formazione e l’aggiornamento del personale;

-            la vigilanza ed il controllo sulle strutture;

-            le forme di finanziamento integrativo.

 

La legge 22 maggio 1978, n. 194, nell’ambito delle procedure volte ad assicurare la massima assistenza alla donna sin dall’inizio della gravidanza, ha potenziato ulteriormente il ruolo dei consultori, prevedendo in particolare:

-       la massima informazione alle donne in gravidanza in ordine ai diritti loro spettanti, ai servizi sociali, sanitari e assistenziali forniti dalle strutture operanti sul territorio e alle norme riguardanti la tutela delle gestanti in ambito lavorativo;

-       l’adozione di tutte le misure utili per il superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione volontaria della gravidanza.

I consultori possono avvalersi della collaborazione volontaria di formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, anche al fine di aiutare la donna nelle fasi successive alla nascita dei figli.

 

Nel corso degli anni numerosi provvedimenti, sia a livello nazionale che regionale, hanno arricchito le competenze dei consultori, soprattutto nel campo delle politiche di sostegno della famiglia e dell’infanzia[1].

Nei Piani sanitari nazionali e regionali si riscontra un’attenzione specifica per la tutela della salute nell’ambito materno infantile, che si è concretizzata, da ultimo, nell’adozione del progetto obiettivo di cui al decreto del Ministro della sanità del 24 aprile 2000 (vedi il paragrafo seguente).

 

La legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) ha attribuito, inoltre, ai consultori anche le competenze inerenti all'informazione e all'assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e alle procedure per l'adozione e l'affidamento familiare.

 

Il progetto obiettivo materno infantile 1998-2000

Come già ricordato, i Piani sanitari nazionali evidenziano una particolare attenzione per la tutela della salute nell’ambito materno infantile. In attuazione del piano sanitario nazionale 1998-2000[2] (riportato nel presente dossier all’interno dei riferimenti normativi) è stato adottato uno specifico progetto obiettivo.

Il progetto sottolinea il carattere strategico degli interventi di promozione della salute, di cura e riabilitazione in questo settore (in linea con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, a partire dagli interventi a favore del neonato che hanno un riflesso innegabile sulla qualità del benessere psico-fisico della popolazione presente e futura). Il progetto delinea le forme di collaborazione tra i diversi livelli istituzionali per l’estensione su tutto il territorio nazionale degli interventi, evidenziando l’importanza del contributo delle aziende sanitarie locali al fine di garantire l’efficacia delle misure adottate dalle diverse strutture pubbliche per contrastare i fenomeni del maltrattamento, degli abusi, del disagio, della dispersione scolastica, della marginalità dei minori (specie quelli immigrati); nella stessa ottica di coordinamento tra le strutture pubbliche è sottolineato il ruolo delle ASL sia nell’ambito delle procedure per l’adozione di cui alle leggi 4 maggio 1983, n. 184[3] e 31 dicembre 1998, n. 476[4], sia in relazione agli interventi psico-diagnostici connessi a provvedimenti penali riguardanti minori (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448).

Il progetto indica puntualmente le azioni da attuare (e i relativi indicatori) per la realizzazione degli obiettivi previsti. Con riferimento alle finalità di carattere generale si ricordano:

-          il miglioramento delle condizioni in cui avviene il parto e la promozione dell’allattamento al seno;

-          la riduzione dei tempi di ricovero ospedaliero del bambino e più in generale del suo stato di disagio, con l’aumento delle aree di degenza destinate ai minori e con la realizzazione delle opere di ristrutturazione necessarie a garantire una maggiore presenza dei genitori;

-          il miglioramento dei servizi di emergenza pediatrica con l’identificazione di aree ospedaliere di pronto soccorso per i minori e la riduzione, in caso di urgenza, del ricorso alla guardia medica generale.

 

Occorre segnalare che, nell’ambito delle diverse indicazioni relative al percorso nascita previste dal progetto obiettivo, figurano obiettivi concernenti specificamente il miglioramento delle condizioni del parto e della tutela del neonato, tra i quali si segnalano:

-          l’umanizzazione dell’evento, per la realizzazione del quale si prevedono: corsi pre-parto, qualificazione del personale, presenza di una persona scelta dalla donna durante il travaglio ed il parto, sperimentazione dei percorsi di demedicalizzazione del parto, attivazione dei percorsi facilitanti il contatto madre-bambino, assistenza al puerperio, rooming-in e assistenza al puerperio;

-          la salvaguardia della gravida e del neonato;

-          l’assistenza di III livello per almeno l’80% delle gravide e dei neonati;

-          la riduzione dei tagli cesarei in particolare nelle strutture di I e II livello;

-          la promozione dell’allattamento al seno;

-          l’avvicinamento del contatto tra puerpera e neonato.

 

I livelli essenziali di assistenza

Il D.P.C.M. 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza), include tra le prestazioni di assistenza sanitaria a carattere distrettuale garantite dal S.S.N. anche l’attività sanitaria e sociosanitaria rivolta alle donne, alle coppie e alle famiglie a tutela della maternità e per la procreazione responsabile e l’interruzione di gravidanza. Si tratta dell’attività istituzionale prevista dalle leggi n. 405/1975 [5], n. 194/1978 [6] e n. 34/1996 [7]. Le prestazioni in questione sono in primo luogo quelle sanitarie individuate nel citato decreto ministeriale 24 aprile 2000, Progetto obiettivo materno-infantile, e nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie; in secondo luogo, rientrano in tale ambito le prestazioni socio-sanitarie (consultoriali, sociali, psicologiche) strettamente collegate con le precedenti; infine, si fa riferimento alle prestazioni specialistiche e di diagnostica strumentale erogate in regime ambulatoriale, elencate dal decreto ministeriale 10 settembre 1988 (allegati 1/A e 1/C).

Non costituisce, invece, livello essenziale di assistenza, in quanto non finalizzata alla tutela della salute collettiva, e dunque a carico del cittadino, la certificazione relativa alla gravidanza prevista dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (allegato 1/B).

 

Il Piano sanitario nazionale 2006- 2008

Nel Piano sanitario nazionale 2006-2008, la salute del neonato, del bambino e dell’adolescente continua a costituire uno degli obiettivi di carattere generale. Il documento[8] evidenzia, in particolare, la trasformazione del comportamento riproduttivo delle coppie che ha determinato la riduzione delle nascite e l’innalzamento dell’età media al parto. Sono presi in considerazione i dati riguardanti il tasso di natalità, di mortalità infantile e l’incidenza dei neonati di basso peso. E’ sottolineata la necessità di migliorare le cure perinatali al fine di ridurre le disuguaglianze relative ai tassi di mortalità perinatale nelle regioni del sud del Paese, legate oltre che a fattori socio-economici, anche a fattori organizzativi e gestionali (carenza delle strutture consultoriali, mancata attivazione o incompletezza del sistema di trasporto del neonato).

Tra i numerosi obiettivi da raggiungere indicati nel piano si segnalano, in particolare:

§      il miglioramento dell'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale, anche nel quadro di una umanizzazione dell'evento nascita che deve prevedere il parto indolore, l'allattamento materno precoce ed il rooming-in;

§      la riduzione del ricorso al taglio cesareo (in modo da raggiungere il valore del 20%), in linea con i valori medi europei, attraverso la definizione di Linee guida nazionali per una corretta pratica del parto per taglio cesareo e l'attivazione di idonee politiche tariffarie per scoraggiarne il ricorso improprio;

§      la promozione di  campagne di informazione rivolte alle gestanti e alle puerpere, anche attraverso i corsi di preparazione al parto ed i servizi consultoriali, per la promozione dell'allattamento al seno, il corretto trasporto in auto del bambino, la prevenzione delle morti in culla del lattante, la promozione delle vaccinazioni e della lettura ad alta voce. Deve inoltre essere prevenuto il disagio psicologico dopo la gravidanza ed il parto.

 

Sindrome della morte improvvisa del lattante

La legge 2 febbraio 2006, n. 31 (Disciplina del riscontro diagnostico sulle vittime della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) e di morte inaspettata del feto)regolamenta l’attività diagnostica sui bambini vittime della Sudden Infant Death Syndrome - SIDS, entro un anno di vita, e sui feti deceduti senza causa apparente dopo la venticinquesima settimana di gestazione. La legge prevede che tale riscontro avvenga, previo consenso dei genitori, in centri autorizzati individuati dalle regioni, secondo protocolli definiti dal Ministero della salute. I risultati di tale attività sono comunicati alla prima cattedra dell’Istituto di anatomia patologica dell’Università di Milano, che provvede ad istituire una banca dati nazionale.

Nell’ambito di specifiche campagne di sensibilizzazione e di prevenzione di tale patologia sono previsti programmi di ricerca multidisciplinari e l’emanazione di linee guida. Le regioni hanno la possibilità di sviluppare progetti per il sostegno psicologico dei familiari delle vittime.

 

 

I lavori usuranti

L’articolo 13 della pdl A.C. 918, l’articolo 20 della pdl A.C. 1353 e l’articolo 17 della pdl A.C. 1513, prevedono che al personale del ruolo medico e dei profili professionali infermieristici operante in unità di terapia intensiva neonatale si applichino le agevolazioni e i benefici previdenziali per i lavoratori che svolgono attività usuranti, previsti dal D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 374[9], e dal decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (attualmente Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali) del 17 aprile 2001[10].

 

Ai sensi dell'articolo 1 del D.Lgs. 374/1993 sono considerati particolarmenteusuranti i lavori "per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee". Le attività particolarmente usuranti sono individuate dalla tabella A allegata al medesimo decreto. Peraltro l’articolo 2, comma 1, del citato D.Lgs. 374/1993 distingue due tipi di attività usuranti: da un lato, fa riferimento a quelle particolarmente usuranti elencate nella tabella A; dall’altro, individua (sempre nell’ambito delle attività particolarmente usuranti) un sottoinsieme più ristretto di attività considerate (ancora) più usuranti "anche sotto il profilo delle aspettative di vita e dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità", prevedendo per esse benefici ancora maggiori[11].

Ai lavoratori prevalentemente occupati, a decorrere dall'entrata in vigore del richiamato D.Lgs. 374/1993 (8 ottobre 1993), in attività particolarmente usuranti è consentito di anticipare il pensionamento, mediante abbassamento del limite di età pensionabile nella misura di due mesi per ogni anno di attività; la riduzione non può comunque superare un totale di 60 mesi.[12].

E’ poi prevista, esclusivamente per i lavoratori impegnati in attività caratterizzate da una maggiore gravità dell'usura  la riduzione del limite di anzianità contributiva, ai fini del pensionamento di anzianità, di un anno ogni dieci di occupazione nelle medesime attività, fino ad un massimo di 24 mesi complessivamente considerati.

Sono comunque fatti salvi i trattamenti di miglior favore garantiti dai singoli ordinamenti pensionistici, ove questi prevedano anticipazioni dei limiti di età pensionabile in relazione alle attività particolarmente usuranti[13] (articolo 2, comma 3, D.Lgs. 374).

Si consideri, tuttavia, che l'applicazione della normativa in materia di attività usuranti ha subito, dalla data di emanazione del D.Lgs. 374/1993, notevoli ritardi e non ha mai acquisito piena operatività (se non in via transitoria). Difatti, non essendo stata completata la procedura di cui all’articolo 1, comma 2 e all’articolo 2, comma 3 del D.M. 19 maggio 1999, non sono stati mai emanati i provvedimenti attuativi necessari per individuare le mansioni particolarmente usuranti e per determinare le aliquote contributive per la copertura dei conseguenti oneri, in modo da rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993 e dall’articolo 1, commi 35-37, della L. 335/1995.

In considerazione di tale situazione, stante la mancata operatività della normativa di cui al più volte richiamato D.Lgs. 374/1993, e successive modificazioni, “in attesa della definizione, tra le parti sociali, dei criteri di attuazione della normativa di cui al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374”[14], la L. 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), all’articolo 78, commi 8, 11, 12 e 13, aveva previsto una disciplina transitoria, consistente nella riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva per l’accesso al trattamento pensionistico secondo quanto già previsto dalla normativa in materia di lavori usuranti, i cui effetti si sono però già esauriti.

In attuazione del richiamato articolo 78, comma 11, è stato appunto emanato il D.M. 17 aprile 2001, che detta le disposizioni per ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali di riduzione dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva relativi alle mansioni particolarmente usuranti. Pertanto i lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2001 hanno potuto avvalersi dei benefici previsti dal citato D.Lgs. 374/1993[15].

Allo stato attuale, quindi, essendo ormai esauriti gli effetti di tale disciplina transitoria e in mancanza dei provvedimenti attuativi necessari per rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993 e dall’articolo 1, commi 35-37, della L. 335/1995, i lavoratori interessati non possono concretamente godere dei benefici previsti per lo svolgimento di lavori usuranti.

Si ricorda inoltre che, al fine di superare tale situazione di “stallo”, la L. 247/2007[16], all’articolo 1, comma 3, ha previsto una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dall’entrata in vigore della medesima legge, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

In attuazione della menzionata delega di cui alla L. 247/2007 è stato predisposto e trasmesso alla Camera e al Senato, ai fini dell’espressione del parere, lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” (atto n. 238), volto appunto a consentire ai lavoratori subordinati addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti (cd “attività usuranti”) di accedere anticipatamente al pensionamento, con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti[17] .

 

Da ultimo, l’articolo 1 del provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013, in materia di lavoro (cd. collegato lavoro), attualmente all’esame dell’Assemblea della Camera dei deputati in terza lettura (AC 1441-quater-C), reca una delega al Governo, da esercitarsi entro 3 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, per una apposita disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti.

Anche tale delega, da esercitare con uno o più decreti legislativi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento richiamato, è volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità, su domanda, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega vengono indicati per relationem, disponendo l’osservanza dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della L. 247/2007. In sostanza, vengono richiamati gli stessi principi e criteri direttivi previsti dalla precedente delega in materia di cui alla menzionata L. 247, determinando una riapertura dei termini per l’esercizio della delega già prevista dalla stessa L. 247, che come già detto non è stata esercitata entro il termine previsto.

 

Infine, si ricorda che presso la XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati sono attualmente all’esame le pdl 1297 (Damiano ed altri) e 1367 (Cazzola ed altri), recanti una disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti[18].

Conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale

Per quanto riguarda le disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale, l’articolo 3 della legge 21 ottobre 2005 n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati) dispone:

·         il prelievo di cellule staminali emopoietiche da cordone ombelicale, all'interno delle strutture trasfusionali autorizzate dalle regioni (comma 1);

·         la volontarietà e la gratuità della donazione della placenta e del sangue da cordone ombelicale alla quale ogni donna può dare il proprio assenso informato al momento del parto (comma 3).

La citata legge n. 219 del 2005[19] prevede che il Ministro della salute, con proprio decreto (vedi infra), predisponga un progetto per l’istituzione di una rete nazionale di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale a fini di trapianto e l'articolo 12, comma 4, prevede che il Centro nazionale sangue svolga funzioni di coordinamento e di controllo tecnico-scientifico nelle materie disciplinate dalla legge n. 219 medesima, d'intesa con la Consulta tecnica permanente per il sistema trasfusionale. Già oggetto di diverse proroghe, l’emanazione del suddetto decreto è stata da ultimo differita al 31 dicembre 2009 dal D.L. 30 dicembre 2008, n. 207[20], che ha altresì disposto l’autorizzazione alla raccolta, alla conservazione e allo stoccaggio del cordone ombelicale da parte di strutture pubbliche e di altre strutture trasfusionali[21]. E’ stato quindi emanato il D.M. 18 novembre 2009 (Istituzione di una rete nazionale di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale).

Con il medesimo D.L. n. 207/2008 sono state abrogate[22] le disposizioni che autorizzavano la raccolta autologa, la conservazione e lo stoccaggio del cordone ombelicale da parte di strutture pubbliche e private, senza oneri per il Servizio sanitario nazionale e previo consenso alla donazione per uso allogenico in caso di necessità per paziente compatibile.  

Con il suddetto D.M. 18 novembre 2009, è stata istituita una rete nazionale di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale, costituita dalle banche di sangue da cordone ombelicale già riconosciute idonee dalle regioni di appartenenza, in base alle disposizioni vigenti in materia trasfusionale, e in base al citato accordo Stato-regioni del 10 luglio 2003, fatto salvo il regime autorizzativo e di accreditamento introdotto dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191[23]. Le autorizzazioni e gli accreditamenti regionali sono comunicati al Centro nazionale sangue ed al Centro nazionale trapianti, per le rispettive competenze. La rete nazionale delle banche di sangue da cordone ombelicale è denominata, per le finalità di relazione internazionale “Italian Cord Blood Network (ITCBN)” (articolo 1).

Con un ulteriore D.M del 18 novembre 2009, emanato ai sensi dell’ordinanza del 26 febbraio 2009[24], sono state emanate le disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale per uso autologo – dedicato.

In particolare, l’articolo 1 consente la conservazione del sangue da cordone ombelicale esclusivamente presso le strutture pubbliche ad essa dedicate e garantisce altresì la ricerca ed il reperimento di cellule staminali emopoietiche, ivi incluse quelle da sangue del cordone ombelicale, a scopo di trapianto allogenico, presso registri e banche nazionali ed estere.

L’articolo 2 ribadisce quanto previsto nella ordinanza del 26 febbraio 2009, all’articolo 1, commi 3 e 4[25], in riferimento alla conservazione di sangue da cordone ombelicale per uso autologo – dedicato, e  per tali finalità elenca in un proprio allegato le indicazioni cliniche per le quali è consolidato l'uso per il trapianto di cellule staminali emopoietiche, che con decreto del Ministro della salute, in relazione al progresso tecnico-scientifico, sono periodicamente aggiornate.

E’ consentito altresì la conservazione del sangue da cordone ombelicale ad uso autologo-dedicato nel caso di particolari patologie non ancora ricomprese nell'elenco di cui al citato allegato, per le quali sussistano comprovate evidenze scientifiche di un possibile impiego di cellule staminali del sangue da cordone ombelicale anche nell'ambito di sperimentazioni cliniche approvate secondo la normativa vigente, previa presentazione di una documentazione rilasciata da un medico specialista nel relativo ambito clinico, con oneri a carico del S.S.N.

E’ autorizzata l'esportazione di campioni di sangue da cordone ombelicale per uso personale ai fini della loro conservazione presso banche operanti all'estero secondo quanto previsto dalla citata ordinanza ministeriale del 26 febbraio 2009[26].

L’articolo 3 vieta infine l'istituzione di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale presso strutture sanitarie private, anche accreditate, ed ogni forma di pubblicità alle stesse connessa.

Con successiva ordinanza del 1 marzo 2010, emanata in materia di esportazione di sangue da cordone ombelicale per uso autologo, è stato prorogato al 31 dicembre 2010 il regime transitorio di autorizzazione all'esportazione di campioni di sangue cordonale per uso autologo presso banche operanti all'estero. Le modalità stabilite dall'articolo 3 della citata ordinanza 26 febbraio 2009 prevedono, infatti, che l'autorizzazione alla esportazione di campioni di sangue da cordone ombelicale per uso autologo sia rilasciata di volta in volta dalla regione o dalla provincia autonoma di competenza sulla base di modalità definite con accordo Stato-regioni; tuttavia, nelle more della definizione di tale accordo, è consentito che la suddetta autorizzazione continui ad essere rilasciata, secondo le stabilite modalità, dal Ministero della salute.

 


Quadro di riferimento normativo regionale

Principi generali

La normativa regionale che affronta le tematiche oggetto dei disegni di legge in esame è complessa e stratificata. Dal finire degli anni ottanta alcune regioni hanno emanato leggi di principio sulla tutela della partoriente e del neonato, a cui sono seguite, talvolta, azioni concrete riguardanti principalmente l’organizzazione delle strutture sanitarie.

Principi, obiettivi e azioni concrete sono inserite nella programmazione socio-sanitaria delle regioni, in linea con la programmazione nazionale, a cominciare dal Progetto materno infantile 1998-2000 fino al Piano Sanitario nazionale 2006-2008.

In riferimento all’attuazione del Piano Sanitario nazionale 2006-2008, Stato e Regioni concordano – in sede di Conferenza Stato-Regioni - gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, cui sono vincolate apposite risorse del Fondo Sanitario nazionale, nonché le linee progettuali per l’utilizzo dei fondi stessi. L’articolo 1 commi 34 e 34-bis della legge 662/1996 (modificato da ultimo dall’art. 79 del D.L. 112/98, convertito dalla Legge 133/2008), stabilisce infatti che le risorse sono erogate alle regioni sulla base di progetti elaborati sulla scorta di linee guida concordate in sede di Conferenza Stato-Regione, fino al 2008. A decorrere dal 2009, invece alle regioni è assegnato il 70% delle risorse vincolate, contemporaneamente alla ripartizione della quota indistinta del Fondo sanitario nazionale – ripartite con delibera CIPE d’Intesa con la Conferenza Stato-Regioni, L’erogazione del restante 30 % è subordinato invece all’approvazione di progetti, da parte delle regioni, in linea con gli indirizzi concordati.

Le linee progettuali per il 2007 fissate nell’Accordo del 1° agosto 2007[27] (confermate anche per il 2008[28]), comprendevano, tra l’altro, la salute della donna e del neonato (Linea progettuale 2). In particolare per le iniziative a favore delle gestanti, delle partorienti e del neonato l’attenzione è rivolta al sostegno del parto naturale e in genere al miglioramento dell’assistenza ostetrica e pediatrica neonatale, alla promozione di attività di accompagnamento durante il puerperio e al sostegno dell’allattamento materno, al trasporto neonatale ma anche alle campagne di informazione e alla formazione del personale. Le risorse vincolate per il 2008 sono state pari, complessivamente, a 1.360,6 milioni di euro[29]; di questi, circa 133,6 milioni sono stati destinati alla linea progettuale 2, salute della donna e del neonato, e assegnati alle regioni sulla base dei progetti presentati[30].

In relazione all’anno 2009, le risorse del Fondo Sanitario nazionale vincolate alla realizzazione degli obiettivi del Piano Sanitario nazionale ammontano complessivamente a 1.410 milioni di euro[31]. Di queste risorse, la quota del 70% è stata erogata a seguito dell’Accordo del 25 marzo 2009[32] in sede di Conferenza Stato-Regioni, con cui sono stata adottate le linee guida per l’attuazione degli obiettivi, mentre il restante 30% verrà erogato all’approvazione dei progetti.

 

La linea progettuale 9, Tutela della maternità e promozione dell’appropriatezza del percorso nascita, si articola in quattro punti:

 

1.      Favorire il parto naturale, perché è ancora troppo alta l’incidenza del parto cesareo, specialmente nelle regioni del sud. L’attenzione deve essere focalizzata su: adeguatezza – per ciascun caso e persona - dell’assistenza ostetrica, pediatrica e neonatale; l’offerta dei servizi deve essere articolata e coordinata tra i livelli assistenziali del territorio: tra Consultori familiari; Ambulatori specialistici del Distretto e dell’Ospedale, e Ospedale; uniformità di livelli assistenziali tra assistenza ostetrica e neonatale.

2.      Umanizzare l’evento nascita: favorire il parto indolore e l’avvicinamento e contatto puerpera-neonato, al fine di facilitare il rooming-in[33] e l’allattamento al seno (attraverso il collegamento funzionale-strutturale tra area ostetrico-ginecologica ed area pediatrico-neonatologica e l’adeguamento strutturale).

3.      Ridurre la mortalità neonatale e materna: benché in costante diminuzione esistono ancora differenze sensibili tra zone geografiche del paese; occorre ottimizzare la distribuzione dei punti nascita (sono invece ancora molti i punti nascita con meno di 500 parti l’anno) e attivare in tutti punti nascita (attualmente non garantita ovunque) la guardia attiva 24h, sia medico-ostetrica che medico-pediatrica.

4.      Trasporto neonatale: il trasporto neonatale e il trasporto in utero viene considerato un elemento fondamentale dell’organizzazione delle cure perinatali. Alcune regioni non hanno ancora attivato il Trasporto Assistito del Neonato in Emergenza (STEN) altre hanno una copertura solo parziale, mentre otto regioni non hanno ancora provveduto ad una normativa in materia di trasporto in utero (Trasporto Assistito Materno, STAM).

 

Le linee progettuali appena esposte offrono un quadro – pur se estremamente sintetico - dell’attuale situazione dell’assistenza socio-sanitaria in questo specifico ambito, nonché gli obiettivi ancora da raggiungere.

Un quadro esemplificativo – e non esaustivo - delle più recenti iniziative regionali è illustrato di seguito in riferimento ad alcuni aspetti correlati alla promozione del parto naturale e all’umanizzazione dell’evento nascita. A seguire, un quadro d’insieme sulle politiche regionali per l’integrazione socio-sanitaria in relazione alla maternità.

Riduzione del numero di parti cesarei

La  regione Campania, al primo posto in Italia per incidenza di parti cesarei (60% nel 2006) ha avviato dal 2005[34] una serie di iniziative per la promozione del parto fisiologico, tra cui un sistema di disincentivazione tariffaria per il ricorso improprio al parto cesareo. La legge regionale 2/2006 e l’atto di indirizzo adottato con DGR 966/2006 dispongono una serie di interventi volti al controllo dell’attività dei punti nascita e all’appropriatezza dell’assistenza erogata, tra cui:

§      il monitoraggio delle iniziative assunte dalle ASL in relazione alle indicazioni della Regione (diffusione delle linee guida adottate nel 2005, adozione carta dei servizi);

§      la verifica di quanti punti nascita abbiano attivato iniziative di preparazione al parto in cui vengano chiaramente evidenziati i rischi connessi con un ricorso improprio al taglio cesareo;

§      il potenziamento dei consultori familiari per la realizzazione di corsi di accompagnamento alla nascita;

§      la verifica all’interno delle ASL della disponibilità della pratica di parto-analgesia per le donne che ne facciano richiesta[35].

Il sistema di disincentivazione tariffaria in vigore dal 1 gennaio 2008 (modificato con DGR 2161/2007 a seguito di un’ordinanza del TAR di Napoli[36]), prevede che a tutti i ricoveri per parto cesareo che non presentino nella scheda di dimissione ospedaliera (SDO) almeno una delle diagnosi di rischio – come da linee guida internazionali e nazionali – venga applicata la tariffa – minore - prevista per il parto vaginale.

 

Anche la regione Puglia applicherà riduzioni tariffarie nei casi di parto cesareo inappropriato. L’articolo 21 della legge finanziaria regionale per il 2010[37] ha disposto infatti che le schede di dimissione ospedaliera (SDO) devono riportare – in caso di parto cesareo - l’indicazione clinica secondo le linee guida regionali. Con provvedimento della Giunta devono essere individuate le modalità per la rilevazione delle prestazioni inappropriate che saranno remunerate nella misura massima del 50% della corrispondente tariffa regionale prevista per il parto cesareo. Le economie così ottenute saranno impiegate per l’attuazione di progetti finalizzati alla promozione del parto naturale.

Il controllo del dolore

La Regione Veneto con legge regionale 25/2007[38]«riconosce ad ogni donna in stato di gravidanza il diritto ad un parto fisiologico che le eviti o le riduca la sofferenza usufruendo gratuitamente di tecniche antalgiche efficaci e sicure ed in particolare della partoanalgesia epidurale». A tal fine la legge dispone:

§      la promozione della conoscenza delle tecniche di controllo del dolore durante il travaglio e il parto;

§      l’obbligo per le ASL, anche attraverso il personale dei consultori familiari, di assicurare una corretta informazione sulle possibilità, sui limiti e sui rischi delle tecniche antalgiche;

§      l’obbligo, per tutte le strutture pubbliche e private accreditate, di garantire la partoanalgesia epidurale almeno dalle ore 8.00 alle ore 20.00; mentre in ogni provincia deve essere individuata almeno una struttura ospedaliera che garantisca per tutto il giorno l’effettuazione della partoanalgesia epidurale;

§      la formazione di personale di anestesia e di quello addetto alle sale parto.

 

Il controllo del dolore in travaglio di parto è il tema di uno degli 11 obiettivi individuati del programma “percorso nascita” elaborato dalla Regione Emilia-Romagna (Delib.G.R. 21-4-2008 n. 533[39]). L’obiettivo è quello di aumentare le conoscenze e l’attenzione dei professionisti e delle donne al tema del dolore nel parto, anche attraverso sperimentazioni controllate di metodiche farmacologiche e non farmacologiche. Il documento riprende le linee guida alle Aziende Sanitarie per il controllo del dolore in travaglio di parto - adottate con D.G.R. 10/12/2007, n. 1921[40], ed individua i seguenti obiettivi:

§      individuare i criteri clinico organizzativi di fattibilità per rendere operativo il parto in analgesia epidurale;

§      definire e condividere indicazioni /raccomandazioni per l’analgesia epidurale e per le altre tecniche farmacologiche, nonché definire percorsi specifici per rendere fattibile l’offerta di tecniche non farmacologiche di provata efficacia (in sostanza attraverso la realizzazione di percorsi formativi) e relative necessità operative.

L’allattamento materno

Campagne e iniziative per la promozione dell’allattamento al seno sono in atto in molte regioni da alcuni anni (Lazio, Lombardia, Toscana, Veneto, Province autonome di Trento e di Bolzano, Campania[41]), si tratta in genere di Linee guida indirizzate alle ASL elaborate sulla base delle indicazioni dell’OMS e opuscoli informativi. Nel novembre 2005 in un documento congiunto gli Assessori alla sanità delle regioni e province autonome si impegnano a sviluppare politiche regionali per l’allattamento materno, promuovere l’iniziativa OMS/UNICEF “Ospedali amici dei bambini”, nonché attuare il Codice internazionale OMS/UNICEF sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. La regione Piemonte, infine, ha pubblicato nel maggio 2007 un interessante rapporto[42] che analizza i risultati di un progetto avviato dalla regione nel 1997/1998, ne individua i punti deboli e indica le priorità future.

L’integrazione socio-sanitaria e i consultori

Altra questione affrontata da molte regioni è il potenziamento e/o rinnovamento dei consultori, a fronte della inadeguatezza - o in alcuni casi assenza - dell’offerta territoriale delle principali prestazioni consultoriali.

Nell’ambito della programmazione socio-sanitaria, infatti, uno dei principali obiettivi è – ancora - una maggiore integrazione territoriale tra i servizi socio-sanitari. Il consultorio, proprio in funzione dei servizi che dovrebbe offrire in relazione alla maternità, è visto come uno dei luoghi principali in cui concretizzare la continuità assistenziale[43]. Le azioni previste nei piani regionali sono diverse, in relazione alle diverse realtà territoriali e strutturali, in genere sono rivolte ad un potenziamento dei servizi offerti, principalmente nell’accompagnamento della donna nel percorso nascita prima e dopo il parto (attivazione di corsi di preparazione al parto e promozione del parto naturale; l’assistenza post-parto a domicilio e sostegno alle iniziative per l’allattamento materno; assistenza psicologica alle donne in depressione post-parto; particolare attenzione alle donne e alle famiglie); particolare attenzione è posta inoltre alla formazione del personale e all’accessibilità dei servizi alle donne straniere attraverso l’utilizzo e la diffusione di informazioni in lingua e della mediazione culturale (Piemonte, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna[44]).

La maggiore integrazione socio sanitaria di deve concretizzare, ad esempio, nell’interscambio culturale e formativo tra i reparti di ostetricia e i consultori (Puglia); o mediante la definizione di protocolli operativi di gestione dei pazienti per assicurare la continuità diagnostica-terapeutica-riabilitativa (Sardegna).

 


Contenuto delle proposte di legge

La proposta di legge A.C. 918

La proposta di legge A.C. n. 918 (che riproduce il contenuto dell’A.C. n. 589, presentato dall’on. Lucchese nella scorsa legislatura e confluito nel testo unificato esaminato in sede referente dalla XII Commissione affari sociali della Camera), composta di 13 articoli, disciplina l’assistenza alla nascita e la tutela della salute del neonato.

L'articolo 1 dispone che il neonato sia tutelato con:

·         l'obbligo di notifica del ricovero presso i presìdi ospedalieri, pubblici e privati;

·         la compilazione della cartella clinica;

·         le misure regionali per l’attivazione e l’attuazione del parto a domicilio o in casa.

L’articolo 2 assicura ad ogni nato alcuni standard assistenziali riguardanti la presenza di specifiche competenze professionali nonché l’aderenza ai requisiti previsti per la struttura ospedaliera dai progetti obiettivo materno-infantili, individuati dal Piano sanitario nazionale. 

L’assistenza neonatale è organizzata su tre livelli di cura, con una disponibilità, rispettivamente, di 15 e 4,5 posti letto ogni mille nati vivi nei primi due livelli e di un posto letto per 750 nati vivi nel caso di cure intensive di III livello. 

Le regioni e le province autonome prevedono un numero adeguato di unità operative neonatologiche per bacino di utenza; tuttavia, nel caso di aree ad alta densità di popolazione, i vincoli quantitativi stabiliti per le unità di terapia intensiva neonatale possono essere derogati al fine di privilegiare il diritto alla scelta dei genitori e la competitività delle aziende sanitarie locali.

Tutti gli ospedali pubblici e privati dotati di punto nascita devono disporre di posti letto per cure neonatali minime ed intermedie.

L'articolo 3 prevede che in sala parto, presso ogni punto nascita, la rianimazione primaria rappresenti il requisito essenziale dell’assistenza neonatale, quest’ultima diretta da un medico neonatologo o pediatra.

Se non esiste la figura del neonatologo o del pediatra con competenze neonatologiche, le regioni e le province istituiscono corsi di formazione e di aggiornamento per il personale che ha in cura il neonato.

L’isola neonatale, istituita nell'ambito della sala parto o di un locale comunicante direttamente con essa, è una zona adibita alle prime cure e all'eventuale rianimazione del neonato.

L’articolo 4 prevede per i nati apparentemente sani un'osservazione transizionale, con monitoraggio dei comuni parametri vitali.

L'articolo 5 dispone l'obbligo di predisporre per tutti i nati vivi una cartella clinica personale. In particolare, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali emana, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le linee guida generali per la formulazione della cartella clinica da parte delle regioni e delle province autonome.

L'articolo 6 dispone sull’umanizzazione della nascita e sulle dimissioni precoci della madre e del figlio. In particolare è prevista:

·         la presenza, ove richiesta, di un familiare in sala travaglio e in sala parto;

·         l’organizzazione a tale fine dei presidi ospedalieri pubblici e privati;

·         la dimissione precoce della madre e del bambino, con la garanzia dell’assistenza domiciliare;

·         l’iniziativa delle regioni e delle province autonome per la presa in carico del neonato da parte del medico pediatra di base;

·         la formazione professionale di figure professionali per le patologie ostetriche e neonatali ad esordio tardivo.

 

L'articolo 7, al fine di incoraggiare l'allattamento al seno del neonato e la vicinanza del neonato alla madre, dispone sull’organizzazione dei presidi ospedalieri, favorendo altresì ove è possibile l’accesso in ospedale del pediatra di base.

Gli articoli 8 e 9 disciplinano rispettivamente  i casi di ospedalizzazione del neonato e la riorganizzazione dei reparti ostetrici, pediatrici e neonatologici, per l’umanizzazione delle cure, l’allattamento al seno e l’ospedalizzazione del neonato.

L’articolo 10 detta specifiche disposizioni d’intervento per le gravidanze a rischio. In particolare, le regioni e le province autonome individuano appositi criteri di riconoscimento delle gravidanze a rischio, al fine della loro precoce individuazione e dell’accesso ai livelli superiori delle cure, e provvedono per il trasferimento dei casi urgenti ad organizzare un'adeguata rete di trasporto assistito con l'utilizzo di personale competente.

L'articolo 11 assicura la continuità nella prestazione delle cure, presso le medesime unità neonatali, ai bambini affetti, dopo l'età neonatale, dalle medesime patologie connesse alla nascita.

L'articolo 12 individua nelle regioni e nelle province autonome gli organi competenti per gli interventi e i programmi di tutela della gestante e del neonato.

L'articolo 13 riconosce al personale impiegato nelle unità di terapia intensiva neonatale le agevolazioni previste per coloro che sono impiegati in lavori particolarmente usuranti (cfr. il quadro legislativo).

La proposta di legge A.C. 1353

La proposta di legge A.C. 1353, di iniziativa dell’On.le Turco, composta da 21 articoli, ripropone, con alcune modifiche, il contenuto del testo unificato A.C. 589 ed abb., elaborato dal comitato ristretto nel corso della XV legislatura, e adottato come testo base nel corso dell’esame, in sede referente, presso la XII commissione affari sociali della Camera. L’esame citato non si è tuttavia concluso.

L’articolo 1 definisce le finalità del provvedimento tra le quali quelle di:

§      promuovere un’adeguata assistenza alla nascita, tutelando i diritti e la libera scelta della gestante;

§      assicurare la tutela della salute materna nonché il benessere del nascituro e delle famiglie;

§      garantire livelli di assistenza adeguati in tutte le situazioni di gravidanza e parto a rischio dal punto di vista medico, psicologico e sociale, nonché un’assistenza ostetrica appropriata alla gravidanza a basso rischio, al parto fisiologico e al puerperio;

§      potenziare l’attività dei consultori familiari, anche nell’attività di prevenzione, con l’attivazione di programmi specifici per la salute preconcezionale e riproduttiva, materna e infantile;

§      diffondere ampiamente le conoscenze relative alle modalità di assistenza e alle pratiche socio-sanitarie raccomandate (incontri di accompagnamento, tecniche di controllo del dolore, anestesie locali e di tipo epidurale);

§      favorire il parto fisiologico, la riduzione dei tagli cesarei e l’aumento dell’allattamento al seno;

§      migliorare la qualità dell’assistenza ostetrica e pediatrico-neonatologica, anche attraverso l’adozione di strumenti atti a valutare i risultati delle pratiche raccomandate;

§      ridurre le diseguaglianze  territoriali e sociali di accesso ai servizi per la tutela materno infantile, con particolare riferimento alla popolazione più svantaggiata;

§      promuovere la continuità assistenziale, per la durata della gravidanza, durante e dopo il parto.

 

Ai sensi dell’art. 2, per la realizzazione delle predette finalità è prevista una rimodulazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEA) in favore della gestante, della partoriente e del neonato, da attuare secondo le procedure già previste dalla normativa vigente. A tale scopo sono precisate le priorità da perseguire (l’aggiornamento e la verifica delle prestazioni previste, il controllo e la gestione del dolore nel travaglio-parto, l’allattamento materno precoce e il rooming-in, la dimissione precoce, appropriata e condivisa della partoriente e del neonato, l’assistenza specialistica per la donna che presenti particolari difficoltà, la garanzia di un’adeguata rete di emergenza per il neonato e la gestante). Nella rimodulazione dei LEA deve essere assicurata anche l’invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica (vedi anche il successivo art. 3).

 

La definizione puntuale ed organica dei livelli essenziali di assistenza in campo sanitario, validi per tutto il territorio nazionale, si rinviene nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, emanato in base alla procedura stabilita dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano). Anche la legge 27dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), richiamata dal testo in esame, conferma tale procedura per le future modifiche dei LEA.

 

Ai sensi dell’art. 3 è prevista una specifica intesa in sede di Conferenza Stato regioni che, ad integrazione del piano sanitario nazionale 2006-2008[45], favorisca la promozione delle attività previste dal progetto di legge.

La medesima intesa definisce l’entità delle risorse per la realizzazione delle disposizioni in esame, nell’ambito dell’1,3 per cento degli stanziamenti posti nella disponibilità del Servizio sanitario nazionale e vincolati ai sensi della normativa vigente[46].

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge del 23 dicembre 1996, n. 662 (legge finanziaria per il 2007), il CIPE (su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni) può vincolare quote del Fondo sanitario nazionale per  realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile, della salute mentale, della salute degli anziani nonché per quelli finalizzati alla prevenzione, e in particolare alla prevenzione delle malattie ereditarie.

Il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza[47] definisce le modalità di monitoraggio sull’applicazione della legge in esame.

 

L’articolo 4 contempla la promozione di campagne informative nazionali, da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e di intesa con la Conferenza stato-regioni mirate a diffondere la conoscenza in merito ad una serie di aspetti connessi all’evento-parto, anche al fine di favorire consapevoli scelte da parte delle donne. Le modalità di partecipazione dei consultori familiari a tali campagne verranno poi definite dalle regioni e dalle ASL.

 

L’articolo 5 attribuisce alle aziende ospedaliere ed alle ASL, che, allo scopo, possono avvalersi del personale addetto ai consultori integrato da altri operatori del SSN, il coordinamento di specifici incontri di accompagnamento alla maternità ed alla nascita con finalità informative.

L’articolo 6 definisce alcuni principi in tema di assistenza alla nascita prevedendo, al fine di garantire l’unitarietà di questa, il collegamento funzionale tra i consultori, le strutture ospedaliere e i servizi territoriali extraospedalieri attraverso il coordinamento effettuato dai dipartimenti materno-infantili.

Spetta alle ASL garantire il potenziamento degli interventi di assistenza alla donna nel periodo di gravidanza, tra i quali vengono espressamente contemplati:

§      l’utilizzazione, su scala nazionale, di una cartella ostetrica computerizzata, nella quale sono annotati i dati relativi alla gravidanza e il cui modello base dovrà essere definito da un decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, da adottare entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge;

§      la realizzazione degli incontri di accompagnamento alla maternità e alla nascita;

§      l’accertamento delle gravidanze a rischio e l’individuazione dei relativi fattori di rischio;

§      la presenza nei reparti di ostetricia di assistenti sociali e psicologi. 

Viene poi rimessa alle strutture specialistiche pubbliche o private accreditate di II o di III livello l’assistenza sanitaria concernente le gravidanze a rischio, e viene favorita, da parte delle strutture accreditate specialistiche, la dimissione precoce e protetta della madre e del figlio, garantendo controlli ambulatoriali e domiciliari a mezzo di specifiche equipe. Viene inoltre favorita la presa in carico  precoce del neonato da parte del pediatra di libera scelta.

In tema di livelli di cura l’articolo 7 garantisce ad ogni madre e ad ogni nato, nell’ambito delle strutture ospedaliere, l’assistenza di personale qualificato e la conformità ai requisiti strutturali ed organizzativi definiti dai progetti obbiettivo in materia materno-infantile[48]. Al medesimo progetto obbiettivo deve conformarsi l’assistenza ospedaliera al neonato. Vengono inoltre stabiliti alcuni requisiti strutturali minimi degli ospedali pubblici e privati accreditati dotati di punti nascita nonché dei centri di II e III livello neonatologico. 

L’articolo 8 dispone in tema di requisiti organizzativi e di personale, prevedendo la presenza necessaria di alcune figure professionali presso ogni presidio sanitario pubblico o privato accreditato in presenza di un’unità operativa complessa di ostetricia. Vengono poi definite la localizzazione e le caratteristiche dell’”isola neonatale”, nonché le qualifiche professionali del responsabile dell’assistenza presso l’isola medesima. 

 

L’articolo 9 demanda ad un decreto ministeriale la definizione di un unico raggruppamento omogeneo di diagnosi e cura (DRG) per stabilire il rimborso alle strutture sanitarie per i parti vaginali e con parto cesareo, che dovrà tener conto dei costi effettivi e differenziali per l’assistenza. Viene poi fissata al 70 per cento del DRG per il parto il tetto massimo della somma che le ASL corrispondono a chi ha partorito a domicilio. Viene poi disposto che le ASL incentivino le unità operative che si adeguano alle nuove disposizioni normative mediante iniziative di formazione e aggiornamento e finanziamento di progetti.

 

L’articolo 10 prevede che un decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza Stato–regioni, individui i contenuti per la formazione del personale sanitario del SSN addetto all'assistenza neonatale. La norma dispone altresì che le regioni promuovano annualmente corsi di aggiornamento in educazione continua in medicina (ECM) per il suddetto personale.

In particolare, la suddetta attività di formazione deve essere orientata alla riqualificazione del personale dedicato all’assistenza al parto, all’aggiornamento specifico sulle tecniche e sulle metodologie ostetriche e sulle tecniche di parto-analgesia naturali e farmacologiche e alla formazione pluridisciplinare degli operatori.

 

L’articolo 11, in tema di parto fisiologico,consente l’accesso nei reparti ospedalieri della persona con cui la donna desideri condividere l'evento travaglio-parto-nascita e vieta, compatibilmente con le indicazioni mediche, l'imposizione di procedure e di tecniche mediche contrarie alla volontà della partoriente.

La norma dispone altresì specifiche attuazioni di indicazioni dettate dalle istituzioni internazionali dell’OMS e dell’UNICEF[49] in materia di assenza neonatale, al fine di assicurare un parto sereno  per la donna e il nascituro, favorendo in particolare la presenza del medico di fiducia e l'allattamento al seno.

E’ altresì assicurata dai servizi socio-sanitari locali l'assistenza domiciliare al puerperio e all'allattamento.

 

L’articolo 12 (pressoché analogo nel contenuto agli articoli 7 e 8 della pdl A.C. 1513 che, tuttavia, non contempla il parto a domicilio), in tema di luoghi per il parto fisiologico, stabilisce che il parto può svolgersi:

a) in strutture sanitarie pubbliche o private;

b) in altre strutture ristrutturate o costruite dalle regioni e dalle ASL;

c) a domicilio.

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le strutture sanitarie pubbliche e private, individuate dalle regioni, attrezzano spazi adeguati per il parto e idonei a consentire l'effettuazione delle tecniche di parto-analgesia[50].

I suddetti spazi sono realizzati in nuovi o ristrutturati reparti ostetrici, pediatrici, neonatologici e anestesiologici ovvero tramite una riorganizzazione funzionale degli esistenti reparti.

 

L’articolo 13 detta specifiche norme sul parto a domicilio. In particolare, tra le disposizioni previste, rilevano la libera scelta informata della partoriente, la sottoscrizione della dichiarazione per il consenso informato, la valutazione clinica, logistica e igienico-sanitaria effettuata dal personale sanitario (medico ginecologo e ostetrica), il trasferimento della donna, in caso di gravidanza a rischio, presso le strutture sanitarie competenti e la facoltà delle regioni di sperimentare servizi di parto a domicilio in determinate zone sanitarie.

Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali provvede, con proprio decreto, all'adozione di linee-guida per l'assistenza al parto e al puerperio a domicilio.

 

L’articolo 14 (simile nei contenuti all’articolo 9 della pdl A.C. 1513) stabilisce che il servizio di trasporto materno e neonatale effettuato presso i punti nascita avviene nei casi di rischio neonatale individuati secondo i criteri dell'OMS[51] e, in casi di particolare gravità, sono attuati specifici interventi assistenziali d’urgenza.

 

L’articolo 15, identico nei contenuti all’articolo 10 della pdl A.C. 1513, dispone che la donazione e la raccolta del sangue del cordone ombelicale è promossa dallo Stato e dalle regioni ed è consentita sia per uso autologo sia per uso allogenico per scopi terapeutici, clinici o di ricerca.

Vengono poi dettate specifiche disposizioni sulla conservazione del sangue per uso autologo.

 

In base all’articolo 16, di contenuto identico all’articolo 14 della pdl 1513, per ogni nato vivo è compilata una cartella clinica contenente, oltre ai dati previsti dalle disposizioni vigenti in materia, i rilievi sulla gravidanza, sul parto e sull'andamento neonatale.

Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali provvede, con proprio decreto, all'adozione delle linee guida generali per la compilazione, da parte delle regioni e delle province autonome della predetta cartella clinica.

 

Con l’articolo 17, identico all’articolo 15 della pdl 1513, si dispone che tutti i neonati devono essere sottoposti ai controlli dei parametri vitali durante l'osservazione transizionale.

In caso di temporaneo distacco del neonato dalla madre, è assicurata, per quanto possibile, la permanenza della stessa in spazi contigui e adeguati.

Per tutto il periodo di ospedalizzazione del neonato la madre, o un altro familiare in sua vece, usufruisce dei servizi di pernottamento e di vitto con oneri a carico dell'azienda sanitaria locale.

 

L’articolo 18, identico all’articolo 16 della pdl 1513, dispone che le regioni e le province autonome garantiscono gli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati e al segreto del parto.

Alle gestanti e ai loro nati sono altresì garantiti gli interventi per la continuità assistenziale e per il loro reinserimento sociale. Tali interventi rientrano ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione tra i livelli essenziali di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale.

Le regioni e le province autonome individuano, ai sensi dell'articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli enti locali titolari degli interventi di cui al presente articolo e le modalità di esercizio degli stessi.

 

Ai sensi dell’articolo 19 il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali presenta una relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge.

 

Con l’articolo 20, identico all’articolo 17 della pdl 1513, si estendono al personale impiegato nelle unità di terapia intensiva neonatale e nel pronto soccorso ostetrico le agevolazioni previste per coloro che sono impiegati in lavori particolarmente usuranti ai sensi del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374 (anticipazione dell'età pensionabile di due mesi per ogni anno di occupazione, fino ad un massimo di 60 mesi e frazionabilità delle giornate del beneficio di cui sopra in giornate singole).

 

L’articolo 21 specifica che per la copertura degli oneri derivanti dalla legge, valutati in 800.000 euro per l'anno 2008 e in 1.000.000 di euro a decorrere dall'anno 2009, si provvede, a decorrere dall'anno 2009, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.

La proposta di legge A.C. 1513

La proposta di legge A.C. 1513 (analoga, nei contenuti, alla proposta di legge A.C. 1237, Palumbo ed altri, presentata nella XV legislatura e confluita nel testo unificato esaminato in sede referente dalla XII Commissione affari sociali della Camera), composta di 17 articoli, intende garantire le seguenti finalità (art. 1):

§      la promozione di un’adeguata assistenza alla nascita nel rispetto dei diritti e della libera scelta della gestante;

§      la tutela della salute materna, il benessere del nascituro e delle famiglie coinvolte;

§      l’individuazione di adeguati livelli di assistenza ospedaliera;

§      l’incentivazione del parto fisiologico e l’appropriatezza degli interventi.

Ulteriori finalità riguardano la diffusione delle conoscenze relative alle modalità di assistenza e alle pratiche sanitarie in uso, comprese le tecniche di controllo del dolore del parto, la riduzione del rischio di morbilità e mortalità materna e perinatale (anche attraverso il corretto utilizzo dei professionisti addetti all’assistenza della gravidanza e del parto fsiologico) e l’adozione di tutte le misure atte garantire al neonato un corretto rapporto relazionale e psico-affettivo con la madre (art. 4).

 

Ai sensi dell’art. 2 il Ministro della salute presenta, tenuto conto dei dati rilevati dalle Regioni, una relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge.

 

Le Regioni definiscono, sulla base dei criteri stabiliti dai progetti obiettivo materno-infantile, i modelli organizzativi assistenziali (art. 3).

 

Le aziende sanitarie devono, in particolare, garantire (art. 5):

-          l’utilizzazione di un’idonea cartella ostetrica computerizzata, dove annotare tutti i dati relativi alla gravidanza;

-          i corsi di accompagnamento alla nascita rivolti alla donna ed alla coppia;

-          l’accertamento e la certificazione delle gravidanze a rischio;

-          la dimissione precoce, protetta ed appropriata, della madre e del figlio (favorendo la partecipazione dell’ostetrica nell’ambito della assistenza domiciliare integrata per il controllo del puerperio e del neonato per il sostegno dell’allattamento al seno).

Le modalità di assistenza al puerperio devono essere adeguate allo stato fisico, psicologico e sociale della donna e del bambino. È inoltre favorita la presa in carico più precoce possibile del neonato da parte del pediatra di libera scelta.

 

Ai sensi dell’art. 6, il parto fisiologico è definito come la spontanea evoluzione dei tempi e dei ritmi della nascita. Lo stesso articolo disciplina dettagliatamente le modalità assistenziali che devono essere garantite durante tale evento (quali, il rispetto delle esigenze biologiche della donna e del nascituro, l’assecondamento dei ritmi fisiologici del travaglio, la promozione di tecniche per il controllo del dolore, la predisposizione di un ambiente confortevole per il parto, la possibilità per la donna di essere assistita dal ginecologo di fiducia, dal padre del nascituro o da altra persona, la promozione del contatto madre-figlio e dell’allattamento al seno).

 

Al fine di garantire che l’evento travaglio-parto-nascita si svolga in un contesto umanizzato e sicuro, il parto fisiologico può svolgersi in strutture sanitarie pubbliche o private accreditate o autorizzate e in case di maternità

Entro sei mesi dalla data di approvazione della legge, le strutture autorizzate individuano spazi adeguati per il parto fisiologico e per l’effettuazione di tecniche di parto-analgesia (artt. 7 e 8). I predetti spazi devono garantire la possibilità del contatto tra la madre e il bambino e la presenza del padre.

 

Per il riconoscimento dei parti e delle condizioni neonatali a rischio, al fine del tempestivo ricovero nei punti nascita, si applicano i criteri individuati dall'OMS.

In casi di particolare gravità, il trasporto assistito è effettuato da personale con competenze specifiche, mediante il servizio di trasporto d'emergenza (art. 9).

Ai sensi dell’art. 10 lo Stato e le regioni promuovono la donazione e la raccolta del sangue del cordone ombelicale.

La conservazione è consentita sia per uso autologo sia per uso allogenico per scopi terapeutici, clinici o di ricerca.

Alle divisioni di ostetricia è affidato il compito di diffondere la cultura della donazione del sangue del cordone ombelicale informando le gestanti sulle potenzialità della donazione, sulle possibili utilizzazioni e sull'assoluta mancanza di ogni rischio per loro e per i neonati, nonché garantendo il prelievo a tutte le partorienti.

La conservazione del sangue del cordone ombelicale per uso autologo avviene senza oneri per lo Stato in istituti pubblici o privati accreditati dalle regioni e convenzionati con centri trasfusionali autorizzati.

Sono fatti salvi i casi di conservazione autologa o destinata a consanguinei per patologia in atto o previa presentazione di motivata documentazione clinico-sanitaria.

 

Al fine di favorire il parto fisiologico ed in considerazione dei maggiori costi derivanti dallo stesso per l’impiego di personale e di attrezzature, il rimborso alle strutture sanitarie relativo ai parti vaginali è equiparato a quello previsto per il parto cesareo.

Le aziende sanitarie ospedaliere che intendono attivare e diffondere le tecniche di analgesia per il parto possono assumere, a tale fine, medici anestesisti anche in soprannumero rispetto alle dotazioni organiche.

Le attività conformi alle disposizioni della legge in commento sono incentivate dalle aziende sanitarie locali con iniziative di formazione e di aggiornamento, nonché con il finanziamento di progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla presente legge (art. 11).

 

La legge individua le attività svolte dalle Regioni in materia di parto fisiologico (si tratta, in particolare: dell’adozione di nuove linee guida per il parto fisiologico; della verifica annuale del livello qualitativo del percorso parto-nascita; della programmazione dei corsi di accompagnamento al parto; del monitoraggio dei dati relativi alle diverse modalità di parto; dell’aggiornamento e riqualificazione del personale attualmente impiegato nell’assistenza alla nascita; della promozione di campagne informative sui diritti della partoriente, del nascituro e del padre) (art. 12).

 

I competenti organi regionali predispongono una relazione annuale per la rilevazione dei dati relativi alla morbilità ed alla mortalità materna e neonatale, alle modalità di assistenza al parto, alle complicanze in gravidanza, all’impiego dei farmaci ed alla frequenza e modalità dell’allattamento al seno.

Tali relazioni, che devono contenere anche i dati statistici sulla popolazione assistita, sui livelli di assistenza neonatale, e sui nati pretermine, morti e malformati, devono essere trasmesse al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il quale ne cura la pubblicazione e la diffusione (art. 13).

 

Per ogni nato vivo è compilata una cartella clinica contenente, oltre ai dati previsti dalle disposizioni vigenti in materia, i rilievi sulla gravidanza, sul parto e sull'andamento neonatale.

Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali provvede, con proprio decreto, all'adozione delle linee guida generali per la compilazione, da parte delle regioni e delle province autonome della predetta cartella clinica (art. 14).

 

Ai sensi dell’art. 15 tutti i neonati sono sottoposti ai controlli dei parametri vitali durante l'osservazione transizionale.

In caso di temporaneo distacco del neonato dalla madre, è assicurata, per quanto possibile, la permanenza della stessa in spazi contigui e adeguati.

Per tutto il periodo di ospedalizzazione del neonato la madre, o un altro familiare in sua vece, usufruisce dei servizi di pernottamento e di vitto con oneri a carico dell'azienda sanitaria locale.

 

Ai sensi dell’art. 16 le regioni e le province autonome garantiscono gli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati e al segreto del parto.

Alle gestanti e ai loro nati sono altresì garantiti gli interventi per la continuità assistenziale e per il loro reinserimento sociale. Tali interventi rientrano ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione tra i livelli essenziali di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale.

Le regioni e le province autonome individuano, ai sensi dell'articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli enti locali titolari degli interventi di cui al presente articolo e le modalità di esercizio degli stessi.

 

L'articolo 17 estende al personale impiegato nelle unità di terapia intensiva neonatale e nel pronto soccorso ostetrico le agevolazioni previste per coloro che sono impiegati in lavori particolarmente usuranti ai sensi del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374 (anticipazione dell'età pensionabile di due mesi per ogni anno di occupazione, fino ad un massimo di 60 mesi e frazionabilità delle giornate del beneficio di cui sopra in giornate singole).

 

 

Va ricordato che la legge n.172/2009 ha ricostituito il Ministero della salute e ne ha definito gli aspetti organizzativi e funzionali. Pertanto la terminologia utilizzata nelle proposte di legge, che si riferiscono al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, andrebbe adeguata alle nuove disposizioni legislative intervenute.


Le proposte di legge A.C. 3303 e A.C. 1266

Presentano un contenuto simile e, in questa sede, vengono esaminate contestualmente, le proposte di legge A.C 3303 (Lucà ed altri) e A.C. 1266 (d’iniziativa del Consiglio regionale del Piemonte) che stabiliscono norme ed interventi in favore delle gestanti e delle madri per garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati.

 

In proposito va ricordato che la vigente normativa consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’Ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”. L’effettività del segreto così disciplinato è garantito da altre norme. In particolare, l’articolo 93 del Codice per la protezione dei dati personali (D.lgs 196/2003 prevede, nel caso in cui sia stata fatta la dichiarazione di non menzione, per il rilascio del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, particolari cautele volte a impedire che la madre possa essere identificata. Lo stesso articolo 93 protegge temporalmente il diritto della madre al segreto sulle proprie generalità fino a cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto.

Molte regioni[52] ed in particolare alcune città italiane, per prevenire il fenomeno dell'abbandono traumatico del neonato, hanno promosso campagne informative in proposito, potenziando i servizi a tutela della donna in difficoltà e orientando gli ospedali più specializzati a seguire il parto in anonimato. Tempestive e adeguate informazioni alla donna in gravidanza e interventi concreti in suo aiuto, di tipo sociale, economico e psicologico, permettono di garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino.

L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.

Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre.La madre che ha particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, può chiedere al Tribunale per i Minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento.

In questi casi la sospensione della procedura di adottabilità può essere concessa per un periodo massimo di due mesi, nel quali la madre deve mantenere con continuità il rapporto con il bambino.

Il riconoscimento può essere fatto dal genitore che abbia compiuto 16 anni. Nel caso di madre non ancora sedicenne, impossibilitata quindi al riconoscimento, ma che voglia occuparsi del figlio, la procedura di adottabilità è sospesa anche d’ufficio sino al compimento del 16° anno, purché il minore, adeguatamente accudito, abbia un rapporto continuativo con la madre (artt. 8 e ss. della legge n. 184/1983).

 

Obbiettivo di entrambi i progetti di legge è quello di assicurare un’idonea assistenza alla donna in difficoltà, offrendo alla gestante la possibilità di riflettere, verificare e decidere con serenità e autonomia e con le opportune informazioni circa gli aiuti che possono esserle offerti in merito al riconoscimento o meno del nuovo nato.

Infatti la donna ha diritto a non essere lasciata sola né prima, né durante né dopo il parto e spesso l’intervento assistenziale di supporto è necessario oltre che per le gestanti anche per le madri coniugate con situazioni personali e familiari difficili.

La proposta di legge A.C. 3303 si compone di un unico articolo.

Essa rimette alle regioni e province autonome, in attuazione delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 8 della legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) il compito di assicurare l’informazione, la consulenza e le prestazioni socio-assistenziali diurne e residenziali occorrenti alle gestanti e alle madri che necessitano di un sostegno specifico in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati e alla garanzia della segretezza del parto.

 

Il comma 5 del citato articolo 8, rimette alla legge regionale la disciplina del trasferimento ai comuni o agli enti locali delle funzioni in materia di assistenza degli illegittimi, abbandonati o esposti all'abbandono ( di cui al regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838), e in materia sanitaria e socio-assistenziale (di cui al decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67). Con la medesima legge le regioni disciplinano il trasferimento ai comuni e agli enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali per assicurare la copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni sociali trasferite utilizzate alla data di entrata in vigore della presente legge per l'esercizio delle funzioni stesse.

 

La promozione dei citati interventi, qualificati come livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione, è affidata agli enti locali titolari delle funzioni socio-assistenziali di cui alla legge 328/2000, secondo le modalità stabilite dalle leggi delle regioni e delle province autonome; essi riguardano anche la garanzia alle partorienti e ai loro nati della continuità socio-assistenziale e del sostegno del loro reinserimento sociale. Se effettuati in favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti fino all’adozione definitiva.

Gli interventi sono erogati, senza formalità, su semplice richiesta delle donne interessate indipendentemente dalla loro nazionalità e residenza anagrafica.

Analogo contenuto presenta la proposta di legge A.C. 1266, di iniziativa del Consiglio regionale del Piemonte.

Come evidenziato nella relazione illustrativa alla proposta di legge, la regione Piemonte ha già disciplinato la materia con propri provvedimenti legislativi e amministrativi; appare tuttavia necessario garantire queste prestazioni su tutto il territorio nazionale.

Anche la proposta di legge in esame - composta da un unico articolo - rimette alle regioni e alle province autonome di garantire gli interventi socio-assistenziali - nonché quelli per la continuità assistenziale e per il reinserimento sociale -alle gestanti presenti sul proprio territorio che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati ed al segreto del parto; tali interventi vengono qualificati come livelli essenziali di assistenza. L’individuazione degli enti locali titolari degli interventi e delle modalità di esercizio degli stessi è poi rimessa alle leggi regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 


SIWEB

Giurisprudenza

 


Sentenza della Corte Costituzionale
5 maggio 1994, n. 171


REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 dal Tribunale per i minorenni di Trento, nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di minore in stato di abbandono, scritta al n. 247 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1993;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 nel corso di un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di minore in stato di abbandono, il Tribunale per i minorenni di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in riferimento agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione.

 

Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo premette una sintetica descrizione della fattispecie da cui ha origine la questione sottoposta all'esame di questa Corte, dalla quale si deduce che il Tribunale è stato informato della nascita di un bambino non riconosciuto da nessuno dei genitori, ed indicato nell'atto di nascita come figlio di donna che non intende essere nominata. Successivamente, avendo il Presidente del Tribunale delegato i Servizi sociali a comunicare alla madre le facoltà ad essa spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184, questa aveva confermato di non intendere nè riconoscere il figlio, nè chiedere la sospensione del procedimento.

 

Il Tribunale, dopo aver dichiarato lo stato di adottabilità e dopo l'inutile decorso dei termini per eventuali opposizioni, ha omesso di deliberare in ordine all'affidamento preadottivo, in quanto una tale pronuncia avrebbe reso definitivamente inefficace un eventuale tardivo riconoscimento.

 

Passando ad esporre i motivi della questione sottoposta all'esame di questa Corte, il Tribunale evidenzia un contrasto tra la condizione giuridica e la realtà storica del minore: sulla base della prima, il bambino va considerato come figlio naturale non riconosciuto; per la seconda, esso - in base a notizie raccolte dall'assistente sociale- sarebbe figlio legittimo (benchè di genitori sconosciuti). Tale contrasto, rileva il giudice a quo, si riflette sull'attività che esso tribunale è chiamato a svolgere al fine di dichiarare lo stato di adottabilità del minore. In particolare, si sottolinea, l'art. 10 prescrive approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive, al fine di verificare se sussiste lo stato di abbandono.

 

Ai sensi di tale norma -motiva il giudice a quo- il tribunale è tenuto ad accertare lo stato di figlio legittimo allo scopo di contestare al padre legittimo lo stato di abbandono, effettuando altresì la scelta dei parenti entro il quarto grado che possano assistere il minore (ai fini della procedura ex art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184).

 

Dopo aver ricordato come la giurisprudenza della Corte di cassazione riconosca all'atto di nascita natura di elemento costitutivo della legittimità del figlio, il Tribunale ritiene che ciò non valga ad escludere che in presenza di un atto di nascita che indichi il figlio come nato da donna che non vuole essere nominata, venga preclusa ogni ulteriore indagine al tribunale investito della procedura per l'adozione: da qui l'emergere -ad avviso del Tribunale- di una situazione di disparità tra la donna che abbia concepito fuori del matrimonio e la donna coniugata che abbia concepito all'interno del rapporto matrimoniale. Mentre alla prima, infatti, è consentito tacere il nome del padre del bambino ed un'eventuale ricerca di quest'ultimo incontra il limite della volontà della donna (stante l'art. 11, sesto comma, della legge 4 maggio 1983, n.184), alla seconda, viceversa, non sarebbe possibile opporsi agli "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore" relativi anche, secondo il Tribunale, all'individuazione del padre.

 

Tale sistema sembra al giudice rimettente illegittimo, in primo luogo, per la contraddizione che si realizza tra la disposizione dell'art. 10 e la facoltà riconosciuta alla madre di non voler essere nominata nell'atto di nascita; in secondo luogo, per il contrasto con la disciplina stabilita dall'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, che nel riconoscere il diritto della donna ad interrompere la gravidanza esclude l'obbligo di richiedere l'assenso od il consenso del padre. Dal raffronto con quest'ultima disposizione nascerebbe, a giudizio del Tribunale rimettente, un paradosso: la donna potrebbe abortire senza dover neppure informare il padre; nel caso di filiazione naturale potrebbe dichiarare di non voler essere nominata senza dover chiedere l'assenso al padre naturale; ma nel caso in cui il tribunale conosca per vie informali lo stato di filiazione del minore, è costretto a superare la volontà della madre e risalire al padre.

 

Da qui la contraddizione del sistema in quanto, mentre di fronte ad un bene di importanza suprema, quale la vita, la donna ha un potere non comprimibile nè sindacabile, di fronte invece al diritto alla famiglia legittima, che è interesse pur di rango costituzionale ma sottordinato rispetto al bene dell'esistenza, non vi sarebbe alcun potere per la donna di valutare l'interesse del figlio attraverso il diniego ad essere nominata nell'atto di nascita.

 

Tale contraddizione, ad avviso del Tribunale, potrebbe essere rimossa attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui ai fini della dichiarazione dello stato di abbandono impone al tribunale, con qualsiasi mezzo, l'individuazione della donna, che non intende essere nominata nell'atto di nascita, e conseguentemente l'individuazione del marito di lei.

 

Tale disposizione risulterebbe in contrasto, ad avviso del giudice a quo, con i seguenti parametri: art. 3 della Costituzione, per l'irrazionale disparità di trattamento che viene a realizzare tra i figli naturali ed i figli legittimi;artt. 31, secondo comma, e 2 della Costituzione, in quanto la tutela della vita e della maternità impongono al legislatore ordinario la tutela della riservatezza della donna, mentre l'intervento dei pubblici poteri si risolverebbe, nel caso concreto, in un pregiudizio per il minore ed in una lesione del diritto alla riservatezza; circostanze nelle quali, secondo l'ordinanza n. 388 del 1988 di questa Corte, detto intervento deve evitarsi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale per i minorenni di Trento dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in riferimento agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione, per i motivi ampiamente sopraenunciati, i quali si risolverebbero in un pregiudizio per il minore adottando ed in una lesione del diritto alla riservatezza della madre.

 

2. - La questione è inammissibile.

 

Va premesso che, nel sistema della vigente legge n. 184 del 1983, lo stato di abbandono del minore, quale presupposto dei provvedimenti diretti all'adozione speciale, viene accertato in maniera diversa a seconda che risulti o meno l'esistenza dei genitori del minore stesso.

 

Nella prima ipotesi, l'art. 10 della legge prevede che il presidente del tribunale per i minorenni, o un giudice da lui delegato, faccia "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono", disponendo, eventualmente, gli opportuni provvedimenti temporanei nell'interesse del minore: compresa, se del caso, la sospensione della potestà dei genitori. Tali accertamenti, relativi alle condizioni giuridiche del minore, sono intesi tuttavia a conoscere la situazione risultante dagli atti, non già a modificarla.

 

Nell'altra ipotesi, invece, in cui i genitori non esistono (o perchè deceduti e manchino parenti entro il quarto grado, o perchè la paternità o maternità non risulti da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale), la legge stabilisce (art. 11) che il tribunale provveda immediatamente, senza eseguire ulteriori accertamenti, alla dichiarazione dello stato di adottabilità, risultando la condizione di abbandono del minore dal fatto stesso della mancanza dei genitori. In detta ipotesi, le uniche cautele previste sono quelle di tentare di informare i presunti genitori, se possibile, o comunque quello reperibile, della facoltà di chiedere la sospensione della procedura entro il termine stabilito per provvedere al riconoscimento.

 

3. - Deve altresì rilevarsi che qualunque donna partoriente, ancorchè da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita. Ove l'ufficiale di stato civile abbia regolarmente redatto l'atto di nascita nei modi dalla legge prescritti per i casi di bambini denunciati come nati da genitori ignoti (artt.71, 72 e 75 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238), e in difetto del possesso di stato, manca il titolo essenziale perchè si possa considerare legittima la maternità. Non risultando il nome della partoriente - anche se si assuma ex aliunde essere coniugata - non è possibile individuare il marito della stessa, nè rendere operativa la presunzione di paternità di cui all'art.231 del codice civile.

 

4. - In ordine ai problemi posti, ci si limita a ribadire in generale quanto affermato in precedenza da questa Corte, e cioé che il sistema scelto dal legislatore è ispirato all'essenziale principio che secondo cui "l'adozione deve trovare nella tutela dei fondamentali interessi del minore il proprio centro di gravità; il che significa, tra l'altro, che a questi interessi vanno subordinati tanto quelli degli adottanti (o aspiranti tali) quanto quelli della famiglia d'origine" (sentenza n. 388 del 1988).

 

5. - Ora, nell'ordinanza di rimessione da cui ha origine la presente questione, il Tribunale riferisce che "nell'atto di nascita, formato dall'ufficiale di stato civile su denuncia dell'ostetrica che ha assistito al parto, il bambino è stato indicato come figlio di donna che non intende essere nominata"; che "il Presidente ha delegato i servizi sociali a comunicare alla madre le facoltà spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184", ma che "la madre non intendeva nè riconoscere il figlio, nè chiedere la sospensione del procedimento"; per cui il Tribunale "ha dichiarato lo stato di adottabilità", e, decorsi i termini per eventuali opposizioni, ha affermato che "può farsi luogo ad affidamento preadottivo non essendo intervenuto alcun riconoscimento nel frattempo".

 

6. - A questo punto appare evidente che - a prescindere dal problema se il giudice a quo fosse ancora legittimato a sollevare questione di legittimità costituzionale di norme incidenti sulla declaratoria dello stato di adottabilità, una volta che questo fosse divenuto definitivo - il Tribunale si trovava di fronte ad una fattispecie la cui disciplina è dettata dal richiamato art. 11 (trattandosi di un'ipotesi di inesistenza giuridica dei genitori), e non invece ad una fattispecie regolata dall'art. 10: pertanto il giudice a quo non era tenuto a svolgere gli "approfonditi accertamenti" previsti da detto art. 10 per verificare la sussistenza dello stato di abbandono (dal momento che questo discendeva in re ipsa dall'inesistenza di genitori), dovendosi viceversa limitare a dichiarare lo stato di adottabilità senza svolgere ulteriori indagini.

 

In conseguenza di questo, non solo cade il presupposto interpretativo da cui prende le mosse l'ordinanza di rimessione (che fonda la presunta violazione del diritto alla riservatezza della madre, di cui agli artt. 2 e 31 della Costituzione, nonchè l'invocata disparità di trattamento ex art. 3 della Costituzione, sulla ritenuta necessità di svolgere approfonditi accertamenti) ma si erra altresì nell'individuare la disposizione da applicare al giudizio a quo, che non è l'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, bensì -a quanto risulta dalla descrizione della fattispecie prospettata nell'ordinanza di rimessione- l'art. 11 della stessa legge.

 

La questione, così come formulata dal giudice a quo, va pertanto dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/04/94.

Gabriele PECSATORE, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 05/05/94.

 

 



[1]    Vedi a tale riguardo la legge 28 agosto 1997, n. 285 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza).

[2]     Decreto ministero della sanità 24.4.2000, in S.O. della G.U. n.131 del 7.6.2000.

[3]    Diritto del minore ad una famiglia.

[4]    Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri.

[5]    Istituzione dei consultori familiari.

[6]    Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza.

[7]    Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 dicembre 1995, n. 509, recante disposizioni urgenti in materia di strutture e di spese del Servizio sanitario nazionale (in particolare, art. 3 del D.L.).

[8]    Cfr. il paragrafo 5.1.

[9]    “Attuazione di una delega prevista dall'art. 3, comma 1, lett. f), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.

[10]   “Attuazione dell'art. 78, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001). Benefìci in favore dei lavoratori che risultino aver svolto prevalentemente mansioni particolarmente usuranti per le caratteristiche di maggior gravità dell'usura”.

[11] Tale ultimo gruppo di attività è stato individuato espressamente con il decreto del Ministro del lavoro del 19 maggio 1999, emanato di concerto con i Ministri del tesoro, della sanità e per la funzione pubblica.

[12]   Per tali lavoratori, inoltre, i limiti di età introdotti dalla legge di riforma del sistema pensionistico per l'accesso alla pensione di anzianità nel regime retributivo sono ridotti fino al massimo di un anno (art. 1, comma 36, della l. 335/95).

[13]    A tale riguardo, si segnala che la legge 3 gennaio 1960, n. 5, prevede, all'art. 1, che i lavoratori delle miniere, cave e torbiere possano andare in pensione a 55 anni, purché siano stati addetti complessivamente, anche se con discontinuità, per almeno 15 anni a lavori di sotterraneo. L'art. 25 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dispone invece che il servizio prestato dagli operai dello Stato addetti ai lavori insalubri (come definiti da ultimo dal decreto del Ministro della Sanità del 19 novembre 1981) o ai polverifici, sia maggiorato di un quarto.

[14]    In tal senso, l’art. 78, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

[15]    In base ad una rilevazione effettuata dall’INPS nel mese di maggio 2003, i lavoratori che hanno usufruito del beneficio sono stati 416 (di cui 407 hanno fruito dell’anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia e 9 dell’anticipo rispetto ai requisiti di anzianità).

[16]    Legge 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[17]   Su tale schema di decreto legislativo la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha espresso un parere favorevole con osservazioni in data 1° aprile 2008, mentre la 11a Commissione (Lavoro, previdenza sociale) del Senato, pur avendo avviato l’esame del provvedimento, non ha espresso il parere entro la scadenza del termine.

Tuttavia il termine finale per l’esercizio della delega (30 maggio 2008) è scaduto senza che tale decreto legislativo venisse definitivamente emanato, anche in  virtù della scadenza anticipata della XV Legislatura. Si ricorda, al riguardo, che il termine per l’esercizio della delega, stabilito al 31 marzo 2008, è stato automaticamente prorogato di 60 giorni in base al “meccanismo” di cui all’articolo 1, comma 90, della L. 247/2007 e quindi è scaduto il 30 maggio 2008.

[18]   In particolare, la pdl 1297 riproponendo in maniera pressoché identica il contenuto del richiamato schema di decreto legislativo n. 238 predisposto dal Governo nel corso della XV Legislatura in attuazione della delega di cui alla L. 247/2007 ma non emanato definitivamente entro il termine previsto, è volta a concedere - in deroga alla disciplina sull’accesso al trattamento pensionistico di anzianità di cui alla L. 243/2004  come da ultimo modificata dalla L. 247/2007 - ai lavoratori dipendenti addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti (cd “attività usuranti”), la possibilità di accedere al pensionamento anticipato con requisiti inferiori rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti.

      La pdl 1367 è invece formulata come norma di delega legislativa, prevedendo, in particolare, ferma restando l’individuazione delle attività usuranti e particolarmente usuranti effettuata dall'articolo 1, comma 3, della richiamata L. 247/2007, una delega al Governo per l’adozione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, di uno o più decreti legislativi recanti norme per la tutela previdenziale dei lavoratori occupati in attività usuranti, secondo specifici principi e criteri direttivi.

[19]   Cfr. l’articolo 10, comma 3.

[20]   Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, cfr. l'articolo 35, comma 14.

[21]   Sono gli istituti e le cliniche universitarie, gli istituti e gli enti ecclesiastici classificati che esercitano l'assistenza ospedaliera, l'ospedale Galliera di Genova, gli ospedali dell'Ordine Mauriziano di Torino, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e il servizio trasfusionale militare, ai sensi dell’articolo 23 della predetta legge n. 219 del 2005 e le strutture che, in base all’accordo del 10 luglio 2003 (Linee-guida in tema di raccolta, manipolazione e impiego clinico delle cellule staminali emopoietiche), sono autorizzate dalle regioni e dalle province autonome, sentiti il Centro nazionale trapianti e il Centro nazionale sangue.

[22]     Cfr. l’articolo 35, comma 15 del citato D.L. n. 207 del 2008 che ha abrogato l’articolo 8-bis, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008.

[23]   Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

[24]   Recante “Disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale”. In particolare l'articolo 1, comma 7, prevede che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, da emanarsi entro il 31 dicembre 2009, fatto salvo quanto previsto dai commi 3 e 4, viene disciplinata la conservazione di sangue da cordone ombelicale per uso autologo sulla base di indicazioni appropriate sostenute da evidenze scientifiche.

[25]   I commi 3 e 4 prevedono, rispettivamente, che la conservazione di sangue da cordone ombelicale è consentita sia per uso dedicato al neonato o a consanguineo con patologia in atto al momento della raccolta, per la quale risulti scientificamente fondato e clinicamente appropriato l'utilizzo di cellule staminali da sangue cordonale, sia nel caso di famiglie a rischio di avere figli affetti da malattie geneticamente determinate per le quali risulti scientificamente fondato e clinicamente appropriato l'utilizzo di cellule staminali da sangue cordonale, previa presentazione di motivata documentazione clinico sanitaria, senza oneri a carico dei richiedenti.

[26]   L’articolo 3 dispone che l'autorizzazione alla esportazione di campioni di sangue da cordone ombelicale per uso autologo è rilasciata di volta in volta dalla regione o dalla provincia autonoma di competenza, sulla base di modalità definite con Accordo Stato-Regioni. Nelle more della definizione dell'Accordo di cui sopra, l'autorizzazione alla esportazione di campioni di sangue cordonale per uso autologo è rilasciata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dietro richiesta dei soggetti, diretti interessati che non ricorrendo le condizioni di cui ai commi 3 e 4, per la conservazione ad uso autologo del sangue cordonale sul territorio nazionale, previo counselling con il Centro nazionale trapianti, e previo accordo con la Direzione sanitaria sede del parto, decidano di conservare detti campioni a proprie spese presso banche operanti all'estero.

[27]   Accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sulle linee progettuali per l'utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2007 (Rep. Atti n. 164/CSR del 1° agosto 2007) Linea progettuale 2 - Salute della donna e del neonato.

[28]   Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sulle linee progettuali per l’utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate ai sensi dell’articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2008. (Rep. Atti 20/CSR del 26/2/2009).

[29]   Queste risorse sono destinate a tutte le linee progettuali che comprendono, oltre la salute della donna e del neonato: cure primarie; aggiornamento del personale; reti assistenziali; governo clinico; liste di attesa e piano nazionale di prevenzione. La ripartizione tra le regioni del complesso delle quote vincolate è stata effettuata con Delibera CIPE 8/5/2009 “F.S.N. 2008 – Parte corrente - Ripartizione tra le regioni delle risorse accantonate per il perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale art.1, c.34 e 34 bis, legge n.662/1996” (GU n. 184 del 10-8-2009). Si ricorda che sono escluse da questa ripartizione le regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e le Province autonome di Trento e di Bolzano in quanto provvedono integralmente al finanziamento del servizio sanitario con risorse proprie. Per la regione Sicilia, invece, che partecipa al finanziamento del Servizio sanitario per una quota del 47,5 per cento, sono state operate le opportune riduzioni.

[30]   Si vedano a riguardo i documenti della Conferenza Stato-Regioni recanti l’approvazione  delle proposte ministeriali sull’ammissione al finanziamento dei progetti inviati dalle Regioni per l’utilizzo delle risorse vincolate per l’anno 2008: Atto n. 117/CSR del 6/11/2009 per le regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia; Atto n. 254/CSR del 17/12/2009 per la regione Calabria; mentre per il Molise: la proposta è stata inviata il 20/1/2010.

[31]   La somma è stabilita in sede di definizione del Fondo Sanitario nazionale (vedi l’Intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni sulla proposta di deliberazione del CIPE concernente il riparto tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano delle disponibilità finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale per l’anno 2009, Atto n. 35/CSR del 26/02/2009) e ripartita tra le regioni con Delibera CIPE, vedi Intesa sulla proposta di deliberazione CIPE relativa all’assegnazione alle Regioni delle risorse vincolate, ai sensi dell’articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, alla realizzazione degli obiettivi di Piano sanitario nazionale per l’anno 2009. (Rep. Atti 32/CSR del 26/2/2009).

[32]   Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle linee progettuali per l’utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate, ai sensi dell’articolo 1, commi 34 e 34bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009 (Rep. Atti 57/CSR del 25/3/2009). Le altre linee progettuali, oltre quella che qui interessa, sono le seguenti: 1. Le cure primarie; 2. La non autosufficienza; 3. promozione modelli organizzativi per pazienti in stato vegetativo; 4.Le cure palliative; 5. Biobanche; 6. Sanità penitenziaria; 7. L’attività motoria; 8. Piano nazionale della prevenzione.

[33]   Tenere il neonato nella stanza con la madre, anziché nel nido.

[34]   Regione Campania: Delib.G.R. 2-2-2005 n. 118 Indicazioni per la riduzione della incidenza del taglio cesareo in Regione Campania.

L.R. 02-03-2006, n. 2  Norme per la promozione del parto fisiologico. Delib.G.R. 14-7-2006 n. 966 Atto di indirizzo della legge regionale 2 marzo 2006, n. 2. Norme per la promozione del parto fisiologico Delib.G.R. 14-12-2007 n. 2161 Modifiche ed integrazioni alla Delib.G.R. 14 luglio 2006, n. 966.

Delib.G.R. 23-11-2007, n. 2041  Linee guida alle Azienda Sanitarie e Ospedaliere della Regione Campania sulla promozione dell'allattamento al seno. Con allegato.

[35]   Verifica affidata al titolare del coordinamento del progetto “ospedale senza dolore” (Delib.G.R. 17 novembre 2004, n. 2089).

[36]   Modificato nel 2007 (DGR 2161/2007) a seguito di una Ordinanza del TAR di Napoli. Dalle premesse alla DGR 2161: «La Prima Sezione del TAR di Napoli con ordinanza n. 188 /2007 - registro generale 7776/2006 ha accolto la domanda cautelare di sospensiva della predetta deliberazione [DGR 966/2006], nella parte in cui prevede la regressione tariffaria per la remunerazione delle prestazioni di ricovero per parto cesareo che superano la frequenza media attesa a livello nazionale del 36%, adducendo a motivazione che: "non appare legittima l'applicazione di una regressione tariffaria unicamente in ragione dello scostamento del numero dei parti cesarei nel territorio regionale rispetto alla media nazionale e quindi prescindendo del tutto da una verifica circa la necessità della prestazione chirurgica nei singoli casi". [L’ordinanza contiene inoltre l’opportunità]  “di prevedere una metodologia che possa consentire di valutare "la necessità della prestazione chirurgica nei singoli casi».

[37]   Regione Puglia, L.R. 31-12-2009 n. 34 Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2010 e bilancio pluriennale 2010 - 2012 della Regione Puglia. Art. 21 Prestazioni di ricovero per parto e relative tariffe.

[38]   Veneto L.R. 16-8-2007 n. 25 Disposizioni regionali in materia di parto fisiologico indolore.

[39]   Emilia-Romagna, Delib.G.R. 21-4-2008 n. 533 Direttiva alle Aziende sanitarie in merito al programma percorso nascita.Allegato 1: Schede obiettivi. Allegato 2 – contiene una serie di documenti tra cui: Diagnosi prenatale precoce delle principali anomalie cromosomiche - offerta attiva strutturata; Linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica alla gravidanza, al parto puerperio; Linee guida “il controllo del benessere fetale in travaglio di parto”; I disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino; Percorso nascita e qualità percepita: Rassegna bibliografica; La natimortalità: un programma di analisi e monitoraggio degli eventi mediante audit; Linee di indirizzo per l’assistenza al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra ospedaliero.

[40]   Emilia-Romagna, Delib.G.R. n. 1921 del 10.12.2007  "Linee Guida alle Aziende Sanitarie dell´Emilia-Romagna per il controllo del dolore in travaglio di parto" (in www.saluter.it/wcm/saluter/sanitaer/ssr/Programmazione_finanziamento.htm)

[41]   Lazio Delib.G.R. 20-12-2002, n. 1741 Piano sanitario regionale 2002/2004. Interventi ed azioni. Promozione dell'allattamento al seno nei reparti ospedalieri. LombardiaDecreto N. 15132 del 14/09/2004 Linee guida per la promozione e tutela dell'allattamento al seno in Regione Lombardia. opuscolo informativo su http://www.sanita.regione.lombardia.it/. ToscanaDelib.G.R. 2-11-2004 n. 1095 Promozione dell'allattamento al seno all'interno del percorso nascita. Determinazioni e Delib.G.R. 12-12-2005, n. 1221 Progetto Europeo per la protezione, promozione e sostegno dell'allattamento al seno: predisposizione di un opuscolo informativo per le donne in gravidanza. Veneto con DGR n. 248 del 4 febbraio 2005 adotta le "Linee di indirizzo regionali in materia di allattamento al seno" ed ha autorizzato la promozione dell'iniziativa "Ospedali amici dei bambini OMS/UNICEF" presso tutte le ASL del Veneto interessate ad intraprendere il percorso necessario per ottenere tale qualifica. Provincia autonoma di Trento Delib.G.P. 15-4-2005 n. 726, Alimentazione dei neonati: allattamento al seno e latte artificiale – Direttive. Campania Delib.G.R. 23-11-2007, n. 2041 Linee guida alle Azienda Sanitarie e Ospedaliere della Regione Campania sulla promozione dell'allattamento al seno.

[42]   “Promozione e sostegno dell'allattamento al seno” in http://www.regione.piemonte.it/sanita/program_sanita/dip_materno_inf/index.htm.

[43]   Così le regioni Abruzzo L.R. 10-3-2008 n. 5 Piano sanitario regionale 2008-2010. 5.2.8. I consultori familiari; Calabria Delib.G.R. 13-2-2007 n. 94 Approvazione delle «Linee di indirizzo per il riordino della organizzazione e delle attività sanitarie». 3.3.4. Il riordino dei servizi territoriali; Marche Delib.C.R. 31-7-2007 n. 62 Piano sanitario regionale 2007/2009. VII.6.2 Area materno-infantile, adolescenti e giovani. Assistenza alla gravidanza e alla nascita; Consultori familiari; Toscana Delib.C.R. 31-10-2007 n. 113 Piano integrato sociale regionale (P.I.S.R.) 2007-2010. 7.14 Tutela materno infantile e Le attività consultoriali ; Piemonte Delib.C.R. 24-10-2007 n. 137-40212 Piano socio-sanitario regionale 2007-2010. 4.5.3.3. Area materno-infantile; Puglia L.R. 19-9-2008 n. 23 Piano regionale di salute 2008-2010. 3.1.1 La promozione della salute delle donne in tutte le fasi della vita: Progetto di riorganizzazione della rete consultoriale; SardegnaDelib.C.R. 19-1-2007 Piano regionale dei servizi sanitari 2006-2008 2.3 La tutela materno-infantile (in particolare: il percorso nascita)

[44]   Nel Piano regionale dei servizi sanitari 2006-2008 della Sardegna (Delib.C.R. 19-1-2007) uno degli obiettivi da raggiungere nell’ambito dell’assistenza al parto e al puerperio è “l'attivazione di percorsi specifici per le donne straniere nel rispetto delle diverse culture di appartenenza anche mediante gli interventi di mediazione culturale da realizzare attraverso iniziative di formazione degli operatori”.

[45]   Ai sensi dell’articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, Il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.

[46]   Articolo 1, comma 34, della legge del 23 dicembre 1996, n. 662.

[47]   Cfr. l’articolo 9 dell’Intesa Stato Regioni del 23 marzo 2005.

[48] Cfr. art. 1, comma 11, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.,

[49]   Cfr. la Dichiarazione congiunta dell’OMS/UNICEF sull’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno, avvenuta a Ginevra nel 1989. In particolare, ogni punto nascita e di assistenza al neonato dovrebbe attuare i seguenti 10 passi:

1. Definire un protocollo scritto per la promozione dell’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario.

2. Addestrare il personale sanitario affinché possa mettere in pratica tale protocollo.

3. Informare le donne già durante la gravidanza sui vantaggi e sulla conduzione dell’allattamento al seno.

4. Aiutare le madri perché comincino ad allattare al seno entro mezz’ora dal parto.

5. Mostrare alle madri come allattare e come mantenere la produzione di latte anche in caso di separazione dal neonato.

6. Non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, salvo indicazioni mediche.

7. Praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale.

8. Incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta.

9. Non dare tettarelle artificiali o succhiotti durante il periodo dell’allattamento.

10. Favorire lo stabilirsi di gruppi di sostegno all’allattamento al seno ai quali le madri possano rivolgersi dopo la dimissione dall’ospedale o dalla clinica. Vedi anche www.who.int/features/factfiles/breastfeeding/en.

[50]   L’anestesia epidurale è la più collaudata tecnica analgesica in travaglio di parto e determina un’analgesia parziale del corpo, permettendo alla gestante di mantenere uno stato di coscienza vigile e una respirazione spontanea. La somministrazione di farmaci oppiacei avviene nello spazio epidurale della colonna vertebrale. L’infusione è permessa da un sottile sondino, posizionato tramite la puntura di un ago in sede lombare. La tecnica determina un blocco epidurale continuo, con effetto sedante sulle terminazioni nervose che si originano dal midollo spinale. Rispetto all’anestesia generale classica, la quantità di farmaci utilizzata è notevolmente ridotta.

[51]   Cfr. Making pregnancy safer, World Health Organization, in www.who.int.

[52] Cfr. www.salute.gov.it