Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Statuto delle imprese - A.C. 2754 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2754/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 250
Data: 30/11/2009
Descrittori:
IMPRESE     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Statuto delle imprese

A.C. 2754

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 250

 

 

 

30 novembre 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive

( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§       Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§       Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: AP0087.doc

 


INDICE

Introduzione

§      Struttura e dimensione delle imprese italiane  1

§      Lo Small Business Act3

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Finalità)9

§      Articolo 2 (Principi generali)10

§      Articolo 3 (Libertà associativa)12

§      Articolo 4 (Procedure di valutazione)14

§      Articolo 5 (Rapporti con la pubblica amministrazione)17

§      Articolo 6 (Certificazione sostitutiva e procedura di verifica)24

§      Articolo 7 (Insolvenza)27

§      Articolo 8 (Disciplina degli appalti pubblici)31

§      Articolo 9 (Definizioni)35

§      Articolo 10 (Incentivi all’imprenditorialità)40

§      Articolo 11 (Sostegno pubblico alle micro, piccole e medie imprese)44

§      Articolo 12 (Politiche pubbliche per la competitività)47

§      Articolo 13 (Imposizione fiscale)48

§      Articolo 14 (Imprenditoria giovanile, femminile, tecnologica e nelle aree svantaggiate)50

§      Articolo 15 (Istituzione e compiti dell'Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese)52

§      Articolo 16 (Organi dell’agenzia)54

§      Articolo 17 (Istituzione della Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese)55

§      Articolo 18 (Attività della Commissione)56

§      Articolo 19 (Spese di funzionamento)57

§      Articolo 20 (Rapporti tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali)58

§      Articolo 21 (Entrata in vigore e provvedimenti di attuazione)59

§      Articolo 22 (Abrogazioni)60

§      Articolo 23 (Norma finanziaria)61

Compatibilità comunitaria

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   63


Introduzione

Struttura e dimensione delle imprese italiane

Secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili[1], relativi all’anno 2007, le imprese italiane attive nell’industria e nei servizi sono poco meno di 4,5 milioni e occupano, complessivamente, circa 17,6 milioni di addetti.

La prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo è confermata dalle oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 95 per cento del totale ed occupano il 46 per cento degli addetti.

Il 21 per cento degli addetti, pari a quasi 3,7 milioni, lavora nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle medie imprese (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti).

Soltanto 3.630 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti e più, assorbendo, tuttavia, il 20 per cento dell’occupazione complessiva (oltre 3,5 milioni di addetti).

Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2007 (valori assoluti)

 

Classi
di Addetti

Attività economiche

Totale

Industria in senso stretto

Costruzioni

Commercio, trasporti e alberghi

Altri servizi

 

Imprese

Addetti

Imprese

Addetti

Imprese

Addetti

Imprese

Addetti

Imprese

Addetti

1

159.966

160.771

331.754

333.775

879.297

879.459

1.222.062

1.217.712

2.593.079

2.591.717

2-9

237.592

946.664

263.595

928.729

707.054

2.324.837

445.861

1.371.389

1.654.102

5.571.620

10-19

52.428

704.050

25.427

327.765

47.578

616.834

23.407

305.357

148.840

1.954.006

20-49

25.183

757.903

7.242

209.254

15.544

459.130

10.095

306.582

58.064

1.732.869

50-249

10.466

1.019.423

1.556

135.002

5.268

503.876

5.468

552.988

22.758

2.211.289

250 e più

1.520

1.148.692

86

55.169

876

1.045.016

1.148

1.275.653

3.630

3.524.529

Totale

487.155

4.737.503

629.660

1.989.694

1.655.617

5.829.152

1.708.041

5.029.681

4.480.473

17.586.031

Fonte: Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive

Il grafico che segue evidenzia la percentuale di imprese che rientrano nelle classi di addetti previste dalla definizione UE:

 

La struttura delle imprese, in termini di attività economica, si presenta caratterizzata da una forte concentrazione dell’occupazione nel settore manifatturiero, con oltre il 25 per cento degli addetti totali, nel Commercio, sia all’ingrosso sia al dettaglio, che nel complesso raggiunge il 20 per cento dell’occupazione totale e nel settore delle Costruzioni dove le imprese occupano poco più dell’11 per cento degli addetti totali.

Come riflesso immediato di tale situazione si ha che le imprese industriali presentano una dimensione media maggiore rispetto a quella del settore terziario. Per le Costruzioni e per il Commercio, trasporto e alberghi la dimensione media è rispettivamente di 3,2 e 3,5 addetti per impresa, mentre per gli Altri servizi si registra nel complesso un valore medio di 2,9 addetti, inferiore alla media nazionale per tutte le attività economiche che è di 3,9 addetti.

Analizzando il peso, in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno di singole classi dimensionali, si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle imprese più piccole (6,2 per cento) e cresce all’aumentare della classe dimensionale, raggiungendo il valore più elevato nella media impresa (da 50 a 249 addetti), dove quasi il 50 per cento dell’occupazione compete all’industria in senso stretto.

I settori del terziario sono caratterizzati dalla presenza di micro e piccole imprese: tra le imprese che occupano fino a 10 addetti sono più numerose quelle dei settori del Commercio, trasporto e alberghi e degli Altri servizi (complessivamente rappresentano oltre il 76,6 per cento delle micro imprese).

Quest’ultimo settore contraddistingue anche il segmento delle grandi imprese (250 addetti e oltre), con oltre il 36 per cento degli addetti, mentre in questa classe l’Industria in senso stretto rappresenta il 33 per cento dell’occupazione.

Vista la struttura del sistema produttivo italiano, un segmento di particolare importanza da analizzare è quello delle imprese senza lavoratori dipendenti, il cui input di lavoro è costituito, quindi, dai soli lavoratori indipendenti. Queste ammontano a circa 2 milioni e 937 mila (65,5 per cento del totale delle imprese attive).

Analizzando la struttura delle imprese in termini di forma giuridica si evidenzia come quasi due terzi si registrano come Imprese Individuali. Nel 2007 queste sono oltre 2,8 milioni e occupano 4,5 milioni di addetti. Poco più del 18 per cento delle imprese adotta la forma giuridica di Società di persone, occupando il 17 per cento degli addetti totali, mentre un altro 16 per cento sceglie di operare come Società di capitali e assorbe oltre la metà degli occupati totali, pari a quasi 9 milioni di addetti. Infine un restante 1,1 per cento è costituito da Società cooperative che in termini di occupazione costituiscono oltre il 6 per cento degli addetti totali.

In termini di localizzazione, 1,3 milioni di imprese (quasi il 30 per cento del totale) hanno la sede amministrativa nel Nord-Ovest, occupando il 34 per cento degli addetti complessivi. In questa ripartizione la quota più consistente di imprese opera negli Altri servizi (41 per cento), analogamente a quanto si verifica nel Centro (41 per cento) e nel Nord-est (37 per cento). Il Commercio, invece, caratterizza fortemente le regioni meridionali (44 per cento sia nel Sud sia nelle Isole). Il dato occupazionale conferma solo in parte quanto evidenziato per le imprese. Nelle regioni meridionali la prevalenza delle attività di Commercio è confermata dai dati relativi al numero di occupati (38 per cento nel Sud e il 40 per cento nelle Isole). La quota di addetti più alta nel Nord-Ovest si conferma negli Altri Servizi (31 per cento), mentre nel Centro prevale il Commercio (36 per cento) e nel Nord-est l’attività principale è quella industriale (33 per cento).

Lo Small Business Act

L’iniziativa intitolata “Small Business Act” (SBA)[2] per l’Europa mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee, affrontando tutti i temi della vita delle piccole e medie imprese (PMI), dall’accesso al credito alla semplificazione amministrativa, dagli interventi fiscali all’innovazione tecnologica, dall’efficienza energetica all’ambiente, dal sostegno agli investimenti alla formazione, fino alla facilitazione della partecipazione delle PMI agli appalti pubblici. Le politiche comunitarie e nazionali devono tenere maggiormente conto del contributo delle PMI alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro.

 

Lo “Small Business Act” si basa su dieci principi destinati a guidare la formulazione delle politiche comunitarie e nazionali, nonché su misure pratiche per la loro attuazione[3]:

§      Sviluppo di un ambiente favorevole all'imprenditorialità al fine di agevolare la creazione di PMI, in particolare fra le donne e gli immigrati, e di incoraggiare i trasferimenti di imprese, soprattutto delle PMI familiari.

La Commissione deve promuovere la cultura imprenditoriale in particolare attraverso la creazione di reti di imprese e lo scambio di esperienze. Gli Stati membri devono adottare misure nei settori dell'insegnamento, della formazione, della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori.

§      Sostegno agli imprenditori onesti che desiderano riavviare un'attività dopo aver sperimentato l'insolvenza.

La Commissione incoraggia lo sviluppo di una "politica della seconda possibilità". In tale ottica, gli Stati membri devono porre in essere regimi di sostegno e limitare la durata delle procedure di scioglimento di un’impresa, in caso di bancarotta non fraudolenta.

§      Formulazione di normative conformi al principio "Pensare anzitutto in piccolo".

Prima di adottare nuove normative, la Commissione e gli Stati membri devono valutare il loro impatto attraverso una "prova PMI", condurre consultazioni delle parti interessate, ricorrere a misure specifiche per le piccole imprese e microimprese in materia d'informazione e di relazione.

§      Adattamento delle pubbliche amministrazioni alle esigenze delle PMI ed eliminazione degli ostacoli amministrativi.

Gli Stati membri devono ricorrere quanto più possibile a procedure semplificate, all'e-government e a soluzioni a sportello unico e devono impegnarsi ad accelerare le procedure necessarie a fondare un'impresa e ad avviare le attività commerciali.

§      Adeguamento dell'intervento politico pubblico in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici e di concessione degli aiuti di Stato.

La Commissione deve in particolare presentare un Codice di buone pratiche destinato alle autorità contraenti per le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, e un Vademecum sugli aiuti di Stato alle PMI. Gli Stati membri devono adottare misure specifiche per le PMI e informare meglio quest'ultime sulle opportunità esistenti.

§      Ricorso a tipi di finanziamento diversificati, quali i capitali di rischio, il microcredito o il finanziamento mezzanino.

La Commissione deve creare condizioni favorevoli agli investimenti, in special modo a livello transfrontaliero. Gli Stati membri devono avviare nuovi programmi d'incentivo agli investimenti, sfruttando al contempo le possibilità offerte dai fondi comunitari, quali il programma quadro per l'innovazione e la competitività 2007-2013, i programmi della politica di coesione e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).

§      Adeguamento della politica del mercato interno alle caratteristiche delle PMI e miglioramento della sua governance e visibilità.

La Commissione deve adoperarsi affinché le PMI beneficino delle opportunità offerte dal mercato unico, in particolare grazie ai sistemi dei brevetti e del marchio comunitario. Gli Stati membri devono altresì garantire la corretta applicazione del principio di riconoscimento reciproco e il buon funzionamento della rete SOLVIT.

§      Rafforzamento del potenziale d’innovazione, di ricerca e di sviluppo delle PMI, in particolare attraverso l'acquisizione delle competenze necessarie da parte degli imprenditori e del loro personale, il raggruppamento delle imprese in cluster e il coordinamento delle iniziative nazionali.

La Commissione deve sostenere la partecipazione delle PMI ai programmi comunitari, quali il programma Leonardo Da Vinci per la mobilità degli apprendisti e il programma quadro per la ricerca e lo sviluppo (PQRS). Deve inoltre agevolare il loro accesso agli aiuti di Stato.

§      Trasformazione delle sfide ambientali in opportunità nell'ambito della produzione e commercializzazione di prodotti e servizi.

La Commissione deve in particolare agevolare l'accesso al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS). Gli Stati membri devono incentivare le PMI a sviluppare nuovi prodotti e servizi rispettosi dell'ambiente e ad adottare sistemi di gestione eco-efficienti.

§      Apertura delle PMI ai mercati esterni.

La Commissione, per assistere le PMI nel superamento delle barriere commerciali nei mercati esterni all'UE e in particolare nei mercati emergenti, istituirà dei Centri europei d'impresa a livello internazionale, cominciando dalla Cina e dall'India, e sosterrà l'apertura dei mercati privati e pubblici dei paesi terzi.

Lo “Small Business Act” prevede inoltre una serie di nuove proposte legislative per rispondere alle esigenze delle piccole e medie imprese. Tali proposte riguardano le possibilità offerte alle PMI in materia di aiuti di Stato compatibili con il mercato unico, lo statuto della Società privata europea (SPE), la riduzione di talune aliquote IVA, la semplificazione e l’armonizzazione delle norme di fatturazione, nonché la riduzione dei ritardi di pagamento.

Lo "Small Business Act" è stato formalmente adottato nelle conclusioni del Consiglio Competitività dell'1 e 2 dicembre 2008.

Con riferimento a tale atto, il 4 dicembre 2008 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione sulla strada verso il miglioramento dell'ambiente per le PMI in Europa - Atto sulle piccole imprese ("Small Business Act").

Si ricorda infine che, nel Consiglio dei ministri del 27 novembre 2009, il Presidente del Coniglio ha illustrato una sua direttiva che dà attuazione ai principi previsti dalla Comunicazione della Commissione dell’Unione europea relativa allo Small Business Act, che mira a migliorare l’approccio politico ed a orientare proposte per le piccole e medie imprese, valorizzandone le potenzialità di crescita. Il Consiglio ha condiviso il merito dell’iniziativa, sulla quale la Conferenza unificata esprimerà parere.

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Finalità)

 


     1. La presente legge definisce lo status giuridico delle imprese al fine di assicu­rare lo sviluppo della persona e della sua espressione attraverso il lavoro nonché di garantire un'effettiva concorrenza e una reale libertà di iniziativa economica pri­vata ai sensi dell'articolo 41 della Costitu­zione.

     2. Lo status giuridico delle imprese è volto:

          a) al riconoscimento del contributo fondamentale delle imprese alla crescita dell'occupazione e alla prosperità econo­mica;

          b) a promuovere la costruzione di un contesto socio-culturale in cui impren­ditori e imprese familiari possano prospe­rare;

          c) a sostenere l'avvio di nuove im­prese, in particolare da parte dei giovani e delle donne;

          d) a valorizzare il potenziale di cre­scita, di produttività e di innovazione delle imprese, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese;

          e) a favorire la competitività del si­stema produttivo nazionale nel contesto internazionale;

          f) a promuovere o ad adeguare l'in­tervento pubblico alle esigenze delle mi­cro, piccole e medie imprese;

          g) a rendere le pubbliche ammini­strazioni sensibili e attente alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese.


 

 

L’articolo 1 esplicita le finalità del provvedimento, che – come si legge nella relazione illustrativa – è volto a stabilire i diritti fondamentali delle imprese definendone lo status giuridico, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act adottato a livello comunitario (cfr. supra, l’Introduzione).

In particolare le finalità del provvedimento indicate dall’articolo in esame sono:

§      riconoscere il contributo fondamentale delle imprese alla crescita dell'occupazione e allo sviluppo economico;

§      promuovere la creazione di un contesto socio-culturale in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare;

§      sostenere l'avvio di nuove imprese, in particolare da parte dei giovani e delle donne;

§      valorizzare il potenziale di crescita, di produttività e di innovazione delle imprese, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese;

§      favorire la competitività del sistema produttivo nazionale nel contesto internazionale;

§      adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese;

§      sensibilizzare le pubbliche amministrazioni alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese.


 

Articolo 2
(Principi generali)

 


     1. Sono princìpi fondamentali dello sta­tus giuridico delle imprese:

          a) la libertà di iniziativa, di associa­zione, di stabilimento e di prestazioni di servizi, nonché la concorrenza, quali prin­cìpi riconosciuti dall'Unione europea;

          b) la sussidiarietà orizzontale quale principio informatore delle politiche pub­bliche, anche con riferimento alla crea­zione d'impresa, in particolare da parte dei giovani e delle donne, alla semplifica­zione, alla tassazione, allo stimolo del ta­lento imprenditoriale, alla successione d'impresa e alla certificazione;

          c) la responsabilità dello Stato, nella valutazione dell'opportunità dei provvedimenti discrezionali concernenti l'attività d'impresa e nell'adozione di norme certe;

          d) la messa a carico della pubblica amministrazione degli oneri procedurali concernenti l'attività d'impresa;

          e) la fiducia dello Stato nei confronti dell'imprenditore e dell'impresa quale condizione della realizzazione dello Stato democratico;

          f) l'innovazione, quale strumento per una maggiore trasparenza della pub­blica amministrazione e per la garanzia della possibilità di accesso delle imprese, in particolare delle micro, piccole e medie imprese, alle politiche pubbliche;

          g) la reciprocità nei rapporti econo­mici e nelle transazioni.


 

 

L’articolo 2 esplicita i principi fondamentali dello status giuridico delle imprese:

§      libertà di iniziativa economica e concorrenza;

§      sussidiarietà orizzontale quale principio a cui sono improntate le politiche pubbliche, anche per quanto riguarda l’avvio dell’attività d’impresa, la semplificazione burocratica, la tassazione, la successione d’impresa;

§      adozione di norme certe sull’attività d’impresa;

§      oneri procedurali relativi all’attività imprenditoriale posti a carico della pubblica amministrazione;

§      fiducia dello Stato nei confronti dell’imprenditore;

§      innovazione per una maggiore trasparenza della pubblica amministrazione e per rendere possibile l’accesso delle imprese, in particolare quelle di minore dimensione, alle politiche pubbliche;

§      reciprocità nei rapporti economici e commerciali.

 

L’approvazione del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha posto al centro del nuovo assetto della funzione amministrativa il principio di sussidiarietà con i correlati principi di differenziazione e adeguatezza.

Sotto il profilo strettamente giuridico, il termine sussidiarietà rimanda a due distinti concetti, ovvero alla:

sussidiarietà orizzontale intesa come principio ordinatore dei rapporti tra lo stato, le formazioni sociali e gli individui;

sussidiarietà verticale intesa come criterio di distribuzione delle competenze tra lo stato e le autonomie locali.

Nella sua dimensione orizzontale, la sussidiarietà implica che i poteri pubblici intervengano nei confronti del corpo sociale con l’obiettivo di favorirne l’autonomia, di modo che l’intervento si dispieghi solo qualora la stessa cittadinanza non possa efficacemente provvedere alla realizzazione degli interessi generali. È in questo senso che il principio viene riconosciuto dall’ultimo comma dell’art. 118 Cost., ai sensi del quale: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Nella sua dimensione verticale, il principio di sussidiarietà possiede un duplice profilo. L’art. 118 Cost., comma 1, ridisegna infatti le funzioni amministrative, attribuendone la titolarità, in via generale, ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, queste siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. In definitiva, è la stessa natura delle funzioni esercitate a condizionare l’individuazione dell’ente legittimato all’esercizio delle stesse, senza che gli interessi generali vengano pregiudicati dall’assegnazione delle funzioni amministrative ad un ente inidoneo alla loro realizzazione.

In tale contesto devono essere considerate le diversità sostanziali che distinguono in concreto le situazioni degli enti territoriali, tenendo conto di elementi quali le dimensioni demografiche o territoriali, la collocazione geografica e la vocazione economica, in base al principio di differenziazione; mentre la rispondenza al principio di adeguatezza comporta una valutazione delle capacità di governo e di amministrazione, delle stesse condizioni di mezzi, strumenti, competenze e professionalità a disposizione dello stesso ente territoriale.

Il comma 2 dell’art. 120 Cost., prevedendo infine il potere sostitutivo del governo centrale di fronte ad inadempienze delle Regioni e degli Enti locali, richiama il principio di sussidiarietà, per cui il livello superiore (ente centrale) interviene quando il livello inferiore (ente territoriale) non è in grado di assolvere alle proprie funzioni.

 


 

Articolo 3
(Libertà associativa)

 

1. Ogni impresa è libera di associarsi in una o più associazioni.

2. Nessuna associazione può rivendicare l'esclusività della rappresentanza di un'impresa.

3. Lo Stato riconosce quali associazioni di rappresentanza delle imprese le associazioni rappresentate nel sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di seguito denominate «camere di commercio».

 

 

L’articolo 3 pone il principio della libertà di associazione delle imprese, precisando che nessuna associazione può rivendicare l’esclusività della rappresentanza.

Vengono riconosciute quali associazioni di rappresentanza delle imprese quelle rappresentate nel sistema delle camere di commercio.

 

La legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) recante ladisciplina generale sulle camere di commercio[4]fissa le funzioni, la struttura e l'organizzazione delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, comunemente denominate «camere di commercio».

Dal punto di vista legislativo le camere di commercio sono definite "enti autonomi di diritto pubblico". Hanno sede, generalmente, in ogni capoluogo di provincia e operano essenzialmente in campo amministrativo e promozionale. In campo amministrativo regolamentano l'accesso e lo svolgimento delle attività economiche, mediante la gestione di registri, albi e ruoli; quali, ad esempio, il Registro delle imprese, in cui sono tenuti a iscriversi tutti gli imprenditori. In campo promozionale svolgono funzioni di supporto e di promozione degli interessi delle imprese, con riferimento particolare al loro sviluppo nell'ambito delle economie locali.

I più importanti campi di intervento delle camere sono: la formazione, l'innovazione tecnologica, la certificazione di qualità, l'internazionalizzazione, l'arbitrato e lo sviluppo di servizi avanzati alle imprese, specie di piccole e medie dimensioni. Gli strumenti giuridici per il perseguimento di questi scopi sono vari. In particolare, le camere di commercio promuovono, realizzano e gestiscono strutture ed infrastrutture economiche sia in forma diretta, sia mediante il sistema della compartecipazione ad organismi associativi insieme ad altri soggetti pubblici o privati, sia mediante la costituzione di aziende speciali che agiscono in regime di diritto privato. Le camere di commercio esercitano, inoltre, le funzioni ad esse delegate dallo Stato e dalle Regioni, nonché quelle derivanti da convenzioni internazionali. Alle camere di commercio sono poi attribuiti compiti in materia di tutela degli interessi dei consumatori. La vigilanza sull'attività, con particolare riguardo al profilo patrimoniale e gestionale, è svolta dal Ministro dello sviluppo economico, nel rispetto dell'autonomia statutaria riconosciuta a ciascuna camera. La legge individua nel Consiglio, nella Giunta, nel Presidente e nel Collegio dei revisori dei conti, gli organi delle camere di commercio. Il Consiglio, in particolare, si configura quale organo di vertice composto da un numero variabile di membri indicati dalle categorie economiche più rappresentative della provincia, che elegge al suo interno la Giunta, organo esecutivo dell'ente, e il Presidente.

Al finanziamento ordinario delle camere di commercio si provvede mediante:

a) i contributi a carico del bilancio dello Stato quale corrispettivo per l'esercizio di funzioni di interesse generale svolte per conto della pubblica amministrazione;

b) il diritto annuale dovuto ad ogni singola camera di commercio da parte di ogni impresa iscritta o annotata nei registri;

c) i proventi derivanti dalla gestione di attività e dalla prestazione di servizi e quelli di natura patrimoniale;

d) le entrate e i contributi derivanti da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in relazione alle attribuzioni delle camere di commercio;

e) i diritti di segreteria sull'attività certificativa svolta e sulla iscrizione in ruoli, elenchi, registri e albi, aggiornati con decreto del Ministro dello sviluppo economico;

f) i contributi volontari, i lasciti e le donazioni di cittadini o di enti pubblici e privati;

g) altre entrate e altri contributi.

L'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Unioncamere) cura e rappresenta gli interessi generali delle camere di commercio; promuove, realizza e gestisce, direttamente o per il tramite di proprie aziende speciali, nonché mediante la partecipazione ad organismi anche associativi, ad enti, a consorzi e a società anche a prevalente capitale privato, servizi e attività di interesse delle camere di commercio e delle categorie economiche.


 

Articolo 4
(Procedure di valutazione)

 


     1. Lo Stato, le regioni, gli enti locali e gli enti pubblici sono tenuti a valutare l'im­patto delle iniziative legislative, regola­mentari e amministrative sulle micro, pic­cole e medie imprese, prima della loro emanazione, attraverso:

          a) l'integrazione dei risultati delle valutazioni nella formulazione delle pro­poste;

          b) la previsione obbligatoria ed espressa dell'introduzione di deroghe per la loro applicazione alle micro, piccole e medie imprese.

     2. Le regioni e gli enti locali, anche in forma associata, con il concorso del si­stema delle camere di commercio, pos­sono costituire appositi organi per l'attua­zione delle disposizioni del comma 1.

     3. I soggetti di cui al comma 1 sono te­nuti a consultare le parti interessate prima della presentazione di una proposta legi­slativa, regolamentare e amministrativa destinata ad avere conseguenze sulle im­prese.


 

 

L’articolo in commento prevede l’introduzione di una valutazione dell’impatto sulle micro, piccole e medie imprese (MPMI) della regolazione pubblica.

In particolare, Stato, regioni, enti locali ed enti pubblici sono tenuti a valutare gli effetti sulle imprese delle “iniziative legislative, regolamentari ed amministrative”, anche mediante l’obbligo di consultare le parti interessate prima della presentazione delle relative proposte.

In base a tale disposizione, i risultati della valutazione d’impatto dovrebbero integrare la formulazione delle proposte legislative, regolamentari ed amministrative, le quali dovrebbero altresì prevedere espressamente ed obbligatoriamente deroghe per l’applicazione delle misure in esse contenute da parte delle micro, piccole e medie imprese.

 

Per l’attuazione di tali disposizioni a livello territoriale, le regioni e gli enti locali possono istituire appositi organi, anche in forma associata e con il concorso delle camere di commercio.

 

In relazione alle misure previste dalle disposizioni in esame, si ricorda che l’articolo 14, co. 5, della legge 246/2005[5] assoggetta tutti gli atti normativi del Governo, salvo i casi di esenzione[6], all’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), definita come la «valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative», e affianca all’analisi preventiva di impatto la verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR), la quale consiste «nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni»[7].

Con particolare riferimento alla valutazione degli effetti sulle imprese, il successivo regolamento di attuazione[8] dispone che la relazione AIR:

-          è preceduta da un’adeguata istruttoria, comprensiva delle fasi di consultazione, anche telematica, delle principali categorie di soggetti pubblici e privati destinatari diretti ed indiretti della proposta di regolamentazione;

-          dà conto dell'opzione di intervento selezionata, anche mediante indicazione degli obblighi informativi (OI) introdotti con l'opzione prescelta, ovvero tutti quegli obblighi che la norma pone a carico dei destinatari diretti ed indiretti e che riguardano la raccolta, il mantenimento e la trasmissione di informazioni a terzi o ad autorità pubbliche, evidenziando come tale opzione minimizzi i relativi «costi amministrativi» posti a carico dei destinatari diretti ed indiretti, con particolare enfasi per i costi amministrativi delle imprese;

-          contiene la stima dell'incidenza sul corretto funzionamento concorrenziale del mercato delle proposte regolatorie suscettibili di avere un impatto significativo sulle attività d'impresa[9];

-          deve valutare l'incidenza dell'intervento regolatorio e la sua rilevanza sul sistema delle imprese per quanto concerne la competitività internazionale.

Inoltre, per quanto riguarda gli atti amministrativi, si ricorda che la legge 241/1990[10], le cui disposizioni si applicano ad ogni amministrazione dello Stato e delle autonomie locali, fatte salve le prerogative delle Regioni, prevede strumenti volti a garantire trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione attraverso il coinvolgimento dei soggetti interessati. In particolare, la legge stabilisce che: l’avvio di un procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti destinatari, diretti e indiretti, del provvedimento finale, sempre che non sussistano particolari esigenze di celerità (art. 3); qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento (art. 9); l’amministrazione ha l’obbligo di valutare documenti e memorie scritte presentati (art. 10)[11]; l’amministrazione deve motivare la propria decisione finale, anche in relazione alle risultanze dell'istruttoria (art. 3)[12].

 

Va notato che la formulazione del comma 1 configura come strumenti della valutazione sia l’integrazione nelle proposte dei risultati della stessa valutazione (lett.a), sia la previsione di deroghe (lett.b), elementi che, invece, costituiscono, piuttosto, risultati, e non mezzi, della valutazione di impatto. In merito al riferimento alle proposte si potrebbe opportunamente specificare che si tratta delle proposte d’iniziativa di cui all’alinea.

Al medesimo comma 1, si osserva che il termine “emanazione” è generalmente riferito all’adozione di atti normativi. Inoltre, si valuti l’opportunità di riformulare la lettera b) in modo da chiarire la tassatività e l’obbligatorietà della previsione di deroghe per l’applicazione delle misure legislative, regolamentari ed amministrative per le MPMI.

In relazione al comma 3, si valuti l’opportunità di chiarire i soggetti che devono essere consultati e i tempi della consultazione nella sequenza procedimentale normativa ovvero amministrativa.

 


 

Articolo 5
(Rapporti con la pubblica amministrazione)

 


     1. Lo Stato nelle sue articolazioni e la pubblica amministrazione sono al servizio dei cittadini e delle imprese. In particolare, nel rapporto con le imprese essi garanti­scono la trasparenza delle regole, l'effica­cia, l'efficienza, la tempestività e l'unifor­mità di trattamento.

     2. Lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e le autorità competenti ga­rantiscono, attraverso le camere di com­mercio, la pubblicazione e l'aggiorna­mento delle norme e dei requisiti minimi per l'esercizio di ciascuna tipologia di atti­vità d'impresa; essi sono altresì tenuti a prevedere un trattamento di maggiore fa­vore, attraverso procedure semplificate e la riduzione al minimo delle commissioni di registrazione alle camere di commercio, per l'avvio di nuove imprese e per l'eser­cizio da parte delle micro, piccole e medie imprese.

     3. L'avvio dell'attività d'impresa è subor­dinato alla richiesta della preventiva autorizzazione all'amministrazione com­petente, cui si applicano i termini di cui al comma 4, per quanto riguarda le attività d'impresa che comportano gravi pregiudizi alla salute, alla pubblica incolumità e ai beni ambientali.

     4. Per ogni richiesta presentata alla pubblica amministrazione l'impresa ha di­ritto di ricevere una risposta entro il ter­mine massimo di novanta giorni; il proce­dimento può essere interrotto una sola volta per un massimo di trenta giorni per la richiesta di integrazioni. Decorsi inutil­mente tali termini la richiesta si intende approvata. In caso di diniego l'ammini­strazione è tenuta a dare adeguata moti­vazione. In nessun caso posso essere addotti motivi imputabili a inadempienze dell'amministrazione stessa. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze possono indicare, in ragione di dimensioni e di settori economici diffe­renti, termini di maggiore favore.

     5. La pubblica amministrazione non può richiedere alle imprese copie di do­cumentazioni o di certificazioni già in pos­sesso della stessa pubblica amministra­zione. In particolare, le certificazioni rela­tive all'impresa possono essere comuni­cate dalle stesse al registro delle imprese di cui all'articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, e possono essere inserite nel Repertorio economico amministrativo (REA). Alla pubblica amministrazione e alle autorità aventi titolo è garantito l'accesso telema­tico al registro delle imprese ed è fatto di­vieto di esigere dalle imprese copie di do­cumentazioni presenti nello stesso regi­stro.

     6. Lo Stato garantisce alle micro, pic­cole e medie imprese il ricorso a misure specifiche per quanto riguarda periodi di transizione, deroghe ed esenzioni, in par­ticolare da obblighi di informazione o di relazione.

     7. La pubblica amministrazione è te­nuta alla liquidazione delle corresponsioni dovute alle imprese fornitrici di beni e di servizi entro il termine massimo di no­vanta giorni; decorso tale termine si appli­cano gli interessi legali.


 

 

L’articolo 5 dispone norme dirette alla semplificazione dei procedimenti per l’attività di impresa.

Il comma 1 stabilisce che, nei rapporti con le imprese, lo Stato e la pubblica amministrazione devono garantire il rispetto dei principi di trasparenza delle regole, efficacia, efficienza, tempestività ed uniformità di trattamento.

 

La disposizione richiama in parte le regole generali che sovrintendono all’attività amministrativa contenute nella legge n. 241/1990. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’articolo 1 della legge citata, l’attività amministrativa è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità di pubblicità e di trasparenza, nonché dai princìpi dell'ordinamento comunitario.

 

Il comma 2 stabilisce che alla pubblicazione e all’aggiornamento delle norme e dei requisiti minimi per l’esercizio di ciascuna tipologia di attività imprenditoriale debbano concorrere, attraverso le camere di commercio, lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e le autorità competenti. Gli stessi soggetti sono, inoltre, tenuti a prevedere un trattamento di favore per l’avvio e l’esercizio dell’attività da parte delle micro, piccole e medie imprese attraverso l’adozione di procedure semplificate e la riduzione delle “commissioni di registrazione alle camere di commercio”.

Il riferimento alle “commissioni di registrazione alle camere di commercio” appare improprio. Andrebbe chiarito se la norma intende riferirsi al diritto annuale di iscrizione al Registro delle imprese o invece ai costi e diritti di segreteria per i documenti e le pratiche del Registro delle imprese.

 

In materia di avvio di attività d’impresa, va ricordata la semplificazione e la velocizzazione delle comunicazioni per la nascita dell’impresa, introdotta con l’art. 9 del decreto-legge 7/2007[13]. Tale disposizione prevede che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione nel Registro delle imprese, ai fini previdenziali, assistenziali, assicurativi e fiscali, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano sostituiti da una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale (fatti salvi, in ogni caso, eventuali controlli successivi). Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazioni dell’attività d’impresa. Con il D.P.C.M. 6 maggio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 3 luglio 2009, sono state definite le regole tecniche per l'attuazione della procedura della comunicazione unica. L’art. 23, comma 13, del decreto-legge 78/2009[14] ha differito l’applicazione della disciplina sulla comunicazione unica per avviare l'attività d’impresa, disponendo che essa si applichi dal 1° ottobre 2009.

Rimane la facoltà degli interessati, per i primi sei mesi di applicazione della nuova disciplina, di presentare alle amministrazioni competenti le comunicazioni secondo la normativa previgente. Durante tale fase sperimentale che si concluderà il 1° aprile 2010 si potrà scegliere di utilizzare la procedura elettronica della comunicazione unica oppure la procedura tradizionalein modalità non integrata. Successivamente, a partire dal 1° aprile 2010, la comunicazione unica sarà obbligatoria e sostituirà ad ogni effetto di legge le attuali modalità di trasmissione della modulistica al Registro delle imprese e agli altri enti interessati.

 

Sempre in tema di semplificazione delle procedure per l’avvio e lo svolgimento delle attività imprenditoriali, il DL 112/2008[15] all’art. 38 ha affidato al Governo il compito di procedere - tramite apposito regolamento e sulla base di specifici principi e criteri - alla semplificazione e al riordino della disciplina degli sportelli unici per le attività produttive, già previsti presso i comuni dal D.Lgs. 112/98.

Lo sportello unico dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento. Per i Comuni che non istituiscono lo sportello unico, le funzioni inerenti lo sportello verranno esercitate dalle camere di commercio, mediante il portale "impresa.gov", che assume la denominazione di “impresainungiorno”, gestito congiuntamente con l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI).

Le imprese possono richiedere per le comunicazioni una casella di posta elettronica certificata (PEC) fornita gratuitamente dalle camere di commercio.

Nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), sarà possibile avviare immediatamente l’attività d’impresa con il rilascio da parte dello sportello unico di una ricevuta.

Dovranno inoltre essere individuati i requisiti, le modalità di accreditamento e di verifica dell’attività delle Agenzie per le imprese, cioè dei soggetti privati ai quali può essere affidata l’istruttoria e l’attestazione della sussistenza dei requisiti normativi relativamente alle istanze dei privati, con possibilità di demandare tali funzioni anche alle Camere di commercio.

Infine in tema di semplificazione amministrativa per le imprese si segnala la recente legge 99/2009[16] che all’art. 5 ha delegato il Governo al riassetto delle prescrizioni normative e degli adempimenti procedurali che si applicano alle imprese, al fine del riordino e del coordinamento delle norme di legge recanti le prescrizioni e gli adempimenti procedurali da rispettare ai fini della realizzazione di impianti produttivi e dello svolgimento di attività di impresa, nonché della determinazione di tempi certi e inderogabili per lo svolgimento degli adempimenti delle pubbliche amministrazioni. Inoltre l’art. 6 introduce disposizioni per l’abolizione di alcune certificazioni dovute dalle imprese ai fini dell’ottenimento di titoli autorizzatori o concessori o di partecipazione a procedure di evidenza pubblica, nonché per la semplificazione di alcune procedure in materia di assunzioni obbligatorie.

 

Il comma 3 subordina l’avvio di impresaad autorizzazione dell’amministrazione competente solo per le attività d’impresa che comportano gravi pregiudizi alla salute, alla pubblica incolumità e ai beni ambientali.

Alla luce del carattere generale di parametri contenuti nella disposizione, appare opportuno che vengano determinate, dalla stessa disposizione o con rinvio ad altra fonte normativa, le attività di impresa soggette a regime autorizzatorio.

 

Il comma 4 sancisce il diritto delle imprese che presentano istanze alla pubblica amministrazione a ricevere un riscontro entro il termine massimo di novanta giorni. L’amministrazione può interrompere i termini del procedimento per richiedere integrazioni una sola volta e per non oltre trenta giorni.

Nel caso di inutile decorrenza dei termini previsti, la pdl prevede un’ipotesi generalizzata di c.d. silenzio-assenso, in quanto l’istanza dell’impresa si intende approvata dall’amministrazione rimasta inerte.

Il comma in esame prevede inoltre l’obbligo di motivazione in caso di diniego da parte dell’amministrazione, la quale, in ogni caso, non può addurre a sostegno della decisione motivi imputabili a inadempienze dell’amministrazione stessa.

Nell’ambito delle rispettive competenze, regioni ed enti locali possono prevedere termini di maggior favore, in relazione delle dimensioni delle imprese e dei settori economici di appartenenza.

 

In relazione al contenuto del comma 4, pare opportuno ricordare quanto previsto nelle relative materie dalla legge n. 241/1990, che detta le norme generali dell’attività amministrativa, come da ultimo modificata dalla l. n. 69/2009[17].

In materia di termini del procedimento amministrativo, l’art. 2 della legge 241/1990 stabilisce che ogni amministrazione ha il dovere di concludere ciascun procedimento cui ha dato avvio con l’adozione di un provvedimento espresso ed entro termini prefissati. Il termine varia a seconda del tipo di procedimento ed è determinato e reso pubblico da ciascuna amministrazione per i procedimenti di propria competenza. In via generale, i termini che possono essere fissati per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali non possono superare i 90 giorni. Se per taluni procedimenti, e per ragioni connesse all’organizzazione amministrativa, alla natura degli interessi pubblici tutelati ed alla particolare complessità del procedimento, emergesse l’esigenza di fissare termini superiori a 90 giorni, questi non possono comunque superare i 180 giorni, salvo che si tratti di procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di procedimenti riguardanti l’immigrazione.

In assenza di un termine fissato dalla legge o dalle amministrazioni competenti, i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro 30 giorni.

È prevista la possibilità di sospensione, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni; ma la durata di quest’ultima non può superare i 30 giorni[18].

Per quanto concerne la disciplina del silenzio-assenso, l’articolo 20 della legge prevede in via generale tale ipotesi per i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, fatte salve alcune rilevanti eccezioni[19].

La legge n. 241 generalizza altresì l’obbligo di motivazione del provvedimento (art. 3), salvo che per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. Inoltre, per i procedimenti ad istanza di parte, l’art. 10-bis stabilisce che, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, l’autorità competente comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda, al fine di consentire agli stessi di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni l’amministrazione deve dare ragione nella motivazione del provvedimento finale.

Da ultimo, merita ricordare, in relazione all’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni della legge 241, che l’articolo 29 della legge chiarisce che le disposizioni relative all’obbligo di conclusione del provvedimento entro il termine prefissato; alla durata massima dei procedimenti, nonché quelle concernenti il silenzio assenso, in quanto riguardanti la tutela del cittadino nei confronti dell’azione amministrativa, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni, la cui disciplina è affidata dalla Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2°, lett. m), Cost.), e pertanto sono vincolanti anche per le Regioni e gli enti locali, che possono prevedere livelli ulteriori di tutela.

 

Il comma 5 impedisce alla pubblica amministrazione di richiedere alle imprese documentazioni o certificazioni già in possesso della medesima pubblica amministrazione. In particolare, le certificazioni relative all’impresa possono essere comunicate dalle medesime al Registro delle imprese di cui all’art. 8 della L. 580/1993, e possono essere inserite nel Repertorio economico e amministrativo (REA). Viene quindi precisato che alla pubblica amministrazione è garantito l’accesso telematico al Registro delle imprese e non è permesso richiedere alle imprese documentazioni o certificazioni presenti nel medesimo Registro.

 

Si ricorda che il Registro delle imprese, tenuto da un apposito Ufficio presso le camere di commercio, è stato istituito dall’articolo 8 della legge n. 580 del 1993[20]. Al Registro sono tenuti ad iscriversi tutti coloro che esercitano un’attività imprenditoriale, previa denuncia alla camera di commercio. La registrazione garantisce la pubblicità legale delle imprese e di tutti gli atti che le riguardano e ne testimonia l’esistenza, l’attività esercitata e gli eventi aventi rilievo giuridico durante la sua attività. Contestualmente all’iscrizione, l’Ufficio preposto della camera di commercio, in collegamento con il Ministero dell’economia e delle finanze, assegna il numero di iscrizione al Registro che coincide con il Codice fiscale.

Con il Registro delle imprese (che ha avviato l'attuazione degli articoli 2188 del codice civile) sono stati gradualmente unificati i registri e gli elenchi in precedenza esistenti per le varie attività imprenditoriali. Attualmente il registro si articola in due sezioni, una ordinaria e una speciale, (alle quali il D.Lgs. 96/2001 ne ha affiancata una ulteriore per le Società tra avvocati)[21].

Dal 1° novembre 2003 è entrato in vigore l'obbligo (secondo quanto previsto dall’articolo 31, comma 2, della legge 340/2000) di presentazione di domande, denunce ed atti al Registro delle imprese per via telematica o su supporto informatico con firma digitale.

Si ricorda inoltre che dal 1° ottobre 2009 le comunicazioni relative all’avvio, modifica o cessazione dell’attività d’impresa (compresa l’iscrizione nel Registro delle imprese) sono effettuate tramite una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio (cfr. supra).

Alla concreta istituzione del registro delle imprese si è provveduto con il DPR 7 dicembre 1995, n. 581.

Ai sensi dell'art. 7, comma 2, lett. a), del DPR n. 581 del 1995, sono tenuti all'iscrizione nel registro delle imprese:

1)       gli imprenditori che esercitano le attività indicate nell'art. 2195 c.c., e cioè gli imprenditori che esercitano un'attività industriale, diretta alla produzione di beni e servizi, o un'attività intermediaria nella circolazione dei beni o un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, un'attività bancaria o assicurativa o attività ausiliarie di ciascuna di queste;

2)       le società di cui all'art. 2200 c.c, e cioè le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società a responsabilità limitata, le società per azioni e le società cooperative anche quando non esercitino un'attività commerciale;

3)       i consorzi di cui all'art. 2612 c.c. e le società consortili di cui all'art. 2615-ter c.c.;

4)       i gruppi europei di interesse economico (GEIE) di cui al D.Lgs. 23 luglio 1991, n. 240 (si tratta di quegli organismi senza fini di lucro previsti dalla CEE con regolamento 2137/85 come strumenti di cooperazione transnazionale tra le imprese);

5)       gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale;

6)       le società assoggettate alla legge italiana secondo le nuove norme di diritto internazionale privato (art. 25 della legge n. 218/95)

7)       gli imprenditori agricoli (art. 2135 c.c);

8)       i piccoli imprenditori (art. 2083 c.c.);

9)       le società semplici (art. 2251 c.c.).

Per quanto concerne, specificamente, le imprese artigiane, l’articolo 5 della legge n. 443 del 1985 prevede che queste siano tenute ad iscriversi all’Albo delle imprese artigiane. L’iscrizione all’Albo comporta automaticamente l’annotazione nella sezione speciale del Registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio. A questo fine, infatti, l’articolo 19 del DPR n. 581 del 1995 prevede che la domanda di iscrizione all’Albo delle imprese artigiane sia comunicata entro 15 giorni dalla commissione provinciale per l’artigianato all’Ufficio del Registro delle imprese.

Si ricorda, altresì, che ai sensi dell'art. 9 del DPR n. 581 del 1995 è stato istituito, a scopi esclusivamente documentali e statistici, il "Repertorio delle notizie economiche e amministrative" (REA), nel quale sono iscrivibili i soggetti non qualificabili come imprenditori ma che, tuttavia, esercitano attività economiche e professionali denunciabili alle Camere di commercio.

 

Il comma 6 prevede che lo Stato è tenuto a garantire alle micro, piccole e medie imprese il ricorso a misure specifiche riguardanti periodi di transizione, deroghe ed esenzioni, in particolare da obblighi di informazione o di relazione.

 

Ai sensi del comma 7 la pubblica amministrazione è obbligata alla liquidazione dei corrispettivi dovuti ai fornitori di beni e servizi al massimo entro novanta giorni; scaduto tale termine si applicano gli interessi legali.

 


 

Articolo 6
(Certificazione sostitutiva e procedura di verifica)

 


     1. Le certificazioni relative a prodotti, processi e impianti rilasciate alle imprese dagli enti di normalizzazione a ciò autorizzati e da società professionali o da professionisti abilitati sono sostitutive della verifica da parte della pubblica amministrazione e delle autorità competenti, fatti salvi i profili penali.

     2. Alle imprese non possono essere imputati obblighi né comminate sanzioni che riguardano elementi non previsti nei requisiti minimi pubblicati ai sensi dell'articolo 5, comma 2, nel corso delle verifiche svolte dalla pubblica amministrazione e dalle autorità competenti.

     3. Nelle more del procedimento di verifica di cui al comma 2 del presente articolo e nei termini concordati per l'adeguamento, l'attività d'impresa non può essere sospesa, fatti salvi i casi di gravi difformità o di mancato rispetto dei requisiti minimi di cui all'articolo 5, comma 2, né l'amministrazione pubblica competente può esercitare poteri sanzionatori, fatti salvi i casi in cui è riscontrata una radicale difformità rispetto a quanto dichiarato.


 

 

L’articolo 6 al comma 1 introduce una norma di semplificazione che consente la sostituzione della verifica da parte della pubblica amministrazione e delle autorità competenti – fatti salvi i profili penali - con la certificazione relativa a prodotti, processi produttivi e impianti rilasciata da enti, società e professionisti a ciò abilitati.

La norma indica tra i soggetti incaricati del rilascio della certificazione gli enti di normalizzazione.

 

Al riguardo si osserva che tali enti non svolgono attività di certificazione, bensì di normazione, vale a dire di elaborazione di norme e regole tecniche (cfr. quadro normativo che segue). Sarebbe opportuno, pertanto, sostituire il termine normalizzazione con certificazione.

Sarebbe inoltre opportuno chiarire e precisare quali verifiche della pubblica amministrazione e delle autorità competenti dovrebbero essere sostituite dalla sola certificazione, anche per definire meglio la portata della norma e l’impatto sulla normativa vigente.

 

Si ricorda brevemente che l'attività di certificazione consiste nell'attestare, mediante il rilascio di un certificato o di un marchio, la conformità di un prodotto, di un servizio o di un sistema di qualità di un'azienda a requisiti fissati da norme o da regole tecniche.

 

Secondo la direttiva Europea 98/34/CE del 22 giugno 1998 per "norma" si intende la specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto a svolgere attività normativa per applicazione ripetuta o continua, la cui osservanza non sia obbligatoria e che appartenga ad una delle seguenti categorie:

-          norma internazionale (ISO)

-          norma europea (EN)

-          norma nazionale (UNI)

Le norme sono, pertanto, documenti che definiscono le caratteristiche (dimensionali, prestazionali, ambientali, di sicurezza, di organizzazione ecc.) di un prodotto, processo o servizio. Si tratta di documenti di natura volontaria elaborati con il consenso delle parti interessate (produttori, consumatori, pubblica amministrazione), che definiscono le prestazioni e le caratteristiche di prodotti, processi produttivi o servizi sotto diversi profili: qualitativi, dimensionali, teconologici, di sicurezza ecc.

L'osservanza della norma tecnica può essere facoltativa od obbligatoria. Qualora diventi obbligatoria si definisce regola tecnica. Ciò avviene generalmente quando la pubblica Autorità di un paese, ritenendo di dover intervenire a tutela di un interesse superiore in determinati settori quali la sanità, la difesa ecc., le richiamano nei documenti legislativi.

Le norme tecniche sono emesse da organismi nazionali e internazionali di normazione, enti di diritto privati riconosciuti, rappresentativi di organizzazioni imprenditoriali, pubbliche amministrazioni, associazioni di consumatori e componenti tecnico-scientifiche.

In Italia l'attività di normazione è svolta dall'UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e dal CEI (Comitato elettrotecnico italiano) che rappresentano l'Italia presso gli enti di normazione a livello comunitario (CEN e CENELEC) e a livello internazionale (ISO e IEC International Electrotechnical Commission).

 

L’attività di valutazione e di attestazione di conformità alle suddette norme o regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale (certificazione di prodotti, certificazione di sistemi di gestione, certificazione di personale, ispezioni) è svolta dagli enti di certificazione. Talora la procedura di certificazione può richiedere anche l'intervento di un laboratorio che esegua prove tecniche. Alcuni laboratori sono costituiti dagli stessi enti di certificazione mentre altri operano nell'ambito di enti, amministrazioni ed organismi pubblici (CNR; Enea; Ministeri, ecc.). Gli organismi di certificazione possono tuttavia avvalersi anche di laboratori indipendenti, spesso riuniti in associazioni di categoria, come l'Alpi (Associazione nazionale dei laboratori indipendenti).

Affinché la certificazione abbia una validità ampiamente riconosciuta è necessario che gli organismi di certificazione (come i laboratori) siano accreditati presso un ente riconosciuto a livello nazionale.

Secondo la norma UNI CEI EN 45020 l’accreditamento è un processo mediante il quale un organismo riconosciuto attesta formalmente la competenza di un laboratorio, di un organismo di certificazione, di un centro di taratura o di una persona a svolgere attività specifiche.

 

In Italia l’UNI e il CEI hanno costituito, in forma associativa, il SINAL (Sistema nazionale di accreditamento laboratori), con il compito di accreditare a livello nazionale laboratori italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità dei prodotti alle norme e alle regole tecniche nazionali, comunitarie e internazionale, ed il SINCERT (Sistema nazionale di accreditamento di organismi di certificazione), con il compito di accreditare a livello nazionale organismi di certificazione italiani ed esteri per garantire l’affidabilità delle verifiche di conformità. Il Sincert contribuisce al buon funzionamento del sistema italiano per la qualità, verificando e attestando le capacità professionali dei valutatori di conformità a norme e regole tecniche di prodotti, servizi, sistemi, processi e persone.

Si segnalano, inoltre il SIT che è l’organismo che in Italia accredita i centri di taratura, il SICEV che certifica i valutatori e la FIDEA che è nata il 21 maggio del 2004 e che ha il compito di riunire e coordinare gli enti di accreditamento italiani.

 

Il comma 2 non consente che nel corso delle verifichesvolte dalla pubblica amministrazione e dalle autorità competenti possano essere imputati obblighi e comminate sanzioni alle imprese in relazione ad elementi non previsti nei requisiti minimi stabiliti per l'esercizio dell’attività d'impresa e pubblicati attraverso le camere di commercio, come stabilito al comma 2 del precedente articolo.

Ai sensi del comma 3 nelle more del suindicato procedimento di verifica e nei termini concordati per l'adeguamento non è consentita la sospensione dell’attività d’impresa (fatti salvi i casi di gravi difformità o di mancato rispetto dei summenzionati requisiti minimi) ed è vietato l’esercizio di poteri sanzionatori da parte dell'amministrazione pubblica competente (fatti salvi i casi di gravi difformità rispetto a quanto dichiarato).


 

Articolo 7
(Insolvenza)

 


     1. Agli imprenditori in stato di insolvenza lo Stato garantisce l'ottenimento di una seconda possibilità, a tale fine:

          a) le procedure legali di scioglimento di un'impresa, in caso di bancarotta non fraudolenta, non possono essere superiori a un anno;

          b) ai soggetti interessati sono garantiti gli stessi trattamenti di chi avvia una nuova impresa, compresi i regimi di sostegno.

     2. Nelle procedure di fallimento o di amministrazione controllata lo Stato si fa carico degli oneri dovuti ai fornitori privilegiati coinvolti, nel caso siano micro, piccole e medie imprese, al fine di non pregiudicarne la sopravvivenza.


 

 

L’articolo 7 interviene sulle procedure di insolvenza nelle quali può essere coinvolta l’impresa.

In particolare, il comma 1 dispone che laddove la legge preveda l’attivazione di procedure finalizzate allo scioglimento dell’impresa, queste non possano durare più di un anno (lett. a).

In merito si osserva che l’unica procedura concorsuale espressamente finalizzata allo scioglimento dell’impresa è la liquidazione coatta amministrativa (disciplinata negli articoli 194 e ss. della legge fallimentare), che si applica però a particolari categorie di imprese – sostanzialmente diverse da quelle che dichiarano di voler tutelare i proponenti - per le quali, o perché lo Stato vi è direttamente impegnato o per gli interessi di natura pubblicistica che esse rispecchiano[22], il dissesto ha notevoli ripercussioni di portata generale.

Per quanto riguarda il fallimento, cui presumibilmente intende riferirsi il provvedimento:

§      nel caso di società, a seguito del Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. correttivo alla riforma fallimentare), lo scioglimento dell’impresa rappresenta una possibilità: in base all’art. 118 della legge fallimentare, infatti, il curatore ha l’onere alla chiusura del fallimento di chiedere la cancellazione della società (di persone o di capitali) dal registro delle imprese solo se la chiusura è determinata da ripartizione finale dell’attivo ovvero da mancanza di attivo (in sostanza, alla chiusura del fallimento non ci sono più beni nel patrimonio sociale).

§      con riferimento all’imprenditore individuale, sempre in sede di riforma del diritto fallimentare, è stata abrogata la disposizione contenuta nel d.lgs. n. 114 del 1998 che vietava l’iscrizione nel registro delle imprese dei soggetti dichiarati falliti fino alla pronuncia della sentenza di riabilitazione[23].

 

Alla luce di quanto detto, sembra necessario modificare la formulazione della lettera a) al fine di chiarire quali sono le procedure legali di scioglimento di un’impresa, cui la medesima si riferisce.

 

Per quanto riguarda i tempi del fallimento, che i proponenti intendono ridurre così da garantire dopo un anno all’imprenditore insolvente «una seconda possibilità», occorre ricordare che la procedura fallimentare implica una serie di fasi, collegate l’una all’altra e tendenti:

§      all’accertamento dei presupposti previsti dalla legge per la dichiarazione del fallimento;

§      all’identificazione, all’acquisizione ed alla conservazione di tutti i beni del fallito;

§      all’accertamento di tutti i suoi creditori;

§      alla liquidazione dei beni;

§      al riparto del ricavato tra i vari creditori.

Attraverso queste fasi, talvolta complesse, la procedura mira a consentire a tutti i creditori di un medesimo soggetto (c.d. universalità soggettiva) di aggredire la totalità dei beni del debitore (c.d. universalità oggettiva) per soddisfare coattivamente il proprio diritto di credito, al quale il debitore deve far fronte «con tutti i suoi beni presenti e futuri» (ai sensi dell’art. 2740 del codice civile).

 

Sempre alla lettera a), occorre valutare la congruità del termine introdotto, alla luce della complessità delle procedure concorsuali, come disciplinate dalla normativa vigente.

 

Tale limitazione temporale non si applica alle ipotesi di bancarotta fraudolenta.

 

Le tre diverse ipotesi del delitto di bancarotta fraudolenta sono attualmente disciplinate da un’unica disposizione: l'art. 216 della legge fallimentare.

Commette questo delitto l'imprenditore dichiarato fallito che, prima dell'intervento della sentenza di fallimento, ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero - allo scopo di recare pregiudizio ai creditori - ha esposto o riconosciuto passività inesistenti[24] (c.d. bancarotta patrimoniale). Si configura la bancarotta anche se le predette condotte sono commesse dopo la sentenza e durante la procedura fallimentare (c.d. bancarotta post-fallimentare). Commette altresì il delitto di bancarotta fraudolenta l'imprenditore dichiarato fallito che sottrae, distrugge o falsifica i libri e le scritture contabili allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un danno ai creditori (c.d. bancarotta documentale), ovvero esegue pagamenti o simula titoli di prelazione per favorire taluno dei creditori (c.d. bancarotta preferenziale).

Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo dall'imprenditore commerciale, cui vengono equiparati l'imprenditore occulto e colui che esercita l'attività commerciale per il perseguimento di un fine illecito. Con il fallito può concorrere nel reato anche un terzo, se la sua attività si è inserita nel processo criminoso con efficacia causale sull'evento.

L'elemento soggettivo, secondo alcuni, consiste nella volontà del soggetto agente di trarre profitto, per sé o per altri, dei fatti commessi con pregiudizio ai creditori (dolo specifico). Altri autori invece ritengono che sia sufficiente il dolo generico, ossia la sola volontà di compiere i vari atti a prescindere dallo scopo.

La pena è fissata nella reclusione da 3 a 10 anni in caso di bancarotta patrimoniale e documentale; nella reclusione da 1 a 5 anni in caso di bancarotta preferenziale. Inoltre, la specifica condanna per bancarotta fraudolenta comporta per 10 anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e, sempre per 10 anni, l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

La lettera b) del comma 1 dispone che l’imprenditore interessato da siffatte procedure possa – laddove intenda dar vita a una nuova iniziativa imprenditorialebeneficiare degli stessi trattamenti previsti dal legislatore a sostegno di chi avvia una nuova impresa.

 

Il comma 2 prevede che quando nell’insolvenza di un’impresa sono coinvolte - come creditori privilegiati e in qualità di fornitori dell’impresa in difficoltà - micro, piccole e medie imprese, lo Stato deve farsi carico di soddisfare la loro pretesa, così da sostenerle e «non pregiudicarne la sopravvivenza».

In particolare, la disposizione:

§      richiama la procedura fallimentare e l’amministrazione controllata;

 

In merito si segnala che la procedura di amministrazione controllata – originariamente volta a concedere al debitore in temporanea difficoltà un mezzo per prevenire l’insolvenza e il fallimento quando esistessero comprovate possibilità di risanare l’impresa – è stata soppressa dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, e non può più essere iniziata a partire dal 16 luglio 2006.

 

§         prevede che lo Stato debba soddisfare le pretese dei fornitori privilegiati;

 

Si ricorda che i privilegi sono cause legittime di prelazione che consentono ai creditori che ne sono provvisti di essere soddisfatti con preferenza rispetto ai restanti creditori. Caratterizzati dall'essere iscritti sui beni del debitore, essi assolvono una funzione analoga a quella del pegno e dell'ipoteca ma, a differenza di questi, non sono diritti reali di garanzia e nascono esclusivamente per legge, e non volontariamente: è infatti la legge che concede il privilegio a determinate categorie di crediti in considerazione della loro causa che li fa ritenere particolarmente meritevoli di tutela e che per questo motivo provvede anche a ordinare minuziosamente i privilegi secondo una graduatoria che determina l'ordine di preferenza tra due crediti assistiti da privilegio: in questo caso l'ordine non dipende infatti dal tempo dell'iscrizione, ma esclusivamente dalla natura del credito (art. 2745 codice civile).

I privilegi possono essere generali o speciali (art. 2746 c.c.). I primi si esercitano su tutti i beni mobili del debitore, quelli speciali invece si esercitano soltanto su determinati beni mobili o immobili del debitore: se esercitati su beni immobili prevalgono in linea di principio sull'ipoteca, se su beni mobili non prevalgono in linea di principio sul pegno (art. 2748 c.c.). Vi sono però eccezioni a tali regole: ad es. i crediti per spese di giustizia sono preferiti a ogni altro credito anche pignoratizio o ipotecario, i crediti dello Stato per tributi indiretti non possono venire soddisfatti con preferenza rispetto ai crediti ipotecari ecc.

L'importanza dell'ordine dei privilegi è dunque notevole e per questo la legge lo disciplina dettagliatamente, in particolare in materia di fallimento: l'attivo viene infatti ripartito secondo l'ordine dei privilegi, con la conseguenza che i restanti creditori possono soddisfarsi soltanto se rimangono beni.

Si ricorda, ad esempio, che hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti le retribuzioni dei lavoratori subordinati e dei prestatori d’opera intellettuale nonché i crediti dell’impresa artigiana per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti (cfr. art. 2751-bis, c.c.).

 

Occorre valutare l’opportunità di prevedere un meccanismo di surrogazione dello Stato in relazione ai crediti derivanti dal soddisfacimento dei fornitori privilegiati che siano micro, piccole e medie imprese.

 

 


 

Articolo 8
(Disciplina degli appalti pubblici)

 


     1. È compito dello Stato istituire portali telematici al fine di rendere trasparenti e di ampliare l'accesso all'informazione sugli appalti pubblici disponibili di importo inferiore alle soglie stabilite dall'Unione europea.

     2. Al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese, ove possibile, è fatto obbligo alla pubblica amministrazione e alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti e di rendere visibili le possibilità di subappalto, nonché di riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle micro, piccole e medie imprese.

     3. È fatto divieto alla pubblica amministrazione e alle autorità contraenti di richiedere alle imprese concorrenti requisiti finanziari sproporzionati al valore dei beni e dei servizi oggetto di gara.


 

 

La finalità dell’articolo in esame, come sottolinea la relazione illustrativa, è quella di “rendere il più trasparente possibile l'informazione” relativa agli appalti pubblici d'importo inferiore alle soglie stabilite dall'Unione europea.

 

Pertanto il comma 1 dispone che lo Stato dovrebbe istituire dei portali telematici al fine consentire un maggiore accesso all'informazione relativa agli appalti pubblici di importo inferiore alle soglie stabilite dall'Unione europea.

 

Al riguardo si ricorda che con l’art. 28 del d.lgs. n. 163/2006, cd. Codice appalti, si è proceduto ad una revisione delle soglie comunitarie, adeguandole alle nuove soglie introdotte dalla direttiva 2004/18/CE e dalla direttiva 2004/17/CE. Viene, infatti, previsto che per i contratti pubblici di rilevanza comunitaria il valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sia pari o superiore alle soglie seguenti:

a)       137.000 euro[25], per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell'allegato IV[26];

b)       211.000 euro[27] per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati da stazioni appaltanti diverse da quelle indicate nell'allegato IV;

c)       5.278.000 euro[28] per gli appalti di lavori pubblici e per le concessioni di lavori pubblici.

Per tali appalti vigono specifiche forme di pubblicità previste dagli artt. 63 e seguenti dello stesso Codice.

 

Si ricorda, inoltre, che ai contratti di lavori pubblici e di servizi sotto soglia comunitaria non si applicano le norme del Codice relative agli obblighi di pubblicità e di comunicazione sopranazionale citate, bensì quelle specificatamente disposte dagli articoli 121-125 del Codice.

In particolare l’art.122 introduce una maggiore semplificazione, flessibilità e riduzione dei tempi riguardo alle procedure di aggiudicazione e agli obblighi di pubblicità per gli appalti di lavori pubblici sotto soglia. Il comma 5 dispone che i bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a 500.000 euro siano pubblicati sulla G.U. - serie speciale relativa ai contratti pubblici - e, non oltre due giorni lavorativi dopo, sul sito informatico del MIT di cui al DM n. 20/2001 e sul sito informatico presso l’Osservatorio. Gli avvisi e i bandi sono altresì pubblicati, per estratto, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori. I bandi e gli avvisi relativi a contratti di importo inferiore a 500.000 euro sono invece pubblicati nell’albo pretorio del Comune ove si eseguono i lavori e nell’albo della stazione appaltante. Si applica, comunque, quanto previsto dall’art. 66, comma 15, ovvero le stazioni appaltanti possono prevedere forme aggiuntive di pubblicità diverse da quelle di cui al presente articolo, e possono altresì pubblicare in conformità ai commi che precedono avvisi o bandi concernenti appalti pubblici non soggetti agli obblighi di pubblicazione previsti dallo stesso articolo.

Per quanto riguarda gli appalti di servizi e forniture sotto soglia, l’art. 124 riproduce i principi generali recati dall’art. 122 per i lavori pubblici e, analogamente ad esso, provvede per i servizi e le forniture a garantire una maggiore semplificazione, flessibilità e riduzione dei tempi riguardo alle procedure di aggiudicazione e agli obblighi di pubblicità.

 

Il comma 2 dispone che, al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese nell’aggiudicazione degli appalti, la pubblica amministrazione e le autorità competenti siano obbligate a suddividere i contratti in lotti e a evidenziare le possibilità di subappalto, riservando una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle micro, piccole e medie imprese.

 

Si osserva che la suddivisione in lotti dovrebbe costituire una mera facoltà da parte della stazione appaltante in quanto l’imposizione di un obbligo potrebbe prefigurare la violazione delle norme del Trattato dell’Unione europea in materia di concorrenza.

 

Si segnala peraltro che già il comma 2 dell’art. 118 del Codice appalti indica dettagliatamente i casi in cui le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo. Per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, con il regolamento, è definita la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma in ogni caso non superiore al 30 per cento. Per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all’importo complessivo del contratto. L'affidamento in subappalto o in cottimo è sottoposto alle seguenti condizioni:

1)       che i concorrenti all'atto dell'offerta o l'affidatario, nel caso di varianti in corso di esecuzione, all'atto dell'affidamento, abbiano indicato i lavori o le parti di opere o i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo;

2)       che l'affidatario provveda al deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle relative prestazioni;

3)       che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l'affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali;

4)       che non sussista, nei confronti dell'affidatario del subappalto o del cottimo, alcuno dei divieti previsti dall'art. 10 della n. 575/1965, ovvero siano persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione.

 

Si osserva inoltre che la suddivisione in lotti dovrebbe essere conforme alle disposizioni di cui all’art. 29 del Codice appalti, volte ad aggirare il superamento delle soglie comunitarie attraverso la divisione in lotti.

 

 

Il comma 3 vieta alla pubblica amministrazione e alle autorità contraenti di richiedere alle imprese concorrenti requisiti finanziari sproporzionati al valore dei beni e dei servizi oggetto di gara.

 

Le disposizioni in merito alla capacità economica finanziaria recate dal comma 3 sembrerebbero superflue in quanto le norme del Codice appalti e del DPR 34 del 2000 fanno sempre riferimento ad “un’adeguata” capacità economico finanziaria, calcolata secondo le specifiche disposizioni previste dalle due fonti normative.

 

In merito ai requisiti finanziari, per lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro (art. 40, comma 2 del Codice appalti), sono tuttora vigenti le disposizioni del DPR n. 34/2000 che prevedono il rilascio di un’attestazione di qualificazione che costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell'affidamento di lavori pubblici. Nello stesso regolamento sono, quindi, indicati i requisiti di ordine speciale, tra cui rientrano quelli di adeguata capacità economica e finanziaria - art. 18 - che devono essere dimostrati da una serie di elementi: da idonee referenze bancarie; dalla cifra di affari, determinata secondo quanto previsto all’art. 22 (ovvero la cifra d’affari in lavori e gli importi dei lavori realizzati nel quinquennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la società di attestazione - SOA), realizzata con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta non inferiore al 100% degli importi delle qualificazioni richieste nelle varie categorie; dal capitale netto riferito all’ultimo bilancio approvato di valore positivo, limitatamente ai soggetti tenuti alla redazione del bilancio,

L’art. 28 dello stesso DPR disciplina, invece, i requisiti per lavori pubblici di importo pari o inferiore a 150.000 euro. La norma dispone che le imprese possono partecipare agli appalti di lavori pubblici di importo pari o inferiore a 150.000 euro qualora in possesso dei seguenti requisiti di ordine tecnico-organizzativo:

a)       importo dei lavori eseguiti direttamente nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando non inferiore all'importo del contratto da stipulare;

b)       costo complessivo sostenuto per il personale dipendente non inferiore al 15% dell'importo dei lavori eseguiti nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando (nel caso in cui il rapporto tra il suddetto costo e l'importo dei lavori sia inferiore a quanto richiesto, l'importo dei lavori è figurativamente e proporzionalmente ridotto in modo da ristabilire la percentuale richiesta. L’importo dei lavori così figurativamente ridotto vale per la dimostrazione del possesso del requisito di cui alla lettera a);

c)       adeguata attrezzatura tecnica.

Per gli appalti di servizi o forniture, in merito dimostrazione della capacità finanziaria ed economica delle imprese concorrenti, vigono le disposizioni della l’art. 41 del Codice appalti.

 

In relazione alla formulazione dell’articolo sarebbe più appropriato sostituire, ove richiamata, la definizione di “pubblica amministrazione e le autorità competenti o contraenti” con “stazioni appaltanti”, espressione onnicomprensiva delle amministrazioni aggiudicatrici e degli altri soggetti aggiudicatori ai sensi dell’art. 3, comma 33, del Codice.

 

Infine, sembrerebbe opportuno, per omogeneità di materia, inserire tale articolo nell’ambito delle disposizioni del Codice appalti, accanto a quelle della Parte II, Titolo II, relative anche alla semplificazione degli obblighi di pubblicità degli appalti di lavori pubblici sotto soglia.


 

Articolo 9
(Definizioni)

 


     1. Ai fini del presente capo, si assumono i criteri utilizzati nell'ambito dell'Unione europea per la definizione di microimpresa, di piccola impresa e di media impresa.     2. Si definiscono distretti industriali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese.

     3. Si definiscono meta-distretti le aree produttive innovative e di eccellenza indipendentemente dai limiti territoriali.

     4. Si definiscono distretti tecnologici i contesti produttivi omogenei, caratterizzati dalla presenza di forti legami con il sistema della ricerca e dell'innovazione.

     5. Si definiscono reti di impresa le aggregazioni funzionali tra imprese, realizzate in forma di persona giuridica.

     6. Si definiscono imprese femminili le imprese con una partecipazione al capitale di una quota non inferiore al 65 per cento di donne.

     7. Si definiscono imprese giovanili le imprese con una partecipazione societaria di una quota non inferiore al 65 per cento di persone con età inferiore a trentacinque anni.


 

 

L’articolo 9 reca una serie di definizioni relative alle imprese, ai distretti e alle reti d’impresa.

Per la definizione di microimpresa, di piccola impresa e di media impresa il comma 1 rinvia ai criteri fissati dall’Unione europea.

Si ricorda che con la raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003 la Commissione UE ha adottato una nuova definizione delle microimprese, delle piccole e delle medie imprese (PMI), provvedendo ad estendere il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita. La raccomandazione conferma i precedenti limiti dimensionali per quanto riguarda il numero dei dipendenti, provvedendo, invece, a modificare la soglia del fatturato e del totale di bilancio che, per la prima volta, viene indicata anche per le aziende più piccole. Per essere riconosciuta come PMI, l'impresa deve rispettare i limiti massimi fissati dalla raccomandazione relativamente al numero di dipendenti e al fatturato o ai totali di bilancio:

-    media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;

-    piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;

-        microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.

Il DM 18 aprile 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005, ha provveduto ad adeguare i criteri di individuazione delle piccole e medie imprese, ai fini della concessione di aiuti alle attività produttive, in accordo con la citata raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE.

 

Il comma 2 reca la definizione di distretti industriali intesiquali contesti produttivi omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese.

Si ricorda in proposito che la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006) con i commi da 366 a 372 dell’articolo 1 è intervenuta in materia di distretti produttivi, qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi le finalità, da perseguirsi "secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali", di:

-          accrescimento dello sviluppo delle aree e dei settori di riferimento;

-          miglioramento dell'efficienza nell'organizzazione e nella produzione.

La disposizione ha dunque prefigurato la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata fino a quel momento nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale. I distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business.

La disciplina sui distretti produttivi introdotta dalla legge finanziaria per il 2006 è stata modificata in più parti dal decreto-legge 112/2008[29], eliminando le disposizioni relative al consolidamento fiscale ed alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi, sostituite da norme di mera semplificazione ai fini degli adempimenti IVA. Lo stesso decreto-legge ha esteso la normativa sui distretti produttivi alle reti delle imprese di livello nazionale e alle catene di fornitura.

Con il decreto-legge 5/2009[30], oltre a ripristinare l'originaria formulazione della disciplina fiscale sui distretti produttivi introdotta dalla legge finanziaria per il 2006, sono stati disciplinati i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle imprese partecipanti e alle modalità di esecuzione del contratto stesso, prevedendo per la rete di imprese che nasce dalla conclusione di tale contratto l’applicazione delle disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria per il 2006.

Con l'approvazione della legge 99/2009[31] il Parlamento ha inteso apportare altri cambiamenti alla stessa normativa. L’articolo 1, oltre ad inserire alcune modifiche ed integrazioni alle norme sul contratto di rete contenute nel decreto-legge 5/2009, abroga interamente la disciplina prevista per i distretti produttivi e le reti d’impresa dal decreto-legge 112/2008 (le cui scelte normative, soprattutto per quanto concerne la disciplina fiscale, come anticipato sono già peraltro state superate con il decreto-legge 5/2009).

 

Il comma 3 reca la definizione di meta-distretti intesi come aree produttive innovative e di eccellenza indipendentemente dai limiti territoriali.

 

Ampliando il classico concetto di distretto (area in cui si concentra una singola filiera produttiva omogenea), la Regione Lombardia ha introdotto per prima il meta-distretto: un'area caratterizzata da elevata interazione tra distretti corrispondenti a Comuni, anche distanti tra loro, in cui si concentrano imprese di una stessa filiera ritenuta strategica.

I meta-distretti si differenziano dai distretti industriali tradizionali per la loro indipendenza rispetto ai limiti territoriali. La classificazione del meta-distretto avviene infatti su base tematica, creando una sorta di reticolo territoriale che lega località anche tra loro distanti. Sulla base di questi parametri, la Lombardia con la Delibera della Giunta regionale n. 7/6356 del 16 marzo 2001 ha provveduto alla individuazione di cinque aree tematiche metadistrettuali: biotecnologie alimentari e non alimentari; moda; design; nuovi materiali. Con Delibera della Giunta regionale n. 16917 del 26 marzo 2004, è stato istituito successivamente il metadistretto ICT.

Con i meta-distretti l'obiettivo principale della Regione è quello di definire aree di eccellenza produttiva in grado di rappresentare poli di sviluppo con un elevato potenziale tecnologico ove operare politiche di incentivazione della cooperazione tecnologica tra imprese e tra queste ed i centri di ricerca tecnico-scientifica, al fine di rafforzare la capacità competitiva sui mercati locali e internazionali.

Con questi obiettivi le aree eleggibili sono quelle caratterizzate da:

-          una significativa presenza di imprese operanti in filiere produttive qualificate da una altrettanto significativa presenza sul territorio regionale, e non necessariamente nelle medesime aree;

-          centri di ricerche scientifica e tecnologica connessi alla medesima filiera e produttrici di output tecnologici di elevato livello.

 

L’esperienza dei metadistretti si è poi diffusa in altre regioni, specialmente nel Veneto.  Si segnala che nel settembre del 2008 è stato siglato un accordo tra Piemonte, Puglia e Campania per la creazione del metadistretto aerospaziale italiano. L’intesa concretizzatasi a Venaria Reale si pone l’obiettivo di realizzare una serie di piattaforme operative costituite da una rete di piccole e grandi imprese in stretta collaborazione con le università ed i centri di ricerca.

 

Il comma 4 individua come distretti tecnologici i contesti produttivi omogenei che si caratterizzano per la presenza di forti legami con il sistema della ricerca e dell'innovazione.

I distretti tecnologici, promossi dall’azione concertata di pubblica amministrazione (locale e centrale), imprese, fondazioni ed istituzioni finanziarie, nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio. Si tratta di iniziative in fase di avvio, il cui aspetto peculiare è rinvenibile nel fatto che i distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi, della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari, già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

A livello teorico il termine distretto tecnologico identifica modelli molto differenti tra loro già nell’impostazione concettuale, mentre a livello pratico sono le aree stesse, o meglio le istituzioni nate per accompagnare il loro sviluppo, che si attribuiscono l’appellativo di distretto tecnologico senza specifici processi di validazione o certificazione.

Le reti di impresa sono definite come aggregazioni funzionali tra imprese, realizzate in forma di persona giuridica (comma 5).

Ai sensi dell’art. 6-bis del DL 112/2008, dapprima modificato dal DL 5/2009 e recentemente abrogato dalla legge 99/2009, le disposizioni sui distretti di cui alla legge 266/2005 citata sono state estese anche alle reti, di livello nazionale, delle imprese e alle catene di fornitura, quali libere aggregazioni di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali.

 

Ai sensi del comma 6 sono definite femminili le imprese con una partecipazione femminile al capitale almeno del 65%.

Si ricorda che nel 1992 è stata emanata la legge n. 215, recante Azioni positive per l'imprenditoria femminile, con l'obiettivo di promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale.

Tale legge rappresenta l'unico strumento legislativo nazionale finalizzato, in modo specifico, a sostenere l'imprenditoria e il lavoro autonomo delle donne in tutti i settori economici con la previsione di contributi in conto capitale a favore di piccole imprese gestite in misura prevalente da donne.

In particolare i contributi sono stati previsti:

-        per le imprese individuali aventi come titolare una donna;

-        per le società di persone e per le cooperative con una  maggioranza numerica di donne non inferiore al 60% della compagine sociale;

-        per le società di capitali con quote di partecipazione al capitale per almeno  2/3 di proprietà di donne e con gli organi di amministrazione costituiti per almeno i 2/3 da donne.

Con l’entrata in vigore del Codice delle pari opportunità[32] nel 2006, la legge 215/1992 è stata abrogata - ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13 - dall’articolo 57 del citato Codice, nel quale sono confluite varie disposizioni della legge stessa (artt. 21-22 e 52-55).Successivamente il comma 6 dell'art. 10 è stato abrogato dall'art.4 del DPR 14 maggio 2007, n. 101.

 

Sono definite giovanili le imprese in cui persone al di sotto dei trentacinque anni partecipano al capitale in misura non inferiore al 65% cento (comma 7).

 

Tale definizione appare conforme a quella di contenuta nel D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185, il quale disciplina gli “Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144[33]”. Tale decreto legislativo individua come giovanili le società, ivi comprese le cooperative di produzione e lavoro, composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni che abbiano la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione (articolo 5).

 


 

Articolo 10
(Incentivi all’imprenditorialità)

 

     1. È dovere dello Stato incentivare gli imprenditori e le imprese, in particolare quelle familiari, al fine di favorire il loro sviluppo.

     2. Lo Stato è tenuto a introdurre il concetto di imprenditorialità come competenza chiave nei programmi didattici scolastici e universitari.

     3. Lo Stato favorisce il tutorato e il sostegno, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, ai trasferimenti delle imprese, alle donne imprenditrici e ai giovani imprenditori.

 

 

L’articolo 10 reca disposizioni volte ad incentivare lo spirito di imprenditorialità, che costituisce uno degli obiettivi del provvedimento in esame.

 

In particolare il comma 1 definisce come dovere dello Stato l’incentivazione di imprenditori e di imprese, con particolare riguardo a quelle familiari, allo scopo di favorirne lo sviluppo.

 

Con riferimento all’impresa familiare si ricorda che la relativa disciplina è contenuta nell’art. 230-bis c.c., introdotto dalla L. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia.

La norma definisce l’impresa familiare come l’impresa a cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo e dispone che, salvo quando sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare gode dei seguenti diritti:

-    diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;

-    diritto di partecipazione agli utili e/o agli incrementi dell’azienda in proporzione alla qualità e quantità del lavoro prestato.

 

Il comma 2 prevede che il concetto di imprenditorialità sia introdotto dallo Stato come competenza chiave nei programmi dell’istruzione scolastica ed universitaria.

 

Spirito di iniziativa e imprenditorialità rappresentano una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente indicate dalla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2006/962/CE, approvata il 18 dicembre 2006. Quest’ultima ha inteso definire uno strumento di riferimento europeo per le competenze indispensabili a tutti i cittadini in funzione della realizzazione personale, della partecipazione attiva e del miglioramento dell’occupabilità della persona in economie e società basate sulla conoscenza[34][35].

 

Con riguardo al settore dell’istruzione scolastica, si ricorda che lo strumento previsto dall’art. 7, co. 1, lettera a), della legge n. 53 del 2003[36]per la determinazione degli obiettivi specifici di apprendimento, delle discipline ed attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio[37], degli orari, e dei limiti di flessibilità interni all'organizzazione delle discipline, è rappresentato dai regolamenti di delegificazione[38].

 

Attualmente, peraltro, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione[39] sono in vigore le Indicazioni nazionali di cui agli allegati A, B, C e D del d.lgs. n. 59 del 2004[40]adottate nelle more dell’intervento dei regolamenti di delegificazione - come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo di cui al DM 31 luglio 2007. In base ad esse, le singole discipline sono considerate all’interno di tre grandi aree disciplinari: area linguistico-artistico-espressiva; area storico-geografica; area matematico-scientifico-tecnologica.

Il DPR 89/2009[41] ha, infatti, confermato (art.1) per un triennio, fino all’anno scolastico 2011-2012, le Indicazioni citate, rimettendo ad un atto di indirizzo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca l’armonizzazione di tali previsioni con la nuova organizzazione pedagogico, didattica. Quest’ultimo è stato emanato l’8 settembre 2009[42].

L’eventuale revisione delle Indicazioni nazionali nel triennio citato è rimessa ad un regolamento adottato con decreto ministeriale (ai sensi dell’art.17, comma 3, della L.400/1988[43]) ed effettuata in esito ad un monitoraggio affidato all'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica (ANSAS) e all'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).

 

Per quanto riguarda il secondo ciclo dell’istruzione, il decreto ministeriale n. 139 del 2007[44] ha provveduto alla definizione dei curricoli del primo biennio degli istituti di istruzione secondaria superiore e delle strutture di istruzione e formazione professionale regionali[45] nei quali si espleta l’obbligo di istruzione, fissato in dieci anni dall’art. 1, comma 622, della Legge finanziaria 2007. Il Dm citato, richiamando esplicitamente la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2006/962/CE del18 dicembre 2006 ed il processo di costruzione di un quadro europeo delle qualifiche, ha indicato saperi e competenze che assicurano l’equivalenza formativa di tutti i percorsi dei primi due anni dell’istruzione secondaria superiore[46]. In base ad esso, le otto competenze chiave di cittadinanza che tutti gli studenti devono acquisire a 16 anni sono le seguenti: imparare ad imparare; saper progettare; comprendere messaggi di genere e complessità diversi nella varie forme comunicative e comunicare in modo efficace utilizzando i diversi linguaggi; interagire con gli altri comprendendone i diversi punti di vista; agire in modo autonomo e responsabile; risolvere, o contribuire a risolvere, situazioni problematiche; individuare collegamenti e relazioni; acquisire ed interpretare criticamente l'informazione ricevuta valutandone l’attendibilità e l’utilità.

Tali competenze chiave di cittadinanza sono acquisibili attraverso conoscenze ed abilità riferite a quattro “assi culturali” (dei linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale), per ciascuno dei quali vengono specificate le abilità/capacità/conoscenze il cui possesso è necessario alla conclusione del percorso dell’obbligo.

Si ricorda, infine, che gli schemi di regolamento relativi al riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali (Schemi n. 132, 133, 134), adottati ai sensi dell’art. 64, comma 4, del D.L. 112/2008[47], ed attualmente all’esame delle Camere per l’espressione del parere, affidano a decreti interministeriali di natura non regolamentare[48] la definizione delle indicazioni nazionali riguardanti conoscenze, abilità e competenze da conseguire in esito ai nuovi percorsi, il cui avvio è previsto a partire dall’anno scolastico 2010-2011.

 

Con riguardo al settore dell’istruzione superiore, si ricorda che i percorsi universitari,come definiti, da ultimo, dal DM 270/2004[49], si articolano, per quanto qui interessa, in corsi di laurea e corsi di laurea magistrale. Ai sensi del DM citato, essi sono raggruppati in classi di appartenenza definite con decreti ministeriali[50] che individuano, per ciascuna, gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili.

In relazione all’autonomia didattica riconosciuta alle università ai sensi dell’art. 33 della Costituzione e dell’art. 6 della legge n. 168 del 1989[51], i regolamenti didattici degli atenei[52] provvedono alla concreta determinazione degli ordinamenti didattici dei propri corsi di laurea, nel rispetto delle previsioni e dei vincoli posti dai decreti ministeriali menzionati sopra.

 

Il comma 3 prevede da parte dello Stato interventi di tutoraggio e di sostegno alle imprese, con particolare riferimento a quelle femminili e giovanili, in base al principio di sussidiarietà orizzontale e verticale (sul principio di sussidiarietà si rinvia alla scheda dell’articolo 2).


 

Articolo 11
(Sostegno pubblico alle micro, piccole e medie imprese)

 


     1. Al fine di realizzare i princìpi di cui alla presente legge, di garantire condizioni di competitività alle imprese secondo il principio di sussidiarietà e di consentire il loro accesso al sistema degli incentivi pubblici, lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono, valorizzano e sostengono, attraverso trattamenti di maggiore favore negli ambiti autorizzativo e fiscale:

          a) le micro imprese, le piccole imprese e le medie imprese;

          b) le imprese giovanili;

          c) le imprese femminili;

          d) le nuove imprese basate sulla tecnologia;

          e) le imprese che sviluppano processi di capitalizzazione, di sviluppo del capitale umano, di innovazione e di internazionalizzazione;

          f) le imprese che adottano comportamenti e procedure di responsabilità sociale o ambientale e tesi a garantire pari opportunità, sia all'interno dell'impresa che nel rispettivo settore economico;

          g) le imprese che prevedono meccanismi di partecipazione societaria per i propri collaboratori;

          h) le imprese sociali.

     2. Al fine di valorizzare e di incentivare la collaborazione nell'ambito del sistema produttivo italiano, lo Stato riserva trattamenti di maggiore favore alle imprese che sviluppano livelli operativi secondo il principio di rete e, in particolare:

          a) distretti;

          b) meta-distretti;

          c) distretti tecnologici;

          d) reti di imprese.

     3. Alle imprese di cui al comma 2, si applicano, su base volontaria, i princìpi fiscali propri dei gruppi di impresa.


 

 

L’articolo 11 interviene in materia di competitività e di produttività imprenditoriale prevedendo forme di sostegno e di valorizzazione promosse dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali - anche mediante trattamenti di maggiore favore negli ambiti autorizzativo e fiscale - destinate a:

a) micro, piccole e medie imprese;

b) imprese giovanili;

c) imprese femminili;

d) nuove imprese basate sulla tecnologia;

e) imprese che sviluppano processi di capitalizzazione, di sviluppo del capitale umano, di innovazione e di internazionalizzazione;

f) imprese che adottano comportamenti e procedure di responsabilità sociale o ambientale volti a garantire pari opportunità, sia all'interno dell'impresa che nel rispettivo settore economico;

g) imprese che prevedono meccanismi di partecipazione societaria per i propri collaboratori;

h) imprese sociali.

La norma è finalizzata a garantire alle imprese condizioni di competitività sulla base del principio di sussidiarietà e il loro accesso al sistema degli incentivi pubblici.

 

La lettera h) richiama le imprese sociali. Si tratta, ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo n. 155 del 2006[53], delle organizzazioni private senza scopo di lucro, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. Possono dunque acquisire tale qualifica:

-        associazioni riconosciute e non, fondazioni, comitati.

-        società (di persone e di capitali), cooperative, consorzi.

Lo stesso decreto legislativo (art. 2) individua i settori nei quali i beni e servizi prodotti o scambiati possono essere considerati di utilità sociale. Si tratta dei seguenti settori:

-        assistenza sociale[54];

-        assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui al d.p.c.m. 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli di assistenza) e assistenza socio-sanitaria[55];

-        educazione, istruzione e formazione[56];

-        tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;

-        valorizzazione del patrimonio culturale[57];

-        turismo sociale[58];

-        formazione universitaria e post-universitaria;

-        ricerca ed erogazione di servizi culturali;

-        formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;

-        servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.

Il legislatore consente l’acquisizione della qualifica di impresa sociale anche a quelle organizzazioni che, indipendentemente dallo svolgimento delle suddette attività, esercitano attività di impresa ai fini dell’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati e lavoratori disabili.

L'organizzazione che esercita un'impresa sociale deve essere costituita con atto pubblico e gli atti costituitivi vanno depositati presso l'ufficio del registro delle imprese[59] entro 30 giorni.

L’impresa sociale deve destinare gli utili o gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio e - al fine di garantire in ogni caso il carattere non speculativo della partecipazione all'attività dell'impresa - non può procedere alla distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, nonché di fondi e riserve in favore di soci, amministratori, partecipanti, lavoratori o collaboratori.

Infine, in caso di insolvenza, l’impresa sociale è soggetta alla procedura della liquidazione coatta amministrativa.

 

Ai sensi del comma 2 lo Stato riserva trattamenti di maggiore favore alle imprese organizzate secondo il principio di rete (distretti; meta-distretti; distretti tecnologici; reti di imprese), allo scopo di valorizzare e di incentivare la collaborazione nell'ambito del sistema produttivo nazionale.

 

Il comma 3 prevede che alle imprese di cui al comma 2, si applichino, su base volontaria, i principi fiscali applicabili ai gruppi di impresa.

 

Sarebbe opportuno un chiarimento diretto a precisare se il riferimento ai principi fiscali propri dei gruppi d'impresa indicato nel comma in esame sia da attribuire alla disciplina sul consolidato nazionale e mondiale di cui agli articoli da 117 a 142 del DPR n. 917 del 1986 (TUIR).

 


 

Articolo 12
(Politiche pubbliche per la competitività)

 


     1. Al fine di garantire la competitività e la produttività delle micro, piccole e medie imprese, lo Stato ne favorisce in ogni modo l'innovazione, l'internazionalizza­zione e la capitalizzazione e, in partico­lare:

          a) garantisce alle micro, piccole e medie imprese una riserva minima del 50 per cento degli incentivi per l'internaziona­lizzazione e l'innovazione;

          b) garantisce il sostegno ai consorzi fidi e agli altri strumenti di cogaranzia delle micro, piccole e medie imprese e delle loro associazioni;

          c) riconosce il ruolo attivo delle as­sociazioni delle imprese e dei loro centri di servizio che operano ai sensi delle let­tere a) e b);

          d) favorisce il collegamento e le condizioni per l'accesso delle micro, pic­cole e medie imprese al patrimonio di co­noscenza del sistema pubblico della ri­cerca, valorizzando il ruolo delle associa­zioni delle imprese nelle funzioni di inter­faccia;

          e) favorisce lo sviluppo di un conte­sto giuridico ed economico che favorisce la puntualità dei pagamenti e delle transa­zioni commerciali.


 

 

L’articolo 12 reca disposizioni volte a garantire la competitività e la produttività delle micro imprese e delle PMI prevedendo, a tal fine, che lo Stato ne favorisca, in qualsiasi modo, l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione attraverso precisi interventi riguardanti, in particolare:

a) la riserva minima del 50% degli incentivi per l'internazionalizzazione e l'innovazione a favore di micro imprese e PMI;

b) il sostegno ai consorzi fidi e agli altri strumenti di cogaranzia delle suddette imprese e delle loro associazioni;

c) il riconoscimento del ruolo attivo delle associazioni delle imprese e dei loro centri di servizio operanti ai sensi delle lettere a) e b);

d) il collegamento e condizioni facilitate di accesso al patrimonio di conoscenza del sistema pubblico della ricerca, valorizzando il ruolo delle associazioni delle imprese nelle funzioni di interfaccia;

e) lo sviluppo di un contesto giuridico ed economico che favorisce la puntualità dei pagamenti e delle transazioni commerciali.


 

Articolo 13
(Imposizione fiscale)

 


     1. Lo Stato, al fine di sostenere la capi­talizzazione e la crescita delle imprese, con particolare riferimento alle micro, pic­cole e medie imprese, differenzia la tas­sazione degli utili, concedendo condizioni di maggiore vantaggio agli utili reinvestiti nella capitalizzazione, nel capitale umano, nella ricerca, nell'innovazione e nell'inter­nazionalizzazione. Concede altresì condi­zioni di maggiore vantaggio alle persone fisiche e alle persone giuridiche che inve­stono capitali di rischio propri nelle micro, piccole e medie imprese.

     2. Lo Stato garantisce alle micro, pic­cole e medie imprese forme semplificate di imposizione e di corresponsione delle imposte.

     3. L'imposizione fiscale non può in al­cun modo ostacolare il trasferimento delle imprese, con particolare riferimento alla successione delle stesse.

     4. L'imposizione fiscale diretta e indi­retta complessiva non può superare il 45 per cento degli utili di impresa; è fatto di­vieto di introdurre norme che prevedono un'imposizione fiscale diretta calcolata sulla base dei costi sostenuti dall'impresa o di altre imposte.

     5. Lo Stato non può pretendere la cor­responsione di alcun versamento, qualora sia debitore dell'impresa a qualunque titolo.


 

 

L’articolo 13 individua alcuni principi generali in materia di tassazione delle imprese relativamente ad interventi da introdurre finalizzati a sostenerne la capitalizzazione e la crescita, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese.

I provvedimenti di attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo in commento dovranno essere emanate, ai sensi dell’articolo 21, comma 3, entro due anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Il comma 1 prevede l’introduzione di misure di vantaggio dirette a favorire il reinvestimento degli utili qualora gli stessi siano destinati alla capitalizzazione dell’impresa stessa, al potenziamento del capitale umano ovvero ad investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nell’internazionalizzazione.

Ulteriori agevolazioni dovranno essere introdotte in favore di qualunque soggetto, sia esso persona fisica o persona giuridica, che investe nel capitale di rischio delle micro, piccole e medie imprese.

 

Ai sensi del comma 2 dovranno essere introdotte semplificazioni in favore delle micro, piccole e medie imprese in materia di imposizione e versamento delle imposte.

 

Il comma 3 prevede l’introduzione di misure in favore dei trasferimenti proprietari delle imprese ed in particolare le successioni delle stesse. La norma sembrerebbe finalizzata a favorire la continuità dell’operatività delle imprese nelle ipotesi di cessione, donazione e successione ereditaria della proprietà delle imprese. In particolare si dispone che “l’imposizione fiscale non può in alcun modo ostacolare il trasferimento delle imprese”.

Al fine di evitare dubbi interpretativi, sarebbe opportuno individuare con maggiore chiarezza la portata della norma.

 

La pressione fiscale complessiva, determinata come rapporto tra il totale delle imposte dirette e delle imposte indirette rispetto agli utili dell’impresa, non può, ai sensi del comma 4, superare il 45 per cento.

Inoltre, viene esclusa la possibilità di introdurre norme che stabiliscono l’ammontare delle imposte dirette dovute dalle imprese in funzione dei costi sostenuti dalle stesse sostenute o di altre imposte.

In merito al riferimento all’esclusione dell’utilizzo dei costi d’impresa per la determinazione delle imposte dovute, la disposizione sembrerebbe riconducibile alla eventuale esclusione dall’applicazione degli studi di settore o dei parametri di reddito.

Andrebbero forniti dei chiarimenti, anche attraverso una eventuale riformulazione del comma 4, in merito al riferimento alle altre imposte per la determinazione dell’imposizione fiscale diretta.

 

Il comma 5 prevede l’impossibilità dello Stato di procedere alla riscossione, anche coattiva, delle imposte dovute dal contribuente qualora quest’ultimo sia, contestualmente, anche creditore nei confronti dello Stato.

Sarebbe opportuno precisare che quanto indicato nel comma 5 opera nei limiti dei crediti vantati nei confronti dello Stato il quale può pertanto procedere per la riscossione dell’eccedenza dovuta dal contribuente.

 


 

Articolo 14
(Imprenditoria giovanile, femminile, tecnologica e nelle aree svantaggiate)

 


     1. Lo Stato garantisce norme e regimi fiscali di maggiore vantaggio per le im­prese avviate da giovani di età inferiore a trentacinque anni, nei primi tre anni di at­tività, al fine di conservare e di sviluppare l'imprenditorialità diffusa. Per le nuove im­prese tecnologiche, per le nuove imprese femminili e per le imprese localizzate nelle aree svantaggiate, il termine di cui al pe­riodo precedente è prorogato di ulteriori due anni.

     2. In particolare, alle imprese di cui al comma 1 è concessa:

          a) l'esenzione completa da ogni forma di tassazione generale e locale;

          b) l'esenzione dalle procedure di fal­limento e di amministrazione control­lata;

          c) l'esenzione da qualunque obbligo per le imprese di servizi, fatti salvi quelli relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro e la comunicazione di avvio delle attività resa allo sportello unico per le imprese;

          d) per le imprese di produzione rela­tive ad attività che non comportano gravi pregiudizi alla salute, alla pubblica incolumità e ai beni ambientali, si applica quanto previsto dalla lettera c).

     3. Le regioni, gli enti locali e le camere di commercio possono mettere a disposi­zione delle nuove imprese tecnologiche, che hanno in essere contratti di collabora­zione per ricerca e formazione del capi­tale umano con università e con enti di ri­cerca, aree e locali senza oneri per i primi cinque anni di attività dell'azienda; tali aree e locali possono essere affidati senza oneri a soggetti di servizio senza scopo di lucro partecipati a maggioranza da associazioni di imprese.

     4. Le camere di commercio, anche in forma associata e con vincolo di sussidia­rietà orizzontale rispetto alle associazioni delle imprese e ai loro centri di servizio, sono tenute a garantire la formazione e l'assistenza anche operativa ai soggetti di cui al presente articolo.


 

 

L’articolo 14 reca disposizioni dirette ad introdurre misure agevolative in favore di specifiche tipologie di imprese.

 

Ai sensi del comma 1, i soggetti interessati dai benefici fiscali indicati nel successivo comma 2 sono:

§         le imprese avviate da soggetti di età inferiore a 35 anni (imprese giovanili);

§         le imprese tecnologiche;

§         le imprese femminili;

§         le imprese localizzate in aree svantaggiate.

Il periodo interessato dalle misure agevolative è stabilito in tre anni per le imprese giovanili e in cinque anni per le altre tipologie di impresa sopra indicate.

I benefici indicati nel comma 2 riguardano l’esenzione da ogni forma di tassazione generale e locale nonché l’esclusione dell’applicabilità delle procedure di fallimento e di amministrazione controllata.

Inoltre, per le imprese di servizi nonché per le imprese di produzione la cui attività non comporta gravi pregiudizi alla salute, alla pubblica incolumità e ai beni ambientali, è prevista anche l’esenzione da qualunque obbligo ad eccezione di quelli relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro e quello della comunicazione allo sportello unico per le imprese.

Sarebbe opportuno specificare con maggiore dettaglio le misure agevolative cui la norma si riferisce. In particolare, per quanto concerne il profilo fiscale, qualora si intenda includere tra le forme di tassazione anche l’imposizione indiretta è necessario acquisire la preventiva autorizzazione da parte dell’Unione europea.

 

Il comma 3 prevede la facoltà per le regioni, gli enti locali e le camere di commercio di mettere a disposizione aree e locali senza oneri:

§      per i primi cinque anni di attività dell'azienda, alle nuove imprese tecnologiche che hanno in essere contratti di collaborazione per ricerca e formazione del capitale umano con università e con enti di ricerca.

§      a soggetti di servizio senza scopo di lucro partecipati a maggioranza da associazioni di imprese.

 

Si osserva che andrebbe precisato meglio il concetto di “soggetti di servizio”.

 

Il comma 4 dispone l’obbligo per le camere di commercio, anche in forma associata e con vincolo di sussidiarietà orizzontale (sul principio di sussidiarietà si rinvia alla scheda dell’articolo 2) rispetto alle associazioni delle imprese e ai loro centri di servizio, di garantire la formazione e l’assistenza anche operativa alle nuove imprese avviate da giovani di età inferiore a trentacinque anni, alle nuove imprese tecnologiche, alle nuove imprese femminili e alle nuove imprese localizzate nelle aree svantaggiate.


 

Articolo 15
(Istituzione e compiti dell'Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese)

 


     1. È istituita l'Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese, di seguito denominata «Agenzia».

     2. Sono compiti dell'Agenzia:

          a) l'elaborazione di proposte finalizzate a favorire lo sviluppo delle imprese con meno di cinquanta addetti;

          b) la predisposizione del rapporto annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sulla micro, piccola e media impresa. Il rapporto individua le politiche e le specifiche misure da attuare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese e contiene una sezione dedicata all'analisi preventiva e alla valutazione successiva dell'impatto delle politiche di sviluppo sulle micro, piccole e medie imprese.

     3. L'Agenzia effettua, anche avvalendosi del contributo del tavolo di consultazione di cui al comma 5:

          a) l'analisi di impatto preventivo sulle micro, piccole e medie imprese dei disegni di legge e degli schemi di decreti legislativi;

          b) la verifica di impatto successivo sulle micro, piccole e medie imprese degli atti normativi.

     4. Nell'assolvimento dei suoi compiti l'Agenzia opera in stretto collegamento con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico.

     5. Presso l'Agenzia è istituito il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore delle imprese, con la funzione di organo di partenariato delle politiche di sviluppo.

     6. Il Governo, entro il 31 marzo di ogni anno, trasmette al Parlamento il rapporto annuale di cui al comma 2, lettera b), su cui il Parlamento si esprime nei successivi sessanta giorni, anche adottando uno specifico atto sulle misure prioritarie da attuare. Su tali misure prioritarie l'Agenzia svolge le analisi e le verifiche di impatto di cui al comma 3, lettere a) e b).

     7. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede alla definizione del regolamento, nonché dell'assetto organizzativo dell'Agenzia e delle risorse da destinare ad essa. Il decreto è trasmesso alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti, da rendere entro trenta giorni dall'assegnazione.


 

 

L’articolo 15 istituisce l’Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese, con il compito di:

§      elaborare proposte finalizzate a favorire lo sviluppo delle imprese con meno di cinquanta addetti;

§      predisporre il rapporto annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sulla micro, piccola e media impresa, che individua le politiche e le specifiche misure da attuare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese e contiene una sezione dedicata all'analisi preventiva e alla valutazione successiva dell'impatto delle politiche di sviluppo sulle micro, piccole e medie imprese. Entro il 31 marzo di ogni anno, Il Governo trasmette tale rapporto al Parlamento, che si esprime nei successivi sessanta giorni, anche adottando uno specifico atto sulle misure prioritarie da attuare.

L'Agenzia effettua:

§      l'analisi di impatto preventivo sulle micro, piccole e medie imprese dei disegni di legge e degli schemi di decreti legislativi;

§      la verifica di impatto successivo sulle micro, piccole e medie imprese degli atti normativi.

L'Agenzia svolge le suddette analisi e le verifiche di impatto anche sulle misure prioritarie individuate dal Parlamento durante l’esame del citato rapporto annuale.

Per tali elaborazioni l’Agenzia può avvalersi del contributo del tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore delle imprese, istituito presso l’Agenzia con la funzione di organo di partenariato delle politiche di sviluppo. Inoltre, essa opera in stretto collegamento con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico.

Il regolamento, l'assetto organizzativo dell'Agenzia e le risorse da destinare ad essa sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro due mesi dall’entrata in vigore della legge. Il decreto è trasmesso alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti.


 

Articolo 16
(Organi dell’agenzia)

 

1. L'Agenzia è un organo collegiale composto dal presidente e da quattro membri; il presidente è nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, due membri sono nominati dal Ministero dello sviluppo economico, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome e uno dall'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

2. Il mandato del presidente e dei membri dell'Agenzia è fissato in cinque anni ed è rinnovabile una sola volta.

 

 

L’articolo 16 riguarda gli organi dell’Agenzia nazionale per le micro, piccole e medie imprese (istituita dall’articolo precedente), che è composta:

§      dal presidente (nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri);

§      da quattro membri, di cui due nominati dal Ministero dello sviluppo economico (previo parere delle competenti Commissioni parlamentari), uno dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome e uno dall'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

Il mandato del presidente e dei membri dell'Agenzia dura cinque anni ed è rinnovabile una sola volta.


 

Articolo 17
(Istituzione della Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese)

 


     1. È istituita la Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese, di seguito denominata «Commissione», con compiti di indirizzo e controllo sull'attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi alle micro, piccole e medie imprese.

     2. La Commissione è composta da dieci senatori e da dieci deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo.

     3. La Commissione elegge al suo interno il presidente, un vicepresidente e due segretari.

     4. Il funzionamento e lo svolgimento dei lavori della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio della sua attività.


 

 

L’articolo 17 istituisce la Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese, composta da dieci senatori e da dieci deputati nominati dai Presidenti delle rispettive Camere in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo.

La Commissione elegge al suo interno il presidente, un vicepresidente e due segretari. Il funzionamento e lo svolgimento dei lavori della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione medesima prima dell'inizio della sua attività.

La Commissione ha compiti di indirizzo e controllo sull’attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi alle micro, piccole e medie imprese. Le attività della Commissione sono specificate dal successivo articolo 18.


 

Articolo 18
(Attività della Commissione)

 


     1. La Commissione valuta l'attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi alle micro, piccole e medie imprese. A questo fine, essa può chiedere informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni e da organismi, anche privati, che si occupano di questioni attinenti alle micro, piccole e medie imprese.

     2. La Commissione favorisce lo scambio di informazioni e promuove le opportune sinergie con gli organismi e gli istituti per la promozione e la tutela delle micro, piccole e medie imprese operanti in Italia e all'estero e con associazioni, organizzazioni non governative e altri soggetti operanti nell'ambito della tutela e della promozione delle micro, piccole e medie imprese.

     3. La Commissione riferisce alle Camere, con cadenza almeno annuale, sui risultati della propria attività e formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull'eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente, in particolare per assicurarne la rispondenza alla normativa dell'Unione europea in conformità alla comunicazione COM (2008) 394 della Commissione europea, del 25 giugno 2008, e alla relativa risoluzione n. P6_ TA(2008)0579 del Parlamento europeo, del 4 dicembre 2008, sulla strada verso il miglioramento dell'ambiente per le PMI in Europa - Atto sulle piccole imprese.


 

 

Secondo l’articolo 18 la Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese (istituita dall’articolo 17):

§      valuta l'attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativi alle micro, piccole e medie imprese. A tal fine, essa può chiedere informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni e da organismi, anche privati, che si occupano di questioni relative alle micro, piccole e medie imprese;

§      favorisce lo scambio di informazioni e promuove le opportune sinergie con gli organismi e gli istituti per la promozione e la tutela delle micro, piccole e medie imprese operanti in Italia e all'estero e con associazioni, organizzazioni non governative e altri soggetti operanti nell'ambito della tutela e della promozione delle micro, piccole e medie imprese;

§      riferisce alle Camere, con cadenza almeno annuale, sui risultati della propria attività e formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull'eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente, in particolare per assicurarne la rispondenza alla normativa comunitaria in conformità alla comunicazione COM (2008) 394 della Commissione europea, del 25 giugno 2008 (Small Business Act), e alla relativa risoluzione n. P6_ TA(2008)0579 del Parlamento europeo, del 4 dicembre 2008, sulla strada verso il miglioramento dell'ambiente per le PMI in Europa - Atto sulle piccole imprese (cfr. l’Introduzione).


 

Articolo 19
(Spese di funzionamento)

 

1. Le spese per il funzionamento della Commissione, pari a 20.000 euro per l'anno 2009 e a 30.000 euro a decorrere dall'anno 2010, sono poste a carico, in parti eguali, dei bilanci interni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

 

 

L’articolo 19 quantifica in 20 mila euro per il 2009 e 30 mila euro a decorrere dal 2010 le spese per il funzionamento della Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese (istituita dall’articolo 17) e dispone che esse sono poste a carico, in parti uguali, dei bilanci interni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

 

Si osserva che appare opportuno riformulare la disposizione prevedendo un limite massimo di spesa, come già accade in norme di analogo contenuto, anziché una immediata e diretta quantificazione degli oneri, che potrebbe risultare non coerente con l’autonomia di bilancio costituzionalmente riconosciuta ai due rami del Parlamento.


 

Articolo 20
(Rapporti tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali)

 


     1. Le regioni, sulla base delle compe­tenze loro assegnate ai sensi del titolo V della parte seconda della Costituzione, possono prevedere norme di maggiore favore per le micro, piccole e medie im­prese, purché non in contrasto con i prin­cìpi e con le disposizioni della presente legge.

     2. Le regioni promuovono la stipula di accordi e di intese in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di favorire il coordina­mento dell'esercizio delle competenze normative in materia di adempimenti am­ministrativi delle imprese, nonché il con­seguimento di ulteriori livelli minimi di libe­ralizzazione degli adempimenti connessi allo svolgimento dell'attività d'impresa sul territorio nazionale, previe individuazione delle migliori pratiche e verifica dei risultati delle iniziative sperimentali adottate dalle regioni e dagli enti locali.


 

 

Secondo l’articolo 20, le regioni, sulla base delle competenze loro assegnate ai sensi del titolo V della parte seconda della Costituzione, possono prevedere norme di maggiore favore per le micro, piccole e medie imprese, purché non in contrasto con i princìpi e con le disposizioni del provvedimento in esame.

In sede di Conferenza Stato-regioni, le regioni promuovono la stipula di accordi e di intese, per favorire:

§      il coordinamento dell'esercizio delle competenze normative in materia di adempimenti amministrativi delle imprese;

§      il conseguimento di ulteriori livelli minimi di liberalizzazione degli adempimenti connessi allo svolgimento dell'attività d'impresa sul territorio nazionale, previa individuazione delle migliori pratiche e verifica dei risultati delle iniziative sperimentali adottate dalle regioni e dagli enti locali.


 

Articolo 21
(Entrata in vigore e provvedimenti di attuazione)

 

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono istituiti gli organi e sono adottati i provvedimenti di attuazione previsti dalla medesima legge.

3. Per i provvedimenti di attuazione delle disposizioni dell'articolo 13, il termine di adozione è stabilito in due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

 

L’articolo 21 dispone che la legge entra in vigore il giorno seguente a quello della sua pubblicazione.

Entro sei mesi dall’entrata in vigore sono istituiti gli organi e sono adottati i provvedimenti di attuazione previsti dalla legge.

Per quanto riguarda i provvedimenti di attuazione delle disposizioni dell’articolo 13 (in materia di imposizione fiscale), il termine di adozione è fissato in due anni dall’entrata in vigore della legge.


 

Articolo 22
(Abrogazioni)

 

1. Lo Stato, le regioni e gli enti locali sono tenuti a pubblicare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per quanto di rispettiva competenza, l'elenco delle leggi e dei regolamenti espressamente abrogati.

 

 

L’articolo 22 pone in capo allo Stato, alle regioni e agli enti locali l’obbligo di pubblicazione - entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame - dell'elenco delle leggi e dei regolamenti espressamente abrogati, per quanto di rispettiva competenza.


 

Articolo 23
(Norma finanziaria)

 

     1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede, a decorrere dall'esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, con le risorse stanziate annualmente dalla legge finanziaria e determinate dai conseguenti provvedimenti attuativi.

 

 

L’articolo 23 stabilisce in ordine alla copertura degli oneri derivanti dall’attuazione provvedimento in esame - facendo salvo quanto previsto dall’articolo 19, relativamente alla Commissione parlamentare per le micro, piccole e medie imprese.

L’articolo dispone che a tali oneri si provvede - a decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge in esame – con le risorse annualmente stanziate dalla legge finanziaria e determinate dai conseguenti provvedimenti attuativi.

 

Ai fini della formulazione della norma, si osserva che l’articolo non quantifica gli oneri derivanti dal provvedimento in esame. Dalla formulazione del testo, infatti, tale determinazione sembra essere rimessa ai conseguenti provvedimenti attuativi, e ciò appare confliggente con la disciplina generale contabile, in particolare, con l’articolo 11-ter, comma 1 della legge n. 468/1978, il quale prevede che ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa.

L’articolo, inoltre, pone un obbligo a carico della legge finanziaria che tuttavia, dato l’identico rango di norma primaria e l’assenza di una subordinazione, sotto il profilo delle fonti tra la norma in esame e quella recata dalla legge finanziaria medesima, non determina alcun vincolo a provvedere da parte di tale ultima legge.


Compatibilità comunitaria

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 25 giugno 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno ”Small Business Act” per l’Europa) (COM(2008)394), per consentire alle piccole e medie imprese europee (PMI) di valorizzare pienamente le loro potenzialità in termini di crescita sostenibile nel lungo periodo e di creazione di un maggior numero i posti di lavoro.

L’Atto sulle piccole imprese per l’Europa stabilisce dieci principi sulla base dei quali sia la Commissione sia gli Stati membri sono chiamati ad elaborare misure concrete, ispirate al principio “Pensare anzitutto in piccolo”, destinate a rendere la vita più facile per le piccole imprese.

In tale contesto, la Commissione invita gli Stati membri a:

-        ridurre al minimo spese e oneri per le imprese;

-        semplificare la vita delle PMI, ad esempio, impegnandosi per ridurre a meno di una settimana il tempo necessario a costituire un’impresa; accelerando l’inizio delle attività commerciali delle PMI attraverso la eliminazione o la semplificazione di licenze e permessi, eccetto i casi giustificati da seri rischi per le persone o l’ambiente;

-        agevolare l’accesso delle PMI al credito e far sì che l’imposizione fiscale sugli utili societari incoraggi gli investimenti.

Il Consiglio competitività del 1° e 2 dicembre 2008 ha adottato conclusioni sullo “Small business Act” (SBA) nelle quali, fra l’altro, invita gli Stati membri e la Commissione a promuoverne l’attuazione.

Il 10 marzo 2009 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sullo “Small business Act” con cui appoggia tale iniziativa.

 

L’Atto sulle piccole imprese è integrato da un insieme di proposte legislative ispirate al principio “Pensare anzitutto in piccolo”, alcune delle quali sono tuttora in corso di esame:

§      una proposta di regolamento che definisce lo statuto della Società privata europea (COM(2008)0396), presentata dalla Commissione il 25 giugno 2008, intesa a stabilire principi uniformi in base ai quali una società può operare in tutti gli Stati membri al fine di risolvere il problema degli obblighi onerosi cui le PMI operanti in una dimensione transfrontaliera si trovano a dover far fronte allorché devono costituire filiali dalla forma societaria diversa in tutti gli Stati membri in cui intendono esercitare la loro attività.

Il provvedimento, già esaminato in prima lettura dal Parlamento europeo il 10 marzo 2009, secondo la procedura di consultazione, è in attesa di una decisione finale da parte del Consiglio;

§      una proposta di direttiva per semplificare le norme vigenti sulla fatturazione IVA (COM(2009)21), presentata dalla Commissione il 28 gennaio 2009, con particolare riferimento alla fatturazione elettronica, volta a consentire alle imprese di adempiere più facilmente ai loro obblighi in materia di fatturazione.

Il provvedimento, che segue la procedura di consultazione, potrebbe essere esaminato dal Parlamento europeo nella prima metà del 2010;

§      una proposta di direttiva che prospetta una rifusione della direttiva 2000/35/CErelativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (COM(2009)126), presentata l’8 aprile 2009. La Commissione, in particolare, rileva che le diverse consuetudini di pagamento delle amministrazioni pubbliche, all'interno dell'UE possano ostacolare la partecipazione delle imprese agli appalti pubblici; possano costituire una protezione sleale degli operatori economici nazionali dai prodotti e dai servizi provenienti da altri Stati membri; rendano meno efficiente la spesa delle autorità pubbliche. Al fine di ottenere un impatto positivo sul bilancio delle amministrazioni pubbliche e contribuire a ridurre il numero di fallimenti delle imprese, la proposta di direttiva, tra l’altro, definisce gli importi da corrispondere ai creditori a titolo di risarcimento per i costi interni ed amministrativi generati dal ritardo di pagamento, e propone che il fornitore abbia diritto ad un risarcimento forfettario pari al 5% dell’importo dovuto trascorsi 30 giorni dalla prestazione o fornitura di servizi o merci, indipendente dalla durata del ritardo.

Il provvedimento, che segue la procedura di codecisione, potrebbe essere esaminato dal Parlamento europeo in prima lettura nella prima metà del 2010.

 

Si segnala infine che il 27 novembre 2009 la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e UniCredit Group hanno firmato un accordo per un finanziamento da 300 milioni di euro destinato alle PMI italiane. L’accordo si inserisce nel quadro della politica istituzionale europea della BEI, a sostegno dell’accesso al credito da parte delle PMI nell’attuale fase di uscita dalla crisi economica.

I fondi BEI saranno indirizzati alle PMI beneficiarie attraverso contratti di locazione finanziaria che potranno arrivare a finanziare sino al 100% del valore totale dei progetti presentati, con un tetto massimo di 12,5 milioni per ciascun progetto. Saranno inoltre applicate le nuove regole di finanziamento per le PMI, che prevedono maggiore snellezza delle procedure sia in fase di richiesta dei finanziamento sia in fase di erogazione.

Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato

Il 17 dicembre 2008 la Commissione europea ha adottato un “Quadro temporaneo per gli aiuti di stato per il sostegno all’accesso al credito nell’attuale crisi finanziaria e ed economica”.

Il quadro, parte integrante delle misure annunciate dalla Commissione nel piano per la ripresa economica, è volto a chiarire i parametri ai quali la Commissione intende attenersi per valutare sotto il profilo della compatibilità con le norme relative agli aiuti di Stato - ai sensi degli artt. 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunità europea - i provvedimenti che gli Stati membri adotteranno al fine di sostenere l’accesso al credito da parte delle imprese. I parametri saranno applicati agli aiuti di Stato adottati fino al 31 dicembre 2010 e potranno beneficiarne le imprese che abbiano iniziato a trovarsi in difficoltà dopo il 1° luglio 2008, a seguito della crisi finanziaria ed economica globale.

Il piano prevede in particolare che:

§      nel caso di aiuti di modesta entità (cd. aiuti de minimis, ammessi in quanto il loro esiguo importo non incide sulla concorrenza) l’ammontare non dovrà essere superiore a 500.000 euro per ciascuna impresa in tre anni (laddove il regolamento del 2006 sugli aiuti de minimis fissa, a regime, il limite massimo di 200.000 euro).

§      nel caso di aiuti sotto forma di garanzia, gli Stati membri potranno accordare una riduzione fino al 25% per le PMI e fino al 15% per le grandi imprese del premio annuale dovuto per le nuove garanzie concesse in base alle disposizioni sulle soglie di sicurezza previste nella Comunicazione sugli aiuti di Stato sotto forma di garanzia, adottata dalla Commissione nel giugno 2008; la garanzia non dovrà assistere più del 90% del prestito, anziché l’80% come precedentemente stabilito; l’ammontare massimo del prestito non dovrà eccedere il totale annuale delle spese per retribuzioni a carico del beneficiario per il 2008 (inclusi gli oneri sociali e i costi del personale formalmente iscritto a ruolo presso un subcontraente). In caso di imprese create dopo il 1° gennaio 2008 si terrà conto del totale annuale delle retribuzioni stimato per i primi due anni di attività.

§      nel caso di aiuti al capitale di rischio, si potranno finanziarie con denaro pubblico investimenti a favore di PMI fino a 2,5 milioni di euro annui(attualmente il limite previsto è di 1,5 milioni di euro annui);almeno il 30% del finanziamento di investimenti in capitale di rischio dovrà essere fornito da investitori privati (attualmente la partecipazione minima di capitali privati è fissata distintamente al 50% nelle aree non assistite e al 30% in quelle assistite).

§      relativamente agli aiuti sotto forma di tasso di interesse agevolato, si riterranno compatibili con il mercato comune i prestiti pubblici o privati concessi a ad un tasso di interesse almeno pari a quello fissato dalla Banca centrale, maggiorato di un premio pari alla differenza fra il tasso interbancario ad un anno e la media del tasso della Banca centrale nel periodo 1°gennaio 2007-30 giugno 2008 più il premio per il rischio di credito corrispondente al profilo di rischio del beneficiario e definisce le condizioni di compatibilità con il mercato comune dei tassi di interesse agevolati per prestiti per investimenti in prodotti “verdi”.

§      saranno compatibili con il mercato comune le riduzioni dei tassi di interesse pari al 25% per le grandi aziende e al 50% per le PMI, in relazione a prestiti per progetti di investimento che siano diretti a finanziare la produzione di “prodotti verdi” e siano necessari all’avvio di un nuovo progetto che consenta un adeguamento anticipato o il superamento degli standard comunitari.

Il Quadro di riferimento interviene inoltre in materia di assicurazione del credito all’esportazione a breve termine, prevedendo la possibilità di dimostrare in maniera semplificata l’indisponibilità di copertura assicurativa dei rischi sul mercato, in modo tale da attivare la clausola di salvaguardia che consente l’assunzione della copertura da parte di un assicuratore pubblico e per conto o con la garanzia dello Stato.

 


 



[1]    I dati sono tratti dalla pubblicazione ISTAT “Struttura e dimensione delle imprese” - Statistiche in breve - 13 luglio 2009. Il periodo di riferimento è l’anno 2007. Le informazioni derivano dall’Archivio statistico delle imprese attive (Asia), costituito dalle unità economiche che esercitano arti e professioni nelle attività industriali, commerciali e dei servizi alle imprese e alle famiglie. Sono escluse dal campo di osservazione le attività economiche relative a: agricoltura, silvicoltura e pesca; amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; attività di organizzazioni associative; attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze; organizzazioni ed organismi extraterritoriali; le unità classificate come istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit.

[2]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 25 giugno 2008 “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa) [COM(2008) 394 def. - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale].

[3]    La sintesi dello “Small Business Act” riportata in questo capitolo è tratta dal sito http://europa.eu/legislation_summaries/enterprise/business_environment/et0001_it.htm.

Il testo integrale è consultabile al seguente indirizzo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0394:FIN:IT:PDF

[4]    La normativa di riferimento principale è data dalla legge n. 580/1993 recante Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dal relativo regolamento di attuazione D.P.R. 7 dicembre 1995 n. 581 (Regolamento di attuazione dell'art. 8 della L. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile).

[5]    L. 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005.

[6]    L'AIR non è effettuata per i disegni di legge costituzionale; gli atti normativi in materia di sicurezza interna ed esterna dello Stato; i disegni di legge di ratifica di trattati internazionali, che non comportino spese o istituzione di nuovi uffici.

[7]    La disciplina attuativa della VIR è in corso di adozione con apposito regolamento che ne disciplina i casi di effettuazione, i contenuti e le modalità procedurali.

[8]    D.P.C.M. 11 settembre 2008, n. 170, Regolamento recante disciplina attuativa dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), ai sensi dell'articolo 14, comma 5, della legge 28 novembre 2005, n. 246.

[9]    A tale proposito si ricorda che anche la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 settembre 2008  stabilisce che anche l’analisi tecnico-normativa (ATN) che accompagna gli schemi di atti normativi adottati dal Governo ed i regolamenti, ministeriali ed interministeriali, deve essere redatta in modo da assicurare, tra gli altri, «l’incidenza positiva del provvedimento sul corretto funzionamento concorrenziale del mercato, sull’ampliamento delle libertà dei soggetti dell’ordinamento giuridico, sui processi di liberalizzazione e restituzione delle attività, anche economiche ed imprenditoriali, ai meccanismi della società aperta».

[10]   L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[11]   Le disposizioni sulla partecipazione non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione (art. 13).

[12]   La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.

[13]   D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli, convertito con modificazioni dalla L. 2 aprile 2007, n. 40.

[14]   Il decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali,è stato convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

[15]   Il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, è stato convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[16]   Legge 23 luglio 2009, n. 99, recante Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.

[17]   Legge 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.

[18]   Ai sensi dell’art. 2, co. 9, della l. n. 241/1990 la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce “elemento di valutazione” della responsabilità dirigenziale. Di responsabilità “da ritardo” della p.a. si occupa in generale il nuovo art. 2-bis che pone a carico di tutte le amministrazioni pubbliche l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini procedimentali.

[19]   Il silenzio-assenso non si applica agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

[20]    Legge 29 dicembre 1993, n.580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura).

[21]   Il comma 4 dell'articolo 8 della legge n. 580 del 1993 prevedeva in origine l'istituzione di apposite sezioni speciali del Registro delle imprese per le iscrizioni degli imprenditori agricoli, dei piccoli imprenditori, delle società semplici e delle imprese artigiane. Tale assetto del Registro è stato successivamente rivisto dal DPR 14 dicembre 1999, n. 558, che ha introdotto varie semplificazioni procedimentali (secondo i principi dell’art. 20, co. 8, della legge Bassanini), disponendo, in particolare, all'articolo 2, l'iscrizione in un’unica sezione speciale delle categorie imprenditoriali e delle società in precedenza comprese nelle quattro sezioni speciali.

[22]   Gli interessi di natura pubblicistica di tali imprese possono discendere o dall’oggetto della loro attività (bancaria, assicurativa, cooperativa), o dal tipo di controllo cui sono sottoposte (Banca d’Italia, ISVAP, ecc..). A titolo esemplificativo, si ricorda che sono assoggettate alla procedura le imprese di assicurazione, le banche, le società cooperative, le società di intermediazione mobiliare, le società di gestione del risparmio e le società di investimento a capitale variabile, le società fiduciarie e di revisione.

[23]   Questa disposizione del decreto correttivo si applica eccezionalmente anche alle procedure concorsuali in corso alla data di entrata in vigore (1° gennaio 2008).

[24]   La distrazione consiste nel destinare un bene ad un uso diverso da quello proprio; l'occultamento integra qualsiasi forma di nascondimento, materiale o con mezzi giuridici, dei beni; la distruzione rileva in caso di eliminazione o diminuzione del valore economico del bene; la dissipazione consiste nel distruggere, sciupare o scialacquare il proprio patrimonio; la sottrazione si ha quando si pone in essere un'attività tesa ad evitare che gli organi fallimentari entrino in possesso delle scritture contabili.

[25]   L’importo di «137.000 euro» è da intendersi sostituito con «133.000 euro» ai sensi di quanto disposto dal regolamento (CE) n. 1422/2007 che modifica la direttiva 2004/17/CE e la direttiva 2004/18/CE.

[26]   Si tratta sostanzialmente della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri e della CONSIP.

[27]   L’importo di «211.000 euro» è da intendersi sostituito con «206.000 euro» ai sensi di quanto disposto dal regolamento (CE) n. 1422/2007 che modifica la direttiva 2004/17/CE e la direttiva 2004/18/CE.

[28]   L’importo di «5.278.000 euro» è da intendersi sostituito con «5.150.000 euro» ai sensi di quanto disposto dal regolamento (CE) n. 1422/2007 che modifica la direttiva 2004/17/CE e la direttiva 2004/18/CE.

[29]   D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

[30]   D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario, convertito con modificazioni dalla L. 9 aprile 2009, n. 33.

[31]   L. 23 luglio 2009, n. 99, Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.

[32]   D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198.

[33]   La legge 17 maggio 1999, n. 144, recante “Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali” all'articolo 45, comma 1, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a ridefinire il sistema degli incentivi all'occupazione, ivi compresi quelli relativi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego

[34]   Le altre competenze chiave individuate dal documento sono: comunicazione nella madrelingua; comunicazione nelle lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; competenza digitale; imparare a imparare; competenze sociali e civiche; consapevolezza ed espressione culturale.

[35]   Il concetto di imprenditorialità non figura, invece, nella raccomandazione approvata il 23 aprile 2008 dal Parlamento europeo e del Consiglio per la costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF), volta a consentire il confronto tra i sistemi nazionali di qualificazione dei vari paesi. L’elemento chiave di tale raccomandazione è la definizione di otto livelli di riferimento che descrivono le abilità, le conoscenze e le capacità di chi apprende, spostandosi così l’attenzione dagli input dell’apprendimento – quale, ad es., la durata degli studi – ai risultati finali dell’apprendimento stesso. La Raccomandazione fissa la data del 2010 per rapportare i propri sistemi nazionali di qualificazione all’EQF e quella del 2012 per introdurre nei singoli certificati di qualifica un riferimento al livello corrispondente dell’EQF. http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/publ/pdf/eqf/broch_it.pdf.

[36]   L. 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[37]   A questa si affianca una quota dei curricola pari al 20% rimessa all’autonomia delle scuole nell’ambito di indirizzi fissati dalle regioni (ai sensi dei DM 28/12/2005 e 13/6/2006, n. 47).

[38]   I regolamenti devono essere adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

[39]   Si ricorda che il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria, della durata di 5 anni, e dalla scuola secondaria di primo grado, della durata di 3 anni.

[40]   D.Lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, Disciplina della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione.

[41]   D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89, Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[42]   http://www.pubblica.istruzione.it/news/2009/allegati/atto_di_indirizzo_8_settembre_2009.pdf.

[43]   Ai sensi dell’art.17, comma 3, della legge 400/1988, con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

[44]   DM 22 agosto 2007, n. 139, Regolamento recante norme in materia di adempimento dell'obbligo di istruzione, ai sensi dell'articolo 1, comma 622, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[45]   Percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale definiti dall’Accordo quadro adottato in sede di Conferenza unificata 19 giugno 2003.

[46]   Si dispone, peraltro, che nel recepimento di tali indirizzi negli istituti di istruzione secondaria superiore (di ordine classico, scientifico, magistrale, tecnico, professionale e artistico) le istituzioni scolastiche potranno avvalersi degli strumenti offerti dall’autonomia didattico organizzativa loro conferita (con DPR 8 marzo 1999, n. 275), con particolare riferimento all’utilizzazione della già citata quota di flessibilità oraria del 20% dei curricoli.

[47]   D.L. 25 giugno 2008 n. 112,Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della L. 6 agosto 2008, n. 133.

[48]   L’art. 13, comma 11, lett a), dello schema n. 132, relativo, ai licei fa riferimento ad un DM risultante dal concerto del MIUR e del MEF; l’art. 8, comma 3, degli schemi n. 133 e n. 134 prevede, in aggiunta al concerto indicato, il parere della Conferenza unificata.

[49]   D.M. 22 ottobre-2004 n. 270, Modifiche al regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, approvato con D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.

[50]   Due Decreti ministeriali emanati il 16 marzo 2007 hanno provveduto alla determinazione delle classi di laurea (42) e di laurea magistrale (94); alla definizione delle classi delle lauree e delle lauree magistrali per le professioni sanitarie hanno provveduto il D.M. 19 febbraio 2009 e il D.M. 8 gennaio 2009.

[51]   Legge 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.

[52]    Ai sensi dell’art. 11 della legge 341/1990, Riforma degli ordinamenti didattici universitari, richiamato esplicitamente dal DM 270/2004, l'ordinamento degli studi dei corsi è disciplinato, per ciascun ateneo, da un regolamento degli ordinamenti didattici, denominato «regolamento didattico di ateneo». Il regolamento è deliberato dal senato accademico, su proposta delle strutture didattiche, ed è inviato al Ministero competente (ora, Ministero dell’istruzione università e ricerca) per l'approvazione. Il Ministro, sentito il Consiglio Universitario Nazionale, approva il regolamento entro 180 giorni dal ricevimento, decorsi i quali senza che il Ministro si sia pronunciato il documento si intende approvato. Il regolamento è emanato con decreto del rettore.

[53]   D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, Disciplina dell'impresa sociale, a norma della L. 13 giugno 2005, n. 118.

[54]   Ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del  sistema integrato di interventi e servizi sociali.

[55]   Ai sensi del d.p.c.m. del 14 febbraio 2001, Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie.

[56]   Ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[57]   Ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.

[58]   Cfr. articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo”.

[59]   Cfr. D.M. 24 gennaio 2008, Definizione degli atti che devono essere depositati da parte delle organizzazioni che esercitano l'impresa sociale presso il registro delle imprese, e delle relative procedure, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155.