Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Tutela dei prodotti italiani - A.C. 219, 340, 426, 477, 896, 1593, 2624 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 340/XVI   AC N. 426/XVI
AC N. 219/XVI   AC N. 477/XVI
AC N. 896/XVI   AC N. 1593/XVI
AC N. 2624/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 213
Data: 29/09/2009
Descrittori:
ABBIGLIAMENTO E CONFEZIONI   MARCHI DI QUALITA' GARANZIA E IDENTIFICAZIONE
PRODOTTI ALIMENTARI     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo

 

29 settembre 2009

 

n. 213/0

Tutela dei prodotti italiani

A.C. 219, 340, 426, 477, 896, 1593, 2624

Elementi per l’istruttoria legislativa

 


Contenuto

Le proposte di legge 426, 477, 896, 1593 e 2624 recano disposizioni in materia di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani.

Tuttavia, mentre le pdl 426, 477 e 896 riguardano in generale tutti i prodotti (ad eccezione di quelli alimentari), le pdl 1593 e 2624 si occupano esclusivamente dei prodotti tessili, della pelletteria e del calzaturiero.

Invece le restanti proposte di legge (pdl 219 e 340) riguardano rispettivamente la tracciabilità di filiera dei prodotti e l’etichettatura di prodotti conformi a principi etici.

Pdl 426, 477 e 896

Tali pdl, in primo luogo, si occupano della questione di rendere riconoscibile al consumatore il prodotto che sia realizzato interamente in Italia (pdl 477 e 426), almeno per le sue fasi qualificanti (pdl 896).

In particolare, al fine di dare ai consumatori la possibilità di identificare i prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente in Italia, la pdl 477 istituisce il marchio 100 per cento Italia”, di proprietà dello Stato italiano; viene precisato che debbono intendersi realizzati interamente in Italia i prodotti finiti per i quali l'ideazione, la progettazione, il disegno, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti interamente sul territorio italiano, utilizzando materie prime anche di importazione, nonché semilavorati grezzi, realizzati interamente in Italia.

Invece la pdl 896 istituisce il marchio di origine, di qualità e di eccellenza etica «Opera italiana», ponendo come condizione per il suo utilizzo il requisito dello svolgimento in Italia delle due principali fasi di lavorazione e la tracciabilità delle rimanenti fasi, oltre a determinati requisiti di qualità del prodotto e di rispetto della normativa vigente.

Infine la pdl 426 provvede all’istituzione di due marchi di proprietà dello Stato italiano:

§       il marchio «Integralmente Italiano», al fine di dare ai consumatori la possibilità di identificare i prodotti il cui processo produttivo, dall’ideazione al confezionamento, è realizzato interamente in Italia (tale marchio è quindi sostanzialmente assimilabile al marchio “100 per cento Italia” della pdl 477);

§       il marchio «Stile Italiano-Italian Design», al fine di dare ai consumatori la possibilità di identificare i prodotti che si segnalano per specifiche caratteristiche di originalità e di creatività, ideati in Italia.

Le pdl recano quindi specifiche norme relative alle modalità e requisiti per la concessione del marchio, che presuppone l’attestazione che tutte le fasi di realizzazione del prodotto (pdl 477 e 426) o le due principali fasi di lavorazione (pdl 896) si siano svolte sul territorio nazionale e la certificazione del rispetto della normativa vigente in materia di tutela del lavoro, di adempimenti fiscali e previdenziali e di salvaguardia dell’ambiente. Si prevede altresì l’istituzione degli albi delle imprese abilitate ad utilizzare i menzionati marchi per i propri prodotti.

Le imprese che utilizzano i marchi sono sottoposte a controlli. La sussistenza dei requisiti richiesti per l’utilizzo dei marchi deve essere attestata, ogni due anni, tramite certificazione da depositarsi presso il Ministero dello sviluppo economico. Le imprese sono comunque tenute a comunicare immediatamente al soggetto che ha rilasciato l'autorizzazione all'utilizzo del marchiol'eventuale venir meno dei relativi requisiti ed a cessare contestualmente l'utilizzo del marchio. Sono inoltre previsti controlli periodici e a campione sulle imprese che utilizzano il marchio ai fini della verifica della sussistenza dei relativi requisiti, a cura delle camere di commercio. In caso di violazioni nell’utilizzo del marchio è prevista la revoca dell’utilizzazione del marchio.

Per quanto riguarda la disciplina sanzionatoria, alle imprese interessate dal provvedimento di revoca viene inibita la possibilità di presentare nuove richieste di autorizzazione all’utilizzo del marchio prima che siano decorsi tre anni da tale provvedimento, che salgono a cinque nel caso in cui tale richiesta riguardi lo stesso prodotto per il quale è intervenuto il provvedimento. Il Ministero dello sviluppo economico è incaricato di segnalare all’autorità giudiziaria i casi di contraffazione e di uso abusivo dei marchi di cui abbia notizia. Per l’uso illecito del marchio si applicano le sanzioni del codice penale in materia di falsità in sigilli o segni di autenticazione e del Codice della proprietà industriale di cui al D.Lgs. 30/2005.

Un altro tema affrontato, in maniera analoga, dalle pdl in esame riguarda l’etichettatura, su base volontaria, dei prodotti realizzati in Paesi non appartenenti all’Unione europea, al fine di informare adeguatamente gli utilizzatori intermedi e i clienti finali, prevedendo che nelle etichette si evidenzi il paese di origine dei prodotti sia finiti che intermedi, il rispetto delle regole comunitarie e internazionali relative all’origine commerciale, all’igiene e alla sicurezza dei prodotti, e che si forniscano, inoltre, informazioni sulla conformità alle norme internazionali in materia di lavoro, di certificazione di igiene, di esclusione dell’impiego di manodopera minorile e sul rispetto delle norme europee e degli accordi internazionali in materia ambientale.

Le pdl 477e 896, con norme analoghe, recano inoltre disposizioni in materia di etichettatura delle calzature destinate alla vendita, per le quali si prevede la possibilità (nella pdl 477) o l’obbligo (nella pdl 896)di apporvi un'etichetta recante informazioni sui materiali delle principali parti che le compongono, nonché informazioni relative all'origine dei materiali stessi e alle relative lavorazioni.

Le pdl 477 e 896, in modo analogo,prevedono altresì – nel rispetto delle norme doganali comunitarie – che la definizione “made in Italy” può essere (pdl 896) o deve essere (pdl 477) accompagnata da una scheda informativa denominata “carta d’identità del prodotto finito”, recante informazioni utili al consumatore per conoscere la provenienza dei semilavorati di cui il prodotto finale è composto e le lavorazioni eseguite nel processo di fabbricazione cui hanno contribuito imprese di altri Paesi.

Le pdl, con norme similari, si occupano quindi della promozione dei marchi e della loro registrazione a livello internazionale. In primo luogo si prevede la predisposizione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, di campagne promozionali annuali del marchio sul territorio nazionale e sui principali mercati internazionali. Al Ministero dello sviluppo economico è inoltre demandata (solamente nelle pdl 477 e 426) la registrazione del marchio comunitario presso l’apposito ufficio di armonizzazione al fine di tutelare il marchio in paesi terzi, ai sensi del reg. (CE) 40/94 e del protocollo relativo all’intesa di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi.

Infine, per quanto riguarda l’ambito di applicazione della nuova disciplina, le pdl 477 e 896 precisano che le norme da esse previste non si applicano ai prodotti alimentari per i quali resta in vigore la disciplina prevista dal D.L. 157/2004.

Pdl 1593 e 2624

Le pdl 1593 e 2624 sono volte ad assicurare la tracciabilità dei prodotti dei settori tessile, della pelletteria e del calzaturiero, in modo da rendere possibile al consumatore distinguere il prodotto che sia realizzato interamente in Italia.

A tal fine le proposte introducono un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi dei suddetti settori che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione e che fornisca in maniera chiara e sintetica specifiche informazioni riguardanti: la conformità dei processi di lavorazione alle norme internazionali vigenti in materia di lavoro; la certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti; l'esclusione dell'impiego di minori nella produzione; il rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale.

Inoltre si consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione – come specificate dalle stesse pdl - abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

La definizione delle caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego della denominazione «Made in Italy», nonché delle modalità per l'esecuzione dei relativi controlli, è demandata ad un successivo decreto ministeriale.

Inoltre si prevede (nella sola pdl 2624) l’adozione di un regolamento diretto a garantire elevati livelli di qualità dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri commercializzati, anche al fine di tutelare la salute umana e l'ambiente.

La pdl 2624 dispone anche agevolazioni in favore delle imprese che investono in ricerca e sviluppo.

Infine, entrambe le pdl prevedono sanzioni amministrative pecuniarie nel caso di violazione delle disposizioni del provvedimento. Peraltro, nella pdl 2624, le imprese che reiterano la violazione incorrono anche nella sospensione dell’attività e i soggetti istituzionali che omettono di effettuare i prescritti controlli sono soggetti ad una sanzione penale.

Pdl 219 e 340

La pdl 219 è volta ad introdurre un sistema obbligatorio di tracciabilità di filiera dei prodotti intesa quale filiera di controllo lunga, che va oltre l'ambito strettamente produttivo per comprendere anche la distribuzione e il consumo. La tracciabilità di filiera si fonda sulla identificazione delle aziende che hanno contribuito alla formazione di un dato prodotto, in modo da rendere più consapevole e meno anonima la relazione tra produttore e consumatore.

Il sistema obbligatorio di tracciabilità della filiera è inteso come l'insieme di atti e di procedure diretti ad assicurare la conoscenza del luogo di origine o di provenienza della materia prima e la ricostruzione del percorso seguito dal prodotto attraverso le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione, nonché a garantire la trasparenza delle tecniche e dei processi produttivi.

Gli imprenditori che adottano il sistema obbligatorio di tracciabilità sono tenuti a conformare la propria attività alla tutela dei lavoratori, allo sviluppo sostenibile e alla tutela dell’ambiente.

Si dispone quindi il divieto di produrre o commercializzare prodotti per i quali non è stato adottato il sistema di tracciabilità di filiera. In caso di violazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria e, nei casi di particolare gravità, anche la sospensione della produzione e della commercializzazione.

La pdl 340 invece concerne l’etichettatura dei prodotto conformi a principi etici.

Difatti, si richiede di indicare, tramite un’etichettatura chiara e leggibile, se un prodotto si conformi o meno ai seguenti requisiti: se esso sia stato realizzato senza lo sfruttamento dei minori e nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei lavoratori.

In caso di assenza o errata indicazione nell’etichettatura delle informazioni di cui sopra si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria.

Relazioni allegate

Le proposte di legge sono accompagnate dalle rispettive relazioni illustrative.

Necessità dell’intervento con legge

La disciplina dei marchi è contenuta in atti normativi di rango primario e, in particolare, nel D.Lgs. 30/2005, recante il Codice della proprietà industriale, e negli articoli 2569 e ss del codice civile.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Si evidenzia come la disciplina del marchio sia essenzialmente volta a prevenire ed a reprimere atti di concorrenza sleale e la materia della tutela della concorrenza risulti di esclusiva competenza dello Stato ai sensi del secondo comma, lettera e), dell’art. 117 della Costituzione.

Inoltre va considerata la riconducibilità della disciplina del marchio, contenuta nel codice civile (2569-2572) e nel citato codice della proprietà industriale, alla materia dell’ordinamento civile, di esclusiva competenza dello Stato ai sensi del secondo comma, lettera l), dell’art. 117 Cost.

Infine, si rileva che l’art. 117 Cost., al comma secondo, lettera r), attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di “opere dell’ingegno”. Il marchio, in quanto segno distintivo - volto cioè a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese - è istituto connesso alla materia delle opere dell’ingegno essendo comunemente utilizzato per identificare e tutelare queste ultime.

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

I marchi previsti dalle pdl 426, 477 e 896 assolvono alla funzione di garantire ai consumatori la possibilità di identificare i prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente o prevalentemente in Italia.

L’attribuzione del marchio, in tutti i casi considerati, non risulta, peraltro, esplicitamente condizionata a specifici requisiti del prodotto atti ad evidenziarne la qualità (ad esempio: le condizioni di lavorazione, le tecniche produttive utilizzate, ecc.).

Analogo discorso vale per le pdl 2624 e 1593, che prevedono, per i prodotti dei settori tessile, della pelletteria e del calzaturiero, un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione e consentono l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Si ricorda che l’articolo 28 TCE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’articolo 30 del medesimo Trattato, le restrizioni all’importazione giustificate, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzate, qualora non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. In base all’interpretazione dalla Corte di giustizia di tale normativa, i requisiti cui le normative nazionali assoggettano la concessione di denominazioni nazionali di qualità, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza (dei prodotti agroalimentari), possono riguardare solo le caratteristiche qualitative intrinseche dei prodotti, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’origine o alla provenienza geografica degli stessi.

In particolare, si osserva che esiste una giurisprudenza risalente e costante della Corte di Giustizia in materia di marchi di qualità di titolarità di enti pubblici; che ritiene incompatibile con il mercato unico, sulla base dell’art. 28 del Trattato, la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, “la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri” (cfr. la sentenza della Corte UE del 12 ottobre 1978, causa 13/78, Eggers Sohn et Co. contro Città di Brema); a tale principio fanno eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza.

Nella medesima prospettiva si pone, altresì, la decisione del 5 novembre 2002 (causa C-325/00), nella quale la Corte di Giustizia UE ha censurato la Repubblica Federale di Germania, per aver violato l’art. 28 del Trattato con la concessione del marchio di qualità “Markenqualität aus deutschen Landen” (qualità di marca della campagna tedesca), in quanto il messaggio pubblicitario, evidenziando la provenienza tedesca dei prodotti interessati, “può indurre i consumatori ad acquistare i prodotti che portano il marchio (…) escludendo i prodotti importati (…)”. Nella stessa sentenza si rileva, inoltre, come il fatto che l’uso del suddetto marchio sia facoltativo – come previsto anche per il marchio oggetto delle proposte di legge – non elimina il potenziale effetto distorsivo sugli scambi tra gli Stati membri, posto che l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene” (punto 24).

Anche in materia di marchi regionali, si ricorda la decisione 6 marzo 2003 (causa C-6/02), nella quale la Corte ha affermato la responsabilità della Repubblica Francese, la quale “non avendo posto fine, entro il termine fissato nel parere motivato, alla protezione giuridica nazionale concessa alla denominazione ”Salaisons d'Auvergne” nonché ai marchi regionali ”Savoie”, ”Franche-Comté”, ”Corse”, ”Midi-Pyrénées”, ”Normandie”, ”Nord-Pas-de-Calais”, ”Ardennes de France”, ”Limousin”, ”Languedoc-Roussillon” e ”Lorraine” (…) è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 28 TCE”; in tale causa, la Commissione europea ha sostenuto che le disposizioni francesi che istituiscono le suddette denominazioni possono avere effetti sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto, in particolare, esse favoriscono la commercializzazione delle merci di origine nazionale a detrimento delle merci importate e dunque la loro applicazione creerebbe di per sé una disparità di trattamento tra queste due categorie di merci.

Più recentemente, si ricorda, ancora, la sentenza della Corte del 17 giugno 2004 (causa c-255/03), Commissione contro il Regno del Belgio, avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che il Regno del Belgio, avendo adottato e mantenuto in vigore una normativa che concede il “marchio di qualità Vallone” a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati o trasformati in Vallonia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 28 TCE, in quanto tra le condizioni per ottenere il suddetto marchio figura l’obbligo di trasformazione o di fabbricazione in Vallonia, mentre i presupposti che danno accesso ad una denominazione di qualità dovrebbero riferirsi esclusivamente alle caratteristiche intrinseche del prodotto, escludendo qualsiasi riferimento alla sua origine geografica.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Nella comunicazione sulla politica di qualità dei prodotti agricoli (COM (2009)234), presentata il 28 maggio 2009, la Commissione propone, tra l’altro, l’indicazione obbligatoria del luogo di produzione in etichetta, la riforma della normativa sulle indicazioni geografiche, la promozione di una tutela rinforzata del sistema UE nei paesi terzi.

In materia di etichettatura di prodotti tessili la Commissione il 30 gennaio 2009 ha presentato una proposta di regolamento relativo alle denominazioni tessili e all'etichettatura dei prodotti tessili (COM(2009)31).

Impatto sui destinatari delle norme

L'istituzione dei marchi previsti dalle proposte di legge in esame è volta a distinguere i beni prodotti interamente o prevalentemente in Italia o comunque ideati nel territorio nazionale. Del provvedimento potrebbero beneficiare i produttori nazionali in possesso dei requisiti per l’attribuzione del marchio, in termini di promozione dei relativi prodotti. Tali misure potrebbero garantire anche una maggior tutela per i consumatori, che avrebbero la possibilità di identificare i prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente o prevalentemente in Italia.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive

( 066760-9574  – *st_attprod@camera.it

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