Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: Commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri - A.C. 2624-A - Elementi per l'esame in Assemblea
Riferimenti:
AC N. 2624-A/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 213    Progressivo: 1
Data: 02/12/2009
Descrittori:
ABBIGLIAMENTO E CONFEZIONI   COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI
PELLAMI E PELLICCE     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo

 

2 dicembre 2009

 

n. 213/1

Commercializzazione di prodotti tessili,
della pelletteria e calzaturieri

A.C. 2624-A

Elementi per l’esame in Assemblea

 

Numero del progetto di legge

A.C. 2624-A

Titolo

Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri

Commissione competente

X (Attività produttive)

Data di approvazione in Commissione

26 novembre 2009

 

 


Contenuto

Il provvedimento in esame, di cui la X Commissione Attività produttive ha concluso l’esame il 26 novembre scorso, è volto ad assicurare la tracciabilità dei prodotti dei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero in modo da tutelare i consumatori sotto il profilo dell’informazione sul processo di lavorazione e sulla sicurezza dei prodotti medesimi e da rendere possibile al consumatore distinguere il prodotto che sia realizzato in Italia.

A tal fine l’articolo 1 introduce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi nei suddetti settori che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione.

Il sistema di etichettatura fornisce inoltre l’indicazione chiara e sintetica di specifiche informazioni riguardanti:

§       la conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro;

§       la certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti;

§       l'esclusione dell'impiego di minori nella produzione;

§       il rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale.

Inoltre la norma consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per prodotti finiti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione, come individuate dallo stesso provvedimento (art. 1, commi 5-7), abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano (e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione sono state eseguite nel territorio italiano e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità).

Per i prodotti privi dei requisiti necessari per l’impiego della denominazione «Made in Italy» è fatto salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza.

L’articolo inoltre precisa che ai fini del provvedimento in esame per prodotto tessile si intende “ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all'abbigliamento, oppure all'utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all'impiego quale materiale componente di prodotti destinati all'arredo della casa e all'arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero”.

Ai sensi dell’articolo 2, la definizione delle caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego della denominazione «Made in Italy», nonché delle modalità per l'esecuzione dei relativi controlli (anche attraverso il sistema delle Camere di commercio), è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge.

Entro il medesimo termine il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali dovrà provvedere all’adozione di un regolamento - aggiornato con cadenza biennale in base ad indicazioni dell'Istituto superiore di sanità – diretto a garantire elevati livelli di qualità dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri commercializzati, anche al fine di tutelare la salute umana e l'ambiente, attraverso il rafforzamento del sistema di controllo sulla qualità e l'individuazione dei soggetti preposti all'esecuzione dei medesimi.

La proposta all’articolo 3 prevede apposite misure sanzionatorie.

L’apparato sanzionatorio a tutela delle disposizioni del provvedimento consiste, in primo luogo, in sanzioni di natura amministrativa. Sostanzialmente il provvedimento individua due tipi di illecito amministrativo:

§       la mancata o scorretta etichettatura dei prodotti, ivi compresa la mancata o incompleta indicazione nell’etichetta della conformità delle lavorazioni alle norme in materia di lavoro, igiene e sicurezza dei prodotti, tutela ambientale;

§       l’abuso della denominazione «Made in Italy».

Salvo che il fatto costituisca reato, gli illeciti su indicati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro; nei casi più gravi la sanzione è aumentata fino a due terzi, nei casi meno gravi invece è diminuita nella medesima misura. La merce è sempre oggetto di sequestro e confisca (comma 1).

Se le violazioni su indicate sono reiterate allora sono sanzionate penalmente, con la reclusione da 1 a 3 anni; analogamente, qualora commesse tramite apposita organizzazione, sono soggette alla reclusione da 3 a 7 anni (comma 4).

Ove le violazioni siano commesse da imprese, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 70.000 euro, aumentata o diminuita analogamente al comma 1, fermo restando l’applicazione del sequestro e confisca delle merci; la reiterazione della violazione comporta la misura interdittiva della sospensione dell’attività d’impresa per un periodo minimo di un mese e massimo di un anno (comma 2).

Infine, il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) che omette i controlli sulle merci imposti dalla nuova disciplina commette un illecito penale punito con la reclusione da sei mesi a due anni congiunta con la multa fino a 30.000 euro (comma 3).

 

 

Relazioni allegate

La proposta di legge iniziale era corredata della relazione illustrativa.

 

 

Necessità dell’intervento con legge

Il provvedimento introduce un sistema di etichettatura obbligatoria e il divieto di utilizzare il marchio «Made in Italy» in mancanza di specifici requisiti, prevedendo per le violazioni apposite sanzioni amministrative e penali. Si rende pertanto necessario il ricorso allo strumento legislativo.

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il contenuto del provvedimento in esame è riconducibile principalmente alla materia tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato.

Può al riguardo richiamarsi la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha ricondotto alla predetta materia le disposizioni volte alla tutela del made in Italy (sentenza n. 175/2005, e, con riferimento al settore del turismo, sentenza n. 339/2007).

La Corte ha altresì ricondotto alle materie tutela della concorrenza e ordinamento civile la disciplina dei marchi e dei segni distintivi (sentenza n. 368/2008).

Con riferimento a specifici profili vengono altresì in rilievo le materie tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva dello Stato,e tutela della salute, di competenza concorrente tra Stato e regioni.

Le disposizioni dell’articolo 3, commi 3 e 4, sono infine riconducibili alla materia dell’ordinamento penale, di competenza esclusiva dello Stato.

 

 

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

L’articolo 3 reca la norma sanzionatoria.

In particolare, il comma 4 prevede che le violazioni di cui al comma 1, dal medesimo comma sanzionate sul piano amministrativo, siano soggette invece ad una sanzione penale qualora commesse reiteratamente o tramite apposita organizzazione.

Il comma 4 deve essere valutato alla luce del principio di proporzionalità tra offesa e sanzione, che discende, secondo la giurisprudenza costituzionale, dagli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 27, terzo comma (principio della finalità rieducativa della pena), della Costituzione (sentenze n. 409/89 e n. 341/94). In tale ottica, deve essere valutata la congruità della considerazione dell’illecito amministrativo di cui al comma 1 in termini di illecito penale in caso di reiterazione o di attività organizzate.

 

 

Compatibilità comunitaria

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Il provvedimento prevede, per i prodotti dei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione e consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

La finalità di tali misure è tutelare i consumatori sotto il profilo dell’informazione sul processo di lavorazione e sulla sicurezza dei prodotti medesimi e rendere possibile al consumatore distinguere il prodotto che sia realizzato prevalentemente in Italia.

L’etichettatura che evidenzi il luogo di ciascuna fase di lavorazione o la riserva del marchio «Made in Italy» ai prodotti realizzati prevalentemente in Italia non garantisce, peraltro, specifici requisiti del prodotto che ne valorizzino la qualità (ad esempio: le condizioni di lavorazione, le tecniche produttive utilizzate, ecc.).

Si ricorda che l’articolo 28 TCE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’articolo 30 del medesimo Trattato, le restrizioni all’importazione giustificate, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzate, qualora non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. In base all’interpretazione dalla Corte di giustizia di tale normativa, i requisiti cui le normative nazionali assoggettano la concessione di denominazioni nazionali di qualità, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza (dei prodotti agroalimentari), possono riguardare solo le caratteristiche qualitative intrinseche dei prodotti, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’origine o alla provenienza geografica degli stessi.

In particolare, si osserva che esiste una giurisprudenza risalente e costante della Corte di Giustizia in materia di marchi di qualità di titolarità di enti pubblici; che ritiene incompatibile con il mercato unico, sulla base dell’art. 28 del Trattato, la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, “la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri” (cfr. la sentenza della Corte UE del 12 ottobre 1978, causa 13/78, Eggers Sohn et Co. contro Città di Brema); a tale principio fanno eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza.

Nella medesima prospettiva si pone, altresì, la decisione del 5 novembre 2002 (causa C-325/00), nella quale la Corte di Giustizia UE ha censurato la Repubblica Federale di Germania, per aver violato l’art. 28 del Trattato con la concessione del marchio di qualità “Markenqualität aus deutschen Landen” (qualità di marca della campagna tedesca), in quanto il messaggio pubblicitario, evidenziando la provenienza tedesca dei prodotti interessati, “può indurre i consumatori ad acquistare i prodotti che portano il marchio (…) escludendo i prodotti importati (…)”. Nella stessa sentenza si rileva, inoltre, come il fatto che l’uso del suddetto marchio sia facoltativo – come previsto anche per il marchio oggetto delle proposte di legge – non elimina il potenziale effetto distorsivo sugli scambi tra gli Stati membri, posto che l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene” (punto 24).

Anche in materia di marchi regionali, si ricorda la decisione 6 marzo 2003 (causa C-6/02), nella quale la Corte ha affermato la responsabilità della Repubblica Francese, la quale “non avendo posto fine, entro il termine fissato nel parere motivato, alla protezione giuridica nazionale concessa alla denominazione ”Salaisons d'Auvergne” nonché ai marchi regionali ”Savoie”, ”Franche-Comté”, ”Corse”, ”Midi-Pyrénées”, ”Normandie”, ”Nord-Pas-de-Calais”, ”Ardennes de France”, ”Limousin”, ”Languedoc-Roussillon” e ”Lorraine” (…) è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 28 TCE”; in tale causa, la Commissione europea ha sostenuto che le disposizioni francesi che istituiscono le suddette denominazioni possono avere effetti sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto, in particolare, esse favoriscono la commercializzazione delle merci di origine nazionale a detrimento delle merci importate e dunque la loro applicazione creerebbe di per sé una disparità di trattamento tra queste due categorie di merci.

Più recentemente, si ricorda, ancora, la sentenza della Corte del 17 giugno 2004 (causa c-255/03), Commissione contro il Regno del Belgio, avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che il Regno del Belgio, avendo adottato e mantenuto in vigore una normativa che concede il “marchio di qualità Vallone” a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati o trasformati in Vallonia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 28 TCE, in quanto tra le condizioni per ottenere il suddetto marchio figura l’obbligo di trasformazione o di fabbricazione in Vallonia, mentre i presupposti che danno accesso ad una denominazione di qualità dovrebbero riferirsi esclusivamente alle caratteristiche intrinseche del prodotto, escludendo qualsiasi riferimento alla sua origine geografica.

Si consideri, inoltre, che la disposizione che consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano appare in contrasto con l’articolo 36 del codice doganale comunitario, di cui al regolamento (CE) n. 450/2008, ai sensi del quale “le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione sostanziale”.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Il 30 gennaio 2009 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativo alle denominazioni tessili e all'etichettatura dei prodotti tessili (COM(2009)31) volta a semplificare il quadro regolamentare esistente apportandovi delle modifiche, tra le quali il riconoscimento esplicito della responsabilità degli operatori economici di fornire l'etichetta e le informazioni in essa contenute.

Con riguardo, più in generale, al marchio d’origine, una proposta di regolamento relativa all’indicazione del paese di origine di alcuni prodotti importati da paesi terzi era stata presentata nel 2005 (COM(2005)661). La proposta – che segue la procedura di codecisione - non è mai stata discussa dal Consiglio.

Il 24 novembre 2009 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha votato una risoluzione nella quale, tra l’altro, invita la Commissione a ripresentare al Parlamento europeo la proposta nel medesimo testo immediatamente dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) e che dalla medesima data abbiano inizio consultazioni e scambi di opinioni tra Parlamento e Consiglio.

 

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

L’articolo 2, comma 1, affida ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge la definizione delle caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego della denominazione «Made in Italy», nonché delle modalità per l'esecuzione dei relativi controlli.

Il successivo comma 2 dispone che entro il medesimo termine il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali dovrà provvedere all’adozione di un regolamentodiretto a garantire elevati livelli di qualità dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri commercializzati, anche al fine di tutelare la salute umana e l'ambiente.

 

Coordinamento con la normativa vigente

Si osserva che andrebbe chiarito il rapporto tra la fattispecie sanzionatoria del comma 1 rispetto a quella del comma 2. Difatti, tali disposizioni sanzionano la medesima violazione, distinguendosi solamente perché nel comma 1 il soggetto attivo sembra la persona fisica mentre nel comma 2 è “l’impresa”. Peraltro, appare improprio sanzionare come soggetto giuridico “l’impresa”, dovendosi invece, al limite, far riferimento all’imprenditore (persona fisica) ovvero alla società o altro all’ente (con o senza personalità giuridica) che svolge attività d’impresa.

 

 

Impatto sui destinatari delle norme

L’etichettatura obbligatoria è diretta ad assicurare la tracciabilità dei prodotti per fornire informazioni sul processo di lavorazione e sulla sicurezza dei prodotti medesimi e rendere possibile distinguere il prodotto che sia realizzato in Italia (tale ultima finalità connota anche la riserva del marchio «Made in Italy» ai prodotti realizzati prevalentemente in Italia).

Del provvedimento potrebbero beneficiare i produttori nazionali in possesso dei requisiti per l’uso della denominazione «Made in Italy», in termini di promozione dei relativi prodotti. Tali misure potrebbero garantire anche una maggior tutela per i consumatori, che avrebbero la possibilità di identificare i prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente o prevalentemente in Italia.

 

 

Formulazione del testo

Si osserva che all’art. 1, comma 4, andrebbe chiarito se il criterio indicato espressamente ai fini dell’uso della denominazione «Made in Italy» - secondo cui almeno due delle fasi di lavorazione devono essere state eseguite nel territorio italiano e per le rimanenti fasi deve essere verificabile la tracciabilità – sia esemplificativo di uno dei casi in cui si considera verificarsi la prevalenza della realizzazione delle fasi di lavorazione nel territorio nazionale o, al contrario, se tale criterio sia tassativo dovendo ricorrere necessariamente.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive

( 066760-9574  – *st_attprod@camera.it

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File: AP0056a.doc