Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Tutela della minoranza linguistica ladina della regione Veneto - A.C. 24 - Schede di lettura e normativa di riferimento
Riferimenti:
AC N. 24/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 463
Data: 30/03/2011
Descrittori:
MINORANZE LINGUISTICHE   VENETO
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Tutela della minoranza linguistica ladina della regione Veneto

A.C. 24

Schede di lettura e normativa di riferimento

 

 

 

 

 

 

n. 463

 

 

 

30 marzo 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

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File: AC0617.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo                                                                                              3

§      Art. 1 (Riconoscimento della minoranza linguistica ladina)                          13

§      Art. 2 (Adesione ai princìpi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie)15

§      Art. 3 (Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza linguistica ladina)    17

§      Art. 4 (Ambito territoriale di applicazione)                                                      19

§      Art. 5 (Nomi, cognomi e denominazioni ladini)                                              21

§      Art. 6 (Uso della lingua ladina nei rapporti con le autorità amministrative)   23

§      Art. 7 (Uso della lingua ladina nei rapporti con l'autorità giudiziaria)             29

§      Art. 8 (Disposizioni in materia di personale degli uffici pubblici dei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col)  31

§      Art. 9 (Uso della lingua ladina negli organi elettivi)                                        35

§      Art. 10 (Insegne pubbliche e toponomastica)                                               37

§      Art. 11 (Scuole pubbliche con lingua di insegnamento ladina)                     39

§      Art. 12 (Organi per l'amministrazione scolastica)                                         47

§      Art. 13 (Istituto regionale di ricerca educativa)                                              51

§      Art. 14 (Concessionari di pubblici servizi)                                                     53

§      Art. 15 (Promozione della cultura ladina a mezzo di trasmissioni televisive)55

§      Art. 16 (Istituzioni e attività della minoranza ladina)                                      59

§      Art. 17 (Tutela del patrimonio storico e artistico)                                          61

§      Art. 18 (Tutela degli interessi sociali, economici e ambientali)                     63

§      Art. 19 (Copertura finanziaria)                                                                       65

§      Art. 20 (Disposizioni transitorie e finali)                                                         67

 

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica (artt. 2, 3 e 6)                                                73

§      Legge 15 dicembre 1999, n. 482. Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche74

Normativa regionale

§      Regione Veneto. L.R. 23 dicembre 1994, n. 73. Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto                                                                                                      83

 

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Premessa

L’Italia è ricca di minoranze linguistiche, sia dal punto di vista della varietà, sia della quantità.

Le popolazioni alloglotte sono prevalentemente concentrate nelle zone di confine: Val d’Aosta (francofoni), Trentino - Alto Adige (germanofoni e ladini) e Friuli - Venezia Giulia (sloveni, germanofoni e friulani). Tali aree, che sono, insieme alla Sardegna e alla Sicilia, regioni a statuto speciale, godono di ampi livelli di autonomia amministrativa e le minoranze presenti fruiscono di differenti forme di tutela.

Le popolazioni che parlano le lingue fin qui citate sono considerate minoranze linguistiche storiche e sono tutelate dallo Stato italiano dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482.

Tutte le regioni a statuto speciale e alcune delle regioni a statuto ordinario hanno adottato disposizioni specifiche per le minoranze presenti nel proprio territorio.

 

 

La legislazione internazionale

La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata a Strasburgo il 5 novembre 1992, rappresenta il testo guida al quale conformare le diverse leggi nazionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche. L’Italia ha sottoscritto la Carta il 27 giugno 2000, ma non ha ancora provveduto alla sua ratifica ed è in corso l’esame da parte del Parlamento del relativo disegno di legge di ratifica[1].

Dopo la firma della Carta, l’Italia ha predisposto un’apposita legge in materia, in modo da poter già disporre di una normativa coerente con le sue prescrizioni. La legge 15 dicembre 1999, n. 482 è da considerarsi pertanto un primo intervento volto a recepire i princìpi della Carta nell’ordinamento interno italiano.

L’Italia ha aderito anche alla Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali, firmata a Strasburgo nel 1995[2].

In considerazione della mancata ratifica della Carta europea delle lingue minoritarie, la Convenzione costituisce al momento il principale riferimento per la normativa nazionale in materia di protezione delle minoranze linguistiche e per la sua attuazione.

 

 

La legislazione nazionale

Principi costituzionali

L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni (tra l’altro) di lingua.

L’articolo 6 della Carta costituzionale prevede specificamente, quale ulteriore principio fondamentale, la tutela delle minoranze linguistiche, da attuare attraverso appositi provvedimenti normativi.

La legge sulle minoranze linguistiche storiche

La legge 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche,introduce nell’ordinamento, “in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei ed internazionali” (art. 2), una disciplina organica di tutela delle lingue e delle culture minoritarie storicamente presenti in Italia, e più specificamente delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.

La legge sancisce preliminarmente il carattere ufficiale della lingua italiana quale lingua della Repubblica e la valorizzazione del patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana (art. 1)[3].

La competenza a definire gli ambiti territoriali (anche subcomunali) di applicazione delle norme di tutela è attribuita a ciascun consiglio provinciale; il procedimento è attivabile da parte di almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni interessati, oppure da un terzo dei consiglieri comunali dei comuni espressione della medesima minoranza, i quali esprimono in ogni caso il loro parere sulla proposta di delimitazione. Nel caso in cui non si siano verificate tali condizioni, il procedimento può iniziare a seguito della pronuncia favorevole delle popolazioni interessate, con referendum (art. 3).

Una serie di norme è finalizzata a promuovere l’apprendimento delle lingue minoritarie. Nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado è previsto, accanto all’uso della lingua italiana, l’uso della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.

Nelle stesse scuole, le istituzioni scolastiche determinano, tenendo conto anche delle richieste delle famiglie degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, adottano iniziative per lo studio delle lingue e delle tradizioni culturali delle minoranze tutelate e promuovono la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti in tal senso. L’insegnamento della lingua della minoranza viene impartito su richiesta espressa rivolta alle istituzioni scolastiche dai genitori interessati (art. 4).

Le università, nell’ambito della loro autonomia organizzativa e delle proprie risorse, possono istituire corsi di lingua e cultura delle minoranze e agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative in materia (art. 6). Per la realizzazione di progetti per lo studio delle lingue e delle tradizioni culturali delle minoranze promossi dal Ministro della pubblica istruzione l’art. 5 stanzia 2 miliardi di lire (1,03 milioni di euro) annui.

Ai membri dei consigli comunali (e delle comunità montane, delle province e delle regioni, dei quali facciano parte comuni nei quali è riconosciuta la lingua della minoranza, che complessivamente costituiscano almeno il 15 per cento della popolazione interessata) e degli altri organi collegiali dell’amministrazione, è riconosciuto il diritto di utilizzare la lingua tutelata nell’attività degli organi stessi, ferma restando la possibilità, su richiesta dei membri dei suddetti organi che dichiarino di non conoscere la lingua della minoranza, della immediata traduzione in lingua italiana (art. 7).

Viene prevista inoltre, previa delibera del consiglio comunale e con spese gravanti sul bilancio del comune stesso, la pubblicazione nella lingua tutelata degli atti ufficiali dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici non territoriali, fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in italiano (art. 8).

È consentito l’uso orale e scritto della lingua tutelata negli uffici della pubblica amministrazione (con esclusione delle forze armate e delle forze di polizia) aventi sede nei comuni rientranti nell’ambito territoriale di applicazione delle norme di tutela nonché nei procedimenti davanti al giudice di pace (art. 9).

Le amministrazioni statali che impiegano personale che permetta al pubblico di utilizzare la lingua tutelata nei rapporti con i propri uffici, beneficiano di specifici contributi dello Stato. Per corrispondere tali contributi viene istituito (art. 9, co. 2), presso il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio, un Fondo nazionale per la tutela delle minoranze linguistiche, con una dotazione annua di 9,8 miliardi di lire (5,06 milioni di euro).

I comuni possono adottare toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali, mantenendo comunque i toponimi ufficiali (art. 10).

È riconosciuto agli interessati il diritto di ripristinare nella lingua originaria i cognomi o i nomi “italianizzati” prima della entrata in vigore della legge, su espressa richiesta, debitamente documentata, da rivolgere al sindaco del comune di residenza, il quale la inoltra al prefetto che provvede con proprio decreto (art. 11).

Nella convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI, e nel relativo contratto di servizio, sono previste specifiche condizioni per promuovere e diffondere le lingue e le culture tutelate attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Le regioni possono inoltre stipulare convenzioni con la RAI e accordi con le emittenti locali per realizzare, nell’ambito della programmazione radiotelevisiva regionale, trasmissioni destinate alle minoranze linguistiche (art. 12).

Le regioni, le province e i comuni possono disporre, sulla base delle proprie risorse finanziarie, provvidenze per l’editoria, per gli organi di stampa e per le emittenti radiotelevisive private che utilizzino le lingue tutelate; gli stessi soggetti possono inoltre corrispondere finanziamenti alle associazioni che si prefiggono l’obiettivo di salvaguardare le minoranze linguistiche (art. 14).

Per le spese sostenute dagli enti locali per gli interventi in favore delle minoranze, la legge autorizza uno stanziamento annuo di 8,7 miliardi di lire (4,49 milioni di euro), da ripartirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa verifica dei rendiconti presentati dai comuni, nei quali devono essere indicati i motivi dell’intervento e giustificata la congruità della spesa (art. 15).

Le regioni e le province possono istituire, con propri fondi, organismi per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali o specifiche sezioni autonome di analoghe istituzioni locali già esistenti (art. 16).

Le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, devono conformare la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla legge, mantenendo le eventuali disposizioni regionali che prevedono condizioni più favorevoli per le minoranze (art. 13).

Le regioni a statuto speciale disciplinano con norme di attuazione dei propri statuti l’applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dalla legge. Sono comunque fatte salve le norme di tutela già presenti nei rispettivi ordinamenti regionali (art. 18, co. 1).

L’art. 23 della L. 38/2001 (recante norme a tutela della minoranza linguistica slovena, sulla quale vedi infra) ha introdotto nella legge l’art. 18-bis, il quale estende ai fenomeni di intolleranza e di violenza nei confronti degli appartenenti alle minoranze linguistiche le misure penali e processuali che l’art. 3 della L. 654/1975[4] ed il D.L. 122/1993[5] recano al fine di prevenire e contrastare gli atti di discriminazione razziale, etnica o religiosa.

La legge prevede infine che la Repubblica italiana possa promuovere, in condizioni di reciprocità con gli Stati stranieri, lo sviluppo delle lingue e delle culture minoritarie tutelate che sono diffuse all’estero, qualora i cittadini delle relative comunità abbiano mantenuto l’identità socio-culturale e linguistica d’origine. D’altro canto, viene parimenti disposta la promozione di intese con altri Stati, per garantire condizioni favorevoli per le comunità di lingua italiana presenti sul loro territorio e per diffondere all’estero la lingua e la cultura italiane (art. 19).

Sullo stato di attuazione di tali adempimenti il Governo riferisce annualmente al Parlamento.

La legge sulla tutela della minoranza slovena

Alla disciplina di carattere generale contenuta nella L. 482/1999 ha fatto seguito un ulteriore intervento legislativo, specificamente rivolto alla tutela della minoranza linguistica slovena: si tratta della legge 23 febbraio 2001, n. 38, Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia, destinata ad applicarsi anche in deroga alle disposizioni della legge generale sulle minoranze linguistiche.

La minoranza slovena godeva già di una ampia tutela ai sensi dello Statuto speciale allegato al Memorandum di intesa firmato a Londra il 5 ottobre 1954 e recepito nel Trattato di Osimo del 10 novembre 1975[6]. Il Memorandum è richiamato dalla L. 38/2001, che fa esplicitamente salvi i provvedimenti emanati in sua attuazione.

La L. 38/2001 istituisce il Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza slovena, composto da 20 membri nominati in parte dal Governo e in parte dalla regione e dagli enti locali.

Tra i principali compiti del Comitato vi è la delimitazione del territorio regionale nel quale è presente la minoranza slovena (art. 3). Tale delimitazione è preliminare all’effettivo dispiegarsi degli effetti della legge.

In relazione all’uso della lingua, in particolare, la legge stabilisce il diritto al ripristino dei nomi e dei cognomi sloveni e il loro impiego in tutti gli atti pubblici, valevole per le persone sia fisiche che giuridiche; il diritto, pur mantenendo fermo il carattere ufficiale della lingua italiana, all’uso della lingua slovena nei rapporti con le autorità amministrative e giudiziarie locali, nonché il diritto di avere documenti bilingui; il diritto all’uso della lingua slovena per gli appartenenti alla minoranza chiamati a cariche elettive nello svolgimento delle relative funzioni; l’impiego della lingua slovena, in aggiunta a quella italiana, nelle insegne pubbliche, nelle indicazioni toponomastiche e nella segnaletica stradale (artt. 7, 8, 9 e 10).

Per la trattazione delle questioni relative all’istruzione in lingua slovena, vengono istituiti due organismi ad hoc: una Commissione scolastica regionale per l’istruzione in lingua slovena[7] - per l’autonomia dell’istruzione i lingua slovena - e un Ufficio speciale presso l’Ufficio scolastico regionale del Friuli-Venezia Giulia (art. 13).

 

 

La legislazione regionale

Nelle regioni ad autonomia speciale, specifiche disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche presenti sul territorio si rinvengono, in particolare, negli statuti (adottati con legge costituzionale) delle regioni Valle d’Aosta, Trentino - Alto Adige e Friuli - Venezia Giulia.

Con particolare riferimento al Regione Trentino Alto-Adige, il D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino - Alto Adige prevede un articolato sistema di tutela delle minoranze ivi esistenti, in particolare tedesca e ladina, tutela espressamente inserita fra i principi di interesse nazionale che la regione è obbligata a rispettare nell'esercizio della sua competenza legislativa (art. 4).

La parità di diritti dei cittadini dei diversi gruppi linguistici è in generale solennemente dichiarata nell'art. 2 dello Statuto. Quest’ultimo, a garanzia di tale parità, prevede, accanto al tradizionale tipo di controllo in via principale davanti alla Corte costituzionale (art. 97 e 98), una particolare forma di tutela giurisdizionale della stessa Corte. Infatti, se una proposta di legge regionale, lesiva della parità dei diritti, viene approvata nonostante l'opposizione di un gruppo linguistico presente nel consiglio regionale, secondo particolari procedure ivi previste, la maggioranza del gruppo stesso può impugnare la legge davanti alla Corte costituzionale (unico caso di ricorso diretto di minoranza consiliare alla Corte costituzionale).

In materia di tutela delle minoranze contenuto rilevante hanno inoltre due leggi regionali:

§         legge regionale 24 giugno 1957 n. 11 (e successiva modifica di cui alla legge regionale 9 novembre 1983 n. 13), Norme sul referendum abrogativo di leggi regionali e provinciali che vieta la proposizione di referendum abrogrativo per leggi regionali, o disposizioni di esse, che riguardano la tutela di una minoranza linguistica;

§         legge regionale 16 luglio 1972 n. 15, Norme sull'iniziativa popolare nella formazione delle leggi regionali e provinciali in base alla quale la Presidenza del Consiglio regionale o provinciale può respingere un progetto di legge di iniziativa popolare qualora esso sia in contrasto con il principio di tutela delle minoranze linguistiche, reiezione che ha effetti vincolanti, quanto alle motivazioni, sulla eventuale riproposizione del progetto da parte dei promotori.

Quanto alle norme principali sull'uso della lingua, una prima specifica garanzia è prevista nel settore dell'istruzione dall'art. 19, commi 1, 2, 3 dello Statuto[8]. Secondo tale disposizione, nella provincia di Bolzano l'insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia egualmente quella materna. Nelle scuole elementari e secondarie in lingua italiana è peraltro obbligatorio l'insegnamento della lingua tedesca; nelle corrispondenti scuole in lingua tedesca è obbligatorio l'insegnamento dell'italiano.

Accanto alla minoranza tedesca, anche la minoranza ladina gode di una tutela normativa particolare, prevista in generale dall'art. 102 dello Statuto e poi differenziata a seconda che si tratti della popolazione ladina residente nella provincia autonoma di Trento ovvero in quella di Bolzano.

A norma del citato articolo dello Statuto speciale le popolazioni ladine hanno diritto alla valorizzazione delle proprie iniziative ed attività culturali, di stampa e ricreative, nonché al rispetto della toponomastica e delle tradizioni dalle popolazioni stesse. Nelle scuole dei comuni delle province di Trento e di Bolzano ove è parlato il ladino, apposite leggi provinciali garantiscono l'insegnamento della lingua e della cultura ladina.

Un secondo settore nel cui ambito si realizza la garanzia dell'uso della lingua è quello relativo ai rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e con l'autorità giudiziaria[9].

Il principio della proporzionale linguistica nella provincia di Bolzano ha il valore di principio generale da rispettare in ampi settori dell'attività istituzionale della provincia, quali ad esempio la costituzione di organi rappresentativi, l'impiego pubblico nella provincia e nei comuni, le attribuzioni di edilizia economica e popolare.

Particolare interesse, inoltre, nella garanzia della rappresentanza delle minoranze rivestono gli artt. 89 e 111 dello Statuto sui ruoli del personale di uffici statali in provincia di Bolzano che prevedono la cosiddetta "proporzionale etnica" e cioè la ripartizione dei posti di ruolo in organico per i cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, italiano, tedesco e ladino, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione[10].

Ulteriore garanzia della rappresentanza dei gruppi linguistici è costituita dall'art. 107 dello Statuto sulla composizione della Commissione paritetica competente ad esprimere il parere sui decreti di attuazione dello Statuto.

Si ricorda, infine, che in base all'art. 19 del D.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, il Presidente della Giunta regionale e della Giunta provinciale di Bolzano sono invitati alle sedute del Consiglio dei Ministri quando il Consiglio è chiamato a deliberare su argomenti che comportano l'applicazione del principio della tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina.

Da segnalare, infine, la legge della provincia autonoma di Trento 19 giugno 2008, n. 6, Norme di tutela e promozione delle minoranze linguistiche locali, in favore delle popolazioni parlanti il ladino, il mòcheno e il cimbro.

Regioni a statuto ordinario

Gli interventi regionali sulla tutela delle minoranze linguistiche sono stati in via generale molto limitati, risentendo di una giurisprudenza costituzionale che ha riservato alla legislazione statale la competenza sulla materia. A tal riguardo, tuttavia, si ricorda che in base a quanto disposto dall’articolo 13 della legge generale sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche, legge n. 482 del 1999, le regioni a statuto ordinario nelle materie di loro competenza sono tenute a conformare la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla legge, mantenendo le eventuali disposizioni regionali che prevedono condizioni più favorevoli per le minoranze.

Questo indirizzo legislativo è stato ampiamente recepito nei nuovi statuti regionali approvati a seguito della legge costituzionale n. 1/1999. Tutte le regioni hanno inserito fra i principi fondamentali dei loro statuti la salvaguardia e la valorizzazione delle minoranze linguistiche e culturali insediate nei rispettivi territori.

Tra le leggi finora adottate si ricordano, per quanto interessa in questa sede, la legge della regione Veneto 23 dicembre 1994, n. 73 Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto, che dispone la concessione di contributi in favore di alcuni organismi che promuovono al tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle comunità etniche e linguistiche storicamente presenti nella regione e inventiva la costituzione di un Istituto Regionale di Cultura Ladina, tra le associazioni culturali ladine e gli enti locali interessati. Recentemente è intervenuta la legge regionale 13 aprile 2007, n. 8, Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto, volta alla promozione e alla tutela della lingua veneta.

 

 

 


 

Art. 1
(Riconoscimento della minoranza linguistica ladina)

1. La Repubblica riconosce e tutela i diritti dei cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica ladina presente nella provincia di Belluno, a norma degli articoli 2, 3 e 6 della Costituzione, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento e ai princìpi proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nelle convenzioni internazionali e nei trattati sottoscritti dal Governo italiano.

2. Ai cittadini italiani appartenenti alla minoranza linguistica ladina si applicano le disposizioni della legge 15 dicembre 1999, n. 482, e successive modificazioni, salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge.

 

 

L'articolo 1, comma 1, prevede che la Repubblica riconosce e tutela i diritti dei cittadini italiani appartenenti alla minoranza ladina che risiede nella provincia di Belluno, richiamando espressamente gli artt. 2, 3 e 6 della Costituzione, in conformità ai principi generali dell'ordinamento e ai principi proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nelle convenzioni internazionali e nei trattati sottoscritti dal Governo italiano.

Il comma 2 prevede l’applicazione delle disposizioni della leggein materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche (legge 15 dicembre 1999, n. 482), salvo quanto espressamente previsto dalla proposta di legge in esame.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di espungere il riferimento alla nazionalità italiana dei cittadini, alla luce del principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dall’articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

L’art. 2 della Cost., si ricorda , stabilisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; l’art. 3, co. 1, reca, poi, il divieto di discriminazione in ragione dell’utilizzazione di una lingua diversa da quella nazionale, cui si aggiunge l’obbligo positivo secondo cui la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche (art. 6). Con particolare riferimento ai principi generali dell’ordinamento, richiamati dalla norma in esame, esso costituisce un limite specifico riferito alla potestà esclusiva o piena delle sole regioni ad autonomia speciale, consistente, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, per lo più in norme non scritte, principi generalissimi non posti da singole leggi ma ricavabili dall’insieme della legislazione (v. sent. 1107/1988).

La L. 482/1999, in attuazione dell'art. 6 della Costituzione, reca, più specificamente, le norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche (per il ladino cfr. art. 2); ha ricevuto attuazione con il D.P.R. 2 maggio 2001, n. 345.

Si ricorda brevemente che, il primo provvedimento varato a favore della minoranza ladina insediata nella Provincia di Belluno è rappresentato dalla legge regionale del Veneto 23 dicembre 1983 n. 60 (Provvidenze a favore delle iniziative per la valorizzazione della cultura ladina), poi sostituita dalla L.R. 23 dicembre 1994 n. 73 (Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto), tuttora vigente, volta a tutelare e valorizzare il patrimonio storico-culturale delle comunità etniche e linguistiche storicamente presenti nel Veneto (i ladini, i cimbri del Vicentino, del Veronese e del Cansiglio, i germanofoni di Sappada ed altri).

 

 


 

Art. 2
(Adesione ai princìpi della Carta europea delle lingue regionali
o minoritarie
)

1. Le misure di tutela della minoranza ladina previste dalla presente legge si ispirano, oltre che alla convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1o febbraio 1995 e ratificata ai sensi della legge 28 agosto 1997, n. 302, ai seguenti princìpi affermati nella Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992:

a) il riconoscimento delle lingue regionali o minoritarie come espressione di ricchezza culturale;

b) il rispetto dell'ambito territoriale di ciascuna lingua;

c) la necessità di una risoluta azione di affermazione delle lingue regionali o minoritarie finalizzata alla loro salvaguardia;

d) la promozione della cooperazione transfrontaliera e interregionale anche nell'ambito dei programmi dell'Unione europea.

 

 

L'articolo 2 è diretto a garantire l’adesione ad alcuni principi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, oltre che alla convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali.

 

La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è un trattato internazionale siglato (l’Italia vi ha aderito nel 2000) a Strasburgo il 5 novembre 1992 nell'ambito del Consiglio d'Europa con lo scopo di tutelare circa 40 milioni di cittadini dell'Unione che, si è rilevato, usano regolarmente una lingua regionale o minoritaria tramandata da una generazione all'altra, solitamente accanto alla lingua o alle lingue ufficiali dello Stato.

Tuttavia, solo 24 Stati sino ad oggi l'hanno anche ratificata. L'Italia, che vi ha aderito nel 2000, non l'ha per ora ratificata.[11]

Ai sensi della presente Carta:

·         a) per «lingue regionali o minoritarie» si intendono le lingue:

i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e

ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti;

·         b) per «territorio in cui è usata una lingua regionale o minoritaria» si intende l'area geografica nella quale tale lingua è l’espressione di un numero di persone tale da giustificare l'adozione di differenti misure di protezione e di promozione previste dalla presente Carta;

·         c) per «lingue non territoriali» si intendono le lingue usate da alcuni cittadini dello Stato che differiscono dalla(e) lingua(e) usata(e) dal resto della popolazione di detto Stato ma che, sebbene siano usate tradizionalmente sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate a un'area geografica particolare di quest'ultimo.

 

L'Unione europea riconosce, secondo dati aggiornati al 2009, 23 lingue ufficiali anche se esistono lingue che non rientrano nella lista delle lingue ufficiali dell'Unione, eppure sono largamente diffuse, ancorché minoritarie: l'esempio più importante è il catalano, parlato da circa 7 milioni di persone in Spagna (dove è lingua ufficiale a livello regionale), in Francia e in Sardegna (Alghero)[12].

 

 


 

Art. 3
(Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza linguistica ladina)

1. Con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentiti i comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col, è istituito entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza linguistica ladina, di seguito denominato «Comitato», composto da dieci membri, di cui almeno cinque appartenenti alla minoranza linguistica ladina.

2. Fanno parte del Comitato:

a) tre membri nominati dai consigli comunali di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col;

b) tre membri nominati dal Consiglio dei ministri, dei quali uno di lingua ladina, sentite le associazioni più rappresentative della minoranza linguistica ladina;

c) due membri nominati dal consiglio provinciale di Belluno, dei quali uno di lingua ladina, da individuare con voto limitato, sentite le associazioni più rappresentative della minoranza linguistica ladina;

d) due membri nominati dal consiglio regionale del Veneto, da individuare con voto limitato.

3. Con il decreto istitutivo di cui al comma 1 sono altresì stabilite le norme per il funzionamento del Comitato. Il Comitato ha sede a Cortina d'Ampezzo/Anpezo.

 

 

L’articolo 3, al comma 1, prevede, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, l’istituzione, con D.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentiti i comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col, di un Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza linguistica ladina, composto da dieci membri, di cui almeno cinque appartenenti alla minoranza linguistica ladina. Con il medesimo decreto istitutivo sono stabilite le norme per il funzionamento del Comitato che ha sede a Cortina d'Ampezzo/Anpezo (comma 3).

 

Il comma 2 disciplina in modo dettagliato la composizione dell’istituendo Comitato.

 

 


 

Art. 4
(Ambito territoriale di applicazione)

1. Le misure di tutela della minoranza linguistica ladina previste dalla presente legge si applicano, alle condizioni e con le modalità indicate nella legge stessa, nei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col, e loro frazioni, in cui la minoranza è tradizionalmente presente.

2. Ai cittadini residenti nei territori individuati ai sensi del comma 1 del presente articolo, è comunque garantito l'esercizio dei diritti di cui all'articolo 9 limitatamente ai rapporti con gli enti sovracomunali già operanti secondo le modalità previste dal comma 5 dell'articolo 6.

3. Nel censimento generale della popolazione è rilevata, in forma anonima, anche la consistenza della minoranza linguistica ladina.

 

 

L'articolo 4 individua il campo di applicazione della legge in esame nei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Fodom/Livinallongo del Col di Lana e Col/Colle Santa Lucia e nelle frazioni di essi in cui la minoranza è tradizionalmente presente.

Stabilisce, altresì, che nel censimento generale della popolazione venga rilevata, in forma anonima, anche la consistenza della minoranza linguistica ladina.

 

Si ricorda che nei tre comuni richiamati, si è svolto il 28 e 29 ottobre 2007 un referendum,  con cui la popolazione si è pronunciata in favore dell’annessione al Trentino -Alto Adige e del conseguente distacco dalla Regione Veneto.

 

 

 


 

Art. 5
(Nomi, cognomi e denominazioni ladini)

1. I cittadini appartenenti alla minoranza ladina e residenti nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, hanno il diritto di dare ai propri figli nomi ladini. Essi hanno inoltre il diritto di avere il proprio nome e il proprio cognome scritti o stampati in forma corretta secondo l'ortografia ladina in tutti gli atti pubblici.

2. Il diritto alla denominazione, agli emblemi e alle insegne in lingua ladina spetta sia alle imprese ladine sia alle altre persone giuridiche, nonché ad istituti, enti, associazioni e fondazioni ladini.

3. I cittadini appartenenti alla minoranza linguistica ladina possono ottenere il cambiamento del proprio nome, redatto in lingua italiana e loro imposto in passato, nel corrispondente nome in lingua ladina o in quello, parimenti in lingua ladina, abitualmente usato nelle proprie relazioni sociali.

4. Ciascun cittadino il cui cognome è stato in passato modificato o comunque alterato, che non è in grado di esperire le procedure previste dalla legge 28 marzo 1991, n. 114, può ottenere il cambiamento dell'attuale cognome nella forma e nella grafia ladine, avvalendosi delle procedure previste dall'articolo 11 della legge 15 dicembre 1999, n. 482. Il ripristino del cognome ha effetto anche per i discendenti degli interessati che non sono maggiorenni e che, se maggiorenni, hanno prestato il loro consenso.

5. I procedimenti di cambiamento del nome e del cognome previsti dal presente articolo sono esenti da ogni imposta, tassa o diritto, anche negli atti e procedimenti successivi al cambiamento. L'esercizio del diritto di cui al comma 2 non comporta l'applicazione di oneri fiscali aggiuntivi.

 

 

L'articolo 5, comma 1, riconosceai ladini residenti nei comuni della provincia di Belluno indicati nell’articolo 4, il diritto di dare ai propri figli nomi ladini, nonché il diritto di avere i propri nomi e cognomi scritti e stampati in forma corretta secondo l’ortografia ladina in tutti gli atti pubblici.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 34, comma 2, DPR 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile), i nomi stranieri che sono imposti ai bambini aventi la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell'alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell'alfabeto della lingua di origine del nome.

 

Allo stesso modo, il diritto a denominazione, emblemi e insegne in lingua ladina spetta sia alle imprese ladine sia alle altre persone giuridiche, nonché ad istituti, enti, associazioni e fondazioni ladini. (comma 2).

 

Ai sensi del comma 3 si prevede, altresì, che i cittadini appartenenti alla minoranza linguistica ladina possono ottenere il cambiamento del proprio nome, redatto in lingua italiana, nel corrispondente nome in lingua ladina o in quello, parimenti in lingua ladina, abitualmente usato nelle proprie relazioni sociali.

 

Il comma 4 garantisce a ciascun cittadino il cui cognome sia stato in passato modificato o comunque alterato, e che non sia in grado di esperire le ordinarie procedure previste dalla legge 28 marzo 1991, n. 114, la possibilità di ottenere il cambiamento dell'attuale cognome nella forma e nella grafia ladine, avvalendosi delle procedure previste dall'art. 11 della L . n 482/1999.

 

Inoltre, ai sensi dell’art. 11 L. 482/99, i cittadini che fanno parte di una minoranza linguistica riconosciuta e residenti nei comuni di cui all’art. 3 della medesima legge, i cognomi o i nomi dei quali siano stati modificati prima della entrata in vigore della legge o ai quali sia stato impedito in passato di apporre il nome di battesimo nella lingua della minoranza, hanno diritto di ottenere, sulla base di adeguata documentazione, il ripristino degli stessi in forma originaria. Il ripristino del cognome ha effetto anche per i discendenti degli interessati che non siano maggiorenni o che, se maggiorenni, abbiano prestato il loro consenso (comma 1). La domanda è presentata al sindaco del comune di residenza del richiedente, il quale provvede d'ufficio a trasmetterla al prefetto. Il prefetto, qualora ricorrano i presupposti, emana il decreto di ripristino del nome o del cognome. Nel caso di reiezione della domanda, il relativo provvedimento può essere impugnato, entro trenta giorni dalla comunicazione, con ricorso al Ministro di grazia e giustizia, che decide previo parere del Consiglio di Stato. Il procedimento è esente da spese e deve essere concluso entro novanta giorni dalla richiesta (comma 2). Gli uffici dello stato civile dei comuni interessati provvedono alle annotazioni conseguenti. Tutti gli altri registri, tutti gli elenchi e ruoli nominativi sono rettificati d'ufficio dal comune e dalle altre amministrazioni competenti (comma 3).

 

I predetti procedimenti di cambiamento del nome e del cognome sono esenti da ogni imposta, tassa o diritto, anche negli atti e procedimenti successivi al cambiamento (comma 5).

 

Norme di analogo contenuto sono stabilite, per la provincia di Trento, dall’art. 3-ter di cui al D.Lgs. 16 dicembre 1993 n. 592 recante Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento.

 

 

 


 

Art. 6
(Uso della lingua ladina nei rapporti con le autorità amministrative)

1. Fermo restando il carattere ufficiale della lingua italiana, ai cittadini di lingua ladina è riconosciuto il diritto all'uso della lingua ladina nei rapporti orali e scritti con gli uffici della pubblica amministrazione, situati nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, con gli enti locali e con le istituzioni scolastiche di tali territori, con gli uffici della provincia e della regione che svolgono funzioni esclusivamente o prevalentemente nell'interesse delle popolazioni ladine, anche se situati fuori dei territori, nonché con i concessionari di servizi di pubblico interesse aventi sede nei citati territori o che operano esclusivamente nelle località ladine.

2. Le amministrazioni e i concessionari di cui al comma 1 sono tenuti a rispondere oralmente in ladino ovvero per iscritto in lingua italiana, seguita dal testo in lingua ladina.

3. I provvedimenti e gli atti emanati dalle amministrazioni di cui al comma 1 sono redatti in lingua italiana, seguita dal testo in lingua ladina. La regione e la provincia provvedono alla pubblicazione degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse della popolazione ladina residente nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, nella lingua ladina. Tale pubblicazione è di norma contemporanea al testo in lingua italiana e, qualora non effettuata, comporta la mancata entrata in vigore degli atti e delle circolari, comunque per un periodo non superiore a trenta giorni dalla data di pubblicazione del testo in lingua italiana.

4. Restano escluse dall'applicazione del comma 1 le Forze armate e le Forze di polizia nell'espletamento dei rispettivi compiti istituzionali, salvo che per i procedimenti amministrativi, per le Forze armate limitatamente agli uffici di distretto, avviati a richiesta di cittadini di lingua ladina e fermo restando quanto stabilito dall'articolo 109 del codice di procedura penale. Restano comunque esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti amministrativi avviati dal personale delle Forze armate e di polizia nei rapporti interni con l'amministrazione di appartenenza.

5. Nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, gli atti e i provvedimenti di qualunque natura destinati ad uso pubblico e redatti su moduli predisposti, compresi i documenti di carattere personale quali la carta di identità e i certificati anagrafici, sono rilasciati, a richiesta dei cittadini interessati, sia in lingua italiana e ladina sia nella sola lingua italiana. L'uso della lingua ladina è previsto anche con riferimento agli avvisi e alle pubblicazioni ufficiali.

6. Nei rapporti tra i pubblici uffici situati nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, è ammesso l'uso della lingua ladina.

7. Al fine di rendere effettivi e attuabili i diritti di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo le amministrazioni interessate, compresa l'amministrazione dello Stato, adottano, nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, le necessarie misure, adeguando i propri uffici, l'organico del proprio personale e la propria organizzazione interna, nel rispetto delle vigenti procedure di programmazione delle assunzioni di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ed entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili ai sensi del presente articolo.

8. La regione Veneto, gli enti locali dei territori di cui all'articolo 4, comma 1, e altri soggetti pubblici possono contribuire con risorse aggiuntive alla realizzazione degli interventi necessari per l'attuazione del presente articolo, sentito a tale fine il Comitato.

9. I cittadini di lingua ladina possono sollevare l'eccezione di nullità di atti o di provvedimenti amministrativi emessi dagli organi, dagli uffici e dai concessionari indicati al comma 1, nonché delle comunicazioni o notificazioni da essi provenienti, che sono formulati in contrasto con le disposizioni del presente articolo.

10. L'eccezione di nullità di cui al comma 9 può essere sollevata anche oralmente dinanzi all'organo, ufficio o concessionario che ha emesso l'atto o il provvedimento o dal quale proviene la comunicazione o la notificazione, nel termine perentorio di dieci giorni da quello in cui l'interessato ne ha avuto conoscenza o da quello in cui la comunicazione o la notificazione viene eseguita. Se l'eccezione è proposta oralmente, l'organo, ufficio o l'incaricato di un pubblico servizio provvede a redigere apposito verbale.

11. L'eccezione di nullità può essere proposta, nello stesso termine e con le stesse modalità, stabiliti dal comma 10, davanti al sindaco o ad un suo delegato del comune di residenza dell'interessato, quando l'atto, il provvedimento, la comunicazione o la notificazione siano stati emessi da organi, uffici o concessionari che hanno sede in altro comune. In tale caso la dichiarazione scritta dell'interessato o il verbale che la contiene è immediatamente trasmessa, a cura del comune, all'organo, ufficio o concessionario competente.

12. L'eccezione di nullità può essere altresì sollevata direttamente all'ufficiale notificante il quale ne fa menzione nella relazione di notifica.

13. L'eccezione di nullità sospende gli effetti dell'atto.

14. L'organo, l'ufficio o il concessionario, accertata la fondatezza dell'eccezione di nullità, provvede, a sua cura e spese, al rinnovo nella lingua richiesta e alla notificazione o alla comunicazione dell'atto o del provvedimento nel termine perentorio di dieci giorni decorrenti da quello in cui esso ha avuto conoscenza dell'eccezione. I termini di decadenza o di prescrizione sono in tale caso prorogati fino alla data della notifica o della comunicazione dell'atto tempestivamente rinnovato.

15. In caso di infondatezza dell'eccezione di nullità, l'organo, l'ufficio o il concessionario, nello stesso termine perentorio di dieci giorni stabilito dal comma 14, dà notizia del rigetto all'interessato e da quel momento l'atto riprende a produrre i suoi effetti.

16. L'inutile decorso del termine di dieci giorni indicato nei commi 14 e 15 determina comunque l'inefficacia dell'atto.

 

 

L’articolo 6 disciplina l’uso della lingua ladina nei rapporti con le autorità amministrative.

 

Tale disposizione riproduce, in parte, quanto stabilito, per la provincia di Trento, dall’art. 32 del D.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari).

 

Il comma 1, riconosce ai cittadini di lingua ladina il diritto all'uso di tale lingua nei rapporti orali e scritti con gli uffici della pubblica amministrazione, situati nei territori di cui all'art. 4, comma 1, nonché con le istituzioni scolastiche e gli enti territoriali che svolgono funzioni esclusivamente o prevalentemente nell'interesse delle popolazioni ladine, anche se situati fuori dei territori ex art. 4, comma 1 come pure con i concessionari di servizi di pubblico interesse aventi sede nei citati territori o che operano esclusivamente nelle località ladine. Ugual diritto viene riconosciuto sul versante delle risposte che i menzionati enti sono tenuti a dare (comma 2).

Resta fermo il carattere ufficiale della lingua italiana.

Ai sensi del comma 3, i provvedimenti e gli atti emanati dalle amministrazioni di cui al comma 1 sono redatti in lingua italiana, seguita dal testo in lingua ladina. Il comma 4, esclude dall'applicazione del comma 1 i rapporti con le Forze armate e le Forze di polizia nell'espletamento dei rispettivi compiti istituzionali, salvo che per i procedimenti amministrativi.

 

Si segnala, in proposito, che norme di egual tenore sono contenute nel D.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 volto ad attuare lo statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige con riferimento all’uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari (Capo III).

Allo stesso modo, l’art. 1 del D.Lgs. 16 dicembre 1993 n. 592 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento), disciplina l’uso della lingua ladina in misura sostanzialmente conforme a quanto stabilito in questa sede.

La L. 482/1999 consente, all’art. 9, l'uso orale e scritto della lingua ammessa a tutela, negli uffici delle amministrazioni pubbliche escludendo i rapporti con le forze armate e le forze di polizia dello Stato. Per rendere effettivo l'esercizio di tali facoltà è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, un Fondo nazionale per la tutela delle minoranze linguistiche con assegnazione di risorse ripartite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentite le amministrazioni interessate (si veda da ultimo il D.P.C.M. 7 luglio 2010). Secondo quanto previsto dall’articolo 8 del regolamento attuativo (approvato con D.P.R. 2 maggio 2001, n. 345) tali fondi vengono assegnati sulla base di progetti elaborati dagli Enti locali esponenziali delle minoranze linguistiche ammesse a tutela.

 

Si prevede, altresì, che la regione e la provincia provvedano alla contemporanea pubblicazione degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse della popolazione ladina residente nei citati territori nella lingua ladina; qualora ciò non si verifichi la norma dispone la mancata entrata in vigore degli atti e delle circolari, comunque per un periodo non superiore a trenta giorni dalla data di pubblicazione del testo in lingua italiana.

La disposizione in esame deve essere valutata alla luce dell’art. 123 Cost., che riserva agli Statuti delle regioni ordinarie la disciplina della pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.

Si osserva altresì che la pubblicazione in lingua ladina degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse della popolazione ladina è prevista anche dall’articolo 9, comma 2.

 

Val la pena segnalare che il già citato art. 1 del D.Lgs. n. 592/1993, al comma 4-bis, stabilisce che la regione e la provincia (di Trento) curano la pubblicazione degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse delle popolazioni ladina, mochena e cimbra nelle rispettive lingue, e, per quanto riguarda la lingua mochena e quella cimbra, in caso di non traducibilità, nella lingua di riferimento, limitandosi ad affermare che tale pubblicazione è, di norma, contemporanea al testo in lingua italiana e, comunque, non successiva a trenta giorni dalla data di pubblicazione del testo in lingua italiana.

 

Ai sensi del comma 5, gli atti e i provvedimenti di destinati ad uso pubblico e redatti su moduli predisposti, compresi i documenti di carattere personale quali la carta di identità e i certificati anagrafici, sono rilasciati, a richiesta dei cittadini interessati, sia in lingua italiana e ladina sia nella sola lingua italiana.

 

L'uso della lingua ladina è previsto anche con riferimento agli avvisi e alle pubblicazioni ufficiali così come nei rapporti tra i pubblici uffici situati nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, è ammesso l'uso della lingua ladina (comma 6).

 

Il comma 7 prescrive che le amministrazioni interessate, comprese quelle statali, adottano le necessarie misure al fine di rendere effettivi e attuabili i diritti di cui sopra adeguando i propri uffici, l'organico del proprio personale e la propria organizzazione interna, nel rispetto delle vigenti procedure di programmazione delle assunzioni di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ed entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili ai sensi del presente articolo. La regione Veneto, gli enti locali dei territori a prevalenza ladina e altri soggetti pubblici possono contribuire con risorse aggiuntive alla realizzazione degli interventi necessari per l'attuazione del presente articolo (comma 8).

 

I commi da 9 a 16, prevedono, poi, che i cittadini di lingua ladina possono sollevare l'eccezione di nullità degli atti o provvedimenti amministrativi emessi nei loro confronti redatti in italiano, con la conseguente sospensione dell'efficacia degli stessi, fino al loro perfezionamento in caso di errore, oppure fino al rigetto della richiesta in caso di infondatezza della questione sollevata

 

I commi citati riproducono in sostanza quanto previsto dall’art. 8 del D.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 recante le norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari.

 

 


 

Art. 7
(Uso della lingua ladina nei rapporti con l'autorità giudiziaria)

1. Resta fermo il diritto del cittadino di lingua ladina di essere esaminato e interrogato, nei processi che si svolgono nella provincia di Belluno, nella sua lingua madre con l'ausilio dell'interprete. Nei procedimenti davanti al giudice di pace competente per i territori di cui all'articolo 4, comma 1, è consentito l'uso della lingua ladina. Nell'assegnazione dell'incarico di giudice di pace competente per i predetti territori deve essere riconosciuta la precedenza assoluta a coloro che sono a conoscenza della lingua ladina accertata da un'apposita commissione nominata dal Comitato.

 

 

La disposizione estende ai cittadini ladini residenti nella provincia di Belluno la tutela in sede processuale già accordata dal D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574[13], di attuazione dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, ai cittadini ladini residenti nella provincia di Bolzano.

In particolare, l’articolo 7 ricalca la formulazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 574, che stabilisce che i cittadini di lingua ladina della provincia di Bolzano possono essere esaminati e interrogati, nei processi che si svolgono nella provincia, nella propria madrelingua con l'ausilio dell'interprete. Inoltre, la stessa disposizione afferma che nei procedimenti davanti al giudice di pace competente per i territori delle località ladine della provincia di Bolzano è consentito l'uso della lingua ladina. Nell'assegnazione dell'incarico di giudice di pace competente per i territori delle località ladine della provincia di Bolzano deve essere riconosciuta la precedenza assoluta a coloro che sono a conoscenza della lingua ladina.

 

Per quanto riguarda i cittadini ladini residenti nella provincia di Trento, l’articolo 1-bis del D.Lgs. 16 dicembre 1993, n. 592 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento)consente l’uso della lingua ladina nei procedimenti davanti al giudice di pace competente per i territori delle località ladine della Val di Fassa.

 

Più in generale, per il processo penale occorre ricordare che l’articolo 109 del codice di procedura penale (Lingua degli atti) stabilisce che davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta.

 

 


 

Art. 8
(Disposizioni in materia di personale degli uffici pubblici dei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom
e Colle Santa Lucia/Col
)

1. Negli uffici e nelle amministrazioni di cui all'articolo 6, aventi sede nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, è assegnato a domanda, nell'ambito delle procedure per i trasferimenti e per le assegnazioni provvisorie o definitive di sede, con precedenza assoluta, personale avente i requisiti prescritti dalla normativa vigente per l'accesso ai relativi posti che dimostra la conoscenza della lingua ladina.

2. L'accertamento della conoscenza della lingua ladina ai fini di cui al comma 1 è effettuato da un'apposita commissione nominata dal Comitato.

3. La commissione di cui al comma 2, nominata per un triennio, è composta da quattro membri effettivi e da quattro membri supplenti, scelti per metà tra i cittadini residenti nei territori ci cui all'articolo 4, comma 1. Svolge le funzioni di segretario della commissione un impiegato comunale. Tutti i commissari e il segretario devono avere piena conoscenza della lingua italiana e della lingua ladina.

4. I candidati in possesso dei requisiti prescritti, che dimostrano la conoscenza della lingua ladina davanti alla commissione di cui al comma 2, hanno titolo di precedenza assoluta nelle graduatorie dei pubblici concorsi e nelle pubbliche selezioni di personale, anche per incarichi temporanei, banditi dagli enti locali dei territori di cui all'articolo 4, comma 1.

 

 

L'articolo 8 riconosce un titolo di precedenza nelle assegnazioni di determinate amministrazioni e uffici - individuati ai sensi del precedente comma 6 e localizzati in specifici territori - al personale che dimostri di conoscere il ladino, con priorità assoluta nell'ambito di procedure di trasferimento o di assegnazione di sede nonché nelle procedure concorsuali e pubbliche selezioni banditi dagli enti locali.

In particolare, il comma 1 dispone che tale titolo di precedenza sia riconosciuto al personale che venga assegnato, a domanda, nell'ambito delle procedure per i trasferimenti e per le assegnazioni provvisorie o definitive di sede negli uffici e nelle amministrazioni richiamate, aventi sede nei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col, e loro frazioni, a condizione che lo stesso personale abbia i requisiti prescritti dalla normativa vigente per l'accesso ai relativi posti e che dimostri la conoscenza della lingua ladina.

 

L'accertamento della conoscenza della lingua ladina, ai fini individuati dal precedente comma, viene effettuato da un'apposita commissione nominata dal Comitato (comma 2).

 

Tale commissione, nominata per un triennio, è composta da 4 membri effettivi e da 4 membri supplenti, scelti per metà tra i cittadini residenti nei territori individuati in precedenza. Le funzioni di segretario della commissione sono svolte un impiegato comunale. A tutti i commissari e il segretario è richiesta la piena conoscenza della lingua italiana e della lingua ladina (comma 3).

 

Il comma 4, infine, riconosce ai candidati in possesso dei requisiti prescritti, che dimostrino la conoscenza della lingua ladina davanti alla specifica commissione, un titolo di precedenza assoluta nelle graduatorie dei pubblici concorsi e nelle pubbliche selezioni di personale, anche per incarichi temporanei, banditi dagli enti locali dei territori richiamati in precedenza.

 

In materia, si ricorda che l’articolo 35, comma 5-ter, del D.Lgs. 165/2001, come modificato dall’articolo 51 del D.Lgs. 150/2009, stabilisce che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di 3 anni dalla data di pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali.

Lo stesso comma altresì garantisce il principio della parità di condizioni per l'accesso ai pubblici uffici, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, nel caso in cui tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato.

 

In sostanza, si segnala che per quanto attiene alle disposizioni di cui ai commi 1 e 4, l’articolo in esame provvede a riproporre le disposizioni contenute nell’articolo 3, commi 1 e 4, del D.Lgs. 13 dicembre 1993, n. 592, recante le norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento. Si ricorda che tale provvedimento, in attuazione dei principi contenuti nell'articolo 2 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al D.P.R. 670/1972, reca disposizioni – statali, regionali e locali -  atte a tutelare e promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, le caratteristiche etniche e culturali delle popolazioni ladina, mochena e cimbra, residenti nel territorio della provincia di Trento.

 

Il richiamato articolo 3 del D.Lgs. n.592/1993 infatti ha stabilito sia il titolo di precedenza assoluta nelle procedure per i trasferimenti e per le assegnazioni provvisorie o definitive di sede in determinati uffici e amministrazioni aventi sede nelle località ladine della provincia di Trento è assegnato a domanda, per il personale avente i requisiti prescritti che dimostri la conoscenza della lingua ladina (comma 1), sia il titolo di precedenza assoluta nelle graduatorie dei pubblici concorsi e nelle pubbliche selezioni di personale, anche per incarichi temporanei, banditi dagli enti locali delle località ladine nonché enti pubblici specificamente individuati - limitatamente alla copertura dei posti vacanti negli uffici indicati - per i candidati in possesso dei specifici requisiti, che dimostrino la conoscenza della lingua ladina.

 

Le disposizioni che prevedono un titolo di precedenza assoluta per coloro che conoscono la lingua ladina nelle graduatorie dei pubblici concorsi e nelle pubbliche selezioni di personale, così come nelle procedure di trasferimento, devono essere valutate alla luce del bilanciamento tra il principio di tutela delle minoranze linguistiche, riconosciuto dall’articolo 6 Cost., ed il principio di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici, riconosciuto dagli articoli 3 e 51, primo comma, Cost.

 

 

 


 

Art. 9
(Uso della lingua ladina negli organi elettivi)

1. Negli organi collegiali e nelle assemblee elettive aventi sede nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, è riconosciuto il diritto all'uso della lingua ladina negli interventi orali e scritti, nonché nella presentazione di proposte, mozioni, interrogazioni e interpellanze, compresa l'eventuale attività di verbalizzazione. Le relative modalità di attuazione sono stabilite dagli statuti e dai regolamenti degli organi elettivi. A richiesta degli interessati deve essere effettuata la traduzione in lingua italiana.

2. La regione Veneto e la provincia di Belluno curano la pubblicazione in lingua ladina degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse della popolazione ladina.

3. I componenti degli organi collegiali e delle assemblee elettive possono svolgere le pubbliche funzioni di cui sono eventualmente incaricati anche in lingua ladina.

 

 

L'articolo 9 riconosce il diritto di usare la lingua ladina negli organi collegiali e nelle assemblee elettive aventi sede nei comuni di cui all’art. 4.

Più specificamente, il comma 1 stabilisce che negli organi collegiali e nelle assemblee elettive aventi sede nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, è riconosciuto il diritto all'uso della lingua ladina negli interventi orali e scritti, nonché nell’ambito dei procedimenti conosciti ed ispettivi, rinviando a statuti e  regolamenti dei medesimi organi per le relative modalità di attuazione. I componenti dei suddetti organismi possono svolgere le pubbliche funzioni di cui sono eventualmente incaricati anche in lingua ladina (comma 3).

 

Quanto sopra può esser confrontato con ciò che prevede, a livello nazionale, la L. n. 482/1999 che, all’art. 7, stabilisce che nei comuni ove siano presenti minoranze linguistiche, i membri dei consigli comunali e degli altri organi a struttura collegiale dell'amministrazione (si noti come nell’ambito di tale fattispecie si faccia esplicito riferimento ad alcune categorie di organi collegiali ovvero assemblee elettive) possono usare, nell'attività degli organismi medesimi, la lingua ammessa a tutela.

 

Spetta, poi, alla regione Veneto e alla provincia di Belluno curare la pubblicazione in lingua ladina degli atti normativi e delle circolari di diretto interesse della popolazione ladina (comma 2).

 

La disposizione del comma 2 è gia contenuta nell’articolo 6, comma 3.

 

 

 


 

Art. 10
(Insegne pubbliche e toponomastica)

1. I comuni di cui all'articolo 4, comma 1, sentito il Comitato, disciplinano l'uso della lingua ladina nelle insegne degli uffici pubblici, nella carta ufficiale e, in genere, in tutte le insegne pubbliche, nonché nei gonfaloni. Tali disposizioni si applicano anche per le indicazioni toponomastiche e per la segnaletica stradale.

 

 

L'articolo 10 prevede l'adeguamento delle indicazioni toponomastiche e della segnaletica stradale dei comuni e frazioni di essi delle località ladine, compresi le insegne pubbliche e i gonfaloni.

 

Disposizione analoga è contenuta nel già citato D.P.R. n.670/1972, all’art. 101 con riferimento ai cittadini di lingua tedesca.

In ambito si segnala che la legge provinciale 23 luglio 2004 n. 7, ha modificato inoltre numerose disposizioni della normativa provinciale in materia di toponomastica, estendendo alle minoranze germanofone, mochena e cimbra, presenti nel territorio della provincia di Trento, la particolare disciplina prevista in favore della minoranza linguistica ladina dalla L.P. 27 agosto 1987, n. 16. In questo modo le tre comunità minoritarie, in materia di toponomastica, risultano ora accomunate da una normativa uniforme.

 

 


 

Art. 11
(Scuole pubbliche con lingua di insegnamento ladina)

1. Nelle scuole pubbliche situate nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, la lingua e la cultura ladine costituiscono materia di insegnamento obbligatorio. Il ladino può altresì essere usato quale lingua di insegnamento, secondo le modalità stabilite dai competenti organi scolastici.

2. Nelle scuole pubbliche dell'infanzia la programmazione educativa comprende anche argomenti relativi alle tradizioni, alla lingua e alla cultura locali da svolgere anche in lingua ladina e il ladino è usato, accanto alla lingua italiana, quale lingua di insegnamento. A tale fine nelle predette scuole, nell'ambito delle procedure di assunzione, assegnazione e mobilità è riconosciuta precedenza assoluta al personale insegnante che, in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente per l'accesso ai posti relativi, ha dimostrato la conoscenza della lingua e cultura ladine, da accertare secondo le modalità stabilite dal comma 6.

3. Negli istituti di istruzione obbligatoria l'insegnamento della lingua ladina, della storia e delle tradizioni culturali e linguistiche locali è compreso nell'orario curricolare obbligatorio determinato dagli stessi istituti nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica di cui all'articolo 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59. Tali istituti deliberano le modalità di svolgimento delle suddette attività curricolari, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché i criteri di valutazione degli alunni e le modalità d'impiego dei docenti qualificati.

4. Nelle scuole secondarie di primo grado della provincia di Belluno, frequentate da alunni provenienti dai territori di cui al comma 1, possono essere istituiti corsi opzionali di lingua ladina anche in deroga al numero minimo di alunni previsto dall'ordinamento scolastico.

5. Gli alunni degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado ed artistica dei territori di cui all'articolo 4, comma 1, che hanno conseguito il diploma di istruzione secondaria di primo grado in scuole diverse da quelle situate nei citati territori sono esonerati, a richiesta, dall'insegnamento della lingua e della cultura ladine.

6. Nell'ambito delle procedure per le assunzioni a tempo indeterminato e determinato, per i trasferimenti, per le utilizzazioni e per i passaggi di cattedra e di ruolo del personale, direttivo e docente, presso le scuole di ogni ordine e grado situate nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, i posti vacanti e disponibili sono riservati e attribuiti con precedenza assoluta anche rispetto all'assegnazione di eventuali sedi libere sul restante territorio provinciale a coloro che, in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente per i posti relativi, hanno dimostrato la conoscenza della lingua e della cultura ladine davanti ad una commissione della quale fa parte almeno un insegnante di lingua ladina in servizio nelle stesse scuole. Tale commissione è nominata dal Comitato, sentito il sovrintendente scolastico.

7. Qualora non sia possibile coprire tutti i posti di insegnamento secondo quanto disposto dal comma 6 gli eventuali posti vacanti sono ricoperti con incarichi a tempo determinato o con assegnazioni provvisorie.

8. Le finalità di tutela della lingua e della cultura ladine previste dal presente articolo sono assicurate dalla regione Veneto e dalla provincia di Belluno, anche nell'ambito dei corsi di formazione professionale di durata pluriennale, tenendo conto delle caratteristiche formative e didattiche dei corsi medesimi.

 

 

L’art. 11, comma 1, dispone che nelle scuole pubbliche presenti nei territori indicati all’art. 4, la lingua e la cultura ladina costituiscono materia di insegnamento obbligatorio. Inoltre, il ladino può essere usato quale lingua di insegnamento.

Afronte della possibilità indicata dal comma 1, il comma 2 dispone chenelle scuole dell’infanzia il ladino è usato quale lingua di insegnamento, accanto alla lingua italiana.

 

Si evidenzia, preliminarmente, che le disposizioni recate dall’articolo in commento ripropongono in larga parte quanto attualmente previsto per le minoranze ladine della provincia di Trento dallo statuto speciale della regione e dalle relative norme di attuazione.

In particolare, sulla base di quanto disposto dagli artt. 2 e 102 del DPR n. 670 del 1972[14] (recante il testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale), l’art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 592 del 1993[15] stabilisce che, nelle scuole situate nelle località ladine della provincia di Trento, la lingua e la cultura ladina costituiscono materia di insegnamento obbligatorio. Il ladino può, altresì, essere usato quale lingua di insegnamento.

Il comma 4-bis, aggiunto successivamente dall’art. 1 del D.lgs. n. 344 del 1999,dispone che nelle scuole materne il ladino è usato, accanto alla lingua italiana, quale lingua di insegnamento.

 

Con riguardo all’utilizzo delle lingue delle minoranze linguistiche nella scuola, si ricorda la legge sulle minoranze linguistiche storiche (L. n. 482 del 1999), nel cui ambito sono tutelate anche le popolazioni parlanti il ladino, che prevede una serie di norme finalizzate a promuovere l’apprendimento delle lingue minoritarie. In particolare, l’art. 4 dispone che nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado è previsto, accanto all’uso della lingua italiana, l’uso della lingua della minoranza come strumento di insegnamento. Nelle stesse scuole, le istituzioni scolastiche determinano, tenendo conto anche delle richieste delle famiglie degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali – stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati –, adottano iniziative per lo studio delle lingue e delle tradizioni culturali delle minoranze tutelate e promuovono la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti in tal senso. L’insegnamento della lingua della minoranza viene impartito su richiesta espressa rivolta alle istituzioni scolastiche dai genitori interessati.

A sua volta l’art. 13 dispone che le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, devono conformare la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla legge, mantenendo le eventuali disposizioni regionali che prevedono condizioni più favorevoli per le minoranze[16]. Le regioni a statuto speciale disciplinano con norme di attuazione dei propri statuti l’applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dalla legge. Sono comunque fatte salve le norme di tutela già presenti nei rispettivi ordinamenti regionali (art. 18, comma 1).

 

Benché, quindi, i commi 1 e 2 dell’art. 11 rechino una previsione analoga a quella recata dai commi 1 e 4-bis dell’art. 2 del D.lgs. n. 592 del 1993, sarebbe opportuno esplicitare meglio il raccordo fra la possibilità di usare il ladino quale lingua di insegnamento, indicata dal comma 1 dell’art. 11, e la prescrizione recata dal comma 2 limitatamente alla scuola dell’infanzia, eventualmente inserendo nel comma 1 l’inciso “fatto salvo quanto previsto dal comma 2”.

Occorrerebbe, inoltre, chiarire se con l’espressione “scuole pubbliche” si intenda fare riferimento alle scuole statali (e non anche a quelle paritarie).

 

Con riguardoa tale ultimo aspetto, si ricorda, infatti, che la L. n. 62 del 2000 stabilisce che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Le scuole private e degli enti locali – a domanda, e a condizione che sussistano determinati requisiti – sono riconosciute come scuole paritarie ed abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale.

 

Sempre il comma 2 dispone che nelle scuole pubbliche dell’infanzia i programmi educativi comprendono anche argomenti relativi alle tradizioni, alla lingua e alla cultura locali.

La stessa previsione, con l’aggiunta della storia locale, è recata dal comma 3 con riferimento agli istituti di istruzione obbligatoria, nei quali si dispone che gli insegnamenti in questione sono compresi nell’orario curricolare obbligatorio determinato dalle scuole nell’esercizio della autonomia didattica e organizzativa di cui all’art. 21, commi 8 e 9, della L. n. 59 del 1997[17] (che, si ricorda, sulla base dell’art. 8 del medesimo DPR 275/1999 e di successive note ministeriali[18], è pari al 20%).

Si evidenzia, preliminarmente, che sembrerebbe più appropriato fare riferimento agli “istituti nei quali si impartisce l’istruzione obbligatoria”.

 

Sull’argomento, si ricorda che l’art. 1, comma 622, della L. finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) ha disposto l’innalzamento a 10 anni, coincidenti con i 16 anni di età, dell’obbligo di istruzione, a decorrere dall’anno scolastico 2007-2008. L'adempimento dell'obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore.

 

Per quanto concerne i curricoli scolastici, si ricorda che l’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. n. 133/2008), nel prevedere l’adozione di regolamenti di delegificazione per la revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, ha incluso tra le finalità di questi ultimi la ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuole, anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari.

Per il primo ciclo è, quindi, intervenuto il DPR 89/2009, il cui art. 1, c. 3, ha disposto che, in sede di prima attuazione, e comunque per un periodo non superiore a tre anni scolastici decorrenti dall'a.s. 2009-2010 (quindi, al massimo fino all’a.s. 2011-2012), si applicano le Indicazioni nazionali di cui agli allegati da A a D del d.lgs. 59/2004[19], come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo di cui al DM 31 luglio 2007[20]. Il c. 4 ha disposto che nel corso del triennio scolastico 2009/2010-2011/2012, l'eventuale revisione delle Indicazioni nazionali, da adottarsi mediante regolamento ai sensi dell'art. 17, c. 3, della legge 400/1988, è effettuata sulla base degli esiti di apposito monitoraggio sulle attività poste in essere dalle istituzioni scolastiche, affidato all’ANSAS e all’INVALSI.

Per quanto concerne la scuola secondaria superiore, i nuovi curricoli relativi a istituti professionali, istituti tecnici e licei sono stati adottati con DPR 87, 88 e 89 del 2010. In particolare, per i licei è stata affidata a decreti ministeriali la determinazione delle indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi nei piani degli studi[21].

I regolamenti hanno confermato, in linea di massima, le indicazioni vigenti circa la quota nazionale obbligatoria e la quota riservata alle istituzioni scolastiche (20% dei curricoli).

 

In relazione a quanto sopra esposto, si è, dunque, in presenza del ricorso allo strumento legislativo in un ambito di intervento per il quale è attualmente previsto il ricorso a fonti di natura secondaria.

 

Sempre il comma 3 dispone che gli istituti nei quali si impartisce l’istruzione obbligatoria stabiliscono tempi e metodologie dell’insegnamento, criteri di valutazione degli alunni e modalità di impiego dei docenti (sul punto, si veda infra).

 

Sull’argomento, si ricorda che le norme vigenti per la valutazione degli alunni sono state coordinate con il DPR 122 del 2009, il cui art. 12 dispone che sono fatte salve le competenze attribuite in materia alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

 

Disposizioni specifiche, rispettivamente per la scuola secondaria di primo grado e per la scuola secondaria di secondo grado, sono recate dai commi 4 e 5.

 

Il comma 4 stabilisce chenelle scuole secondarie di I grado della provincia di Belluno frequentate da alunni provenienti dai territori di cui all’art. 4, comma 1, possono essere istituiti corsi opzionali di lingua ladina anche in deroga al numero minimo di alunni.

 

Per quanto concerne i limiti numerici per la costituzione delle classi, l’art. 11 del DPR n. 81 del 2009 ha disposto che le classi prime delle scuole secondarie di I grado sono costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28. Si costituisce un numero di classi seconde e terze pari a quello delle prime e seconde di provenienza, se il numero medio di alunni per classe è almeno pari a 20 unità. In caso contrario, si procede alla ricomposizione delle classi. Possono essere costituite classi, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni inferiore ai valori minimi sopra indicati, comunque non al di sotto di 10, nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei comuni montani, nelle piccole isole, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche.

Si ricorda, peraltro, che l’art. 4 del DPR 275 del 1999 dispone che nell’esercizio dell’autonomia didattica le scuole regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle attività nel modo più adeguato al tipo di studi, adottando tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune, ivi compresa l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti da diverse classi o da diversi anni di corso.

 

Il comma 5 dispone che gli alunni degli istituti di istruzione secondaria di II grado ed artistica dei territori di cui all’art. 4, comma 1, che hanno conseguito il diploma di istruzione secondaria di primo grado in scuole diverse situate al di fuori degli stessi territori sono esonerati, a richiesta, dall’insegnamento della lingua e della cultura ladina.

 

Disposizioni analoghe sono recate dall’art. 2, comma 2, del D.lgs. n. 592 del 1993.

 

Si ricorda che l’impianto del II ciclo, quale derivante dal D.L. 7/2007, è articolato nel sistema dei licei e degli istituti tecnici e professionali. In particolare, fra le sei tipologie liceali (DPR 89/2010) una è costituita dal liceo artistico.

 

E’ pertanto sufficiente il riferimento agli istituti di istruzione secondaria di II grado.

 

Il comma 6 concerne le procedure di assunzione, assegnazione e mobilità del personale direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado situate nei territori individuati dall’art. 4, comma 1.

In tale locuzione sono, pertanto, comprese anche le scuole dell’infanzia, alle quali, peraltro, in analogia con il comma 4-bis dell’art. 2 del D.lgs. n. 592 del 1993, il comma 2 dell’art. 11 dedica apposito passaggio, in termini sostanzialmente analoghi a quelli del comma 6. Sembrerebbe, dunque, opportuno riportare ad unità la trattazione dell’argomento.

In particolare, si prevede che i posti vacanti e disponibili nell’ambito delle procedure di assunzione a tempo indeterminato e determinato, dei trasferimenti, delle utilizzazioni e dei passaggi di cattedra e di ruolo sono riservati e attribuiti con precedenza assoluta a coloro che, in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa vigente, dimostrano la conoscenza della lingua e della cultura ladine. Tale competenza è accertata da un’apposita commissione, nominata dal Comitato istituzionale paritetico di cui all’art. 3, sentito il sovrintendente scolastico, di cui fa parte almeno un insegnante di lingua ladina in servizio nelle stesse scuole.

 

Come già osservato con riferimento all’articolo 8, le disposizioni che prevedono un titolo di precedenza assoluta nelle graduatorie dei pubblici concorsi, così come nelle procedure di trasferimento, devono essere valutate alla luce del bilanciamento tra il principio di tutela delle minoranze linguistiche, riconosciuto dall’articolo 6 Cost., ed il principio di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici, riconosciuto dagli articoli 3 e 51, primo comma, Cost.

 

Il comma 7 stabilisce che, qualora applicando le norme di cui al comma precedente non vengano coperti tutti i posti, si procede con incarichi a tempo determinato o con assegnazioni provvisorie.

 

Il contenuto dei comma 6 e 7 della pdl è analogo a quello all’art. 2, commi 3 e 4, del D.lgs. n. 592 del 1993.

Si ricorda che, per le assunzioni a tempo indeterminato nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, la normativa vigente – art. 399 del D.lgs. n. 297 del 1994, come modificato, da ultimo dall’art. 6 del D.L. n. 4 del 2006 – prevede che l’accesso ai ruoliabbia luogo, per il 50 per cento dei posti mediante concorsi per titoli ed esami (disciplinati dall’art. 400 del D.lgs.) e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti, di cui all’art. 401 del D.lgs., ora trasformate in graduatorie ad esaurimento dall’art. 1, comma 605, lett. c), della legge finanziaria per il 2007.

Molto sinteticamente si segnala, inoltre, che le procedure di  mobilità, disciplinate in parte nell’ambito della contrattazione collettiva integrativa nazionale, sono regolate annualmente tramite ordinanza ministeriale[22] e vengono espletate sulla base di istanze degli interessati corredate dalla documentazione attestante il possesso dei titoli per l'attribuzione dei punteggi previsti dalle tabelle di valutazione; anche le assegnazioni vengono disposte, in linea di massima, previa formulazione di una graduatoria dei richiedenti[23] formulata in relazione a titoli scientifici e di servizio.

 

Il comma 8 prevede che le finalità di tutela della lingua e della cultura ladine sono assicurate dalla regione Veneto e dalla provincia di Belluno anche nell’ambito dei corsi di formazione professionale di durata pluriennale, tenendo conto delle caratteristiche formative e didattiche dei corsi medesimi.

La disposizione è analoga al comma 5 dell’art. 2 del d.lgs. n. 592 del 1993.

 

Potrebbe essere opportuno esplicitare se il riferimento sia ai corsi realizzati dalle regioni nell’ambito delle attività di formazione professionale, in attuazione della L. n. 845 del 1978, ovvero, collocandosi la disposizione in un articolo che riguarda le scuole, ai percorsi di istruzione e formazione professionale che rappresentano, unitamente al sistema dell’istruzione secondaria superiore, una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione.

 

 

 


 

Art. 12
(Organi per l'amministrazione scolastica)

1. Per la trattazione degli affari riguardanti l'istruzione in lingua ladina, presso l'ufficio scolastico regionale del Veneto è istituito uno speciale ufficio diretto da un dirigente regionale nominato dal Ministro della pubblica istruzione tra il personale dirigenziale dei ruoli dell'amministrazione scolastica centrale e periferica e tra i dirigenti scolastici delle scuole con lingua di insegnamento ladina. Tale ufficio provvede a gestire i ruoli del personale delle scuole e degli istituti con lingua di insegnamento ladina.

2. Al personale dell'ufficio di cui al comma 1 è richiesta la piena conoscenza della lingua ladina.

3. Al fine di soddisfare le esigenze di autonomia dell'istruzione in lingua ladina è istituita la commissione scolastica regionale per l'istruzione in lingua ladina, di seguito denominata «commissione», presieduta dal dirigente regionale di cui al comma 1. La composizione della commissione, le modalità di nomina e il suo funzionamento sono disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Comitato, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

4. Il Ministro della pubblica istruzione, sentita la Commissione, fissa con proprio decreto, per le attività curricolari di cui al comma 1, gli obiettivi generali e specifici del processo di apprendimento e i criteri relativi alla qualità del servizio, definendo i requisiti per la nomina degli insegnanti.

5. Nei comuni di cui all'articolo 4, comma 1, è prevista l'istituzione, sentito il Comitato e secondo le modalità operative di cui al comma 3 dell'articolo 11, di scuole statali bilingui o con sezioni di esse, con insegnamento nelle lingue italiana e ladina. Le misure da adottare per il funzionamento di tali scuole sono predisposte sentita la commissione.

6. Le iniziative previste dall'articolo 11, comma 3, della presente legge, sono realizzate dalle istituzioni scolastiche autonome, avvalendosi delle risorse umane a disposizione, della dotazione finanziaria attribuita ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché delle risorse aggiuntive reperibili con convenzioni, prevedendo tra le priorità stabilite dal medesimo comma 5 quelle di cui alla presente legge.

 

 

L’art. 12 istituisce presso l’amministrazione periferica del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca due strutture preposte all’attuazione delle norme riguardanti l’istruzione in lingua ladina; si tratta di un ufficio speciale presso l'ufficio scolastico regionale del Veneto e della commissione scolastica regionale per l'istruzione in lingua ladina.

 

L’ufficio speciale gestisce i ruoli del personale delle scuole e degli istituti con lingua di insegnamento ladina; esso si avvale di personale pienamente a conoscenza della lingua ladina ed è diretto da un dirigente regionale di nomina ministeriale scelto tra il personale dirigenziale dei ruoli dell'amministrazione scolastica centrale e periferica, ovvero tra i dirigenti scolastici delle scuole con lingua di insegnamento ladina (commi 1 e 2).

La commissione, presieduta dal dirigente regionale dell’ufficio speciale, è finalizzata ad assicurarel’autonomia dell’istruzione in lingua ladina”; la disciplina della composizione dell’organismo, delle modalità di nomina dei membri e di quelle di funzionamento è affidata ad un DPCM,da emanare entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Comitatoistituzionale paritetico istituito dall’art. 3 (comma 3).

 

Con riguardo all’istituzione ed alle competenze delle due strutture, si ricorda che l’organizzazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca è definita dal DPR 17/2009[24]. Ai sensi di questo, l’amministrazione centrale è articolata in tre dipartimenti; l’amministrazione periferica in 18 uffici scolastici regionali, situati in ciascun capoluogo di regione e costituenti autonomi centri di responsabilità amministrativa.

Ai sensi dell’art. 8 del citato DPR, a tali uffici - di livello dirigenziale generale - sono assegnate le funzioni di governo complessivo del sistema scolastico della regione, fatte salve le competenze riconosciute alle istituzioni scolastiche autonome. Essi si articolano per funzioni e, sul territorio, in uffici scolastici provinciali ai quali è preposto un dirigente di livello dirigenziale non generale. Le sedi provinciali operano come centri di erogazione di servizi amministrativi e svolgono, per quanto qui interessa, le funzioni relative alla assistenza, alla consulenza e al supporto agli istituti scolastici autonomi per le procedure amministrative e per la progettazione e innovazione dell’offerta formativa; provvedono inoltre alla gestione delle graduatorie e alla formulazione di proposte al direttore regionale ai fini dell'assegnazione delle risorse umane ai singoli istituti.

L’art. 8 del DPR 17/2009 determina, inoltre, l’articolazione interna degli uffici scolastici regionali; la struttura preposta al Veneto si articola in n. 13 uffici dirigenziali non generali e in n. 19 posizioni dirigenziali non generali per l'espletamento delle funzioni tecnico-ispettive (articolo 8, comma 7, lett. t) )[25].

 

Si interviene, dunque, con legge nell’ambito relativo alla organizzazione e alla disciplina degli uffici dei Ministeri che l’art. 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988, ha affidato a regolamenti emanati con DPR. Da un punto di vista formale, inoltre, attualmente, è necessario fare riferimento al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

 

Con decreto del Ministro - per la cui emanazione non è indicato un termine - , previo parere della commissione, sono indicati, per le attività curriculari, gli obiettivi generali e specifici del processo di apprendimento e i criteri relativi alla qualità del servizio, nonchéi requisiti per la nomina degli insegnanti (comma 4).

 

Sembrerebbe opportuno chiarire il passaggio relativo ai requisiti per la nomina degli insegnanti, anche in considerazione del fatto che l’art. 11, comma 6, fa riferimento al “possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente”.

Sembrerebbe, altresì, opportuno collocare il comma 4 nell’ambito dell’art. 11.

 

Ai sensi del comma 5, nei comuni della provincia di Belluno rientranti nell’ambito applicativo della legge vengono istituite, sentito il Comitato paritetico, scuole statali bilingui o con sezioni bilingui; esse operano secondo i principi di autonomia organizzativa e didattica indicati dall’art. 21 del D.lgs. 59/1997 e già richiamati dall’art. 11, comma 3, della pdl.

Si dispone, inoltre, che le misure per il funzionamento di tali scuole sono predisposte previo parere della commissione.

 

Il comma 6 dispone la neutralità per la finanza pubblica delle misure indicate dall’art. 11; infatti, precisa che l’insegnamento della lingua, della storia e delle tradizioni ladine negli istituti in cui si impartisce l’istruzione obbligatoria viene espletato a valere sulle risorse assegnate alle istituzioni scolastiche autonome ai sensi dell’art. 21, comma 5, della legge 59/1997, nonché su risorse aggiuntive reperite attraverso convenzioni.

 

La disposizione è analoga a quella recata dall’art. 4, comma 4, della L. 482 del 1999.

E’ utile ricordare che l’art. 21, comma 5, della L. 59/1997 prevede che la dotazione finanziaria delle istituzioni scolastiche autonome è costituita dall'assegnazione dello Stato per il funzionamento amministrativo e didattico, e si suddivide in assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa. Tale dotazione è attribuita senza altro vincolo di destinazione che quello dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola. La previsione richiamata ne comporta, tra l’altro, l'utilizzo sia per spese in conto capitale, che di parte corrente, con possibilità di variare le destinazioni in corso d'anno.

 

Alla luce della ricognizione normativa, si valuti l’effettiva utilità della locuzione “prevedendo tra le priorità stabilite dal medesimo comma 5 quelle di cui alla presente legge”.

 

 

 


Art. 13
(Istituto regionale di ricerca educativa)

1. In analogia a quanto previsto per la regione autonoma del Friuli Venezia Giulia dall'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 190, è istituito un apposito ufficio dell'istituto regionale di ricerca educativa per il Veneto con competenza per le scuole con lingua di insegnamento ladina. La composizione dell'ufficio e il suo funzionamento sono disciplinati ai sensi del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 190 del 2001, sentita la commissione.

 

 

L’articolo 13 dispone la costituzione, nell’ambito dell’istituto regionale di ricerca educativa per il Veneto (I.R.R.E.), di un apposito ufficio con competenza per le scuole con lingua di insegnamento ladina. Ciò, in analogia con l’ufficio con competenza per le scuole con lingua di insegnamento slovena, la cui costituzione nell’ambito dell'I.R.R.E. del Friuli Giulia è stata prevista dall’art. 13 del DPR 190 del 2001[26]. La composizione e le modalità di funzionamento dell’ufficio sono disciplinati ai sensi del citato DPR 190 del 2001, sentita la Commissione di cui all’art. 11, comma 6, del progetto di legge.

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 1, c. 610 e 611, della L. finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), nell’ambito del processo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, allo scopo di sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche e i loro processi di innovazione e ricerca educativa, nonché per favorirne l’interazione con il territorio, ha istituito l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ANSAS). In base alla legge istitutiva, l’Agenzia, con sede a Firenze ed articolazioni periferiche presso gli uffici scolastici regionali, subentra nelle funzioni di aggiornamento, ricerca e documentazione espletati dagli Istituti regionali di ricerca educativa (IRRE) e dall’Istituto nazionale di documentazione e ricerca educativa (INDIRE), contestualmente soppressi[27]. L’organizzazione dell’Agenzia è stata demandata ad un regolamento di delegificazione, il cui schema (Att. 326) è stato presentato alle Camere, per il parere di competenza, il 14 gennaio 2011. L’art. 15 dispone che, a decorrere dall’entrata in vigore del regolamento di organizzazione e funzionamento e del regolamento di amministrazione, finanza e contabilità dell’ANSAS sono abrogati i regolamenti di organizzazione dell'INDIRE e degli IRRE (D.P.R. 415/2000 e 190/2001)[28].

Per completezza si ricorda, peraltro, che l’art. 2, comma 4-noviesdecies, del D.L. n. 225 del 2010[29], introdotto durante l’esame parlamentare, ha previsto l’intervento di un regolamento di delegificazione che individua il sistema nazionale di valutazione, definendone l’articolazione. In particolare, di tale sistema farà parte l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), soppresso, come si è detto, dalla legge finanziaria 2007[30]. Rimane ferma, peraltro, la soppressione degli IRRE.

 

 


 

Art. 14
(Concessionari di pubblici servizi)

1. Gli enti e le società comunque denominati e strutturati, che hanno la sede, proprie strutture o dipendenze nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, e che svolgono servizi pubblici che al 1o gennaio 1993 erano esercitati da amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, assicurano la precedenza assoluta per l'assegnazione di sede o per i trasferimenti presso le strutture o le dipendenze ubicate nei medesimi territori a coloro che, in possesso dei previsti requisiti anche professionali, ne hanno fatto specifica richiesta e che hanno dimostrato la conoscenza della lingua ladina nei modi prescritti dall'articolo 8, commi 2 e 3.

2. Gli enti e le società di cui al comma 1 del presente articolo, in occasione delle assunzioni di personale, individuano il fabbisogno di personale delle strutture e delle dipendenze ubicate nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, non soddisfatte con le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 1. Per la copertura delle carenze così individuate i medesimi enti e società assicurano precedenza assoluta per le assunzioni, eccettuate quelle di durata non superiore a trenta giorni, non rinnovabili nell'anno, effettuate per soddisfare esigenze di carattere eccezionale debitamente motivate, a coloro che, in possesso dei previsti requisiti anche professionali, risultino iscritti presso l'ufficio di collocamento avente competenza territoriale sulle predette località ladine e ivi abbiano fatto constatare preventivamente, a propria cura, la conoscenza della lingua ladina accertata nei modi prescritti dall'articolo 8, commi 2 e 3.

 

 

L'articolo 14, al comma 1, prevede, ove possibile, che i gestori di servizi pubblici con sede, strutture o dipendenze nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, che prima del 1993 erano affidati allo Stato, provvedano ad assegnare o trasferire nelle sedi delle località ladine, con precedenza assoluta, personale che a richiesta abbia dimostrato la conoscenza del ladino, prevedendo anche che in caso di eventuali vacanze o in occasione di assunzioni sia assicurata la precedenza assoluta a coloro che dimostrino di conoscere la lingua ladina.

 

Il riconoscimento di una siffatta posizione assoluta di vantaggio all’interno di un testo legislativo è presente anche nell’art. 3-bis del già menzionato D.Lgs. n. 592/1993, con riferimento alla disciplina dei concessionari di pubblici servizi, il cui testo è in buona sostanza riprodotto in questa sede.

 

Per la copertura delle carenze i medesimi enti e società assicurano precedenza assoluta per le assunzioni, eccettuate quelle di durata non superiore a trenta giorni, non rinnovabili nell'anno, effettuate per soddisfare esigenze di carattere eccezionale debitamente motivate, a coloro che, in possesso dei previsti requisiti anche professionali, risultino iscritti presso l'ufficio di collocamento avente competenza territoriale sulle predette località ladine e che abbiano fatto constatare preventivamente, a propria cura, la conoscenza della lingua ladina accertata nei modi prescritti dall'articolo 8, commi 2 e 3 (comma 2).

 

Anche le disposizioni dell’articolo 14 devono essere valutate alla luce del bilanciamento tra il principio di tutela delle minoranze linguistiche, riconosciuto dall’articolo 6 Cost., ed il principio di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici, riconosciuto dagli articoli 3 e 51, primo comma, Cost.

 

 


 

Art. 15
(Promozione della cultura ladina a mezzo di trasmissioni televisive)

1. All'articolo 19, lettera c), della legge 14 aprile 1975, n. 103, dopo le parole: «per la provincia di Bolzano» sono aggiunte le seguenti: «e per i comuni ladini della provincia di Belluno».

2. Il Ministero delle comunicazioni, la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, anche mediante apposite convenzioni con i comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col, e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, fatte salve le funzioni di indirizzo della competente Commissione parlamentare, assicurano tutte le necessarie misure e condizioni per la tutela della popolazione ladina.

3. Per le trasmissioni e i programmi in lingua ladina sono di norma utilizzate le strutture e le attività realizzate nell'ambito delle convenzioni di cui alla legge 14 aprile 1975, n. 103, come da ultimo modificata dal comma 1 del presente articolo.

 

 

L’art. 15 prevede misure per la diffusione della cultura ladina attraverso le trasmissioni televisive della Rai, a tal fine novellando l’art. 19, primo comma, lett. c), della legge 103/1975[31].

 

L’articolo citato, nel dettare una serie di prescrizioni alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, alla lett. c) prevede l’effettuazione di trasmissioni in lingua francese per la Regione autonoma Valle d'Aosta, in lingua slovena per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in lingua ladina e tedesca per la provincia autonoma di Bolzano; ai sensi dell’art. 20 della medesima legge, la disciplina di tali trasmissioni è affidata ad apposite convenzioni tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria e la RAI[32].

Merita, peraltro, segnalare, che il D.lgs. 177/2005,che da ultimo reca indicazioni sui compiti della concessionaria, prescrive (art. 45, comma 2, lett. f)) l’effettuazione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

 

Il comma 1 dispone che le trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia di Bolzano siano effettuate anche per i comuni ladini della provincia di Belluno.

Occorre valutare se effettivamente si intenda estendere anche le trasmissioni in lingua tedesca, come letteralmente deriva dalla novella.

 

Il comma 2 dispone che il Ministero delle comunicazioni (attualmente, Ministero dello sviluppo economico) e la RAI, anche attraverso apposite convenzioni con le tre amministrazioni comunali della provincia di Belluno che ospitano tale minoranza linguistica, e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel rispetto delle competenze della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, assicurano misure per la tutela della popolazione ladina.

Il comma 3 precisa che, per le trasmissioni in lingua ladina, sono di norma utilizzate le strutture e le attività realizzate nell'ambito delle convenzioni previste dalla legge 103/1975.

 

Sull’argomento, occorre rilevare che l’art. 12 della L. 482/1999, nel quadro della tutela delle lingue e delle culture delle minoranze[33] nelle zone di appartenenza, fa riferimento alla programmazione radiotelevisiva in lingua prevedendo che essa sia garantita nella convenzione del ministero competente con la concessionaria del servizio pubblico, nonché attraverso analoghe convenzioni stipulate tra quest’ultima e le regioni interessate, ovvero accordi tra le medesime ed emittenti locali. La tutela delle minoranze linguistiche nell'ambito del sistema delle comunicazioni di massa è di competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, fatte salve le funzioni di indirizzo della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’art. 13 della medesima legge prevede che le regioni a statuto ordinario si adeguano alle disposizioni da essa recate nelle materie di loro competenza (nel caso specifico, “ordinamento della comunicazione”, di competenza concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.).

Il Contratto nazionale tra la RAI[34], concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, e il Ministero dello sviluppo economico, per il triennio 2007-2009,approvato con DM 6 aprile 2007[35], menziona in vari articoli la tutela delle minoranze linguistiche[36]. In particolare, nell’indicare l’oggetto del contratto, l’art. 2 fa riferimento alla salvaguardia dell’identità nazionale, di quelle locali e delle minoranze linguistiche; inoltre, l’art. 11 è interamente dedicato alla definizione di iniziative per la valorizzazione delle istituzioni e delle culture locali. Vi si specifica che la Rai, nel quadro dell’unità politica, culturale e linguistica del Paese, ed in relazione alle disposizioni della L. 482/1999, valorizza e promuove, nell'ambito delle proprie trasmissioni, le culture regionali e locali, in stretta collaborazione con le Regioni, le Province Autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni, le Università e gli enti culturali, realizzando anche forme di coordinamento per una maggiore diffusione in ambito locale. A tal fine tra la concessionaria, le Regioni e le Province autonome possono essere stipulate specifiche convenzioni. Si fa quindi riferimento ad appositi servizi per le minoranze culturali e linguistiche delle regioni a statuto speciale e della provincia di Bolzano, da effettuarsi in base alle convenzioni di cui al citato art. 20 della L. 103/1975, nonché alla valorizzazione delle lingue minoritarie presenti sul territorio italiano attraverso analoghe convenzioni da stipulare con gli enti locali interessati.

Da quanto sopra esposto, potrebbe valutarsi se l’effettuazione di trasmissioni destinate alla minoranza linguistica ladina della provincia di Belluno non si possa realizzare con gli strumenti legislativi già disponibili.

Da un punto di vista formale, la rubrica dovrebbe comunque più opportunamente fare riferimento alle trasmissioni “radiofoniche e televisive”.

 

 


 

Art. 16
(Istituzioni e attività della minoranza ladina)

1. I comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/ Fodom e Colle Santa Lucia/Col provvedono al sostegno delle attività e delle iniziative culturali, artistiche, sportive, ricreative, scientifiche, educative, informative ed editoriali promosse e svolte da istituzioni e associazioni della minoranza ladina. A tale fine, i comuni citati consultano le istituzioni anche di natura associativa della minoranza linguistica ladina. Per le finalità di cui al presente comma è data priorità al funzionamento della stampa in lingua ladina e lo Stato assegna ogni anno propri contributi, che confluiscono in un apposito fondo nel bilancio dei comuni di Cortina d'Ampezzo/Anpezo, Livinallongo del Col di Lana/Fodom e Colle Santa Lucia/Col.

2. L'ammontare del fondo di cui al comma 1 del presente articolo è determinato annualmente dalla legge finanziaria ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, a decorrere dall'anno 2009.

 

 

L’articolo 16, dispone, al comma 1, che i comuni di cui all’art. 4 provvedono al sostegno delle attività e delle iniziative culturali, artistiche, sportive, ricreative, scientifiche, educative, informative ed editoriali promosse e svolte da istituzioni e associazioni della minoranza ladina, consultando, a tale scopo, le istituzioni anche di natura associativa della minoranza linguistica ladina. Per le finalità di cui al presente comma è data priorità al funzionamento della stampa in lingua ladina.

 

Si ricorda che la L.R. n. 73/1994 (Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto) prevede, all’art. 2, che per le finalità di tutela di iniziative culturali la Giunta regionale è autorizzata a concedere annualmente, contributi agli organismi di rappresentanza delle minoranze linguistiche del Veneto per la realizzazione di iniziative riguardanti: la tutela, il recupero, la conservazione e la valorizzazione di testimonianze storiche che legano le comunità al proprio territorio; lo sviluppo della ricerca storica e linguistica, la pubblicazione di studi, ricerche e documenti, l'istituzione di corsi di cultura locale, la valorizzazione della lingua e della toponomastica; la costituzione e valorizzazione di musei locali o di istituti culturali specifici; l'organizzazione di manifestazioni rivolte alla valorizzazione di usi, costumi e tradizioni proprie delle comunità.

A tale scopo, l’art. 5 della medesima legge stabilisce che la Giunta regionale, entro il 30 aprile di ogni anno, accertata la rispondenza delle domande alle suddette iniziative, approva il riparto dei contributi tra i soggetti beneficiari, sulla base della disponibilità finanziaria annuale prevista nello specifico capitolo di spesa, tenendo conto della effettiva consistenza numerica delle comunità etniche e linguistiche. L'erogazione del contributo è disposta in due soluzioni: l'80% in acconto, alla presentazione della dichiarazione di cui al comma 2; il 20% a saldo, alla presentazione della relazione attestante l'attività svolta e della rendicontazione dell'utilizzo del contributo regionale.

La concessione del contributo può essere revocata con deliberazione della Giunta regionale qualora non intervenga l'accettazione del contributo ovvero non venga presentato, nel termine prescritto, il rendiconto oppure vengano accertate irregolarità od omissioni nello stesso.

 

Per le finalità suddette, l’ultimo periodo del comma 1 prevede che lo Stato assegni ai comuni interessati, ogni anno, propri contributi.

La norma prevede che tali contributi confluiscano “in un apposito fondo nel bilancio dei comuni”.

Sul punto appare opportuna una riformulazione della disposizione al fine di precisare che il fondo in cui confluiscono i contributi statali in questione dovrebbe intendersi previamente istituito nel bilancio dello Stato ai fini della sua ripartizione e assegnazione in favore dei comuni interessati.

 

Il comma 2 rinvia alla legge finanziaria la determinazione dell’ammontare annuale del Fondo previsto dal comma 1, in particolare, prevedendone l’inserimento, a decorrere dal 2009, nella Tabella C della legge finanziaria, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, che riguarda le leggi di spesa di carattere permanente.

In merito si rileva che la legge n. 468 del 1978 risulta ormai abrogata dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante la nuova normativa di contabilità e finanza pubblica, che ha modificato la struttura della ex legge finanziaria (ora legge di stabilità).

Si rileva pertanto l’opportunità di una riformulazione del comma al fine di sostituire il riferimento alla legge n. 468/1978 con la “legge di stabilità ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196”.

Il comma andrebbe inoltre aggiornato sotto il profilo dell’arco temporale di riferimento, rimodulando l’indicazione dell’esercizio finanziario a partire dal quale si prevede l’inserimento dell’autorizzazione legislativa in esame nella nuova Tabella C della legge di stabilità.

A tal proposito si fa presente che il rinvio alla legge di stabilità per la determinazione (e la relativa copertura finanziaria) dell’ammontare annuale del fondo è possibile soltanto per gli esercizi finanziari successivi alla sua istituzione.

 

 


Art. 17
(Tutela del patrimonio storico e artistico)

1. In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la regione Veneto, la provincia di Belluno e i comuni di cui all'articolo 4, comma 1, adottano misure di tutela anche nel rispetto delle caratteristiche peculiari delle località abitate dalla minoranza linguistica ladina, sia con riferimento ai monumenti storici e artistici, sia con riferimento alle usanze tradizionali e ad altre forme di espressione della cultura della popolazione ladina, ivi compresi progetti di carattere interculturale.

2. Ai fini di cui al comma 1 gli enti interessati avviano adeguate forme di consultazione con le organizzazioni e con le altre associazioni rappresentative della minoranza linguistica ladina.

 

 

L’articolo 17, comma 1, dispone che, in attuazione dell’art. 9 della Costituzione, la regione Veneto, la provincia di Belluno e i comuni individuati all’art. 4, comma 1, adottano misure di tutela volte alla salvaguardia dei monumenti storici e artistici, nonché di alcune manifestazioni del patrimonio culturale immateriale (tradizioni ed altre espressioni dell’identità culturale), riferibili alla minoranza linguistica ladina.

Il comma 2 prevede che, a tali fini, gli enti interessati avviano forme di consultazione con le associazioni e le organizzazioni rappresentative della minoranza linguistica.

 

L’art. 9 della Costituzione prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Sotto il profilo del riparto delle competenze, l’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. ha annoverato la “tutela dei beni culturali” tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (prevedendo, altresì, la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost.), mentre l’art. 117, terzo comma, Cost. ha incluso “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali” tra le materie di legislazione concorrente, nelle quali lo Stato può emanare solo disposizioni legislative di principio, la cui attuazione è affidata alle regioni. Inoltre, l’art. 118, terzo comma, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare “forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali” tra Stato e regioni.

Con riferimento al riparto di competenze sopra delineato, occorre, peraltro, segnalare alcune sentenze costituzionali riguardanti in generale lo sviluppo della cultura (sent. nn. 478 del 2002 e 307 del 2004). A tale riguardo, la Corte ha affermato che essa corrisponde a finalità di interesse generale, “il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 Cost.), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni”.

Nella sentenza n. 9 del 2004 la Corte individuava una definizione delle funzioni di tutela e di valorizzazione: la tutela “è diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale”; la valorizzazione “è diretta, soprattutto, alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa”.

Successivamente, il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. n. 42 del 2004) ha statuito che la tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, per fini di pubblica fruizione (art. 3), mentre la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività volte a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica del patrimonio culturale, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura (art. 6).

Dopo l’adozione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la Corte, nella sentenza n. 232 del 2005, ha richiamato, ai fini del riparto di competenze, le disposizioni in esso contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3). Nelle materie in questione, quindi, la Corte ribadisce la coesistenza di competenze normative, confermata, peraltro, dall’art. 118, terzo comma, Cost.

 

Con riguardo alla tutela delle tradizioni e di altre manifestazioni dell’identità culturale, l’art. 7-bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio assoggetta alle proprie disposizioni le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, qualora siano rappresentate da testimonianze materiali.

La Convenzione Internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall’Italia con L. n. 167 del 2007[37], include ampie categorie di beni: tradizioni orali, lingue, arti dello spettacolo, consuetudini sociali, eventi rituali e festivi, conoscenze ed abilità artigiane che i gruppi e anche gli individui riconoscono come parte del loro Patrimonio culturale (art. 2, comma 1, della Convenzione). Per “salvaguardia” (artt. 2, comma 3, e 13 della Convenzione) si intendono le iniziative atte a favorire la trasmissione del patrimonio culturale immateriale fra le generazioni. In particolare: l’identificazione, la documentazione, la preservazione, la protezione, la promozione e la valorizzazione. In tale ambito è peraltro previsto (art. 11) che ciascuno Stato individui e definisca i vari elementi del patrimonio culturale immateriale presenti sul proprio territorio[38].

 


 

Art. 18
(Tutela degli interessi sociali, economici e ambientali)

1. Nei territori di cui all'articolo 4, comma 1, l'assetto amministrativo, l'uso del territorio, i piani di programmazione economica, sociale e urbanistica e la loro attuazione, anche in caso di espropri, devono tendere alla salvaguardia delle caratteristiche storico-culturali dei medesimi territori.

2. Ai fini di cui al comma 1 e d'intesa con il Comitato, negli organi consultivi competenti deve essere garantita un'adeguata rappresentanza della minoranza linguistica ladina.

 

 

L’articolo 18, al comma 1, stabilisce che nei territori di cui all'art. 4, co. 1, l'assetto amministrativo, l'uso del territorio, i piani di programmazione economica, sociale e urbanistica e la loro attuazione, anche in caso di espropri, devono tendere alla salvaguardia delle caratteristiche storico-culturali dei medesimi.

Ai sensi del comma 2, si prevede che negli organi consultivi competenti deve essere garantita un'adeguata rappresentanza della minoranza linguistica ladina.

 

 


 

Art. 19
(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, pari a 10 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2009, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

L’articolo reca la norma di copertura degli oneri finanziari derivanti dalle misure contenute nella proposta di legge in esame, quantificati  in 10 milioni di euro annui.

Si osserva che la norma non precisa l’anno di decorrenza di tali oneri che comunque sembrerebbero di carattere permanente.

 

L’articolo prevede che alla copertura del suddetto onere si provveda mediante l’utilizzo del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, sullo stato di previsione del Ministero dell'economia, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 

Si osserva che la copertura finanziaria andrebbe aggiornata facendo riferimento al bilancio triennale 2011-2013, attualmente vigente, e alla nuova classificazione per missioni e programmi.

Appare inoltre opportuna una sua riformulazione in considerazione del fatto che l’accantonamento relativo al MEF, secondo quanto esposto nella legge n. 220/2010 (legge finanziaria per il 2011), non presenterebbe le necessarie disponibilità per il 2011, nell’ipotesi in cui l’onere decorresse dall’esercizio finanziario in corso.

Si consideri, infine, l’esigenza di coordinare la norma di copertura alla luce della nuova disciplina contabile, ed in particolare dell’articolo 17, commi 1 e 12 della legge 196/2009, il quale prevede, nell’ipotesi di un’autorizzazione legislativa recante una previsione di spesa, la necessità di una specifica clausola di salvaguardia finanziaria.

 

 


 

Art. 20
(Disposizioni transitorie e finali)

1. Fermo restando quanto disposto dalla presente legge, rimangono comunque in vigore le misure già adottate in materia di tutela della minoranza linguistica ladina.

2. Nessuna disposizione della presente legge può essere interpretata in modo tale da assicurare un livello di protezione dei diritti della minoranza linguistica ladina inferiore a quello già in godimento in base alla normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Eventuali disposizioni più favorevoli rispetto a quelle previste dalla presente legge, derivanti dalla legislazione nazionale di tutela delle minoranze linguistiche si applicano, sentito il Comitato, anche in favore della minoranza linguistica ladina.

 

 

L’articolo 20 stabilisce, al comma 1, che, fermo restando quanto disposto dalla presente legge, rimangono comunque in vigore le misure già adottate in materia di tutela della minoranza linguistica ladina.

 

A tal proposito si ricorda che le principali disposizioni in favore della minoranza ladina erano contenute nella L.R. 23 dicembre 1983 n. 60 (Provvidenze a favore delle iniziative per la valorizzazione della cultura ladina) abrogata dalla L.R. 23 dicembre 1994 n. 73 (Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto) più volte citata in precedenza.

 

Il comma 2 prescrive, altresì, che nessuna disposizione della presente legge può essere interpretata in modo tale da assicurare un livello di protezione dei diritti della minoranza linguistica ladina inferiore a quello già in godimento in base alla normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 3 dispone che eventuali disposizioni più favorevoli rispetto a quelle previste dalla presente legge, derivanti dalla legislazione nazionale di tutela delle minoranze linguistiche si applicano, sentito il Comitato, anche in favore della minoranza linguistica ladina.

 

Non appare chiaro come, anche alla luce dei principi sulle fonti del diritto e del principio della certezza del diritto, l’estensione della normativa – presumibilmente sia vigente che futura – alla minoranza ladina possa essere subordinata ad una parere del Comitato.

Dal punto di vista della formulazione tecnica, occorre altresì specificare che si tratta del Comitato «di cui all’articolo 3.

 


Normativa di riferimento

 


Normativa nazionale

 


 

Costituzione della Repubblica
(artt. 2, 3 e 6)

 

 

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

 

 

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione; di opinioni politiche , di condizioni personali e sociali.

 

E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

 

Art. 6

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche

 

 

 


 

Legge 15 dicembre 1999, n. 482.
Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 20 dicembre 1999, n. 297.

(2)  Per l'attuazione della presente legge vedi il D.P.R. 2 maggio 2001, n. 345.

 

 

Art. 1

1. La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.

 

2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.

 

 

Art. 2

1. In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

 

 

Art. 3

1. La delimitazione dell'ambito territoriale e sub-comunale in cui si applicano le disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla presente legge è adottata dal consiglio provinciale, sentiti i comuni interessati, su richiesta di almeno il quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni.

 

2. Nel caso in cui non sussista alcuna delle due condizioni di cui al comma 1 e qualora sul territorio comunale insista comunque una minoranza linguistica ricompresa nell'elenco di cui all'articolo 2, il procedimento inizia qualora si pronunci favorevolmente la popolazione residente, attraverso apposita consultazione promossa dai soggetti aventi titolo e con le modalità previste dai rispettivi statuti e regolamenti comunali.

 

3. Quando le minoranze linguistiche di cui all'articolo 2 si trovano distribuite su territori provinciali o regionali diversi, esse possono costituire organismi di coordinamento e di proposta, che gli enti locali interessati hanno facoltà di riconoscere.

 

Art. 4

1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.

 

2. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, in conformità a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della presente legge, nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica di cui all'articolo 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59, nei limiti dell'orario curriculare complessivo definito a livello nazionale e nel rispetto dei complessivi obblighi di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, al fine di assicurare l'apprendimento della lingua della minoranza, deliberano, anche sulla base delle richieste dei genitori degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati.

 

3. Le medesime istituzioni scolastiche di cui al comma 2, ai sensi dell'articolo 21, comma 10, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sia singolarmente sia in forma associata, possono realizzare ampliamenti dell'offerta formativa in favore degli adulti. Nell'esercizio dell'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di cui al citato articolo 21, comma 10, le istituzioni scolastiche adottano, anche attraverso forme associate, iniziative nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 della presente legge e perseguono attività di formazione e aggiornamento degli insegnanti addetti alle medesime discipline. A tale scopo le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni ai sensi dell'articolo 21, comma 12, della citata legge n. 59 del 1997.

 

4. Le iniziative previste dai commi 2 e 3 sono realizzate dalle medesime istituzioni scolastiche avvalendosi delle risorse umane a disposizione, della dotazione finanziaria attribuita ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, nonché delle risorse aggiuntive reperibili con convenzioni, prevedendo tra le priorità stabilite dal medesimo comma 5 quelle di cui alla presente legge. Nella ripartizione delle risorse di cui al citato comma 5 dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, si tiene conto delle priorità aggiuntive di cui al presente comma.

 

5. Al momento della preiscrizione i genitori comunicano alla istituzione scolastica interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell'insegnamento della lingua della minoranza.

 

 

Art. 5

1. Il Ministro della pubblica istruzione, con propri decreti, indica i criteri generali per l'attuazione delle misure contenute nell'articolo 4 e può promuovere e realizzare progetti nazionali e locali nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 della presente legge. Per la realizzazione dei progetti è autorizzata la spesa di lire 2 miliardi annue a decorrere dall'anno 1999.

 

2. Gli schemi di decreto di cui al comma 1 sono trasmessi al Parlamento per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti, che possono esprimersi entro sessanta giorni.

 

 

Art. 6

1. Ai sensi degli articoli 6 e 8 della legge 19 novembre 1990, n. 341, le università delle regioni interessate, nell'ambito della loro autonomia e degli ordinari stanziamenti di bilancio, assumono ogni iniziativa, ivi compresa l'istituzione di corsi di lingua e cultura delle lingue di cui all'articolo 2, finalizzata ad agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative a sostegno delle finalità della presente legge.

 

 

Art. 7

1. Nei comuni di cui all'articolo 3, i membri dei consigli comunali e degli altri organi a struttura collegiale dell'amministrazione possono usare, nell'attività degli organismi medesimi, la lingua ammessa a tutela.

 

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica altresì ai consiglieri delle comunità montane, delle province e delle regioni, i cui territori ricomprendano comuni nei quali è riconosciuta la lingua ammessa a tutela, che complessivamente costituiscano almeno il 15 per cento della popolazione interessata.

 

3. Qualora uno o più componenti degli organi collegiali di cui ai commi 1 e 2 dichiarino di non conoscere la lingua ammessa a tutela, deve essere garantita una immediata traduzione in lingua italiana.

 

4. Qualora gli atti destinati ad uso pubblico siano redatti nelle due lingue, producono effetti giuridici solo gli atti e le deliberazioni redatti in lingua italiana.

 

 

Art. 8

1. Nei comuni di cui all'articolo 3, il consiglio comunale può provvedere, con oneri a carico del bilancio del comune stesso, in mancanza di altre risorse disponibili a questo fine, alla pubblicazione nella lingua ammessa a tutela di atti ufficiali dello Stato, delle regioni e degli enti locali nonché di enti pubblici non territoriali, fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in lingua italiana.

 

 

Art. 9

1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, nei comuni di cui all'articolo 3 è consentito, negli uffici delle amministrazioni pubbliche, l'uso orale e scritto della lingua ammessa a tutela. Dall'applicazione del presente comma sono escluse le forze armate e le forze di polizia dello Stato.

 

2. Per rendere effettivo l'esercizio delle facoltà di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni provvedono, anche attraverso convenzioni con altri enti, a garantire la presenza di personale che sia in grado di rispondere alle richieste del pubblico usando la lingua ammessa a tutela. A tal fine è istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali, un Fondo nazionale per la tutela delle minoranze linguistiche con una dotazione finanziaria annua di lire 9.800.000.000 a decorrere dal 1999. Tali risorse, da considerare quale limite massimo di spesa, sono ripartite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentite le amministrazioni interessate (3).

 

3. Nei procedimenti davanti al giudice di pace è consentito l'uso della lingua ammessa a tutela. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 109 del codice di procedura penale.

 

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(3)  Per i criteri di ripartizione dei fondi di cui al presente comma vedi, per l'esercizio finanziario 2001, il D.P.C.M. 10 dicembre 2001, per l'esercizio finanziario 2002, il D.P.C.M. 23 maggio 2002, per il triennio 2005-2007, il D.P.C.M. 22 dicembre 2004 e, per il triennio 2008-2010, il D.P.C.M. 4 ottobre 2007. Alla ripartizione tra le regioni dei suddetti fondi si è provveduto, per l'esercizio 2001, con D.M. 13 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 20 marzo 2003, n. 66); per l'esercizio 2002, con D.M. 19 novembre 2003 (Gazz, Uff. 31 dicembre 2003, n. 302); per l'esercizio 2003, con D.M. 12 novembre 2004 (Gazz. Uff. 14 dicembre 2004, n. 292); per l'esercizio 2004, con D.M. 8 novembre 2005 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2005, n. 287), rettificato con Comunicato 23 febbraio 2006 (Gazz. Uff. 23 febbraio 2006, n. 45); per l'esercizio 2005, con D.M. 17 novembre 2006 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2006, n. 297); per l'esercizio 2006, con D.P.C.M. 4 ottobre 2007 (Gazz. Uff. 6 novembre 2007, n. 258), modificato con Comunicato 30 novembre 2007 (Gazz. Uff. 30 novembre 2007, n. 279); per l'esercizio 2007, con D.P.C.M. 6 marzo 2008 (Gazz. Uff. 13 giugno 2008, n. 137), con D.M. 24 novembre 2008 (Gazz. Uff. 27 gennaio 2009, n. 21) e con D.P.C.M. 7 luglio 2010 (Gazz. Uff. 5 ottobre 2010, n. 233).

 

Art. 10

1. Nei comuni di cui all'articolo 3, in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.

 

 

Art. 11

1. I cittadini che fanno parte di una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 e residenti nei comuni di cui al medesimo articolo 3, i cognomi o i nomi dei quali siano stati modificati prima della data di entrata in vigore della presente legge o ai quali sia stato impedito in passato di apporre il nome di battesimo nella lingua della minoranza, hanno diritto di ottenere, sulla base di adeguata documentazione, il ripristino degli stessi in forma originaria. Il ripristino del cognome ha effetto anche per i discendenti degli interessati che non siano maggiorenni o che, se maggiorenni, abbiano prestato il loro consenso.

 

2. Nei casi di cui al comma 1 la domanda deve indicare il nome o il cognome che si intende assumere ed è presentata al sindaco del comune di residenza del richiedente, il quale provvede d'ufficio a trasmetterla al prefetto, corredandola di un estratto dell'atto di nascita. Il prefetto, qualora ricorrano i presupposti previsti dal comma 1, emana il decreto di ripristino del nome o del cognome. Per i membri della stessa famiglia il prefetto può provvedere con un unico decreto. Nel caso di reiezione della domanda, il relativo provvedimento può essere impugnato, entro trenta giorni dalla comunicazione, con ricorso al Ministro di grazia e giustizia, che decide previo parere del Consiglio di Stato. Il procedimento è esente da spese e deve essere concluso entro novanta giorni dalla richiesta.

 

3. Gli uffici dello stato civile dei comuni interessati provvedono alle annotazioni conseguenti all'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo. Tutti gli altri registri, tutti gli elenchi e ruoli nominativi sono rettificati d'ufficio dal comune e dalle altre amministrazioni competenti.

 

Art. 12

1. Nella convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e nel conseguente contratto di servizio sono assicurate condizioni per la tutela delle minoranze linguistiche nelle zone di appartenenza.

 

2. Le regioni interessate possono altresì stipulare apposite convenzioni con la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell'ambito delle programmazioni radiofoniche e televisive regionali della medesima società concessionaria; per le stesse finalità le regioni possono stipulare appositi accordi con emittenti locali.

 

3. La tutela delle minoranze linguistiche nell'ambito del sistema delle comunicazioni di massa è di competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249, fatte salve le funzioni di indirizzo della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

 

 

Art. 13

1. Le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, adeguano la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla presente legge, fatte salve le disposizioni legislative regionali vigenti che prevedano condizioni più favorevoli per le minoranze linguistiche.

 

 

Art. 14

1. Nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio le regioni e le province in cui siano presenti i gruppi linguistici di cui all'articolo 2 nonché i comuni ricompresi nelle suddette province possono determinare, in base a criteri oggettivi, provvidenze per l'editoria, per gli organi di stampa e per le emittenti radiotelevisive a carattere privato che utilizzino una delle lingue ammesse a tutela, nonché per le associazioni riconosciute e radicate nel territorio che abbiano come finalità la salvaguardia delle minoranze linguistiche.

 

 

Art. 15

1. Oltre a quanto previsto dagli articoli 5, comma 1, e 9, comma 2, le spese sostenute dagli enti locali per l'assolvimento degli obblighi derivanti dalla presente legge sono poste a carico del bilancio statale entro il limite massimo complessivo annuo di lire 8.700.000.000 a decorrere dal 1999.

 

2. L'iscrizione nei bilanci degli enti locali delle previsioni di spesa per le esigenze di cui al comma 1 è subordinata alla previa ripartizione delle risorse di cui al medesimo comma 1 tra gli enti locali interessati, da effettuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (4).

 

3. L'erogazione delle somme ripartite ai sensi del comma 2 avviene sulla base di una appropriata rendicontazione, presentata dall'ente locale competente, con indicazione dei motivi dell'intervento e delle giustificazioni circa la congruità della spesa.

 

 

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(4)  Per i criteri di ripartizione dei fondi di cui al presente comma vedi, per l'esercizio finanziario 2001, il D.P.C.M. 10 dicembre 2001, per l'esercizio finanziario 2002, il D.P.C.M. 23 maggio 2002, per il triennio 2005-2007, il D.P.C.M. 22 dicembre 2004 e, per il triennio 2008-2010, il D.P.C.M. 4 ottobre 2007. Alla ripartizione tra le regioni dei suddetti fondi si è provveduto, per l'esercizio 2001, con D.M. 13 dicembre 2002 (Gazz. Uff. 20 marzo 2003, n. 66); per l'esercizio 2002, con D.M. 19 novembre 2003 (Gazz. Uff. 31 dicembre 2003, n. 302); per l'esercizio 2003, con D.M. 12 novembre 2004 (Gazz. Uff. 14 dicembre 2004, n. 292); per l'esercizio 2004, con D.M. 8 novembre 2005 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2005, n. 287), rettificato con Comunicato 23 febbraio 2006 (Gazz. Uff. 23 febbraio 2006, n. 45); per l'esercizio 2005, con D.M. 17 novembre 2006 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2006, n. 297), per l'esercizio 2006, con D.P.C.M. 4 ottobre 2007 (Gazz. Uff. 6 novembre 2007, n. 258), modificato con Comunicato 30 novembre 2007 (Gazz. Uff. 30 novembre 2007, n. 279); per l'esercizio 2007, con D.P.C.M. 6 marzo 2008 (Gazz. Uff. 13 giugno 2008, n. 137), con D.M. 24 novembre 2008 (Gazz. Uff. 27 gennaio 2009, n. 21) e con D.P.C.M. 7 luglio 2010 (Gazz. Uff. 5 ottobre 2010, n. 233).

 

 

Art. 16

1. Le regioni e le province possono provvedere, a carico delle proprie disponibilità di bilancio, alla creazione di appositi istituti per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni considerate dalla presente legge, ovvero favoriscono la costituzione di sezioni autonome delle istituzioni culturali locali già esistenti.

 

 

Art. 17

1. Le norme regolamentari di attuazione della presente legge sono adottate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima, sentite le regioni interessate (5).

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(5)  In attuazione di quanto disposto dal presente articolo vedi il D.P.R. 2 maggio 2001, n. 345.

 

 

Art. 18

1. Nelle regioni a statuto speciale l'applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dalla presente legge è disciplinata con norme di attuazione dei rispettivi statuti. Restano ferme le norme di tutela esistenti nelle medesime regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

2. Fino all'entrata in vigore delle norme di attuazione di cui al comma 1, nelle regioni a statuto speciale il cui ordinamento non preveda norme di tutela si applicano le disposizioni di cui alla presente legge.

 

 

Art. 18-bis

1. Le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, ed al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, si applicano anche ai fini di prevenzione e di repressione dei fenomeni di intolleranza e di violenza nei confronti degli appartenenti alle minoranze linguistiche (6).

 

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(6)  Articolo aggiunto dall'art. 23, L. 23 febbraio 2001, n. 38.

 

 

Art. 19

1. La Repubblica promuove, nei modi e nelle forme che saranno di caso in caso previsti in apposite convenzioni e perseguendo condizioni di reciprocità con gli Stati esteri, lo sviluppo delle lingue e delle culture di cui all'articolo 2 diffuse all'estero, nei casi in cui i cittadini delle relative comunità abbiano mantenuto e sviluppato l'identità socio-culturale e linguistica d'origine.

 

2. Il Ministero degli affari esteri promuove le opportune intese con altri Stati, al fine di assicurare condizioni favorevoli per le comunità di lingua italiana presenti sul loro territorio e di diffondere all'estero la lingua e la cultura italiane. La Repubblica favorisce la cooperazione transfrontaliera e interregionale anche nell'ambito dei programmi dell'Unione europea.

 

3. Il Governo presenta annualmente al Parlamento una relazione in merito allo stato di attuazione degli adempimenti previsti dal presente articolo.

 

 

Art. 20

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 20.500.000.000 a decorrere dal 1999, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 1998, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a lire 18.500.000.000, l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri e, quanto a lire 2.000.000.000, l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione.

 

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


 

Normativa regionale

 


 

Regione Veneto.
L.R. 23 dicembre 1994, n. 73.
Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nel B.U. Veneto 27 dicembre 1994, n. 109.

(2) Vedi, al riguardo, la Delib.G.R. 26 giugno 2007, n. 1933.

 

 

Art. 1

Finalità.

1. In coerenza con lo spirito dell'articolo 27 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, di cui alla legge 25 ottobre 1977, n. 881 ed in attuazione dei principi dell'articolo 2 dello Statuto, la Regione riconosce nelle comunità etniche e linguistiche storicamente presenti nel Veneto, le quali aspirano ad un approfondimento delle ragioni della loro identità e allo sviluppo della loro cultura in tutte le sue manifestazioni, un segno di vitalità per la stessa civiltà veneta e uno stimolo al suo arricchimento.

 

2. A tal fine, la Regione promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle comunità di cui al comma 1 e sostiene finanziariamente le iniziative intese a garantire la conservazione, il recupero e lo sviluppo della loro identità culturale e linguistica.

 

 

Art. 2

Iniziative culturali.

1. Per le finalità di cui alla presente legge la Giunta regionale è autorizzata a concedere annualmente, contributi agli organismi di cui all'articolo 3 per la realizzazione di iniziative riguardanti:

 

a) la tutela, il recupero, la conservazione e la valorizzazione di testimonianze storiche che legano le comunità al proprio territorio;

 

b) lo sviluppo della ricerca storica e linguistica, la pubblicazione di studi, ricerche e documenti, l'istituzione di corsi di cultura locale, la valorizzazione della lingua e della toponomastica;

 

c) la costituzione e valorizzazione di musei locali o di istituti culturali specifici;

 

d) l'organizzazione di manifestazioni rivolte alla valorizzazione di usi, costumi e tradizioni proprie delle comunità.

 

 

Art. 3

Soggetti beneficiari.

1. Per la concessione dei contributi di cui all'articolo 2, possono presentare domanda:

 

a) la Federazione tra le Unioni culturali dei Ladini dolomitici della Regione Veneto;

 

b) un comitato rappresentativo delle associazioni culturali cimbre regolarmente costituite, dei Sette Comuni dell'altopiano di Asiago, dei tredici comuni della Lessinia e della zona del Cansiglio;

 

c) un comitato composto dalle rappresentanze della comunità germanofona di Sappada;

 

d) un comitato rappresentativo delle associazioni culturali friulane del portogruarese regolarmente costituite (3);

 

d-bis) associazioni culturali regolarmente costituite di eventuali comunità etniche e linguistiche storicamente presenti nel Veneto diverse da quelle di cui alle lettere a), b), c) e d) prevalenti in un determinato territorio (4).

 

 

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(3)  Lettera così sostituita dall'art. 73, primo comma, L.R. 3 febbraio 1998, n. 3.

(4)  Lettera aggiunta dall'art. 73, secondo comma, L.R. 3 febbraio 1998, n. 3.

 

 

Art. 4

Presentazione delle domande.

1. Le domande di contributo per le iniziative previste dall'articolo 2 sono presentate dai soggetti di cui all'articolo 3, al Presidente della Giunta regionale entro il 28 febbraio di ogni anno e devono essere corredate:

 

a) da una relazione illustrativa delle iniziative da realizzare;

 

b) dal preventivo di spesa per ogni singola iniziativa con l'indicazione della prevedibile partecipazione finanziaria di altri enti o privati.

 

 

Art. 5

Erogazione del contributo.

1. La Giunta regionale, entro il 30 aprile di ogni anno, accertata la rispondenza delle domande alle iniziative di cui all'articolo 2, approva il riparto dei contributi tra i soggetti beneficiari, sulla base della disponibilità finanziaria annuale prevista nello specifico capitolo di spesa, tenendo conto della effettiva consistenza numerica delle comunità etniche e linguistiche.

 

2. Entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di concessione del contributo, il legale rappresentante dell'organismo richiedente deve presentare al Presidente della Giunta regionale una dichiarazione di accettazione. Entro il 31 dicembre dell'esercizio successivo a quello di riferimento, deve essere presentata la relazione anche contabile delle attività svolte e, mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, la rendicontazione dell'utilizzo del contributo regionale.

 

3. L'erogazione del contributo è disposta in due soluzioni:

 

a) l'80 per cento in acconto, alla presentazione della dichiarazione di cui al comma 2;

 

b) il 20 per cento a saldo, alla presentazione della relazione attestante l'attività svolta e della rendicontazione dell'utilizzo del contributo regionale.

 

4. La concessione del contributo può essere revocata, ai sensi dell'articolo 31-bis della legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 e successive modifiche, con deliberazione della Giunta regionale qualora:

 

a) non intervenga, entro il termine stabilito al comma 2, l'accettazione del contributo;

 

b) non venga presentato, nel termine prescritto, il rendiconto oppure vengano accertate irregolarità od omissioni nello stesso.

 

5. La revoca della concessione del contributo, disposta nei casi di cui al comma 4, comporta il recupero delle somme eventualmente erogate.

 

 

Art. 6

Istituto regionale di Cultura Ladina.

1. La Regione favorisce la costituzione di un Istituto Regionale di Cultura Ladina, tra le associazioni culturali ladine e gli enti locali interessati.

 

 

Art. 7

Abrogazione.

1. Sono abrogati:

 

a) la legge regionale 23 dicembre 1983, n. 60;

 

b) la legge regionale 22 maggio 1984, n. 24;

 

c) il terzo comma dell'articolo 6 della legge regionale 5 settembre 1984, n. 51 così come introdotto dall'articolo unico della legge regionale 5 marzo 1987, n. 8;

 

d) il primo comma dell'articolo 10 della legge regionale 5 settembre 1984, n. 51, limitatamente all'espressione "Fanno eccezione le iniziative riguardanti le diverse peculiarità etnico-linguistiche della Regione con particolare riferimento alle aree cimbra, ladina, e tedesca per le quali il contributo può essere concesso fino al 100 per cento della spesa ritenuta ammissibile.".

 

 

Art. 8

Norma transitoria.

1. La legge regionale 23 dicembre 1983, n. 60, così come modificata dalla legge regionale 22 maggio 1984, n. 24 e gli articoli 6, terzo comma e 10, primo comma della legge regionale 5 settembre 1984, n. 51, continuano ad applicarsi per la disciplina dei rapporti sorti e per l'esecuzione degli impegni di spesa già assunti in base alle predette leggi.

 

 

Art. 9

Interventi per l'anno 1994.

1. Per l'anno 1994 la Giunta regionale è autorizzata ad erogare i seguenti contributi:

 

a) lire 240.000.000 per iniziative culturali di cui alla presente legge alla Federazione tra le Unioni culturali dei Ladini dolomitici della Regione Veneto;

 

b) lire 45.000.000 alle Associazioni dei Cimbri, da destinare alla costituzione del Comitato previsto alla lettera b), comma 1 dell'articolo 3 e per iniziative culturali di cui alla presente legge, con il seguente riparto:

 

1) lire 15 milioni al Curatorium Cimbricum Veronense;

 

2) lire 15 milioni all'Istituto di Cultura Cimbra A. Del Pozzo di Roana;

 

3) lire 15 milioni all'Associazione Culturale Cimbri del Consiglio;

 

c) lire 15.000.000 al Comune di Sappada per la costituzione del Comitato di cui alla lettera c), comma 1 dell'articolo 3 e per iniziative culturali della Comunità germanofona.

 

2. Entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge i soggetti di cui al comma 1 devono presentare alla Giunta regionale una relazione delle iniziative finanziate ai sensi del presente articolo.

 

 

Art. 10

Norma finanziaria.

1. All'onere derivante dall'applicazione della presente legge, quantificato in lire 300 milioni per l'anno 1994 e in lire 200 milioni per ciascuno degli anni 1995 e 1996 si provvede: per il 1994, mediante utilizzo di pari importo, per competenza e per cassa, della partita n. 11 "Interventi regionali a tutela della cultura Ladina e Cimbra" del fondo globale spese correnti iscritta al capitolo 80210 dello stato di previsione della spesa del bilancio annuale 1994; quanto a lire 200 milioni per ciascuno degli anni 1995 e 1996 mediante utilizzo, per sola competenza, dei fondi iscritti al capitolo 70040 denominato "Contributo regionale all'associazione veneta dei Ladini dolomitici (legge regionale n. 60 del 1983)" dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale 1994-1996.

 

2. Nel medesimo stato di previsione della spesa del bilancio annuale 1994 e pluriennale 1994-1996, il capitolo 70040 viene ad assumere la nuova denominazione "Fondo per interventi di promozione delle comunità etniche e linguistiche del Veneto" con lo stanziamento di lire 300 milioni per competenza e per cassa per l'anno 1994 e di lire 200 milioni per sola competenza per ciascuno degli anni 1995-1996.

 

3. Per gli esercizi finanziari successivi al 1996 si provvede ai sensi dell'articolo 32-bis della legge regionale 9 dicembre 1977, n. 72 e successive modificazioni.

 

 

Art. 11

Dichiarazione d'urgenza.

1. La presente legge è dichiarata urgente ai sensi dell'articolo 44 dello Statuto ed entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]     Sia nella XIV legislatura, sia nella XV legislatura, il Parlamento ha esaminato un disegno di legge di ratifica (rispettivamente A.C. 2705 e abb. e A.C. 1723 - A.S. 2545), senza pervenire alla sua approvazione. Nella legislatura in corso risultano presentate diverse proposte di legge di ratifiche (sia alla Camera, sia al Senato) delle quali non è ancora iniziato l’esame.

[2]     L. 28 agosto 1997, n. 302, Ratifica ed esecuzione della convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1 febbraio 1995.

[3]     Nella XV legislatura la Camera ha approvato una proposta di legge costituzionale che modifica l'art. 12 della Costituzione introducendo il riconoscimento della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica (A.C. 648). Il testo è stato trasmesso al Senato (A.S. 1445), ma non ne è iniziato l’esame.

[4]     Legge 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.

[5]     Decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, convertito, con modificazioni, in legge 25 giugno 1993, n. 205.

[6]     L. 14 marzo 1977, n. 73, Ratifica ed esecuzione del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, con allegati, nonché dell’accordo tra le stesse Parti, con allegati, dell’atto finale e dello scambio di note, firmati ad Osimo (Ancona) il 10 novembre 1975.

[7]     Istituita con il D.P.C.M. 25 settembre 2006 n. 288, Istituzione della Commissione scolastica regionale per l'istruzione in lingua slovena, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, della L. 23 febbraio 2001, n. 38.

[8]     Tale garanzia è ulteriormente precisata dagli articoli 4, 6, 7, 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 116 del 30.1.1973, "Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto-Adige in materia di ordinamento scolastico in provincia di Bolzano", modificato dal D.P.R. n. 761 del 4.12.1981 "Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto-Adige recanti modifiche al D.P.R. 20.1.1973, n. 116 in materia di ordinamento scolastico in provincia di Bolzano".

[9]    La materia è attualmente disciplinata dal D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, "Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino Alto-Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari", successivamente modificato dal D.Lgs. 24 luglio 1996, n. 446 "Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, concernente l'uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari".

[10]   L'art. 89 collegato all'art. 100, sull'uso della lingua tedesca nel pubblico impiego nella provincia di Bolzano, è stato attuato con successivi D.P.R. e precisamente con D.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, con il D.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846, con D.P.R. 31 luglio 1978 n. 570, D.P.R. 31 luglio 1978, n. 571, D.Lgs. 11 luglio 1996, n. 445.

[11] L'italiano è considerato lingua minoritaria in alcuni dei paesi che hanno ratificato la carta: in Svizzera, in Slovenia, in Croazia e in Romania.

[12]   Sul sito Eurolang vengono riportate al febbraio 2006 diverse lingue regionali o minoritarie tra le quali è ricompresa anche la lingua ladina.

[13]   Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari.

[14]   In particolare, l’art. 2 del DPR dispone che nella regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono; l’art. 102, tra l’altro, garantisce l’insegnamento della lingua e della cultura ladina nelle scuole dei comuni della provincia ove è parlato il ladino.

[15]   D.lgs. 16 dicembre 1993, n. 592, Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento.

[16]   Questo indirizzo legislativo è stato ampiamente recepito nei nuovi statuti regionali approvati a seguito della legge costituzionale n. 1/1999. Tutte le regioni hanno inserito fra i principi fondamentali dei loro statuti la salvaguardia e la valorizzazione delle minoranze linguistiche e culturali insediate nei rispettivi territori. Tra le leggi finora adottate, si ricorda in questa sede la legge della regione Veneto n. 73 del 1994, che dispone la concessione di contributi in favore di alcuni organismi che promuovono la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle comunità etniche e linguistiche storicamente presenti nella regione e incentiva la costituzione di un Istituto Regionale di Cultura Ladina, tra le associazioni culturali ladine e gli enti locali interessati.

[17]   L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. L'art. 21 della L. 59/1997 ha disposto l'attribuzione della personalità giuridica e dell'autonomia didattica, di ricerca, organizzativa e finanziaria alle singole istituzioni scolastiche e ne ha demandato l’attuazione a regolamenti di delegificazione. Tra questi, in particolare, il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 ha disciplinato l'autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, il cui esercizio fa perno sul Piano dell'offerta formativa (POF) adottato da ciascuna istituzione scolastica.

[18]   La quota del 20% è stata individuata con nota 28 dicembre 2005. In seguito, con nota Prot. 721 del 22 giugno 2006 il Ministero ha specificato che tale quota del 20%, riferita agli ordinamenti vigenti e ai relativi quadri orario, deve intendersi applicabile ad ogni ordine e grado di istruzione.

[19]L’art. 7, c. 1, lett. a), della L. n. 53/2003 aveva rimesso a regolamenti di delegificazione l’individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici relativamente alla quota nazionale (obiettivi specifici di apprendimento, discipline, orari).

Nelle more dell’adozione di questi ultimi, con riferimento al primo ciclo dell’istruzione, il d.lgs. n. 59/2004 aveva quindi disposto l’adozione in via transitoria degli assetti didattico organizzativi indicati negli allegati da A a D. In particolare, l’all. A prevede che la scuola dell'infanzia impegna il bambino nelle prime forme di esplorazione e scoperta intenzionale ed organizzata della realtà di vita, nonché della storia e delle tradizioni locali.

L’all. B include fra gli obiettivi specifici di apprendimento nell’ambito della scuola primaria le tradizioni locali più significative, nonché testimonianze di eventi, momenti, figure significative presenti nel proprio territorio e caratterizzanti la storia locale, la lingua nazionale e i dialetti, la scoperta delle radici storiche antiche classiche e cristiane della realtà locale.

L’all. C include fra gli obiettivi specifici di apprendimento nell’ambito della scuola secondaria di I grado la scoperta delle specifiche radici storiche della realtà locale e regionale, l’individuazione dei beni artistici e culturali presenti nel territorio e l’elaborazione di semplici ipotesi di interventi conservativi e migliorativi del patrimonio artistico del proprio territorio, il rapporto tra lo stato nazionale italiano e le realtà regionali, la distinzione fra storia locale, regionale, nazionale, europea, mondiale, il riconoscimento delle radici storiche e dei contesti geografici di riferimento degli stemmi regionali, provinciali e comunali.

[20]   Il DM 31 luglio 2007, al fine di superare il carattere transitorio delle Indicazioni nazionali allegate al d.lgs. n. 59/2004, ha definito in via sperimentalele indicazioni alle quali devono fare riferimento, a partire dall'a.s. 2007-2008, le scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, includendovi riferimenti alle tradizioni, alla cultura e alla storia locali.

[21]   DM 7 ottobre 2010, n. 211.

[22]   Da ultimo, per l’anno scolastico 2011-2012, OM 24 febbraio 2011, n. 16 http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/44ef7676-17ec-43b2-b9f4-44051d15eea8/prot1570_11_all4.pdf.

[23]    Si cita, a titolo di esempio, la circolare 8 febbraio 2011, n.11, relativa alle assegnazioni di docenti e dirigenti scolastici per lo svolgimento dei compiti connessi con l'atttuazione dell'autonomia scolastica (legge 23.12.1998, n.448 - art. 26, comma 8) per l’anno scolastico 2011/2012).

http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/5d27e33c-5a23-40fc-823a-36835c3ff773/cm11_11.pdf.

 

[24]   DPR 20 gennaio 2009, n. 17, Regolamento recante disposizioni di riorganizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

[25]   Per completezza, si ricorda che il D.M. 29 dicembre 2009 ha proceduto all’individuazione dei compiti degli uffici di livello dirigenziale non generale istituiti presso l’USR per il Veneto.

[26]   D.P.R. 6 marzo 2001, n. 190, Regolamento concernente l'organizzazione degli Istituti regionali di ricerca educativa, a norma dell'articolo 76 del D.lgs. 30 luglio 1999, n. 300.

[27]   Tale disposizione, secondo la relazione tecnica all’A.C. 1746-bis, avrebbe consentito il rientro in servizio di 310 unità di personale (163 docenti e 147 assistenti amministrativi), con conseguente risparmio della spese per supplenze.

[28]   Sullo schema la VII Commissione della Camera ha espresso un parere favorevole con condizioni e osservazioni il 23 febbraio 2011, mentre la 7a  Commissione del Senato ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 2 marzo 2011.

[29]   D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 26 febbraio 2011, n. 10.

[30]   Il sottosegretario competente, intervenendo presso la 7a Commissione del Senato il 1° marzo 2011, ha evidenziato che il testo originario dell'emendamento approvato al decreto-legge prevedeva il ripristino dell'INDIRE. In una sua successiva formulazione, sono stati tuttavia soppressi i commi che operavano il ripristino e nella versione definitiva (poi recepita nel maxi emendamento su cui è stata posta la questione di fiducia) è rimasto solo un riferimento, che risulta pertanto del tutto improprio. Ha quindi concluso riferendo che, trattandosi di un errore materiale, gli Uffici del Ministero sono al lavoro per correggere la situazione(http://www.senato.intranet/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=526045).

 

[31]   L. 14 aprile 1975, n. 103, Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva.

[32]   Da ultimo, tre distinte convenzioni di durata triennale, una per ciascuna lingua, adottate il 28 dicembre 2009, sono state approvate con tre DPCM in data 16 aprile 2010.

[33]   L’art. 2 della legge fa riferimento alle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

[34]   La Rai è una Società per Azioni della quale il Ministero dell’Economia e delle finanze detiene il 99,5% della partecipazione azionaria; il restante 0,45% appartiene alla Società Italiana Autori e editori. L’art. 49 del D.lgs. 177/2005 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) affida la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo alla RAI fino al 6 maggio 2016.

[35]   G.U. n. 123 del 29 maggio 2007. Il contratto relativo al triennio 2010-2012 risulta attualmente in corso di perfezionamento.

[36]   Al contratto nazionale si affiancano contratti regionali e, per le province autonome di Trento e di Bolzano, provinciali, rinnovati con cadenza triennale e contenenti indicazioni su diritti e obblighi della società.

[37]   L. 27 settembre 2007, n. 167, Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO).

[38]   Con riguardo alle competenze istituzionali, ai sensi del regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali (DPR n. 233 del 2007), al segretario generale è attribuita tra le altre, la funzione di coordinamento - in attuazione degli indirizzi del Ministro - delle attività internazionali, ivi comprese quelle relative alle convenzioni UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale immateriale (art. 2, comma 3, lett. n)).