Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Distacco ed aggregazione di comuni e province - P.d.l. cost. A.C. 1221
Riferimenti:
AC N. 1221/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 72
Data: 04/11/2008
Descrittori:
COMUNI   PROVINCE
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Distacco ed aggregazione
di comuni e province
P.d.l. cost. A.C. 1221

 

 

 

 

 

n. 72

 

 

4 novembre 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIPARTIMENTO istituzioni

SIWEB

 

 

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File: ac0187.doc

 

 


INDICE

Schede di lettura

Il quadro normativo e la giurisprudenza costituzionale  3

La Costituzione  3

La legislazione ordinaria e l’intervento della Corte costituzionale  4

La questione delle Regioni a statuto speciale  6

I procedimenti in corso per il distacco/aggregazione di comuni8

Interventi a favore dei territori confinanti con regioni a statuto speciale  10

La proposta di legge costituzionale in esame  12

Normativa di riferimento

Costituzione della Repubblica italiana (artt. 131-132, 138)17

L. 25 maggio 1970, n. 352. Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.19

Giurisprudenza costituzionale

Sentenza n. 334 del 28 ottobre 2004  41

Sentenza n. 66 del 9 marzo 2007  46

 

 


Schede di lettura

 


Il quadro normativo e la giurisprudenza costituzionale

La Costituzione

Ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione “si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra”.

 

Con riguardo al coinvolgimento regionale la Corte costituzionale, nella sent. 66/2007 (v. infra) ha precisato che lo specifico e solenne coinvolgimento delle Regioni interessate attraverso la richiesta di parere ai loro Consigli regionali sulla proposta di distacco e aggregazione ha luogo – secondo la disposizione in esame – “dopo lo svolgimento del referendum, acquisito l’eventuale esito positivo dello stesso e prima dei lavori legislativi che avranno inizio con l’eventuale presentazione del disegno di legge governativo”.

 

Il testo vigente del comma è quello risultante dalla riformulazione operata dall’art. 9, co. 1, della L.Cost. 3/2001, che ha riformato il Titolo V della Parte II della Costituzione[1].

 

Costituzione
Testo vigente prima dell’entrata in vigore della L.Cost. 3/2001

Costituzione
Testo vigente

Art. 132

Art. 132

[…]

[…]

Si può, con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.

Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra.

[…]

[…]

 

La novella introdotta dalla L.Cost. 3/2001 ha precisato che, per procedere alla modifica territoriale, è necessaria l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della provincia (o delle province) e del comune (o dei comuni) interessati al distacco. È stato in tal modo circoscritto l’ambito territoriale al cui interno deve aver luogo la consultazione referendaria.

L’originaria formulazione della norma costituzionale nulla diceva sia sui soggetti da coinvolgere nel processo di richiesta di referendum per il distacco, sia sull’ambito territoriale interessato alla consultazione referendaria.

Essa si limitava, infatti, a prevedere che “con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali”, si potesse consentire per le province o i comuni che ne facessero richiesta il distacco da una regione e l’aggregazione ad un’altra.

La legislazione ordinaria e l’intervento della Corte costituzionale

Le disposizioni attuative della norma costituzionale sono recate dal Titolo III (artt. 41 ss.) della L. 352/1970[2], che regola lo svolgimento dei vari referendum previsti dalla Costituzione.

Benché nel corso della XIV legislatura la Camera dei deputati abbia avviato l’esame di quattro proposte di legge[3] volte a modificare la L. 352/1970 per adeguarne la disciplina al nuovo testo dell’art. 132, co. 2°, Cost., l’iter parlamentare delle proposte di legge non è giunto a conclusione[4].

È peraltro sopravvenuta nel frattempo la sentenza 334/2004 della Corte costituzionale, che ha inciso sulla disciplina in materia e, in particolare, sull’art. 42, co. 2°, della L. 352/1970 che regola, per l’appunto, la richiesta del referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni. Secondo la disciplina che ne risulta, la richiesta di referendum deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, dei consigli provinciali o comunali delle (sole) province o comuni di cui si propone il distacco.

 

Il testo originario del comma prescriveva invece che la richiesta dovesse essere corredata anche delle deliberazioni di un numero di consigli provinciali o di consigli comunali tale da rappresentare

§         almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco, ed

§         almeno un terzo della popolazione della Regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati.

La Corte costituzionale ha ritenuto illegittima questa parte della norma, osservando che essa pone a carico dei richiedenti un adempimento la cui onerosità appare “eccessiva (in quanto non necessitata) rispetto alla determinazione ricavabile dalla nuova previsione costituzionale, e si risolve nella frustrazione del diritto di autodeterminazione dell’autonomia locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001.

Poiché il referendum […] mira a verificare se la maggioranza delle popolazioni dell’ente o degli enti interessati approvi l’istanza di distacco-aggregazione, deve coerentemente discenderne che la legittimazione a promuovere la consultazione referendaria spetta soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni diverse. Infatti, la riforma del parametro evocato ha inteso evitare che maggioranze non direttamente o immediatamente coinvolte nel cambiamento possano contrastare ed annullare finanche le determinazioni iniziali (neppure giunte al di là dello stadio di semplici richieste) di collettività che intendano rendersi autonome o modificare la propria appartenenza regionale.

Ad ogni modo, le valutazioni di tali altre popolazioni – anche di segno contrario alla variazione territoriale – trovano congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera presentazione della richiesta di referendum”, e cioè nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge – poiché il legislatore statale non è in alcun modo vincolato dall’esito positivo del referendum – e in occasione dell’acquisizione e dell’esame dei pareri dei Consigli regionali.

 

Il successivo art. 44, co. 3° (la cui formulazione è antecedente alla modifica costituzionale intervenuta nel 2001) prevede tuttora che il referendum sia indetto sia nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi, sia nel territorio della regione alla quale le province o i comuni intendono aggregarsi; nella già menzionata sent. 334/2004, tuttavia, la Corte costituzionale ha affermato il principio secondo cui “l’espressione ‘popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati’, utilizzata dal nuovo art. 132, secondo comma, [della Costituzione,] inequivocamente si riferisce soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco-aggregazione”: essi soli costituiscono quindi il corpo elettorale chiamato ad esprimersi con referendum sulla proposta di variazione territoriale.

Quanto agli aspetti procedurali, spetta all’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, accertare la legittimità della richiesta di referendum; questo è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri (artt. 43, co. 1° e 44, co. 1°, L. 352/1970).

L’Ufficio centrale per il referendum procede quindi all’accertamento e alla proclamazione dei risultati. La proposta è dichiarata approvata se il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito del referendum non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum; altrimenti è dichiarata respinta (art. 45, co. 1° e 2°).

In caso di approvazione, il ministro dell’interno presenta al Parlamento il disegno di legge di cui all’articolo 132, co. 2°, Cost. entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del risultato del referendum.

La proposta respinta, invece, non può essere rinnovata prima che siano trascorsi cinque anni (art. 45, co. 4° e 5°).

La questione delle Regioni a statuto speciale

Nell’ambito del dibattito politico sul tema in esame, sia nella XIV legislatura – principalmente in occasione dell’esame parlamentare delle proposte di riforma (A.C. 1852 e abb., alle quali si è sopra accennato) – sia nella XV legislatura, in occasione dell’esame delle proposte di legge relative al passaggio del comune di Lamon dal Veneto al Trentino-Alto Adige e del disegno di legge di riforma del secondo comma dell’art. 132 Cost. (per i quali v. infra), sono emerse opinioni differenti in ordine alle modalità di applicazione della disciplina sin qui illustrata qualora il distacco o l’aggregazione di province o comuni incida sul territorio di regioni ad autonomia differenziata, i cui statuti speciali sono, com’è noto, adottati con legge costituzionale.

La questione dell’applicabilità tout-court dell’art. 132, co. 2°, Cost. alle Regioni a statuto speciale è stata risolta in senso positivo dalla Corte costituzionale nella recente sentenza 66/2007, con la quale è stato definito un conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Valle d’Aosta a seguito dell’indizione del referendum relativo al distacco del comune di Noasca dalla Regione Piemonte e alla sua aggregazione alla Regione Valle d’Aosta[5].

 

Tra le argomentazioni addotte dalla Regione ricorrente vi era quella secondo cui il proprio territorio sarebbe stato sostanzialmente costituzionalizzato dall’art. 1, secondo comma, dello statuto di autonomia[6], con riferimento alle circoscrizioni comunali che ne facevano parte alla data della sua entrata in vigore (11 marzo 1948), e che modificazioni al territorio regionale potrebbero essere introdotte solo mediante il procedimento di revisione dello statuto previsto dall’art. 50 dello stesso, anziché in forza dell’art. 132, co. 2°, Cost.. Il menzionato art. 50 sarebbe infatti norma derogatoria rispetto alla disciplina generale contenuta nell’art. 132.

Nella sent. 66/2007 la Corte non ha accolto le argomentazioni della ricorrente, affermando invece che “l’art. 132, primo e secondo comma, Cost. si riferisce pacificamente a tutte le Regioni (quelle indicate nel precedente art. 131), mediante l’individuazione di procedure che coinvolgono tutti i diversi organi e soggetti indicati dalle norme costituzionali come attori necessari nei differenziati procedimenti ivi configurati (enti locali e relative popolazioni, Consigli regionali, Parlamento). Ciò, mentre evidentemente nessuna procedura normativa interna ad un singolo ordinamento regionale potrebbe produrre effetti su due diversi enti regionali, come è palese nello stesso caso che ha originato il presente giudizio, nel quale il procedimento di distacco-aggregazione investe ovviamente due Regioni”.

 

Per altro verso, è stata posta la questione se – ferma quanto al resto la procedura di cui all’art. 132, co. 2°, Cost. – sia o meno necessario il ricorso a una legge costituzionale, anziché ordinaria (pur se “aggravata”), quando il distacco/aggregazione incida sul territorio di una Regione a statuto speciale.

 

In ambito governativo, il tema è stato affrontato per la prima volta nel corso della XV legislatura in occasione della presentazione del disegno di legge conseguente al referendum avente ad oggetto il distacco del Comune di Lamon dalla Regione Veneto e l’aggregazione alla Regione Trentino-Alto Adige. Il Consiglio dei ministri ha allora ritenuto necessaria la presentazione di un disegno di legge costituzionale.

Come precisa la relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 1427), al Governo “è apparso imprescindibile procedere mediante lo strumento della legge costituzionale, quale fonte di diritto pariordinata a quella che definisce l’autonomia speciale del Trentino-Alto Adige”, in quanto la variazione territoriale (distacco-aggregazione) che interessa il comune di Lamon “andrebbe ad incidere anche sul territorio di una regione ad autonomia differenziata”.

La posizione è stata ribadita dall’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel già ricordato giudizio per conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Valle d’Aosta. Nelle motivazioni della sentenza, peraltro, la Corte non affronta espressamente questo profilo.

Anche nella presente legislatura le proposte di legge relative al distacco del Comune di Lamon dalla Regione Veneto e l’aggregazione alla Regione Trentino-Alto Adige esaminate dalla I Commissione della Camera (A.C. 455 e 1698) hanno natura costituzionale.

Nella passata legislatura, una ulteriore occasione per affrontare il tema è stata offerta dall’esame del disegno di legge di revisione del secondo comma dell’art. 132 Cost. (A.C. 2523), il cui contenuto corrisponde a quello della proposta in esame.

Nel parere espresso dalla Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali sul progetto di legge era infatti affrontato specificamente il tema della applicabilità dell’art. 132, co. 2°, Cost. alle Regioni a statuto speciale.

Il parere della Conferenza unificata è stato in definitiva favorevole, “nei termini in cui in premessa”, e nella premessa al parere i rappresentanti delle Regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta si sono espressi in senso contrario all’applicabilità del procedimento alle regioni a statuto speciale. I rappresentanti del Governo hanno peraltro segnalato l’opportunità di affrontare la questione successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione allora pendente (il parere è stato reso nella seduta dell’8 marzo 2007, anteriormente al deposito della sent. 66/2007, in precedenza illustrata).

Le Regioni (salvi alcuni rilievi critici della Lombardia) hanno espresso in ultima analisi parere favorevole sul testo, precisando che “per le modifiche territoriali, relative alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome, si dovrà fare riferimento alle procedure specificamente previste al riguardo dai rispettivi Statuti”.


I procedimenti in corso per il distacco/aggregazione di comuni

L’attivazione del procedimento ex art. 132, 2° comma, Cost., per il passaggio  di comuni da una regione ad un altra è un fenomeno relativamente recente. Esso si è manifestato a partire dal 2005, dopo la riforma dell’art. 132 Cost., ad opera della legge costituzione 3/2001, di riforma del Titolo V, che ha precisato l’ambito territoriale in cui deve tenersi la consultazione referendaria e dopo che la Corte costituzionale, con la sent. 334/2004, ha individuato da un lato nei consigli provinciali e comunali gli organi abilitati all’attivazione del procedimento, e dall’altro ha chiarito che ai referendum sono chiamati ad esprimersi soltanto i cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco.

Il primo comune che ha deliberato il referendum per il distacco dalla regione di appartenenza fu San Michele al Tagliamento, e a tale consultazione referendaria si riferisce la più volte ricordata sentenza 334/2004della Corte costituzionale. Dopo la pronuncia della Corte, il referendum si svolse nel maggio 2005, senza tuttavia raggiungere il quorum necessario.

Il successivo referendum si è tenuto a Lamon nell’ottobre 2005, questa volta con esito favorevole al distacco.

Complessivamente si sono svolte consultazioni che hanno visto coinvolte le popolazioni di oltre 30 comuni (v. tabella), tutti concentrati nel Centro-Nord (ad eccezione di un comune campano), con una prevalenza di comuni veneti e di comuni che hanno deliberato l’aggregazione a regioni a statuto speciale.

 



Comune

Regione di appartenenza

Regione di aggregazione

Data del referendum

Esito del referendum

S. Michele al Tagliamento

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

29-30 maggio 2005

Non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto

Lamon

Veneto

Trentino-Alto Adige

30-31 ottobre 2005

Favorevole al distacco

Pramaggiore, Gruaro, Teglio Veneto

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

26-27 marzo 2006

Non favorevole al distacco

Cinto Caomaggiore

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

26-27 marzo 2006

Favorevole al distacco

Savignano Irpino

Campania

Puglia

11-12 giugno 2006

Non favorevole al distacco

Sovramonte

Veneto

Trentino-Alto Adige

8-9 ottobre 2006

Favorevole al distacco

Noasca

Piemonte

Valle d’Aosta

8-9 ottobre 2006

Favorevole al distacco

Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, Sant’Agata Feltria, San Leo, Talamello

Marche

Emilia-Romagna

17-18 dicembre 2006

Favorevole al distacco

Carema

Piemonte

Valle d’Aosta

18-19 marzo 2007

Favorevole al distacco

Asiago, Conco, Enego, Foza, Gallio, Lusiana, Roana, Rotzo

Veneto

Trentino-Alto Adige

6-7 maggio 2007

Favorevole al distacco

Montecopiolo, Sassofeltrio

Marche

Emilia-Romagna

24-25 giugno 2007

Favorevole al distacco

Cortina d’Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana, Colle S. Lucia

Veneto

Trentino-Alto Adige

28-29 ottobre 2007

Favorevole al distacco

Monte Grimano Terme, Mercatino Conca

Marche

Emilia-Romagna

9-10 marzo 2008

Non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto

Sappada

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

9-10 marzo 2008

Favorevole al distacco

Pedemonte

Veneto

Trentino-Alto Adige

9-19 marzo 2008

Favorevole al distacco

Valvestino, Magasa

Lombardia

Trentino-Alto Adige

21-22 settembre 2008

Favorevole al distacco

Meduna di Livenza

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

30 novembre-1° dicembre 2008

 

Leonessa

Lazio

Umbria

30 novembre-1° dicembre 2008

 

 

La carta individua il territorio dei comuni (in corsivo nella tabella che precede) nei quali il referendum si è svolto con esito favorevole al distacco/aggregazione.

 


Interventi a favore dei territori confinanti
con regioni a statuto speciale

Negli ultimi anni si sono registrati alcuni interventi legislativi a favore delle zone confinanti con le regioni a statuto speciale.

Il primo di questi è costituito dal finanziamento di 10 milioni di euro che la legge finanziaria 2006[7] ha disposto per integrare i trasferimenti erariali in favore dei comuni delle province confinanti con quelle di Trento e di Bolzano.

Una indicazione ufficiale sulla destinazione di quel finanziamento aggiuntivo venne fornita dal Governo in risposta ad una interrogazione a risposta immediata presso la Commissione bilancio della Camera il 2 febbraio 2006. In quella occasione, il rappresentante del Governo, dopo aver rilevato che non risultano individuati i criteri per la ripartizione dei previsti 10 milioni di euro tra i comuni confinanti con le province autonome, auspicava l’integrazione della norma con un criterio di ripartizione in base al quale il finanziamento dovrebbe essere attribuito per il 90% in base della popolazione e per il 10% in base al territorio dei comuni.

A dare attuazione a questa precisazione è intervenuta la legge finanziaria 2007[8] che ha accolto i criteri allora indicati dal Governo, per quanto riguarda i criteri di riparto delle risorse: queste sono ripartite per il 90% in base della popolazione e per il 10% in base al territorio dei comuni; quanto agli enti interessati, il 40% delle risorse aggiuntive è destinato ai comuni il cui territorio confina con le province di Trento o di Bolzano[9].

Successivamente è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Fondo per la valorizzazione e la promozione delle realtà socio economiche delle zone confinanti tra le regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, cui è attribuita una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2007 destinato alla “valorizzazione e promozione delle realtà socio-economiche” di quelle zone[10].

Il fondo è stato poi integrato di 10 milioni di euro per l’anno 2008 e di 5 milioni di euro per gli anni 2009 e 2010 al fine di sostenere progetti di sviluppo economico e di integrazione delle aree montane negli assi di comunicazione interregionali[11].

 

Anche la Regione Veneto, tra quelle - come si è detto – maggiormente interessate dal fenomeno del distacco di comuni, è intervenuta con provvedimenti di sostegno delle aree di confine.

In particolare, la legge 30/2007[12] ha introdotto contributi per le aree svantaggiate di montagna, del Veneto orientale e dei comuni della provincia di Treviso con meno di cinquemila abitanti, confinanti con la Regione Friuli-Venezia Giulia. I contributi ammontano complessivamente a 11 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2007, 2008 e 2009.

 

Inoltre, la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento hanno sottoscritto il 4 luglio 2007, un’intesa per la disciplina del migliore esercizio delle funzioni amministrative inerenti i settori dello sviluppo locale, della sanità, della cultura, dell’alta formazione, dell’istruzione e della formazione, delle infrastrutture e reti di trasporto, interessanti i territori confinanti[13].


La proposta di legge costituzionale in esame

La proposta di legge A.C. 1221 è composta da un solo articolo che riformula come segue l’intero secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione.

 

Costituzione
Testo vigente

Costituzione
Modifica proposta dall’A.C. 1221

Art. 132

Art. 132

[…]

[…]

Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra.

Si può con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali interessati, consentire che Province e Comuni siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra. La relativa iniziativa è preceduta dalla richiesta della Provincia o del Comune, previa approvazione delle rispettive popolazioni secondo le norme dei propri statuti. Per il passaggio di una Provincia ad un’altra Regione, la richiesta deve essere inoltre approvata, mediante referendum, dalla maggioranza delle popolazioni di ciascuna delle Regioni interessate. Per il passaggio di uno o più Comuni da una Provincia ad un’altra appartenente a diversa Regione, la richiesta deve essere invece approvata, mediante referendum, dalla maggioranza delle popolazioni di ciascuna delle due Province interessate.

[…]

[…]

 

La proposta riproduce integralmente il contenuto del disegno di legge governativo presentato alla Camera nella XV legislatura (A.C. 2523) ed esaminato dalla Commissione Affari costituzionali.

 

Nella passata legislatura, l’esame del disegno di legge fu avviato il 17 luglio 2007 e proseguì fino alla seduta del 26 settembre 2007. In quella seduta il relatore sul provvedimento (on. Boato) faceva presente di non avere ancora concluso l’elaborazione di una proposta di testo unificato, che si era riservato di presentare, essendo ancora in corso una serie di incontri volti ad approfondire le principali problematiche connesse al provvedimento. L’esame del provvedimento non ebbe ulteriore seguito.

 

Le novità introdotte dalla proposta di revisione costituzionale in esame sono essenzialmente tre:

§         la richiesta della Provincia o del Comune di passare da una Regione ad un’altra dev’essere sostenuta dall’espresso consenso della rispettiva popolazione. La manifestazione e l’accertamento di tale consenso ha luogo secondo forme rimesse all’autonomia statutaria di ciascun ente locale. Il testo – pur mantenendo volutamente una formulazione vaga, onde non escludere strumenti diversi – intende presumibilmente riferirsi ad un (ulteriore e preliminare) referendum da indire in ambito comunale o provinciale. Tale referendum avrebbe efficacia confermativa, e non meramente consultiva, nei confronti della deliberazione del Consiglio comunale o provinciale: il testo in esame esige infatti la previa “approvazione” popolare dell’iniziativa dell’ente locale;

§         l’ambito territoriale di svolgimento del (secondo) referendum, e quindi la popolazione coinvolta nella consultazione, subisce un ampliamento. Sono chiamati ad esprimersi non più soltanto i cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco-aggregazione (i quali peraltro, come si è visto, hanno già avuto modo di esprimersi nella fase iniziale del procedimento, quella della richiesta), bensì una cerchia più ampia di cittadini, così definita:

-          se il referendum ha ad oggetto il passaggio da una ad altra Regione di una Provincia, il referendum coinvolgerà la popolazione delle due Regioni interessate;

-          se il referendum ha ad oggetto il passaggio di uno o più Comuni da una Provincia ad un’altra appartenente a diversa Regione, il referendum si svolgerà sul più limitato territorio delle due Province interessate;

§         dalla formulazione del testo (il quale richiede che la richiesta sia “approvata” con referendum) si desume che, ai fini della prosecuzione dell’iter, occorre che la consultazione referendaria abbia esito positivo (distintamente e contestualmente) presso ciascuna delle due Regioni o Province in cui essa si svolge: in altre parole, la maggioranza dei consensi dovrà essere conseguita sia nella Regione (o Provincia) dalla quale è proposto il distacco, sia in quella alla quale si propone che la Provincia (o il Comune) sia aggregato.

 

La ratio del provvedimento è indicata con evidenza dalla relazione illustrativa, che rileva come “il distacco e la conseguente aggregazione di un comune o di una provincia da una regione a un’altra costituiscono […] una forma di ‘annessione’ parziale e consensuale, il che presuppone, di conseguenza, un accordo tra due entità distinte, ossia l’incontro di due volontà tra loro anche contrapposte. Questo momento di ‘convergenza di volontà’ – consacrato nella tornata referendaria – non può che essere riservato tanto ai soggetti che richiedono per se stessi di essere distaccati e successivamente aggregati, quanto a quelli che, in ordine alla propria sfera di interessi (sociali, economici eccetera), subiscono in ogni caso un profondo e significativo impatto dal suddetto processo”.

In sostanza – come indicato nella stessa relazione illustrativa – la proposta intenderebbe introdurre una distinzione tra la fase della richiesta di distacco/aggregazione e quella propriamente referendaria, volta a “integrare il processo di autoidentificazione territoriale”. La prima rimarrebbe limitata all’ente richiedente e alla sua popolazione, che viene opportunamente consultata, mentre la seconda si aprirebbe anche alle popolazioni cointeressate o controinteressate, in modo da consentire l’emersione di valutazioni di segno negativo rispetto alla variazione prima della presentazione dell’iniziativa legislativa.

Quanto al tema dell’applicabilità della nuova disciplina alle Regioni a statuto speciale, che fu oggetto di dibattito in occasione dell’esame del disegno di legge governativo nel corso della XV legislatura (v. supra), la relazione illustrativa ricorda il parere espresso in quella circostanza dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-città e autonomie locali, nel quale si richiedeva, per le Regioni a statuto speciale, di fare riferimento alle procedure previste al riguardo nei rispettivi statuti. Nella relazione si sottolinea come tale richiesta contrasterebbe con quanto successivamente statuito dalla Corte costituzionale nella sent. 66/2007 e, in particolare, con l’affermazione della Corte secondo la quale “nessuna procedura normativa interna ad un singolo ordinamento regionale potrebbe produrre effetti su due diversi enti regionali, come è palese nello stesso caso che ha originato il presente giudizio, nel quale il procedimento di distacco-aggregazione investe ovviamente due Regioni”.

 


Normativa di riferimento

 


 

Costituzione della Repubblica italiana
(artt. 131-132, 138)

 

Art. 131.

Sono costituite le seguenti Regioni:

 

Piemonte;

Valle d’Aosta ;

Lombardia;

Trentino-Alto Adige;

Veneto;

Friuli-Venezia Giulia;

Liguria;

Emilia-Romagna;

Toscana;

Umbria;

Marche;

Lazio;

Abruzzi;

Molise;

Campania;

Puglia;

Basilicata;

Calabria;

Sicilia;

Sardegna.

 

Art. 132. 

Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse (195).

 

Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra (196).

 

 

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(195)  Vedi anche XI disp. trans. fin.

(196)  Comma così modificato dall’art. 9, comma 1, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

 

 

 

Art. 138

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. (*)

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

 

 

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(*) Con la legge costituzionale 6 agosto 1993, n. 1, che ha istituito la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, è stato previsto, unicamente per i progetti di legge della XI legislatura un diverso procedimento di revisione costituzionale che comporta, fra l’altro, la obbligatoria sottoposizione a referendum dei progetti approvati dalla Commissione.

 

 

 


 

L. 25 maggio 1970, n. 352.
Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.

 

 

(1)

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 15 giugno 1970, n. 147.

 

 

TITOLO I

Referendum previsto dall’articolo 138 della Costituzione

 

Art. 1. 

Quando le Camere abbiano approvato una legge di revisione della Costituzione o altra legge costituzionale, i rispettivi Presidenti ne danno comunicazione al Governo indicando se la approvazione sia avvenuta con la maggioranza prevista dal primo comma o con quella prevista dal terzo comma dell’articolo 138 della Costituzione.

 

Art. 2. 

La promulgazione delle leggi costituzionali, approvate con la maggioranza prevista dal terzo comma dell’articolo 138 della Costituzione, è espressa con la formula seguente:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, in seconda votazione e con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Assemblea, hanno approvato.

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge costituzionale:

 

(Testo della legge)

 

La presente legge costituzionale, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato».

 

Art. 3.

Qualora l’approvazione sia avvenuta con la maggioranza prevista dal primo comma dell’articolo 138 della Costituzione, il Ministro per la grazia e la giustizia deve provvedere alla immediata pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale con il titolo «Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera», completato dalla data della sua approvazione finale da parte delle Camere e preceduto dall’avvertimento che, entro tre mesi, un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque consigli regionali possono domandare che si proceda al referendum popolare.

 

La legge di cui al comma precedente è inserita nella Gazzetta Ufficiale a cura del Governo, distintamente dalle altre leggi, senza numero d’ordine e senza formula di promulgazione.

 

Art. 4. 

La richiesta di referendum di cui all’articolo 138 della Costituzione deve contenere l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata.

 

La predetta richiesta deve pervenire alla cancelleria della Corte di cassazione entro tre mesi dalla pubblicazione effettuata a norma dell’articolo 3.

 

Art. 5. 

Quando entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione prevista dall’articolo 3 non sia stata avanzata domanda di referendum, il Presidente della Repubblica provvede alla promulgazione della legge con la formula seguente:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, con la maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, hanno approvato;

 

Nessuna richiesta di referendum costituzionale è stata presentata;

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge costituzionale:

 

(Testo della legge)

 

La presente legge costituzionale, munita del sigillo dello Stato sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato».

 

La promulgazione deve avvenire entro un mese dalla scadenza del termine indicato nel primo comma.

 

Art. 6. 

Qualora la richiesta prevista dall’articolo 4 sia effettuata da membri di una delle Camere in numero non inferiore ad un quinto dei componenti della Camera stessa, le sottoscrizioni dei richiedenti sono autenticate dalla segreteria della Camera cui appartengono, la quale attesta al tempo stesso che essi sono parlamentari in carica. Non è necessaria alcuna altra documentazione.

 

Alla richiesta deve accompagnarsi la designazione di tre delegati, scelti tra i richiedenti, a cura dei quali la richiesta è depositata presso la cancelleria della Corte di cassazione.

 

Del deposito, a cura del cancelliere, si dà atto mediante processo verbale, facente fede del giorno e dell’ora in cui il deposito è avvenuto e contenente dichiarazione o elezione di domicilio in Roma da parte dei presentatori.

 

Il verbale è redatto in duplice originale, con la sottoscrizione dei presentatori e del cancelliere. Un originale è allegato alla richiesta, l’altro viene consegnato ai presentatori a prova dell’avvenuto deposito.

 

Art. 7. 

Al fine di raccogliere le firme necessarie a promuovere da almeno 500.000 elettori la richiesta prevista dall’articolo 4, i promotori della raccolta, in numero non inferiore a dieci, devono presentarsi, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica o nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero, alla cancelleria della Corte di cassazione, che ne dà atto con verbale, copia del quale viene rilasciata ai promotori (2).

 

Di ciascuna iniziativa è dato annuncio nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo a cura dell’Ufficio stesso; in esso vengono riportate le indicazioni prescritte dall’articolo 4.

 

Per la raccolta delle firme devono essere usati fogli di dimensioni uguali a quelli della carta bollata ciascuno dei quali deve contenere all’inizio di ogni facciata, a stampa o con stampigliatura, la dichiarazione della richiesta del referendum, con le indicazioni prescritte dal citato articolo 4.

 

Successivamente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’annuncio di cui al primo comma, i fogli previsti dal comma precedente devono essere presentati a cura dei promotori, o di qualsiasi elettore, alle segreterie comunali o alle cancellerie degli uffici giudiziari. Il funzionario preposto agli uffici suddetti appone ai fogli il bollo dell’ufficio, la data e la propria firma e li restituisce ai presentatori entro due giorni dalla presentazione.

 

 

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(2)  Comma così modificato dall’art. 23, L. 27 dicembre 2001, n. 459.

 

 

Art. 8. 

La richiesta di referendum viene effettuata con la firma da parte degli elettori dei fogli di cui all’articolo precedente.

 

Accanto alle firme debbono essere indicati per esteso il nome, cognome, luogo e data di nascita del sottoscrittore e il comune nelle cui liste elettorali questi è iscritto ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nelle liste elettorali dell’anagrafe unica dei cittadini italiani residenti all’estero (3).

 

Le firme stesse debbono essere autenticate da un notaio o da un giudice di pace o da un cancelliere della pretura, del tribunale o della Corte di appello nella cui circoscrizione è compreso il comune dove è iscritto, nelle liste elettorali, l’elettore la cui firma è autenticata, ovvero dal giudice conciliatore, o dal segretario di detto comune. Per i cittadini elettori residenti all’estero l’autenticazione è fatta dal console d’Italia competente. L’autenticazione deve recare l’indicazione della data in cui avviene e può essere anche collettiva, foglio per foglio; in questo caso, oltre alla data, deve indicare il numero di firme contenute nel foglio (4).

 

Il pubblico ufficiale che procede alle autenticazioni dà atto della manifestazione di volontà dell’elettore analfabeta o comunque impedito di apporre la propria firma.

 

Per le prestazioni del notaio, del cancelliere, del giudice conciliatore e del segretario comunale, sono dovuti gli onorari stabiliti dall’articolo 20, comma quinto, del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dalla tabella D allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604.

 

Alla richiesta di referendum debbono essere allegati i certificati, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni, ai quali appartengono i sottoscrittori, che ne attestano la iscrizione nelle liste elettorali dei comuni medesimi ovvero, per i cittadini italiani residenti all’estero, la loro iscrizione nell’elenco dei cittadini italiani residenti all’estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero. I sindaci debbono rilasciare tali certificati entro 48 ore dalla relativa richiesta (5).

 

 

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(3)  Comma così modificato dall’art. 23, L. 27 dicembre 2001, n. 459.

(4)  Comma così modificato prima dall’art. 1, D.L. 18 ottobre 1995, n. 432 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1995, n. 247), convertito in legge, con modificazioni, con L. 20 dicembre 1995, n. 534 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 296) poi dall’art. 4, L. 30 aprile 1999, n. 120 e, infine, dall’art. 23, L. 27 dicembre 2001, n. 459.

(5)  Comma così modificato dall’art. 23, L. 27 dicembre 2001, n. 459.

 

 

Art. 9. 

Il deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori vale come richiesta ai sensi dell’articolo 4. Esso deve essere effettuato da almeno tre dei promotori, i quali dichiarano al cancelliere il numero delle firme che appoggiano la richiesta.

 

Del deposito, a cura del cancelliere, si dà atto mediante processo verbale, con le modalità stabilite dal terzo e dal quarto comma dell’articolo 6.

 

Art. 10. 

Al fine di promuovere la richiesta di cui all’articolo 4 da parte di cinque consigli regionali, il consiglio regionale che intende assumere l’iniziativa deve adottare apposita deliberazione.

 

La deliberazione di richiedere referendum deve essere approvata dal consiglio regionale con il voto della maggioranza dei consiglieri assegnati alla regione, e deve contenere l’indicazione della legge costituzionale nei confronti della

 

quale si vuole promuovere il referendum, con gli elementi di identificazione stabiliti nell’articolo 4.

 

Quando abbia approvato tale deliberazione, il consiglio stesso procede alla designazione tra i suoi membri di un delegato effettivo e di uno supplente agli effetti stabiliti nella presente legge.

 

Tali deliberazioni sono comunicate, a cura della segreteria del consiglio che per primo le ha approvate, ai consigli regionali di tutte le altre regioni della Repubblica, con l’invito, ove adottino uguale deliberazione, a darne notizia al consiglio che ha preso l’iniziativa, perché vi dia seguito.

 

Le segreterie dei consigli regionali che abbiano adottato tale deliberazione e abbiano nominato i propri delegati ne danno comunicazione alla segreteria del consiglio che ha preso l’iniziativa, perché vi sia dato seguito.

 

Art. 11. 

I delegati di non meno di cinque consigli regionali, che abbiano approvato identica deliberazione, redigono o sottoscrivono l’atto di richiesta, e lo presentano personalmente, entro tre mesi dalla pubblicazione di cui all’articolo 3, alla cancelleria della Corte di cassazione, unitamente alle copie autentiche delle deliberazioni di richiesta di referendum e di nomina di delegati approvate da ciascun consiglio regionale.

 

Del deposito si dà atto in processo verbale con le modalità stabilite dal terzo e dal quarto comma dell’articolo 6. Esso viene redatto in sei o più originali, in modo che un originale possa essere consegnato al delegato di ciascun consiglio regionale.

 

Art. 12.

Presso la Corte di cassazione è costituito un ufficio centrale per il referendum, composto dai tre presidenti di sezione della Corte di cassazione più anziani nonché dai tre consiglieri più anziani di ciascuna sezione. Il più anziano dei tre presidenti presiede l’ufficio e gli altri due esercitano le funzioni di vice presidente (6).

 

L’Ufficio centrale per il referendum verifica che la richiesta di referendum sia conforme alle norme dell’articolo 138 della Costituzione e della legge.

 

L’Ufficio centrale decide, con ordinanza, sulla legittimità della richiesta entro 30 giorni dalla sua presentazione. Esso contesta, entro lo stesso termine, ai presentatori le eventuali irregolarità. Se, in base alle deduzioni dei presentatori da depositarsi entro 5 giorni, l’Ufficio ritiene legittima la richiesta, l’ammette. Entro lo stesso termine di 5 giorni, i presentatori possono dichiarare all’Ufficio che essi intendono sanare le irregolarità contestate, ma debbono provvedervi entro il termine massimo di venti giorni dalla data dell’ordinanza. Entro le successive 48 ore l’Ufficio centrale si pronuncia definitivamente sulla legittimità della richiesta.

 

Per la validità delle operazioni dell’ufficio centrale per il referendum è sufficiente la presenza del presidente o di un vice presidente e di sedici consiglieri (7).

 

 

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(6)  Comma così sostituito dall’art. 1, D.L. 1° luglio 1975, n. 264 (Gazz. Uff. 3 luglio 1975, n. 175) convertito in legge con L. 25 luglio 1975, n. 351 (Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212).

(7)  Comma così sostituito dall’art. 2, D.L. 1° luglio 1975, n. 264 (Gazz. Uff. 3 luglio 1975, n. 175) convertito in legge con L. 25 luglio 1975, n. 351 (Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212).

 

Art. 13.

L’ordinanza dell’Ufficio centrale che decide sulla legittimità della richiesta di referendum è immediatamente comunicata al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Presidente della Corte costituzionale. Essa deve essere notificata a mezzo ufficiale giudiziario, entro cinque giorni, rispettivamente ai tre delegati dei parlamentari richiedenti, oppure ai presentatori della richiesta dei 500 mila elettori, oppure ai delegati dei cinque consigli regionali.

 

Art. 14. 

Qualora l’ordinanza dell’Ufficio centrale dichiari l’illegittimità della richiesta, la legge costituzionale, sempreché sia decorso il termine di tre mesi dalla pubblicazione di cui all’articolo 3, viene promulgata dal Presidente della Repubblica con la seguente formula:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica con la maggioranza assoluta dei rispettivi componenti hanno approvato;

 

La richiesta di referendum presentata in data ... è stata dichiarata illegittima dall’Ufficio centrale della Corte di cassazione con sua ordinanza in data. . .;

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge costituzionale:

 

(Testo della legge)

 

La presente legge costituzionale, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

 

Art. 15. 

Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo abbia ammesso.

 

La data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione.

 

Qualora sia intervenuta la pubblicazione a norma dell’articolo 3, del testo di un’altra legge di revisione della Costituzione o di un’altra legge costituzionale, il Presidente della Repubblica può ritardare, fino a sei mesi oltre il termine previsto dal primo comma del presente articolo, la indizione del referendum, in modo che i due referendum costituzionali si svolgano contemporaneamente con unica convocazione degli elettori per il medesimo giorno.

 

Art. 16.

Il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente: «Approvato il testo della legge di revisione dell’articolo... (o degli articoli ...) della Costituzione, concernente ... (o concernenti ...), approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero ... del ... ?»; ovvero: «Approvate il testo della legge costituzionale ... concernente ... approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero ... del ... ?».

 

Art. 17. 

La votazione per il referendum si svolge a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto.

 

L’elettorato attivo, la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali, la ripartizione dei comuni in sezioni elettorali e la scelta dei luoghi di riunione sono disciplinati dalle disposizioni del testo unico 20 marzo 1967, n. 223.

 

Art. 18.

 [I certificati di iscrizione nelle liste elettorali sono compilati entro il trentesimo giorno successivo a quello di pubblicazione del decreto che indice il referendum e sono consegnati agli elettori entro il quarantesimo giorno dalla pubblicazione medesima.

 

I certificati non recapitati al domicilio degli elettori ed i duplicati possono essere ritirati presso l’ufficio comunale dagli elettori medesimi, a decorrere dal quarantacinquesimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto anzidetto] (8).

 

 

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(8)  Articolo abrogato dall’art. 15, D.P.R. 8 settembre 2000, n. 299.

 

Art. 19.

L’Ufficio di sezione per il referendum è composto di un presidente, di tre scrutatori, di cui uno, a scelta del presidente, assume le funzioni di vicepresidente, e di un segretario.

 

Alle operazioni di voto e di scrutinio presso i seggi, nonché alle operazioni degli Uffici provinciali e dell’Ufficio centrale per il referendum possono assistere, ove lo richiedano, un rappresentante effettivo ed un rappresentante supplente di ognuno dei partiti, o dei gruppi politici rappresentati in Parlamento, e dei promotori del referendum.

 

Alle designazioni dei predetti rappresentanti provvede, per i seggi e per gli Uffici provinciali, persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario provinciale del partito o gruppo politico oppure da parte dei promotori del referendum e, per l’Ufficio centrale del referendum, persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario nazionale del partito o del gruppo politico o dei promotori del referendum.

 

Art. 20.

Le schede per il referendum, di carta consistente, di tipo unico e di identico colore, sono fornite dal Ministero dell’interno con le caratteristiche risultanti dai modelli riprodotti nelle tabelle A e B allegate alla presente legge.

 

Esse contengono il quesito formulato a termini dell’articolo 16, letteralmente riprodotto a caratteri chiaramente leggibili.

 

Qualora nello stesso giorno debbano svolgersi più referendum costituzionali, all’elettore vengono consegnate più schede di colore diverso.

 

L’elettore vota tracciando sulla scheda con la matita un segno sulla risposta da lui prescelta o, comunque, nel rettangolo che la contiene.

 

Nel caso di cui al terzo comma, l’Ufficio di sezione per il referendum osserva, per gli scrutini, l’ordine di deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione delle richieste di referendum.

 

Art. 21.

Presso il tribunale, nella cui circoscrizione è compreso il capoluogo della provincia, è costituito l’Ufficio provinciale per il referendum, composto da tre magistrati, nominati dal presidente del tribunale entro quaranta giorni dalla data del decreto che indice il referendum. Dei tre magistrati il più anziano assume le funzioni di presidente. Sono nominati anche i magistrati supplenti per sostituire i primi in caso di impedimento.

 

Le funzioni di segretario sono esercitate da un cancelliere del tribunale, designato dal presidente del tribunale medesimo.

 

Sulla base dei verbali di scrutinio, trasmessi dagli uffici di sezione per il referendum di tutti i comuni della provincia, l’Ufficio provinciale per il referendum dà atto del numero degli elettori che hanno votato e dei risultati del referendum, dopo aver provveduto al riesame dei voti contestati e provvisoriamente non assegnati.

 

Di tutte le operazioni è redatto verbale in tre esemplari, dei quali uno resta depositato presso la cancelleria del tribunale, unitamente ai verbali di votazione e di scrutinio degli uffici di sezione per il referendum e ai documenti annessi; uno viene inviato, per mezzo di corriere speciale, all’Ufficio centrale per il referendum, ed uno viene trasmesso alla prefettura della provincia (9).

 

I delegati o i promotori della richiesta di referendum hanno la facoltà di prendere cognizione e di fare copia, anche per mezzo di un loro incaricato, dell’esemplare del verbale depositato presso la cancelleria del tribunale (10).

 

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(9)  Comma così sostituito dall’art. 1, D.L. 9 marzo 1995, n. 67.

(10)  Vedi, anche, l’art. 21, D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104.

 

 

Art. 22. 

L’Ufficio centrale per il referendum, appena pervenuti i verbali di tutti gli Uffici provinciali, procede, in pubblica adunanza, con l’intervento del procuratore generale della Corte di cassazione, facendosi assistere per l’esecuzione materiale dei calcoli da esperti designati dal primo presidente, all’accertamento della somma dei voti validi favorevoli e dei voti validi contrari alla legge di revisione costituzionale o alla legge costituzionale su cui si vota e alla conseguente proclamazione dei risultati del referendum.

 

Le funzioni di segretario sono esercitate dal cancelliere capo della Corte di cassazione, che redige il verbale delle operazioni in cinque esemplari.

 

Un esemplare è depositato presso la cancelleria della Corte di cassazione, unitamente ai verbali trasmessi dagli Uffici provinciali per il referendum. I rimanenti esemplari sono trasmessi rispettivamente al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere ed al Ministro per la grazia e la giustizia.

 

Se lo ritiene necessario ai fini delle operazioni e della proclamazione di cui al primo comma, l’Ufficio centrale per il referendum richiede agli uffici provinciali la trasmissione, per mezzo di corriere speciale, dei verbali e dei documenti depositati presso la cancelleria del tribunale (11).

 

 

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(11)  Articolo così modificato dall’art. 1, D.L. 9 marzo 1995, n. 67.

 

Art. 23. 

Sulle proteste e sui reclami relativi alle operazioni di votazione e di scrutinio presentati agli Uffici provinciali per il referendum o all’Ufficio centrale, decide quest’ultimo, nella pubblica adunanza di cui all’articolo precedente, prima di procedere alle operazioni ivi previste.

 

Art. 24.

L’Ufficio centrale procede alla proclamazione dei risultati del referendum, mediante attestazione che la legge di revisione della Costituzione o la legge costituzionale sottoposta a referendum ha riportato, considerando i voti validi, un maggior numero di voti affermativi al quesito e un minor numero di voti negativi, ovvero, in caso contrario, che il numero di voti affermativi non è maggiore del numero dei voti negativi.

 

Art. 25.

Il Presidente della Repubblica, in base al verbale che gli è trasmesso dall’Ufficio centrale per il referendum, qualora risulti che la legge sottoposta a referendum, abbia riportato un maggior numero di voti validi favorevoli, procede alla promulgazione con la formula seguente:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato;

 

Il referendum indetto in data. . .ha dato risultato favorevole;

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge costituzionale:

 

(Testo della legge)

 

La presente legge costituzionale, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato).

 

Art. 26. 

Nel caso in cui il risultato del referendum sia sfavorevole all’approvazione della legge il Ministro per la grazia e la giustizia, dopo aver ricevuto la relativa comunicazione dall’Ufficio centrale per il referendum, cura la pubblicazione del risultato medesimo nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

TITOLO II

Referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione

 

Art. 27. 

Al fine di raccogliere le firme dei 500.000 elettori necessari per il referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione, nei fogli vidimati dal funzionario, di cui all’articolo 7, si devono indicare i termini del quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare, e la legge o l’atto avente forza di legge dei quali si propone l’abrogazione, completando la formula volete che sia abrogata. . .» con la data, il numero e il titolo della legge o dell’atto avente valore di legge sul quale il referendum sia richiesto.

 

Qualora si richieda referendum per abrogazione parziale, nella formula indicata al precedente comma deve essere inserita anche l’indicazione del numero dell’articolo o degli articoli sui quali referendum sia richiesto.

 

Qualora si richieda referendum per la abrogazione di parte di uno o più articoli di legge, oltre all’indicazione della legge e dell’articolo di cui ai precedenti commi primo e secondo, deve essere inserita l’indicazione del comma, e dovrà essere altresì integralmente trascritto il testo letterale delle disposizioni di legge delle quali sia proposta l’abrogazione.

 

Art. 28. 

Salvo il disposto dell’articolo 31, il deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori deve essere effettuato entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi a norma dell’articolo 7, ultimo comma. Tale deposito deve essere effettuato da almeno tre dei promotori, i quali dichiarano al cancelliere il numero delle firme che appoggiano la richiesta.

 

Art. 29. 

Nel caso di richiesta del referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione da parte di non meno di cinque consigli regionali, la richiesta stessa deve contenere, oltre al quesito e all’indicazione delle disposizioni di legge delle quali si propone la abrogazione ai sensi del predetto articolo, l’indicazione dei consigli regionali che abbiano deliberato di presentarla, della data della rispettiva deliberazione, che non deve essere anteriore di oltre quattro mesi alla presentazione, e dei delegati di ciascun consiglio, uno effettivo e uno supplente; deve essere sottoscritta dai delegati, e deve essere corredata da copia di dette deliberazioni, sottoscritta dal presidente di ciascun consiglio.

 

Art. 30. 

La deliberazione di richiedere referendum deve essere approvata dal Consiglio regionale con il voto della maggioranza dei consiglieri assegnati alla regione e deve contenere l’indicazione della legge o della norma della quale si proponga l’abrogazione, in conformità delle prescrizioni dell’articolo 27.

 

Qualora la deliberazione di richiedere il referendum sia approvata da altri consigli regionali con modificazione del quesito, questi procedono come iniziatori di nuova proposta.

 

Art. 31. 

Non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime.

 

Art. 32.

Salvo il disposto dell’articolo precedente, le richieste di referendum devono essere depositate in ciascun anno dal 1° gennaio al 30 settembre.

 

Alla scadenza del 30 settembre l’Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione a norma dell’articolo 12 esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse siano conformi alle norme di legge, esclusa la cognizione dell’ammissibilità, ai sensi del secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione, la cui decisione è demandata dall’articolo 33 della presente legge alla Corte costituzionale.

 

Entro il 31 ottobre l’Ufficio centrale rileva, con ordinanza, le eventuali irregolarità delle singole richieste, assegnando ai delegati o presentatori un termine, la cui scadenza non può essere successiva al venti novembre per la sanatoria, se consentita, delle irregolarità predette e per la presentazione di memorie intese a contestarne l’esistenza.

 

Con la stessa ordinanza l’Ufficio centrale propone la concentrazione di quelle, tra le richieste depositate, che rivelano uniformità o analogia di materia.

 

L’ordinanza deve essere notificata ai delegati o presentatori nei modi e nei termini di cui all’articolo 13. Entro il termine fissato nell’ordinanza i rappresentanti dei partiti, dei gruppi politici e dei promotori del referendum, che siano stati eventualmente designati a norma dell’articolo 19, hanno facoltà di presentare per iscritto le loro deduzioni.

 

Successivamente alla scadenza del termine fissato nell’ordinanza ed entro il 15 dicembre, l’Ufficio centrale decide, con ordinanza definitiva, sulla legittimità di tutte le richieste depositate, provvedendo alla concentrazione di quelle tra esse che rivelano l’uniformità o analogia di materia e mantenendo distinte le altre, che non presentano tali caratteri. L’ordinanza deve essere comunicata e notificata a norma dell’articolo 13.

 

L’Ufficio centrale stabilisce altresì, sentiti i promotori, la denominazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna delle schede di votazione, al fine dell’identificazione dell’oggetto del referendum (12).

 

 

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(12)  Comma aggiunto dall’art. 1, L. 17 maggio 1995, n. 173.

 

Art. 33.

Il presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale che dichiara la legittimità di una o più richieste di referendum, fissa il giorno della deliberazione in camera di consiglio non oltre il 20 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la predetta ordinanza è stata pronunciata, e nomina il giudice relatore.

 

Della fissazione del giorno della deliberazione è data comunicazione di ufficio ai delegati o presentatori e al Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Non oltre tre giorni prima della data fissata per la deliberazione, i delegati e i presentatori e il Governo possono depositare alla Corte memorie sulla legittimità costituzionale delle richieste di referendum.

 

La Corte costituzionale, a norma dell’articolo 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, decide con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio, quali tra le richieste siano ammesse e quali respinte, perché contrarie al disposto del secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione.

 

Della sentenza è data di ufficio comunicazione al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

 

 

 

34.  Ricevuta comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

 

Nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse.

 

I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione (13).

 

 

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(13)  Vedi, anche, la L. 7 agosto 1987, n. 332.

 

 

Art. 35.

Le schede per il referendum sono di carta consistente, di tipo unico e di identico colore: sono fornite dal Ministero dell’interno con le caratteristiche risultanti dal modello riprodotto nelle tabelle C e D allegate alla presente legge.

 

Esse contengono il quesito formulato nella richiesta di referendum, letteralmente riprodotto a caratteri chiaramente leggibili.

 

All’elettore vengono consegnate per la votazione tante schede di colore diverso quante sono le richieste di referendum che risultano ammesse.

 

L’elettore vota tracciando sulla scheda con la matita un segno sulla risposta da lui prescelta e, comunque, nel rettangolo che la contiene.

 

Art. 36.

L’Ufficio centrale per il referendum, appena pervenuti i verbali, procede, in pubblica adunanza con l’intervento del procuratore generale della Corte di cassazione, facendosi assistere, per l’esecuzione materiale dei calcoli, da esperti designati dal primo presidente, all’accertamento della partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto, alla somma dei voti validi favorevoli e dei voti validi contrari all’abrogazione della legge, e alla conseguente proclamazione dei risultati del referendum.

 

Se lo ritiene necessario ai fini delle operazioni e della proclamazione di cui al primo comma, l’Ufficio centrale per il referendum richiede agli uffici provinciali la trasmissione, per mezzo di corriere speciale, dei verbali e dei documenti depositati presso la cancelleria del tribunale (14).

 

 

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(14)  Articolo così modificato dall’art. 1, D.L. 9 marzo 1995, n. 67.

 

Art. 37. 

Qualora il risultato del referendum sia favorevole all’abrogazione di una legge, o di un atto avente forza di legge, o di singole disposizioni di essi, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’avvenuta abrogazione della legge, o dell’atto avente forza di legge, o delle disposizioni suddette.

 

Il decreto è pubblicato immediatamente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana.

 

L’abrogazione ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale. Il Presidente della Repubblica nel decreto stesso, su proposta del Ministro interessato, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, può ritardare l’entrata in vigore della abrogazione per un termine non superiore a 60 giorni dalla data della pubblicazione (15).

 

 

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(15)  Vedi, anche, la L. 7 agosto 1987, n. 332.

 

Art. 38. 

Nel caso che il risultato del referendum sia contrario all’abrogazione di una legge, o di un atto avente forza di legge, o di singole disposizioni di essi, ne è data notizia e non può proporsi richiesta di referendum per l’abrogazione della medesima legge, o atto avente forza di legge, o delle disposizioni suddette, fermo il disposto dell’articolo 31, prima che siano trascorsi cinque anni.

 

Art. 39. 

Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso (16).

 

 

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(16)  La Corte costituzionale, con sentenza 16-17 maggio 1978, n. 68 (Gazz. Uff. 19 maggio 1978, n. 138) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente art. 39 limitatamente alla parte in cui non prevede che se l’abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative.

 

Art. 40. 

Per quanto non previsto dal presente Titolo si osservano, in quanto applicabili, le norme di cui al Titolo I.

 

 

TITOLO III

Referendum per la modificazione territoriale delle regioni previsti dall’articolo 132 della Costituzione

 

Art. 41. 

I quesiti da sottoporre a referendum, a norma dell’articolo 132 della Costituzione, per la fusione di regioni esistenti o per la creazione di nuove regioni o per il distacco da una regione e l’aggregazione ad altra di una o più province o di uno o più comuni, devono essere espressi, rispettivamente, con la formula: «Volete che la regione. . . sia fusa con la regione. . . per costituire insieme un’unica regione?»; oppure: «Volete che il territorio delle province. . . (o dei comuni. . .) sia separato dalla regione. . . (o dalle regioni. . .) per formare regione a sé stante?»; oppure: «Volete che il territorio della provincia. . . (o delle province. . .) sia separato dalla regione. . . per entrare a far parte integrante della regione. . .?»; oppure: «Volete che il territorio del comune. . . (o dei comuni. . .) sia separato dalla regione. . . per entrare a far parte integrante della regione. . .?», e l’indicazione delle regioni, delle province e dei comuni di cui trattasi. Può essere inserita l’indicazione del nome della nuova regione della quale si proponga la costituzione per fusione o per separazione.

 

Art. 42. 

La richiesta di referendum per la fusione di regioni deve essere corredata delle deliberazioni, identiche per l’oggetto, di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione complessiva delle regioni della cui fusione si tratta.

 

La richiesta del referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se diretta alla creazione di una regione a se stante, deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o comuni predetti. Se la richiesta di distacco è diretta all’aggregazione di province o comuni ad altra regione, dovrà inoltre essere corredata delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati (17).

 

Le deliberazioni di cui ai commi precedenti, concernenti il medesimo referendum, debbono recare la designazione di uno stesso delegato effettivo e di uno stesso supplente, nonché la riproduzione testuale del quesito da sottoporre a referendum.

 

La richiesta di referendum deve essere depositata presso la cancelleria della Corte di cassazione da uno dei delegati, effettivo o supplente, il quale elegge domicilio in Roma.

 

È consentito che il deposito delle deliberazioni, prescritte a corredo della richiesta, sia effettuato dai delegati nel periodo di tre mesi a partire dalla data di deposito della richiesta stessa. Le deliberazioni dovranno essere adottate non oltre tre mesi prima della data del rispettivo deposito.

 

 

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(17)  La Corte costituzionale, con sentenza 28 ottobre - 10 novembre 2004, n. 334 (Gazz. Uff. 17 novembre 2004, n. 45 - Prima serie speciale) ha dichiarato l’illegittimità del presente comma, nella parte in cui prescrive che la richiesta di referendum per il distacco di una Provincia o di un Comune da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione deve essere corredata - oltre che delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli Provinciali e dei consigli comunali delle Province e dei Comuni di cui si propone il distacco - anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, «di tanti consigli Provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco delle Province o dei Comuni predetti» e «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della Regione alla quale si propone che le Province o i Comuni siano aggregati».

 

Art. 43. 

L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione secondo le norme dell’articolo 12, accerta che la richiesta di referendum sia conforme alle norme dell’articolo 132 della Carta costituzionale e della legge, verificando in particolare che sia raggiunto il numero minimo prescritto dalle deliberazioni depositate.

 

L’ordinanza dell’Ufficio centrale che dichiara la legittimità della richiesta di referendum è immediatamente comunicata al Presidente della Repubblica e al Ministro per l’interno, nonché al delegato che ha provveduto al deposito.

 

L’ordinanza che dichiara illegittima la richiesta è affissa all’albo della Corte di cassazione e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

 

Art. 44.

Il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro tre mesi dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara la legittimità della richiesta, per una data di non oltre tre mesi da quella del decreto.

 

L’indizione del referendum può tuttavia essere ritardata di non oltre un anno, allo scopo di far coincidere la convocazione degli elettori per dello referendum con quella per il referendum costituzionale di cui all’art. 138 della Costituzione.

 

Il referendum è indetto nel territorio delle regioni della cui fusione si tratta, o nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi per formare regione a sé stante. Nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione, il referendum è indetto sia nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi, sia nel territorio della regione alla quale le province o i comuni intendono aggregarsi.

 

Partecipano alla votazione tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali di cui al testo unico 20 marzo 1967, numero 223, dei comuni compresi nel territorio anzidetto.

 

Art. 45. 

L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, procede alla somma dei risultati del referendum relativi a tutto il territorio nel quale esso si è svolto, e ne proclama il risultato.

 

La proposta sottoposta a referendum è dichiarata approvata, nel caso che il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito del referendum non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum, altrimenti è dichiarata respinta.

 

Un esemplare del verbale dell’Ufficio centrale per il referendum è depositato presso la cancelleria della Corte di cassazione, unitamente ai verbali, trasmessi dagli Uffici provinciali del referendum. Altri esemplari del verbale sono trasmessi al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti delle due Camere e ai presidenti delle regioni interessate; del risultato del referendum è data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica a cura del Presidente del Consiglio dei Ministri (18).

 

Nel caso di approvazione della proposta sottoposta a referendum, il Ministro per l’interno, entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di cui al precedente comma, presenta al Parlamento il disegno di legge costituzionale o ordinaria di cui all’articolo 132 della Costituzione.

 

Qualora la proposta non sia approvata, non può essere rinnovata prima che siano trascorsi cinque anni.

 

 

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(18)  Comma così modificato dall’art. 1, D.L. 9 marzo 1995, n. 67.

 

Art. 46. 

La promulgazione della legge costituzionale prevista dall’articolo 132, primo comma, della Costituzione, nell’ipotesi di approvazione da parte delle camere con la maggioranza indicata nel terzo comma dell’articolo 138 della Costituzione, è espressa con la formula seguente:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, a seguito del risultato favorevole del referendum indetto in data . . ., in seconda votazione e con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Assemblea, hanno approvato;

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge costituzionale:

 

(Testo della legge)

 

La presente legge costituzionale, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato».

 

Si applicano le disposizioni dell’articolo 3 e seguenti della presente legge nel caso in cui la legge costituzionale sia stata approvata in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera.

 

La promulgazione della legge ordinaria prevista dall’art. 132, secondo comma della Costituzione è espressa con la formula seguente:

 

«La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, a seguito del risultato favorevole al referendum indetto in data. . ., hanno approvato;

 

Il Presidente della Repubblica promulga la seguente legge:

 

 

(Testo della legge)

 

 

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato».

 

Art. 47.

 Per quanto non previsto dal presente Titolo si osservano, in quanto applicabili, le norme di cui ai Titoli I e II.

 

 

TITOLO IV

Iniziativa del popolo nella formazione delle leggi

 

Art. 48. 

La proposta, da parte di almeno 50 mila elettori, dei progetti di legge ai sensi dell’articolo 71, comma secondo, della Costituzione, deve essere presentata, corredata delle firme degli elettori proponenti, al Presidente di una delle due Camere.

 

Spetta a tale Camera provvedere alla verifica ed al computo delle firme dei richiedenti al fine di accertare la regolarità della richiesta.

 

Possono essere proponenti i cittadini iscritti nelle liste elettorali, previste dal testo unico 20 marzo 1967, n. 223, e coloro che siano muniti di una delle sentenze di cui al primo ed all’ultimo comma dell’articolo 45 del testo anzidetto.

 

Art. 49.

 La proposta deve contenere il progetto redatto in articoli, accompagnato da una relazione che ne illustri le finalità e le norme.

 

Si applicano, per ciò che riguarda le firme dei proponenti, la loro autenticazione e i certificati da allegare alla proposta, le disposizioni degli articoli 7 e 8.

 

I fogli recanti le firme debbono riprodurre a stampa il testo del progetto ed essere vidimati secondo il disposto dell’articolo 7. Non sono validi i fogli che siano stati vidimati oltre sei mesi prima della presentazione della proposta.

 

Se il testo del progetto supera le tre facciate di ogni foglio, esso va contenuto in un foglio unito a quello contenente le firme, in modo che non possa essere distaccato, e da vidimarsi contemporaneamente a quello.

 

 

TITOLO V

Disposizioni finali

 

Art. 50. 

Per tutto ciò che non è disciplinato nella presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 nonché, per i cittadini italiani residenti all’estero, le disposizioni della legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero (19).

 

 

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(19)  Articolo così modificato dall’art. 23, L. 27 dicembre 2001, n. 459.

 

Art. 51. 

Le disposizioni penali, contenute nel Titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge.

 

Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei Titoli I, II e III della presente legge.

 

Le sanzioni previste dall’articolo 103 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti previsti nell’articolo medesimo riguardino espressioni di voto relative all’oggetto del referendum (20).

 

 

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(20)  La competenza in riferimento alle fattispecie punite a norma del presente articolo è stata attribuita al giudice di pace, ai sensi di quanto disposto dall’art. 4, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con la decorrenza indicata nell’art. 65 dello stesso decreto. Per la misura delle sanzioni vedi l’art. 52 del suddetto D.Lgs. n. 274 del 2000.

 

Art. 52. 

Alla propaganda relativa allo svolgimento dei referendum previsti dalla presente legge si applicano le disposizioni contenute nelle leggi 4 aprile 1956, n. 212 e 24 aprile 1975, numero 130 (21).

 

Le facoltà riconosciute dalle disposizioni delle predette leggi ai partiti o gruppi politici che partecipano direttamente alla competizione elettorale si intendono attribuite ai partiti o gruppi politici che siano rappresentati in Parlamento nonché i promotori del referendum, questi ultimi considerati come gruppo unico (22).

 

Qualora abbiano luogo contemporaneamente più referendum, a ciascun partito o gruppo politico che sia rappresentato in Parlamento, ai promotori di ciascun referendum e a coloro che presentino domanda ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 aprile 1956, n. 212, sostituito dall’articolo 3 della legge 24 aprile 1975, n. 130, spetta un unico spazio agli effetti delle affissioni dei manifesti di propaganda da richiedersi con unica domanda (23).

 

In ogni caso deve essere rivolta istanza alla giunta municipale entro il trentaquattresimo giorno antecedente alla data della votazione per l’assegnazione dei prescritti spazi (24).

 

 

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(21)  Gli attuali commi primo, secondo e terzo così sostituiscono gli originari commi primo e secondo per effetto dell’art. 3, L. 22 maggio 1978, n. 199.

(22)  Gli attuali commi primo, secondo e terzo così sostituiscono gli originari commi primo e secondo per effetto dell’art. 3, L. 22 maggio 1978, n. 199.

(23)  Gli attuali commi primo, secondo e terzo così sostituiscono gli originari commi primo e secondo per effetto dell’art. 3, L. 22 maggio 1978, n. 199.

(24)  Vedi, anche, l’art. 8, D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104.

 

Art. 53. 

Le spese per lo svolgimento dei referendum di cui ai Titoli I e II della presente legge sono a carico dello Stato.

 

Le spese relative agli adempimenti di spettanza dei comuni, nonché quelle per le competenze dovute ai componenti dei seggi elettorali sono anticipate dai comuni e rimborsate dallo Stato.

 

Per le aperture di credito inerenti al pagamento delle spese di cui ai precedenti commi è autorizzata la deroga alle limitazioni previste dall’articolo 56 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440.

 

Le spese relative alle operazioni di cui al Titolo III sono a carico degli enti locali interessati, in proporzione alla rispettiva popolazione. Il relativo riparto viene reso esecutorio con decreto del Ministro per l’interno.

 

Tabelle A, B, C, D, E, F (25)

 

 

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(25)  Tabelle prima sostituite dall’art. 5, L. 22 maggio 1978, n. 199, e poi da quelle contrassegnate con le lettere N, O, P, Q, allegate alla L. 13 marzo 1980, n. 70.

 


Giurisprudenza costituzionale

 


 

Sentenza n. 334 del 28 ottobre 2004

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori: Presidente: Carlo MEZZANOTTE; Giudici: Fernanda CONTRI, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso Quaranta, Franco GALLO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), promosso con ordinanza del 23 gennaio 2004 dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione sulla richiesta di referendum presentata dal Comune di San Michele al Tagliamento, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 2004 il Giudice relatore Franco Bile.

 

Ritenuto in fatto

A seguito della presentazione da parte del Comune di San Michele al Tagliamento della richiesta di referendum per il distacco del medesimo Comune dalla Regione Veneto e per la sua aggregazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha sollevato – in riferimento all’art. 132, secondo comma, della Costituzione (come modificato dall’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) – questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), nella parte in cui prescrive che le richieste di referendum per il distacco da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione di una o più Province o di uno o più Comuni debbano essere corredate delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, di tanti consigli di Province o di Comuni che rappresentino almeno un terzo delle restanti popolazioni delle Regioni investite dall’avviato procedimento di distacco-aggregazione.

L’Ufficio rimettente ritiene la questione rilevante ai fini della pronuncia da adottare sulla citata richiesta, che dovrebbe essere dichiarata illegittima, perché non corredata di tutte le deliberazioni dei consigli comunali cui la norma impugnata fa riferimento, mentre sarebbe pacificamente legittima in caso di pronunciata incostituzionalità.

E nel merito – premesso di avere, nel corso del medesimo procedimento, dichiarato manifestamente infondata identica questione, che il Comune di San Michele al Tagliamento aveva chiesto di sollevare – rileva che quella soluzione deve essere rimeditata alla luce della motivazione dell’ordinanza n. 343 del 2003, con cui questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal delegato del medesimo Comune, per censurare il mancato adeguamento degli artt. 42 e segg. della legge n. 352 del 1970 al nuovo testo dell’art. 132 Cost.; l’ordinanza aveva infatti definito «significativa» la portata della «riforma dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

Secondo l’Ufficio – poiché il testo novellato dell’art. 132, secondo comma, Cost. dispone che «si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra» – se ne ricava che il legislatore costituzionale ha inteso riservare unicamente agli enti territoriali, richiedenti il proprio distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra, l’iniziativa della promozione del referendum prodromico alla variazione dell’assetto territoriale regionale, ed escludere, quindi, qualsiasi partecipazione a tale iniziativa di altri enti rappresentativi di popolazioni solo indirettamente interessate a tale variazione. La conclusione è avvalorata dal rilievo che l’eventuale esito positivo del referendum non ha efficacia automatica in ordine alla modifica dell’assetto territoriale, ma integra solo il presupposto necessario ma non vincolante di un successivo procedimento legislativo con il quale il Parlamento, sentito il parere obbligatorio dei consigli regionali, valuta discrezionalmente la praticabilità del proposto mutamento; onde l’interesse indiretto delle parti delle Regioni non coinvolte in esso trova adeguata tutela e considerazione proprio in questa ulteriore fase legislativa.

A giudizio del rimettente, dunque, si configurerebbe una sopravvenuta incompatibilità con l’evocato parametro della norma impugnata, nella parte in cui riserva anche ad enti diversi da quelli richiedenti il distacco-aggregazione un’indispensabile partecipazione alla promozione delle iniziative referendarie.

 

Considerato in diritto

1. – Chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di referendum proposta dal Comune di San Michele al Tagliamento per il distacco dalla Regione Veneto e per la sua aggregazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), nella parte in cui prescrive che le richieste di referendum per il distacco da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione di una o più Province o di uno o più Comuni debbano essere corredate delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, di tanti consigli di Province o di Comuni che rappresentino almeno un terzo delle restanti popolazioni delle Regioni investite dall’avviato procedimento di distacco-aggregazione.

Preso atto che la portata della «riforma dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», è stata definita «significativa» da questa Corte nell’ordinanza n. 343 del 2003 – che per il resto ha dichiarato la manifesta inammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal delegato del medesimo Comune contro il Parlamento, per il mancato adeguamento degli artt. 42 e segg. della legge n. 352 del 1970 al nuovo testo dell’art. 132 Cost. – l’Ufficio rimettente (che pure, in precedenza, aveva ritenuto manifestamente infondata identica questione di legittimità costituzionale) ha ravvisato nella norma impugnata una sopravvenuta incompatibilità con tale parametro, nella parte in cui riserva un’indispensabile partecipazione alla promozione delle iniziative referendarie anche ad enti diversi da quelli richiedenti il distacco-aggregazione.

2. – La questione è fondata.

2.1. – Il secondo comma dell’art. 42 della legge n. 352 del 1970 prescrive che le richieste, da parte di Province o Comuni, di referendum per il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra devono essere corredate – oltre che delle deliberazioni dei consigli degli enti interessati alla modifica territoriale – anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, di tanti consigli provinciali o comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco (primo periodo); e di tanti consigli provinciali o comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della Regione alla quale si propone che gli enti siano aggregati (secondo periodo).

La norma impugnata – inserita nel contesto più generale della legge n. 352 del 1970, finalizzata a dare attuazione alle diverse previsioni costituzionali riguardanti i referendum e l’iniziativa legislativa popolare – è diretta, per la stessa definizione contenuta nella rubrica del titolo III della legge medesima, a consentire lo svolgimento dei procedimenti di fusione o di creazione di nuove Regioni previsti dal primo comma dell’art. 132 della Costituzione, nonché di distacco-aggregazione di Province o Comuni disposto dal secondo comma del medesimo art. 132.

Tuttavia – per ciò che più interessa specificamente l’oggetto dell’odierna questione di costituzionalità – la norma pone a carico dei richiedenti un onere di difficile e gravoso assolvimento.

L’elencazione di tali imprescindibili presupposti di proponibilità della richiesta referendaria già appariva non conforme all’originaria formulazione del capoverso dell’art. 132 Cost. (secondo cui «Si può, con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra»), in quanto accordava (e vincolava) l’iniziativa referendaria ad organi non previsti nel testo costituzionale e condizionava l’iniziativa dei titolari a quella, necessariamente congiunta, di tali soggetti.

Queste caratteristiche sono, peraltro, divenute ancor più evidenti e razionalmente ingiustificabili dopo la modifica (ad opera dell’art. 9 della legge cost. n. 3 del 2001) dell’art. 132 Cost., il cui secondo comma si limita oggi a prevedere che «Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra».

L’onerosità del procedimento strutturato dalla norma di legge attuativa si palesa eccessiva (in quanto non necessitata) rispetto alla determinazione ricavabile dalla nuova previsione costituzionale, e si risolve nella frustrazione del diritto di autodeterminazione dell’autonomia locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001.

Poiché il referendum previsto dalla disposizione costituzionale attualmente vigente mira a verificare se la maggioranza delle popolazioni dell’ente o degli enti interessati approvi l’istanza di distacco-aggregazione, deve coerentemente discenderne che la legittimazione a promuovere la consultazione referendaria spetta soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni diverse. Infatti, la riforma del parametro evocato ha inteso evitare che maggioranze non direttamente o immediatamente coinvolte nel cambiamento possano contrastare ed annullare finanche le determinazioni iniziali (neppure giunte al di là dello stadio di semplici richieste) di collettività che intendano rendersi autonome o modificare la propria appartenenza regionale.

Ad ogni modo, le valutazioni di tali altre popolazioni – anche di segno contrario alla variazione territoriale – trovano congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera presentazione della richiesta di referendum. Siccome infatti l’esito positivo del referendum, avente carattere meramente consultivo, sicuramente non vincola il legislatore statale alla cui discrezionalità compete di determinare l’effetto di distacco-aggregazione; e siccome nel procedimento di approvazione della legge della Repubblica la norma costituzionale citata inserisce la fase dell’audizione dei consigli delle Regioni coinvolte, proprio questa fase consente l’emersione e la valutazione degli interessi locali contrapposti (o anche non integralmente concordanti con quelli espressi attraverso la soluzione della rigida alternativa propria dell’istituto referendario). Sicché l’acquisizione e l’esame dei pareri dei consigli regionali avranno sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale.

2.2. – La specificità dell’ipotesi di variazione territoriale disciplinata dall’art. 132 Cost. non consente, viceversa, di mutuare l’accezione e l’estensione del concetto di “popolazioni interessate” individuato da questa Corte relativamente al procedimento, affatto diverso, di cui al successivo art. 133, secondo comma, che prevede l’istituzione di nuovi Comuni e la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni (cfr. sentenze n. 47 del 2003 e n. 94 del 2000). L’espressione “popolazioni interessate”, utilizzata da tale ultima norma costituzionale evoca un dato che può anche prescindere dal diretto coinvolgimento nella variazione territoriale; ed è stata intesa dalle sentenze citate come comprensiva sia dei gruppi direttamente coinvolti nella variazione territoriale, sia di quelli interessati in via mediata e indiretta.

Invece l’espressione “popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati”, utilizzata dal nuovo art. 132, secondo comma, inequivocamente si riferisce soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco-aggregazione.

2.3. – La norma impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui prescrive che la richiesta di referendum per il distacco di una Provincia o di un Comune da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione deve essere corredata – oltre che delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle Province e dei Comuni di cui si propone il distacco – anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti» e «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), nella parte in cui prescrive che la richiesta di referendum per il distacco di una Provincia o di un Comune da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione deve essere corredata - oltre che delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle Province e dei Comuni di cui si propone il distacco - anche delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti» e «di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione della regione alla quale si propone che le province o i comuni siano aggregati».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 2004.

F.to:

Carlo MEZZANOTTE, Presidente

Franco BILE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2004.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 


 

Sentenza n. 66 del 9 marzo 2007

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum del 12 aprile 2006; della deliberazione del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2006 e del decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2006 (Indizione dei referendum per il distacco del comune di Noasca dalla Regione Piemonte e la sua aggregazione alla Regione Valle d’Aosta, nonché per il distacco del Comune di Sovramonte dalla Regione Veneto e la sua aggregazione alla Regione Trentino-Alto Adige, a norma dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione), promosso con ricorso della Regione Valle d’Aosta notificato il 27 luglio e l’11 novembre 2006, depositato in cancelleria il 2 agosto e il 22 novembre 2006 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti tra enti 2006.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Giovanni Guzzetta e Francesco Saverio Marini per la Regione Valle d’Aosta e l’avvocato dello Stato Giovanni Pietro de Figueiredo per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 27 luglio 2006 e depositato il successivo 2 agosto, la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione agli atti prodromoci alla celebrazione del referendum, di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione, per il distacco del Comune di Noasca dalla Regione Piemonte e la sua aggregazione alla Regione ricorrente.

Il conflitto trae origine dall’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, depositata il 12 aprile 2006, con cui è stata dichiarata la legittimità della richiesta di referendum; dalla delibera del Consiglio dei ministri adottata nella riunione del 7 luglio 2006, con cui è stata approvata l’indizione del referendum; dal decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2006, con cui il referendum è stato indetto per il giorno 8 ottobre 2006.

Secondo la ricorrente, tali atti lederebbero il riparto delle competenze costituzionali e statutarie, previste, rispettivamente, dagli artt. 6, 57, terzo comma, e 116, primo comma, della Costituzione, e dagli artt. 1, secondo comma, 44, terzo comma, e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e dovrebbero, pertanto, essere annullati, previa declaratoria di non spettanza allo Stato del potere di «attivare il procedimento di modifica del territorio della Regione Valle d’Aosta ai sensi dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione».

La ricorrente afferma che il proprio territorio sarebbe stato sostanzialmente costituzionalizzato dall’art. 1, secondo comma, dello statuto, con riferimento alle circoscrizioni comunali che ne facevano parte alla data dell’11 marzo 1948, ovvero ai comuni individuati nella tabella allegata al decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 545 (Ordinamento amministrativo della Valle d’Aosta). Ne conseguirebbe, secondo la ricorrente, che modificazioni al territorio regionale potrebbero essere introdotte solo mediante il procedimento di revisione dello statuto previsto dall’art. 50 dello stesso, anziché in forza dell’art. 132, secondo comma, Cost.. Tale conseguenza discenderebbe anche dalla considerazione, secondo la quale la salvaguardia dell’equilibrio linguistico-culturale nella comunità valdostana farebbe escludere che tale equilibrio possa subire alterazioni per effetto della aggregazione di ulteriori comuni mediante una legge statale.

Inoltre, sempre secondo la prospettazione della Regione ricorrente, consentire la «indiscriminata possibilità di aggregazione» alla Valle d’Aosta implicherebbe la possibilità di un aumento della popolazione residente, con conseguente «incomprensibile penalizzazione» della Regione in sede di attribuzione dei seggi senatoriali su base regionale, posto che l’art. 57, secondo comma, Cost. assegna alla Valle d’Aosta un solo senatore.

Infine, in violazione dell’art. 44, terzo comma, dello statuto, il Consiglio dei ministri avrebbe deliberato l’indizione del referendum senza consentire che il Presidente della Regione potesse partecipare alla seduta.

In considerazione degli «effetti finanziari e politico-istituzionali» che deriverebbero dallo svolgimento della consultazione referendaria, la ricorrente chiede altresì la sospensione dell’efficacia degli atti oggetto di conflitto, ai sensi dell’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

Innanzitutto, l’Avvocatura osserva che la pretesa “costituzionalizzazione” del territorio valdostano non impedirebbe l’applicazione dell’art. 132 Cost. Il procedimento ivi contemplato dovrebbe, tuttavia, concludersi con una legge costituzionale, anziché con una legge ordinaria, secondo quanto già deciso a livello governativo in seguito al referendum concernente il distacco del Comune di Lamon dalla Regione Veneto e la conseguente richiesta di aggregazione dello stesso alla Regione Trentino-Alto Adige.

Ad avviso dell’Avvocatura, l’art. 132, secondo comma, si riferirebbe a tutte le Regioni, come emergerebbe dalla correlazione sia con il primo comma, che con l’art. 131 Cost., che reca l’elenco di tutte le Regioni.

Inoltre, la stessa sentenza n. 334 del 2004 di questa Corte, relativa ad un caso di richiesta di distacco di un comune dalla Regione Veneto alla Regione Friuli-Venezia Giulia, confermerebbe l’applicabilità a tutte le Regioni dell’art. 132, secondo comma, Cost.

Tale disposizione costituzionale sarebbe tesa a tutelare «l’autonomia delle popolazioni locali», anche in riferimento all’autonomia regionale; anche per le Regioni a statuto speciale, il procedimento di cui all’art. 132 della Costituzione varrebbe a garantire l’autonomia locale, fermo restando che gli interessi regionali trovano spazio nella fase successiva allo svolgimento del referendum.

Dato che il procedimento referendario interessa la “sfera di autonomia” della sola comunità locale, sarebbe naturale escludere il Presidente della Regione dalla seduta del Consiglio dei ministri nella quale si debba deliberare l’indizione del referendum.

3. – La Regione Valle d’Aosta, in prossimità dell’udienza del 9 novembre 2006, ha depositato memoria, con la quale ribadisce le proprie tesi e replica analiticamente alle argomentazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato.

4. – Con ordinanza pronunciata nella predetta udienza, questa Corte ha deciso che la Regione ricorrente dovesse notificare il ricorso anche all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 27 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

5. – Regolarmente effettuata detta notifica senza che l’Ufficio centrale per il referendum provvedesse poi a costituirsi in giudizio, in prossimità dell’udienza pubblica del 6 febbraio 2007, la Regione Valle d’Aosta ha depositato ulteriore memoria, con la quale dà conto, anzitutto, che il referendum nel Comune di Noasca si è svolto con esito positivo e che il Governo ha successivamente deliberato uno schema di disegno di legge costituzionale, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, Cost., sul quale ha sollecitato l’espressione del parere da parte del Consiglio regionale.

Tale procedimento, ad avviso della Regione Valle d’Aosta, prevedendo un mero parere non vincolante del Consiglio regionale, non sarebbe in grado di soddisfare in modo adeguato le esigenze del coinvolgimento regionale.

La incongruità dell’applicazione dell’art. 132, secondo comma Cost. con il successivo innesto dell’approvazione di una legge costituzionale, sarebbe evidente anche sotto ulteriori punti di vista: anzitutto, «si finirebbe per ritenere una normativa di rango costituzionale “speciale” – quella statutaria, per l’appunto – come incomprensibilmente “derogata” da una norma di portata “generale”, quale è quella recata dall’art. 132 Cost.»; in secondo luogo, nel secondo comma dell’art. 132 Cost. il riferimento ad «una legge della Repubblica» sarebbe da intendere «com’è fatto palese dal contesto della disposizione, nel senso di legge ordinaria», mentre la utilizzazione dell’art. 138 Cost. porterebbe a «fondere e confondere due differenziati procedimenti, nonostante il Costituente li abbia invece voluti distinti».

Addirittura, osserva la ricorrente, la variazione territoriale così prodotta, dovrebbe essere ritenuta «non più modificabile nell’unica forma di revisione statutaria ammessa dal sistema, vale a dire quella ex art. 50 dello Statuto speciale», che pure fa riferimento al procedimento dell’art. 138 Cost.

La Regione ricorrente si sofferma, altresì, sulla asserita «illegittimità costituzionale» degli atti posti in essere successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, dei quali gli atti impugnati sarebbero evidentemente i necessari presupposti: anzitutto, lo stesso referendum – svoltosi, con esito positivo, nel Comune di Noasca – non sarebbe previsto nell’art. 50 dello statuto speciale per la Valle d’Aosta, il quale escluderebbe lo svolgimento di qualunque consultazione referendaria nell’ambito del procedimento di revisione dello statuto; in secondo luogo, il disegno di legge costituzionale per il distacco del Comune di Noasca dal Piemonte e la sua aggregazione alla Valle d’Aosta sarebbe in contrasto con l’art. 71, primo comma, Cost. In proposito, sarebbe costituzionalmente illegittimo lo stesso art. 45 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), nella parte in cui stabilisce che – qualora la proposta sottoposta a referendum di cui all’art. 132 Cost. sia stata approvata – «il Ministro per l’interno, entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale» dell’esito referendario, «presenta al Parlamento il disegno di legge costituzionale o ordinaria di cui all’articolo 132 della Costituzione»: ciò perché in questa disposizione di legge si configurerebbe una vincolante iniziativa legislativa dei partecipanti al referendum e si attribuirebbe un potere di iniziativa legislativa ad un singolo Ministro.

La ricorrente chiede, pertanto, che questa Corte sollevi davanti a sé la prospettata questione di legittimità costituzionale, dal momento che la presentazione del disegno di legge avrebbe «determinato un ulteriore avanzamento dell’intera sequenza procedimentale oggetto del presente conflitto di attribuzione», e dunque «il suo permanere nel sistema appare rilevante ai fini della decisione della controversia».

Da ultimo, la difesa regionale ribadisce l’asserita illegittimità della deliberazione del Consiglio dei Ministri, approvativa dell’ indizione del referendum, a causa della mancata partecipazione del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio dei ministri, in violazione dell’art. 44, terzo comma, dello statuto.



Considerato in diritto

1. – La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione a tre atti prodromici alla celebrazione del referendum, di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione, per il distacco del Comune di Noasca dalla Regione Piemonte e la conseguente aggregazione dello stesso alla Regione ricorrente: cioè l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione con cui è stata dichiarata la legittimità della richiesta di referendum; la deliberazione del Consiglio dei ministri, con cui è stata approvata l’indizione del referendum; il decreto del Presidente della Repubblica, con cui il referendum è stato indetto per il giorno 8 ottobre 2006.

Secondo la ricorrente, tali atti lederebbero il riparto delle competenze costituzionali e statutarie, previste, rispettivamente, dagli artt. 6, 57, terzo comma, e 116, primo comma, della Costituzione, e dagli artt. 1, secondo comma, 44, terzo comma, e 50 della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e dovrebbero pertanto essere annullati, previa declaratoria di non spettanza allo Stato del potere di «attivare il procedimento di modifica del territorio della Regione Valle d’Aosta ai sensi dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione».

La ricorrente afferma che il proprio territorio sarebbe stato sostanzialmente costituzionalizzato dall’art. 1, secondo comma, dello statuto, con riferimento alle circoscrizioni comunali che ne facevano parte alla data dell’11 marzo 1948, ovvero ai comuni individuati nella tabella allegata al decreto legislativo luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 545 (Ordinamento amministrativo della Valle d’Aosta). Ne conseguirebbe, secondo la ricorrente, che modificazioni al territorio potrebbero essere introdotte solo mediante il procedimento di revisione dello statuto previsto dall’art. 50 dello stesso, anziché in forza dell’art. 132, secondo comma Cost.

Tale conseguenza discenderebbe anche dalla necessità di salvaguardare l’equilibrio linguistico-culturale nella comunità valdostana, da ritenere non alterabile attraverso una ordinaria legge statale.

Inoltre, sempre secondo la prospettazione della Regione ricorrente, consentire la «indiscriminata possibilità di aggregazione» alla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste comporterebbe un aumento della popolazione residente, con conseguente penalizzazione della Regione in sede di attribuzione dei seggi senatoriali su base regionale, dato l’art. 57, secondo comma, Cost.

Infine, in violazione dell’art. 44, terzo comma, dello statuto, il Consiglio dei ministri avrebbe deliberato l’indizione del referendum senza consentire che il Presidente della Regione potesse partecipare alla seduta in cui tale deliberazione è stata assunta.

2. – In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità della censura fondata sulla presunta violazione dell’art. 57, terzo comma, Cost., che attribuisce un seggio senatoriale alla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste prescindendo dal calcolo della popolazione residente: tale norma – ad avviso della ricorrente – potrebbe essere anche fortemente alterata da «un indiscriminato aumento della popolazione regionale» conseguente al diffondersi della tendenza ad aggregarsi alla Regione ricorrente, tendenza che non verrebbe adeguatamente contenuta dalla procedura di cui al secondo comma dell’art. 132 Cost.

L’affermata violazione risulta meramente ipotetica (oltre che collegata a incerti elementi di fatto), mentre questa Corte ha costantemente affermato che nei conflitti di attribuzione fra enti occorre che gli atti impugnati producano effetti lesivi attuali nella sfera di attribuzioni del ricorrente (ex plurimis, le sentenze n. 72 del 2005, n. 137 del 1998, n. 211 del 1994, n. 153 del 1986).

3. – L’argomentazione fondamentale della ricorrente a sostegno delle proprie doglianze ruota intorno alla affermata inapplicabilità del secondo comma dell’art. 132 della Costituzione alla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, poiché il territorio della Regione, quale deducibile dall’art. 1, secondo comma, dello statuto speciale (e quindi con riferimento al territorio regionale alla data di entrata in vigore dello statuto o all’elenco dei Comuni allegato al decreto legislativo luogotenenziale n. 545 del 1945), non sarebbe modificabile se non mediante la procedura di revisione statutaria, di cui all’art. 50 dello statuto, quale parzialmente modificato ad opera dell’art. 2 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano). Ciò sarebbe coerente con la necessità di non compromettere la salvaguardia dell’equilibrio linguistico, culturale e storico della comunità valdostana, a garanzia della quale sono state riconosciute alla Regione forme e condizioni particolari di autonomia.

Tale ricostruzione interpretativa risulta erronea, dal momento che l’art. 132, primo e secondo comma, Cost. si riferisce pacificamente a tutte le Regioni (quelle indicate nel precedente art. 131), mediante l’individuazione di procedure che coinvolgono tutti i diversi organi e soggetti indicati dalle norme costituzionali come attori necessari nei differenziati procedimenti ivi configurati (enti locali e relative popolazioni, Consigli regionali, Parlamento). Ciò, mentre evidentemente nessuna procedura normativa interna ad un singolo ordinamento regionale potrebbe produrre effetti su due diversi enti regionali, come è palese nello stesso caso che ha originato il presente giudizio, nel quale il procedimento di distacco-aggregazione investe ovviamente due Regioni.

Dinanzi ad una disposizione costituzionale riferita a tutte le Regioni, e comunque tale da garantire un ipotetico effetto finale sui territori di entrambe le Regioni interessate, appare quindi meramente assertivo affermare, come fa la ricorrente, che l’art. 50 dello statuto speciale sarebbe «norma chiaramente derogatoria rispetto alla generale regolazione delle modificazioni territoriali regionali, per distacco-aggregazione di Comuni, contenuta nell’art. 132».

Né può essere accolta l’opinione della ricorrente, secondo la quale la indubbia necessità di assicurare piena tutela ad una particolare comunità etnico-linguistica può essere garantita solo da procedure interne allo speciale ordinamento regionale, pur appositamente configurato, almeno in alcuni casi, anche per meglio rappresentarla e tutelarla, dal momento che a questo fine sono previste e concretamente utilizzate a livello statale anche fonti ordinarie e costituzionali (fra queste ultime, basti pensare – fra le più recenti – proprio alle leggi costituzionali 31 gennaio 2001 n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano) e 18 ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che complessivamente hanno apportato molteplici modificazioni agli ordinamenti di tutte le Regioni ad autonomia speciale).

Inoltre, come osservato anche dall’Avvocatura generale dello Stato, il secondo comma dell’art. 132 della Costituzione mira a garantire un ruolo significativo alle popolazioni locali, nel complesso rapporto fra interessi locali, regionali e nazionali nei processi di distacco-aggregazione di un comune da una Regione ad un’altra, con conseguente ridisegno del territorio delle Regioni. La stessa parziale modificazione di questo comma ad opera della legge cost. n. 3 del 2001 ha ancora meglio messo in evidenza, nella fase iniziale del procedimento configurato, il ruolo fondamentale della popolazione del singolo ente locale interessato dal distacco-aggregazione e questa Corte, nella sentenza n. 334 del 2004, ha fatto riferimento al diritto di autodeterminazione delle collettività locali.

4. – Residua la censura di violazione dell’art. 44, terzo comma, dello statuto speciale, il quale prevede che il Presidente della Regione «interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano particolarmente la Regione».

La censura non è fondata per tre differenziati motivi.

In primo luogo, l’art. 44 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), configura in termini del tutto vincolati sul piano sostanziale e temporale il contenuto della deliberazione del Consiglio dei ministri, senza che possa prospettarsi una valutazione discrezionale dell’oggetto in questione.

In secondo luogo, proprio la recente modifica costituzionale del secondo comma dell’art. 132 Cost. ad opera dell’art. 9, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha ulteriormente chiarito che il soggetto interessato in questa fase del tutto “prodromica” del procedimento è la sola collettività locale appartenente al Comune interessato dalla proposta di distacco-aggregazione.

In terzo luogo, la stessa disposizione costituzionale prevede che, dopo lo svolgimento del referendum, acquisito l’eventuale esito positivo dello stesso e prima dei lavori legislativi che avranno inizio con l’eventuale presentazione del disegno di legge governativo, si provveda allo specifico e solenne coinvolgimento delle Regioni interessate attraverso la richiesta ai loro Consigli regionali del parere sulla proposta.

5. – Questa Corte non ritiene di dover sollevare dinanzi a sé, nel presente giudizio, questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 della legge n. 352 del 1970, come invece richiesto dalla Regione ricorrente.

La suddetta richiesta si basa sulla considerazione che la richiamata disposizione – nella parte in cui stabilisce che, qualora la proposta sottoposta a referendum ai sensi dell’ art. 132 Cost. sia stata approvata, il Ministro per l’interno presenta al Parlamento il disegno di legge costituzionale o ordinaria di cui all’articolo 132 della Costituzione – configurerebbe una vincolante iniziativa legislativa degli elettori partecipanti al referendum e attribuirebbe un potere di iniziativa legislativa ad un singolo Ministro. Poiché l’art. 45 avrebbe «determinato un ulteriore avanzamento dell’intera sequenza procedimentale oggetto del presente conflitto di attribuzione», «il suo permanere nel sistema» sarebbe rilevante ai fini della decisione della controversia.

In realtà, l’art. 45 della legge n. 352 del 1970 disciplina la fase successiva allo svolgimento del referendum consultivo previsto dall’art. 132, secondo comma, Cost. nell’ipotesi in cui esso abbia avuto esito favorevole. Il presente conflitto, invece, ha ad oggetto atti anteriori e prodromici allo stesso referendum e si inserisce in una fase precedente alla attivazione dell’iniziativa legislativa disciplinata dalla disposizione in parola.

Appare, pertanto, manifestamente irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 della legge n. 352 del 1970, dal momento che tale disposizione non viene in considerazione ai fini della decisione del presente conflitto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava allo Stato, e per esso all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, pronunciare l’ordinanza, depositata il 12 aprile 2006, con cui è stata dichiarata la legittimità della richiesta di referendum, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, della Costituzione, relativa al distacco del Comune di Noasca dalla Regione Piemonte ed alla aggregazione dello stesso alla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;

dichiara che spettava allo Stato, e per esso al Consiglio dei ministri, la deliberazione 7 luglio 2006, con cui è stata approvata l’indizione del suddetto referendum;

dichiara che spettava allo Stato, e per esso al Presidente della Repubblica, emanare il decreto 10 luglio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2006, con cui il referendum nel Comune di Noasca è stato indetto per il giorno 8 ottobre 2006;

dichiara che non spettava al Presidente della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste partecipare alla seduta del Consiglio dei ministri 7 luglio 2006 per deliberare l’indizione del predetto referendum.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2007.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 

 

 

 

 

 

 



[1]     Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[2]     Legge 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.

[3]     A.C. 1852 (on. Fontanini), 2085 (on. Foti), 2357 (on. Illy) e 3275 (on. Moretti).

[4]     Il testo unificato approvato dalla Camera il 6 marzo 2003 e trasmesso al Senato, è stato esaminato dalla 1ª Commissione che, il 6 luglio 2005, lo ha licenziato, con ampie modifiche, per l’Assemblea (A.S. 2085-A): quest’ultima non ne ha peraltro iniziato l’esame.

[5]     Ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 12 aprile 2006; deliberazione del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2006 e decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2006.

[6]     L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4, Statuto speciale per la Valle d'Aosta. L’art. 1, co. 2°, recita: “Il territorio della Valle d'Aosta comprende le circoscrizioni dei Comuni ad esso appartenenti alla data della entrata in vigore della presente legge”.

[7]     Art. 1, co. 494, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

[8]     Art. 1, co. 709, L. 27 dicembre 2006 n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[9]     Sono complessivamente 50 comuni, il cui territorio è compreso in 5 province (Sondrio, Brescia, Verona, Vicenza, Belluno).

[10]    Art. 6, co. 7, D.L. 2 luglio 2007, n. 81 (conv. L. 3 agosto 2007, n. 127), Disposizioni urgenti in materia finanziaria.

[11]    Art. 2, co. 44, L. 24 dicembre 2007 n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[12]    L.R. 26 ottobre 2007, n. 30, Interventi regionali a favore dei comuni ricadenti nelle aree svantaggiate di montagna e nell’area del Veneto orientale.

[13]    Si veda la L.R. Veneto, 26 ottobre 2007, n. 31, Ratifica dell’intesa tra la Regione del Veneto e la Provincia autonoma di Trento per favorire la cooperazione tra i territori confinanti.