Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato - A.C. 1442 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 1442/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 20
Data: 07/07/2008
Descrittori:
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI   PRESIDENTE DEL SENATO
PRESIDENTE DELLA CAMERA   PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
PROCESSO PENALE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia

Casella di testo: Progetti di legge7 luglio 2008                                                                                                                                      n. 20/0

Sospensione del processo penale
nei confronti delle alte cariche dello Stato

A.C. 1442

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

Numero del progetto di legge

A.C. 1442

Titolo

Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato

Iniziativa

Governo

Iter al Senato

No

Numero di articoli

1

Date:

 

presentazione o trasmissione alla Camera

2 luglio 2008

assegnazione

3 luglio 2008

Commissione competente

Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia)

Sede

Referente

Pareri previsti

-

 


Contenuto

Il disegno di legge A.C. 1442, presentato dal Governo alla Camera il 2 luglio scorso, è composto da un solo articolo suddiviso in otto commi.

Il comma 1 dispone la sospensione dei processi penali nei confronti dei titolari delle seguenti quattro cariche istituzionali:

§         Presidente della Repubblica;

§         Presidente del Senato della Repubblica;

§         Presidente della Camera dei deputati;

§         Presidente del Consiglio dei ministri.

La relazione governativa che accompagna il disegno di legge precisa che il meccanismo di sospensione processuale così introdotto è “diretto a tutelare l’interesse al sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo alle più alte cariche dello Stato. […] La ratio legis risiede […] nei princìpi di continuità e di regolarità nell’esercizio delle più alte funzioni pubbliche, nel pieno rispetto del principio di eguaglianza, che consente di prevedere un regime differenziato, anche riguardo all’esercizio della giurisdizione, purché risultino concretamente tutelati anche gli altri concorrenti valori costituzionali, secondo le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, nella […] sentenza n. 24 del 2004” (sulla quale, v. infra).

Tra le cariche istituzionali interessate dal provvedimento non è ricompresa quella di Presidente della Corte costituzionale (presente nell’analoga disposizione contenuta nell’art. 1 della L 140/2003, su cui v. infra). La relazione motiva tale scelta con la diversità, per investitura e funzioni, di tale carica rispetto alle quattro summenzionate, omogenee tra loro in quanto la fonte d’investitura promana dalla volontà popolare e il munus esercitato ha natura politica.

Sono comunque fatti salvi i casi di cui agli artt. 90 e 96 Cost., cioè le ipotesi di responsabilità (c.d. “funzionale”) del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio dei ministri per atti compiuti nell’esercizio delle rispettive funzioni, disciplinate dai due articoli del testo costituzionale.

A norma dell’art. 90 Cost., “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento ed attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.

L’art. 96 Cost. (nel testo introdotto dalla L.Cost. 1/1989), che reca una disciplina unitaria per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i singoli ministri, dispone che questi, “anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”.

Se ne desume (e la relazione illustrativa lo conferma) che – limitatamente al Capo dello Stato ed al Presidente del Consiglio – la sospensione riguarda i soli processi per reati c.d. “extrafunzionali”.

Per espressa previsione del comma 1, inoltre, la sospensione:

§         concerne i processi (per qualsiasi reato) anche relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione;

§         opera dalla data di assunzione della carica e sino alla cessazione dalla medesima.

La formulazione letterale del comma, che fa riferimento esplicito ai “processi penali” sembra escludere l’ipotesi che la normativa prevista possa trovare applicazione anche nella precedente fase del procedimento, quella delle indagini preliminari.

Si ricorda infatti che, alla luce dell’interpretazione dottrinale ormai consolidata, la quale distingue tra il concetto più ampio di “procedimento” e quello di “processo”, l’inizio di quest’ultimo è da individuare nel momento, successivo alla fase delle indagini preliminari, in cui il pubblico ministero esercita l’azione penale, ai sensi dell’art. 405 del codice di procedura penale, attraverso la formulazione dell’imputazione.

Appare altresì indubbio che la sospensione riguarda i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, all’atto dell’assunzione della carica, mentre non è – quantomeno espressamente – contemplata la sorte dei processi penali non ancora instaurati all’atto dell’assunzione della carica. Posto che il processo si instaura con la richiesta di rinvio a giudizio, sembrerebbe che in tali ipotesi la sospensione debba intervenire nel momento immediatamente successivo alla richiesta.

Può infatti ritenersi che, se il legislatore volesse sospendere anche l’esercizio dell’azione penale, dovrebbe disporlo esplicitamente a norma dell’art. 50 c.p.p., ove si prevede (co. 3) che “l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Ai sensi del comma 2 l’imputato può, in qualsiasi momento, rinunciare alla sospensione, con atto proprio o del difensore munito di procura speciale.

La rinunciabilità della sospensione, secondo la relazione, è posta a tutela del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.) e non contrasta con la ratio della norma in quanto l’eventuale rinunzia sarebbe, nella fattispecie, un indice obiettivo della non interferenza del processo con il “sereno svolgimento” delle funzioni inerenti alla carica.

Il comma 3 stabilisce che la sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di provvedere all’assunzione delle prove non rinviabili, ai sensi degli artt. 392 e 467 c.p.p.

Il giudice potrà quindi procedere, anche nell’ambito del processo sospeso, all’incidente probatorio quando l’assunzione della prova si presenti urgente e non rinviabile.

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione è diretta a prevedere “una ‘valvola di sicurezza’ che, escludendo la paralisi assoluta delle attività processuali, salvaguarda il diritto alla prova e impedisce che la sospensione operi in modo generale e indifferenziato sul processo in corso”.

Il comma 4 prevede che, all’ipotesi di sospensione del processo di cui al comma 1, sia collegata la contestuale sospensione del decorso del termine di prescrizione, trovando applicazione l’art. 159 del codice penale.

Il comma 5, nel ribadire che la sospensione opera per l’intera durata della carica o funzione, stabilisce che essa non è reiterabile nei confronti del medesimo soggetto. Il comma introduce però una limitazione a tale principio, per il caso di “nuova nomina” intervenuta nel corso della stessa legislatura. Pur se il testo non risulta esplicito al riguardo, dalla relazione illustrativa – e dallo stesso ricorso al termine “nomina”, riferibile al solo Presidente del Consiglio – si può desumere che tale eccezione intende richiamare l’ipotesi di successive nomine del medesimo Presidente del Consiglio in conseguenza, ad esempio, di crisi di Governo intervenute e risolte in corso di legislatura.

Il comma 6, derogando esplicitamente a quanto prescritto dall’art. 75, co. 3, c.p.p., prevede che, una volta sospeso il processo penale, nel caso di trasferimento dell’azione in sede civile, il processo civile non sia sospeso.

Come sottolineato nella relazione illustrativa al disegno di legge, la deroga all’articolo 75, comma 3, c.p.p. è “una scelta costituzionalmente obbligata” con riferimento a quanto affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 (v. infra), affinché la parte civile non veda sacrificati i propri diritti in conseguenza della sospensione del processo penale.

In caso di trasferimento dell’azione in sede civile è altresì introdotta una “corsia preferenziale” per quest’ultima, prevedendosi:

§         l’abbreviazione della metà dei termini di comparizione (quello ordinario è di 90 giorni);

§         la precedenza della causa trasferita nell’ordine di trattazione delle cause fissato dal giudice civile.

Il comma 7 reca una disposizione transitoria, nella quale si chiarisce che le disposizioni introdotte si applicano anche ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento.

Il comma 8 fissa quest’ultima data nel giorno successivo a quello di pubblicazione della legge nella Gazzetta ufficiale.

Relazioni allegate

Il disegno di legge è corredato delle relazioni sull’analisi tecnico-normativa (ATN) e sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR).

Necessità dell’intervento con legge

La materia trattata è coperta da riserva di legge (art. 111 Cost.).

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

L’oggetto del provvedimento è riconducibile alle materie “organi dello Stato” e “giurisdizione e norme processuali”, riservate alla competenza legislativa dello Stato (art. 117, co. 2°, lett. f) e l), Cost.).

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Si ricorda che una disciplina in qualche misura analoga a quella in esame era stata introdotta, con diversa formulazione, dall’art. 1 della L. 20 giugno 2003, n. 140.

L’articolo prevedeva (co. 1) che il Presidente della Repubblica (fatta salva la sua responsabilità ex art. 90 Cost.), i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri (salva la responsabilità per reati ministeriali ex art. 96 Cost.) e il Presidente della Corte costituzionale non potessero essere sottoposti a processo penale per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l’assunzione delle cariche, fino alla cessazione delle medesime, e (co. 2) sospendeva i processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge.

Nelle fattispecie dette trovava applicazione (co. 3) l’art. 159 c.p., in materia di sospensione della prescrizione.

La Corte costituzionale, con la sent. 24/2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nei quali trovano fondamento, rispettivamente, il principio di parità di trattamento rispetto alla giurisdizione e il diritto alla difesa, dichiarando assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale solllevato.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal tribunale di Milano con riferimento all’art. 3 Cost., in rapporto all’art. 112 Cost., che sancisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale; agli artt. 68, 90 e 96 Cost., in quanto attribuisce alle persone che ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero quindi ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell’art. 138 Cost.; agli artt. 24, 111 e 117 Cost., perché non consente l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato e delle parti civili, in contrasto anche con la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La Corte ha rilevato che l’interesse tutelato dalla disposizione (il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni inerenti alle più alte cariche dello Stato) appare apprezzabile e tutelabile in armonia con i princìpi fondamentali dello Stato di diritto.

La Corte ha osservato tuttavia che la prevista sospensione – generale, automatica e di durata non determinata – crea un regime differenziato riguardo all’esercizio della giurisdizione penale (regolato sotto più profili da precetti costituzionali e rispetto al quale è da sempre posto il principio della parità di trattamento) e incide, menomandolo, sul diritto di difesa dell’imputato, al quale è posta l’alternativa tra continuare a svolgere l’alto incarico rimanendo sotto il peso di un’imputazione in ipotesi anche assai grave, oppure dimettersi dalla carica al fine di ottenere un accertamento giudiziale prefigurato come favorevole, rinunciando con ciò al godimento di un diritto garantito dall’art. 51 della Costituzione.

Risulta, altresì, sacrificato – prosegue la Corte – il diritto della parte civile (la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell’azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dall’art. 75, co. 3, c.p.p.).

La Corte ha ritenuto la norma in contrasto con l’art. 3 Cost. anche perché accomuna in unica disciplina cariche diverse per investitura e per funzioni, distinguendo per la prima volta, sotto il profilo della parità rispetto ai princìpi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti.

L’ha infine ritenuta viziata da irragionevolezza in quanto, pur facendo salvi gli artt. 90 e 96 Cost., tace sull’art. 3, co. 2°, L.Cost. 1/1948, che ha esteso a tutti i giudici della Corte costituzionale il godimento dell’immunità accordata nel secondo comma dell’art. 68 Cost. ai membri delle due Camere.

La sentenza 24/2004 della Corte costituzionale è più volte richiamata dalla relazione illustrativa del disegno di legge in esame, nella quale si evidenzia la diretta riconducibilità di varie disposizioni introdotte nel testo ad alcune tra le statuizioni di quella sentenza (ci si riferisce principalmente alla rinunziabilità della sospensione, alle modalità del trasferimento dell’azione in sede civile, alla non reiterabilità della sospensione).

 

Sembra opportuno ricordare in questa sede il comunicato della Presidenza della Repubblica del 2 luglio scorso, con il quale si è dato notizia dell’autorizzazione, da parte del Capo dello Stato, alla presentazione alle Camere del disegno di legge in esame. In tale nota si ricorda tra l’altro che “a quanto si apprende, punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004” e si osserva che “a un primo esame – quale compete al Capo dello Stato in questa fase – il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza”.