CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 7 marzo 2012
617.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
COMUNICATO
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COMITATO RISTRETTO

Mercoledì 7 marzo 2012.

Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti.
C. 953 Aprea e abbinate C. 806, C. 808 e C. 813 Angela Napoli, C. 1199 Frassinetti, C. 1262 De Torre, C. 1468 De Pasquale, C. 1710 Cota, C. 4202 Carlucci e C. 4896 Capitanio Santolini.

Il Comitato ristretto si è riunito dalle 13.50 alle 15.

ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 7 marzo 2012. - Presidenza del presidente Valentina APREA. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Elena Ugolini.

La seduta comincia alle 15.

Schema di decreto legislativo recante revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti.
Atto n. 436.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.

Paola FRASSINETTI (PdL), relatore, ricorda che lo schema di decreto legislativo in esame, deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri l'11 novembre 2011,

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è predisposto in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e dei criteri direttivi di cui ai commi 3, lettera f), e 6, nell'ambito degli interventi volti ad incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario. Lo schema è diviso in sei Capi. Il Capo I (articoli 1 e 2) reca i principi generali. Il Capo II (articoli 3-12) riguarda attuazione e destinatari del diritto allo studio, strumenti e servizi per il successo formativo, raccordi e accordi fra le istituzioni. Il Capo III (articoli 13-17) riguarda strutture residenziali e collegi universitari legalmente riconosciuti. Il Capo IV (articoli 18 e 19) riguarda il sistema di finanziamento e la copertura finanziaria. Il Capo V (articoli 20-22) riguarda il monitoraggio sull'attuazione del diritto allo studio. Il Capo VI (articoli 23 e 24) reca disposizioni finali. Ricorda quindi che l'articolo 1 fornisce le definizioni dei termini ricorrenti nel testo. In particolare, chiarisce che per «università», si intendono le istituzioni universitarie statali e le università non statali legalmente riconosciute. A differenza di altri schemi di decreti legislativi emanati in attuazione dell'articolo 5 della legge n. 240 del 2010, segnala che non sono esplicitamente citati gli istituti universitari ad ordinamento speciale, cui peraltro si dovrebbero applicare anche le disposizioni recate dallo schema in esame, considerato che le stesse derivano da una delega che, come si è detto, è intesa a riformare «il sistema universitario».
Precisa che per «istituzioni per l'alta formazione artistica, musicale e coreutica, si intendono le istituzioni di cui alla legge n. 508 del 1999 (Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche, Conservatori di musica e Istituti musicali pareggiati-AFAM). Per «corsi» si intendono: i corsi attivati dalle università ai sensi dell'articolo 3 del decreto ministeriale 270 del 2004 (corsi di laurea, laurea magistrale, specializzazione, dottorato di ricerca, perfezionamento scientifico e alta formazione permanente e ricorrente); i corsi attivati dalle Scuole superiori per mediatori linguistici abilitate a rilasciare titoli equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di laurea conseguiti presso le università; i corsi attivati dalle istituzioni AFAM ai sensi dell'articolo 3 del decreto del presidente della Repubblica 212 del 2005 - corsi di diploma accademico di primo e di secondo livello, di specializzazione, di formazione alla ricerca, di perfezionamento. Ritiene che l'inclusione nello schema in esame delle istituzioni di Alta formazione e specializzazione artistica e musicale e delle Scuole superiori per mediatori linguistici deve essere oggetto di attenta valutazione, poiché le stesse non sono considerate nella delega conferita dall'articolo 5 della legge n. 240 del 2010. Suggerisco, pertanto, di estrapolare i riferimenti relativi alle istituzioni AFAM dal testo dello schema e di procedere con distinto provvedimento. Per quanto concerne le Scuole superiori per mediatori linguistici - parimenti non considerate nella delega - poiché l'articolo 6 del decreto ministeriale n. 38 del 2002 fa riferimento alle «norme vigenti in materia di diritto allo studio» non sembra esserci dubbio che alle stesse Scuole si applicheranno le nuove disposizioni. Fra l'altro, segnala che negli articoli successivi dello schema di decreto, mentre si fa sempre riferimento alle università e alle istituzioni AFAM, non si fa quasi mai riferimento alle Scuole superiori per mediatori linguistici. Dal punto di vista della formulazione del testo, segnalo che, in base alla legge n. 508 del 1999, la formulazione corretta è «Istituzioni dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale». Dal punto di vista della correttezza dei riferimenti normativi, segnalo che il riferimento corretto è all'articolo 2, comma 9 (e non all'articolo 9, comma 2), del decreto ministeriale del 38 2002. Ricorda che l'articolo 2 indica le finalità e i principi dello schema di decreto, sostanzialmente sintetizzando il perché dell'intervento - quale derivante dall'articolo 5, comma 1, lettera d), della legge n. 240 del 2010 - l'obiettivo dello stesso e gli strumenti attraverso i quali conseguirlo. In particolare, lo schema di decreto,

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in attuazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, detta norme finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l'uguaglianza dei cittadini nell'accesso all'istruzione superiore e a consentire ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi. Si tratta dell'obiettivo già enunciato dall'articolo 1 della legge n. 390 del 1991. Le disposizioni dello schema di decreto costituiscono anche attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, individuando gli strumenti e i servizi per il diritto allo studio - che la Repubblica deve promuovere in un sistema integrato - e i relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale, nonché i requisiti di eleggibilità per l'accesso alle prestazioni (commi 1 e 2). Le finalità indicate nel comma 1, in base al comma 5, si perseguono attraverso la valorizzazione del merito degli studenti, il potenziamento dei servizi per i soggetti diversamente abili, l'individuazione degli strumenti e dei servizi finalizzati a facilitare la condizione di studente non impegnato a tempo pieno negli studi, la predisposizione di interventi per favorire la mobilità verso le sedi universitarie più adatte ai bisogni dello studente, la valorizzazione e la diffusione delle opportunità offerte, soprattutto dall'UE, per favorire l'internazionalizzazione delle esperienze di studio e ricerca e ogni altra forma di scambio culturale e scientifico. Invita quindi a valutare l'opportunità di sostituire l'espressione «studente non impegnato a tempo pieno negli studi» con l'espressione «studente impegnato in attività lavorative», mutuata dall'articolo 5, comma 6, del decreto ministeriale n. 270 del 2004. In base al comma 4, Stato, regioni e province autonome, università e istituzioni AFAM sviluppano, diversificano, conseguono l'efficienza, l'efficacia e la coerenza degli strumenti e degli istituti, avvalendosi della collaborazione dei soggetti competenti in materia di diritto allo studio e in armonia con le strategie UE. Segnala che l'espressione corretta sembrerebbe «collaborazione dei». Infine, enuncia gli ulteriori obiettivi dello schema, ossia la definizione delle tipologie di strutture residenziali destinate agli studenti universitari - che, comunque, rappresenta uno dei criteri direttivi per l'esercizio della delega in materia di diritto allo studio - e la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti e dei collegi storici (comma 3).
Aggiunge che l'articolo 3 ridefinisce la ripartizione delle competenze in materia di diritto allo studio - aspetto che nella legge n. 390 del 1991 è trattato agli articoli 3, 4, 7, 8, 11, 12, 15 - e introduce una nuova disciplina del prestito d'onore, di cui all'articolo 16 della legge n. 390 del 1991. Preliminarmente evidenzia che un comma dell'articolo risulta barrato. Il comma 1, ribadendo un concetto già espresso nell'articolo 2, comma 1, dispone che all'attuazione delle disposizioni previste dal decreto si provvede attraverso un sistema integrato di strumenti e servizi al quale partecipano, nell'ambito delle rispettive competenze, Stato, regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, enti locali, università, istituzioni AFAM, nonché altre istituzioni, pubbliche e private, che offrono servizi relativi al diritto allo studio. Ritiene opportuno, peraltro, specificare che si tratta delle disposizioni previste dal decreto «in materia di diritto allo studio» (poiché, come si è visto, lo schema disciplina anche altre questioni). Osserva, inoltre, che l'espressione «servizi di diritto allo studio» dovrebbe essere sostituita con l'espressione «servizi relativi al diritto allo studio». In base ai commi da 2 a 4, il sistema delle competenze è articolato nei seguenti termini: lo Stato ha competenza esclusiva in materia di determinazione dei LEP, al fine di garantirne l'uniformità su tutto il territorio nazionale; le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per il concreto esercizio dello stesso. Inoltre, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono integrare la gamma degli strumenti e dei servizi di cui all'articolo 6 dello schema; le regioni a

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Statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, tenendo conto dei LEP; le università e le istituzioni AFAM, nei limiti delle risorse disponibili nei propri bilanci: organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, in modo da garantire il successo negli studi; promuovono i servizi di orientamento e tutorato delle associazioni, delle cooperative studentesche e dei collegi universitari legalmente riconosciuti; agevolano la frequenza dei corsi e lo studio individuale anche mediante l'apertura serale e nei giorni festivi di biblioteche, laboratori e sale studio; promuovono e pubblicizzano attività culturali, sportive e ricreative, anche in collaborazione con le regioni e le province autonome, avvalendosi delle associazioni e cooperative studentesche e promuovendo, eventualmente, le attività di servizio da queste svolte; curano l'informazione sulle possibilità offerte per lo studio e la formazione, in particolare con riferimento ai programmi internazionali e dell'UE, e pubblicizzano gli interventi in materia di diritto allo studio; promuovono scambi di studenti con altre università italiane e straniere, in conformità alle disposizioni in materia di riconoscimento di corsi e titoli; sostengono le attività formative autogestite dagli studenti nei settori della cultura, degli scambi culturali, dello sport, del tempo libero, fatte salve quelle disciplinate da disposizioni legislative. Al riguardo, ricorda che si tratta della previsione recata dall'articolo 12, comma 1, lettera g), della legge n. 390 del 1991 che, al riguardo, richiama l'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge n. 341 del 1990. Quest'ultimo dispone che gli statuti delle università debbono prevedere, fra l'altro, attività formative autogestite dagli studenti nei settori della cultura e degli scambi culturali, dello sport, del tempo libero, fatte salve quelle disciplinate da apposite disposizioni legislative in materia. Alla lettera g) del comma 4, sembrerebbe opportuno mantenere il riferimento all'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge n. 341 del 1990 e chiarire il riferimento alle attività formative autogestite dagli studenti «disciplinate da apposite disposizioni legislative». I commi da 5 a 7 riguardano i prestiti d'onore, recando una disciplina nuova rispetto a quella derivante dall'articolo 16 della legge n. 390 del 1991, con particolare riferimento: all'attribuzione della competenza a disciplinare la concessione degli stessi, oltre che alle regioni, anche alle province autonome, alle università e alle istituzioni AFAM; alla previsione che i prestiti sono concessi esclusivamente «nei limiti delle disponibilità di bilancio» dei soggetti indicati. Infatti, le risorse dell'attuale Fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e borse di studio relative al 2012 sono destinate al Fondo integrativo per le borse di studio istituito dall'articolo 18; alla ridefinizione della platea dei destinatari. In particolare, il comma 5 dispone che, sulla base di criteri definiti con decreto, per la cui emanazione non è indicato un termine, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le università e le istituzioni AFAM, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio disciplinano le modalità per la concessione di prestiti d'onore agli studenti che possiedono i requisiti di merito; concedono garanzie sussidiarie sugli stessi e corrispondono le quote degli interessi.
Al riguardo, ricordato che l'articolo 5, comma 5, lettera c), della legge n. 240 del 2010 ha disposto la definizione di criteri per l'attribuzione alle regioni e alle province autonome del Fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio di cui all'articolo 16, comma 4, della legge n. 390 del 1991, che ora è abrogato, evidenzia che lo schema di decreto nell'articolo in esame prevede che i prestiti d'onore sono concessi nei limiti delle disponibilità di bilancio delle istituzioni citate (peraltro, dal punto di vista della formulazione del testo, le parole «nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio»

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dovrebbero essere collocate prime della parole «provvedono alla concessione di...»); nell'articolo 18, comma 6, dispone la confluenza delle risorse del nuovo Fondo integrativo statale per le borse di studio in fondi a destinazione vincolata attribuiti alle regioni. Ai sensi del comma 6, gli stessi soggetti indicati nel comma 5 possono concedere agli studenti che hanno i requisiti per il conseguimento della borsa di studio, di cui all'articolo 8, iscritti ai corsi di laurea magistrale e di dottorato, ovvero agli iscritti dal quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, un prestito d'onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio, a condizioni agevolate, in misura massima pari all'importo della borsa, disciplinando le modalità agevolate di restituzione. Segnala inoltre che mentre il comma 6 prevede la «possibilità» di concedere il prestito d'onore, il comma 5 dispone in termini prescrittivi la concessione di garanzie sussidiarie e la corresponsione delle quote degli interessi. Infine, il comma 7 dispone che gli studenti iscritti ai corsi di master universitario o di perfezionamento e alle scuole di specializzazione possono accedere al prestito d'onore con le modalità «di cui alle disposizioni del presente articolo».
Dal punto di vista della formulazione del testo, suggerisce, per una più agevole comprensione della nuova disciplina, di riportare nel comma 6 le categorie di studenti indicate nel comma 7 e, al comma 5, di inserire, dopo le parole «agli studenti» le parole: «di cui al comma 6», sopprimendo le parole: «in possesso dei requisiti di merito», poiché il comma 6 fa riferimento ai requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, che attengono, oltre che al merito, alla condizione economica. Occorrerebbe, inoltre, che già nella rubrica dell'articolo risultasse il riferimento alla disciplina dei prestiti d'onore. Aggiunge che, ai sensi dell'articolo 4, destinatari degli strumenti e dei servizi del diritto allo studio sono gli studenti iscritti ai corsi di istruzione superiore nella regione o nella provincia autonoma in cui ha sede legale l'università o l'istituzione AFAM (comma 1). Destinatari dei LEP sono gli studenti iscritti ai corsi di istruzione superiore di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d) - quindi, gli studenti iscritti ai corsi universitari, ai corsi delle istituzioni AFAM e ai corsi delle Scuole superiori per mediatori linguistici - che rispondono ai requisiti di eleggibilità disciplinati dall'articolo 8, dunque ai requisiti per l'accesso alla borsa di studio. Nell'erogazione dei LEP è garantita parità di trattamento, indipendentemente dalla regione o provincia autonoma di provenienza (commi 2 e 3). Evidenzia che per i LEP si fa riferimento alle tre tipologie di corsi considerate nell'articolo 1, comma 1, lettera d), mentre per gli strumenti e i servizi in materia di diritto allo studio si fa riferimento solo agli studenti delle università e delle istituzioni AFAM. Per quanto concerne gli studenti stranieri, gli apolidi e i rifugiati politici, si dispone che essi usufruiscono degli strumenti e dei servizi previsti dal decreto secondo le vigenti disposizioni legislative (comma 4). L'articolo 5, declinando il principio direttivo di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge n. 240 del 2010, dispone che, in attuazione del principio di sussidiarietà, ai destinatari è garantita libertà di scelta nella fruizione degli strumenti e dei servizi per il diritto allo studio, sulla base delle modalità organizzative definite da regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM per gli interventi di rispettiva competenza (comma 1). Gli strumenti possono essere erogati anche in forma di voucher (comma 2). L'articolo 6 indica gli strumenti e i servizi per il conseguimento del successo formativo degli studenti - si tratta di trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi, servizi di orientamento e tutorato, attività a tempo parziale, servizi per la mobilità internazionale, materiale didattico - e affida a regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, università, istituzioni AFAM, la definizione di altri servizi. Specifica, inoltre, che per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che possiedano i requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, il conseguimento del pieno successo formativo è garantito attraverso l'erogazione della

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borsa di studio. L'articolo 7 definisce i LEP con riferimento alla borsa di studio e all'assistenza sanitaria, disponendo, peraltro, per la definizione dell'importo della borsa di studio, l'intervento di decreti ministeriali. Sull'argomento ricorda che l'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo n. 68 del 2011 ha affidato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il compito di effettuare una ricognizione dei LEP nel settore, fra gli altri, dell'istruzione. Alla borsa di studio sono dedicati i commi 1-5, nonché 7 e 8, all'assistenza sanitaria il comma 6. Al riguardo evidenzia che, mentre l'articolo 5, comma 6, lettera a), della legge n. 240 del 2010 fa riferimento alla definizione dei LEP citando strumenti e servizi «quali borse di studio, trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi», lo schema di decreto prende in considerazione trasporti, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi (oltre che materiale didattico) quali voci di costo da considerare ai fini della determinazione dell'importo standard della borsa di studio (strumento nel quale, unitamente all'assistenza sanitaria garantita a tutti gli studenti, sembra concretizzare l'obiettivo di determinazione dei LEP). Poiché, peraltro, l'articolo 2, comma 2, dello schema, nello spirito della legge n. 240 del 2010, riferisce l'individuazione dei LEP agli strumenti e ai servizi per il diritto allo studio, utilizzando la locuzione «i relativi», sembrerebbe necessario un chiarimento.
Sottolinea quindi che il comma 1 ribadisce che la concessione delle borse di studio è assicurata a tutti gli studenti che hanno i requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8 ma, a fronte della garanzia (senza vincoli) prevista dall'articolo 6, comma 2, qui si fa riferimento ai limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente nello stato di previsione del MIUR. Sull'argomento, si veda anche l'articolo 18, comma 1, e l'articolo 19. Dispone, dunque, al fine di garantire l'erogazione dei LEP in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, che la determinazione dell'importo standard della borsa di studio tiene in considerazione le differenze territoriali correlate ai costi di mantenimento agli studi. Il concetto è specificato nel comma 2, laddove si dispone che i costi di mantenimento agli studi sono valutati, in modo distinto per condizione abitativa dello studente, con riferimento alle voci di costo individuate. Osserva che sembrerebbe opportuno chiarire se con l'espressione «modo distinto per condizione abitativa dello studente» si intenda fare riferimento agli studenti in sede, fuori sede e pendolari. Al riguardo segnalo, peraltro, che mentre l'AIR segnala fra le criticità che si risolverebbero con l'intervento normativo anche quella del superamento della difformità nell'identificazione dello studente fuori sede da parte delle regioni, i concetti di studente fuori sede, in sede e pendolare non sono esplicitati nello schema. Occorre chiarire se saranno esplicitati nel decreto interministeriale che, ai sensi del comma 7 - e, prima, del comma 8 -, definirà l'importo standard della borsa di studio. Le voci di costo sono così individuate: a) materiale didattico: la voce comprende la spesa per libri di testo e strumenti didattici indispensabili per lo studio. Questi ultimi non sono, però, individuati, salvo specificare che non è compresa la spesa per l'acquisto di PC e altri strumenti o attrezzature tecniche o informatiche. Occorrerebbe chiarire che cosa si intenda con l'espressione «strumenti didattici indispensabili per lo studio», vista l'esplicita esclusione delle spese per le attrezzature informatiche e tecniche; b) Trasporto: la voce comprende la spesa effettuata per gli spostamenti dall'abitazione alla sede di studio, in area urbana (quindi, studente in sede) ed extraurbana (quindi, studente pendolare), nonché, per gli studenti fuori sede, il costo per raggiungere la sede di origine due volte l'anno, in entrambi i casi con riferimento alle tariffe più economiche degli abbonamenti del servizio pubblico - invita a valutare l'opportunità di chiarire il concetto di «sede di origine» e di chiarire se, per gli studenti fuori sede, si intende fare riferimento al costo di andata e di ritorno; c) Ristorazione: la voce comprende, per gli studenti fuori sede, la spesa per due pasti giornalieri

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erogati dalle mense universitarie o da strutture convenzionate o «la spesa per mangiare in casa»; per gli studenti in sede e pendolari, la spesa per un pasto giornaliero - al riguardo segnala che con riferimento alla «spesa per mangiare in casa», prevista per gli studenti fuori sede - dal punto di vista della formulazione del testo, si valuti l'utilizzo dell'espressione in una norma primaria, non sono chiari i parametri di riferimento relativi a misura e tipologie di pasti o di prodotti acquistabili. Per gli studenti in sede o pendolari non è chiaro il parametro di riferimento relativo alle strutture presso cui fruire di un pasto giornaliero; d) Alloggio: la voce riguarda gli studenti fuori sede e comprende la spesa per l'affitto in camera doppia o in una residenza universitaria e le relative spese accessorie per il condominio, le utenze (ad eccezione del telefono) e la tassa sui rifiuti. In tal caso, si tiene conto dei canoni di locazione mediamente praticati nei diversi comuni sede dei corsi; e) Accesso alla cultura: la voce include la «spesa essenziale» effettuata dagli studenti per frequentare eventi culturali presso la città sede dell'ateneo per il completamento del percorso formativo. Dunque, l'evento culturale deve essere «funzionale» al completamento del percorso formativo.
Rileva che non è chiaro come la funzionalità indicata possa essere valutata. Inoltre, occorrerebbe esplicitare il concetto di «spesa essenziale». Il comma 3 dispone che la spesa riferita alle voci di costo indicate al comma 2 verrà stimata in un valore standard con riferimento, come specificato dalla relazione illustrativa, alla situazione economica degli studenti: in particolare, il riferimento saranno gli studenti il cui nucleo familiare ha un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEEU) sino al 20 per cento superiore al limite massimo previsto dai requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, computato su 11 mesi. Segnala il refuso «computata» invece che «computato». I commi 7 e 8 riguardano l'importo della borsa di studio, il primo per la definizione a regime, il secondo per la definizione in via transitoria. In particolare, il comma 7 stabilisce che l'importo della borsa di studio - sembrerebbe, l'importo standard - è determinato, sulla base di quanto previsto ai commi 2 e 3, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza stato-regioni, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari. Il decreto, che è aggiornato ogni tre anni, definisce anche i criteri e le modalità di riparto del fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio - istituito ai sensi dell'articolo 18 dello schema - il cui comma 4, peraltro, ripete lo stesso concetto - nonché, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, i requisiti di eleggibilità per l'accesso alle borse di studio, con riferimento a criteri relativi al merito e alla condizione economica degli studenti. Il comma 8 dispone che l'importo della borsa di studio per i primi tre anni accademici dalla data di entrata in vigore del decreto è determinato, con decreto emanato, con le modalità previste dal comma 7, entro 90 giorni dalla medesima data, «in misura diversificata in relazione alla condizione economica e abitativa dello studente». La previsione sembrerebbe doversi leggere nel senso che vi saranno importi differenziati a seconda, oltre che della condizione economica dello studente (per la quale, come si è visto, continueranno ad applicarsi le previsioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001), anche del fatto che lo stesso sia studente in sede, fuori sede, o pendolare. Rileva che appare necessario chiarire perché il comma 8 non faccia riferimento alla definizione dei criteri di ripartizione del Fondo integrativo. Inoltre, al comma 7 segnalo la presenza del refuso «sentiti» (invece che «sentito») e suggerisco di inserire le parole «di cui all'articolo 18, comma 1», dopo le parole «fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio». Al comma 8, considerato che il decreto interministeriale da emanare entro 90 giorni riguarda comunque i primi tre anni accademici, occorre valutare se è necessario anche il

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riferimento alle «more della definizione dei criteri di cui ai commi 2 e 3». I commi 4 e 5 dispongono sui destinatari delle borse di studio. In particolare, il comma 4 dispone che la borsa di studio è attribuita per concorso agli studenti che si iscrivono ai corsi entro il termine previsto dal bando e che risultano idonei al conseguimento della stessa borsa in quanto possiedono i requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, indipendentemente dal numero di anni trascorsi dal conseguimento del titolo precedente. Rispetto alla previsione recata, in materia, dall'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001 - in quel caso con riferimento a tutti i servizi e gli interventi previsti dall'articolo 2, dunque, borse di studio, prestiti d'onore, servizi abitativi, contributi per la mobilità internazionale degli studenti -, ora si supera l'eccezione là disposta per gli studenti dei corsi di specializzazione dell'area medica. Dal punto di vista della formulazione del testo, le parole «al loro» devono essere sostituite con le parole «al suo», poiché il riferimento è solo alla borsa di studio. Il comma 5 dispone che la borsa di studio è destinata anche agli studenti iscritti ai corsi universitari nelle scienze della difesa e della sicurezza, mentre non riguarda gli allievi delle Accademie militari per gli ufficiali delle Forze armate e della Guardia di Finanza e degli altri Istituti militari di istruzione superiore. La disposizione è analoga a quella recata dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001.
Segnala che, con riferimento al decreto legislativo n. 464 del 1997 il riferimento corretto è all'articolo 2, comma 3 (e non all'articolo 3, comma 2). Si valuti, inoltre, l'opportunità di sostituire le parole «corsi di istruzione superiore» con le parole «corsi di laurea e di laurea specialistica o magistrale». Infine, segnalo che la previsione di attribuzione della borsa di studio indipendentemente dal numero di anni trascorso dal conseguimento del titolo precedente era riferita, nel comma 6 dell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001, anche alla fattispecie disciplinata nel comma 5 dello schema in esame, che ora ne rimane esclusa. Invito a valutare se sia effettivamente questa l'intenzione. Il comma 6 riguarda, come ante indicato, i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza sanitaria e dispone che gli stessi sono garantiti a tutti gli studenti iscritti ai corsi, uniformemente su tutto il territorio nazionale. In particolare, gli studenti fruiscono dell'assistenza sanitaria di base nella regione o provincia autonoma in cui ha sede l'università o l'istituzione AFAM, anche se diversa da quella di residenza. I relativi costi sono compensati tra le regioni e le province autonome nell'ambito delle procedure che disciplinano la mobilità sanitaria. Al riguardo, rileva che sembrerebbe opportuno chiarire se il comma 6 intenda introdurre l'obbligo per gli studenti universitari di fruire dell'assistenza sanitaria di base nella regione o provincia autonoma sede del corso di studio. Inoltre, il suo contenuto dovrebbe essere ricollocato in maniera tale da non interrompere la sequenza delle disposizioni che riguardano la borsa di studio. Infine, mentre si utilizza l'espressione «corsi» - che, in base all'articolo 1, riguarda i corsi universitari, quelli delle istituzioni AFAM e quelli attivati dalle Scuole superiori per mediatori linguistici - con riferimento alla sede si fa riferimento solo a quella dell'università o dell'istituzione AFAM. L'articolo 8 dispone non solo in materia di requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP, ma anche in materia di requisiti per la fruizione degli altri strumenti e servizi relativi al diritto allo studio, assegnando la competenza relativa al primo aspetto ad un decreto interministeriale e la competenza relativa al secondo aspetto a regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM.
Rileva che appare, dunque, necessaria una integrazione della rubrica. Dal punto di vista terminologico, invita a valutare, inoltre, l'eliminazione della locuzione «di eleggibilità». I requisiti di eleggibilità per l'accesso alle borse di studio, relativamente al merito e alla condizione economica degli studenti, sono definiti con il

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decreto interministeriale che determina a regime anche l'importo della borsa di studio e i criteri e le modalità di riparto del fondo integrativo statale (comma 1). Se ne deduce, pertanto, che anche i requisiti in questione sono aggiornati con cadenza triennale. Ai sensi del comma 5, fino all'emanazione dello stesso decreto rimangono in vigore le disposizioni sui requisiti di merito e sulla condizione economica recate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001. Il comma 2 riguarda i requisiti di merito per l'accesso ai LEP, stabilendo che, per quanto riguarda i corsi di studio universitari, essi sono definiti altresì al fine di garantire il completamento dei corsi di studio entro la durata normale , anche con riferimento ai valori mediani della classe del corso di studi. In relazione ai corsi delle istituzioni AFAM, invece, il riferimento alla durata ordinaria dei corsi afferenti alle scuole , anche relativamente ai valori mediani, riguarda l'accertamento dei requisiti di merito. Letteralmente, cioè, la finalità di «sprone» è indicata solo con riferimento ai corsi universitari. Occorre riflettere se l'intenzione sia effettivamente questa. Precisa che la mediana di una variabile è il valore dell'unità che si trova a metà della distribuzione, in modo che il 50 per cento del collettivo abbia un valore della variabile uguale o inferiore a esso e il restante 50 per cento un valore superiore . Pertanto, sembrerebbe opportuno un chiarimento circa le modalità applicative della norma, poiché il concetto di «durata normale» non appare conciliabile con quello di «valore mediano». Infatti, mentre la «durata normale» di un corso di studi è univocamente definita dall'ordinamento, il concetto di «valore mediano» dipende dal tempo impiegato dagli studenti iscritti a quel corso - nel periodo preso a riferimento (peraltro, qui non specificato) - per conseguire il titolo di studio. In ogni caso, al comma 2 è almeno necessario sostituire le parole «valori mediani» con le parole «valori mediani della durata». Evidenzia, inoltre, che anche in questo articolo non si fa riferimento ai corsi presso le Scuole superiori per mediatori linguistici.
Sottolinea che il comma 3 del medesimo articolo riguarda le condizioni economiche dello studente iscritto o che intenda iscriversi a corsi di istruzione superiore, stabilendo che le stesse sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l'università o l'istituzione AFAM. Dispone, inoltre, che sono previste modalità integrative di selezione, quali l'Indicatore della situazione economica all'estero e l'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente. Al riguardo, richiama l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo. n. 109 del 1998. La disposizione citata stabilisce che gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione sociale agevolata, possono prevedere, accanto all'indicatore della situazione economica equivalente, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari. Su questa base è intervenuto, da ultimo, l'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001. Rileva inoltre che occorre chiarire se il riferimento all'Indicatore della situazione economica all'estero e all'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente escluda ogni altra modalità integrativa (come sicuramente è nella formulazione del DPCM 9 aprile 2001), ovvero se si pensi alla possibilità di altre modalità integrative di selezione, come lascerebbe pensare l'utilizzo della locuzione «quali». Il comma 4 dispone che per gli altri servizi relativi al diritto allo studio enunciati nell'articolo 6, nonché per gli eventuali altri strumenti previsti dalle regioni, l'entità e le modalità delle erogazioni, nonché i requisiti di eleggibilità, sono stabiliti dalle stesse regioni, dalle province autonome, dalle università e dagli istituti AFAM per gli interventi di rispettiva competenza, E, però, richiesta «coerenza con quanto previsto per le condizioni economiche dal comma 3». Conseguentemente, l'articolo 18, comma 8, dispone che l'erogazione degli altri strumenti

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e servizi per il diritto allo studio, diversi da quelli relativi alla garanzia dei LEP, è finanziata dalle risorse proprie degli stessi soggetti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Con riferimento alla formulazione dell'articolo 18, comma 8, segnala l'opportunità di sopprimere l'aggettivo «essenziali», anche per non ingenerare confusione con i livelli essenziali delle prestazioni. Il comma 6, infine, dispone che gli interventi delle regioni, delle province autonome e delle università (in questo caso non sono citate le istituzioni AFAM) sono realizzati in modo da garantire che le persone con disabilità possano mantenere il controllo di ogni aspetto della propria vita, senza subire condizionamenti da parte dei singoli assistenti o degli enti eroganti. Stabilisce, inoltre, che gli interventi di tutorato possono essere affidati ai «consiglieri alla pari», cioè persone con disabilità che hanno già affrontato e risolto problemi simili. L'articolo 9 disciplina in maniera diretta alcune situazioni di esonero totale dal pagamento di tasse e contributi, e affida alle università e alle istituzioni AFAM la possibilità di prevedere ulteriori esoneri, nei limiti delle proprie possibilità di bilancio, nonché la valutazione della condizione economica degli iscritti ai fini della graduazione dei contributi. Segnala che si è in presenza di una rilegificazione di argomenti finora disciplinati con norme di rango secondario (articoli 7 e 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001). In alcuni casi le disposizioni sono riferite a «le università», in altri a «le università statali». Il comma 1 dell'articolo in commento dispone che, ai fini della graduazione dell'importo dei contributi dovuti per la frequenza dei corsi, le università statali e le istituzioni AFAM valutano la condizione economica degli iscritti con le modalità indicate dall'articolo 8, comma 3, e possono tenere conto dei differenziali di costo di formazione riconducibili alle diverse aree disciplinari. Segnala che non vi è una parallela previsione per le università non statali legalmente riconosciute. Nell'ambito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001, all'argomento è dedicato l'articolo 7, che, riferendosi alle sole università statali, dispone che esse valutano autonomamente la situazione economica degli iscritti, sulla base dei criteri definiti dall'articolo 3, coma 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997. Questi ultimi dispongono che le università graduano l'importo dei contributi universitari secondo criteri di equità e solidarietà, in relazione alle condizioni economiche dell'iscritto, utilizzando metodologie adeguate a garantire un'effettiva progressività, anche allo scopo di tutelare gli studenti di più disagiata condizione economica. Ai fini della graduazione e della valutazione della condizione economica degli iscritti, dall'anno accademico 1998-1999 sono diventate vincolanti le previsioni dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001, al quale è stata anche rimessa la determinazione degli esoneri totali o parziali.
Segnala che poiché all'articolo 1 si specifica che cosa si intende con il termine «corsi», nel comma 1 dell'articolo 9 non sembra necessario utilizzare la locuzione «di livello universitario». I commi da 2 a 4 riguardano la definizione diretta di situazioni di esonero totale. In particolare, il comma 2 dispone che le università (in questo caso non si specifica che si tratta delle università statali, ma si veda poi il comma 8) e le istituzioni AFAM esonerano totalmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari gli studenti che presentano i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e gli studenti in situazione di handicap con invalidità riconosciuta pari o superiore al 66 per cento. Per questi casi il comma 6, specificando che si tratta degli studenti iscritti ai corsi di laurea, di laurea magistrale, di laurea magistrale a ciclo unico, di dottorato di ricerca, nonché ai corsi accademici di primo e di secondo livello, dispone il rimborso della prima rata della tassa di iscrizione e dei contributi versata; in particolare, nel caso in cui le graduatorie per il conseguimento della borsa di studio non sono pubblicate al momento

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della scadenza delle iscrizioni ai corsi, il rimborso è effettuato entro un mese dalla stessa pubblicazione. Rileva che è necessario chiarire perché nel comma. 6 dell'articolo 9 si faccia riferimento solo agli studenti di alcuni corsi di studio, mentre l'articolo 4, comma 2, con specifico riferimento ai LEP - che, come si è visto, sono declinati nell'articolo 7 dello schema con riferimento alla borsa di studio - cita gli studenti «iscritti ai corsi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d» (si veda la scheda relativa). È altresì necessario chiarire se l'intenzione sia quella di far comunque versare la prima rata della tassa di iscrizione e dei contributi (per comprendere meglio la questione, si operi il raffronto testuale con l'articolo 7, comma. 8, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001). In base al comma 3, lo stesso esonero totale è concesso dalle università e dalle istituzioni AFAM agli studenti stranieri beneficiari di borsa di studio erogata dal Governo italiano nell'ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo e degli accordi intergovernativi culturali e scientifici e dei relativi programmi esecutivi. Negli anni successivi al primo, l'esonero è condizionato al rinnovo della borsa di studio da parte del Ministero degli affari esteri, nonché al rispetto dei requisiti di merito di cui all'articolo 8, comma 2, preventivamente comunicati dall'università o istituzione AFAM allo stesso MAE. In base al comma 4, sono altresì esonerati totalmente dal pagamento di tasse e contributi universitari gli studenti costretti ad interrompere gli studi a causa di infermità gravi e prolungate debitamente certificate, per il periodo di infermità. Si è in presenza di una restrizione degli esoneri rispetto a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001. Il comma 5 disciplina la possibilità per le università statali e le istituzioni AFAM di disporre ulteriori esoneri. In particolare, esse, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, possono prevedere autonomamente, e tenuto conto della condizione economica dello studente, la concessione di esoneri totali o parziali dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, con riferimento a: studenti diversamente abili con invalidità inferiore al 66 per cento; studenti che concludono gli studi entro i termini previsti dai rispettivi ordinamenti con regolarità nell'acquisizione dei crediti previsti dal piano di studi; studenti che svolgono una documentata attività lavorativa. Il comma 7 dispone che gli studenti che presentano i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio che si iscrivono ad un anno successivo di corso, non devono pagare la tassa di iscrizione e i contributi fino alla pubblicazione delle graduatorie per il conseguimento della borsa di studio. Segnala quindi la presenza del refuso «e dei contributi» (invece che «e i contributi»). Il comma 8 dispone che le università non statali legalmente riconosciute riservano agli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, una quota del contributo statale di cui alla legge n. 243 del 1991 concedendo gli esoneri totali di cui al comma 2 (relativi, cioè, agli studenti con i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio e agli studenti con un grado di invalidità superiore al 66 per cento - non viene, quindi, fatto riferimento agli esoneri di cui ai commi 3 e 4) ed ulteriori esoneri stabiliti autonomamente, tenendo conto dei criteri di cui al comma 5. Al fine di garantire alle stesse università una adeguata copertura degli oneri finanziari, il comma 10 dispone che, nel riparto dei contributi di cui alla citata legge n. 243 del 1991, il Ministro definisce specifici incentivi che tengono conto dell'impegno nelle politiche per il diritto allo studio, con particolare riferimento all'incremento del numero degli esoneri totali dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, rispetto all'anno accademico 2000-2001, degli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio. Il comma 9 dispone che le università e le istituzioni AFAM comunicano entro il 30 aprile di ogni anno al Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca e al Consiglio nazionale degli studenti universitari, il numero degli studenti esonerati totalmente o parzialmente

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dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari, secondo le diverse tipologie di esonero, nonché la distribuzione degli studenti per classi di importo delle tasse e dei contributi.
Sottolinea che l'articolo 10, raffrontabile con gli articoli 22 e 23 della legge n. 390 del 1991, conferisce a regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM, nonché agli enti erogatori dei servizi concernenti il diritto allo studio, nelle more dell'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2, del decreto legge. n. 78 del 2010 (legge n. 122 del 2010), la potestà di procedere al controllo della veridicità della situazione familiare dichiarata dallo studente, confrontando i dati reddituali e patrimoniali dichiarati dai beneficiari degli interventi con i dati in possesso del sistema informativo dell'Agenzia delle Entrate. Al fine indicato, le università, le istituzioni AFAM e gli enti erogatori dei servizi possono accedere direttamente al sistema SIATEL, ovvero al sistema di interscambio anagrafe tributaria degli Enti Locali dell'Agenzia delle Entrate, previa stipula di apposita convenzione. Si tratta, dunque, di una disciplina transitoria. Infatti, i commi da 1 a 3 dell'articolo. 38 citato dispongono lo svolgimento di appositi controlli sulle prestazioni sociali agevolate - comprese quelle sul diritto allo studio universitario - erogate ai cittadini richiedenti, in base all'indicatore della situazione economica equivalente e alla presentazione della dichiarazione sostitutiva unica. In particolare, il comma 2 affida a una convenzione tra l'INPS e l'Agenzia delle entrate la definizione delle modalità attuative e le specifiche tecniche per lo scambio delle informazioni necessarie ai fini degli accertamenti sulla sussistenza o meno - in relazione al reddito - del diritto alle prestazioni sociali godute. Il comma 2 reca le modalità di interscambio dei dati. In particolare, spetta agli enti erogatori dei servizi per il diritto allo studio l'invio degli elenchi dei beneficiari all'Amministrazione finanziaria, con potere di richiedere all'Amministrazione finanziaria l'effettuazione di controlli e verifiche. Lo schema prevede inoltre che i titolari del nucleo familiare di appartenenza degli studenti che beneficiano dei servizi siano inseriti nelle categorie che vengono assoggettate, ai sensi della vigente normativa, ai massimi controlli. Osserva che la formulazione della disposizione - peraltro testualmente ripresa dall'articolo 22, coma 3, della legge n. 390 del 1991 - appare alquanto generica: sembra a tal fine opportuno precisare in che modo la locuzione «massimi controlli» connoti l'attività svolta dall'Amministrazione finanziaria (se essa debba prendere in considerazione specifici elementi reddituali, ovvero se si intenda far riferimento alla frequenza dei controlli da effettuare, ovvero ancora se in tal modo si richieda la predisposizione di specifica attività ispettiva). Il comma 3 del medesimo articolo dispone una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma di importo doppio rispetto a quella percepita o al valore dei servizi indebitamente fruiti, nonché la sanzione accessoria della perdita del diritto ad ottenere altre erogazioni per la durata del corso degli studi, nei confronti dei soggetti che, senza trovarsi nelle condizioni stabilite dalle disposizioni statali e regionali, presentino dichiarazioni non veritiere, proprie o dei membri del nucleo familiare, al fine di fruire degli interventi. Viene fatta salva in ogni caso l'applicazione della sanzione pecuniaria da 500 a 5.000 euro, irrogata dall'INPS, in caso di illegittima fruizione delle prestazioni sociali agevolate, in relazione al maggior reddito accertato o anche alla discordanza tra il reddito dichiarato ai fini fiscali e quello indicato nella dichiarazione sostitutiva unica (richiamato articolo 38, comma 3, del decreto legge n. 78 del 2010), nonché delle norme penali, ove i fatti costituiscano reato.
Ricorda ancora che l'articolo 11 introduce una nuova disciplina delle attività a tempo parziale degli studenti, sostitutiva di quella recata dall'articolo 13 della legge n 390 del 1991. Il comma 1 dispone che le università e le istituzioni AFAM, nonché gli enti delle regioni e delle province autonome che erogano servizi per il diritto

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allo studio, sentiti gli organismi di rappresentanza degli studenti previsti dallo Statuto, disciplinano con propri regolamenti le forme di collaborazione degli studenti ad attività connesse ai servizi (resi anche dai collegi universitari non statali legalmente riconosciuti), escluse quelle relative alle attività di docenza, allo svolgimento degli esami e all'assunzione di responsabilità amministrative. In base al comma 4, i regolamenti sono emanati rispettando i criteri specificamente indicati, relativi a: selezione degli studenti valorizzando il merito negli studi; prestazioni per un numero massimo di ore non superiore a 200 per ogni anno accademico; a parità di curriculum formativo, precedenza agli studenti in condizioni economiche maggiormente disagiate. Al comma 4, lettera b), suggerisco di sostituire le parole «prestazioni lavorative» con la parola «collaborazione» (in considerazione del fatto che il comma 3 dispone che la collaborazione non configura un rapporto di lavoro). In base al comma 2, le collaborazioni sono assegnate nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio dell'università e delle istituzioni AFAM, con esclusione di ogni onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato, e sulla base di graduatorie formulate secondo criteri di merito e condizione economica. Invita a valutare l'opportunità di inserire, alla fine del comma 2, le parole «nel rispetto di quanto disposto alle lettere a) e c) del comma 4» (che, letteralmente, riguardano solo i regolamenti e non anche le graduatorie). Il successivo articolo 12 declina i criteri direttivi di cui all'articolo 5, comma 6, lettere d) ed e), della legge n 240 del 2010. Il comma 1, parzialmente raffrontabile con gli articoli. 9 e 10 della legge n. 390 del 1991, dispone, infatti, che il ministero dell'istruzione, università e ricerca, sentito il ministero dell'economia e finanze, promuove accordi di programma e protocolli di intese, anche con l'attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, per favorire il raccordo tra tutte le strutture che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma di servizi e interventi posti in essere dalle stesse. Rispetto al quadro vigente, dunque, si prevede un ruolo di impulso centrale. Segnala che alla fine del comma 1 si apre un secondo periodo costituito, però, solo dalla preposizione «Sul». I commi dal 2 al 4 riguardano la possibilità di sperimentare nuovi modelli nella gestione degli interventi per la qualità e l'efficienza del sistema universitario; la formulazione lascerebbe pensare ad un ambito più vasto di quello relativo al diritto allo studio, riterrebbe quindi opportuno un chiarimento. In particolare, in base al comma 2, al fine sopra indicato, il Ministro può stipulare protocolli e intese sperimentali con le regioni e le province autonome, sentiti il CNSU, il CNAM e la CRUI, anche con l'attribuzione di specifiche risorse nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio. Il comma 3 dispone che i risultati dei protocolli e degli accordi sono sottoposti a verifica e valutazione da parte del ministero dell'istruzione, università e ricerca.. A tal fine, i soggetti gestori predispongono ogni anno una relazione sui risultati della sperimentazione, sui benefici derivanti dalle novità, sulle eventuali linee correttive. Il comma 4, infine, dispone che i risultati delle sperimentazioni sono pubblicati sul sito del ministero dell'istruzione, università e ricerca e precisa che essi sono consultabili da tutti i soggetti che concorrono all'attuazione del diritto allo studio. Sull'argomento ricorda che l'articolo 4 del decreto legge n. . 212 del 2002 (legge n. 268 del 2002) modificando l'articolo 4, comma 1, primo periodo, della legge n. 370 del 1999, ha inserito fra le finalità del Fondo per l'incentivazione dell'impegno didattico dei professori e dei ricercatori universitari anche quella relativa a progetti sperimentali e innovativi sul diritto allo studio proposti dalle regioni mediante programmazione concordata con il ministero dell'istruzione, università e ricerca. La finalità è stata esplicitamente fatta salva dall'articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 105 del 2003. Al comma 3 riterrebbe necessario inserire un riferimento ai protocolli ed accordi «di cui al comma 2» (poiché accordi e protocolli

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sono previsti anche dal comma 1). Al comma 4 segnala la presenza di un refuso («pubblicate» invece che «pubblicati»). Inoltre, poiché i risultati sono pubblicati sul sito del Ministero, non sembrerebbe necessaria la specifica successiva. Né sembrerebbe necessario l'utilizzo dell'aggettivo «istituzionale».
Ricorda che l'articolo 13 declina il criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 6, lettera f), della legge n 240 del 2010, disponendo in materia di tipologie e caratteristiche delle strutture residenziali destinate agli studenti universitari, mentre l'articolo 14 individua gli utenti delle stesse strutture. Il comma 1 dispone la collaborazione fra Stato, regioni, province autonome, enti locali, università, istituzioni AFAM e altre istituzioni pubbliche e private che offrono servizi per il diritto allo studio, per il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale. Gli stessi soggetti sono chiamati, inoltre, a favorire la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati, anche mediante specifici accordi con le parti sociali, i collegi universitari legalmente riconosciuti e i collegi di cui all'articolo 1, comma 603, della legge 296 del 2006. I commi da 2 a 4 individuano le caratteristiche e le tipologie delle strutture, sembrando intervenire su ambiti già trattati dalla legge 388 del 2000 (in particolare, sui commi 3 e 4 dell'articolo. 1, di cui però, non si dispone l'abrogazione). In particolare, il comma 2 dispone che una struttura ricettiva è qualificata «struttura residenziale universitaria» se dispone di adeguate dotazioni di spazi e servizi ed è in grado di garantire agli studenti di permanere nella sede universitaria per la frequenza dei corsi, favorendone l'integrazione sociale e culturale nello specifico contesto. Dal punto di vista della formulazione del testo, segnala la necessità di correggere il verbo «consentirgli», sostituendolo con «consentire loro». I commi 3 e 4 riguardano la differenziazione delle strutture residenziali universitarie. Da questo punto di vista, il comma 3 fa riferimento alla differenziazione derivante dalle funzioni ospitate, dai servizi erogati e dalle modalità organizzative e gestionali adottate, ribadendo il concetto, già espresso al comma 1, che rientrano in tale tipologia le strutture ricettive che prevedono la presenza di spazi per lo svolgimento di funzioni residenziali, culturali e di socializzazione. Il comma 4 fa riferimento alla differenziazione fra collegi universitari e residenze universitarie. In entrambi i casi si parla di «strutture ricettive, dotate di spazi polifunzionali, idonee allo svolgimento di funzioni residenziali». Inoltre, per i collegi sono previsti servizi alberghieri connessi e funzioni formative, culturali e ricreative. Per le residenze universitarie le funzioni residenziali possono essere assicurate «anche con servizi alberghieri». Esse devono essere strutturate in modo che siano ottemperate le esigenze di individualità e di socialità e possono svolgere funzioni di carattere formativo e ricreativo, mentre non si fa riferimento alle funzioni di carattere culturale, previste per i collegi. In base al comma 7, le caratteristiche tecniche peculiari dei collegi universitari e delle residenze universitarie, nonché le specifiche relative allo svolgimento di funzioni residenziali, culturali e di socializzazione, sono definite entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, emanato previa intesa con la Conferenza Stato-regioni e sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari. Al comma 4 invita a valutare l'opportunità di chiarire meglio la distinzione fra «servizi alberghieri connessi» (previsti per i collegi) e «anche con servizi alberghieri» (previsti per le residenze). Inoltre, non appare chiara la previsione in base alla quale, da un lato, le residenze devono ottemperare alle esigenze di socialità, dall'altro «possono» avere funzioni di carattere ricreativo. Infine, in relazione alle disposizioni recate dal complesso dei commi 3, 4 e 7, occorre valutare la necessità di abrogare alcune disposizioni della legge n. 388 del 2000. Il successivo comma 5 dispone che, nel caso di strutture residenziali universitarie private, il rapporto che intercorre tra il gestore e l'utilizzatore

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è disciplinato da un contratto di ospitalità di carattere alberghiero, redatto in forma scritta e in base alle modalità definite dallo stesso decreto di cui al comma 7; il comma 6 prevede che le strutture residenziali universitarie realizzate con i contributi di cui alla legge n. 338 del 2000 possono essere trasferite ai fondi immobiliari istituiti anche con il piano nazionale di edilizia abitativa di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 luglio 2009. Rimane in ogni caso fermo il finanziamento ministeriale e i connessi obblighi derivanti dallo stesso.
Aggiunge che l'articolo 14, comma 1, primo periodo, individua i soggetti che accedono alle strutture residenziali universitarie, stabilendo che essi sono gli studenti universitari cui è destinata la prevalenza delle giornate di presenza su base annua. Il comma 2 specifica, peraltro, che, al fine di favorire l'integrazione delle diverse figure del mondo universitario e lo scambio di esperienze e conoscenze, è consentito l'utilizzo dei posti alloggio per dottorandi, borsisti, assegnisti, docenti e altri esperti coinvolti nell'attività didattica e di ricerca. Inoltre, in base al secondo periodo del comma 1, e al comma 3, è facoltà del gestore destinare eventualmente gli spazi realizzati per servizi di supporto alla didattica e alla ricerca, e le attività culturali e ricreative delle medesime strutture, anche a studenti non residenti nella struttura stessa, nonché, al fine di un utilizzo più efficiente delle strutture, destinare posti in alloggi anche a soggetti diversi da quelli di cui ai commi 1 e 2, in particolare nei periodi di chiusura estiva. La relazione illustrativa, riferendosi agli studenti «cui sono destinate la prevalenza delle giornate di presenza su base annua», evidenzia che sono inclusi gli studenti partecipanti ai programmi di mobilità internazionale, ma questa specifica non è presente nel testo (a differenza dell'articolo 15, comma 3, lettera f). Al riguardo, riterrebbe opportuno chiarire il concetto di «prevalenza» citato ai commi 1 e 3, in particolare esplicitando se per studenti «cui sono destinate la prevalenza delle giornate di presenza su base annua» si intende «presenza degli studenti universitari per oltre la metà delle giornate annue». In ogni caso, andrebbe modificata la formulazione del testo, sostituendo le parole «sono destinate» con le parole «è destinata». Gli articoli da 15 a 17 declinano l'aspetto della delega recata dall'articolo 5, comma 1, lettera a), secondo periodo, della legge n. 240 del 2010, per la quale, si ricorda, i principi e criteri direttivi sono recati dal comma 3, lettera. f). L'obiettivo è la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti e la necessità dell'accreditamento - ottenibile dopo che siano trascorsi almeno 5 anni dal riconoscimento - per l'accesso al finanziamento statale. In particolare, l'articolo 15 detta norme per la definizione dei collegi universitari legalmente riconosciuti. Il comma 1 riprende la definizione recata dall'articolo. 5, comma 3, lettera f), della legge n. 240 del 2010, con alcune variazioni: in particolare, si specifica che i collegi - già definiti dalla legge strutture a carattere residenziale - sono aperti a studenti di atenei italiani o stranieri. Di essi si specifica, altresì, l'elevata qualificazione formativa, che si aggiunge all'elevata qualificazione culturale già prevista dalla legge. Si specifica, inoltre, che perseguono la valorizzazione del merito e l'interculturalità della preparazione, assicurando a ciascuno studente, sulla base di un progetto personalizzato, servizi educativi, di orientamento e di integrazione dei servizi formativi (laddove, con riferimento all'ultimo passaggio, la legge parla di «integrazione dell'offerta formativa degli atenei).
Segnala che non appare ripreso dalla legge il carattere di «rilevanza nazionale» dei collegi. Si dispone, infine, che i collegi universitari legalmente riconosciuti sono gestiti da soggetti che non perseguono fini di lucro. Il comma 2 dispone che, nell'ambito delle proprie finalità istituzionali, i collegi legalmente riconosciuti sostengono gli studenti meritevoli, anche se privi di mezzi. Ribadisce, inoltre, che, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della legge. n. 240 del 2010, l'ammissione presso gli stessi collegi, a seguito del relativo bando

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di concorso, costituisce titolo valutabile per i candidati, ai fini della predisposizione delle graduatorie per la concessione dei contributi a carico del Fondo per il merito. Ricorda che la finalità del Fondo per il merito, istituito presso il ministero dell'istruzione, università e ricerca all'articolo 4 della legge n. 240 del 2010, è la promozione dell'eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale. Il Fondo eroga buoni studio e premi di studio e fornisce la garanzia sui finanziamenti concessi dagli istituti di credito. L'articolo 9, commi . 3-16, del decreto legge n. 70 del 2011 (legge n. 106 del 2011) ne ha affidato la gestione alla Fondazione per il merito. Con riferimento alla parte del comma 2 che fa riferimento all'ammissione ai collegi quale titolo valutabile per la concessione dei contributi a carico del Fondo per il merito, osservo che la disposizione dell'articolo 4, comma 4, della legge. n. 240 del 2010 risulta immediatamente precettiva (non essendoci, dunque, bisogno di ripeterla nel presente schema di decreto), e si estende, peraltro, ai collegi di cui all'articolo 1, comma. 603, della legge finanziaria per il 2007, qui non citati. Il comma 3 individua le categorie nelle quali, di norma (e, dunque, si intende, senza preclusione per altre categorie), devono rientrare gli ospiti dei collegi universitari legalmente riconosciuti, specificando che si tratta di studenti universitari dotati di comprovate capacità e meriti curriculari. Considerato che l'articolo 1 dello schema in esame, per la definizione di «corsi», fa riferimento a quelli attivati ai sensi dell'articolo 3 del decreto ministeriale n. 270 del 2004 e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005 (nonché dell'articolo 2, comma 9, del decreto ministeriale n. 38 del 2002), invito a valutare se l'elenco derivante dalle lettera a), d) ed f) (che, correttamente, sono a), c) e d)) è necessario. Inoltre, nell'alinea dovrebbe essere eliminato l'aggettivo «universitari», considerato il riferimento anche gli iscritti a corsi delle Istituzioni AFAM. Segnala che, secondo quanto risulta dai dati contenuti nel Rapporto dei collegi universitari legalmente riconosciuti relativo all'anno accademico. 2008-2009, gli studenti ospitati nelle 45 strutture collegiali presenti in Italia sono stati 2.552, di cui 272 stranieri, iscritti a corsi universitari, dottorati di ricerca, scuole di specializzazione e master L'articolo 16 stabilisce la procedura per la richiesta, da parte dei collegi universitari, del riconoscimento della qualifica di «collegio universitario di merito». In particolare, il comma 1 prevede che, con proprio decreto, il ministero dell'istruzione, università e ricerca concede il riconoscimento alle strutture residenziali che ne fanno richiesta, entro 120 giorni dal ricevimento della domanda avanzata dalle stesse strutture. Dal punto di vista della formulazione del testo, rileva che sembrerebbe preferibile uniformare la terminologia utilizzata nel comma 1 a quella utilizzata al comma 2, che fa riferimento al «collegio universitario» (mentre il comma 1 utilizza l'espressione «strutture residenziali»). Inoltre, è necessario inserire una virgola dopo la parola «richiesta». In base al comma 2, ai fini del riconoscimento, il collegio universitario deve dimostrare di possedere requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale, non inferiori a quelli previsti per l'accesso ai finanziamenti di cui alla legge n. 338 del 2000. In particolare: a) lo statuto deve prevedere uno scopo formativo, svolto in maniera sistematica e continuativa. Inoltre, il collegio deve fornire adeguata dimostrazione del possesso delle conseguenti qualificazioni e strutture organizzative necessarie alla sua realizzazione; b) il collegio deve disporre di strutture ricettive dotate di spazi polifunzionali ed infrastrutture idonee allo svolgimento di funzioni residenziali, con connessi servizi alberghieri, di attività formative, culturali e ricreative, concepite con alti standard qualitativi. Si tratta dei requisiti già previsti dall'articolo 13, comma 4, lettera a), dello schema; c) il collegio deve disporre di strutture ricettive in grado di ospitare utenti italiani, provenienti da più regioni sul territorio nazionale, e stranieri, con particolare riguardo a quelli provenienti da paesi dell'Unione Europea, anche

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in una prospettiva di sviluppo interculturale. Rileva che sembrerebbe opportuno chiarire la specifica recata dalla lettera c), rispetto alla previsione recata dalla lettera b). Il comma 3 prevede che il decreto ministeriale con il quale, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera f), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010 sono indicate le modalità di dimostrazione dei requisiti di cui alle lettere a), b), e c), del comma 2, nonché le modalità di verifica della loro permanenza, è emanato entro 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale. Dal punto di vista della formulazione del testo, segnala che l'espressione corretta è «pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale». Con il riconoscimento di cui al comma 1 il collegio universitario acquisisce la qualifica di «collegio universitario di merito» (comma 4). Infine, il comma 5 dispone che restano ferme restando le disposizioni vigenti in materia di collegi universitari legalmente riconosciuti. Rileva che la disposizione sembra sovrapporsi a quella recata dal comma 2 dell'articolo 23, nella parte in cui la stessa prevede che restano ferme le disposizioni vigenti per i collegi universitari legalmente riconosciuti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Lo stesso comma 2 dispone, inoltre, che tali collegi si considerano già riconosciuti ed accreditati ai sensi degli articoli 16 e 17 e, in ogni caso, grava sugli stessi l'obbligo di adeguarsi agli standard e requisiti ivi previsti entro due anni dall'entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 16, comma 3. Dunque, si dispone una procedura particolare per i collegi universitari legalmente riconosciuti già esistenti, che dovrebbero essere i collegi storici previsti dalla legge n. 240 del 2010. Ritiene pertanto necessario chiarire se si sia in presenza, nell'articolo 16, comma 5, e nell'articolo. 23, comma 2, di una duplicazione dello stesso concetto. Inoltre, è opportuno esplicitare a quali disposizioni si intenda fare riferimento, considerato che la prosecuzione dell'accesso ai finanziamenti previsti dalla n. legge 338 del 2000 sembrerebbe già essere garantito dal comma 2 dell'articolo 16.
Rileva quindi che l'articolo 17 detta la disciplina per l'accreditamento, disponendo, al comma 1, che il Ministro, con proprio decreto, concede lo stesso accreditamento su domanda avanzata dai collegi universitari di merito che abbiano ottenuto il riconoscimento da almeno cinque anni. Ai sensi del comma 4, il decreto è emanato entro 60 giorni dal ricevimento della domanda, ove sussistano i requisiti richiesti. Al comma 1, suggerisce di inserire le parole «di cui all'articolo 16», dopo le parole «il riconoscimento». Suggerisce, inoltre, di riportare il contenuto del comma 4 nel comma 1, anche per eliminare la discrasia fra il riferimento al «Ministro» nel comma 1 e al «Ministero» nel comma 4. Il comma 2 stabilisce che per la concessione dell'accreditamento di cui al comma 1 il collegio universitario di merito deve dimostrare di possedere requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale. Le modalità di dimostrazione ed attestazione dei predetti requisiti e le modalità di verifica della permanenza dei requisiti medesimi sono indicate nel decreto di accreditamento (comma 3). Il comma 5 ribadisce quanto già indicato nell'articolo 5, comma 1, lettera a), secondo periodo, della legge n. 240 del 2010, in merito all'accreditamento quale condizione necessaria per la concessione del finanziamento statale, specificando, tuttavia, che ciò avviene compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili. Come dispone l'articolo 5, comma 3, lettera f), della legge n. 240 del 2010, le modalità e le condizioni di accesso sono definite con decreto del Ministro; il successivo comma 6, peraltro, attribuisce al decreto di accreditamento la definizione delle modalità di accesso ai finanziamenti statali. Rileva che si rende quindi necessario chiarire se si pensa ad un unico decreto ministeriale che definisca le modalità e le condizioni di accesso al finanziamento (in tal senso sembrerebbe doversi leggere il comma 5), oppure se si pensa alla definizione delle stesse modalità e condizioni in ciascun decreto di accreditamento (come si legge nel comma 6). L'articolo 18 individua invece il sistema di

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finanziamento delle borse di studio - nelle quali, come si è visto nella scheda di lettura relativa agli articoli 6 e 7, si concretizza la declinazione dei LEP -, disponendo, altresì, sul finanziamento degli altri strumenti e servizi relativi al diritto allo studio. Preliminarmente rileva che un comma dell'articolo (l'originario comma 5 - a cui peraltro continua a fare in parte riferimento la relazione tecnica -) è barrato. Lo stesso non sarà, pertanto, oggetto di commento. Segnala la conseguente necessità di rinumerare tutti i commi dell'articolo. Inoltre, si potrebbe valutare l'idea di riorganizzare la sequenza dei commi in modo tale che i concetti risultino più accorpati. In tal modo procederà nel commento a seguire. Per coprire il fabbisogno finanziario necessario per garantire le borse di studio a tutti gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, che presentino i requisiti di eleggibilità di cui all'articolo 8, il comma 1 detta una disciplina transitoria, nelle more dell'attuazione delle disposizioni della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Per la copertura del fabbisogno indicato, il comma 1 fa riferimento al Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (che sembrerebbe essere un nuovo Fondo, poiché si parla di «istituzione» e perché si differenzia, nella denominazione e nelle finalizzazioni, dal Fondo esistente) e al gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio. In particolare, la lettera. a) specifica che il Fondo è istituito ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione nello stato di previsione del ministero dell'istruzione, università e ricerca (senza, peraltro, indicare se il meccanismo di rifinanziamento resterà uguale a quello attualmente previsto per il Fondo di intervento integrativo per i prestiti d'onore e le borse di studio) e assegnato in misura proporzionale al fabbisogno finanziario relativo ai LEP, tenuto conto di quanto previsto ai commi 2 e 3. Ai sensi del comma 2, infatti, le regioni e le province autonome assicurano, nell'ambito delle risorse proprie, la definizione dei requisiti di eleggibilità riferiti alla condizione economica dello studente in misura superiore almeno del 10 per cento rispetto a quelli assicurati dallo Stato a garanzia dei livelli delle prestazioni (si veda anche il comma 5-bis).
Sul punto segnala, peraltro, che la relazione illustrativa dispone in termini di «possibilità» per le regioni e le province autonome di prevedere forme di garanzia del diritto allo studio più favorevoli di quelle determinate dallo Stato con riferimento ai LEP, mentre il testo dispone in termini di obbligo, indicando anche la misura minima di tale obbligo. Considerata la ripartizione di competenze in materia di diritto allo studio - nonché la previsione di cui all'articolo 3, comma 3, dello schema per le regioni a statuto speciale e le province autonome - la questione deve essere attentamente valutata. Il comma 3 dispone che l'impegno delle regioni è valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del Fondo integrativo statale e del FFO alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale. Sul Fondo integrativo statale intervengono anche i commi 1-bis, 4, 5 e 6. In particolare, il comma 1-bis stabilisce che, a decorrere dal 2012, nel Fondo confluiscono le risorse previste a legislazione vigente per il Fondo integrativo per la concessione di borse di studio e prestiti d'onore di cui all'articolo 16 della legge n. 390 del 1991. Il comma 5, peraltro, dispone, sempre a decorrere dal 2012, un incremento dell'autorizzazione di spesa per il Fondo, pari a 500.000 euro, a valere su una corrispondente riduzione di spesa delle risorse stanziate in base all'articolo 4, comma 1, della legge n. 370 del 1999; il successivo comma 4 ripete, come già evidenziato, un concetto già presente nell'articolo 7, comma 7. Sul rinvio al decreto di cui all'articolo 7, comma 7, ritiene peraltro necessario un chiarimento, considerato che, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo 7 - che prevede un ulteriore decreto per la determinazione dell'importo delle borse di studio per i primi tre anni accademici - lo stesso decreto non dovrebbe intervenire prima di 3 anni accademici dall'entrata in

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vigore del decreto legislativo. Il comma 6 dispone sulla natura delle risorse del Fondo integrativo statale. In particolare, il primo periodo dispone che tali risorse confluiscono dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti alle regioni, in attuazione dell'articolo 16 della legge n. 42 del 2009. La seconda parte del comma dispone che le medesime risorse sono escluse dalle riduzioni di risorse erariali di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto legge. n. 78 del 2010 (legge. n. 122 del 2010), a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario. Fanno eccezione le riduzioni già concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Segnala che il riferimento al solo articolo 14, comma 2, del decreto legge n. 78 del 2010, fa sì che l'esclusione sia esplicita solo in relazione al taglio di 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012 e non anche all'ulteriore riduzione di risorse, determinata, come detto, dai decreti legge nn.. 98 e 138 del 2011 e pari a ulteriori 1.600 milioni di euro per il comparto delle regioni a statuto ordinario. Dal momento che sugli obiettivi di finanza pubblica è basata l'applicazione del patto di stabilità, non risulta chiaro, inoltre, se l'esclusione delle risorse del Fondo dai tagli significhi anche l'esclusione delle spese sostenute dalle regioni per l'utilizzo di tali fondi, dal computo delle spese considerate ai fini del patto di stabilità. Con riferimento alla formulazione del testo del comma 6, appare necessario indicare che il «Fondo integrativo statale» è quello di cui al comma 1, lett. a); in proposito, la finalizzazione del Fondo recata nel medesimo comma 6 andrebbe più correttamente collocata nell'ambito del predetto comma 1, lett. a). Appare altresì necessario precisare la lettera relativa al principio direttivo richiamato (lett. b)) del comma 1 all'articolo 16 della citata legge n. 42 del 2009). Ritiene infine opportuno modificare l'ultimo periodo del comma 6 sostituendo le parole «sono fatte salve», con le parole «ad eccezione», considerato che la norma in esame non appare a favore delle autonomie territoriali indicate. La seconda modalità di copertura del fabbisogno finanziario necessario per garantire, attraverso la borsa di studio, i LEP, è costituita dal gettito derivante dall'importo della tassa regionale per il diritto allo studio (comma 1, lett. b). Si conferma, dunque, la destinazione della tassa già prevista a legislazione vigente. Rispetto al quadro così descritto, il comma 7 modifica la disciplina in materia di determinazione dell'importo della tassa, che è articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa è stabilita in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP. I valori della tassa minima per le altre due fasce sono fissati in 140 euro e 160 euro e riguardano coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente superiore, rispettivamente, al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP, il livello massimo della tassa è fissato in 200 euro. Qualora le regioni e le province autonome non stabiliscano con proprie leggi, entro il 30 giugno di ciascun anno a decorrere dal 2012, l'importo della tassa di ciascuna fascia, la stessa è dovuta nella misura di 140 euro. Per gli anni accademici successivi, il limite massimo della tassa è aggiornato sulla base del tasso di inflazione programmato. Ritiene quindi necessario chiarire il riferimento all'applicazione della misura minima della fascia più bassa della tassa a coloro che presentano una situazione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP, in relazione al fatto che il comma 22 dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995 - che non è oggetto di modifica - dispone che «Sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle borse di studio....». Inoltre, per la seconda fascia occorre precisare (quantificandolo) il riferimento

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all'ISEE «superiore al livello minimo», considerato che la terza fascia riguarda «il doppio del livello minimo». Dal punto di vista della formulazione del testo, al quinto periodo sembrerebbe opportuno sostituire le parole «2012 e degli anni successivi» con le parole «di ciascun anno». Si valuti, inoltre, se sia necessario l'intervento di una legge regionale annuale. Sotto lo stesso profilo della formulazione del testo, l'alinea del comma 7 deve essere così riformulato: «Il comma 21 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, è sostituito dal seguente:». I commi 5-bis, 8 e 9 recano disposizioni riguardanti ulteriori profili. Il comma 5-bis, al fine di razionalizzare l'uso delle risorse disponibili, autorizza le regioni e le province autonome a destinare alle borse di studio le residue risorse di cui all'articolo 4, commi 99 e 100, della legge n. 350 del 2003, relative all'attivazione del prestito fiduciario. Il comma 9, infine, prevede che le Università e le Istituzioni AFAM, nell'ambito della propria autonomia, possono destinare una quota del gettito dei contributi universitari all'erogazione degli interventi per il diritto allo studio. L'articolo 19 dispone che all'attuazione delle disposizioni del decreto si provvede nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, stanziate negli appositi programmi dello stato di previsione del ministero dell'istruzione, università e ricerca per l'anno 2012 e per gli esercizi successivi. La relazione tecnica esplicita che per il 2012 le risorse disponibili ammontano a circa 175 milioni di euro (che, come si è visto ante, corrispondono allo stanziamento previsto per il Fondo di intervento integrativo per le borse di studio e i prestiti d'onore). Dal punto di vista della formulazione del testo, poiché le risorse relative al Diritto allo studio nell'istruzione universitaria sono allocate nel programma 2.1, omonimo, rileva che l'espressione «negli appositi programmi» non appare la più appropriata.
Rileva quindi l'articolo 20 apre il Capo V dello schema decreto, che disciplina il monitoraggio sull'attuazione del diritto allo studio, disponendo l'istituzione con decreto del Ministro, presso la Direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario, dell'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario. Al comma 2, ricorda che nell'assetto attuale il riferimento corretto è al Dipartimento della gioventù. Entro il mese di marzo di ogni anno l'Osservatorio presenta al Ministero una relazione annuale sull'attuazione del diritto allo studio a livello nazionale (comma 4). Il successivo articolo 21 dispone che ogni 3 anni il Ministro per l'istruzione, l'università e la ricerca presenta al Parlamento un rapporto sull'attuazione del diritto allo studio, tenendo conto anche dei dati trasmessi all'Osservatorio da parte di regioni, province autonome, università e Istituzioni AFAM; l'articolo 22 dispone l'acquisizione dei dati raccolti ed elaborati in attuazione del decreto alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 196/2009, e successive modificazioni. Ricorda ancora che il comma 1 dell'articolo 23 dispone che per l'Università della Calabria sono fatte salve le specifiche disposizioni in materia di diritto allo studio, di cui alla legge 12 marzo 1968, n. 442. Rileva che sembrerebbe opportuno puntualizzare il riferimento alla legge n.. 442 del 1968. In base al comma 3, come già indicato in premessa, le nuove disposizioni hanno effetto a decorrere dall'anno accademico 2012/2013. Il comma 4 dispone che per le province autonome di Trento e Bolzano rimane fermo quanto disposto dall'articolo 2, comma. 109, della legge n. 191 del 2009, che ha sancito la soppressione di ogni erogazione, prevista da leggi di settore, a carico del bilancio dello Stato in favore delle province autonome medesime. Aggiunge che l'articolo 24 dispone le abrogazioni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto. Non si tratta di un elenco esaustivo, poiché si utilizza l'espressione «in particolare». La prima abrogazione riguarda la legge. n. 390 del 1991, ad eccezione dell'articolo 21. La seconda abrogazione riguarda l'articolo 20, comma 10, della legge n. 59 del 1997, il cui attuale contenuto non ha alcuna pertinenza con l'oggetto dello

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schema di decreto. Infatti, il testo vigente dell'articolo. 20, comma 10, della legge n. 59 del 1997 prevede l'individuazione, da parte degli organi responsabili di direzione politica e di amministrazione attiva, di forme stabili di consultazione e di partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza delle categorie economiche e produttive e di rilevanza sociale, interessate ai processi di regolazione e di semplificazione. Al riguardo, evidenzia che l'articolo 1, comma 2, della legge n. 229 del 2003, prevedendo l'intera sostituzione dell'articolo 20 della legge n. 59 del 1997, ha già di fatto abrogato l'originaria disposizione del comma 10, che aveva consentito l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. applicativo dell'articolo 4 della legge n. 390 del 1991 anche nelle more della costituzione della Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari. Occorre, dunque, sopprimere la previsione di abrogazione disposta. Con riguardo alla terza abrogazione, relativa all'articolo 4, comma 99 e 100, della legge n. 350 del 2003, segnalo solo che i commi 101 e 102 dello stesso articolo. 4 dovrebbero essere parimenti abrogati, in quanto richiamano il comma 100. Dovrebbe, altresì, essere abrogato il comma 103 - che abrogava i commi 1, 2 e 3 dell'articolo 16 della legge n. 390 del 1991 e che era stato oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale con sentenza n. 308 del 2004 - vista la prevista abrogazione, recata dallo schema in esame, dell'intera legge 390/1991, ad eccezione dell'articolo 21. Infine, occorre disporre anche l'abrogazione dell'articolo 6, comma 7, del decreto legge n. 35 del 2005, che riguarda la ripartizione del prestito fiduciario, ora abrogato. Confida che le audizioni informali che saranno svolte porteranno utili elementi di valutazione, ai fini dell'espressione del parere di competenza.

Valentina APREA, presidente, rileva che gli atti in esame completano il percorso di riforma già avviato dal precedente Governo.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei.
Atto n. 437.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.

Paola FRASSINETTI (PdL), relatore, ricorda che lo schema di decreto legislativo in esame, deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 13 gennaio 2012, è predisposto in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettere b) e c), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e dei criteri direttivi di cui ai commi 4, lettere b), c), d), e), f), e 5 del medesimo articolo, nell'ambito degli interventi volti ad incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario. Tali norme di delega prevedono che il Governo debba adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, finalizzati alla riforma di differenti aspetti del sistema universitario, tra cui: la «revisione della disciplina concernente la contabilità, al fine di garantirne coerenza con la programmazione triennale di ateneo, maggiore trasparenza ed omogeneità, e di consentire l'individuazione della esatta condizione patrimoniale dell'ateneo e dell'andamento complessivo della gestione; previsione di meccanismi di commissariamento in caso di dissesto finanziario degli atenei» (articolo 5, comma 1, lettera b)); l'»introduzione, sentita l'ANVUR, di un sistema di valutazione ex post delle politiche di reclutamento degli atenei, sulla base di criteri definiti ex ante» (articolo 5, comma 1, lettera c)).
L'articolo 1 fornisce le definizioni dei termini più ricorrenti nel testo, mentre l'articolo 2 definisce l'oggetto dello schema di decreto. In particolare, per «università»,

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«ateneo» o «atenei» si intendono le istituzioni universitarie italiane statali, inclusi gli istituti universitari ad ordinamento speciale, che sono i soggetti cui si applica il provvedimento. L'articolo 3, in attuazione del criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera b), della legge n. 240 del 2010, introduce l'obbligo dell'adozione di un piano economico finanziario triennale che, come evidenzia l'analisi di impatto della regolazione, è propedeutico alla programmazione triennale del personale. La finalità è quella di garantire la sostenibilità nel medio periodo di tutte le attività. In particolare, il comma 1 dispone che il piano - che qui viene definito bilancio unico d'ateneo di previsione triennale - è composto da budget economico e budget degli investimenti ed è predisposto in conformità con quanto disposto con il già citato decreto legislativo recante l'introduzione della contabilità economico-patrimoniale, della contabilità analitica e del bilancio unico nelle università (Atto n. 395). Al riguardo, ricorda che l'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge n. 240 del 2010 dispone che la revisione del sistema di contabilità delle università è finalizzata, fra l'altro, a garantirne la coerenza con la programmazione triennale di ateneo. A questa finalità, peraltro, l'Atto n. 395 non faceva cenno. Alla luce dell'ambito di applicazione delle nuove disposizioni sulla contabilità universitaria, riterrei opportuno chiarire l'ambito di applicazione delle disposizioni recate dallo schema di decreto in esame, che non ricomprende le università non statali. Inoltre, nel comma 1 dell'articolo in esame, e ovunque ricorra nello schema, riterrebbe opportuno utilizzare l'espressione «piano economico-finanziario triennale», che è quella utilizzata dalla legge delega. In base al comma 2, le università predispongono i documenti di bilancio di cui al comma 1 tenendo conto dei piani triennali per la programmazione e il reclutamento del personale (articolo 4 dello schema) e dei programmi triennali adottati ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2005, convertito dalla legge n. 43 del 2005, nel rispetto dei limiti massimi fissati per le spese per il personale e per le spese per l'indebitamento (articoli 5 e 6 dello schema). Riterrebbe opportuno chiarire se il piano economico-finanziario triennale deve essere approvato ogni tre anni, oppure ogni anno con riferimento al successivo triennio di programmazione, nonché, in ogni caso, il mese di approvazione, anche alla luce di quanto dispone l'articolo 4, comma 4. Dal punto di vista della formulazione del testo, osserva che le parole «piani triennali per la programmazione e il reclutamento del personale» dovrebbero essere sostituite con le parole (utilizzate nell'articolo 4, comma 1) «piani triennali per la programmazione del reclutamento del personale».
Osserva, poi, che l'articolo 4, declinando il primo periodo del criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera d), della legge n. 240 del 2010, individua i principi di riferimento per la predisposizione di piani triennali per la programmazione dei reclutamenti da parte delle università, nell'ambito della loro autonomia didattica, di ricerca e organizzativa. L'articolo 5, declinando il criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera e), della legge n. 240 del 2010 per la parte relativa alle spese per il personale individua un nuovo limite massimo alle medesime spese. La nuova disciplina è destinata a sostituire quella recata dall'articolo 1, comma 105, della legge n. 311 del 2004, dall'articolo 51, comma 4, della legge n. 449 del 1997, e dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, che sono abrogati dall'articolo 11, comma 1, lettera a), b) e c), dello schema. In relazione alla ricostruzione normativa effettuata, e alla nuova disciplina recata dallo schema in esame, riterrebbe opportuno valutare se, nell'ambito delle abrogazioni, non si debbano sopprimere anche, all'articolo 1-ter, comma 1, del decreto-legge n. 7 del 2005, la lettera e) e, al comma 2 del medesimo articolo, le parole da «fatta salva» fino a «scientifico-disciplinari». Inoltre, a seguito della disposta abrogazione dell'articolo 1, comma 105, della legge n. 311 del 2004, rileva che occorre modificare l'articolo

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18, comma 2, della legge n. 240 del 2010, che fa riferimento esplicito alla norma in questione. I commi da 1 a 3 dell'articolo 4 individuano l'oggetto dei piani, i criteri per la programmazione, la non applicabilità di parte degli stessi criteri ad alcuni atenei. Il comma 4 riguarda aspetti procedurali, ma esplicita anche la valenza dei piani. In base alla nuova disciplina, i piani triennali per la programmazione del personale riguardano il personale docente, ricercatore, dirigente e tecnico-amministrativo, compresi i collaboratori ed esperti linguistici, a tempo indeterminato e determinato (comma 1). I principi generali sono individuabili nella previsione che i piani sono predisposti tenendo conto dell'effettivo fabbisogno di personale per il miglior funzionamento della struttura universitaria, ma assicurando la sostenibilità della spesa di personale nell'ambito del piano economico-finanziario triennale di cui all'articolo 3 e il rispetto del limite massimo alle spese di personale di cui all'articolo 5 (commi 1 e 2, alinea). Quanto ai principi specifici, alcuni sono declinati nella loro interezza, mentre per altri si prevede l'intervento di un successivo decreto ministeriale. L'obiettivo complessivo è il riequilibrio nella composizione dell'organico. In base al comma 2, lettera da a) a c), si tratta di realizzare un equilibrio nella composizione dell'organico «del personale docente e ricercatore», in modo che, sul totale dei docenti delle due fasce, la percentuale di professori di prima fascia sia contenuta entro il 40 per cento, ovvero entro il 50 per cento per i dipartimenti che si posizionano nel primo decile della Valutazione della qualità della ricerca (VQR) . In tal caso, dunque, osserva che il criterio di riferimento è interamente definito dallo schema in esame. In considerazione del fatto che l'ultima parte della disposizione, laddove si prevede la percentuale del 50 per cento, fa riferimento ai dipartimenti, riterrebbe opportuno specificare se anche nella prima parte, laddove si prevede la percentuale del 40 per cento, il riferimento è ai singoli dipartimenti, ovvero all'ateneo nel suo complesso. Inoltre, poiché la lettera a) riguarda esclusivamente l'equilibrio nella composizione dell'organico di professori di I e di II fascia, occorre sopprimere le parole «e ricercatore». Osserva che si tratta poi di mantenere il rapporto fra l'organico del personale dirigente e tecnico-amministrativo a tempo indeterminato, compresi i collaboratori ed esperti linguistici, e il personale docente e ricercatore, entro valori di riferimento definiti con un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la cui emanazione non è previsto un termine, tenendo conto di dimensioni, andamento del turn-over e peculiarità scientifiche e organizzative dell'ateneo. Si tratta, infine, di conferire contratti triennali non rinnovabili a ricercatori, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010, in base a criteri, definiti ogni triennio con decreto del Ministro, tali da assicurare un'adeguata possibilità di consolidamento e sostenibilità dell'organico dei professori, anche in relazione a quanto previsto alla lettera a). In ogni caso, fermi restando i limiti alle assunzioni disposti dall'articolo 7, comma 1, dello schema, per gli atenei con una percentuale di professori di prima fascia superiore al 30 per cento del totale dei professori, il numero di contratti di ricerca in questione non può essere inferiore a quello dei professori di prima fascia reclutati nello stesso periodo. Il comma 3 dispone che i criteri di cui alle lettera a) e c) del comma 2 non si applicano agli istituti universitari ad ordinamento speciale, in considerazione delle loro peculiarità scientifiche e organizzative. In tal senso, dunque, osserva che sembra sostanzialmente confermare la scelta fatta con l'articolo 66, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008. Infine, il comma 4 dispone che i piani di reclutamento sono «adottati annualmente» dal consiglio di amministrazione con riferimento al successivo triennio e sono aggiornati in sede di approvazione del bilancio unico d'ateneo di previsione triennale. Il programma triennale è comunicato al Ministero per via telematica entro il successivo mese di febbraio e, fermo restando il limite massimo dell'indicatore

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delle spese di personale, pari all'80 per cento dei contributi statali per il funzionamento e di tasse e contributi universitari riscossi, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, dello schema, è condizione necessaria per indire procedure concorsuali, procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e conferire contratti a ricercatori a tempo determinato. Osserva quindi che la programmazione non condiziona, dunque, l'assegnazione di contratti per attività di insegnamento o il conferimento di altri incarichi a tempo determinato.
Con riferimento ai termini della delega, rileva quindi che l'articolo 5, comma 4, lettera d), della legge n. 240 del 2010 non fa riferimento al personale dirigente. Viceversa, dispone che la predisposizione del piano triennale per il personale è «diretto a riequilibrare (...) i rapporti di consistenza del personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, ed il numero dei professori e ricercatori di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e successive modificazioni». Osserva che il riferimento alla chiamata diretta non risulta, invece, presente nell'articolo in commento. Dal punto di vista della formulazione del testo, al comma 2, lettera a), poiché la valutazione della qualità della ricerca è effettuata periodicamente, invita a valutare l'opportunità di sostituire le parole «primo decile della VQR» con le parole «primo decile dell'ultima relazione finale della VQR». Al comma 2, lettera c), riterrebbe opportuno sostituire la parola «reclutamento di un numero di ricercatori» con le parole «conferimento a ricercatori di un numero di contratti», nonché le parole «ricercatori reclutati» con le parole «ricercatori titolari di contratti», in conformità alla terminologia utilizzata dall'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010. Per lo stesso motivo riterrebbe opportuno, al comma 4, sostituire le parole «e di ricercatori» con le parole «e al conferimento di contratti per ricercatori». Infine, al medesimo comma, invita a valutare se non si debba parlare di «adozione triennale» e di «aggiornamento annuale» del piano.
Ricorda, poi, l'articolo 5 definisce l'indicatore per la determinazione del nuovo limite massimo all'incidenza delle spese per il personale delle università, che finora è stato determinato dal rapporto fra spese fisse ed FFO. Nella nuova definizione, invece, si tiene conto sia di altre entrate, sia di altre voci di spesa, ad esempio, le spese del personale a tempo determinato: in particolare, l'indicatore è calcolato rapportando le spese di personale sostenute dall'ateneo nell'anno di riferimento alla «somma algebrica» dei contributi statali per il funzionamento e delle tasse, soprattasse e contributi universitari, rispettivamente, assegnati o riscossi nello stesso anno. Il comma 6 fissa il limite massimo di tale indicatore nella misura dell'80 per cento a fronte dell'attuale 90 per cento rapportato al solo FFO. Con riferimento alla formulazione del testo, osserva che al comma 1 non è necessario utilizzare la parola «algebrica», dal momento che la somma alla quale si fa riferimento non ricomprende importi di segno diverso. Inoltre, data la natura percentuale del limite fissato, invita a valutare la possibilità di aggiungere, al comma 1, dopo la parola «rapportando» la specifica «percentualmente». I commi da 2 a 4 specificano che cosa si intende per ciascuna delle grandezze utilizzate per la definizione dell'indicatore. L'ammontare delle spese, comprensivo degli oneri a carico dell'amministrazione, è considerato al netto delle entrate derivanti da finanziamenti esterni di soggetti pubblici e privati, destinati al finanziamento di spese per il personale, le cui caratteristiche sono definite al comma 5. Per omogeneità con i commi 3 e 4, invita a valutare l'opportunità di aggiungere, dopo le parole «spese sostenute dall'ateneo», le parole «nell'anno di riferimento,». Il comma 3 definisce contributi statali per il funzionamento la «somma algebrica» delle assegnazioni, nell'anno di riferimento, del Fondo per il finanziamento ordinario (FFO), del Fondo per la programmazione

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del sistema universitario, «per la quota non vincolata nella destinazione», e di eventuali ulteriori assegnazioni statali a carattere stabile destinate alle spese per il personale.
Ricorda che la legge n. 240 del 2010 dispone che la determinazione del limite massimo all'incidenza complessiva delle spese di personale, oltre che delle spese di indebitamento, è calcolata sulle entrate complessive dell'ateneo. Inoltre, riferisce la «quota non vincolata nella destinazione» a tutte le assegnazioni all'ateneo e non, come risulta dalla lettera della norma, al solo Fondo per la programmazione del sistema universitario nel quale, peraltro, allo stato, non ci sono quote vincolate. Il comma 4 dispone che per tasse, soprattasse e contributi universitari si intende il valore delle riscossioni totali, nell'anno di riferimento, per qualsiasi forma di tassa, soprattassa e contributo universitario a carico degli iscritti ai corsi dell'ateneo di qualsiasi livello, ad eccezione delle tasse riscosse per conto di terzi. Tale valore è calcolato al netto dei rimborsi effettuati agli studenti nello stesso periodo. Il comma 5 stabilisce che le entrate derivanti da finanziamenti esterni da parte di soggetti pubblici e privati destinate al finanziamento delle spese per il personale a tempo determinato ed indeterminato, compresi i contratti di insegnamento, devono essere supportate da norme, accordi o convenzioni - approvati dal consiglio di amministrazione - che assicurino: per i posti di professore di ruolo e i contratti di ricercatore a tempo determinato di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010, un finanziamento non inferiore al relativo costo quindicennale, e osserva che non vi è riferimento alla durata dell'accordo o della convenzione, che è presente, invece, nella seconda fattispecie; per gli altri contratti di ricercatore, per i contratti di insegnamento, nonché per i posti di personale dirigente e tecnico-amministrativo a tempo determinato, un importo e una durata non inferiore a quella del contratto. Osserva, al riguardo, che si tratta di una estensione di quanto già prevede l'articolo 18, comma 3, della legge n. 240 del 2010 con riferimento agli oneri derivanti dalla chiamata dei professori e dall'attribuzione dei contratti per ricercatore a tempo determinato. L'estensione riguarda gli oneri relativi ai contratti di insegnamento e al personale dirigente e tecnico amministrativo a tempo determinato. Sull'argomento ricorda, peraltro, che l'articolo 49, lettera h), punto 3), del decreto-legge n. 5 del 2012 ha modificato la norma illustrata disponendo che l'importo della convenzione relativa alla chiamata di professori e all'attribuzione del secondo contratto di ricercatore a tempo determinato non può essere inferiore al costo quindicennale per gli stessi posti, facendo scomparire, quindi, il riferimento alla durata della convenzione, presente nella formulazione originaria, e che l'importo e la durata della convenzione per l'attribuzione dei contratti di ricercatore a tempo determinato di cui all'articolo 24, comma 3, lettera a), non può essere inferiore all'importo e alla durata degli stessi contratti.
Osserva quindi che, poiché le disposizioni dell'articolo 18, comma 3, della legge n. 240 del 2010, come modificate dall'articolo 49, lettera h), punto 3), del decreto-legge n. 5 del 2012, si sovrappongono, in parte, con le disposizioni recate dal comma 5 in esame, riterrebbe necessario un coordinamento che semplifichi il quadro normativo. Inoltre, osserva che, benché nella prima parte del comma 5 si faccia riferimento alle spese sia per il personale a tempo determinato sia per quello a tempo indeterminato, nella seconda parte, per il personale dirigente e tecnico amministrativo, si fa riferimento solo a quello a tempo determinato. Sotto il profilo della formulazione del testo, sempre al comma 5, riterrebbe opportuno sostituire le parole «posti di personale ricercatore» con «posti di ricercatore». I commi 7 e 8 dispongono, infine, in materia di verifiche e vigilanza. In particolare, il comma 7 affida al MIUR, che vi procede entro il mese di febbraio di ciascun anno con riferimento alla situazione al 31 dicembre dell'anno precedente, la verifica

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del rispetto del limite massimo dell'indicatore. L'esito della verifica è comunicato alle università e al Ministero dell'economia e delle finanze. Al riguardo ricorda che, in base all'articolo 5, comma 4, del d.P.R. n. 306 del 1997, le università comunicano annualmente al Ministero, entro il 31 maggio di ogni anno, tra l'altro, il gettito della contribuzione studentesca accertato nel bilancio consuntivo dell'anno precedente. In relazione al termine del 31 maggio previsto dall'articolo 5, comma 4, per la comunicazione al MIUR del gettito dei contributi pagati dagli studenti invita quindi a riflettere sul termine del mese di febbraio previsto dal comma 7 dell'articolo in esame. Allo stesso comma 7, inoltre, ritiene necessario aggiungere una virgola dopo la parola «precedente».
Ai sensi del comma 8, il collegio dei revisori dei conti vigila, all'interno dello stesso ateneo, sul rispetto della disciplina relativa ai finanziamenti esterni destinati a spese per il personale di cui al comma 5 e sul rispetto del limite massimo dell'indicatore.
Ricorda quindi che l'articolo 6, declinando la rimanente parte del criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera e), della legge n. 240 del 2010, individua un nuovo limite massimo alle spese per l'indebitamento. Conseguentemente l'articolo 11, comma 1, lettera d) ed e), dello schema abroga l'articolo 7, comma 5, della legge n. 168 del 1989 e l'articolo 3, comma 3, della legge n. 430 del 1991, concernenti limitazioni all'onere complessivo di ammortamento annuo per i mutui contratti dalle università. Al riguardo, riterrebbe necessario disporre anche l'abrogazione del decreto interministeriale n. 90 del 2009 che è intervenuto definendo nuovi limiti all'indebitamento degli atenei. In relazione all'abrogazione dell'articolo 7, comma 5, della legge n. 168 del 1989, ricorda che il secondo periodo dello stesso comma 5 è stato novellato dall'articolo 11, comma 2, del già citato schema di decreto legislativo concernente la disciplina contabile delle università (Atto n. 395), in attesa di definire il nuovo indicatore previsto dall'articolo 5, comma 4, lettera e), della legge n. 240 del 2010. Riterrebbe, dunque, necessario coordinare le due disposizioni. Il comma 1 dell'articolo 6 stabilisce preliminarmente che le università statali possono contrarre mutui ed altre forme di indebitamento esclusivamente per le spese di investimento definite dall'articolo 3, comma 18, della legge finanziaria 2004. Il comma 3 dispone che l'indicatore di indebitamento degli atenei è calcolato rapportando l'onere complessivo di ammortamento annuo e la «somma algebrica» dei contributi statali per il funzionamento, dei contributi statali per investimento ed edilizia e delle tasse, soprattasse e contributi universitari rispettivamente, assegnati o riscossi nell'anno di riferimento, al netto delle spese di personale e delle spese per fitti passivi. Inoltre, ai sensi del comma 2, ai fini del calcolo dell'indicatore di indebitamento, non sono considerate le operazioni di copertura finanziaria corrente che non comportano acquisizione di risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio. Le stesse sono comunque comunicate al Ministero, illustrandone le effettive ragioni di necessità, entro 15 giorni dalla loro effettuazione. Con riferimento al comma 3, data la natura del limite fissato, invita a valutare l'opportunità di aggiungere, dopo la parola «rapportando», la specifica «percentualmente». Riterrebbe opportuno, inoltre, sostituire le parole da «soprattasse e contributi universitari» fino alla fine del comma con le seguenti «soprattasse e contributi universitari, assegnati o riscossi nell'anno di riferimento, al netto delle spese di personale, così come definite all'articolo 5, comma 2, e delle spese per fitti passivi, sostenute dall'ateneo nel medesimo anno». Il comma 4 reca la definizione delle grandezze utilizzate per la determinazione dell'indicatore diverse da quelle già indicate nell'articolo 5, alle quali, pertanto, il comma 5 rinvia. Al riguardo, non riterrebbe necessario richiamare il comma 5 dell'articolo 5, dal momento

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che lo stesso riguarda il finanziamento di spese per il personale con entrate esterne, esplicitamente escluse dal calcolo dell'indicatore di indebitamento di cui al comma 3 dell'articolo in esame. In particolare, il comma 4 precisa che per onere complessivo di ammortamento annuo si intende l'onere annuo per capitale e interessi dei mutui e di altre forme di indebitamento a carico del bilancio dell'ateneo; che per contributi statali per investimento ed edilizia si intende il valore delle somme assegnate dallo Stato per l'edilizia universitaria e per investimento, nell'anno di riferimento; che per spese per fitti passivi si intende l'onere annuo per contratti passivi per locazione di immobili a carico del bilancio dell'ateneo. Al riguardo, riterrebbe opportuno chiarire il motivo per cui dalla definizione dell'indicatore di indebitamento sono espunte le spese per contratti passivi per locazione di immobili, dal momento che esse non rientrano nel computo di altri indicatori. Il comma 6 fissa il limite massimo dell'indicatore nella misura del 15 per cento. Ai sensi del comma 7, il Ministero procede annualmente al calcolo dell'indicatore dell'indebitamento (con riferimento ai dati relativi all'esercizio finanziario precedente) e, entro il mese di febbraio, ne comunica gli esiti alle università e al Ministero dell'economia e delle finanze. Nell'ambito dello stesso ateneo, la vigilanza sul rispetto del limite massimo così determinato spetta al collegio dei revisori dei conti (comma 8). Quindi, a differenza di quanto stabilito dal comma 7 dell'articolo 5, la vigilanza sul rispetto del limite massimo di indebitamento da parte di ciascun ateneo spetta esclusivamente al collegio dei revisori, mentre il Ministero procede al calcolo dell'indicatore, evidentemente distinto per ogni ateneo. Come nel caso dell'articolo 5, comma 7, riterrebbe opportuno valutare la congruità del termine indicato per la verifica del rispetto del limite in rapporto al termine del 31 maggio previsto per la comunicazione al Ministero del gettito derivato dai contributi degli studenti.
Osserva, poi, che l'articolo 7 individua le combinazioni dei livelli degli indicatori di spesa per il personale e di spesa per indebitamento rilevanti, per ciascun ateneo, per la determinazione della misura delle assunzioni di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di ricerca a tempo determinato, nonché per la possibilità di contrarre nuovi mutui o altre forme di indebitamento. Ai sensi del comma 1, le nuove disposizioni si applicheranno alle università a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, «ferme restando le disposizioni limitative in materia di assunzioni a tempo indeterminato e a tempo determinato previste dalla legislazione vigente, che definiscono i livelli occupazionali massimi su scala nazionale». Poiché il provvedimento non reca l'indicazione esplicita della data di entrata in vigore, si applica l'articolo 73 della Costituzione, in base al quale le leggi entrano in vigore il 15 giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che esse non stabiliscano un termine diverso. Da questo punto di vista, riterrebbe opportuno occorre chiarire il riferimento «ferme restando le disposizioni limitative in materia di assunzioni [....] previste dalla legislazione vigente» - che sono recate, oltre che da disposizioni abrogate dal presente schema, dall'articolo 66, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008 e riguardano il quadriennio 2009-2012 -, a fronte di un regime di assunzioni del tutto nuovo recato dall'articolo in commento, che riguarderebbe, presumibilmente, lo stesso anno 2012. Al riguardo, fa comunque presente che le possibilità di assunzione disciplinate dall'articolo 7 riguardano tutto il personale a tempo indeterminato, mentre, con riferimento al tempo determinato, riguardano solo i ricercatori: da questo punto di vista, ricorda, a titolo esemplificativo, che l'articolo 54 del decreto-legge n. 5 del 2012 dispone la possibilità, per le università, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato relativi a tecnologi, al fine di svolgere attività di supporto tecnico e

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amministrativo alle attività di ricerca. Riterrebbe dunque opportuno un chiarimento. Segnala che le combinazioni dei livelli di spesa di personale e di spese per indebitamento individuate sono sei. Anzitutto, rileva che mentre per le casistiche descritte alle lettera a), b), c) e d) - relative alla possibilità di assunzioni - è fissato al 31 dicembre dell'anno precedente il termine di riferimento per la valutazione degli indicatori, per le fattispecie richiamate alle lettera e) ed f) - relative alla possibilità di contrarre nuovi mutui e altre forme di indebitamento - non è fissato un termine di riferimento. Riterrebbe, quindi, opportuno un chiarimento. In particolare, le lettere da a) a d) stabiliscono i requisiti per procedere all'assunzione di personale a tempo indeterminato e al conferimento di contratti per ricercatori a tempo determinato, con oneri a carico del proprio bilancio. Con riguardo alle somme utilizzabili per assunzioni o stipula di contratti dalla fattispecie individuata alla lettera d), riterrebbe opportuno chiarire, da un lato, se con la locuzione «spese di personale complessivamente sostenute» si intenda ricomprendere anche le spese coperte da finanziamenti esterni escluse dalla definizione di «spese di personale» di cui all'articolo 5, comma 2, dello schema, dall'altro, se con il termine «margine» si intenda la differenza fra le «spese di personale complessivamente sostenute» e il 70 per cento delle entrate derivanti da finanziamenti esterni; in tal caso, suggerisce di utilizzare il termine «differenza» e di invertire l'ordine di presentazione dei due fattori. Inoltre, alla medesima lettera, riterrebbe necessario eliminare la virgola dopo la parola «maggiorata». Sotto il profilo della formulazione del testo per gli stessi motivi esposti a commento dell'articolo 4 dello schema, riterrebbe opportuno, altresì, sostituire - ove ricorrano nelle lettere da a) a d) del comma - le parole «e di ricercatori» con le parole «e al conferimento di contratti per ricercatori». Infine, a maggior chiarezza e per uniformità con le altre fattispecie, riterrebbe opportuno sostituire, alla lettera a), le parole «possono procedere» con le parole «possono procedere nell'anno successivo». Il comma 2, lettera a), fa comunque salve le assunzioni di personale riservate alle categorie protette, nonché le assunzioni di personale docente e ricercatore con oneri integralmente a carico di finanziamenti esterni all'ateneo. La relazione illustrativa non limita le «assunzioni» integralmente finanziate da soggetti esterni a quelle dei docenti e dei ricercatori. Riterrebbe pertanto necessario chiarire se la possibilità prevista dal comma 2, lettera a), debba essere limitata esclusivamente ai docenti e ai ricercatori, anche considerato il richiamo testuale all'articolo 5, comma 5, dello schema, che include altre categorie. In ogni caso, riterrebbe opportuno sostituire le parole «e quelle relative a personale docente e ricercatore coperte» con le parole «, le assunzioni di personale docente e il conferimento di contratti per ricercatore coperti». Segnala poi che alla lettera f) si prevede solo la possibilità di contrarre «ulteriori forme di indebitamento», mentre non si cita esplicitamente (a differenza della lettera e)), la possibilità di contrarre nuovi mutui. Osserva, quindi, che il piano di sostenibilità finanziaria è redatto secondo modalità definite con decreto del Ministero, per la cui emanazione non è indicato un termine, ed è inviato al Ministero e al Ministero dell'economia e delle finanze, entro 15 giorni dalla delibera, per l'approvazione. È il comma 3 a chiarire che il piano è approvato dal consiglio di amministrazione e deve essere corredato da una relazione analitica e dalla relazione del collegio dei revisori dei conti. Nella predisposizione del piano l'ateneo tiene conto anche della situazione di indebitamento degli enti e delle società partecipate. La relazione illustrativa chiarisce ulteriormente che, per essere deliberato dal Consiglio di amministrazione, il piano necessita della preliminare verifica del collegio dei revisori dei conti, che predispone un'apposita relazione.
Invita, quindi, a valutare l'opportunità di riunire in un'unica disposizione le norme relative al piano di sostenibilità

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finanziaria. Al comma 1, lettera f), inoltre, segnala che occorre sostituire le parole «decreto del Ministero» con le parole «decreto del Ministro». Il comma 2, lettera b), dispone - parallelamente a quanto già disposto dalla lettera a) per le assunzioni di personale - che è in ogni caso consentita la contrazione di forme di indebitamento con oneri integralmente a carico di finanziamenti esterni. Invita a valutare la possibilità di chiarire se nell'espressione «forme di indebitamento» siano ricompresi anche i mutui. Il comma 4 prevede che le procedure concorsuali e le assunzioni di personale nonché la contrazione di forme di indebitamento disposte in difformità a quanto previsto al comma 1 determinano responsabilità per danno erariale nei confronti dei componenti degli organi dell'ateneo che le hanno disposte, nonché penalizzazioni nelle assegnazioni del FFO da corrispondere all'ateneo nell'anno successivo a quello in cui si verificano. Osserva, dunque, che rispetto al criterio direttivo individuato dall'articolo 5, comma 4, lettera d), della legge n. 240 del 2010 - in base al quale la penalizzazione interviene in caso di mancata adozione del piano triennale per la programmazione del reclutamento del personale e consiste nella non erogazione delle quote del finanziamento ordinario relative alle unità di personale che eccedono i limiti previsti - in base al comma 4 dell'articolo in esame la penalizzazione interviene nel caso di procedure e di assunzioni, nonché di contrazione di spese per indebitamento, in difformità dalle disposizioni previste dal comma 1. Al riguardo, la relazione illustrativa recita testualmente: «Al comma 4 sono previste le 'sanzioni' da applicare in caso di assunzioni o di contrazione di spese per indebitamento disposte in difformità a quanto previsto dal presente decreto». Alla luce del disposto del criterio direttivo, riterrebbe opportuno valutare se al comma 4, alinea, il riferimento debba essere «a quanto previsto dal comma 1», che non fa riferimento alla mancata adozione del piano triennale, oppure «a quanto previsto dal presente decreto». Segnala che occorrerebbe, inoltre, valutare se non debba essere meglio precisata la disciplina ovvero, i criteri, delle penalizzazioni da corrispondere agli atenei inadempienti. Alla lettera b) segnala, infine, il refuso «quelle» invece di «quello».
Ricorda, quindi, che l'articolo 8, declinando parzialmente il criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera f), della legge 240/2010, definisce il costo standard unitario di formazione per studente in corso come il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio. La norma rimette ad un decreto interministeriale la determinazione del costo standard per studente, limitandosi ad aggiungere ai parametri di riferimento individuati dalla legge delega - ossia tipologia di corso di studi e differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università - quello relativo alle dimensioni dell'ateneo. Rileva che non individua, tuttavia, concretamente gli indici, evidentemente rimettendo questo passaggio al decreto interministeriale. Rileva che la questione deve essere valutata alla luce del rispetto del criterio di delega. Sotto il profilo della redazione del testo, ritiene necessario sostituire le parole «Ministero dell'economia e delle finanze» con le parole «Ministro dell'economia e delle finanze», ed eliminare una delle due locuzioni dal medesimo significato: «sentita l'ANVUR» e «acquisito il parere dell'ANVUR».
Osserva che l'articolo 9 concerne l'introduzione di un sistema di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, secondo quanto disposto dall'articolo 5, commi 1, lettera c), e 5, della legge n. 240 del 2010. Il comma 1, riprendendo, con qualche puntualizzazione, i criteri fissati dall'articolo 5, comma 5, della legge per l'elaborazione da parte dell'ANVUR dei meccanismi di valutazione, precisa che la valutazione delle politiche di reclutamento del personale è finalizzata a «misurare» annualmente: la produzione scientifica dei professori e dei ricercatori elaborata in data successiva alla presa di servizio presso l'ateneo ovvero al passaggio

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a diverso ruolo o fascia nell'ateneo, tenendo conto della specificità delle aree disciplinari - in coerenza con gli indicatori utilizzati per l'attribuzione dell'abilitazione scientifica nazionale - nonché dei risultati, ove disponibili, della Valutazione della qualità della ricerca (VQR). Invita a valutare l'opportunità di sostituire le parole «gli indicatori» con le parole «i criteri e i parametri» nonché le parole «della VQR» con le parole «dell'ultima relazione finale della VQR». la valutazione delle politiche di reclutamento del personale è finalizzata a «misurare» annualmente la percentuale di ricercatori a tempo determinato in servizio che non ha trascorso nella medesima università in cui sono stati reclutati come ricercatori l'intero percorso di dottorato, di post-dottorato o, limitatamente al caso delle discipline di area medica, di scuola di specializzazione. Osserva che il criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 5, della legge fa riferimento, invece, per le scuole di specializzazione, alle facoltà di medicina e chirurgia. In materia, evidenzia che il decreto ministeriale 1o agosto 2005 ha adeguato gli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione dell'area sanitaria alla riforma generale degli studi universitari di cui al decreto ministeriale n. 270 del 2004 . Il decreto ministeriale del 2005, in particolare, ha suddiviso le diverse scuole in tre grandi aree - area medica, area chirurgica e area dei servizi clinici - riaffermando, altresì, che le medesime hanno sede presso le università e, in particolare, afferiscono alle facoltà di medicina e chirurgia, fatta salva la classe delle specializzazioni in farmaceutica che afferisce alle facoltà di farmacia. Circa l'utilizzo del termine «facoltà», ricorda che l'articolo 2, comma 2, della legge n. 240 del 2010 ha previsto l'attribuzione ai dipartimenti sia delle funzioni di didattica che di quelle di ricerca, disponendo che gli atenei possono istituire fra più dipartimenti strutture di raccordo, «comunque denominate». Riterrebbe, dunque, corretto non utilizzare la locuzione «facoltà di medicina e chirurgia». Tuttavia, riterrebbe necessario sostituire le parole «area medica» con le parole «area sanitaria» al fine di ricomprendere nella disposizione anche le scuole di specializzazione afferenti all'area chirurgia e all'area dei servizi clinici.
La valutazione delle politiche di reclutamento del personale è poi finalizzata a «misurare» annualmente, poi, la percentuale di professori reclutati da altri atenei; la percentuale di professori e ricercatori in servizio presso l'ateneo, responsabili scientifici di progetti di ricerca, comunitari e internazionali; il grado di internazionalizzazione del corpo docente. In aggiunta a quanto disposto dal criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 5, della legge, la norma in commento specifica che tale parametro è valutato in termini di numerosità di «docenti provenienti dall'estero e chiamati dall'ateneo in qualità di vincitori di progetti di ricerca finanziati dall'Unione Europea». Al riguardo, ricorda che l'articolo 1, comma 9, della legge n. 230 del 2005, come da ultimo modificato dall'articolo 29, comma 7, della legge n. 240 del 2010, prevede che le università, nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, possono procedere alla copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore mediante chiamata diretta, tra l'altro, di studiosi che siano risultati vincitori nell'ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, identificati con decreto del Ministero, sentiti ANVUR e CUN, finanziati dall'Unione europea o dallo stesso Ministero. In attuazione di quanto disposto è intervenuto il decreto ministeriale 1o luglio 2011, il cui articolo 4 ha stabilito che i programmi di ricerca di alta qualificazione finanziati dall'Unione europea, i cui vincitori possono essere destinatari di chiamata diretta, sono - nell'ambito del VII programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) - il programma «Cooperazione» e il programma «Idee». Peraltro, in base al medesimo articolo 1, comma 9, legge n. 230 del 2005, rientrano tra i possibili destinatari di chiamata diretta: gli studiosi impegnati all'estero da almeno un triennio in attività di ricerca o

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insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie o di ricerca estere; gli studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal Ministero, nell'ambito del «programma di rientro dei cervelli» un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata; gli studiosi di chiara fama. Al riguardo, riterrebbe opportuno chiarire se, ai fini della valutazione del grado di internazionalizzazione, siano da considerare i docenti provenienti dall'estero, purché chiamati dall'ateneo in qualità di vincitori di progetti di ricerca finanziati dall'Unione Europea, ovvero tutti i docenti provenienti dall'estero assunti per chiamata diretta e non, nonché quelli chiamati in qualità di vincitori di progetti di ricerca finanziati dall'Unione europea indipendentemente dalla provenienza. In ogni caso, invita a valutare l'opportunità di sostituire le parole «vincitori di progetti di ricerca finanziati dall'Unione Europea» con le parole «vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione finanziati dall'Unione Europea, identificati ai sensi dell'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e successive modificazioni». Il comma 2 prevede che la ponderazione dei criteri e la definizione dei parametri per l'attuazione del comma 1 è stabilita con decreto di natura non regolamentare emanato dal Ministero, sentita l'ANVUR, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento. Il decreto ha validità almeno triennale. Con riferimento al «decreto non avente natura regolamentare», ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 116 del 2006, ha qualificato lo stesso come «un atto statale dalla indefinibile natura giuridica». Ritiene che la questione deve essere valutata anche alla luce del rispetto del criterio di delega, che appare affidare al decreto legislativo l'individuazione dei meccanismi di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, elaborati da parte dell'ANVUR.
Osserva, quindi, che l'articolo 10 individua «le linee guida della programmazione triennale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, rispetto alle modalità di assegnazione dei finanziamenti ministeriali in modo da consentire una pianificazione coerente e coordinata delle scelte di politica universitaria che ciascun ateneo è chiamato a compiere». Il comma 2, declinando il criterio direttivo di cui all'articolo 5, comma 4, lettera c), della legge n. 240 del 2010, stabilisce che il Ministero, con cadenza annuale, comunica al Ministero dell'economia e delle finanze gli esiti della programmazione triennale del sistema universitario. La finalità, meglio chiarita dalla relazione illustrativa, è quella del monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica. Pertanto, riterrebbe opportuno sostituire, anche in accordo con quanto previsto dal criterio direttivo sopra indicato, le parole «relativi agli articoli di cui al presente decreto concernenti il monitoraggio» con le parole «, di cui al presente decreto, ai fini del monitoraggio». Rileva che nella rubrica, inoltre, dovrebbe farsi riferimento anche al monitoraggio della programmazione triennale del sistema universitario.
Ricorda, infine, che l'articolo 12 prevede che all'attuazione del provvedimento si provvede, per l'anno 2012 e per gli esercizi successivi, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente nello stato di previsione del Ministero e, quindi, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Manuela GHIZZONI (PD) ritiene necessario che le audizioni già programmate per la seduta di domani siano svolte nel corso della prossima settimana, ove non siano svolte in considerazione dei lavori parlamentari dell'Assemblea.

Valentina APREA, presidente, assicura l'onorevole Ghizzoni in tal senso.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.25.

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AUDIZIONI

Mercoledì 7 marzo 2012. - Presidenza del presidente Valentina APREA. - Interviene il Ministro per gli affari regionali, turismo e sport, dottor Piero Gnudi.

La seduta comincia alle 15.35.

Seguito dell'audizione del Ministro per gli affari regionali, turismo e sport, dottor Piero Gnudi, sulle linee programmatiche per i profili di competenza della Commissione.
(Seguito dello svolgimento, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, e rinvio).

Valentina APREA, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati. Introduce, quindi, i temi oggetto dell'audizione.

Intervengono, per formulare domande e osservazioni, i deputati Claudio BARBARO (FLpTP), Manuela DI CENTA (PdL), Giovanni LOLLI (PD), Sabina ROSSA (PD), Anna Paola CONCIA (PD), Gabriella CARLUCCI (UdCpTP), Luisa CAPITANIO SANTOLINI (UdCpTP), Erica RIVOLTA (LNP), Giuseppe SCALERA (PdL) e Giovanna MELANDRI (PD).

Valentina APREA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 17.

N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI