CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 16 febbraio 2012
608.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e XI)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 16 febbraio 2012. - Presidenza del presidente della I Commissione Donato BRUNO. - Interviene il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Filippo Patroni Griffi.

La seduta comincia alle 15.20.

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Atto n. 439.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 14 febbraio 2012.

Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, prima di procedere con il dibattito, avverte che - a seguito della richiesta formulata in conformità con quanto convenuto nella seduta del 14 febbraio scorso - il Presidente della Camera ha disposto, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, la proroga di dieci giorni del termine per l'espressione del prescritto parere parlamentare sullo schema di decreto in esame: il nuovo termine verrà, pertanto, in scadenza il prossimo giovedì 1o marzo.
Passando, quindi, a una ulteriore questione di carattere preliminare, fa presente che, d'intesa tra i presidenti delle due Commissioni, si è concordato - alla luce delle considerazioni svolte dal ministro Patroni Griffi nella seduta del 14 febbraio, con riferimento all'invito rivolto al Parlamento a esprimere le proprie valutazioni sul testo e a dettare eventuali indicazioni sui criteri applicativi - di chiedere al Governo, considerata anche la complessità delle questioni emerse nella seduta introduttiva, di dare conto alle Commissioni riunite, possibilmente entro il prossimo martedì 21 febbraio, di un elenco contenente la platea delle posizioni interessate dall'intervento in esame, con l'indicazione delle relative retribuzioni onnicomprensive, nonché di un elenco recante tutte

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quelle posizioni che - alla luce dell'interpretazione letterale della norma di riferimento - risulterebbero escluse dall'applicazione dello schema di decreto, pur superando il parametro massimo indicato all'articolo 3 del provvedimento medesimo.
Avverte infine che sullo schema di decreto in esame è pervenuta la valutazione favorevole con una osservazione della Commissione bilancio, espressa ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che la richiesta di informazioni avanzata dai presidenti sia opportuna, ma che sarebbe preferibile fare riferimento in essa, più che alle «retribuzioni» onnicomprensive, ai «livelli reddituali» onnicomprensivi: quello che interessa accertare, infatti, non è soltanto il trattamento economico in senso stretto, ma l'insieme dei compensi comunque denominati complessivamente percepiti.

Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, precisa che con la dizione «retribuzione onnicomprensiva» si intende prendere in considerazione tutti gli emolumenti a qualsiasi titolo erogati a carico della finanza pubblica.

Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI prende atto della richiesta formulata dai presidenti a nome delle Commissioni, riservandosi di verificare la materiale possibilità di comunicare i dati richiesti entro martedì prossimo e di trasmetterli entro tale termine o comunque nel più breve tempo possibile.

Giulio SANTAGATA (PD) si dichiara fortemente favorevole al provvedimento in questione, dal momento che esso interviene a frenare la crescente forbice retributiva in atto nella pubblica amministrazione, da lui indicata come la principale causa dell'aumento incontrollato della spesa corrente per i livelli stipendiali, nonché l'elemento scatenante di ulteriori effetti macroeconomici distorsivi del bilancio pubblico. Ricordato che su tale versante il precedente Governo ha adottato talune misure di blocco stipendiale che si sono rivelate inefficaci, attesa la loro inidoneità ad incidere sulle reali cause del fenomeno, condivide la ratio del provvedimento in esame, che prevede un tetto massimo per gli stipendi delle figure apicali della pubblica amministrazione, nella prospettiva di conseguire un più complessivo livellamento dei profili retributivi di tutta la pubblica amministrazione, giudicato necessario al fine di evitare pesanti conseguenze per la spesa pubblica.
Auspicato che le disposizioni dello schema di decreto - a differenza di quanto avvenuto in altre occasioni - ricevano una adeguata attuazione e dispieghino effetti concreti, invita, in ogni caso, a svolgere ulteriori approfondimenti di merito sul contenuto del provvedimento, proprio in vista di una sua più corretta applicazione, in relazione alla platea dei potenziali destinatari, che si augura, peraltro, possa essere definita nella maniera più completa possibile. Ritiene altresì necessario svolgere un'attenta riflessione sull'ambito di applicazione del provvedimento sul versante del rapporto tra legge e contrattazione, paventando i possibili rischi che potrebbero derivare nei confronti dell'autonomia delle parti (già gravemente compromessa da taluni provvedimenti assunti in materia di pubblico impiego dal precedente Governo), soprattutto a causa di una formulazione incerta. In proposito, ritiene opportuno fare chiarezza soprattutto sul contenuto dell'articolo 5, che appare, allo stato, suscettibile di difformi interpretazioni, potenzialmente capaci di dar luogo a futuri contenziosi. Auspica, in conclusione, una discussione seria e approfondita, che conduca all'elaborazione di una proposta di parere capace di indirizzare il Governo verso una corretta azione di contenimento delle spese.

Roberto ZACCARIA (PD) intende ricordare, in via preliminare, come gli articoli 23-bis e 23-ter siano stati introdotti nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge

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n. 201 del 2011. Attualmente è all'esame delle Commissioni riunite I e XI l'attuazione dell'articolo 23-ter, che si riferisce ai dipendenti pubblici, mentre all'articolo 23-bis, che attiene alle società partecipate dallo Stato, non è ancora stata data attuazione.
Rileva, quindi, per quanto attiene allo schema in esame, che si tratta di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, in quanto tale, non è sottoposto al parere preventivo del Consiglio di Stato. Occorre pertanto che la Commissioni tengano conto di tale aspetto e del fatto che un controllo giurisdizionale sarà successivo e non preventivo e che lo stesso avrà un particolare rilievo soprattutto nel momento in cui si incide su diritti soggettivi, come le retribuzioni.
Chiede quindi al ministro per quali ragioni - pur essendo previsti 60 giorni per l'attuazione dell'articolo 23-bis e 90 giorni per l'attuazione dell'articolo 23-ter - è stato presentato alle Camere il solo decreto riguardante l'articolo 23-ter mentre sarebbe stata invece quanto mai opportuna una visione di insieme dei due profili.
Per quanto attiene al suddetto articolo 23-ter, è anch'egli convinto, come il collega Santagata, della positività della ratio e della finalità della disposizione. D'altronde, è dal 2006 che vi è continuità, anche se alquanto disarmonica, nell'affrontare il tema in questione.
Sottolinea peraltro come, con riguardo allo schema in esame, vi siano una serie di questioni rilevanti che esigono un'attenta valutazione e richiedono i necessari chiarimenti. Si riferisce, ad esempio, alla platea dei destinatari ed all'applicazione o meno delle previsioni in esame a tutte le autorità amministrative indipendenti o solo ad alcune. Ricorda che una lettura del testo dell'articolo 23-ter correlata alle previsioni del decreto legislativo n. 165 del 2001 esclude sostanzialmente una serie di categorie rilevanti, quali le regioni, gli enti locali ed altri settori della pubblica amministrazione. Nel richiamare quanto evidenziato in proposito nelle relazioni illustrative svolte dai relatori, sottolinea come si tratti di asimmetrie evidenti che, peraltro, non è possibile correggere in questa sede.
Evidenzia inoltre come, oltre alla mancanza di una platea chiaramente determinata dei destinatari della norma, il parametro di riferimento è individuato nella retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione. Ricorda come il suddetto articolo 23-ter non specifichi inoltre la decorrenza dell'applicazione delle relative previsioni, pur trattandosi di un punto alquanto delicato. Altro elemento di particolare rilievo attiene all'individuazione delle deroghe per i ruoli apicali, che a suo avviso solo il Governo, posto al di sopra della pubblica amministrazione, può individuare.
Rileva quindi come il lavoro delle Commissioni riunite I e XI, nell'esprimere il parere di competenza sul provvedimento in esame, sia di particolare delicatezza, anche perché ci si potrebbe trovare di fronte ad un gioco delle parti. Sottolinea infatti come chi è realmente favorevole all'approvazione della misura in questione deve necessariamente porsi una serie di questioni che attengono ad un'applicazione legittima di tale previsione. Il rischio è invece che chi, in realtà, non vuole che si giunga ad una reale applicazione del principio in discussione tenda a prevedere un'articolazione del testo tale da essere facilmente sindacabile in sede giurisdizionale.
A suo avviso, dunque, chi crede nel provvedimento in esame deve preoccuparsi di una sua attuazione equa, che tenga conto della giurisprudenza costituzionale in materia.
In tale quadro, ricorda il principio consolidato del divieto di reformatio in peius, al quale sono state ammesse limitate eccezioni che attengono ad ipotesi quali il temporaneo congelamento degli scatti nella retribuzione, ma che di certo non possono giustificare una «decapitazione» della retribuzione. Ritiene, quindi, che la previsione di un tetto «a tagliola» non potrà reggere di fronte alle impugnazioni che certamente interverranno molto presto sulla materia, anche perché occorre

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tutelare anche un altro principio costituzionale, quello di legittimo affidamento.
Ritiene pertanto necessario escludere la retroattività e prevedere una applicazione graduale della misura, senza che questo voglia equivalere ad un rinvio delle decisioni da assumere sul punto. È infatti possibile decidere oggi e graduare nel tempo la relativa applicazione.

Antonino FOTI (PdL) rileva preliminarmente come il legislatore sia intervenuto con molti provvedimenti, negli ultimi anni, sul tema oggetto dello schema di decreto in esame, secondo quanto ricostruito anche nella puntuale documentazione prodotta dagli uffici. In proposito, osserva che la materia - che presenta aspetti di significativa complessità - va pertanto affrontata con grande attenzione, anche al fine di scongiurare il rischio di produrre un elevato contenzioso.
Per tali ragioni, giudica necessario che il Governo chiarisca quale sia la reale platea dei destinatari delle norme, atteso che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 e lo schema di decreto in esame fanno rinvio alle amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, limitatamente a quelle statali: secondo quanto riferito dai relatori, infatti, sembra che all'interno di questa definizione non rientrino tutte le categorie di personale statale comprese nel citato comma, ma soltanto quelle strettamente riconducibili alle amministrazioni centrali, incluse le scuole di ogni ordine e grado.
Al riguardo, ricorda che l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 - che ha definito un primo intervento sulla materia - per coprire l'intera platea aggiungeva, alle «pubbliche amministrazioni statali» di cui al citato articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, anche i seguenti soggetti: agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate. Inoltre, rammenta che la stessa disposizione, allargando ulteriormente la fattispecie di riferimento, includeva i titolari di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili (cioè una parte del personale «non contrattualizzato»), nonché i presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate.
Con riferimento, peraltro, alle società che - a vario titolo - ricevono un sostegno finanziario dallo Stato, pone all'attenzione delle Commissioni riunite anche la questione delle società quotate in borsa, i cui vertici, una volta nominati a livello politico, determinano, poi, in piena autonomia i propri compensi, dando luogo, in talune occasioni, ad importi al di fuori di ogni forma di controllo.
Segnala, altresì, che anche il precedente Governo ha tentato di dettare un ulteriore intervento, parzialmente difforme, sulla platea dei destinatari, che si è avuto con il decreto-legge n. 97 del 2008, che all'articolo 4-quater, comma 52-bis, ha affidato a un regolamento di delegificazione il compito di definire platea dei destinatari e limiti retributivi. A suo avviso, esiste infine un problema di inclusione o meno all'interno del provvedimento di categorie di personale appartenente a determinate autorità indipendenti o amministrazioni statali.
Alla luce delle richiamate incertezze, ribadisce l'esigenza che il Governo fornisca la propria interpretazione circa l'ambito di applicazione del provvedimento, citando tra i casi potenziali che necessitano di un tale chiarimento, in particolare, i diplomatici che svolgono incarichi all'estero ovvero il personale e i vertici della Banca d'Italia. Inoltre, ritiene che debba essere chiarito se il rinvio al comma 2 dell'articolo 1 del decreto n. 165 del 2011 sia idoneo a ricomprendere anche le categorie ivi elencate dopo quelle «sicuramente pubbliche» e, dunque, se il provvedimento - tanto per fare alcuni esempi - si debba intendere come non applicabile agli enti previdenziali o alle agenzie fiscali.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene della massima importanza che il

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Parlamento non deluda l'aspettativa ingenerata dal Governo nell'opinione pubblica su questo tema svuotando il provvedimento in sede applicativa sulla base di presunte manchevolezze o criticità della norma stessa: ciò sarebbe in questo momento deleterio per il rapporto tra politica e opinione pubblica.
Rileva poi che il succedersi di discipline sulla materia e l'esigenza stessa di intervenire per porre un freno alla crescita delle retribuzioni pubbliche dimostrino in qualche modo il fallimento dell'istituto della contrattazione, che ha portato fuori controllo alcune dinamiche retributive nella pubblica amministrazione.
Rileva poi che non si prevedono misure per contrastare il cumulo di incarichi e di compensi a carico delle finanze pubbliche, né per eliminare certe ingiustificate forti asimmetrie di trattamento retributivo tra settori amministrativi diversi. Occorrerebbe, quindi, a suo parere, da una parte prevedere che la misura del tetto massimo delle retribuzioni si applichi a tutte le amministrazioni pubbliche nel senso più lato e senza eccezioni e, dall'altra parte, intervenire per correggere l'asimmetria anzidetta, che tra l'altro genera una disfunzione nel reclutamento del personale producendo un maggiore afflusso delle professionalità verso gli impieghi meglio retribuiti.
Per quanto riguarda invece l'intervento sulle retribuzioni degli amministratori delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, previsto dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 - in qualche modo gemello di quello in esame - evidenzia che sarebbe importante poter valutare i due decreti attuativi contemporaneamente, anche per verificare che l'armonia complessiva dell'intervento: ad esempio occorre evitare che i vertici delle pubbliche amministrazioni controllanti siano retribuiti meno degli amministratori delle società controllate, in quanto questo darebbe luogo a uno squilibrio pericoloso.
Altro punto problematico, a suo avviso, è quello della esatta individuazione del tetto massimo. Infatti la norma di legge parla di «parametro», mentre il decreto attuativo parla di «limite», assumendo come tale la retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011, senza però chiarire se e in che modo l'importo indicato venga di anno in anno ridefinito: ciò provoca il rischio di un effetto «galleggiamento» o «traino».
Infine, per quanto riguarda l'ambito di applicazione temporale dell'intervento, ritiene che questo debba decorrere da subito, incidendo anche sui trattamenti economici già in godimento. Ricorda infatti che la norma è stata inserita nel testo di un decreto-legge, vale a dire di un provvedimento che per definizione reca misure urgenti. Osserva inoltre che l'obiezione secondo cui esisterebbe un principio di divieto di reformatio in peius non può essere fatta valere in questo caso o quanto meno si deve lasciare che siano altri organi costituzionali, e non il Parlamento, a sollevarla.

Pierluigi MANTINI (UdCpTP) rileva preliminarmente come vi sia una questione non eludibile: nel momento in cui il provvedimento in esame viene ritenuto di immediata applicazione, con efficacia retroattiva, esso non può non costituire un inedito clamoroso nell'ordinamento da tutti i punti di vista.
Rileva, infatti, come sotto il profilo politico, esso faccia chiaramente intendere che l'Italia si trova nelle medesime condizioni della Grecia e questo è il segnale che si dà in ambito internazionale ed ai mercati. In Italia non era mai avvenuto niente di paragonabile all'improvvisa decisione di decurtare di circa un terzo il trattamento economico degli alti dirigenti.
Si sofferma, quindi, sui riflessi costituzionali del provvedimento che investono, in particolare, tre profili. In primo luogo, il consolidato principio del divieto di riformatio in peius, su cui si è soffermato il collega Zaccaria; in secondo luogo, la disparità della platea dei destinatari del provvedimento in esame e, infine, la questione che attiene al fatto che non tutti coloro che hanno retribuzioni più alte svolgono lo stesso tipo di funzioni e sono

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giunti a tale posizione in base al medesimo percorso. Un'equiparazione di tutti i soggetti avrebbe dunque una profonda disparità.
Rileva come sia evidente come in Italia vi sia la necessità di una politica dei redditi. Sottolinea, tuttavia, come occorra saperlo fare: non quindi con una spinta di tipo giacobino che tagli in questo modo le retribuzioni, quanto piuttosto, come accade in tutti gli ordinamenti liberali, consentendo che vi siano retribuzioni anche elevate che devono tuttavia essere sottoposte alle previste forme di tassazione ed, eventualmente, a forme di tassazione straordinarie in casi eccezionali.
Al contempo, una efficace politica dei redditi, definita in aderenza con le norme costituzionali, deve essere necessariamente riferita al momento della scadenza delle nomina o del contratto. In tale modo, al primo rinnovo si applicherà il nuovo criterio con conseguente consapevolezza da parte di chi accetta l'incarico. Sono altresì immaginabili forme e modalità che consentano di anticipare l'applicazione, incidendo eventualmente sulle indennità.
Sottolinea, invece, come il testo in esame possa essere molto pericoloso soprattutto per i ceti più deboli, consentendo in futuro interventi legislativi che prescindano dal principio di autonomia contrattuale e che potrebbero portare a stabilire un dimezzamento delle retribuzioni in essere, con evidenti conseguenze di ingiustizia sociale.
Si chiede inoltre per quali ragioni si intenda assumere come parametro la retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione, quasi ad intendere una subordinazione della pubblica amministrazione a tale retribuzione di riferimento. È a suo avviso opportuno immaginare invece, per realizzare una reale politica dei redditi, un tetto, fluttuante o meno, costituito da una parte fissa e da un premio di produttività, seppure di entità limitata, come di norma avviene nelle amministrazioni moderne.
Ritiene invece che sulle misure in discussione vi siano molte incognite e ricorda come le disposizioni in questione nascano da un errore bipolare, da un emendamento che ha prodotto un pessimo risultato. Il Governo si è adeguato ma, di fatto, ci si trova di fronte ad una misura che alcune forze politiche presenti in Parlamento hanno ritenuto di adottare sulla scia delle affermazioni di Grillo o dei giornalisti Stella e Rizzo.
Ricorda come la proposta del suo gruppo sia stata formulata ed auspica che, con un apporto costruttivo di tutti, sia possibile giungere ad un intervento differente che porti comunque al medesimo risultato. Concorda dunque sull'esigenza di dare un segnale di equità tanto più in una fase straordinaria quale quella attuale, realizzando una politica dei redditi che, ponendosi in linea con la la Carta costituzionale, non stravolga l'ordine democratico ed i principi fondamentali, che sono posti a tutela e a garanzia di tutti.

Giuliano CAZZOLA (PdL), dichiarando di condividere molte delle considerazioni svolte nel corso della seduta odierna, ritiene di non poter non rilevare che il clima generale del Paese condiziona inevitabilmente anche il comportamento del Parlamento su materie come quella in esame. Tuttavia, giudicando eccessivo evocare l'esempio della Grecia in relazione al provvedimento in discussione e pur comprendendo l'esigenza di far fronte ad una straordinaria situazione di crisi economica, che pone il Governo nelle condizioni di dover conseguire immediati risparmi di spesa pubblica, si chiede se - al di là dell'esistenza o meno di profili di ragionevolezza suscettibili di legittimare interventi di reformatio in peius delle condizioni retributive dei lavoratori - si sia realmente colta l'esatta portata dello schema di decreto, soprattutto per quanto concerne le possibili ricadute che potrebbero derivare, in danno dell'autonomia delle parti e dei trattamenti in essere, sui livelli contributivi di tutti i dipendenti del settore pubblico.
Ritiene, infatti, che la formulazione attuale del testo, che fa riferimento ad un limite massimo retributivo corrispondente ai vertici apicali, invitando anche le amministrazioni

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pubbliche a una sorta di «riparametrazione» dei trattamenti inferiori a tale limite, rischi di produrre un «effetto-domino», imponendo, a scalare, un complessivo ridimensionamento degli stipendi di tutti i lavoratori pubblici, fino a comprendere i livelli più bassi. Osserva che ciò potrà anche condurre a un contenimento della spesa pubblica, ma imporrebbe, a sua volta, una completa ristrutturazione dei livelli remunerativi dei lavoratori pubblici mediante una pesante intromissione del potere legislativo all'interno di materie rimesse, di norma, alla determinazione delle parti sociali.
Nell'invitare, pertanto, a riflettere seriamente sui rischi connessi all'eventuale interpretazione della norma in termini retroattivi, giudica opportuno approfondire con attenzione i contenuti più controversi del provvedimento, considerata la delicatezza delle questioni in gioco, specificando meglio, ad esempio, taluni concetti fondamentali - come quello dell'onnicomprensività del trattamenti - da porre in stretta correlazione con il tema della pluralità degli incarichi.

Maria Anna MADIA (PD), giudicando sostanzialmente doveroso l'intervento normativo in esame, in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, ritiene comunque opportuno chiarire alcuni aspetti del testo, soprattutto con riferimento a quelle disposizioni che rischiano di definire in termini di incertezza la platea di soggetti interessati e di incidere sugli ambiti di competenza della contrattazione individuale, dando luogo a complessi contenziosi giudiziari.
Pur comprendendo, poi, le preoccupazioni manifestate da taluni deputati circa i profili di legittimità costituzionale delle norme in questione rispetto ai possibili rischi di una reformatio in peius dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici, ritiene tuttavia utile segnalare che il divieto di tale reformatio è stato in realtà revocato in dubbio, di recente, dalla stessa Corte costituzionale, che - in una sentenza del dicembre 2011 - ha dichiarato legittimo il nuovo sistema di indennizzo introdotto da una disposizione, inserita nel cosiddetto «collegato lavoro», in materia di tetto agli indennizzi che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore in caso di offerta della conversione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Dal momento che, con la sentenza in questione, viene garantita la legittimità di un sistema normativo - fortemente lesivo dei diritti remunerativi dei lavoratori - tendente a ridimensionare il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro per il periodo che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore, si chiede come si possa dubitare circa la conformità costituzionale delle norme contenute nel testo in esame, che giudica meno restrittive di quelle richiamate nella richiamata sentenza della Corte costituzionale.

Silvano MOFFA, relatore per la XI Commissione, osserva che il caso richiamato dall'onorevole Madia sembrerebbe riferirsi a una fattispecie diversa da quella interessata dal provvedimento in esame.

Michele SCANDROGLIO (PdL) ritiene che l'esame del provvedimento costituisca per il Parlamento l'occasione per interpretare e fare proprio un forte sentimento popolare, che richiede a tutti, in tempi di eccezionale crisi economica, di sostenere rilevanti sacrifici per il bene del Paese. Giudica importante, pertanto, che si dia corso al provvedimento in esame, definendolo nei suoi contenuti in modo dettagliato e preciso, ma evitando interpretazioni giuridiche troppo zelanti e capziose, suscettibili di minarne la corretta applicazione.
Al riguardo, ritiene opportuno procedere ad una esaustiva definizione della platea dei possibili destinatari, sulla base di criteri oggettivi che estendano anche agli enti locali l'ambito di applicazione del testo, nell'ottica di prevenire disparità di trattamento nel settore del pubblico impiego. Fa presente, peraltro, che il testo, facendo riferimento ad emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, già suggerisce una interpretazione in senso

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estensivo delle disposizioni in esame, richiedendo, quindi, solo una ulteriore lieve specificazione al riguardo.
Auspica, pertanto, una sollecita conclusione dell'iter, al fine di lanciare al Paese un segnale chiaro di forte ridimensionamento della spesa pubblica, rifuggendo dalla tentazione di ricercare «cavilli» per snaturare il significato di un intervento normativo atteso dall'opinione pubblica.

Giorgio CONTE (FLpTP) sottolinea l'importanza di tenere conto dei diritti acquisiti, che non possono configurarsi alla stregua di «cavilli», ed auspica che con il coinvolgimento di tutte le forze politiche sia possibile individuare una soluzione di maggiore equità, in modo da correggere certe storture evidenti.

Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI, premesso che sarebbe tentato di entrare nel merito giuridico delle questioni poste, si limita ad considerare che alcune di esse hanno a suo avviso un fondamento mentre altre sono meno convincenti.
Osserva che non c'è dubbio che l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 parli di «parametro» e di definizione del trattamento economico, ma è anche vero che, interpretando la legge alla lettera, si metterebbe in discussione - come rilevato dall'onorevole Cazzola - il sistema delle fonti per quanto attiene al riparto tra legge e contratto. Per questa ragione, anche sulla base di un ordine del giorno approvato in una delle due Camere in sede di conversione del decreto-legge, il Governo ha scelto di intendere il «parametro» come limite massimo.
Per quanto riguarda l'articolo 5 dello schema di decreto in esame, ribadisce che esso intende esclusivamente chiarire che la eventuale revisione dei trattamenti economici al di sotto del limite massimo è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto, vale a dire in sede di rinegoziazione contrattuale. In altre parole il Governo ha ritenuto, sulla base del presupposto già denunziato secondo cui per «parametro» deve intendersi «tetto massimo», che l'articolo 23-ter costituisca norma imperativa, atta ad inserirsi nei contratti prevalendo sulle clausole difformi, solo ove queste prevedano trattamenti superiori al tetto, restando quindi affidata alla contrattazione con le sue dinamiche temporali la eventuale ridefinizione dei trattamenti inferiori al tetto.
In conclusione dichiara che il Governo intende dare attuazione alla norma di legge, certamente tenendo conto del parere parlamentare. Quanto al rischio che il provvedimento provochi un contenzioso giurisdizionale, questo non può certamente essere escluso. D'altra parte fa presente che quello in esame è soltanto un decreto attuativo e che il discorso sarebbe diverso se si potesse intervenire sulla norma di riferimento per correggerne le criticità.

Donato BRUNO, presidente e relatore per la I Commissione, si domanda se possa essere utile per il Governo inserire, nell'ambito della proposta di parere, l'indicazione delle correzioni che è necessario apportare alla norma di legge, al fine di evitare il rischio che l'intervento poggi su basi fragili.

Il ministro Filippo PATRONI GRIFFI, premesso che il Governo ha predisposto in attuazione della norma vigente uno schema di decreto che, a suo avviso, «tiene», si dichiara comunque disponibile a valutare iniziative legislative che, modificando la norma di riferimento, garantiscano il più possibile la legittimità dell'intervento attuativo, ma si riserva di verificare in che termini sia possibile procedere in questo modo senza mettere a rischio il decreto in esame.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che si potrebbe introdurre nell'ordinamento una norma di interpretazione autentica che rafforzi e legittimi pienamente il decreto in esame, il quale potrebbe essere formalmente adottato dopo l'entrata in vigore di detta norma interpretativa.

Roberto ZACCARIA (PD) ritiene che il ricorso a una norma di interpretazione

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autentica sia una soluzione che rischia di aggravare i problemi anziché risolverli.

Silvano MOFFA, relatore per la XI Commissione, osserva che le Commissioni riunite si trovano di fronte al problema di valutare le più opportune forme di applicazione di una norma, come quella contenuta all'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201, che ha un effetto cogente: per tale ragione, ritiene che - ove si intendesse intervenire sugli aspetti più incerti di tale norma - vi sarebbe soltanto la strada di introdurre apposite modifiche legislative alle disposizioni che si ritengono equivoche, giudicando altrimenti assai pericoloso intervenire su tale articolo mediante norme interpretative, che non farebbero altro che incrementarne il tasso di confusione.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.50.