CAMERA DEI DEPUTATI
Venerdì 9 settembre 2011
529.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Venerdì 9 settembre 2011. - Presidenza del presidente Silvano MOFFA.

La seduta comincia alle 10.10.

DL 138/2011: Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.
C. 4612 Governo, approvato dal Senato.

(Parere alla V Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

Giuliano CAZZOLA (PdL), relatore, rammenta che la Commissione è chiamata ad esprimere il parere di competenza alla V Commissione sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo: ritiene che si tratti di un provvedimento importante, che interviene a correzione della manovra di luglio, con misure volte a consentire l'anticipo al 2013 del pareggio di bilancio, segnalando come l'evoluzione degli scenari economici globali, in un quadro contraddistinto da una forte instabilità dei mercati finanziari e dal pericolo di un ulteriore rallentamento della crescita, abbia indotto, infatti, il Governo, dopo la manovra di luglio, ad intervenire urgentemente con un'ulteriore manovra correttiva, proprio al fine di mettere in sicurezza i conti pubblici, quale presupposto indispensabile per lo sviluppo economico del Paese, in un contesto, ormai a dimensione mondiale, in cui è messa alla prova la credibilità degli Stati nazionali e l'esigibilità del loro debito sovrano. Fa notare, peraltro, che l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge costituzionale di modifica dell'articolo 81 della Costituzione, avvenuta nella giornata di ieri, va nel senso di rendere strutturale ed obbligatorio il pareggio annuale di bilancio.
Ricorda che il provvedimento è stato già approvato dal Senato e attende ora un sollecito iter di discussione presso la Camera dei deputati, anche al fine di confermare un segnale incisivo e attendibile a livello internazionale, che dia testimonianza di una forte capacità di reazione

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del Paese a fronte della grave crisi in atto; grazie anche al fermo richiamo del Capo dello Stato, i saldi sono stati rafforzati con misure che hanno reso più credibile la manovra correttiva e che hanno consentito, per ora, un giudizio interlocutorio, in attesa dei riscontri concreti, da parte dell'Unione europea, della Bce e dell'OCSE, dopo le perplessità con cui erano stati accolti gli emendamenti del Governo e del relatore presso la Commissione Bilancio del Senato.
Osserva che anche l'andamento dei mercati, in concomitanza con il voto del Senato e nei giorni seguenti, induce ad un moderato ottimismo, sebbene ritenga doveroso ricordare che nei processi di crisi che si stanno vivendo è presente una componente di natura internazionale, che sfugge al controllo di Governo e Parlamento e condiziona tuttavia i comportamenti delle istituzioni pubbliche: in sostanza, un Paese può conoscere un inesorabile declino da solo, se non è in grado di fare la propria parte nell'opera di risanamento dei conti pubblici, mentre non può salvarsi da solo in un contesto internazionale in cui i rapporti economici e finanziari sono parte di un sistema di vasi comunicanti. Rileva che l'Italia, con tutte le sue fragilità, non è il solo Paese che versa in condizioni di tale difficoltà da far dubitare, a volte, che la politica nel suo complesso, sia all'altezza delle sfide da affrontare: questo è un punto che deve essere tenuto presente, a suo giudizio, in un dibattito che voglia essere onesto e costruttivo e che vada oltre la propaganda di chi pensa che le difficoltà italiane siano da addebitarsi esclusivamente all'attuale Governo. Evidenzia, peraltro, come la situazione richieda tuttora il massimo di attenzione, anche perché, prima o poi, tornerà a tendenze normali l'ombrello protettivo che nella fase di transizione ha assicurato la Bce, con l'acquisto dei titoli italiani; dopo che la manovra di luglio non era stata in grado di garantire i mercati e gli osservatori internazionali, è stata, quindi, sicuramente opportuna e necessaria la «svolta di Ferragosto», anche se hanno pesato le incertezze prima e le prese di posizione poi, spesso contrastanti, emerse anche all'interno della maggioranza. Prende atto, in questo ambito, che la manovra resta caratterizzata da una componente importante sul versante delle entrate e quindi della pressione fiscale: il che pone l'esigenza di un particolare impegno nell'ambito della delega fiscale e assistenziale, che è parte integrante della manovra nel suo complesso, anche perché il pareggio di bilancio, se raggiunto nel 2013, dovrà comunque essere messo in sicurezza per gli anni successivi.
Concentrandosi, quindi, sui profili di più diretta competenza della Commissione, osserva che il provvedimento reca diverse disposizioni di interesse, sulle quali valuta opportuno soffermarsi con attenzione.
In primo luogo, segnala che l'articolo 1, oltre ad incamminarsi lungo il sentiero scosceso dell'accorpamento degli enti della previdenza pubblica (dopo che nel corso di ben due legislature si era trovato un sostanziale equilibrio intorno all'assetto vigente), contiene talune importanti norme in materia di rapporti di lavoro pubblici e privati.
In proposito, fa presente che i commi da 3 a 5 di tale articolo prevedono che le amministrazioni pubbliche già interessate da analoghi provvedimenti adottati nel 2008 e nel 2009 debbano effettuare ulteriori riduzioni delle dotazioni organiche; in particolare, le amministrazioni dovranno procedere, entro il 31 marzo 2012, alla contrazione degli uffici dirigenziali di livello generale in misura non inferiore al 10 per cento, nonché all'ulteriore riduzione, non inferiore al 10 per cento, della spesa complessiva relativa al numero di posti di organico del personale non dirigenziale; alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto. Rileva, quindi, che il comma 7 del medesimo articolo 1 stabilisce che, nel caso in cui si registri uno scostamento rilevante rispetto agli obiettivi indicati dal Documento di economia e finanza (DEF) o

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non siano rispettati gli obiettivi di risparmio stabiliti dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, per i ministeri, l'amministrazione competente disponga, nel rispetto degli equilibri di bilancio pluriennale, su comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, la riduzione della retribuzione di risultato dei dirigenti responsabili nella misura del 30 per cento. Ricorda, peraltro, che il Senato ha soppresso una disposizione, contenuta al comma 7 del testo originario del decreto-legge, che prevedeva che il mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio comportasse, per quanto di rispettiva competenza, il differimento del pagamento della tredicesima mensilità dovuta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in tre rate annuali posticipate e senza l'erogazione dei relativi interessi.
Fa notare, poi, che il comma 14 apporta modifiche alla nuova disciplina sulla liquidazione degli enti dissestati, recentemente introdotta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, prevedendo la decadenza degli organi (con esclusione del collegio dei revisori o sindacale) degli enti sottoposti alla vigilanza dello Stato, in caso di mancata deliberazione del bilancio consuntivo nel termine stabilito dalla normativa vigente ovvero di realizzazione di disavanzi di competenza per due esercizi consecutivi; la disposizione in esame, in particolare, in taluni casi specifici prevede la nomina di un commissario, il quale può esercitare la facoltà di cui all'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 - ossia, può risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro - anche nei confronti del personale che non abbia raggiunto l'anzianità massima contributiva di quarant'anni. Segnala, quindi, che il comma 16 proroga, per il triennio 2012-2014, proprio l'applicazione dell'istituto della risoluzione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dal testé citato articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con il quale si consente a queste ultime di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di quaranta anni, mentre il comma 17 modifica, a sua volta, l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, concernente la possibilità di permanenza in servizio dei dipendenti pubblici, per un periodo massimo di un biennio, oltre i limiti di età per il collocamento a riposo: la disposizione, in particolare, è volta a stabilire che la facoltà di trattenimento in servizio viene esercitata unilateralmente dall'amministrazione, sulla base della semplice disponibilità del dipendente e non più su sua richiesta. Rileva, inoltre, che il comma 19 modifica la disciplina della mobilità volontaria nel pubblico impiego, di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevedendo che, a seguito dell'attivazione delle procedure di mobilità, il trasferimento del personale che ne faccia domanda possa essere disposto anche nel caso in cui la vacanza di organico sia presente in area diversa da quella di inquadramento, assicurando comunque la neutralità finanziaria.
Si sofferma poi sul comma 20, che accelera - con una misura che definisce di carattere strutturale e a risparmio certo e crescente, ancorché affidato ad un percorso graduale - il progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo, prevedendo che l'innalzamento progressivo inizi dal 2014 (anziché dal 2020), con l'entrata a regime della disciplina il 1o gennaio 2026 (anziché il 1o gennaio 2032), mentre il comma 21 modifica, a decorrere dal 1o gennaio 2012, la disciplina delle decorrenze iniziali (cosiddette «finestre») dei trattamenti pensionistici (di vecchiaia e anzianità) per il personale del «comparto scuola», stabilendo che i trattamenti decorrano dall'inizio dell'anno scolastico e accademico che ricade nell'anno solare successivo rispetto a quello di maturazione dei requisiti.

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Sottolinea che i commi 22 e 23 intervengono sui termini per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici, con effetto dalla data di entrata in vigore del provvedimento (13 agosto 2011) e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla medesima data; in particolare, si introduce un posticipo di 6 mesi per i trattamenti di fine servizio riconosciuti per il raggiungimento dei limiti di età o di servizio (per i quali nella normativa previgente non era previsto alcun posticipo) e si incrementa a 24 mesi (rispetto ai 6 mesi previsti dalla legislazione previgente) il posticipo per i trattamenti di fine servizio a seguito di pensionamento anticipato. Osserva, inoltre, che il comma 23-bis, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, consente, nel rispetto di determinate procedure, la deroga al blocco del turn-over del personale del servizio sanitario regionale, qualora essa sia necessaria al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza.
Segnala, quindi, che il comma 24 stabilisce che, a decorrere dal 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, siano fissate annualmente le date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguente ad accordi con la Santa Sede, le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi patroni, in modo tale che le stesse cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva ovvero coincidano con tale data. Con una modifica introdotta nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, sono state espressamente escluse dall'applicazione della predetta disposizione le festività del 25 aprile (festa della liberazione), del 1o maggio (festa del lavoro) e del 2 giugno (festa nazionale della Repubblica).
Evidenzia che il comma 29, al fine di consentire una più razionale allocazione del personale pubblico, prevede che, qualora sussistano motivate esigenze tecniche, organizzative e produttive, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni siano tenuti, su richiesta del datore di lavoro, allo svolgimento della prestazione lavorativa in luoghi e sedi diverse, secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto; nelle more della disciplina contrattuale è obbligatorio far riferimento ai criteri datoriali, che sono oggetto di informativa preventiva, mentre il trasferimento è consentito nell'ambito del territorio regionale di riferimento. Rileva poi che l'ultima disposizione di interesse dell'articolo 1 è rappresentata dal comma 32, che modifica i criteri di calcolo delle pensioni e dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) nell'ipotesi in cui il dipendente pubblico sia stato titolare di un incarico dirigenziale per un periodo inferiore al minimo generale di tre anni a causa del conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo, prevedendo che in tali casi l'ultimo stipendio (ossia il parametro preso come riferimento per la base pensionabile nel sistema retributivo per l'anzianità antecedente il 1992) sia costituito dall'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico di durata inferiore a tre anni.
Passando all'articolo 2, osserva che il comma 1, modificato nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, conferma l'applicabilità del cosiddetto «contributo di solidarietà» sugli emolumenti dei dipendenti pubblici, introdotto dall'articolo 2, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, nonché sui trattamenti pensionistici, introdotto dall'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011. Sottolinea che il comma 1-bis del medesimo articolo, inserito durante l'esame del provvedimento al Senato, introduce inoltre un contributo di solidarietà a carico di tutti i contribuenti il cui reddito complessivo ai fini IRPEF sia superiore a 300.000 euro lordi annui, per il periodo 1o gennaio 2011-31 dicembre 2013, prorogabile anche per gli anni successivi al 2013 fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. Ritiene che questa norma - rispetto alla norma iniziale, nella quale il contributo era posto al di sopra dei 90.000 e dei 150.000 euro - desti qualche perplessità,

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se e la si paragona con quanto continua ad essere disposto per i dipendenti pubblici e per i pensionati.
Si sofferma, dunque, su quello che definisce il «cuore del dibattito» nelle materie di interesse della XI Commissione, che riguarda quanto disposto nel Titolo III e segnatamente nell'articolo 8, che reca disposizioni volte al sostegno della contrattazione collettiva di prossimità. In premessa, giudica opportuno ricordare che il Senato ha modificato il testo iniziale con riferimento a diversi aspetti che avevano suscitato un'ampia discussione e non poche polemiche, tra cui la questione della rappresentanza e rappresentatività. Segnala, infatti, che il comma 1 dispone che i contratti collettivi di lavoro aziendali o territoriali, sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda in base alla legge e agli accordi confederali vigenti (compreso, pertanto, quello del 28 giugno 2011), possano realizzare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario di rappresentanza sindacale, finalizzate - ritiene che sia importante l'indicazione puntuale delle finalità - alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività. Osserva, d'altronde, che anche Jean Claude Trichet, in una recente dichiarazione, ha ribadito che i Paesi dell'area dell'euro devono rendere più flessibile il mercato del lavoro e passare da un livello di contrattazione nazionale a uno aziendale, mentre lo stesso Governo spagnolo, per decreto, ha riconosciuto «priorità applicativa» alla contrattazione aziendale nelle materie più significative del rapporto di lavoro.
Osserva, quindi, che il comma 2 del medesimo articolo 8 elenca le materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione che possono essere oggetto delle intese. In quest'ambito, sottolinea come abbia fatto molto discutere il fatto che tali intese negoziali possano riguardare pure le «conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro», ad eccezione del licenziamento discriminatorio e del licenziamento lesivo dei diritti riconosciuti alla lavoratrice. Senza volersi sottrarre alla problematicità di una norma che interviene in questa come in altre discipline rilevanti per il rapporto di lavoro, ritiene tuttavia che corra l'obbligo di fare talune precisazioni. A suo avviso, anzitutto, non si tratta di una modifica legislativa dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, poiché le parti ricevono dalla norma un'opportunità in più che possono far valere o meno, ma che è condizionata ad una intesa sindacale (la cui validità è comunque sottoposta a procedure anch'esse concordate). Inoltre, fa notare che secondo gli ordinamenti internazionali il lavoratore ha diritto ad una tutela in materia di licenziamento, azionabile in giudizio, ma la reintegra giudiziale nel posto di lavoro è una mera modalità con cui si esercita tale tutela, al pari del risarcimento del danno, che è poi la normale forma risarcitoria in materia di obbligazioni. Che la tutela tramite reintegra non sia un diritto inderogabile, peraltro, è - a suo giudizio - provato dall'ordinamento giuridico, che la riserva e riconosce solo ad una parte (numericamente minoritaria) del mercato del lavoro, tanto più che questa valutazione ha trovato riscontro persino in un referendum popolare del giugno 2003, che ha bocciato nei fatti, tramite il mancato raggiungimento del quorum, l'estensione erga omnes a tutti i lavoratori. Infine, rileva come non sia dimostrata, né sia sostenibile sul piano giuridico, la tesi per cui l'articolo 8 prefigurerebbe, in talune sue parti, una violazione delle norme costituzionali, come sostiene parte dell'opposizione (atteso, infatti, che alcuni gruppi che non sostengono il Governo hanno comunque votato a favore della norma al Senato).

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Fa osservare, al riguardo, che la stessa Consulta non ha mai affermato il principio secondo cui la tutela reale ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abbia una copertura costituzionale; al contrario, la Corte costituzionale aveva dichiarato ammissibile (con la sentenza n. 46 del 2000) il referendum abrogativo - svoltosi nel maggio 2000 e di segno opposto rispetto a quello già ricordato - dell'articolo in questione, tra le cui disposizioni rientra anche quell'obbligo di reintegra che è il tema dell'attuale polemica. Al contempo, giudica non condivisibile l'opinione di chi sostiene l'estraneità della materia di cui all'articolo 8 nell'ambito di un provvedimento orientato al risanamento dei conti pubblici: infatti, ad avviso del Governo e della maggioranza, il «pacchetto» contenuto nell'articolo 8 costituisce un contributo essenziale allo sviluppo, che è pur sempre uno degli obiettivi del provvedimento; sviluppo sicuramente favorito dalla possibilità di definire, attraverso la libera contrattazione, modelli organizzativi e produttivi flessibili ritenuti più idonei per assicurare un consolidamento della ripresa produttiva, ancora gracile ed incerta, se è vero che la legge non cambia di per sé il quadro delle regole, ma si affida alla esperienza delle parti sociali.
Sempre in relazione all'articolo 8, osserva che il comma 2-bis, introdotto al Senato, è volto a specificare che nelle materie di cui al comma 2 le intese possono prevedere deroghe alle norme di fonte pubblica o contrattuale, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. Intende ricordare, in proposito, che la contrattazione in deroga è diffusa nei principali Paesi europei ed ha consentito - nel caso della Germania - di rafforzare le relazioni industriali e di farne un elemento determinante della ripresa economica. Rileva poi che il comma 3 stabilisce che tutti i contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, siano efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto si riferisce, a condizione che il contratto medesimo sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori. Infine, fa presente che il comma 3-bis, introdotto al Senato, prevede che le imprese ferroviarie e le associazioni internazionali di imprese ferroviarie, che espletino sull'infrastruttura ferroviaria nazionale servizi di trasporto di merci o di persone, sono tenuti a rispettare i contratti collettivi nazionali di settore, anche con riferimento alle condizioni di lavoro del personale.
Passando all'articolo 9, osserva che esso semplifica le procedure in base alle quali i datori di lavoro possono modulare tra le diverse unità produttive ed amministrative le quote obbligatorie di assunzione di categorie protette, prevedendo, in particolare, la semplice comunicazione in via telematica ai servizi provinciali competenti (in luogo dell'autorizzazione su richiesta motivata) e la compensazione anche tra diverse imprese, a condizione che esse abbiano sede in Italia e facciano parte di uno stesso gruppo d'impresa. Inoltre, fa notare che l'articolo 10 interviene sulla disciplina dei fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, prevedendo che possano impiegare parte delle proprie risorse per misure di formazione in favore di apprendisti e di collaboratori a progetto, mentre l'articolo 11 reca alcune norme generali in materia di tirocini formativi e di orientamento, prevedendo, in particolare, che possano essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti determinati dalle regioni e che i tirocini «non curriculari», ad esclusivo beneficio di neo-diplomati e neo-laureati, debbano essere attivati entro dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio e non possano avere una durata superiore a sei mesi.
In conclusione, preso atto dell'urgenza di giungere alla definitiva approvazione del provvedimento in esame, anche nell'ottica di fornire elementi di certezza ai mercati, sia sul versante della tenuta dei saldi di bilancio sia sul terreno delle

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prospettive di crescita del Paese, ritiene che vi siano le condizioni per un orientamento positivo da parte della Commissione, tenuto conto, peraltro, dell'evidente esigenza di non apportare ulteriori modifiche al testo trasmesso dal Senato. Resta inteso, a suo giudizio, che eventuali modifiche e integrazioni che dovessero rendersi necessarie, anche alla luce della rapidità con cui la manovra è stata concepita, potranno essere adottate con i successivi provvedimenti normativi che il Governo dovrà approvare in futuro.
Propone, pertanto, di esprimere sul provvedimento in esame un parere favorevole, riservandosi di presentare una apposita proposta in tal senso, al termine del dibattito odierno.

Cesare DAMIANO (PD), pur ringraziando il relatore per l'esauriente lavoro svolto, dichiara di non condividere la valutazione positiva da questi espressa sulla manovra correttiva del Governo, che andrebbe giudicata, al contrario, fortemente iniqua dal punto di vista sociale e «depressiva» sul piano economico. Infatti, sebbene ritenga necessario un intervento rigoroso sul versante del risanamento dei conti pubblici, a fronte della grave crisi in atto, valuta comunque sbagliato far pagare esclusivamente ai ceti medio-bassi le conseguenze dell'attuale situazione, attraverso l'adozione di misure fortemente penalizzanti nei confronti di famiglie e lavoratori. Fa notare, peraltro, che la manovra del Governo, oltre ad essere socialmente ingiusta, non sembra in grado nemmeno di attivare adeguati processi di sviluppo, non contenendo misure a favore dell'innovazione e della ricerca, né programmando iniziative sul fronte delle politiche industriali, che appaiono ormai essenziali in un contesto economico globalizzato. Ritiene che tutto ciò si ripercuoterà negativamente sul mondo del lavoro, chiamato nell'imminente autunno ad affrontare una fase delicata, attesa la scadenza di numerosi trattamenti di integrazione salariale, che condurrà inevitabilmente ad un aumento vertiginoso dei tassi di disoccupazione.
Rileva che l'Esecutivo, dopo aver a lungo sottovalutato gli effetti della crisi, ha ora predisposto un intervento largamente insufficiente, spinto più dalle pressioni istituzionali europee che da propri convincimenti, peraltro incorrendo in continue contraddizioni, determinate dalla presenza di una maggioranza ormai divisa e fragile, preoccupata solo di salvaguardare i propri interessi a scapito del bene del Paese. Auspica, pertanto, un'evoluzione dei rapporti politici, che porti alla costituzione di un Governo autorevole, che sappia affrontare, a differenza dell'Esecutivo in carica, le gravi problematiche che affliggono il Paese, in primo luogo adottando misure che, invece di colpire lo stato sociale e il pubblico impiego, reperiscano risorse dai ceti più benestanti incidendo sui privilegi, attraverso la tassazione dei beni patrimoniali, delle rendite e delle transazioni finanziarie, nonché mediante la riduzione dei costi della politica, così come proposto, ormai da tempo, dal Partito Democratico.
Soffermandosi più nel dettaglio sul merito dell'articolato, esprime forti perplessità sull'articolo 8, che ritiene intervenga «a gamba tesa» sul tema della rappresentatività sindacale, materia che, a suo avviso, dovrebbe essere rimessa alle parti sociali e non dovrebbe essere trattata in un provvedimento di natura finanziaria come quello in esame. Fa notare, in proposito, che la norma approvata dal Senato sembra essere esclusivamente mirata a dividere il fronte sindacale, mettendo in discussione l'accordo raggiunto lo scorso 28 giugno tra le parti sociali, sia sul tema della partecipazioni delle RSU e dei lavoratori alle decisioni dell'azienda, sia sul tema della rappresentatività territoriale, punto essenziale sul quale l'Esecutivo pare abbia voluto accogliere le richieste del gruppo della Lega Nord Padania, mettendo in discussione fondamentali principi del diritto sindacale e del lavoro. Pur condividendo un processo di tendenziale decentramento nella contrattazione sindacale, ritiene grave riconoscere la derogabilità di leggi e contratti collettivi nazionali da parte dei contratti aziendali, soprattutto

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laddove siano in gioco importanti e sostanziali diritti dei lavoratori connessi al reintegro nel posto di lavoro.
Giudica negativamente anche gli interventi posti in essere in materia previdenziale, per quanto concerne le donne del settore privato, facendo notare che le disposizioni approvate dal Senato appaiono ancora più gravi se si considera l'assoluta mancanza di misure tese a favorire la carriera delle lavoratrici e il loro accesso al lavoro, nonostante in passato fosse stato annunciato dal Governo che i risparmi dell'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel settore pubblico sarebbero stati reinvestiti in politiche a favore della conciliazione. Lamentando una generale opera di demolizione dei diritti previdenziali dei lavoratori, in materia di decorrenza dei trattamenti, reversibilità e diritti di riscatto, si chiede poi che peso possa aver svolto in tali iniziative il gruppo della Lega Nord Padania, che, almeno a parole, sembrerebbe schierato a difesa delle prerogative dei pensionati.
Stigmatizzato, inoltre, il comportamento assunto dal Governo nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego, come dimostra anche l'intervento in materia di posticipo del trattamento di fine servizio, esprime un giudizio estremamente critico nei confronti della manovra, che appare lesiva dei diritti delle categorie più deboli, tra cui cita i soggetti disabili, danneggiati dall'impostazione negativa dell'articolo 9 del decreto in esame. Preso atto, peraltro, che il Governo sembra intenzionato a porre la questione di fiducia sul provvedimento, più per tenere unita la propria maggioranza che per garantire l'entrata in vigore di norme utili alla collettività, dichiara che il suo gruppo si batterà con forza per modificare un provvedimento fortemente sbagliato e contraddittorio.

Maria Grazia GATTI (PD), pur nella consapevolezza della gravità della situazione economico-finanziaria in cui versa il Paese, che richiede tempi celeri di intervento, ritiene che vi sia il tempo per apportare modifiche migliorative al testo del decreto-legge in esame, che viene in scadenza tra oltre un mese: il suo gruppo, infatti, si è già dichiarato disponibile a un rapido passaggio alla Camera, che consentirebbe il ritorno del provvedimento al Senato e la sua definitiva approvazione entro la prossima settimana. Prende atto, tuttavia, che il Governo, alle prese con un grave problema interno alla propria maggioranza, non intende intervenire ulteriormente sul testo: esprime, pertanto, forti perplessità sull'impianto della manovra, la quale - piuttosto che su misure estemporanee e di corto respiro - avrebbe invece dovuto essere impostata su una forte iniziativa unitaria, più puntuale e precisa, a livello europeo.
Manifesta, peraltro, la propria preoccupazione per l'attuale clima dei rapporti istituzionali, laddove un Ministro della Repubblica cerca a tutti i costi lo scontro con una parte molto importante del mondo sindacale, non soltanto con atti concreti (come l'articolo 8 del decreto-legge in esame), ma anche attraverso battute offensive: chiede, dunque, al Ministro Sacconi di scusarsi pubblicamente per le gravi frasi pronunciate, nel corso di un dibattito pubblico, nei giorni scorsi.
Passando al contenuto del decreto, si sofferma anzitutto sull'atteggiamento punitivo assunto verso la pubblica amministrazione, che attesta la sfiducia del Governo nei confronti del lavoro pubblico, come dimostrato, ad esempio, dalla disposizione sul differimento del trattamento di fine servizio. Al contempo, stigmatizza l'ennesimo intervento sull'età pensionabile delle donne - sempre più progressivamente innalzata anche per il settore privato - che non è accompagnato da misure per la conciliazione e per l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, se è vero che il fondo derivante dai risparmi previdenziali, non solo è stato completamente svuotato, ma è anche stato reso improduttivo a causa della mancata convocazione della commissione che avrebbe dovuto occuparsi del suo utilizzo.
Dichiara poi di non comprendere le ragioni che hanno portato all'inserimento dell'articolo 8 nel testo della manovra, atteso che esso non influisce sui saldi e

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viola palesemente i termini dell'accordo tra le parti sociali del 28 giugno 2011, segnalando la gravità del problema creato dall'autorizzare la contrattazione aziendale a derogare alle leggi senza alcun criterio direttivo: tale dato, a suo giudizio, assume proporzioni addirittura preoccupanti, se solo si pensa che talune disposizioni normative prevedono la nullità di pattuizioni contrarie alla legge. Si sofferma, inoltre, sul comma 3 dell'articolo 8, sulla cui legittimità esprime forti dubbi, ricordando come proprio la questione della retroattività degli accordi stipulati fosse stata tolta dal tavolo sindacale come condizione per facilitare l'accordo tra le parti sociali del giugno scorso.
Nell'indicare possibili questioni problematiche in ordine all'articolo 12, in tema di intermediazione illecita, con riferimento alla sua concreta applicabilità in rapporto alle deroghe della contrattazione aziendale e alla manodopera straniera, si concentra sul contenuto dell'articolo 11, in materia di tirocini, segnalando problemi attuativi in relazione alla normativa sui rifugiati e alla disciplina dei master formativi e stigmatizzando, in particolare, l'assoluta mancanza di un confronto su tale argomento con le regioni, che hanno piena competenza in materia, tanto che talune di esse stanno legiferando proprio in questi giorni.
In conclusione, invita la maggioranza a rivedere la propria posizione e a modificare, nel senso sinora indicato, il provvedimento in esame.

Elisabetta RAMPI (PD) ritiene che il Governo abbia fornito una pessima immagine di sé, predisponendo, tra mille incertezze e contraddizioni, una manovra correttiva inefficace e fortemente punitiva nei confronti del ceto medio, del pubblico impiego e dei soggetti più deboli della società, quali donne e disabili.
Fa notare, peraltro, che nel provvedimento in esame non è stata assunta alcuna misura a sostegno della crescita, a testimonianza della totale assenza di un piano di sviluppo industriale organico e di lungo respiro, segnalando come sia in atto un forte attacco nei confronti dei diritti dei lavoratori, dimostrato dall'articolo 8 del provvedimento, che giudica ideologico ed estraneo alle finalità di risanamento del bilancio che l'Esecutivo dovrebbe perseguire. Ritiene che tale disposizione, discostandosi dall'accordo raggiunto tra le parti sociali nel giugno scorso, miri esclusivamente a dividere i sindacati e a pregiudicare diritti fondamentali dei lavoratori, mettendo in discussione importanti principi giuridici quale quello della rappresentatività sindacale e prevedendo una gentile concessione a favore di qualche noto gruppo imprenditoriale.
Osserva poi che il provvedimento in titolo penalizza ingiustamente gli enti locali, i lavoratori del pubblico impiego e le donne del settore privato, nei confronti delle quali, in particolare, si inasprisce la disciplina dei requisiti di accesso alla pensione, in vista della realizzazione di risparmi di bilancio che appaiono risibili. Nel far notare che non si prevedono, al contrario, interventi a tutela dell'accesso al lavoro delle donne né adeguate politiche di conciliazione, ritiene importante dare seguito alle proposte annunciate su questa materia dal Partito Democratico, al fine di dar vita ad un welfare finalmente moderno ed efficiente che sostenga le esigenza delle donne madri.
Nell'auspicare pesanti modifiche al testo, prende atto che, al contrario, il Governo appare intenzionato a porre la questione di fiducia sul provvedimento, con il solo fine di tenere unita la propria maggioranza: un comportamento di tal genere testimonia, a suo avviso, un totale disinteresse nei confronti del bene del Paese.

Amalia SCHIRRU (PD), nel riservarsi di predisporre una apposita documentazione scritta da depositare in Commissione, intende evidenziare taluni aspetti negativi del provvedimento, invitando la maggioranza e il Governo a fermarsi per un momento, per riflettere concretamente sulla reale utilità di determinate misure rispetto alla tenuta dei conti pubblici.
In tal senso, espresse forti perplessità sulla finalità di ridurre le spese pubbliche

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attraverso l'abolizione dei comuni più piccoli, si sofferma sulla proposta di anticipazione della riforma assistenziale, che giudica estremamente grave, in quanto diretta a preparare i cittadini al rischio di una sensibile contrazione delle prestazioni sociali - tra le quali evidenzia soprattutto la tutela dell'invalidità e l'accompagnamento - e delle misure di sostegno comunemente erogate dall'INPS, senza contare i sicuri effettivi depressivi che tali interventi produrranno sull'occupazione del settore.
Posta in risalto, inoltre, la significativa difficoltà che diverse regioni - tra le quali la Regione Sardegna - incontreranno a causa dell'esclusione dalle deroghe del patto di stabilità ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge, esprime preoccupazione per il contenuto dell'articolo 9 del provvedimento, del quale si domanda le ragioni dell'inserimento all'interno della manovra economica, attesa anche l'evidente incapacità di produrre, con esso, risparmi di spesa. Invoca, pertanto, un ripensamento della maggioranza sull'argomento, in modo che si possa sopprimere l'intero articolo 9, che rappresenta una misura meramente punitiva nei confronti delle categorie protette, in quanto orientata ad un completo scavalcamento degli obblighi della legge n. 68 del 1999. In particolare, ritiene che tale disposizione esponga al pericolo di creare pesanti discriminazioni tra diverse realtà territoriali (poiché la quota di riserva in favore di soggetti disabili può essere raggiunta da un medesimo gruppo imprenditoriale a livello nazionale) e possa addirittura nascondere l'intenzione - nella parte in cui si riferisce a «gruppi di unità produttive» - di creare veri e propri «ghetti» in cui confinare i lavoratori con disabilità.
Per il complesso delle ragioni esposte, auspica che il Governo svolga ulteriori riflessioni e proponga modifiche rilevanti al provvedimento in discussione.

Luigi BOBBA (PD) esprime forti perplessità sul provvedimento in esame, soffermandosi in particolare su taluni aspetti che riguardano la contrattazione di prossimità, il «contributo di solidarietà» e l'elevamento dell'età pensionabile delle donne nel settore privato.
In proposito, giudica innanzitutto sconsiderato pensare che l'articolo 8 del testo, in tema di contrattazione decentrata, possa produrre effetti positivi sulla crescita, in un quadro di politiche industriali e di sviluppo sostanzialmente inesistenti.
Al contempo, ritiene paradossale che l'Esecutivo, piuttosto che richiedere un contributo economico alle famiglie più abbienti, che detengono la maggioranza delle ricchezze del Paese (come risulterebbe dai dati messi a disposizione dalla Banca d'Italia, che indicano la concentrazione di oltre la metà del reddito italiano nelle mani del solo 7 per cento della popolazione), abbia invece individuato soluzioni fiscali inaccettabili sotto il profilo sociale, peraltro al termine di una discussione politica che giudica ridicola e contraddittoria.
Infine, sulla questione previdenziale delle donne del settore privato, reputa iniqua l'iniziativa assunta dal Governo, dal momento che essa non tiene minimamente conto delle iniziali condizioni di disuguaglianza scontate dalle donne lavoratrici in materia di accesso al lavoro, progressione di carriera, conciliazione con i tempi di vita privata, rispetto alle quali nulla è stato fatto dall'Esecutivo in carica, che ha ben pensato di non convocare mai la commissione istituita per definire le iniziative da finanziare con i risparmi ottenuti dall'elevazione dell'età pensionabile. Al riguardo, giudica grave che ogni risorsa stanziata per le richiamate finalità - come derivante dai risparmi conseguiti - sia stata utilizzata sostanzialmente per «fare cassa» e sia stata, nei fatti, sottratta al previsto reinvestimento in iniziative a sostegno delle pari opportunità.

Silvano MOFFA, presidente, essendosi conclusi gli interventi sul provvedimento in esame, invita il relatore a presentare la propria proposta di parere.

Giuliano CAZZOLA (PdL), relatore, nell'evidenziare il clima di lealtà nel quale si

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è sviluppato il confronto odierno, al quale dichiara di avere inteso partecipare con serietà di argomentazioni e senza infingimenti, presenta una proposta di parere favorevole sul provvedimento in esame (vedi allegato), che illustra sinteticamente.

Cesare DAMIANO (PD), ribadendo un giudizio fortemente critico nei confronti del testo in esame, preannuncia, per le ragioni esposte in precedenza, il voto contrario del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva, quindi, la proposta di parere favorevole del relatore.

La seduta termina alle 11.55.