CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 26 luglio 2011
517.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 26 luglio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il ministro per le pari opportunità Maria Rosaria Carfagna.

La seduta comincia alle 11.35.

Sull'ordine dei lavori.

Donato BRUNO, presidente, propone di invertire l'ordine del giorno, nel senso di rinviare lo svolgimento della riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, al termine dell'audizione del ministro dell'interno, prevista per le ore 14 nell'ambito dei lavori del comitato di indagine sull'antisemitismo.

La Commissione concorda.

Variazioni nella composizione della Commissione.

Donato BRUNO, presidente, comunica che il deputato Antonio Buonfiglio, già componente della I Commissione in rappresentanza

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del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo, ha cessato di farne parte.

Modifica all'articolo 133 della Costituzione, in materia di istituzione, modificazione e soppressione delle province.
C. 1242 cost. Gibelli, C. 4439 cost. Bersani, C. 4493 cost. Pastore e C. 4499 cost. Calderisi.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 luglio 2011.

Giuseppe CALDERISI (PdL), considerato che il tema posto dalle proposte di legge in esame è già stato approfondito nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1990 e abbinate, invita il presidente a valutare la possibilità di chiudere rapidamente la discussione di carattere generale sui provvedimenti in titolo per procedere alla costituzione di un comitato ristretto che elabori un testo unificato dal sottoporre alla Commissione plenaria.

Donato BRUNO, presidente e relatore, prende atto della richiesta, riservandosi di acquisire su di essa il parere degli altri rappresentanti di gruppo. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta, sospesa alle 11.40, è ripresa alle 11.55.

Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte delle regioni e degli enti locali.
C. 3466 Amici, C. 3528 Mosca, C. 4254 Lorenzin, C. 4271 Anna Teresa Formisano e C. 4415 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio)

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 luglio 2011.

Doris LO MORO (PD), intervenendo per precisare alcune considerazioni svolte in una precedente seduta, ritiene di doversi soffermare su alcuni punti che considera irrinunciabili per il suo gruppo in relazione alla proposta di legge n. 3466 di cui è prima firmataria l'onorevole Amici, rifacendosi, per le differenze tra questa proposta e il disegno di legge del Governo n. 4415, alla relazione svolta dall'onorevole Lorenzin.
Sottolinea l'importanza della previsione della proposta di legge relativa alla sanzione dell'inammissibilità della lista nel caso in cui non sia rispettata la proporzione tra generi, in base alla quale nessun genere può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. Infatti, come dimostrano le ultime vicende relative al Comune di Roma, la sola previsione della presenza dei due generi non è sufficiente. Va quantificata per legge affinché possa essere accettata dalla classe politica attuale.
Ricorda la previsione, per l'elezione comunale, della doppia preferenza, una per ogni genere, prevista in diverse proposte di legge. In particolare, nella proposta di legge Amici si prevede che «ciascun elettore può altresì esprimere, nelle apposite righe stampate sotto il medesimo contrassegno, uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome ovvero il nome e il cognome dei due candidati compresi nella lista collegata al candidato prescelto alla carica di sindaco. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l'altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza». Al riguardo sottolinea che il punto qualificante della proposta di legge Amici è che la doppia preferenza non solo è esprimibile nei confronti di candidati della stessa lista, come previsto anche dal disegno di legge del Governo, ma che la lista in questione deve essere quella collegata al candidato sindaco che l'elettore intende scegliere. Non si prevede, quindi, la possibilità

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del voto disgiunto al fine di favorire maggiormente una possibilità di accesso paritario alla rappresentanza.
Esprime, infine, un giudizio favorevole sulle norme del disegno di legge del Governo che riguardano le pari opportunità nelle commissioni di concorso.

Giuseppe CALDERISI (PdL), premesso che il suo intervento è a titolo personale, dichiara avversione per il meccanismo delle quote riservate, nella cui efficacia, da liberale, non crede. A suo avviso, il problema di fondo sta nell'atteggiamento dei partiti, i quali - secondo gli auspici dei proponenti - dovrebbero ora approvare una legge per fare quel che potrebbero fare senza bisogno di una norma, e non hanno mai fatto. D'altra parte, non si può negare la costituzionalità di interventi come quelli proposti, che anzi attuano i principi dell'articolo 3 e dell'articolo 51 della Costituzione.
Venendo al dettaglio delle proposte in esame, dichiara il proprio scetticismo rispetto all'istituto della preferenza, che, a suo avviso, anziché ripristinato nelle consultazioni politiche, andrebbe eliminato anche da quelle regionali e conservato semmai solo a livello locale.
Quanto invece al voto disgiunto, ritiene che, dal momento che esso è oggi ammesso con la preferenza unica, si dovrebbe evitare di eliminarlo con l'introduzione della doppia preferenza. D'altra parte, poiché è certamente inopportuno prevedere la possibilità di esprimere due preferenze nell'ambito di liste diverse, si potrebbe ipotizzare di ammettere il voto disgiunto quando è espressa una sola preferenza e di escluderlo quando ne sono espresse due.
Osserva, infine, che la sanzione della inammissibilità della lista elettorale in caso di mancato rispetto del vincolo posto a tutela delle pari opportunità nelle candidature è forse sproporzionata: per l'obiettivo che si vuole raggiungere è sufficiente prevedere che gli uffici elettorali cancellino dalle liste presentate tanti nominativi, partendo dal fondo dell'elenco, quanti è necessario per riportare nella lista la proporzione tra i generi prescritta dalla legge. In questo modo, tra l'altro, si eviterebbe il rischio che una lista presentata nel rispetto delle norme sulla proporzione di genere possa diventare irregolare, e quindi inammissibile, a seguito del ritiro di una candidatura da parte dell'interessato. Del resto, la cancellazione dei nominativi a partire dal fondo si effettua già oggi sulle liste recanti un numero di nomi superiore al consentito.

Pierguido VANALLI (LNP), pur comprendendo la preoccupazione del deputato Calderisi, che ventila la possibilità di manovre strumentali di un partito per provocare l'inammissibilità delle liste di un partito avverso, non ritiene che la cancellazione di nomi dal fondo della lista sia una soluzione convincente, anche perché non sarebbe corretto nei confronti di coloro il cui nome sia stato correttamente inserito in una lista, sia pure nelle ultime posizioni.

Sesa AMICI (PD) preannuncia preliminarmente che ritiene necessario un approfondimento della discussione generale, virtù dell'importanza del tema in esame. Passando ai progetti di legge in esame, rileva come il disegno di legge del Governo parta dall'esigenza di porre un punto fermo dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 2010.
L'equilibrio della rappresentanza di genere è, a suo avviso, un elemento connotante di una democrazia. Le sentenze della Corte costituzionale degli anni 90, pur diverse dalle recenti sentenze in materia, invitavano i partiti ad affrontare internamente e a risolvere la questione della parità di genere. I partiti, però, non si sono adeguati. La citata sentenza n. 4 del 2010 ha posto un nodo ineludibile che deve essere affrontato per via di legge: i generi sono due ed entrambi concorrono agli stessi obiettivi.
Ricorda che i progetti di legge non parlano di quote, ma si pongono nell'ottica dei principi costituzionali del secondo comma dell'articolo 3 e dell'articolo 51 della Costituzione, che prevede che le pari

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opportunità siano promosse con appositi provvedimenti. La medesima sentenza n. 4 del 2010 parla di provvedimenti positivi. Riguardo al problema delle quote ricorda che esistono in altri Paesi europei, come la Francia e, dove non esistono, come nei Paesi scandinavi, la ragione è che la parità di genere fa parte della cultura e della sensibilità di tutti i partiti.
Riguardo alle sanzioni, ritiene che l'inammissibilità delle liste rappresenti l'unico deterrente possibile.
Osserva che sussistono alcuni elementi di criticità che vanno affrontati nell'elaborazione di un testo base quali la soglia delle elezioni comunali tra i 15.000 e i 25.000 abitanti e il voto disgiunto. La doppia preferenza risolve i problemi dell'assenza della rappresentanza di genere negli organi rappresentativi, ma da sola non è sufficiente. Occorrono interventi legislativi ulteriori, in materia di propaganda elettorale e di accesso ai mezzi di comunicazione.
La questione posta dai progetti di legge in esame rappresenta una sfida all'attuale classe politica ed è un passo per la costruzione di una classe dirigente femminile. Per far questo è necessario uscire fuori dagli schemi del Parlamento e della cultura che nega la forza della rappresentanza femminile.
Reputa positiva la proposta contenuta nel disegno di legge del Governo in materia di pari opportunità nelle commissioni di concorso.
Sottolinea che gli statuti dovrebbero regolare la rappresentanza di genere anche all'interno delle giunte, responsabilizzando chi viene eletto a cariche di governo. Infatti, se i partiti devono promuovere la parità di genere, chi ha responsabilità di governo la deve garantire.
In conclusione ritiene che la parità della rappresentanza di genere vada attuata, senza nascondersi dietro a tecnicismi, perché una democrazia che non è paritaria è una democrazia zoppa.

Andrea ORSINI (PT), premesso che il suo intervento è svolto a titolo personale, esprime perplessità sul meccanismo delle quote riservate, che contrastano con la sua concezione liberale della democrazia, la quale non ammette forzature dei meccanismi della democrazia finalizzate ad imporre uno risultato. L'idea liberale della democrazia è che i cittadini debbano poter concorrere tutti in condizioni di pari opportunità per le cariche elettive: ma appunto i cittadini come individui, e non i gruppi o le categorie identificati in base al sesso oppure alla razza, alla religione o ad altro.
A suo avviso, il problema della sottorappresentazione delle donne negli organi elettivi, che certamente esiste, non può essere risolto mediante norme di legge. È vero che l'articolo 3 della Costituzione impone al legislatore di intervenire per rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l'uguaglianza, ma è anche vero che, nel caso di specie, gli ostacoli non sono di natura giuridica, bensì culturale e sociale: non c'è dubbio infatti che un pregiudizio culturale radicato in molti ambienti impedisce di considerare ugualmente adatti a determinate funzioni i due sessi indistintamente, ma non può essere la legge a modificare questo pregiudizio. Modificare le idee con la forza della legge è proprio dello Stato etico, non di quello liberale. Lo Stato liberale si limita a stabilire regole comuni e a vigilare che tutti le rispettino.
Sottolinea che questo non deve essere inteso nel senso di una mancanza di fiducia nei confronti delle donne, ma anzi nel senso di una grande fiducia nella loro capacità, del resto testimoniata da tante donne presenti in Parlamento e nel Governo in questa legislatura, di affermarsi per i propri meriti personali, e non per effetto di automatismi di legge.
Quanto infine all'obiezione che in tanti altri paesi europei vigono norme di questo genere, osserva che negli altri paesi vigono anche norme o istituti criticabili.

Sesa AMICI (PD) sottolinea che le proposte in esame non prevedono automatismi: l'idea è che l'elettore possa, e non debba necessariamente, esprimere due preferenze e che, se decide di farlo, non

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possa però indicare due candidati dello stesso sesso.

Andrea ORSINI (PT) chiarisce che nel suo intervento si riferiva in generale a sistemi che intenzionalmente alterano il risultato che si avrebbe in loro assenza per ottenere un risultato diverso e desiderato.

Mario TASSONE (UdCpTP), nell'auspicare una discussione lunga e approfondita, perché la materia è complessa e bisognosa di attenta valutazione, si dichiara disponibile al confronto, pur non nascondendo le proprie perplessità. Ritiene infatti che il problema certamente esista, ma anche che debba essere affrontato con altri mezzi. È senza dubbio necessario un impegno comune per rafforzare la presenza delle donne, come anche quella dei giovani, nelle istituzioni elettive, ma la questione va esaminata nell'ottica di una visione globale, in una prospettiva di carattere più generale. Iniziative legislative frammentarie, del resto, sono state già assunte in passato, ma la Corte costituzionali le ha poi annullate.
Il punto è che una buona riforma non deve imporre un risultato dall'alto e con la forza, aggirando le prerogative dei partiti, ai quali solo spetta selezionare le candidature: la selezione della classe dirigente, come anche la sua formazione, è un compito fondamentale dei partiti. Personalmente, in altre parole, non è contrario ad una maggiore presenza femminile nella politica, ma nutre forti perplessità rispetto all'ipotesi di imporre questa presenza con la legge. Le norme, da sole, non possono del resto sopperire a una disfunzione nella formazione della rappresentanza. Il problema è nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica e nella selezione e formazione della classe politica. Oggi i partiti hanno difficoltà a trovare donne disposte ad impegnarsi nella politica: e questo, appunto, è il problema di formazione e di cultura che sta alla radice e va risolto per primo.
Non ci si può nascondere, d'altra parte, che il problema non può essere risolto se non si mette mano anche a una riforma della legge elettorale, che attualmente di fatto prevede la nomina dei candidati; anche perché il vincolo di legge a tutela della presenza femminile si aggira facilmente collocando le donne in fondo alle liste. In conclusione, è necessaria una riforma elettorale di ampio respiro, perché il rapporto tra la politica e l'elettorato non si può ricostituire mediante interventi disorganici.

Pierluigi MANTINI (UdCpTP) rileva che le proposte di legge in esame sono coerenti con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, e quindi forse anche in qualche modo necessarie. Non c'è dubbio infatti che occorrano provvedimenti per favorire l'accesso delle donne, come del resto anche dei giovani, alla rappresentanza politica. Per queste ragioni, a parte i dettagli, sui quali si discuterà quando sarà il momento di valutare un testo unificato, il suo giudizio sul provvedimento in esame è favorevole.

Beatrice LORENZIN (PdL), relatore, ringrazia tutti gli intervenuti, compresi quanti hanno espresso posizioni scettiche, che, del resto, è meglio siano conosciute all'inizio che alla fine della discussione. Sottolinea, quindi, che è sbagliato sostenere, come qualcuno ha fatto, che il provvedimento in esame introduce le «quote». È essenziale per la corretta comprensione del testo chiarire che non si tratta di «quote» riservate, ma di meccanismi volti a favorire un'opportunità per le donne. In conclusione, ritenendo che il dibattito sia a questo punto maturo, chiede alla presidenza di valutare la possibilità di considerare terminata la discussione di carattere generale e di passare alla successiva fase di esame relativa alla redazione di un testo unificato sul quale svolgere eventualmente audizioni di approfondimento.

Donato BRUNO, presidente, preso atto che la proposta della relatrice è condivisa, dichiara conclusa la discussione di carattere generale, fermo restando che ulteriori interventi potranno essere svolti sul testo, ed invita la relatrice ad elaborare una proposta di testo unificato da sottoporre

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alla Commissione in una prossima seduta. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 12.55.

INTERROGAZIONI

Martedì 26 luglio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Alfredo Mantovano.

La seduta comincia alle 12.55.

5-04782 Vassallo: Utilizzo di indumenti quali burqa o niqab sul territorio italiano.

Il sottosegretario Alfredo MANTOVANO risponde che, come ha avuto già modo di riferire, anche di recente, a questa Commissione, nei confronti di coloro che indossano il burqa o il niqab o qualunque altra velatura operano le limitazioni imposte dall'ordinamento: l'articolo 85 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e l'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152. Tali norme salvaguardano l'ordine e la sicurezza pubblica e fra esse rientrano gli obblighi di consentire e non ostacolare il riconoscimento della persona da parte degli agenti a ciò abilitati.
Rileva che, pertanto, l'uso del burqa e del niqab deve ritenersi vietato per ragioni di pubblica sicurezza, né presunte interpretazioni religiose costituiscono «giustificati motivi» per eludere tali esigenze di ordine pubblico, come confermato dal Comitato per l'Islam italiano costituito presso il Ministero dell'interno, che, nel parere reso su questo argomento, ha chiarito che l'uso di burqa e niqab non è un precetto religioso dell'Islam. È noto che, al momento, in questa Commissione è stato avviato l'esame di un testo unificato, adottato come testo base, delle proposte di legge recanti «Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab».
Chiarisce che anche i dati più recenti relativi alle persone denunciate all'autorità giudiziaria per la violazione dell'articolo 5 della legge n. 152 del 1975 confermano che la normativa viene osservata e correttamente applicata, nel rispetto della dignità della persona: in particolare, risulta che nel primo trimestre del 2011 - i dati non sono tuttavia ancora consolidati - le persone denunciate o arrestate per la violazione del predetto articolo sono state 137, di cui 111 italiani e 26 stranieri. Il dato si riferisce a tutte le forme di violazione del citato articolo 5 e non solo quelle realizzate mediante il burqa o il niqab.
Quanto ad episodi che abbiano potuto generare situazioni di allarme o di pericolo, riferisce che non risultano segnalazioni in tal senso. Gli uffici della Polizia di frontiera negli aeroporti nazionali sottopongono chi porta il velo alle verifiche di sicurezza, che prevedono l'identificazione mediante modalità che impongono la scopertura del volto, ma sempre nel rispetto del principio della dignità della persona e, qualora fosse necessario, anche con la presenza di personale femminile della Polizia di Stato, in luoghi dove venga garantita la riservatezza.
Osserva che non è possibile - anche per evitare discriminazioni su base religiosa - procedere alla rilevazione ufficiale delle donne musulmane attualmente soggiornanti in Italia che, in ragione di usi tradizionali o di convinzioni religiose, a suo avviso errate, siano solite indossare anche in luogo pubblico o aperto al pubblico indumenti che coprono in tutto o in parte il volto. È noto comunque che l'utilizzo del burqa e del niqab non presenta particolare diffusione sul territorio italiano.
Aggiunge che alcune prefetture hanno rilevato che le donne appartenenti a comunità islamiche portano copricapi o velature parziali della testa o del volto (hijab, chador, kefiah), ma «non fanno uso di coperture integrali» quali il burqa o il niqab. Isolati casi di presenza in luoghi

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pubblici o aperti al pubblico di donne coperte dal burqa o dal niqab sono stati registrati nelle province di Novara e Cremona. L'episodio di Novara ha riguardato, come accertato dalla polizia municipale, una cittadina tunisina che, coperta dal niqab, si era recata in un ufficio postale del capoluogo. Sul caso, che è stato al centro dell'attenzione dei mass media, è risultato che la comunità islamica novarese abbia assunto un atteggiamento di equilibrio, sottolineando la necessità del rispetto delle regole del Paese ospitante.
Conclude auspicando l'approvazione della legge di iniziativa parlamentare, i cui lavori sono seguiti con attenzione dal Governo.

Salvatore VASSALLO (PD), replicando, rileva che il rappresentante del Governo ha manifestato la posizione ufficiale del Governo, la quale però è contraddetta dal Consiglio di Stato, e ha riportato la tesi del Comitato per l'Islam italiano, che è discutibile, rappresenta solo un parere interno al Ministero dell'interno e in ogni caso non era oggetto dell'interrogazione. Il rappresentante del Governo ha inoltre fornito dati che, se anche non consolidati, mostrano chiaramente, come riconosciuto dallo stesso rappresentante del Governo, che il fenomeno è quasi inesistente in Italia e non provoca alcun allarme sociale. Si tratta di elementi di cui, a suo giudizio, la Commissione dovrà tenere conto nel prosieguo dell'esame delle proposte di legge recanti il divieto di indossare indumenti come il burqa e il niqab.

La seduta termina alle 13.05.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 26 luglio 2011.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15 alle 15.15.

DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO

Martedì 26 luglio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 15.15

Schema di decreto legislativo recante meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni.
Atto n. 365.
(Rilievi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale).
(Seguito dell'esame e conclusione - Deliberazione di rilievi).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 luglio 2011.

Roberto ZACCARIA (PD) sottolinea che alcuni profili problematici del testo di competenza della I Commissione non sono evidenziati né dalla proposta di rilievi della relatrice né dalla proposta di parere dei relatori nella Commissione di merito. Fa presente che la verifica della conformità di un decreto delegato alla delega non è un esercizio accademico, ma attiene alla costituzionalità del decreto stesso sotto il profilo del suo rispetto della norma interposta, ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione.
Ciò premesso, evidenzia quattro punti in cui il decreto delegato si discosta dalla delega. Innanzitutto, la delega prevede che si configurino come gravi violazioni di legge i casi di dissesto finanziario in generale, mentre il decreto attuativo fa riferimento ai disavanzi sanitari.
In secondo luogo, mentre la legge delega prevede la incandidabilità degli amministratori locali rimossi, il decreto attuativo prevede questa sanzione anche per il presidente della regione: in questo caso non c'è solo una incostituzionalità per eccesso di delega, e quindi per violazione dell'articolo 76, ma anche per

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violazione dell'articolo 122 della Costituzione, che riserva alla legge della regione la disciplina dei casi di ineleggibilità del presidente della regione; certo, l'articolo 122 prevede che la legge regionale operi nei limiti di principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, ma difficilmente si può ritenere che le disposizioni del decreto in esame configurino norme di principio.
In terzo luogo, la rimozione del presidente della regione, alla quale consegue per legge lo scioglimento del consiglio regionale, appare problematica sotto il profilo del rispetto dell'articolo 126 della Costituzione, ai sensi del quale lo scioglimento di un consiglio regionale e la rimozione del presidente della giunta sono disposti con decreto motivato del Presidente della Repubblica in caso di compimento di atti contrari alla Costituzione o di gravi violazioni di legge: ora, al riguardo la dottrina ha chiarito che le gravi violazioni di legge devono essere reiterate, per cui appare difficile qualificare come grave violazione di legge ai fini dell'articolo 126 il «fallimento politico» del presidente della regione. Inoltre, si è lungamente discusso in dottrina se il decreto di scioglimento dei consigli regionali o di rimozione del presidente ai sensi dell'articolo 126 sia imputabile al solo Presidente della Repubblica ovvero sia un atto complesso del Presidente della Repubblica e del Governo. Dopo la riforma del titolo V della parte II, la dottrina prevalente sembra però considerarlo un atto squisitamente presidenziale. Se è così, si deve evitare di dettare una disciplina di legge dei casi di scioglimento, perché questo di fatto invaderebbe una prerogativa del Capo dello Stato.
In quarto luogo, il decreto in esame prevede sanzioni istituzionali, senza quindi distinguere tra le persone e le istituzioni. La previsione di sanzioni di questo tipo è però incongrua in quanto nel nostro ordinamento la responsabilità è necessariamente personale. D'altra parte, sanzioni personali non possono essere introdotte perché sarebbero fuori delega.

Gianclaudio BRESSA (PD), dopo aver ricordato come l'ultima manovra finanziaria del Governo abbia fortemente ridotto i finanziamenti per le autonomie territoriali nel prossimo triennio e come tagli ulteriori abbiano riguardato i bilanci sanitari che sono essenziali per le regioni, esprime la convinzione che il sistema delle autonomie territoriali sia destinato al collasso. A suo avviso, quindi, ragionare oggi di premi e sanzioni per gli amministratori regionali e locali è una contraddizione politica.
A parte questo, sottolinea che il testo in esame, anche considerate le proposte di modifica suggerite dalla relatrice nella sua proposta di rilievi e dai relatori nella Commissione di merito, in particolare dal relatore Misiani, presenta ancora notevoli problemi. Innanzitutto, l'articolo 126, terzo comma, della Costituzione prevede che al venir meno del presidente della regione consegua lo scioglimento del consiglio e della giunta: fatto, questo, che non può essere trascurato.
Con riferimento poi al fatto che, nella previsione del decreto delegato, la rimozione del presidente della regione consegue al mancato adempimento del piano di rientro dei disavanzi sanitari, rileva che, essendo necessario, per la attuazione piena del piano di rientro del disavanzo sanitario, il concorso del Governo centrale, potrebbe accadere che un Governo ometta di collaborare proprio per impedire a un presidente di regione di diversa estrazione politica di attuare il piano di rientro e per provocare quindi la decadenza di questo presidente e lo scioglimento del consiglio regionale con una maggioranza non gradita.
Quanto alla sanzione della ineleggibilità, premesso di essere in linea di principio favorevole, fa presente che l'articolo 122 della Costituzione riserva, tra le altre, la disciplina delle ineleggibilità relativa alle cariche regionali alla legge regionale, pur nei limiti stabiliti con principi dettati da una legge dello Stato: e senza dubbio la disciplina dettata dallo schema di decreto in esame non può essere considerata di principio.

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Infine, rilevato che, nella proposta di parere dei relatori, il sindaco e il presidente di provincia rimossi non sono eleggibili a nessuna carica per dieci anni, fa presente che una previsione del genere appare incostituzionale per violazione degli articoli 48 e 51 della Costituzione. D'altra parte, il presupposto della ineleggibilità, ossia il mero giudizio di primo grado del giudice contabile, è oggettivamente troppo esile per una conseguenza così gravosa. È evidente che una norma così formulata si espone seriamente al rischio di essere dichiarata incostituzionale.

Pierluigi MANTINI (UdCpTP) annuncia che il suo gruppo esprimerà un voto di astensione in quanto da una parte apprezza il lavoro svolto dalla relatrice Bernini Bovicelli, la cui proposta contiene molti rilievi condivisibili, dall'altra parte tuttavia permarrebbero diversi problemi di costituzionalità anche nel caso in cui i rilievi fossero accolti dalla Commissione di merito: ragione per la quale la valutazione del provvedimento in esame non può essere, per il suo gruppo, positiva.
Biasima in particolare il principio di sanzionare giuridicamente la responsabilità politica, che è per natura una responsabilità diversa da quella giuridica e ad essa non assimilabile. In altre parole, le sanzioni dovrebbero essere, a suo avviso, irrogate nei confronti di coloro che hanno la responsabilità gestionale, amministrativa, contabile dei dissesti di bilancio, vale a dire nei confronti non degli amministratori elettivi, i quali si limitano semmai a dettare indirizzi, ma dei dirigenti di carriera delle amministrazioni, i quali prendono le concrete decisioni gestionali. Diversamente, si introduce nell'ordinamento un principio di responsabilità per fatto di terzi. Si aggiunga che le sanzioni previste dal decreto delegato sono senza costrutto e si limitano in sostanza ad assecondare demagogicamente gli umori di certa parte dell'opinione pubblica, ostile alla classe politica.

Anna Maria BERNINI BOVICELLI (PdL), relatore, presenta e illustra una nuova proposta di deliberazione di rilievi (vedi allegato), la quale riproduce quella già presentata, differenziandosene solo per alcune aggiunte, nelle premesse e nei rilievi, le quali tengono conto del dibattito fin qui svolto in I Commissione e nella Commissione di merito, i cui lavori sono stati da lei assiduamente seguiti.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di rilievi della relatrice.

La seduta termina alle 15.55.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 26 luglio 2011. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 15.55.

Legge Comunitaria 2010.
Emendamenti C. 4059 A/R Governo, approvato dal Senato.
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

Isabella BERTOLINI, presidente, sostituendo la relatrice, rileva che né gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 4, né gli emendamenti 2.300 (nuova formulazione), 3.300 (nuova formulazione), 6.301, 13.300 (nuova formulazione), 13.310, 20.300, 21.300 (nuova formulazione), 38.300, 39.300 e 41.0310 della Commissione presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

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Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

La seduta termina alle 16.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia.
Atto n. 373.

ERRATA CORRIGE

Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari di mercoledì 20 luglio 2011, a pagina 28, prima colonna, premettere, quale inizio del testo della risposta, il seguente periodo: «Va sottolineata la gravità della situazione criminale nel territorio di Lamezia Terme, e tale aggressione non può essere affrontata facendo riferimento esclusivo ai dati numerici delle unità di personale ivi operanti (peraltro attinenti a organici individuati molti anni fa), ma esige interventi di qualità, che sono all'attenzione del Ministero dell'interno. Quanto ai dati, tuttavia,».