CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 7 luglio 2011
507.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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INTERROGAZIONI

Giovedì 7 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati e Giacomo Caliendo e il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi.

La seduta comincia alle 13.55.

5-04895 Bernardini: Sulla «giurisdizione domestica» della giustizia amministrativa.

Il sottosegretario Carlo GIOVANARDI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

Rita BERNARDINI (PD) si dichiara completamente insoddisfatta della risposta, peraltro incompleta, del rappresentante

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del Governo. Ricorda che la stessa interrogazione era stata già presentata da deputati del gruppo di Italia dei Valori, i quali poi l'hanno successivamente ritirata. Evidenzia come dalla risposta del Governo non emerga alcun fatto che faccia venire meno la gravità dei fatti descritti nella interrogazione. In particolare, ricorda che nel corso della trasmissione Report, andata in onda domenica 15 maggio 2011 su RaiTre, è stato trasmesso un servizio che riguardava alcuni casi molto gravi di irregolarità commessi da giudici amministrativi nell'espletamento delle proprie funzioni. Nel servizio di Report sono stati denunciati la regolarità del concorso per l'accesso al Consiglio di Stato celebrato nell'anno 2006; il caso del consigliere di Stato, invalido, che partecipa alle maratone; il cosiddetto «concorso delle mogli», presieduto dall'attuale presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, e vinto dalla moglie del capo di gabinetto del Ministro Tremonti (e prima ancora del Ministro Antonio Di Pietro) nonché allora membro dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, Vincenzo Fortunato, e dalla moglie di un altro membro dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, Salvatore Mezzacapo, i quali nella qualità di membri del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, hanno nominato la commissione di concorso vinto dalle mogli. Si tratta di fatti estremamente gravi sui quali si è registrato un atteggiamento poco trasparente da parte degli organi competenti, non avendo questi consentito l'accesso agli atti del concorso a coloro che ne avevano chiesto la visione. Ricorda l'appello avverso la sentenza del TAR Lazio che, pur non caducando il concorso per il Consiglio di Stato dell'anno 2006, lo ha dichiarato illegittimo, è stato proposto a nome del presidente del Consiglio di Stato, innanzi al Consiglio di Stato, e verrà giudicato dai consiglieri di Stato colleghi dei vincitori ritenuti illegittimi dal TAR. A tale proposito rileva la incongruità del fatto che il Presidente del Consiglio di Stato sia anche presidente della commissione del concorso impugnato, presidente dell'organo che ha negato l'accesso a parte degli atti del concorso, titolare dell'esercizio disciplinare verso chi ha diffuso gli atti che dimostravano la irregolarità del concorso, parte processuale resistente nel giudizio intentato per l'accesso agli atti, parte processuale resistente nel giudizio intentato per l'annullamento del concorso, presidente dell'organo che giudicherà in ultimo grado sulla regolarità del concorso impugnato, presidente dell'organo che giudicherà sulla procedura disciplinare in via amministrativa e presidente dell'organo che giudicherà in sede giurisdizionale in caso di eventuale condanna disciplinare.
Fatto ancora più grave è che il magistrato che denunciò le suddette irregolarità, il dottor Alessio Liberati, è stato sottoposto a ben sei procedure disciplinari nel giro di pochissimo tempo. Il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa non ha poi consentito a costui di esercitare in modo pieno il diritto di difesa, negando alcuni accertamenti necessari per contestare le ipotesi accusatorie. A questo proposito sottolinea come l'esigenza di trasparenza dei procedimenti disciplinari innanzi al predetto organo potrebbe trovare soddisfazione qualora non fossero più segrete le relative udienze.

Giulia BONGIORNO, presidente, sospende la seduta.

La seduta, sospesa alle 14.05, è ripresa alle 14.55.

5-04982 Mattesini: Problematiche relative alla casa circondariale di Arezzo.

Il sottosegretario Maria Elisabetta ALBERTI CASELLATI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Rolando NANNICINI (PD), replicando, si dichiara insoddisfatto della risposta all'interrogazione, della quale è cofirmatario. Ritiene infatti che la risposta sia incompleta, non essendo in particolare precisato con quale finanziamento e con

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quali tempi e modalità saranno svolti i lavori che riguardano il carcere di Arezzo.

La seduta termina alle 15.

SEDE CONSULTIVA

Giovedì 7 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 14.05.

DL 89/11: Disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari.
C. 4449 Governo.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maurizio SCELLI (PdL), relatore, osserva come il provvedimento in esame sia diretto a convertire in legge il decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 emanato - come si legge nella premessa al medesimo - in ragione della straordinaria necessità ed urgenza di completare l'attuazione della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, e di procedere al recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di scongiurare l'avvio di procedure d'infrazione nei confronti dello Stato italiano.
Il decreto legge si compone di sei articoli suddivisi in due Capi.
Il capo I (articoli 1 e 2) reca modifiche al decreto legislativo n. 30 del 2007, conseguenti ad alcuni rilievi formulati dalle istituzioni europee, le quali hanno giudicato non pienamente corretta la trasposizione che l'Italia ha dato nel proprio ordinamento interno della predetta direttiva 2004/38/CE.
Il capo II (articoli 3, 4, 5 e 6) reca invece disposizioni di attuazione della direttiva 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
L'articolo 1 modifica l'articolo 3, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 30 del 2007, con riferimento all'ingresso e al soggiorno del partner di cittadino dell'Unione europea. La modifica introdotta prevede che la relazione stabile tra il suddetto cittadino e il partner debba essere ufficialmente - anziché debitamente, come prevedeva il testo - attestata. È prevista una serie di disposizioni che specificano le modalità di come ciò debba avvenire, le quali esulano dalla competenza della Commissione Giustizia.
L'articolo 1 modifica anche la lettera b) del comma 5 dell'articolo 9, in tema di dell'iscrizione anagrafica dei familiari non comunitari del cittadino UE, e l'articolo 10, comma 3, lettera b), in tema di rilascio della carta di soggiorno.
È poi modificata la procedura di allontanamento del cittadino comunitario.
L'articolo 2 integra l'articolo 183-ter delle norme di attuazione del codice di procedura penale (decreto legislativo n. 271 del 1989) estendendo le modalità di esecuzione dell'allontanamento del cittadino comunitario anche ai suoi familiari. Tale allontanamento può essere disposto solo in conformità ai criteri e alle modalità stabiliti dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 30 del 2007 sopra richiamato. La modifica appare essere pienamente condivisibile e consequenziale alle disposizioni già esaminate.
Il Capo II del provvedimento in esame, come detto, è volto al recepimento nell'ordinamento nazionale della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del

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Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Il termine fissato dalla direttiva per il suo recepimento da parte degli Stati membri è scaduto il 24 dicembre 2010 e la Commissione europea ha avviato la fase prodromica all'apertura dell'infrazione per mancato recepimento.
Il recepimento della direttiva comporta numerose modifiche al testo unico in materia di immigrazione, le quali sono previste dall'articolo 3. L'articolo 4 reca una disposizione di coordinamento che prevede una specifica competenza del giudice di pace per alcuni reati connessi all'immigrazione clandestina. L'articolo 5 reca la clausola di copertura finanziaria.
In particolare, l'articolo 3, comma 1, lettera a) integra l'articolo 5, comma 6, del testo unico sull'immigrazione, che concerne il rifiuto e la revoca del permesso di soggiorno.
La lettera b) esclude dal reato di ingesso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato lo straniero identificato dalla polizia di frontiera quando esce dal territorio nazionale: questo al fine di incentivare - in attuazione dell'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva - l'esodo volontario dei cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale. Ovviamente, tale deroga non pregiudica l'intervento dell'autorità di polizia in caso di più grave reato. La norma appare condivisibile.
Con la lettera c) si procede ad una puntuale modifica dell'articolo 13 del testo unico, che disciplina l'espulsione amministrativa.
Con il numero 3 della la lettera c), viene riformulato il comma 4 dell'articolo 13 che disciplina le modalità di espulsione.
Nella formulazione originaria del testo unico del 1998, si prevedeva che l'espulsione dovesse essere generalmente eseguita con l'intimazione a lasciare il territorio nazionale, ad eccezione di una serie di situazioni, che per la loro gravità rendessero necessaria l'esecuzione dell'espulsione con l'accompagnamento coatto alla frontiera. La legge n. 189 del 2002 (Bossi-Fini) ha stabilito il principio che l'espulsione è sempre eseguita con l'accompagnamento alla frontiera ad eccezione dei casi di violazioni di minore entità (permesso di soggiorno scaduto o del quale non è stato richiesto il rinnovo). Tuttavia, le fattispecie per le quali era prevista l'espulsione tramite foglio di via e l'espulsione forzata non erano molto diverse tra la formulazione della legge nel 1998 e quella del 2002.
Con la norma in esame, viene utilizzata una ulteriore formulazione: il nuovo comma 4, come riscritto dalla disposizione in esame, prevede che l'esecuzione è eseguita dal questore mediante accompagnamento alla frontiera in una serie tassativa di casi, vale a dire: in presenza di motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato (articolo 13, comma 1); quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso (articolo 13, comma 2, lettera c); in presenza di rischio di possibili attività terroristiche; in presenza di rischio di fuga (specificato dal nuovo comma 4-bis); in caso di presentazione di domanda di soggiorno manifestamente infondata o fraudolenta; in caso di inosservanza, senza giustificato motivo, del termine concesso per la partenza volontaria; in caso di violazione di una delle misure disposte dal questore in caso di partenza volontaria (nuovo comma 5.2) o di prescrizioni meno coercitive rispetto al trattenimento (nuovo comma 1-bis dell'articolo 14); in presenza di un provvedimento di espulsione a titolo di misura di sicurezza (articolo 15 del testo unico) ovvero di sanzione alternativa o sostitutiva alla detenzione (articolo 16 del testo unico) e nelle ipotesi di espulsione disposta come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale; in assenza di richiesta da parte dello straniero di un termine per la partenza volontaria, come previsto al successivo comma 5.1. I requisiti sopra richiamati costituiscono il recepimento di disposizioni diverse della direttiva.
Il comma 5 viene riformulato dal decreto-legge, per recepire l'articolo 7 della

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direttiva rubricato «Partenza volontaria». Il nuovo meccanismo prevede quanto segue. Lo straniero per il quale è già stato emanato un decreto di espulsione, per il quale non ricorrono le condizioni per l'allontanamento coatto (ossia al di fuori delle ipotesi di cui al nuovo comma 4) può chiedere al prefetto la concessione di un periodo per la partenza volontaria, «anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito di cui all'articolo 14-ter. Il prefetto, valutato il singolo caso «intima allo straniero di lasciare volontariamente» il Paese entro un termine tra 7 e 30 giorni. Il termine può essere prorogato in considerazione di diversi fattori (durata pregressa del soggiorno, presenza di minori che frequentano la scuola, ammissione di programmi di rimpatrio volontario eccetera). Una volta eseguito il rimpatrio, il questore ne comunica l'esito al giudice per la deliberazione di non luogo a procedere nei confronti dello straniero in relazione al reato di immigrazione illegale di cui all'articolo 10-bis del testo unico.
Il successivo comma 2 prevede l'applicazione, da parte del questore, nel caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, di una serie di prescrizioni finalizzate ad assicurare l'effettività del provvedimento di allontanamento, conformemente all'articolo 7, paragrafo 3 della direttiva. Questo prevede, appunto, la possibilità di imporre alcuni obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga.
In primo luogo è richiesta la dimostrazione della disponibilità di risorse economiche sufficienti (derivanti da fonti lecite). L'importo è in proporzione al termine concesso (che si ricorda va dai 7 ai 30 giorni) ed è compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo.
Il questore dispone, inoltre, una o più delle seguenti misure: consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, che verrà restituito al momento della partenza; obbligo di dimora in un luogo dove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato; obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.
Le misure di cui al secondo periodo sono adottate con provvedimento motivato, comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Su richiesta dell'interessato, il giudice di pace, sentito il questore, può modificare o revocare le misure.
Il mancato rispetto anche di una sola delle misure di sicurezza comporta per il contravventore: l'applicazione di una multa da 3.000 a 18.000 euro; l'espulsione dello straniero. In questo caso non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui al comma 3 da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato e il questore esegue l'espulsione, disposta ai sensi del comma 4, anche mediante le modalità previste all'articolo 14.
Il numero 8) modifica il comma 13 dell'articolo 13 TU che prescrive il divieto di reingresso per lo straniero espulso. La disposizione in esame sostituisce l'espressione «straniero espulso» con quella di «straniero destinatario di un provvedimento di espulsione».
Secondo la relazione illustrativa l'intervento normativo è adottato «In conformità alla definizione di rimpatrio (articolo 3, paragrafo 1, n. 3) della direttiva quale processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente», al fine di «sanzionare qualsiasi straniero rientrato sul territorio nazionale prima della scadenza del divieto di reingresso, indipendentemente dalla tipologia del provvedimento di espulsione adottato (volontaria o forzata). In tale modo, la sanzione penale per l'inosservanza del divieto di reingresso viene comminata anche allo straniero espulso mediante l'intimazione a lasciare il territorio nazionale, in quanto destinatario di una decisione di rimpatrio».
Si ricorda che l'articolo 11, paragrafo 1, della direttiva prevede l'applicazione automatica del divieto di reingresso in due casi: qualora non sia stato concesso un

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periodo per la partenza volontaria, oppure qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.
Il numero 9) della lettera c) diminuisce la durata del divieto di reingresso in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 11, paragrafo 2 della direttiva.
La lettera d) modifica l'articolo 14 del testo unico che reca le disposizioni relative all'esecuzione dell'espulsione.
Il numero 1) provvede a riformulare il comma 1 dell'articolo 14 che prevede il trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione (CIE) degli stranieri qualora non sia possibile procedere all'espulsione. Vengono mantenute le fattispecie per le quali è previsto il trattenimento: necessità di prestare soccorso allo straniero, accertamento della sua identità o nazionalità, acquisizione di documenti per il viaggio, verifica della disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo). A ciò viene aggiunta una causa generale relativa alle «situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento», che, evidentemente comprende quelle viste sopra. Il successivo numero 2) introduce il comma 1-bis nell'articolo 14 relativo alle misure meno coercitive, alternative al trattenimento. Il nuovo comma prevede che tali misure possono essere disposte a due condizioni: che lo straniero sia in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità; che l'espulsione non sia stata disposta per gravi motivi ordine pubblico o sicurezza dello Stato.
Le misure meno coercitive individuate dal comma 1-bis (consegna del passaporto, obbligo di dimora; obbligo di firma) sono identiche agli obblighi che il questore può imporre nelle more dell'esecuzione dell'espulsione (comma 5.2); così come simile è la procedura (notifica all'interessato, convalida del giudice di pace, sanzioni eccetera).
Il numero 3) modifica il comma 5 dell'articolo 14, innalzando il periodo massimo di trattenimento nei CIE da 6 mesi a 18 mesi, in attuazione dell'articolo 15, paragrafi 5 e 6 della direttiva. La disposizione comunitaria prevede, infatti, che ciascuno Stato definisca i tempi di permanenza nel CIE entro il limite di 6 mesi, prorogabile di al massimo altri 12 mesi in caso di mancata cooperazione del cittadino o di ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione. Il numero 4) modifica il comma 5-bis elevando da 5 a 7 giorni il termine entro il quale lo straniero deve lasciare il territorio nazionale su ordine del questore, qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE. Viene così adeguato anche per tale fattispecie il termine minimo per il rimpatrio fissato appunto in 7 giorni dalla direttiva (articolo 7 paragrafo 1).
Si precisa, inoltre, che l'ordine del questore, in cui sono indicate le conseguenze sanzionatorie in caso d'inottemperanza, può essere accompagnato, anche su richiesta dell'interessato, dalla documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio per raggiungere gli uffici diplomatici.
I numeri 5) e 6), modificando i commi 5-ter e 5-quater, attenuano le sanzioni per l'inottemperanza all'ordine del questore a lasciare il territorio nazionale qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE: le pene alla reclusione ivi previste, vengono sostituite con un articolato sistema di multe che vanno da 10 a 20 mila euro per coloro per i quali il provvedimento di espulsione iniziale prevedeva l'accompagnamento alla frontiera (articolo 14, comma 4) e da 6 a 15 mila euro negli altri casi (articolo 13, comma 4).
Per quanto riguarda il comma 5-quater, è stato, inoltre, introdotto, in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 17 dicembre 2010, l'esimente del «giustificato motivo», già prevista per il primo ordine di allontanamento del questore, di cui al comma 5-ter.
Il numero 7) introduce il comma aggiuntivo 5-quater.1 - come riportato nella relazione illustrativa - al fine di fornire al giudice un ulteriore criterio, per vagliare

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la sussistenza del giustificato motivo, di valutazione della condotta tenuta dall'interessato basato sull'effettiva consegna allo stesso della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, alla quale potersi rivolgere per ottemperare all'ordine di rimpatrio, ovvero del titolo di viaggio per lasciare il territorio nazionale, di cui al precedente comma 5-bis. Il giudice deve, altresì, accertare la cooperazione resa dallo straniero ai fini dell'esecuzione dell'espulsione. I numeri 8) e 9) disciplinano il procedimento penale, relativo alle fattispecie sopra indicate, che viene trasferito presso il giudice di pace mantenendo la previsione del rito immediato, ma espungendo l'obbligatorietà dell'arresto (comma 5-quinquies).
È previsto che, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato per violazione dell'ordine del questore, non sia richiesto il rilascio del nulla-osta da parte del giudice (comma 5-sexies). Quest'ultimo, acquisita la notizia dell'avvenuta espulsione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere (5-septies).
Il numero 10) integra il comma 7 dell'articolo 14 del TU prevedendo che, nel caso di indebito allontanamento dello straniero irregolare dal CIE, sia adottato un nuovo provvedimento di trattenimento. La disposizione, nella formulazione previgente, si limitava a prevedere che il questore ripristinasse senza indugio il trattenimento.
La lettera e) aggiunge un articolo 14-ter al testo unico disciplinante il rimpatrio volontario e assistito degli stranieri da espellere verso i Paesi di origine o provenienza. È prevista l'emanazione di un decreto del Ministro dell'interno per la definizione delle linee-guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio e delle priorità da seguire nella loro attuazione e dei criteri per l'individuazione dei soggetti chiamati a collaborare (enti locali, associazioni di volontariato eccetera).
Sono escluse dai programmi alcune categorie di soggetti indicati dal comma 5 del nuovo articolo, quali i soggetti pericolosi, gli inottemperanti all'ordine di allontanamento, gli espulsi in conseguenza di una sanzione penale eccetera.
Si rileva che la disposizione, pur non costituendo attuazione diretta della direttiva, recepisce alcuni dei principi ivi contenuti.
La lettera f) del comma 1 dell'articolo 3, modificando l'articolo 16 TU estende l'applicazione delle disposizioni in materia di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa ai reati di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale (articolo 14, commi 5-ter e 5-quater).
La lettera g) modifica l'articolo 19 TU inserendo il riferimento alle disposizioni per le categorie vulnerabili come individuate dalla direttiva, ossia i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subìto torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale (articolo 3, paragrafo 1, punto 9).
Il comma aggiuntivo 2-bis subordina l'espulsione o il respingimento delle «persone vulnerabili» alla verifica della loro concreta situazione personale debitamente accertata, in conformità al disposto della direttiva (articolo 4, paragrafo 4, lettera a).
L'articolo 4 del provvedimento in esame (al fine di coordinare le modifiche intervenute nel regime sanzionatorio dei reati connessi all'inottemperanza sia ai provvedimenti che dispongono il termine per la partenza volontaria ovvero le misure meno coercitive in alternativa al trattenimento presso i CIE sia all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale) integra il comma 2 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 274 del 2000, con la previsione della specifica competenza del giudice di pace per i reati sopra richiamati.
L'articolo 5 reca la clausola di copertura finanziaria relativa all'aumento del periodo di trattenimento nei CIE (da 6 a 18 mesi).

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Formula quindi una proposta di parere favorevole.

Jean Leonard TOUADI (PD) esprime la contrarietà del proprio gruppo al provvedimento in esame che, tra l'altro, non può affatto dirsi conforme al diritto comunitario, atteso che non recepisce la direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatri. Preannuncia quindi il voto contrario sulla proposta di parere del relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole del relatore.

Giulia BONGIORNO, presidente, sospende la seduta.

La seduta, sospesa alle 14.15, è ripresa alle 15.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione civile sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999.
C. 3737, approvato dal Senato, e C. 1787 Di Pietro.
(Parere alla III Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato il 29 giugno 2011.

Maurizio SCELLI (PdL), relatore, preso atto di quanto emerso dal dibattito, evidenzia il ritardo dell'Italia nella ratifica ed esecuzione della Convenzione in oggetto e sottolinea come la Commissione giustizia, esaminando il provvedimento in sede consultiva, abbia un ambito di competenza che comprende le questioni di carattere tecnico-giuridico, mentre le questioni attinenti alla sussistenza o meno di ostacoli alla ratifica potranno essere oggetto di dibattito presso la Commissione di merito. Formula quindi una proposta di parere favorevole.

Giulia BONGIORNO, presidente, rileva come non tutti i gruppi siano rappresentati in Commissione e, tenuto conto dell'importanza del provvedimento, avverte che la proposta di parere del relatore sarà posta in votazione la prossima settimana.
Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.05.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Giovedì 7 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Intervengono i Sottosegretari di Stato per la giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati e Giacomo Caliendo e il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi.

La seduta comincia alle 15.05.

Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-05010 Contento: Sulla eventuale intenzione del Ministro della Giustizia di adottare iniziative ispettive in merito alla correttezza, sotto il profilo disciplinare, delle indagini relative ad un procedimento penale che coinvolge un parlamentare.

Manlio CONTENTO (PdL) illustra l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Maria Elisabetta ALBERTI CASELLATI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

Manlio CONTENTO (PdL) si dichiara parzialmente soddisfatto della risposta. Tiene a precisare che la sua interrogazione non intende sollecitare alcuna interferenza del Ministro in merito a procedimenti giudiziari, essendo piuttosto volta a stimolare l'attenzione del Ministro circa un procedimento giudiziario che pare essere

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costellato da una serie di irregolarità che presentano profili di illiceità disciplinare. Ad esempio, leggendo gli atti del procedimento appare con tutta evidenza l'utilizzazione strumentale della scelta del capo di imputazione rispetto alla esigenza poter effettuare intercettazioni per fatti non rientranti nei casi un cui la legge consente in astratto l'utilizzazione di tale mezzo di prova. Dalle intercettazioni effettuate risulta evidente che il reato contestato, che rientra tra quelli intercettabili, sia in realtà inesistente.
Vi sarebbero, a suo parere, anche irregolarità nelle modalità di assegnazione dell'indagine che vede coinvolto l'onorevole Papa al dottor Curcio e, quale codelegato, al dottor Woodcock. In particolare, osserva che la notizia di reato viene rappresentata da una denuncia presentata nel 2010 da tale De Martino nei confronti del dottor Luigi Bisignani. Con palese violazione di legge la denuncia non ha fatto nascere un autonomo procedimento penale, ma è stata inserita in un procedimento penale i cui termini per le indagini erano già scaduti. La sola finalità di tale condotta non poteva che essere, a suo parere, quella di consentire l'assegnazione delle indagini al dottor Curcio, originario assegnatario, e al dottor Woodcock che era stato nel frattempo delegato. Ribadisce quindi il proprio interesse a che il Ministro valuti se dall'intera vicenda possano emergere, come a lui appare chiaramente, responsabilità disciplinari nei confronti dei magistrati.

Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 15.15.

ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 7 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 15.15.

Schema di decreto legislativo recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia.
Atto n. 373.

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 5 luglio 2011.

Manlio CONTENTO (PdL) esprime apprezzamento in ordine all'idea di arrivare ad un codice antimafia che racchiuda le disposizioni riferite al cosiddetto «secondo binario» in tema di lotta a tale tipo di criminalità. Si tratta, infatti, di continuare a sostenere l'esigenza di diversificare le norme necessarie a condurre, nel modo più efficace, l'attività di contrasto al fenomeno mafioso.
Nel richiamare alla memoria l'audizione del Procuratore nazionale antimafia, ritiene importante partire dai principi e criteri della delega legislativa votata dal Parlamento con l'approvazione della legge del 13 agosto 2010, n. 136. L'articolo 1 della medesima legge, infatti, fa riferimento alla «completa ricognizione» della normativa in materia di «contrasto alla criminalità organizzata, alla sua «armonizzazione» e al «coordinamento» con altre disposizioni. Ciò permette di sgombrare il campo dall'equivoco di chi critica il provvedimento per la mancata introduzione di fattispecie di reato ritenute utili nella lotta alla mafia. Nessuno discute su tale opportunità, ma tale intervento non è consentito dalla legge delega, non rinvenendosi alcuna previsione in ordine all'introduzione di nuovi reati.
Del resto, non va dimenticato che la delega in oggetto venne approvata con il voto pressoché unanime del Parlamento, ragion per cui riesce difficile comprendere l'atteggiamento di coloro che, dopo aver votato la legge n. 36 del 2010, invocano ora la necessità di inserire reati come quello di «autoricilaggio» o fattispecie ulteriori quali quelle riferibili al fenomeno delle «ecomafie».

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Sottolinea inoltre la difficoltà di dare attuazione alla delega dal momento che la polverizzazione e la stratificazione delle varie disposizioni rende complessa l'opera di scelta delle norme da inserire nel decreto legislativo e estremamente delicata la conseguente abrogazione delle parti di disposizioni vigenti che residuano dallo stralcio di quelle, invece, ritenute meritevoli di considerazione. Proprio da questa considerazione si fa discendere l'evidente esistenza, nell'articolato, di incongruenze ed errori oggetto, tra l'altro, delle osservazioni mosse dal dottor Grasso. Sotto questo aspetto invita il Governo a riesaminare il testo allo scopo di ovviare alle numerose segnalazioni pervenute nell'occasione.
Ritiene, però, che al Governo vada rimessa un'ulteriore valutazione che costituisce un presupposto logico-giuridico dell'opera affidata al legislatore delegato. Muove dalla considerazione della ipotizzata compresenza, leggibile dallo schema in esame, di reati affidati al codice penale e di reati analoghi inseriti nel decreto legislativo.
Indipendentemente dalla ovvia singolarità di tale duplicazione e dagli effetti «distorsivi» ad essa correlati, quello che emerge attraverso la proposta compilativa del Governo è la necessità di assumere un criterio-guida che possa razionalizzare il contenuto del futuro provvedimento. Ciò potrebbe però richiedere anche una parziale inosservanza della delega o, se si preferisce, un parziale mancato esercizio di essa. Partendo dall'esempio relativo all'attuale articolo 416-bis e alla proposta del Governo, si chiede se, invece di far transitare i reati dal codice penale a quello antimafia, non sia più opportuno creare un apposito titolo del codice, ove ospitare tutte le fattispecie destinate a combattere, in modo specifico, la criminalità organizzata. In tale modo, la delega potrebbe concentrarsi poi sulle disposizioni ulteriori, di carattere processuale, che verrebbero tratte attraverso un riposizionamento delle parti normative che costituiscono regole specifiche rispetto a quelle ordinarie, non dedicate cioè a contrastare detti fenomeni. Seguirebbero le disposizioni sulle misure di prevenzione patrimoniale e personale che, però, dovrebbero riferirsi esclusivamente ai presupposti ed al procedimento ricavato, attraverso le necessarie interpolazioni, per le esigenze esclusivamente rivolte alla criminalità mafiosa.
In sostanza, forse sarebbe il caso di dare vita ad un tale tentativo pur nella ristrettezza dei tempi residui.
Qualora tale strada risultasse impraticabile, non rimarrebbe che eliminare le incongruenze della doppia incriminazione (codice penale e antimafia) e correggere le incongruenze segnalate, a cominciare da quelle riferite alle misure di prevenzione personali e patrimoniali, queste ultime particolarmente efficaci nel contrasto alle mafie.
Ritiene, a tale proposito, che l'esigenza di fissare un termine per la conclusione dei relativi procedimenti sia coerente proprio con la natura dello strumento in questione, che va definita in termini ragionevolmente brevi per assicurare la definitiva sottrazione dei beni ai sodalizi criminali con la confisca.
Dedica, infine, le ultime considerazioni al riordino delle comunicazioni antimafia ritenendo necessaria l'organizzazione di una banca dati attrezzata allo scopo, ma chiedendo al Governo di chiarire meglio se questa strada, che lascia alla pubblica amministrazione, in modo corretto, l'onere informativo e certificativo, vada perseguita e se essa sia coerente con l'invocazione delle «white list» che, invece, trasferirebbero l'onere dei relativi adempimenti alle imprese già oberate da troppi incombenti.
Ricorda, infine, che l'infiltrazione mafiosa risulta più forte in alcuni settori, come rilevato in ordine alle modifiche normative sulla «tracciabilità» dei flussi monetari, e auspica che gli adempimenti più gravosi vengano riservati a tali casi evitando, per quanto possibile, ogni eccesso burocratico.

Donatella FERRANTI (PD) sottolinea preliminarmente come il PD abbia votato a favore della delega per l'emanazione del

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provvedimento in oggetto e come oggi stia affrontando l'esame del medesimo senza alcuna volontà dilatoria o ostruzionistica. Ciò nonostante siano da considerare del tutto inopportune le pressioni di chi intende accelerarne l'esame in conseguenza del fatto che il Ministro Alfano ha sostanzialmente subordinato le proprie eventuali dimissioni all'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti sugli atti del Governo n. 373 e n. 376.
Ritiene tuttavia che sarà estremamente complesso apportare allo schema di decreto legislativo in esame tutti gli opportuni correttivi, trattandosi di un testo grossolanamente sciatto nella forma, essendo carente anche sotto il profilo del coordinamento formale e della previsione delle necessarie abrogazioni di norme vigenti, e talvolta non condivisibile nella sostanza, specialmente laddove supera i confini della delega ovvero sembra segnare un arretramento dell'efficacia ed efficienza degli strumenti di prevenzione dei fenomeni mafiosi.
Sottolinea come sia comprensibile che il Ministro Alfano voglia dimettersi solo dopo avere raggiunto almeno due dei molti obiettivi che si era prefissato: l'emanazione del cosiddetto «Codice antimafia» e la semplificazione dei riti del processo civile. D'altra parte sarebbe nell'interesse comune avere finalmente a disposizione un testo che contenga, razionalizzandola, tutta la normativa antimafia, così come lo sarebbe una semplificazione effettiva e sostanziale del processo civile. Ritiene, tuttavia, che lo schema di decreto legislativo in esame appaia, allo stato, inutile se non addirittura dannoso. Per quanto concerne le forti perplessità che riguardano invece il provvedimento relativo al processo civile, si riserva di intervenire compiutamente nell'ambito dell'esame dello stesso.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.25.

SEDE REFERENTE

Giovedì 7 luglio 2011. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 15.25.

Squadre investigative comuni sovranazionali.
C. 4262, approvata dal Senato.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento rinviato il 30 giugno 2011.

Donatella FERRANTI (PD), relatore, ricorda che nella scorsa seduta si era riservata di svolgere alcune considerazioni ad integrazione della relazione.
In particolare si sofferma su alcuni punti che meritano una riflessione.
In primo luogo ritiene necessaria un'attenta valutazione sul ruolo e sul tipo di controllo assegnato al Ministro della giustizia, il quale può bloccare la costituzione della squadra «qualora ritenga che possano essere compromessi interessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato».
La formula dell'articolo 2 comma 4 della proposta di legge ricalca la previsione dell'attuale articolo 727, comma 2, c.p.p. in materia di rogatorie attive (ossia, di richieste di rogatoria presentate dall'autorità italiana ad una autorità estera), una previsione che è stata già criticata in dottrina proprio per la sua genericità e per l'ampiezza della valutazione che affidava al ministro della giustizia.
Si deve aggiungere che il tipo di valutazione cui viene chiamato il Ministro della giustizia concerne interessi (la «sicurezza» o ad «altri interessi essenziali dello Stato») il cui naturale responsabile politico dovrebbe essere, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 124 del 2007, il Presidente del Consiglio.

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Più in generale, è opportuno riflettere attentamente sul ruolo del Ministro quando la squadra investigativa sia costituita fra gli Stati membri dell'Unione europea sulla base della decisione quadro del 2002. È vero che nella cornice tradizionale dei rapporti con le autorità straniere al Ministro della giustizia sono lasciati poteri di valutazione discrezionali sull'esperibilità della cooperazione, tanto sul versante attivo quanto su quello passivo (v. ad es., articoli 708 c.p.p. e 720 c.p.p. in materia di estradizione, articoli 723 e 727 c.p.p. in materia di rogatorie), anche se non propriamente di pura valutazione politica (tanto che in diversi casi è stato ammesso il sindacato di legittimità dell'atto del Ministro da parte del Consiglio di Stato).
Quando però si versa all'interno dei rapporti di cooperazione fra Stati membri, i margini di discrezionalità politica per l'esecuzione della richiesta sono già stati erosi, quando si tratti - come in questo caso - di richieste concernenti le prove, dalla Convenzione di mutua assistenza giudiziaria del 1959 (come modificata/integrata dal protocollo aggiuntivo, dalla Convenzione di applicazione di Schengen del 1990, dalla Convenzione dell'Unione europea di mutua assistenza giudiziaria di Bruxelles del 2000).
Una volta che sia mantenuta la regola della doppia incriminazione (v. articolo 2 comma 2) e che sia circoscritto in modo preciso dalla legge l'ambito di poteri esercitabili da una squadra investigativa comune, l'intervento del Ministro della giustizia potrebbe forse anche venire rimosso nell'ambito dei rapporti di cooperazione interni al diritto dell'Unione europea. In questi casi, un assenso dell'autorità politica alla costituzione della squadra potrebbe spiegarsi solo nei casi in cui sia previsto che figure appartenenti ad autorità (giudiziarie o di polizia) straniere possano eseguire direttamente (cioè, personalmente) atti investigativi sul territorio italiano, eventualità che sembra però marginale alla luce dell'articolo 4, comma 1 della proposta.
Ritiene poi che sia opportuno riflettere sul ruolo assegnato al Procuratore nazionale antimafia. Nel testo della proposta, a tale figura viene affidato un ruolo marginale: è previsto che il Procuratore nazionale venga informato quando la richiesta di costituzione della squadra concerna indagini relativi a delitti che cadono nella sua sfera di competenza (delitti previsti dall'articolo 51 commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies). Tenuto conto che il Procuratore nazionale ha un ruolo di impulso e coordinamento delle indagini concernenti la criminalità organizzata, sembra opportuno valutare se non sia opportuno estendere la legittimazione a richiedere la costituzione di una squadra comune a questo soggetto, anche in relazione alla possibilità di avocazione delle indagini prevista dall'articolo 371-bis lettera h) c.p.p.
Fra l'altro, poiché la costituzione di una squadra investigativa comune si collega allo svolgimento di complesse investigazioni, si deve tenere presente che potrebbe essere necessario condurre indagini nell'ambito di più distretti: in questa situazione sembra opportuno che la costituzione della squadra e la guida della stessa, quando opera sul territorio italiano, sia assegnata ad una figura capace di coordinare l'azione di più uffici di procura.
Per le stesse ragioni sarebbe opportuno valutare che la legittimazione alla costituzione di una squadra investigativa comune possa spettare al Procuratore generale presso la Corte d'appello, per lo meno quando abbia proceduto all'avocazione delle indagini.
Egualmente, ritiene si debba valutare attentamente l'eventualità in cui la richiesta di costituzione provenga dall'autorità straniera. In questi casi la previsione che la richiesta debba essere trasmessa al Procuratore della Repubblica territorialmente competente (in termini tecnici sarebbe peraltro più corretto parlare di «legittimazione») potrebbe rivelarsi problematica.

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È vero che il testo della proposta stabilisce che ove la richiesta giunga al Procuratore della Repubblica privo di legittimazione questi debba immediatamente indirizzarla all'ufficio competente (articolo 2 comma 3). Tuttavia, difficoltà potrebbero comunque sorgere qualora vi siano indagini collegati svolte da più uffici o quando le indagini della squadra investigativa comune debbano essere condotte nell'ambito di più circondari/distretti. Ci si chiede a quale procuratore spetterebbe in quel caso decidere se aderire alla squadra investigativa comune.
Occorre poi verificare se non sia opportuno fornire indicazioni più stringenti in relazione alla contrattazione da parte del Procuratore della Repubblica dell'atto costitutivo della squadra. Così pure, se, in relazione all'attività della squadra, possa bastare un generico rinvio sul rispetto delle previsioni di legge italiane, come sancito dall'articolo 1 par. 3 lettera b) della decisione quadro, o se non sia necessario inserire qualche previsione di maggiore dettaglio.
In relazione della proroga delle indagini si domanda se non sia opportuno stabilire che l'autorizzazione alla proroga delle indagini sia attribuita ad un organo giurisdizionale, come è previsto per le indagini nazionali dall'articolo 406 c.p.p. in cui si conferisce al g.i.p. il potere di autorizzare il prolungamento delle investigazioni. Il testo di legge stabilisce sul punto che la richiesta vada comunicata al Procuratore generale presso la Corte d'appello o al Procuratore nazionale antimafia, ma non fa menzione di alcun vaglio giurisdizionale.
Ritiene che potrebbe essere difficile individuare un organo giurisdizionale cui richiedere la proroga delle indagini, tenendo conto del fatto che l'azione della squadra investigativa comune potrebbe svolgersi nell'ambito territoriale di circondari diversi o, addirittura, di distretti diversi (mentre le indagini nazionali sono sempre confinate in un preciso ambito territoriale).
La soluzione potrebbe essere tuttavia la seguente: ancorare la competenza per la proroga presso il giudice per le indagini preliminari che ha sede presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui opera il Procuratore che ha firmato l'atto costitutivo della squadra. Ove poi si volesse estendere la possibilità di costituire la squadra al Procuratore nazionale antimafia credo una soluzione potrebbe essere quella di attribuire la competenza giurisdizionale al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma.
Quanto alla tutela del segreto investigativo, la formulazione dell'articolo 4 comma 6 si limita a prevedere semplicemente che il procuratore possa avanzare una richiesta alle autorità straniere di differimento dell'uso delle informazioni raccolte, senza garantire così che l'autorità estera debba aderire alla richiesta. Almeno per le informazioni raccolte dalla squadra sul territorio italiano sarebbe allora opportuna una previsione più incisiva che vincolasse lo Stato estero a non usare quelle informazioni, come sembra legittimare anche l'articolo 1 par. 10 lettera b) della decisione quadro. Ai sensi di quest'ultima previsione, infatti, le informazioni legalmente ottenute da una squadra in uno Stato membro e non altrimenti disponibili per le autorità competenti di un altro Stato membro potranno essere impiegate per l'individuazione, l'indagine e il perseguimento di altri reati, solo previo accordo dello Stato membro in cui si sono raccolte le informazioni, il quale potrà negare il consenso qualora l'impiego delle informazioni pregiudicasse indagini penali in corso o qualora quest'ultimo Stato potesse rifiutare l'assistenza giudiziaria ai fini di tale uso.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.30.

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AVVERTENZA

I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE CONSULTIVA

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo nel campo della cooperazione militare tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, fatto a Taormina il 10 febbraio 2006.
C. 4433, approvato dal Senato.

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
Atto n. 376.