CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 28 aprile 2011
473.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 3 MAGGIO 2011

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ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Giovedì 28 aprile 2011 - Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

La seduta comincia alle 14.35.

Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società.
COM(2011)121 def.

(Ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Nicola FORMICHELLA (PdL), relatore, ricorda che la proposta di direttiva in esame - presentata dalla Commissione europea il 16 marzo 2011 - prevede un regime comune opzionale per calcolare la base consolidata per l'imposizione sulle società (CCCTB) che sono fiscalmente residenti nell'Unione europea e delle succursali ubicate nell'UE di società di Paesi terzi. Il regime comune include, in particolare, regole per il calcolo dei risultati fiscali di ciascuna società o succursale, il consolidamento di tali risultati, qualora vi siano altri membri del gruppo, e la ripartizione della base imponibile consolidata tra ciascuno Stato membro ammissibile. Non sarebbero invece armonizzate le aliquote d'imposta, che rimarrebbero di esclusiva competenza nazionale pur incoraggiando la Commissione una leale concorrenza tra gli Stati membri al riguardo. La proposta non dovrebbe inoltre incidere sulla redazione dei bilanci, e dunque sulla preparazione dei conti annuali o consolidati.
L'iniziativa presenta una fortissima rilevanza in quanto costituisce il primo tentativo, in esito ad una lunghissima fase di studio e ad approfondite consultazioni dei soggetti interessati, di introdurre una disciplina realmente armonizzata in merito alla tassazione diretta delle imprese. L'assenza di un coordinamento minimo dell'imposizione sulle imprese a livello

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europeo ha infatti favorito fenomeni di concorrenza fiscale dannosa tra stati membri dell'UE, che si sono tradotti non soltanto in distorsioni del corretto funzionamento del mercato interno ma anche in un elemento di iniquità dei sistemi fiscali nazionali. In assenza di un quadro comune, le pressioni competitive hanno infatti indotto molti Stati membri, a fronte dei vincoli di bilancio rigorosi, a concentrare il carico fiscale sui fattori meno mobili della produzione e quindi sul lavoro dipendente.
La risposta delle Istituzioni europee a questi fattori di criticità si era sinora limitata all'adozione di misure concernenti profili specifici (ad esempio, misure contro la doppia imposizione, tassazione degli utili distribuiti tra società madri e figlie); non si era invece mai giunti alla definizione di una disciplina comune per il calcolo della base imponibile di imposte dirette.
In più occasioni la Commissione politiche dell'UE, la Commissione finanze e la stessa Assemblea della Camera avevano richiamato l'attenzione del Governo e delle Istituzioni europee sull'esigenza di rafforzare il coordinamento fiscale nell'UE, anche con specifico riferimento alla creazione di una base imponibile comune per la tassazione delle società. La proposta oggi in esame costituisce dunque una prima risposta a queste istanze di cui va però valutata con attenzione l'effettiva idoneità a risolvere i problemi posti dalla concorrenza fiscale dannosa.
La proposta di direttiva si articola in 18 Capi ed in 136 articoli, più tre allegati.
Il Capo I (articoli da 1 a 3) definisce l'ambito di applicazione della direttiva, che concerne le società costituite conformemente alle leggi di uno Stato membro o di un Paese terzo elencate nell'allegato I della proposta. Per quanto concerne l'Italia, si tratta di: società per azioni; società in accomandita per azioni; società a responsabilità limitata; società cooperative; società di mutua assicurazione; nonché gli enti pubblici e privati la cui attività è totalmente o principalmente commerciale. Inoltre, la società in questione deve essere soggetta ad una delle imposte indicate nell'allegato II della proposta (per l'Italia, l'imposta sul reddito delle società).
In base al Capo IV della proposta di direttiva (articoli da 9 a 16), al fine del calcolo della base imponibile, i profitti e le perdite sono riconosciuti solo al momento della loro realizzazione. In particolare, le operazioni e i fatti generatori dell'obbligazione tributaria sono misurati individualmente, il calcolo della base imponibile avviene in modo uniforme, a meno che circostanze eccezionali giustifichino una modifica, e la base imponibile stessa è determinata per ciascun esercizio fiscale, inteso come un periodo di 12 mesi, salvo che non sia altrimenti previsto.
Specifiche regole in materia di ammortamenti e di deduzione delle perdite sono stabilite dai Capi VI (articoli da 32 a 42) e VII (articolo 43).
La proposta di direttiva disciplina, inoltre, la valorizzazione a fini fiscali delle attività e passività al momento dell'ingresso o dell'uscita dal nuovo regime (Capo VII - articoli da 44 a 53) e le regole di consolidamento delle basi imponibili di più società appartenenti al medesimo gruppo (Capo IX - articoli da 54 a 60).
Ulteriori disposizioni riguardano l'ingresso e l'uscita del gruppo oggetto di consolidamento (Capo X - articoli da 61 a 69), nonché talune fattispecie specifiche quali le operazioni di riorganizzazione tra imprese (Capo XI - articoli 70 e 71), le operazioni tra il gruppo consolidato ed altre entità (Capo XII - articoli da 72 a 77) e le operazioni tra imprese consociate, cioè legate tra loro sotto il profilo gestionale ma non appartenenti al medesimo gruppo (Capo XIII - articoli 78 e 79).
Il Capo XIV (articoli da 80 a 83) detta, altresì, una serie di norme per contrastare l'elusione, prevedendo innanzitutto, all'articolo 80, che le operazioni artificiali con l'esclusiva finalità di eludere l'imposizione sono ignorate ai fini del calcolo della base imponibile. A tal fine, si prevede anche, all'articolo 81, che non siano deducibili gli interessi versati ad un'impresa consociata residente in un Paese con il quale non sussista un accordo sullo scambio di informazioni

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comparabile a quanto previsto dalla direttiva 2011/16/UE e in tale Paese si preveda un'aliquota tributaria inferiore ad un certo livello.
In base alle disposizioni del Capo XVI (articoli da 86 a 103), la base imponibile consolidata è ripartita (solo quando sia positiva) tra i membri di un gruppo (formato a una società madre e da società figlie) in ogni esercizio fiscale sulla base di una formula, la quale riconosce un uguale peso ai fattori del fatturato, del lavoro (monte retribuzioni e numero di dipendenti) e delle attività.
Per quanto attiene ai profili amministrativi del nuovo regime, regolati dal Capo XVII (articoli da 104 a 126), i singoli contribuenti, per esercitare l'opzione per tale regime, devono notificarlo, ai sensi dell'articolo 104, all'autorità competente dello Stato membro nel quale sono residenti o, nel caso di una stabile organizzazione di un contribuente non residente, nel quale tale organizzazione è situata.
La proposta di direttiva, infine, disciplina dettagliatamente (agli articoli da 109 a 114) le informazioni che devono essere contenute nella dichiarazione dei redditi e le eventuali procedure di accertamento, rettifica e ricorso contro le decisioni dell'autorità competente.
La proposta di direttiva è basata sull'articolo 115 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), relativo al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione del mercato interno. Tale disposizione prevede che il Consiglio possa adottare direttive, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale che prevede la mera consultazione del Parlamento europeo.
Il ricorso all'articolo 115 è reso necessario in assenza nei trattati di una specifica disposizione per l'armonizzazione delle norme relative alla imposizione diretta (a differenza di quanto stabilito dall'articolo 113 per le imposte indirette) nonché della espressa esclusione della norme fiscali dall'ambito di applicazione dell'articolo 114, che consente il riavvicinamento delle disposizioni nazionali mediante la procedura legislativa ordinaria (con codecisione del Parlamento europeo e voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio).
È evidente che la necessità di una deliberazione unanime del Consiglio renderà faticoso l'iter di esame della proposta e rischierà di diluirne ulteriormente contenuto e portata, stante la possibilità per gli Stati membri più refrattari all'armonizzazione fiscale di esercitare il veto.
Nella relazione illustrativa della proposta e nella valutazione di impatto la Commissione fornisce una motivazione articolata della giustificazione della proposta stessa sotto il profilo della sussidiarietà nonché sotto quello della proporzionalità.
Nella relazione, la Commissione osserva che il regime della base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società è imposto dall'esigenza di eliminare gli ostacoli fiscali, in primo luogo quelli che derivano dalla frammentazione dell'Unione in 27 regimi fiscali diversi, ai quali devono far fronte le società che operano nel mercato unico. In assenza di una disciplina armonizzata, le società continuerebbero a dover trattare con un numero di amministrazioni fiscali pari al numero degli Stati membri in cui sono soggette al pagamento di imposte. Al riguardo, la relazione rileva come una grande impresa - che spende attualmente oltre 140.000 euro (0,23 per cento del fatturato) in spese fiscali per aprire una nuova controllata in un altro Stato membro - con la CCCTB ridurrebbe tali costi di 87.000 euro, ovvero del 62 per cento I risparmi per un'impresa di medie dimensioni risulterebbero persino più elevati, in quanto i costi dovrebbero scendere da 128.000 euro (0,55 per cento del fatturato) a 42.000 euro, con una riduzione del 67 per cento.
Se i singoli Stati membri applicassero ciascuno un regime diverso per il calcolo della base imponibile, anche le specifiche regole stabilite nella presente proposta, quali una misura di compensazione delle perdite transfrontaliere e l'esenzione fiscale in caso di ristrutturazione di gruppi di società, sarebbero prive di efficacia e

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creerebbero probabilmente distorsioni del mercato, in particolare in caso di doppia imposizione o di non imposizione.
Allo stesso modo, l'applicazione di normative nazionali differenti sulla ripartizione degli utili non migliorerebbe l'attuale procedura - già notevolmente complessa - di ripartizione degli utili aziendali tra le varie imprese consociate.
Inoltre, le basi sulle quali poggia il regime, in particolare la compensazione transfrontaliera delle perdite, l'esenzione d'imposta per i trasferimenti di attivi intragruppo e l'allocazione della base imponibile di un gruppo tramite una formula possono concretizzarsi solo all'interno di un quadro regolamentare comune.
Analoghe considerazioni valgono per le norme comuni che disciplinano le procedure amministrative per consentire il funzionamento del principio amministrativo dello «sportello unico».
La Commissione osserva, in conclusione, che la proposta è giustificata sotto il profilo della sussidiarietà, in quanto non si otterrebbero i risultati desiderati tramite l'azione individuale degli Stati membri e tiene a precisare che la proposta stessa si limita a combattere gli ostacoli fiscali costituiti dalle disparità esistenti tra i regimi nazionali per il calcolo della base imponibile tra imprese consociate.
Proprio con riguardo a tale ultima considerazione, va rilevato che la scelta della Commissione di prospettare una base imponibile consolidata facoltativa - sebbene comprensibile a fronte delle difficoltà del negoziato - potrebbe essere insufficiente a conseguire anche effetti di riduzione della concorrenza fiscale dannosa tra Stati membri.
La stessa Commissione nella valutazione d'impatto - predisposta utilizzando i risultati degli studi commissionati ai cinque soggetti (European Tax Analyzer; Price Waterhouse Cooper-Study; banca dati Amadeus e Orbis; Deloitte; CORTAX) aveva preso in considerazione quattro opzioni di intervento alternative, confrontandole con l'ipotesi di non prevedere interventi sulla situazione attuale:
una base imponibile comune per le società facoltativa: le società residenti nell'UE (e le stabili organizzazioni situate nell'UE) potrebbero scegliere di calcolare la loro base imponibile secondo un insieme di norme comuni pertinente a tutto il territorio dell'Unione anziché ricorrere a uno dei 27 regimi nazionali di tassazione delle società. Continuerebbe ad essere utilizzata la «registrazione con-tabile separata» (cioè la fissazione dei prezzi operazione per operazione in base al principio delle condizioni di mercato) per le operazioni intragruppo, in quanto il regime non comporterebbe il consolidamento dei risultati fiscali (opzione 1);
una base imponibile comune per le società obbligatoria: tutte le società residenti nell'UE (e le organizzazioni stabili situate nell'UE) in possesso dei requisiti sarebbero tenute a calcolare la loro base imponibile secondo un insieme di norme comuni. La nuova normativa sostituirebbe i 27 regimi nazionali di tassazione delle società. In assenza del consolidamento, la «registrazione contabile separata» continuerebbe a determinare la ripartizione dei profitti nelle operazioni intragruppo (opzione 2);
una base imponibile consolidata facoltativa, quale quella prevista nella proposta in esame;
una base imponibile consolidata comune obbligatoria: le società residenti nell'UE e/o le stabili organizzazioni ivi situate di proprietà di società residenti al di fuori dell'UE avrebbero l'obbligo di applicare la CCCTB se soddisfano le condizioni di ammissibilità per la costituzione di un gruppo (opzione 4).

La Commissione giustifica l'opzione 3, prescelta nella proposta di direttiva, rispetto alle altre 3 opzioni alternative per due motivi principali: l'impatto più favorevole stimato sull'occupazione; viene evitata l'opzione obbligatoria che porterebbe all'adozione da parte di tutte le società operanti nell'UE del nuovo metodo di calcolo della base imponibile (a prescindere

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dal fatto che una società sia attiva o no in più di uno Stato membro).
La scelta dell'opzione 2, che avrebbe sostituito per tutte le società residenti nell'UE (e le organizzazioni stabili situate nell'UE) in possesso dei requisiti i 27 regimi nazionali di tassazione delle società sarebbe stata forse una soluzione più ambiziosa ed in grado di produrre effetti di riduzione della concorrenza fiscale dannosa. Ciò a maggior ragione se alla definizione di una base imponibile comune si fosse accompagnata anche la fissazione di una o più aliquote minime di imposta, sul modello di quanto previsto per l'Iva e per le accise.
Indubbiamente tale soluzione sarebbe stata di più difficile accettazione nel corso del negoziato da parte di alcuni Stati membri e di applicazione molto più complessa: al tempo stesso, gli effetti negativi della concorrenza fiscale sul mercato interno e sulla equità stessa dei sistemi fiscali, posti in evidenza nel corso della recente crisi irlandese, avrebbero richiesto un intervento di maggiore portata ed estensione. Ciò pone, peraltro, in questione non soltanto i profili di sussidiarietà ma quelli di proporzionalità e di merito.
In conclusione, la proposta appare nel suo complesso coerente con il principio di sussidiarietà, essendo evidente la necessità e il valore aggiunto dell'intervento europeo. Andrebbero tuttavia approfondite, in sede di esame del merito della proposta e dei profili di proporzionalità, le prospettive di prevedere regole obbligatorie per il calcolo della base imponibile applicabile a tutte le società contemplate nella proposta nonché di stabilire anche aliquote minime dell'imposta.
A questo scopo andranno tuttavia valutati con attenzione anche l'impatto finanziario della proposta e delle opzioni sopra prospettate sulle società interessate nonché gli effetti per la finanza pubblica.
Propone, pertanto, di procedere in tempi rapidi alla approvazione del documento della XIV Commissione recante una valutazione positiva della conformità della proposta con il principio di sussidiarietà e di procedere contestualmente all'avvio dell'esame sul merito e sulla proporzionalità ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, anche tenuto conto del fatto che la VI Commissione Finanze ha già avviato l'esame della proposta lo scorso 14 aprile.

Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), e la convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.
COM(2011)118 def.

(Parere alla I Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Marco MAGGIONI (LNP), relatore, rileva che la Commissione è convocata per avviare l'esame, ai fini dell'espressione del parere alla Commissione di merito, della proposta di Regolamento che modifica la disciplina vigente istitutiva del codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere (il cosiddetto codice Schengen), nonché della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen. Tale disciplina, entrata in vigore a partire dal 1995, ha disposto la soppressione dei controlli alle frontiere interne in modo da favorire la libera circolazione all'interno dell'UE. Più precisamente, attualmente l'area Schengen riguarda 25 Paesi, di cui 22 membri dell'UE più Norvegia, Islanda e Svizzera e interessa oltre 400 milioni di cittadini europei.
In sostanza, nel caso in cui ad attraversare una frontiera esterna dell'area Schengen siano cittadini dell'UE, si procede a verifiche minime dirette ad accertare l'identità del soggetto interessato.
I cittadini dei paesi terzi sono invece sottoposti a verifiche approfondite.
L'attraversamento delle frontiere interne può invece essere effettuato senza

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alcun controllo. È comunque previsto che in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o per la sicurezza interna si possano ripristinare in via eccezionale i controlli alle frontiere interne, tuttavia per un periodo limitato.
La Commissione europea ha ritenuto di prospettare alcune correzioni sulla base di una serie di elementi emersi in sede di attuazione del codice Schengen, con particolare riguardo a taluni profili di criticità.
Il testo in esame reca, quindi, alcune modifiche alla disciplina vigente prevalentemente dirette a rispondere ad aspetti non sufficientemente chiari o, comunque, suscettibili di generare incertezze in sede applicativa.
Particolare rilievo assumono le modifiche e i chiarimenti che concernono le condizioni di ingresso per i cittadini di Paesi terzi.
Le vicende degli ultimi mesi, con i massicci afflussi di immigrati irregolari sulle coste italiane e le iniziative che per fronteggiare tali afflussi sono state adottate sia dall'Italia che dalla Francia, costituiscono la migliore dimostrazione della necessità di sottoporre la normativa Schengen ad una accurata verifica per accertarne l'idoneità a consentire una gestione efficace del fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Appare, quindi, condivisibile la modifica volta a precisare come si calcola il periodo di tre mesi preso a riferimento per i soggiorni dei cittadini di Paesi terzi, così come i requisiti dei documenti di viaggio di cui i soggetti interessati devono essere in possesso.
Risulta inoltre apprezzabile la proposta di creare corsie separate per i cittadini di Paesi terzi che non sono tenuti a possedere un visto all'atto di attraversamento delle frontiere esterne dell'area Schengen in modo da valorizzare le operazioni.
Risulta poi condivisibile anche l'obiettivo di favorire una migliore e più specializzata formazione delle guardie di frontiera competenti ad effettuare i controlli.
Meritano invece di essere approfondite attentamente le modifiche volte, rispettivamente, a conferire alla Commissione il potere di adottare atti delegati per taluni aspetti oggetto del codice Schengen, così come la prospettiva di sopprimere l'obbligo, per i cittadini di Paesi terzi in posizione regolare, di dichiarare la loro presenza.
Quanto al primo profilo, occorre domandarsi se il conferimento della delega per una durata indeterminata, ferma restando la possibilità di una sua revoca da parte del Parlamento europeo o del Consiglio, associandosi all'assenza di obiettivi specifici e di indicazioni quanto al suo contenuto e alla portata, non possa prefigurare il rischio di un eccesso di delega.
Considerata la delicatezza delle questioni in discussione, occorre verificare se sia opportuno demandare a un organo tecnico qual è la Commissione europea, poteri così ampi.
Va in proposito ricordato che già in una recente occasione nell'ambito del Parlamento europeo è stata sollevata l'opportunità di contestare dinanzi alla Corte di Giustizia la legittimità della procedura seguita per l'adozione di una decisione 2010/252/UE recante una serie di regole per le operazioni alle frontiere marittime coordinate da Frontex e il salvataggio e lo sbarco di immigrati.
In quella circostanza è stato contestato il fatto che la decisione avrebbe travalicato le competenze della Commissione europea e avrebbe dovuto essere sottoposta alla procedura legislativa ordinaria.
Quanto al secondo profilo, la Commissione prospetta la soppressione dell'obbligo in relazione al fatto che alcuni Stati membri non attuano la normativa vigente o avrebbero riscontrato notevoli difficoltà pratiche.
Prima di procedere ad una abrogazione è comunque indispensabile valutare, acquisendo l'avviso del Governo, se l'adempimento di tale obbligo non possa risultare utile ai fini del contrasto all'immigrazione clandestina.
In conclusione, la portata delle modifiche prospettate è varia; per talune di esse

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occorre comunque procedere a una accurata istruttoria per la quale è indispensabile avvalersi anche degli elementi di informazione e di valutazione che dovranno essere assicurati dal Governo.
L'esame della proposta di Regolamento risulta quindi particolarmente opportuno, coincidendo con una fase particolarmente difficile che ha chiaramente evidenziato la necessità di una attenta ricognizione dei diversi profili che attengono al regime Schengen entrato in vigore in un contesto molto diverso da quello attuale e con una pressione migratoria quantitativamente assai inferiore e comunque più facilmente gestibile.
L'Italia deve svolgere questa ricognizione con particolare scrupolo nella consapevolezza di trovarsi, per la sua collocazione geografica, in una condizione particolarmente esposta ai traffici di clandestini, senza timori di far valere le sue ragioni presso le istituzioni europee.

Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sui lavori della Commissione.

Sandro GOZI (PD) segnala ai colleghi che in data odierna, con propria sentenza, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha bocciato in via pregiudiziale la norma italiana che prevede il reato di clandestinità e punisce con la reclusione gli immigrati irregolari, che si porrebbe in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini. Rileva come ciò che il PD aveva più volte preannunciato è accaduto, ed auspica che la posizione assunta dalla Corte induca il Governo a modificare il parere negativo espresso sugli emendamenti presentati dal PD al disegno di legge comunitaria e volti al recepimento della richiamata direttiva, rispetto alla quale è anche pendente una procedura di infrazione per mancato recepimento.

Marco MAGGIONI (LNP) rileva come quello odierno sia l'ennesimo caso di censura da parte della Corte di giustizia, che sembra colpire solo l'Italia, ed è con amarezza che prende nota di tale atteggiamento. Osserva peraltro che il Ministro Maroni ha già dichiarato che porrà rimedio al problema, che potrà pertanto trovare rapidamente soluzione.

Nicola FORMICHELLA (PdL) si dichiara sicuro che il Governo ed il Ministro dell'Interno troveranno adeguata soluzione alla questione sollevata dalla Corte; rileva quindi come già da qualche anno la maggioranza abbia denunciato la solitudine nella quale l'Italia si trova, in Europa, ad affrontare il problema dei flussi di clandestini, ed a subire decisioni quale quella odierna. Ritiene che sarebbe prova di responsabilità da parte dell'opposizione tutelare innanzitutto gli interessi italiani, prima di assecondare posizioni che appaiono prevalentemente sostenute da Paesi che non si trovano nella difficile posizione italiana. Ritiene pertanto che occorra pervenire a soluzioni di mediazione per risolvere un problema innegabile e che ha riflessi concreti e pesanti sul Paese.

Sandro GOZI (PD) osserva come l'atteggiamento assunto dall'opposizione sia più che responsabile, anche perché non reca alcuna valutazione sul merito della questione, ma si limita a ribadire che occorre recepire la direttiva sui rimpatri, il cui termine è scaduto.

Enrico FARINONE (PD) ribadisce come, a nome del gruppo, il collega Gozi abbia chiesto unicamente il recepimento di una direttiva scaduta, ciò che appare del tutto legittimo.

Mario PESCANTE, presidente, preso atto delle considerazioni svolte dai colleghi, e nessun altro chiedendo di intervenire, dichiara conclusa la seduta.

La seduta termina alle 14.50.