CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 5 ottobre 2010
377.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 6 OTTOBRE 2010

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SEDE CONSULTIVA

Martedì 5 ottobre 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 13.30.

Schema di decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013.
Doc. LVII, n. 3.

(Parere alla V Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Gianluca PINI, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Formichella, illustra i contenuti del provvedimento, ricordando che lo schema di decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 rappresenta una innovazione legislativa in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della nuova legge di contabilità pubblica, la legge n. 196 del 2009, la decisione di finanza pubblica sostituisce quello che nell'assetto previgente era il Documento di programmazione economico-finanziaria. La finalità della decisione di finanza pubblica è analoga a quella del DPEF: si tratta di fornire un quadro degli andamenti della finanza pubblica e di programmare gli interventi correttivi necessari. Rispetto al DPEF, che in base alla legge n. 468 del 1978 doveva essere presentato entro il 30 giugno, lo schema di decisione di finanza pubblica deve essere presentato entro il 15 settembre; la modifica è significativa in quanto in questo modo si avvicina la fase programmatica della manovra di finanza pubblica con quella di implementazione della stessa. Ciò risulta coerente con un'altra significativa innovazione della riforma della contabilità pubblica, vale a dire l'attribuzione alla legge di bilancio ed agli

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interventi previsti dalla legge di stabilità (che sostituisce la vecchia legge finanziaria) di un carattere pluriennale e non annuale. Un'ultima innovazione deriva invece dalla prassi degli ultimi anni. Infatti, anche quest'anno la manovra correttiva di finanza pubblica è stata in realtà anticipata con il decreto legge n. 78 del 2010, che le Camere hanno convertito prima dell'estate. In tal senso la legge di stabilità consoliderà i risultati già conseguiti con questo provvedimento.
Per quel che concerne nello specifico la competenza della XIV Commissione, lo stesso schema di decisione di finanza pubblica sottolinea come tale documento dovrà negli anni futuri raccordarsi alla procedura del nuovo patto di stabilità e crescita in corso di definizione a livello europeo e sicuramente destinato ad avere sulla finanza pubblica italiana un impatto maggiore di quello della stessa recente riforma nazionale. È sicuramente questo l'aspetto su cui in questa sede merita in primo luogo soffermarsi, per poi passare a descrivere gli andamenti della finanza pubblica italiana nel quadro della complessiva crisi delle finanze pubbliche europee che, come dimostrano le recenti vicende irlandesi, è lungi dall'essersi esaurita.
Con riferimento al processo di riforma del patto di stabilità europeo, ricorda che la Commissione XIV, insieme alla Commissione Bilancio, si è già espressa, lo scorso 30 luglio, sulla Comunicazione del Consiglio della Commissione europea che ha dato l'avvio al processo di riforma. In quella occasione, le due Commissioni hanno sottolineato l'esigenza di giungere, eventualmente anche attraverso l'attivazione di cooperazioni rafforzate, ad un effettivo coordinamento anche delle politiche di occupazione e delle politiche sociali, nonché delle politiche fiscali. Con riferimento specifico poi al patto di stabilità e crescita si è invitato ad una integrazione dei parametri di valutazione del debito pubblico al fine di considerare la sostenibilità complessiva del sistema economico finanziario degli Stati membri. A tale riguardo lo schema di decisione conferma che l'orientamento dell'Unione europea è invece quello di un accorpamento del programma nazionale di riforma previsto nell'ambito della Strategia di Lisbona e del programma di stabilità previsto nell'ambito del patto di stabilità e crescita in un unico documento che gli Stati membri dovrebbero presentare entro l'aprile di ciascun anno, configurando così un «semestre europeo» dedicato al coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.
Per quel che concerne la valutazione del debito pubblico, si tratta di un argomento ancora dibattuto in sede europea, anche se l'orientamento che sembra prevalere ha due elementi di fondo: da un lato di una maggiore attenzione al parametro del debito pubblico rispetto a quanto avvenuto in passato, dall'altro l'esclusione dell'automaticità delle sanzioni in caso di superamento del rapporto debito/PIL previsto dal Trattato, in favore dell'avvio di un processo di monitoraggio dello Stato che superi tale parametro per valutare la sostenibilità del debito pubblico. Al riguardo lo schema di decisione pubblica contiene una novità interessante, già contenuta nella relazione unificata della finanza pubblica presentata nello scorso maggio. I dati contenuti nello schema infatti confermano la situazione assai critica del debito pubblico italiano: esso si dovrebbe attestare nel 2010 al 118,5 per cento del PIL, per salire nel 2011 al 119,2 per cento del PIL e quindi avviare un lento percorso di discesa attestandosi al 117,5 per cento del PIL nel 2012 e al 115,2 per cento nel 2013. Lo schema contiene però anche una indicazione del debito aggregato, che risulta composto dal debito della pubblica amministrazione e dal debito del settore privato (famiglie, istituzioni senza scopo di lucro, società non finanziarie).
Prendendo in esame i dati del 2009 emerge che, se si considera il solo debito pubblico, l'Italia detiene un record negativo, in quanto il suo valore è ammontato in quell'anno al 115,8 per cento del PIL (superiore anche alla Grecia che aveva un valore pari al 115,1 per cento), ma considerando

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il debito aggregato l'Italia con un valore del 240 per cento ha una posizione migliore del Regno Unito (287,3 per cento) al Portogallo (344, 5 per cento) e all'Irlanda (381,3 per cento). La situazione è ancora diversa quando si consideri il debito nazionale lordo che, rispetto al debito aggregato considera, oltre al debito pubblico e a quello privato (come sopra definito) anche quello delle società finanziarie. In questo caso l'Italia ha un valore del 336,9 per cento che risulta assai distante dal record negativo detenuto dall'Irlanda con il 952,1 per cento, o da altre situazioni critiche come quella della Gran Bretagna (530,7 per cento) o del Portogallo (450,1 per cento). In questo quadro critico lo schema prevede una crescita del PIL per l'Italia dell'1,2 per cento nel 2010, correggendo al rialzo dello 0,2 per cento il valore indicato dalla RUEF nello scorso maggio, mentre la previsione per il 2011 vede un ribasso di 0,2 punti percentuale rispetto a quella contenuta nella RUEF, indicando un valore dell'1,3 per cento. Nel biennio 2012-2013 la crescita del PIL si dovrebbe invece attestare al 2 per cento in ciascun anno. Anche questo costituisce un valore di cui si dovrà tenere conto per la valutazione della sostenibilità del debito pubblico; in tal senso è utile indicare che il valore di crescita media dell'Unione economia monetaria, sulla base dei principali indicatori internazionali, dovrebbe risultare superiore a quello italiano nel 2010 (1,7 per cento) e nel 2011 (1,6 per cento), per poi convergere con questo nel 2012 (2 per cento) e nel 2013 (2,1 per cento).
Di interesse per la XIV Commissione risulta infine l'apporto dei fondi strutturali comunitari allo sviluppo delle aree sottoutilizzate: lo schema prevede infatti un apporto di 3.978 milioni di euro nell'anno 2010, di 4.005 milioni di euro nell'anno 2011, di 4.074 milioni di euro nel 2012 e di 4.143 milioni di euro nel 2013. Anche a questo proposito sarà necessario prestare attenzione all'evoluzione in atto in sede europea: nelle proposte di riforme del patto di stabilità e crescita è stata prospettata anche una possibile riduzione automatica delle risorse dei fondi strutturali a titolo sanzionatorio in caso di violazione del patto. Anche a questo proposito richiama infine quanto la Commissione XIV, insieme alla V Commissione, ha già avuto modo di osservare nel parere sulla comunicazione della Commissione europea e cioè che, al fine di evitare discriminazioni tra diversi stati, le regole di condizionalità nell'accesso ai fondi europei non si dovrebbero applicare solo ad alcune risorse ma a tutti i fondi e i programmi finanziati dal bilancio europeo, accompagnando altresì la previsione di sanzioni con l'introduzione di meccanismi premiali per gli Stati che abbiano applicato politiche di bilancio virtuose.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.35.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 5 ottobre 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 13.35.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/71/CE del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa all'identificazione e alla registrazione dei suini.
Atto n. 237.

(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.

Gianluca PINI, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Gottardo, illustra i contenuti dello schema di decreto legislativo in esame, stato adottato sulla base della delega contenuta nella legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) allo scopo di dare attuazione alla direttiva 2008/71/CE del Consiglio relativa all'identificazione e registrazione dei suini. La

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direttiva citata è contenuta nell'Allegato B della legge comunitaria 2008 (e quindi nell'elenco delle direttive da attuare mediante decreto legislativo).
Il provvedimento si compone di 11 articoli e di e di 3 allegati.
L'articolo 1 definisce il campo di applicazione del provvedimento, ovvero le prescrizioni minime in materia di identificazione e registrazione dei suini.
L'articolo 2 riproduce le definizioni presenti nella direttiva.
L'articolo 3 conferma l'obbligo, già previsto dalla normativa vigente (decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996 n. 317) di registrazione delle aziende nell'elenco informatizzato tenuto e aggiornato dal Servizio veterinario della Unità Sanitaria Locale competente per territorio. È inoltre confermata l'operatività dell'anagrafe zootecnica della Banca dati nazionale del Ministero della Salute. Rispetto al sistema previsto dalla normativa vigente lo schema in esame è volto ad implementare la tipologia e il numero di informazioni aggiuntive da inserire nella citata Banca dati nazionale. Viene inoltre trasformata in obbligo la facoltà di registrare l'informazione relativa alle macellazioni per consentire la tracciabilità delle partite di animali macellati prima che le carni siano destinate al consumo umano al fine dunque di potenziare la sicurezza alimentare.
L'articolo 4 prescrive per il detentore degli animali l'obbligo della tenuta di un registro cartaceo o informatizzato con determinate caratteristiche e sul quale riportare precise informazioni quali il numero di animali presenti in azienda, con indicazione del marchio di appartenenza e della categoria, i movimenti degli animali.
L'articolo 5 prescrive l'obbligo per ciascun detentore di mettere a disposizione dell'autorità competente le informazioni su origine, identificazione e destinazione degli animali posseduti, detenuti, trasportati e commercializzati.
L'articolo 6, in merito agli scambi intracomunitari, prevede, avvalendosi di una specifica opzione prevista dalla Direttiva 2008/71, che l'animale proveniente da uno Stato membro conservi il codice identificativo apposto dall'azienda di origine ove esso consenta l'identificabilità dell'animale.
L'articolo 7 contiene le previsioni volte ad assicurare l'identificabilità degli animali importati da Paesi terzi.
L'articolo 8 riguarda la programmazione e l'esecuzione dei controlli di quanto previsto dal decreto legislativo in oggetto, a cura delle Aziende Sanitarie Locali.
L'articolo 9 dispone le sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione delle norme contenute nel decreto.
L'articolo 10 pone la clausola di invarianza finanziaria.
L'articolo 11 contiene alcune disposizioni transitorie, individuando le norme attualmente vigenti in materia che a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo in esame saranno abrogate. Si tratta in particolare di alcuni articoli del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996, n. 317 (Regolamento recante norme per l'attuazione della direttiva 92/102/CEE relativa all'identificazione e alla registrazione di animali).
Per quanto attiene agli Allegati, l'Allegato I riguarda la registrazione di aziende e allevamenti, l'identificazione degli animali, la registrazione nella Banca dati nazionale di una serie di dati tra cui gli spostamenti degli animali e i dati relativi alle macellazioni; l'Allegato II il registro aziendale di carico e scarico; l'Allegato III la check list di cui si avvalgono le autorità competenti ad eseguire i controlli.
Con riferimento alla normativa comunitaria, ricordo che lo schema di decreto legislativo in esame è diretto a dare attuazione alla direttiva 2008/71/CE del Consiglio relativa all'identificazione e alla registrazione dei suini. La direttiva in esame stabilisce le prescrizioni minime in materia di identificazione e registrazione dei suini al fine di facilitare i controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari degli animali e dei prodotti da essi derivati. L'identificazione serve anche a ricostruire rapidamente

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e accuratamente i movimenti degli animali all'interno del mercato unico.
A tal fine gli Stati membri devono disporre affinché l'autorità competente istituisca elenchi aggiornati delle aziende che detengono suini, prevedendo deroghe per gli animali detenuti per propria convenienza, in taluni casi particolari.
Le aziende devono tenere un registro aggiornato degli animali posseduti e dei loro spostamenti, con menzione della loro origine e della loro destinazione. La normativa prevede anche l'apposizione sugli animali di un marchio di identificazione, che deve essere sostituito quando diventa illeggibile e che serve ad individuare l'azienda di provenienza. La sostituzione o la rimozione del marchio sono oggetto di autorizzazione da parte dell'autorità competente. L'apposizione del marchio riguarda anche gli animali importati da un paese terzo che abbiano superato i controlli veterinari e rimangano nel territorio della Comunità.
La direttiva in esame abroga la direttiva 92/102/CEE, che è stata modificata a più riprese nel passato, e costituendo una versione codificata e aggiornata delle disposizioni precedenti non reca alcun termine per il recepimento. La direttiva 92/102/CEE è stata attuata nel nostro Paese con le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1996, n. 317 (»Regolamento recante norme per l'attuazione della direttiva 92/102/CEE relativa all'identificazione e alla registrazione degli animali»).
Nel complesso lo schema di decreto legislativo appare conforme alla normativa comunitaria presupposta.
Nella Relazione illustrativa sono specificate le disposizioni della Direttiva che non vengono recepite dallo schema in esame in quanto fattispecie non configurabili nell'ordinamento italiano.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.40.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Martedì 5 ottobre 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 13.40.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale.
COM(2010)379 def.

(Ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Gianluca PINI, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Gottardo, illustra i contenuti della proposta di direttiva in esame - presentata dalla Commissione europea il 13 luglio scorso - che mira ad introdurre una procedura speciale per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nell'UE per svolgervi un lavoro stagionale, nonché definire i diritti dei lavoratori stagionali.
Il fenomeno, nonostante forti differenze, per dimensioni e settori, da uno Stato membro all'altro, ha un'indubbia rilevanza sia per il sistema produttivo europeo sia per i profili più direttamente connessi alla lotta all'immigrazione illegale e alla integrazione degli immigrati regolari.
È sufficiente richiamare i dati menzionati nella relazione illustrativa della proposta forniti da Spagna (24.838 lavoratori stagionali cittadini di paesi terzi nel 2008), Germania (4.248 lavoratori stagionali nel 2009), Francia (3.860 del 2008 e 2.215 nel 2009), Svezia (7.252 nel 2009), Ungheria (919 nel 2008 e 892 nel 2009), Slovenia (più di 10.000 cittadini di paesi terzi sarebbero ammessi in qualità di lavoratori stagionali nel 2008 e nel 2009). Per quanto riguarda l'Italia, la relazione ricorda che

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nei primi due mesi del 2008 sarebbero state già ricevute 11.273 domande e che per il 2008, il 2009 e il 2010, la quota stabilita dal Ministero dell'Interno per i lavoratori stagionali non cittadini dell'UE è pari a 80.000 unità.
La Commissione osserva che il numero totale di lavoratori stagionali nell'UE potrebbe essere in realtà assai più elevato, in considerazione del fatto che i settori interessati dal lavoro stagionale sono molto esposti all'impiego di cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare o comunque non registrati. Per quanto riguarda i paesi d'origine, la maggior parte dei lavoratori proverrebbe dalle regioni confinanti con l'Unione, in particolare Balcani e Europa orientale, seguite dall'Asia centrale, il Nord Africa e l'America latina. In molti Stati membri i lavoratori stagionali cittadini di paesi terzi svolgerebbero lavori poco qualificati in settori specifici come l'agricoltura (60 per cento della manodopera stagionale in Italia e 20 per cento della manodopera agricola in Grecia) e il turismo (in Spagna i permessi di lavoro rilasciati per impieghi nel settore alberghiero e della ristorazione avrebbero raggiunto il 13 per cento del totale dei permessi di lavoro del 2003), settori nei quali è generalmente forte la domanda di lavoratori manuali o poco qualificati e la carenze di manodopera.
La procedura accelerata per l'ammissione di lavoratori stagionali cittadini di paesi terzi prevista dalla proposta stabilisce che le autorità competenti degli Stati membri saranno tenute ad adottare una decisione sulla domanda e a notificarla per iscritto al richiedente, conformemente alle procedure di notifica previste dalla legge nazionale dello Stato membro interessato, entro 30 giorni dalla presentazione della domanda completa. Nella notifica saranno indicati i motivi della decisione, i possibili mezzi di impugnazione di cui può avvalersi l'interessato nonché i termini entro cui proporli (articolo 13).
È rimesso alla competenza degli Stati membri stabilire se le domande devono essere presentate dal lavoratore o dal datore di lavoro.
La domanda di ammissione in uno Stato membro dovrà essere accompagnata dai seguenti documenti (articolo 5): a) un contratto di lavoro valido o, secondo quanto eventualmente previsto dalla legge nazionale, un'offerta vincolante di lavoro in qualità di lavoratore stagionale nello Stato membro interessato, presso un datore di lavoro stabilito in quello Stato membro, che specifichi la retribuzione e le ore di lavoro settimanali o mensili e, ove del caso, altre condizioni di lavoro pertinenti; b) un documento di viaggio valido, secondo quanto previsto dalla legge nazionale. Gli Stati membri possono esigere che la validità del documento di viaggio copra almeno la durata del permesso di soggiorno; c) la prova che il richiedente dispone o, se previsto dalla legge nazionale, ha fatto richiesta di un'assicurazione sanitaria a copertura di tutti i rischi contro i quali sono normalmente coperti i cittadini dello Stato membro interessato, durante i periodi in cui non dispone di una copertura assicurativa di questo tipo né di prestazioni corrispondenti connesse al contratto di lavoro o in virtù di esso; d) la prova che dispone di un alloggio. A questo proposito (articolo 14) gli Stati membri dovranno obbligare i datori di lavoro a fornire prove del fatto che i lavoratori stagionali beneficeranno di un alloggio che garantisca loro un tenore di vita adeguato. Nel caso in cui i lavoratori stagionali siano tenuti a pagare un affitto per tale alloggio, il costo non dovrà essere eccessivo rispetto alla loro retribuzione.
Gli Stati membri dovranno esigere che il lavoratore stagionale disponga di risorse sufficienti per mantenersi durante il soggiorno senza ricorrere all'assistenza sociale dello Stato membro interessato. Non potranno essere ammessi i cittadini di paesi terzi che sono considerati una minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la salute pubblica.
La proposta non dà quindi luogo ad un vero e proprio diritto di ammissione e non dovrà incidere sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso

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nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro stagionale.
Il periodo massimo di soggiorno è fissato in sei mesi per anno di calendario (articolo 11), ma sono disposte misure per agevolare il reingresso di un lavoratore stagionale in stagioni successive (articolo 12). l'articolo 12 stabilisce inoltre che il cittadino di un paese terzo che non abbia rispettato gli obblighi previsti dalla decisione di ammissione durante un precedente soggiorno in qualità di lavoratore stagionale, in particolare l'obbligo di ritornare in un paese terzo alla scadenza del permesso, sarà escluso dall'ammissione in qualità di lavoratore stagionale per un anno o più anni successivi; il datore di lavoro che non abbia rispettato gli obblighi derivanti dal contratto di lavoro sarà passibile di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. Tale datore di lavoro è escluso dalla richiesta di lavoratori stagionali per uno o più anni successivi.
All'articolo 6 e 7, la proposta specifica i motivi obbligatori e possibili rispettivamente per il rifiuto del permesso o del suo rinnovo ovvero per la sua revoca.
In base all'articolo 16, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro, i lavoratori stagionali avranno inoltre diritto: alle condizioni di lavoro, tra cui la retribuzione e il licenziamento nonché le prescrizioni relative alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, fissate per il lavoro stagionale da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o da contratti collettivi di applicazione generale nello Stato membro in cui sono stati ammessi; a un trattamento uguale a quello riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante, almeno per quanto concerne: a) la libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni rappresentative di lavoratori o a qualunque organizzazione professionale di categoria; b) le disposizioni della legge nazionale relative ai settori di sicurezza sociale; c) il pagamento delle pensioni legali basate sull'impiego precedente del lavoratore, alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro interessato che si spostano in un paese terzo; d) l'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e l'erogazione degli stessi, a esclusione dell'edilizia sociale e dei servizi d'informazione e consulenza forniti dai centri per l'impiego.
Quanto all'esame dei profili di sussidiarietà, propedeutica è la valutazione della correttezza della base giuridica della proposta, costituita dall'articolo 79, paragrafo 2, lettere a) e b) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, relativo allo sviluppo di una politica comune dell'immigrazione, che prevede l'adozione di misure mediante procedura ordinaria nei seguenti settori: condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e titoli di soggiorno di lunga durata; definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinino la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri.
Per quanto attiene alla conformità della proposta al principio di sussidiarietà, la Commissione osserva anzitutto che:
le economie dell'UE hanno un'esigenza strutturale di lavoro stagionale, alla quale diventerà sempre più difficile far fronte ricorrendo ai cittadini dell'UE, soprattutto perché questi ultimi non sono interessati ai lavori stagionali;
in alcuni casi i lavoratori stagionali provenienti da paesi terzi sono sfruttati e sottoposti a condizioni di lavoro inferiori agli standard di legge (mancanza di contratti di lavoro, di copertura previdenziale e di accesso ai servizi sanitari di base, salari inferiori al minimo legale, alloggi inadeguati e mancato accesso alle cure mediche);
i settori dell'economia caratterizzati da una forte presenza di lavoratori stagionali - soprattutto l'agricoltura, l'orticoltura e il turismo - sono spesso identificati come i più esposti all'impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare.

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In questo quadro la Commissione sostiene la necessità di un intervento legislativo a livello UE per i seguenti motivi:
anche se i lavoratori cittadini di paesi terzi entrano in uno specifico Stato membro dell'UE, decidendo in merito ai loro diritti ogni Stato può influenzare gli altri. I diversi trattamenti riservati ai cittadini di paesi terzi nei vari Stati membri producono conseguenze di carattere sovranazionale, che oltrepassano il campo d'applicazione delle leggi nazionali;
lo spazio Schengen senza controlli alle frontiere interne richiede norme minime comuni volte a ridurre il rischio di soggiorni fuori termine e di ingressi illegali, che potrebbero derivare da regole poco rigorose o incoerenti in materia di ammissione dei lavoratori stagionali;
occorre evitare che i lavoratori stagionali cittadini di paesi terzi siano sfruttati o sottoposti a condizioni di lavoro inferiori agli standard di legge, fissando determinati diritti socio-economici con uno strumento vincolante, e pertanto dotato di forza esecutiva, a livello dell'UE;
uno strumento UE sui lavoratori stagionali agevolerebbe la cooperazione con i paesi terzi, offrendo all'UE la possibilità di agevolare la migrazione di lavoratori poco qualificati o non qualificati e rafforzando l'impegno dei paesi terzi nella lotta contro l'immigrazione illegale.

La relazione che accompagna la proposta sottolinea inoltre che la misura proposta rispetta la competenza degli Stati membri nel determinare il volume di ingresso nell'UE dei migranti economici, anche mediante quote nazionali. Le argomentazioni della Commissione europea appaiono convincenti e confermate dalle analisi del fenomeno nel nostro Paese ed in altri stati dell'UE.
A conclusioni analoghe è giunto il Bundestag tedesco, che si è espresso favorevolmente, formulando osservazioni al proprio Governo in vista dei negoziati in seno al Consiglio e la Commissione Lavoro del Senato, che ha adottato una risoluzione nello scorso mese di settembre.
Pareri motivati per violazione del principio di sussidiarietà sono stati invece adottati dal Senato della Repubblica ceca e dalla Sottocommissione permanente per gli affari europei del Nationalrat austriaco. Nel parere motivato adottato il 22 settembre 2010, il Senato ceco rileva come un intervento legislativo dell'Unione europea in tale settore non sia necessario e la materia debba essere piuttosto regolata dai singoli ordinamenti nazionali, in funzione delle esigenze dei rispettivi mercati del lavoro; afferma, inoltre, che il testo proposto dalla Commissione europea garantirebbe ai cittadini di paesi terzi un trattamento più favorevole rispetto ai cittadini dei nuovi Stati membri UE, ancora soggetti a specifici regimi transitori. Il parere motivato della Sottocommissione permanente per gli Affari europei del Nationalrat austriaco, pubblicato sul sito IPEX, sottolinea che nessuna delle argomentazioni addotte nella proposta della Commissione europea, relativamente alla conformità della stessa al principio di sussidiarietà, appaiono sufficientemente fondate, lamenta l'inadeguatezza della base giuridica e sottolinea inoltre la necessità che i costi amministrativi e finanziari per i Governi, gli operatori economici e i cittadini siano ridotte al minimo e commisurate agli obiettivi perseguiti.
Queste argomentazioni non appaiono tuttavia appropriate. Per quanto riguarda il Senato ceco, si osserva che le differenze nei mercati del lavoro nazionali non sembrano affatto obliterate dalla proposta di direttiva che lascia ampia discrezionalità agli Stati membri; la questione del trattamento più favorevole dei lavori extracomunitari rispetto ai cittadini dei nuovi Stati membri UE, ancora soggetti a specifici regimi transitori, è una questione di merito che non dovrebbe essere pertanto sollevata in sede di controllo di sussidiarietà. Analoghe considerazioni valgono per il Nationalrat austriaco che formula rilievi relativi alla base giuridica e al rispetto del

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principio di proporzionalità, anch'essi estranei al meccanismo di allerta precoce.
I due pareri motivati sollevano una questione di metodo che è stata oggetto di discussione anche in seno alla XIV Commissione: il ricorso «ultroneo» ai pareri motivati per sollevare obiezioni non strettamente attinenti al controllo di sussidiarietà, in palese contrasto con la lettera del Trattato, dei Protocolli ad esso allegati e con l'interpretazione data ad essi dalle Istituzioni europee. Ricorda a questo riguardo che la Commissione europea e, per gli atti di sua competenza il Consiglio, hanno già comunicato ai Parlamenti nazionali che computeranno, in coerenza con il Trattato, ai fini del calcolo delle soglie previste dall'allerta precoce, i soli pareri motivati che sollevino obiezioni, di qualsiasi tipo, sul rispetto di una proposta legislativa con il principio di sussidiarietà. Anche il Presidente del Parlamento europeo Buzek, con una lettera inviata ai presidenti dei Parlamenti nazionali, ha comunicato che il Parlamento europeo terrà conto, ai fini dell'applicazione della specifiche procedure regolamentari in materia di sussidiarietà, esclusivamente dei pareri motivati che contengano obiezioni relative alla non conformità di un progetto legislativo con il principio di sussidiarietà. Gran parte dei Parlamenti nazionali - tra cui la Camera - ha conseguentemente deciso di limitare il meccanismo di allerta precoce al solo controllo di sussidiarietà.
Va anzi ricordato che diversi Parlamenti - da ultimi la Camera ceca e il Parlamento danese - hanno invitato anche gli altri Parlamenti nazionali ad attenersi ad un'interpretazione rigorosa del controllo di sussidiarietà al fine di evitare il rischio di confondere strumenti distinti di intervento dei Parlamenti nazionali. Alla luce di queste considerazioni, ribadisce, a nome del relatore, la valutazione positiva sulla conformità della proposta al principio di sussidiarietà.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai sistemi di garanzia dei depositi.
COM(2010)368 def.

(Ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Gianluca PINI, presidente, in sostituzione del relatore, onorevole Formichella, illustra i contenuti della proposta di direttiva in esame - presentata dalla Commissione europea il 12 luglio scorso - che prospetta una rifusione della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (DGS), modificata, da ultimo, lo scorso anno dalla direttiva 2009/14/CE.
Le ragioni di una modifica a così breve distanza dall'entrata in vigore di tale ultima direttiva risiedono, secondo la Commissione, nell'esigenza di completare il quadro normativo vigente tenendo conto dell'analisi approfondita svolta dalla Commissione e delle posizioni espresse dagli Stati membri e dalla BCE nonché delle osservazioni formulate dalle parti in causa nel corso di una consultazione che si è conclusa nel 2009.
La relazione e la valutazione di impatto che accompagnano la proposta individuano infatti numerose lacune dell'attuale sistema di garanzia dei depositi nell'UE.
In primo luogo, l'approccio dell'armonizzazione minima sotteso alla direttiva 94/19/CE ha determinato la coesistenza nell'UE di circa 40 differenti sistemi di garanzia dei depositi nell'UE, ciascuno dei quali prevede diversi livelli di copertura ed impone alle banche obblighi finanziari variabili. Ne discende una frammentazione che è inefficace ai fini della protezione dei depositi ed incoerente con l'obiettivo di garantire il buon funzionamento del mercato interno.
In secondo luogo, la disciplina europea vigente consente agli Stati membri di escludere dalla protezione molti tipi di depositanti, inclusi i circa 20 milioni di PMI - il 99,8 per cento di tutte le imprese dell'UE - la cui fiducia è fondamentale per la stabilità finanziaria.
In terzo luogo, permangono differenze considerevoli per quanto riguarda la gamma dei depositi coperti dai DGS, ad esempio l'inclusione o meno di depositi in valute non UE, prodotti strutturati e certificati di debito.
In quarto luogo, risulta evidente l'inadeguatezza delle informazioni fornite ai depositanti i quali potrebbero esitare a depositare denaro in altri Stati membri se non conoscono le modalità operative e di rimborso degli altri DGS.
Infine, la Commissione denuncia l'inadeguatezza e i ritardi delle procedure di rimborso, nonostante la riduzione disposta dalla direttiva 2009/14/CE, a partire dal 31 dicembre 2010, del termine per il rimborso da tre mesi a quattro/sei settimane.
La proposta in esame reca misure volte a dare una soluzione ai problemi richiamati al fine di migliorare ulteriormente la protezione dei depositanti.
Un primo gruppo di disposizioni (articoli 1-3) attiene all'ambito di applicazione e ai meccanismi di vigilanza vigenti. In particolare: si consente la fusione dei DGS all'interno di uno Stato membro ovvero tra DGS di Stati membri diversi; si estende a tutte le banche l'obbligo di appartenere ad un DGS per far sì che tutti i depositanti possano vantare diritti nei confronti di un sistema; si stabilisce, al fine di evitare che i DGS si espongano a rischi imprevedibili con i prodotti di investimento, che i depositi dovranno comprendere soltanto gli strumenti interamente rimborsabili. Saranno pertanto esclusi i prodotti strutturati, i certificati e le obbligazioni; si impone una vigilanza su base continuativa su tutti i DGS che dovranno eseguire prove di stress periodiche dei loro sistemi. Gli Stati membri dovranno essere informati qualora tali prove evidenzino problemi che potrebbero determinare l'attivazione dei DGS.
Un secondo gruppo di modifiche (articoli 4-8) incide sulle regole di ammissibilità al regime di garanzia e sui rimborsi, sposando l'approccio della massima armonizzazione al fine di assicurare pari condizioni in tutti gli Stati membri. In particolare, si stabilisce:
l'inclusione tra i depositanti ammessi di tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, in modo da consentire notevoli risparmi di risorse e tempo necessari per verificare le dimensioni delle imprese durante la procedura di rimborso. Sarebbero invece escluse le autorità pubbliche per tre ordini di motivi: 1) considerato il loro numero limitato rispetto a tutti gli altri depositanti, l'impatto sulla stabilità finanziaria nel caso del fallimento di una banca sarebbe minimo; 2) anche in caso di insolvenza tecnica di tali autorità, il diritto nazionale offre i mezzi per garantire che esse possano continuare ad assolvere le proprie funzioni di base a beneficio dei cittadini; 3) infine, le autorità pubbliche, hanno più facilmente accesso al credito rispetto ai cittadini;
la facoltà per gli Stati membri di superare la soglia per il rimborso di 100.000 euro (in vigore a partire dal 31 dicembre 2010) per i depositi derivanti da operazioni immobiliari e quelli inerenti a determinati eventi della vita (matrimonio, divorzio, invalidità o decesso), purché la copertura sia limitata a 12 mesi. L'importo di 100 mila euro sarà oggetto di riesame periodico, almeno ogni cinque anni, da parte della Commissione, alla luce degli sviluppi del settore bancario e della situazione economica e monetaria;
la riduzione dei termini di rimborso a sette giorni, senza presentazione di alcuna richiesta da parte dei depositanti.

Un terzo gruppo di disposizioni (articoli 9-12 e allegati I e II) concerne il finanziamento dei DGS e i prestiti tra DGS nonché la cooperazione transfrontaliera. In particolare, al fine di garantire un finanziamento adeguato dei DGS, si prospetta l'elaborazione di un meccanismo in quattro fasi che diventerà operativo solo dopo un periodo di transizione di 10 anni: 1) i DGS dovranno disporre dell'1,5 per cento dei depositi oggetto di tutela (cosiddetto livello-obiettivo), costituito da versamenti ex ante delle banche aderenti; 2) se in caso di fallimento di una banca i suddetti mezzi finanziari risultino insufficienti, le banche dovranno versare ex post contributi straordinari fino allo 0,5 per cento dei depositi ammissibili. Qualora tale pagamento abbia un impatto negativo su una banca, quest'ultima potrà essere esentata dalle autorità competenti su base individuale. Di conseguenza i fondi ex ante dovranno costituite il 75 per cento dei finanziamenti dei DGS, mentre i contributi ex post il 25 per cento; 3) in caso di necessità, è prevista la possibilità per un DGS di ottenere prestiti da tutti gli altri DGS nell'UE, per un importo che non dovrà superare globalmente lo 0,5 per cento dei suoi depositi ammissibili, proporzionalmente all'importo dei depositi ammissibili in ciascun paese; 4) infine, i DGS dovranno disporre di sistemi di finanziamento alternativi.
Al fine di agevolare il rimborso in situazioni transfrontaliere, si prevede altresì che il DGS del paese ospitante funga da punto di contatto unico per i depositanti di succursali di banche di un altro Stato membro, fornendo ai depositanti informazioni nella lingua del paese ospitante e fungendo da casella postale e agente pagatore per il DGS del paese d'origine. Nella valutazione di impatto si sottolinea che al fine migliorare la cooperazione transfrontaliera tra i DGS si potrebbe valutare in prospettiva la creazione di una rete di DGS a livello UE. Questo sarebbe il primo passo verso la creazione, in linea con gli sviluppi della nuova vigilanza finanziaria europea e delle misure di risoluzione delle crisi bancarie, di un unico sistema di garanzia dei depositi paneuropeo che dovrebbe comprendere tutte le banche. Tale soluzione consentirebbe di superare l'attuale frammentazione del sistema, riducendo le spese amministrative di circa 40 milioni di euro l'anno. Entro il 31 dicembre 2015 la Commissione presenterà una relazione, corredata se necessario di una proposta legislativa, al fine di valutare il passaggio ad un unico sistema DGS per tutta l'UE.
Un quarto gruppo di disposizioni (articolo 14 e allegato III) concerne il miglioramento dell'informazione dei depositanti sugli aspetti fondamentali della protezione dei depositi, quali il livello di copertura, i termini di rimborso o le modalità di funzionamento di un DGS. A tal fine si suggerisce che al momento dell'apertura di un deposito, il cliente controfirmi un foglio informativo contenente tutte le informazioni rilevanti circa la copertura dei depositi da parte del DGS responsabile. I titolari di depositi esistenti dovranno essere informati tramite l'estratto conto.
Infine, la proposta in esame riconosce all'Autorità bancaria europea (EBA) - una delle tre autorità di vigilanza previste dal nuovo quadro di vigilanza finanziaria europeo - precise funzioni in relazione ai sistemi di garanzia dei depositi.
Quanto all'esame dei profili di sussidiarietà, è propedeutica la valutazione della correttezza della base giuridica della proposta, costituita dall'articolo 53, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE) che, in combinato disposto con l'articolo 54, paragrafo 1, del medesimo Trattato prevede l'emanazione di direttive riguardanti l'accesso all'attività di imprese quali enti creditizi ed il suo esercizio. Tale disposizione che costituisce uno strumento essenziale per la realizzazione del mercato interno, appare appropriata alla luce del contenuto e delle finalità della proposta che mira a miglio rare la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi finanziari nel settore degli enti creditizi.
Per quanto attiene alla conformità della proposta al principio di sussidiarietà, la Commissione nella relazione illustrativa osserva che gli obiettivi dell'intervento normativo da essa prospettato non possono essere realizzati in maniera adeguata dagli Stati membri, ma possono essere realizzati meglio a livello UE, in particolare per quanto riguarda l'armonizzazione in settori quali la copertura, il rimborso o il finanziamento che comporta l'allineamento di diverse norme degli ordinamenti giuridici nazionali.
Ad avviso della Commissione, solo un intervento a livello europeo può: imporre requisiti analoghi in materia di DGS per gli enti creditizi operanti in più di uno Stato membro; garantire parità di condizioni operative; evitare costi indebiti per il rispetto della normativa in caso di attività transfrontaliere; promuovere l'ulteriore integrazione del mercato interno dell'UE; assicurare un elevato livello di stabilità finanziaria nell'ambito dell'UE.
Alla luce delle argomentazioni della Commissione e delle lacune emerse nel corso della crisi economica e finanziaria, la proposta di direttiva in esame appare nel complesso coerente con il principio di sussidiarietà. Gli effetti negativi per le banche, i risparmiatori e le piccole e medie imprese dell'attuale frammentazione tra oltre 40 sistemi nazionali di garanzia, funzionanti in base a regole fortemente differenziati, sono evidenti. È evidente che la natura stessa, prevalentemente transnazionale dei servizi bancari, impongono che le misure di protezione dei risparmiatori, incluse le PMI depositanti, di consolidamento della fiducia e della stabilità finanziaria siano assunte a livello europeo, secondo un approccio ispirato all'armonizzazione massima anziché minima. Sarebbe anzi giustificata sin d'ora, anche in coerenza con la creazione del nuovo sistema di vigilanza finanziaria europea e delle misure comuni di risoluzione delle crisi bancarie, l'istituzione di un unico sistema di garanzia dei depositi paneuropeo che dovrebbe comprendere tutte le banche.
La conformità della proposta al principio di sussidiarietà è stata sinora esaminata - in base ai dati riportati nella banca dati IPEX - da 11 parlamenti o camere nazionali; il solo Bundesrat tedesco ha adottato un parere motivato sostenendo la non conformità di alcune parti della proposta con il principio di sussidiarietà, essenzialmente in quanto essa non tiene conto delle varie tipologie di banche esistenti in Germania e della loro articolazione territoriale.
Inoltre, la Commissione finanze del Parlamento svedese ha proposto l'adozione di un parere motivato all'Aula - che delibererà il 6 ottobre prossimo - ritenendo non conformi al principio di sussidiarietà delle disposizioni che impongono in caso di necessità, ai DGS di tutti gli Stati membri dell'UE di erogare prestiti ad un DGS, per un importo che non dovrà superare globalmente lo 0,5 per cento dei suoi depositi ammissibili.
Secondo fonti informali, anche il Bundestag tedesco avrebbe rilevato profili di possibile contrasto della proposta con il principio di sussidiarietà e potrebbe esprimere un parere motivato (il primo dall'entrata in vigore del Trattato), questa settimana stessa. Non risultano tuttavia noti, per il regime di pubblicità dei lavori del Bundestag, i profili di criticità sinora individuati.
Tenendo da parte i rilievi del Bundesrat, riferibili essenzialmente alla particolare articolazione del sistema bancario tedesco, queste argomentazioni non appaiono convincenti, essendo il meccanismo obbligatorio di erogazione dei prestiti una misura ispirata a criteri di solidarietà e mantenimento della stabilità finanziaria nell'UE. Andrebbero invece esaminati con maggiore attenzione, anche ai fini dell'esame di sussidiarietà, alcune previsioni della proposta che potrebbero incidere negativamente sul sistema bancario italiano. È il caso, in particolare, del nuovo sistema armonizzato di finanziamento dei Fondi fondato sulla contribuzione sostanzialmente ex ante che obbligherebbe l'Italia ad abbandonare il meccanismo di finanziamento ex post attualmente in essere. Non è chiaro quale impatto tale innovazione potrebbe produrre sulle banche italiane e quindi sulla loro disponibilità all'erogazione del credito al sistema produttivo.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.45.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino.
Atto n. 233.