CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 settembre 2010
371.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 15

ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli e il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Sonia Viale.

La seduta comincia alle 14.15.

Pag. 16

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.
Atto n. 236.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 settembre 2010.

Donato BRUNO, presidente, ricorda che nella giornata di ieri la Commissione ha ascoltato in audizione i rappresentanti delle diverse associazioni di categoria interessate dal provvedimento e che il parere al Governo dovrà essere espresso, secondo quanto convenuto con il Governo stesso, entro giovedì 30 settembre.

Carlo NOLA (PdL) rileva come i rappresentanti delle diverse associazioni di imprese produttrici e di utilizzatori di armi per usi sportivi ascoltate nella giornata di ieri abbiano manifestato l'impressione che lo schema di decreto in esame nasconda un intento punitivo nei loro confronti. Si tratta senza dubbio di un'impressione priva di fondamento e per questo invita il Governo a rivedere le disposizioni del provvedimento che determinano a carico dei destinatari appesantimenti burocratici non giustificati dalla finalità della direttiva europea, che è quella di incrementare la sicurezza pubblica e di limitare i rischi derivanti dall'uso illegale delle armi.
In particolare, ritiene necessario rivedere l'articolo 3, comma 1, lettera g) dello schema di decreto, che assoggetta l'attività di ricarica delle munizioni all'obbligo di acquisizione di uno specifico provvedimento abilitativo: premesso infatti che si tratta di un'attività che quasi tutti coloro che impiegano armi per usi sportivi compiono da sé, imporre l'acquisizione di una licenza per la ricarica di munizioni a soggetti che sono già in possesso di titoli abilitativi per l'uso delle armi e che hanno quindi comprovata dimestichezza con le munizioni, appare non solo inutile, ma vessatorio; senza contare poi che la materia degli esplosivi non è oggetto della direttiva che il decreto legislativo è chiamato a recepire.
Richiamato quindi l'articolo 5, comma 1, lettera f), che vieta la sostituzione della parte, compresa la canna, su cui è apposta la marcatura, anche qualora inservibile per rottura o usura, fa presente che - come sa chiunque abbia una dimestichezza anche solo superficiale con le armi da fuoco - la canna è una parte normalmente soggetta ad usura e quindi bisognosa di sostituzione periodica; la sostituzione della canna è peraltro una pratica già regolamentata dalle normative vigenti al fine di assicurare la sicurezza dell'arma.
Quanto all'articolo 5, comma 1, lettera c), che impone di ridurre del 20 per cento le dimensioni degli strumenti riproducenti armi, comprese le scacciacani, e vieta l'utilizzo di metalli per le parti essenziali dei soft-air, fa presente che si tratta di disposizioni che, senza un'apprezzabile utilità in termini di incremento della sicurezza pubblica, minacciano di distruggere le imprese italiane che producono questo genere di merci, le quali sono destinate per la grande maggioranza all'esportazione: scacciacani ridotte del 20 per cento rispetto agli originali che imitano sarebbero infatti prive di interesse e il mercato si rivolgerebbe quindi a produttori di altri paesi; lo stesso dicasi per i soft-air, dal momento che sul mercato mondiale i più apprezzati e ricercati sono proprio quelli che contengono parti in metallo.
Un'altra disposizione che ritiene necessario rivedere è l'articolo 6, comma 7, che prevede che per i fucili da caccia in grado di incamerare le munizioni delle armi corte non si possano detenere più di duecento cartucce cariche.
Parimenti, occorre a suo avviso rivedere la previsione dell'obbligo di licenza per l'esercizio dell'attività di intermediario nel settore delle armi. Premesso che il testo inglese della direttiva parla di broker, ossia più propriamente «mediatore», e di weapons, ossia di armi militari, va detto

Pag. 17

che non ha senso assoggettare all'obbligo di licenza anche il semplice rappresentante di commercio che propone o tratta la vendita di partite di armi per usi civili. Parimenti insensato, a suo avviso, è l'obbligo di licenza per il vettore che trasporti parti di arma.
Infine, ritiene necessario rivedere l'articolo 3, comma 1, lettera i), che prevede l'acquisizione della licenza del questore anche per i poligoni abilitati ai sensi della vigente normativa all'addestramento al tiro: si tratta infatti di poligoni la cui attività è già vigilata dal Ministero dell'interno e dal Ministero della difesa.
In conclusione, auspica che il relatore vorrà tenere conto di queste osservazioni nella formulazione della sua proposta di parere per il Governo.

Gabriele CIMADORO (IdV) si associa al deputato Nola, del quale condivide interamente le osservazioni.

Luciano ROSSI (PdL) osserva innanzitutto che lo schema in esame demanda la disciplina di numerosi punti a successivi provvedimenti del Governo, attribuendo così a quest'ultimo, e quindi alle amministrazioni competenti, il potere di innovare, senza neanche il vincolo di criteri direttivi o principi stabiliti per legge, materie di grande rilievo per i cittadini e per la sicurezza pubblica. Si tratta in sostanza di un'ampia delegificazione che sottrae al controllo parlamentare e al contraddittorio con i cittadini, una larga parte della disciplina in materia di armi. Per limitare questo eccessivo potere del Governo, è necessario, a suo avviso, prevedere quanto meno che nella fase di formazione dei provvedimenti attuativi le amministrazioni competenti abbiano l'obbligo di confrontarsi con i rappresentanti del settore, dei tiratori e dei cacciatori, direttamente e attraverso i rappresentanti presenti negli organi consultivi.
Venendo quindi al merito delle norme proposte, premesso che le direttive comunitarie tendono ad unire l'Europa armonizzandone le normative, non si possono condividere quelle norme dello schema in esame che non sono attuative di disposizioni contenute nella direttiva e che pertanto differenziano l'ordinamento italiano dagli altri: per esempio quelle che riguardano l'autorizzazione alla ricarica delle munizioni; il divieto delle armi corte calibro 9 x19 parabellum; la qualificazione dei caricatori come parti d'arma ai fini dell'obbligo di avviso per il trasporto; le armi a salve; i soft-air. Su queste disposizioni il relatore dovrebbe, a suo avviso, proporre un parere contrario.
Per quanto riguarda, in particolare, il divieto delle armi corte calibro 9 x 19 parabellum, osserva che esso non solo non è previsto dalla direttiva, ma produrrebbe una diversità dell'Italia rispetto al resto dell'Europa comunitaria, impedendo la libera circolazione di merci e tiratori. Tale norma non appare inoltre fondata nella delega legislativa, in violazione dell'articolo 76 della Costituzione.
Parimenti non prevista dalla direttiva comunitaria, che si occupa solo degli oggetti trasformabili in armi da fuoco, è la disciplina delle soft-air, che andrebbe pertanto espunta dal provvedimento.
Sono invece apprezzabili quelle norme che, sebbene non specificamente previste nella direttiva, possono contribuire all'armonizzazione delle legislazioni: è il caso, per esempio, delle norme sui laser da puntamento di classe 3A, che sono comunque accessori d'arma in quanto coadiuvano le mire metalliche nel puntamento.
Peraltro le norme contenute nella direttiva devono essere attuate tenendo presente la loro funzione e finalità. Per quanto riguarda la norma sull'autorizzazione dell'intermediario - o per meglio dire, del mediatore - di armi civili, previsto dalla direttiva e dal Protocollo ONU con la finalità di prevenire il traffico di armi, è stato detto nelle audizioni di ieri che la figura del broker è sconosciuta per le armi non militari, ed è vero. Non è peraltro impossibile che vi siano professionisti che operano l'intermediazione al fine di facilitare il trasferimento di armi non militari - in particolare pistole - per esempio destinate alle forze di polizia di

Pag. 18

altri Paesi. La norma sull'intermediario ha pertanto una sua ragion d'essere, a condizione tuttavia di escludere dalla sua applicazione i rappresentanti delle aziende operanti nel settore e di precisare che il mediatore, come è disposto dal codice civile, non deve avere rapporti di dipendenza o di collaborazione con le parti Non escludere i rappresentanti delle aziende significherebbe operare una restrizione della libertà dei cittadini e delle imprese che non potrebbe non risolversi in maggiori costi e diminuzione di competitività del sistema-Paese; tanto più che tale previsione non comporta alcun incremento della pubblica sicurezza, dal momento che le armi civili sono perfettamente tracciate dalla fabbricazione fino alla distruzione e i dati che le riguardano sono sempre disponibili alle forze dell'ordine.
Un altro punto su cui vale la pena di riflettere è quello della definizione di parte d'arma con riferimento alla distinzione tra semilavorato e parte. Occorre che sia stabilito con chiarezza che un semilavorato, a prescindere dalle lavorazioni meccaniche operate o da operare, è una parte inidonea ad essere utilizzata in un'arma, proprio perché non finita. Mancare di chiarezza su questo delicato punto rischia di determinare gravi conseguenze per le aziende, costrette a chiedere autorizzazioni per la movimentazione di alcuni milioni di pezzi l'anno e un corrispondente aggravio di lavoro per gli uffici amministrativi competenti.
Conclude auspicando che il relatore intenda formulare una proposta di parere concepita nell'ottica della rappresentanza dei cittadini e della difesa dei loro spazi di libertà.

Alessandro NACCARATO (PD) intende sottoporre al relatore alcuni elementi di riflessione che, a suo avviso, andrebbero tenuti in considerazione nella elaborazione del parere della Commissione.
Rileva come alla base della normativa comunitaria e, quindi, del provvedimento in esame vi siano le condivisibili esigenze di tutelare, da una parte, il principio di libera circolazione e, dall'altra parte, la sicurezza pubblica ed una maggiore incolumità dei cittadini.
Al contempo, viene introdotto nell'ordinamento italiano il principio della tracciabilità applicato alle armi da fuoco, da accogliere positivamente. Ugualmente, alcune misure previste dallo schema di decreto in esame sono da considerare un importante passo in avanti verso una sempre maggiore tutela dell'incolumità pubblica. Tra queste, in particolare, la certificazione medica ogni sei anni per i detentori di armi e quella sulla non assunzione di sostanze stupefacenti e il non abuso di alcool.
Concorda inoltre sulla formulazione prevista nel testo per assicurare che chi detiene armi ne dia comunicazione al coniuge ed ai conviventi che abbiano raggiunto la maggiore età, così come la parte che riguarda le armi giocattolo.
Si sofferma, quindi, su due aspetti che a suo avviso necessitano di maggiori chiarimenti, anche alla luce di quanto emerso nel corso delle audizioni svolte nella seduta di ieri. In primo luogo, occorre evidenziare nel parere della Commissione il fatto che parte della delega è rimessa all'adozione di provvedimenti governativi di cui, oltretutto, non si specifica la natura e la procedura. Al contempo, occorre sottolineare l'opportunità di evitare procedure ed eccessi burocratici non previsti dalla direttiva comunitaria.

Raffaele VOLPI (LNP) evidenzia l'opportunità che sul provvedimento in esame la Commissione tenga conto di tutte le sensibilità espresse nel corso dell'audizione svolta nella seduta di ieri. Va infatti considerato che il settore delle armi costituisce, per un paese come l'Italia, un ambito importante di attività, che consente di dare molti posti di lavoro, soprattutto in alcune province come quella di Brescia.
Occorre pertanto evitare di introdurre nell'ordinamento italiano appesantimenti burocratici, che non siano direttamente previsti dalla normativa comunitaria, così da evitare di danneggiare un settore che

Pag. 19

ha dimostrato una buona capacità di rimanere sul mercato nonostante la crisi economica internazionale.
Il rischio è che venga penalizzato il ruolo dell'Italia nell'esportazione di armi da fuoco in tutto il mondo.

Michele BORDO (PD) si sofferma sulle previsioni della lettera i) del comma 1 dell'articolo 3, che introduce l'obbligo di licenza rilasciata dalla autorità di pubblica sicurezza per l'apertura o la gestione di campi di tiro o di poligoni privati. Per i poligoni rientranti tra quelli abilitati all'addestramento al tiro ai sensi della normativa vigente, è invece richiesta la licenza del questore.
Al riguardo, è necessario a suo avvio che si tengano distinti i campi di tiro che già sono sottoposti a specifici controlli rispetto a quelli privati.

Pierguido VANALLI (LNP), relatore, si riserva di presentare una proposta di parere nel corso della prossima seduta, tenendo conto di quanto emerso nelle audizioni svolte e di quanto evidenziato dai colleghi nella seduta odierna, oltre che di quanto già sottolineato nella proposta di parere elaborata dal relatore presso la 1o Commissione del Senato

Mario TASSONE (UdC) si riserva di intervenire dopo aver letto la proposta di parere che il relatore presenterà.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori.

Donato BRUNO, presidente, propone di invertire l'ordine del giorno e di passare ora all'esame, in sede referente, della proposta di legge C. 3572 Reguzzoni (Disposizioni per il trasferimento a Milano delle sedi della Commissione nazionale per le società e la borsa e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato), in modo da non trattenere oltre il sottosegretario Viale, che deve raggiungere il Senato per altri impegni istituzionali.

La Commissione concorda.

La seduta termina alle 14.45.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli e il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Sonia Viale.

La seduta comincia alle 14.45.

Disposizioni per il trasferimento a Milano delle sedi della Commissione nazionale per le società e la borsa e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
C. 3572 Reguzzoni.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 settembre 2010.

Linda LANZILLOTTA (Misto-ApI) ritiene che il disegno di legge in esame possa essere valutato in due modi, a seconda che lo si consideri come un primo passo in direzione della dispersione dei Ministeri e quindi della disgregazione delle funzioni di governo statali annunciata dalla Lega Nord Padania e rispetto alla quale il Capo dello Stato ha espresso preoccupazione ovvero come una proposta tendente alla razionalizzazione di alcune specifiche funzioni amministrative statali.
Nel primo caso, la sua valutazione del provvedimento sarebbe negativa, dal momento che, a suo avviso, le funzioni di governo statali non potrebbero essere disperse tra città diverse senza con questo minare l'unità dell'azione di governo, atteso che il Consiglio dei ministri è un organo collegiale, e quindi l'unità della

Pag. 20

Repubblica. Nel secondo caso, invece, il provvedimento potrebbe essere valutato nel merito e forse anche condiviso. Non c'è infatti in linea di principio una ragione per la quale le sedi di tutte le pubbliche amministrazioni debbano essere nella capitale: vi sono Stati nei quali non è così ed anche in Italia è previsto che alcune autorità amministrative indipendenti abbiano sede fuori Roma, nello specifico si tratta dell'Autorità per l'Energia elettrica e il gas (Aeeg), che ha sede a Milano, e dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che ha sede a Napoli.
La scelta di stabilire la sede di un'amministrazione fuori della capitale va peraltro ponderata con attenzione, alla luce delle specifiche funzioni attribuite ad ogni singola amministrazione, per evitare effetti perversi sul bilancio pubblico: è evidente infatti che se un'amministrazione con sede decentrata deve per la natura dei compiti che le sono affidati intrattenere rapporti fitti con enti o amministrazioni site nella capitale, essa dovrà avere una sede secondaria a Roma e si saranno quindi raddoppiate le spese.
Ciò premesso, ritiene che, prima di procedere nell'esame della proposta di legge, si debba valutare se sussistano ragioni di carattere funzionale per le quali possa essere utile trasferire la sede delle due amministrazioni richiamate, la Consob e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. A tal fine ritiene che sarebbe senz'altro utile audire i presidenti delle due Autorità.
In generale, per quanto riguarda la Consob, il trasferimento della sua sede a Milano potrebbe non essere irragionevole, atteso che qui hanno sede i principali referenti della Consob, a cominciare dalla Borsa. Va però tenuto presente che l'operazione ha un costo, dal momento che le strutture e i dipendenti della Consob sono attualmente a Roma e andrebbero pertanto in qualche modo trasferiti.
Quanto invece all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si occupa della regolazione di un mercato che è nazionale ed anzi europeo e che ha come referenti imprese operanti su scala molto grande, il suo trasferimento fuori della capitale potrebbe non essere vantaggioso sotto il profilo dell'efficienza, dal momento che questa efficienza dipende anche dalla possibilità di interloquire rapidamente con enti ed organismi, anche pubblici, che di fatto hanno sede a Roma.
In conclusione, ritiene che si possa essere favorevoli al principio del decentramento delle sedi, salvo però valutare caso per caso la utilità e convenienza funzionale di questo decentramento. Invita pertanto la relatrice a valutare separatamente il caso della Consob e quello dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, alla luce delle rispettive specificità.

Gianclaudio BRESSA (PD) concorda con la proposta formulata dalla collega Lanzillotta relativamente allo svolgimento di talune audizioni sulla proposta di legge in titolo. Tale provvedimento, infatti, può essere oggetto di approfondimento se viene depurato dalla propaganda politica che ha recentemente accompagnato il tema della delocalizzazione delle sedi istituzionali

Mario TASSONE (UdC) prende atto della richiesta di svolgere talune audizioni, testè formulata dalla collega Lanzillotta. Certamente la proposta di legge richiede un'ampia riflessione e potrebbe anche trovare una sua ragion d'essere per quanto riguarda un organismo come la Consob; tuttavia, occorre a suo avviso valutare l'opportunità di affrontare, in questa fase, il tema politico che essa pone, anche alla luce della recente proposta di delocalizzare le sedi dei ministeri.
Evidenzia come ci si trovi di fronte ad una proposta di legge che ha un sapore di strumentalizzazione. Ricorda che il suo gruppo ha espresso un orientamento contrario rispetto al tema del federalismo e la proposta di legge in esame fa parte di tale disegno politico.
Invita pertanto tutti i gruppi a svolgere una serena valutazione sulla proposta di legge in esame.

Raffaele VOLPI (LNP) valuta con favore l'apertura che ha colto nell'intervento

Pag. 21

della collega Lanzillotta rispetto alla proposta di legge in esame. Chiede quindi alla relatrice di svolgere uno specifico approfondimento riguardo alla possibilità di trasferire da Roma eventualmente anche le sedi di altre amministrazioni, fermo restando che la Lega è dell'avviso che più enti pubblici potrebbero essere trasferiti.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta, sospesa alle 15.05, riprende alle 15.25.

Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab.
C. 627 Binetti, C. 2422 Sbai, C. 2769 Cota, C. 3018 Mantini, C. 3020 Amici, C. 3183 Lanzillotta, C. 3205 Vassallo e C. 3368 Vaccaro.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 settembre 2010.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime di tragedie causate dall'incuria dell'uomo e dalle calamità naturali.
Testo base C. 3351 Rossa e C. 197 Murgia.

(Seguito dell'esame e conclusione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 15 settembre 2010.

Donato BRUNO, presidente, avverte che sono pervenuti il nulla osta della V Commissione, il parere favorevole con condizione della VII Commissione, i pareri favorevoli della VIII e della X Commissione e il parere favorevole con un'osservazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali sul testo risultante dall'esame degli emendamenti. Preso quindi atto che il relatore non intende presentare nuovi emendamenti, propone di concludere l'esame del provvedimento in sede referente, conferendo il mandato al relatore, salvo poi verificare la sussistenza dei presupposti per la richiesta di trasferimento alla sede legislativa.

Gianclaudio BRESSA (PD) rileva che manca il tempo perché il provvedimento diventi legge entro il prossimo 9 ottobre, ma ritiene che sarebbe comunque significativo se entro tale data il provvedimento fosse approvato almeno dalla Camera dei deputati. Preannuncia pertanto che il suo gruppo è favorevole a chiedere il trasferimento alla sede legislativa.

Mario TASSONE (UdC) dichiara che anche il suo gruppo è favorevole al trasferimento alla sede legislativa.

Giuseppe CALDERISI (PdL) dichiara che anche il suo gruppo è favorevole al trasferimento alla sede legislativa.

Pierguido VANALLI (LNP) dichiara la contrarietà del suo gruppo al trasferimento alla sede legislativa.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione delibera di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.

Donato BRUNO, presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.

Sui lavori della Commissione.

Giuseppe CALDERISI (PdL) sollecita l'iscrizione all'ordine del giorno della Commissione delle proposte di legge Pianetta C. 2375 (Istituzione della Commissione parlamentare per la tutela e la promozione dei diritti umani) e Di Virgilio

Pag. 22

C. 3538 (Istituzione della Commissione parlamentare per la promozione e la tutela dei diritti umani) e della proposta di legge Gregorio Fontana C. 1320 (Modifica delle circoscrizioni territoriali dei comuni di Torre Pallavicina e di Soncino nonché delle province di Bergamo e Cremona).

Donato BRUNO, presidente, prende atto della richiesta, che sarà valutata dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.

La seduta termina alle 15.30.

DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli.

La seduta comincia alle 15.05.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province.
Atto n. 240.

(Rilievi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Anna Maria BERNINI BOVICELLI (PdL), relatore, ricorda che il provvedimento in esame costituisce attuazione di previsioni recate dalla legge sul federalismo fiscale, n. 42 del 2009.
In particolare, l'oggetto dello schema di decreto si inserisce nel percorso di attuazione della delega prevista dall'articolo 2, comma 1, della legge n. 42 del 2009 per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e tende quindi ad assicurare autonomia finanziaria a comuni, province, città metropolitane e regioni.
Il preambolo del provvedimento richiama numerosi principi e criteri direttivi contenuti nella legge n. 42, la cui illustrazione appare preliminare ai fini dell'esame del testo.
La prima disposizione richiamata in premessa è l'articolo 2, comma 2, lettera f), della legge 42 del 2009 che prevede che i decreti legislativi di attuazione della delega: determinino il costo e il fabbisogno standard «quale costo e fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica»; definiscano gli obiettivi di servizio «cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione».
È richiamato poi l'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 42 del 2009 in base al quale i decreti legislativi dovranno definire le modalità per cui il finanziamento delle spese relative a comuni, province e città metropolitane riconducibili alle funzioni fondamentali - ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale - e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avvenga «in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard», da assicurare attraverso tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e addizionali a tali tributi - la cui «manovrabilità» dovrà essere stabilita «tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce - nonché dal fondo perequativo.
Sono ulteriormente richiamati: l'articolo 13, comma 1, lettera c) e lettera d), della legge 42 del 2009 in tema, rispettivamente, di indicatori, finanziario e infrastrutturale, per la ripartizione dei fondi perequativi per gli enti locali, nonché di computo della c.d. spesa corrente standardizzata rilevante ai fini della ripartizione; l'articolo 21, comma 1, lettere c) e d), della legge 42 del 2009 ai sensi del quale in sede di prima applicazione, i decreti legislativi

Pag. 23

recano norme transitorie per gli enti locali in tema riequilibrio finanziario per gli enti sotto dotati e di determinazione dei fondi perequativi degli enti locali; l'articolo 21, commi 2, 3 e 4, della legge 42 del 2009 in tema di individuazione provvisoria di funzioni degli enti locali da considerare in sede di prima applicazione della delega; l'articolo 22, comma 2, della legge 42 del 2009 in tema di interventi transitori di recupero di deficit infrastrutturale nelle aree sottoutilizzate.
Nonostante le disposizioni illustrate siano richiamate in premessa, va precisato però, preliminarmente, che non tutti i suddetti principi e criteri direttivi, come quelli in tema di obiettivi di servizio inerenti alle funzioni fondamentali degli enti locali o di livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate, trovano applicazione nel testo del provvedimento.
L'articolo 1 definisce l'oggetto del provvedimento, chiarendo che esso è diretto a disciplinare la determinazione del fabbisogno standard per gli enti locali; ciò in vista di un progressivo superamento del criterio della spesa storica per il finanziamento integrale della spesa per funzioni fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni da esse eventualmente implicate, in conformità al criterio di delega dell'articolo 2, comma 2, lettera m), punto 1), della legge n. 42 del 2009, peraltro non riportato nella premessa dello schema.
Il passaggio dal criterio della spesa storica a quello del riferimento a fabbisogni standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali, nonché al criterio della «perequazione della capacità fiscale» per il finanziamento delle altre funzioni, segna l'abbandono del sistema di finanza derivata a vantaggio dell'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni.
Come chiarisce il comma 2 del medesimo articolo, ciò deve avvenire fermi restando i vincoli stabiliti con il patto di stabilità interno e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato oltre a quelli stabiliti dalla legislazione vigente.
L'articolo 2 individua le funzioni fondamentali determinate per i Comuni e le Province ai sensi dell'articolo 21 della legge di delega, che detta le norme transitorie in materia di finanziamento delle funzioni degli enti locali.
Si tratta di una disciplina provvisoria - come precisato dalla stessa disposizione in commento - in attesa dell'entrata in vigore della legge statale che individuerà in via stabile le funzioni fondamentali degli enti locali ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione.
Premesso che nell'attuale legislatura il Governo ha presentato un ampio disegno di legge - approvato in prima lettura dalla Camera (C. 3118) ed ora all'esame del Senato (S. 2259) - per modificare la disciplina degli enti locali e delegare il Governo all'adozione di una «Carta delle autonomie locali», in cui sono individuate le funzioni fondamentali degli enti locali, va ricordato che la definizione di tali funzioni è rilevante ai fini del federalismo fiscale.
Infatti, l'articolo 119, comma quarto, della Costituzione stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) - ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo - devono consentire il finanziamento integrale delle «funzioni pubbliche loro attribuite».
L'individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell'entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali. Tanto che la legge n. 42 del 2009, all'articolo 11, comma 1, lettera a), classifica le spese degli enti locali tra spese per funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale, spese relative alle altre funzioni, nonché spese finanziate con contributi speciali.
Delle prime si prevede l'integrale finanziamento, del quale è garanzia la determinazione del fabbisogno standard. Va ricordato, però, che l'articolo 21 della legge sul federalismo prevede una fase transitoria, di cinque anni, per il superamento definitivo del criterio della spesa

Pag. 24

storica. A tal fine l'articolo 21, comma 1, lettera e), dispone che, finché non saranno in vigore le disposizioni concernenti le funzioni fondamentali, il finanziamento delle spese degli enti locali avvenga assumendo l'ipotesi che l'80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali, finanziando tale 80 per cento con entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; finanziando invece il residuo 20 per cento con entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo. A questo scopo costituisce punto di riferimento, secondo l'articolo 21, comma 1, lettera e) n. 3 della legge 42, l'ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto.
Il comma 2 dell'articolo in commento prevede che nei decreti legislativi di attuazione siano provvisoriamente considerate, in sede di prima applicazione, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, basate sull'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento sui modelli contabili degli enti locali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194, recante il regolamento per l'approvazione dei modelli contabili degli enti locali. Il successivo comma 3 reca un elenco di funzioni fondamentali individuate in via provvisoria, tra le quali quelle generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge.
Alla luce delle disposizioni richiamate emergono alcuni rilievi in tema di funzioni fondamentali, sia sotto il profilo del coordinamento interno alla normativa già vigente, sia sotto il profilo del coordinamento tra questa e quella in esame.
Sotto il primo profilo, in primo luogo, si evidenzia che nello stesso articolo 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, rispetto alle funzioni individuate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 1996 (e richiamate dal comma 2 dello stesso articolo) non risultano indicate, per i comuni, le funzioni relative a giustizia, cultura e beni culturali, settore sportivo e ricreativo, turismo, sviluppo economico, servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse); mentre, per le province, non sono indicate le funzioni relative a cultura e beni culturali, settore turistico, sportivo e ricreativo, settore sociale, sviluppo economico, relativamente ai servizi per l'agricoltura e per l'industria, il commercio e l'artigianato. Comunque si nota che il criterio della classificazione contabile scelto dalla legge n. 42 non evidenziaalcuna specificazione dei beni e dei servizi corrispondenti a ciascuna funzione.
In secondo luogo, va ricordato che, se il citato articolo 21, comma 2, fa riferimento all'articolazione di funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento sui modelli contabili degli enti locali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194, tuttavia, il criterio di delega dettato dalla lettera h) dell'articolo 2 della stessa legge 42 del 2009 prevede la riforma della contabilità degli enti locali da realizzare entro il termine stabilito per tutti i decreti da adottare sulla base della legge n. 42: l'adozione entro maggio 2011 di tale riforma potrebbe rendere superata la classificazione su cui si verrebbe a fondare la prima determinazione dei fabbisogni standard.
Sotto il secondo profilo, si nota che, rispetto all'elenco provvisorio delle funzioni fondamentali di cui alla legge n. 42, la disposizione in commento considera le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, sia dei comuni che delle province, nella misura piena, ossia senza il limite del 70 per cento delle spese come certificate nell'ultimo bilancio, previsto invece esplicitamente dall'articolo 21, comma 3 e 4 della legge n. 42.

Pag. 25

Infine, occorre ricordare, come sopra già rilevato, che nel testo non sono definiti gli obiettivi di servizio, che pure potrebbero essere implicati da talune funzioni, obiettivi la cui determinazione costituisce un criterio di delega stabilito dall'articolo 2, lettera f) della legge 42 del 2009, ma non riscontrabile nel provvedimento in esame.
L'articolo 3 stabilisce i passaggi necessari - individuazione dei modelli organizzativi, analisi dei costi e individuazione di un modello di stima del fabbisogno - per giungere alla definizione dei fabbisogni standard, per ciascuna funzione fondamentale e per i relativi servizi.
In tali passaggi non vi è alcun accenno all'analisi dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente connessi all'esercizio delle funzioni fondamentali. Eppure, l'articolo 1, comma 2 dello schema di decreto in esame rapporta il finanziamento integrale della spesa relativa alle funzioni fondamentali anche ai «livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da essa implicate», evidenziando in tal modo la correlazione esistente - ai fini della definizione di fabbisogni standard - tra spesa e livello essenziale della prestazione.
L'articolo 4 indica la procedura di determinazione dei fabbisogni standard: la Società per gli studi di settore (SOSE Spa) - abilitata anche in base dell'Accordo siglato tra Ministero dell'economia, ANCI e UPI il 15 luglio scorso che le consente di avvalersi della collaborazione dell'Istituto per la finanza e l'economia locale - IFEL - dovrà definire una metodologia. Le metodologie predisposte dalla SOSE s.p.a. saranno sottoposte per l'approvazione alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, le cui determinazioni saranno successivamente recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali.
Alla base della scelta normativa recata da tale articolo vi è la consapevolezza dell'astrattezza della previsione di formule matematiche che, applicate a dimensioni locali, potrebbero portare a risultati non realistici. Conseguentemente, il testo in esame compie una scelta di metodo che si rifà all'esperienza ultradecennale degli studi di settore, campo in cui la SOSE S.P.A. - società interamente pubblica - ha dimostrato, con l'attività svolta (gestisce e aggiorna circa 206 studi di settore che riguardano circa 3,5 milioni di contribuenti) di avere le capacità, i requisiti di imparzialità e le risorse tecnologiche e finanziarie necessarie per giungere alla determinazione dei fabbisogni standard nei tempi previsti.
Il governo dà a più riprese una motivazione per questa scelta, in primis nella relazione sul quadro generale di finanziamento degli enti locali, presentata dal Ministro dell'economia il 30 giugno 2010, in cui si accenna all'ipotesi di adottare, quale metodologia possibile per arrivare alla determinazione dei fabbisogni standard, la metodologia mutuata dai criteri di determinazione degli studi di settore. La relazione illustrativa dello schema in oggetto conferma la scelta, sottolineando che la metodologia applicata agli studi di settore si basa sulla condivisione di scelte tecniche, mediante confronto con gli esperti di settore e graduale miglioramento dell'efficienza degli enti locali; ciò, anche a fronte del fallimento dei precedenti tentativi legislativi e criteri di calcolo per il superamento della spesa storica messi in campo negli anni 90 (1995-1997).
Occorre peraltro rilevare che la previsione dell'articolo 4 in esame andrebbe valutata in relazione ai principi della norma di delega che sembra demandare direttamente ai decreti delegati la determinazione del costo e del fabbisogno standard. Inoltre, quanto ai criteri di determinazione dei fabbisogni standard indicati dalla lettera a) dell'articolo in esame - da considerare alla stregua dei criteri direttivi di delega forniti dall'articolo 2, comma 2, lettera f) della legge n. 42 del 2009 - si nota la mancanza di riferimenti inerenti all'analisi dei livelli delle prestazioni connesse all'esercizio delle funzioni fondamentali.
L'articolo 5, comma 1, demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione da parte del

Pag. 26

Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, l'adozione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo seguita e il fabbisogno standard per ciascun Comune e Provincia. Secondo il comma 2, il decreto è adottato una volta verificata l'assenza di nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato da parte della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze. Tali DPCM sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nei siti istituzionali di ogni ente locale. Il comma 2 dispone ulteriori forme di pubblicità, prevedendo che ciascun Comune e Provincia pubblichino adeguatamente i contenuti del DPCM sul proprio sito istituzionale e ne diano ulteriore comunicazione nel proprio bilancio secondo le forme previste.
Oltre a quanto rilevato nell'illustrazione dell'articolo 4, a proposito dell'esigenza di un approfondimento circa la corretta attuazione delega attraverso il rinvio ad un procedimento di determinazione dei fabbisogni anziché attraverso la quantificazione dei medesimi con decreto legislativo, occorre aggiungere che il rinvio per tale quantificazione a provvedimenti di rango inferiore rispetto ai decreti legislativi nel sistema delle fonti normative (quali il DPCM) realizza una deminutio della fonte disposta non dalla legge di delega, ma dal medesimo decreto delegato. Inoltre, lo schema di DPCM recante la nota metodologica e la conseguente puntuale determinazione dei fabbisogni di ciascun ente locale non sarebbe sottoposto ad alcun vaglio di natura parlamentare.
Peraltro, non essendo stabilito il termine finale di adozione del citato DPCM, la disposizione in esame dovrebbe essere valutata dal punto di vista del rispetto del termine di 24 mesi stabilito dalla delega per la sua attuazione.
L'articolo 6 delinea i tempi di avvio del periodo transitorio dedicato al progressivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento degli enti locali e della sua sostituzione con il criterio dei fabbisogni standard. Tale disposizione corrisponde alle previsioni dell'articolo 2, comma 2, lettera m) della legge n. 42 del 2009, che prevede la gradualità del passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard e, alla lettera e), specificamente per gli enti locali, demanda al legislatore delegato la definizione di regole, tempi e modalità della fase transitoria per superare il criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese, a partire dal termine che verrà fissato dai decreti legislativi delegati.
La norma in esame - che si fonda sull'applicazione progressiva del criterio del fabbisogno standard, quale parametro di riferimento per il finanziamento degli enti locali, ad un numero sempre maggiore di funzioni fondamentali, consentendo una temporanea tra il criterio della spesa storica e quello del fabbisogno standardizzato per il finanziamento dei vari gruppi di funzioni fondamentali - indica l'anno 2012 quale avvio della fase transitoria di superamento del criterio della spesa storica; nel 2011 il criterio dei fabbisogni standard sarà determinato con riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali per i Comuni e le Province, quali definite all'articolo 2, comma 1, dello schema in esame con una gradualità tale da garantire l'entrata a regime nel corso del triennio successivo; nel 2012 tale criterio è determinato con riguardo ad almeno due terzi delle suddette funzioni, anche in questo caso con un'entrata a regime nell'arco del triennio successivo; infine, nel 2013, il criterio dei fabbisogni standard è determinato con riguardo a tutte le funzioni fondamentali, sempre con un processo di gradualità che, come nelle fasi precedenti, deve comunque assicurare l'entrata a regime nell'arco del triennio successivo.
La progressiva sostituzione del criterio della spesa storica in favore del fabbisogno standard dovrebbe inoltre comportare, secondo i principi del federalismo fiscale, una graduale sostituzione dei trasferimenti statali con entrate proprie.
La durata del meccanismo temporale delineato andrebbe valutata alla luce della previsione di un periodo quinquennale di

Pag. 27

transizione contenuta nell'articolo 2, comma 2, lettera m) della legge n. 42 del 2009.
L'articolo 7, al comma 1, al fine di garantire continuità efficacia al processo di efficientamento dei servizi locali, dispone che i fabbisogni standard vengano rideterminati - con le modalità previste dal decreto in esame - non oltre il terzo anno successivo alla loro precedente adozione. Il comma 2 prevede la trasmissione delle rideterminazioni periodiche dei fabbisogni standard alla istituendaConferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, organo peraltro non richiamato dall'articolo 4 in sede di prima determinazione dei fabbisogni standard, in quanto le metodologie di individuazione dei fabbisogni standard predisposte dalla SOSE sono approvate della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e non dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
L'articolo 8, comma 1, estende le modalità di individuazione dei fabbisogni standard previamente individuate, in quanto compatibili, alla determinazione dei fabbisogni standard delle Città metropolitane, una volta costituite, per le funzioni fondamentali stabilite dalla legge delega n. 42 del 2009. Il comma 2 dispone che Sose S.p.a. e l'IFEL provvedano alle attività previste nell'ambito delle rispettive risorse e stabilisce, al comma 3, l'entrata in vigore del testo il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Con riferimento al comma 1, va sottolineata infine l'opportunità di correggere il richiamo normativo in esso contenuto, posto che le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono disciplinate dal comma 6 dell'articolo 23, comma, lettera e) e f) e non dal comma 5 del medesimo articolo.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.25.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 15.30.

Concessione di contributi per il finanziamento di attività di ricerca sulla cultura latina del medioevo europeo.
Nuovo testo C. 2774 Barbieri.

(Parere alla VII Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con condizioni).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Nunzia DE GIROLAMO (PdL), relatore, illustra il testo in esame, rilevando preliminarmente che le disposizioni da esso recate appaiono riconducibili, nel complesso, alla materia «promozione e organizzazione di attività culturali», che il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni.
Ricorda che la Corte costituzionale (sentenze nn. 478 del 2002 e 307 del 2004) ha evidenziato che lo sviluppo della cultura corrisponde a finalità di interesse generale il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (articolo 9 della Costituzione), anche al di là del riparto di competenze per materia tra Stato e regioni.
Rileva, quindi, che agli articoli 2 e 3 appare opportuno prevedere che gli enti beneficiari dei contributi ivi previsti siano chiamati a trasmettere al Ministero per i beni e le attività culturali una relazione sull'impiego dei contributi medesimi, analogamente a quanto previsto all'articolo 1, comma 3, per gli altri enti.
Evidenzia poi che all'articolo 4 non viene espressamente disciplinata la durata della carica dei componenti della commissione

Pag. 28

scientifica dell'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia (ENTMI) nonché le modalità di nomina dei suddetti componenti una volta cessato il mandato dei componenti in carica.
Preannuncia quindi l'intenzione di presentare una proposta di parere favorevole con due osservazioni relativamente a quanto testé evidenziato riguardo agli articoli 2, 3 e 4.

Alessandro NACCARATO (PD) prospetta l'opportunità che la relatrice riformuli le osservazioni proposte come condizioni, affinché la Commissione di merito ne tenga conto attentamente.

Nunzia DE GIROLAMO (PdL), relatore, tenuto conto di quanto evidenziato dal collega Naccarato presenta una proposta di parere favorevole con due condizioni (vedi allegato 1).

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Disposizioni per assicurare la totale utilizzazione delle risorse del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) assegnate all'Italia.
Nuovo testo C. 3472 Paolo Russo.

(Parere alla XIII Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazione).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Maria Elena STASI (PdL), relatore, illustra il nuovo testo della proposta di legge in titolo, le cui disposizioni sono riconducibili, da una parte, alle materie «rapporti dello Stato con l'Unione europea» e «tutela della concorrenza», che le lettere a) ed e) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione attribuiscono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato e, dall'altra parte, alle materie «rapporti delle regioni con l'Unione europea», di competenza concorrente tra lo Stato e le regioni ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione e «agricoltura», di competenza residuale delle regioni.
Richiama, altresì, quanto previsto dal quinto comma dell'articolo 117 della Costituzione, che stabilisce che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all'attuazione ed all'esecuzione degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
Ricorda che il comma 1 dell'articolo 1 riconduce ad un unico piano di finanziamento i piani finanziari sulla cui base sono stati approvati in sede comunitaria i programmi di sviluppo rurale delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano ed il programma di rete rurale nazionale per il periodo 2007-2013, il cui ammontare è costituito dalla somma delle dotazioni finanziarie dei predetti programmi.
Rileva quindi che l'articolo 15 del regolamento (CE) del Consiglio n. 1698 del 20 settembre 2005 lascia agli Stati membri la facoltà di presentare un unico programma nazionale oppure un insieme di programmi regionali e che l'Italia ha optato per una programmazione a carattere regionale che consiste nella redazione, da parte di ciascuna regione e provincia autonoma, di un programma di sviluppo rurale (PSR), articolato in misure di intervento coerenti con il piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale (PSN), e che il piano finanziario regionale prevede il sostegno pubblico per ciascun PSR ed è composto da una quota impegnata sul bilancio dell'Unione europea, da una quota statale e da una quota regionale.
Sottolinea pertanto come vada preso atto, sotto il profilo del rispetto delle competenze costituzionalmente definite, che la previsione del comma 1 dell'articolo 1 non prevede un nuovo programma di sviluppo rurale né una rimodulazione delle risorse, facendo espressamente riferimento alla somma delle dotazioni finanziarie

Pag. 29

dei programmi regionali già approvati e che si prefigge di consentire un impiego più celere della spesa delle somme già stanziate, così da evitare l'applicazione delle disposizioni comunitarie di cui al Regolamento (CE) n. 1290 del 2005, che prevedono il disimpegno automatico delle somme non utilizzate entro i due anni successivi all'iscrizione in bilancio delle stesse.
Evidenzia, in ogni modo, l'opportunità di prevedere un coinvolgimento degli organi comunitari nella definizione del piano di finanziamento unico, così da assicurare la piena compatibilità del meccanismo individuato dalla proposta di legge con il quadro comunitario di riferimento. Segnalata altresì l'opportunità di specificare espressamente nel testo la titolarità e la procedura di gestione del piano di finanziamento unico previsto dal comma 1 dell'articolo 1.
Rileva, infine, che il comma 2 dell'articolo 1 richiede il raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni per il completamento della procedura ivi delineata, che prevede che nell'anno 2014, per il periodo successivo a quello attuale, le quote di cofinanziamento statale per la copertura delle dichiarazioni di spesa delle singole regioni, province autonome e della rete rurale nazionale siano individuate dal Ministro delle politiche agricole e forestali, sulla base della capacità di spesa delle singole regioni nel periodo di programmazione precedente.
Presenta, in conclusione, una proposta di parere favorevole con un'osservazione che tenga conto di quanto testè evidenziato (vedi allegato 2).

Alessandro NACCARATO (PD) rileva che la materia in esame investe, come evidenziato anche dalla relatrice, competenze delle regioni di carattere concorrente e residuale. Ricorda altresì che l'Italia ha optato per una programmazione a carattere regionale che consiste nella redazione, da parte di ciascuna regione e provincia autonoma, di un programma di sviluppo rurale (PSR), articolato in misure di intervento coerenti con il piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale (PSN).
Si chiede, dunque, se sia sufficiente a salvaguardare le competenze regionali l'osservazione formulata dalla relatrice sull'opportunità di specificare espressamente nel testo la titolarità e la procedura di gestione del piano di finanziamento unico previsto dal comma 1 dell'articolo 1.
In ogni modo, sarebbe a suo avviso opportuno formularla come condizione anziché come osservazione.

Maria Elena STASI (PdL), relatore, rileva che la previsione del comma 1 dell'articolo 1 non prevede un nuovo programma di sviluppo rurale né una rimodulazione delle risorse, facendo espressamente riferimento alla somma delle dotazioni finanziarie dei programmi regionali già approvati. Il comma 2, a sua volta, richiede l'intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-regioni. Oltre a ciò, nel parere si evidenzia l'opportunità di prevedere un coinvolgimento degli organi comunitari nella definizione del piano di finanziamento unico.
Per tali ragioni, non ritiene necessario modificare la proposta di parere presentata.

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 15.50.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE CONSULTIVA

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
Nuovo testo C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato ed abb.