CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 20 luglio 2010
355.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 20 luglio 2010. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 11.05.

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.
Emendamenti C. 3594 Governo.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

DL 102/2010: Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia.
Nuovo testo C. 3610 Governo.

(Parere alle Commissioni riunite III e IV).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con una condizione).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL), relatore, ricorda che il Comitato è chiamato nella seduta odierna ad esprimere il proprio parere sul nuovo testo del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 102 del 2010, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di Polizia.
Ricorda che il Comitato si è già espresso con parere favorevole sul testo del provvedimento, così come licenziato dal Governo. Passando ad esaminare il nuovo testo in esame, osserva che esso contiene alcune limitate modifiche, introdotte nel corso dell'esame in sede referente da parte delle Commissioni riunite III e IV. In particolare all'articolo 1, relativo alle iniziative in favore dell'Afghanistan, è stato introdotto un nuovo periodo al comma 2, al fine di prevedere che il Presidente del Consiglio presenti al Parlamento, entro il 28 febbraio 2011, una relazione sulle realizzazioni e sullo stato di avanzamento dei progetti previsti dalla convenzione, stipulata tra la presidenza del Consiglio - Dipartimento per l'editoria, la Rai e la NewCo Rai international, al fine di contribuire alle iniziative di comunicazione nell'ambito delle NATO'S Strategic Comunications in Afghanistan.
Al comma 4 del medesimo articolo 1, alla lettera a) si specifica che tra le iniziative da realizzare nello svolgimento delle attività operative della missione vi siano anche quelle destinate al sostegno nel settore educativo oltre che nel settore sanitario.
Al comma 5, del medesimo articolo 1, si prevede che nell'ambito degli stanziamenti previsti al comma 1, si provvede alla realizzazione di una «Casa della società civile» a Kabul, quale centro culturale per lo sviluppo di rapporti tra il nostro Paese e l'Afghanistan.
All'articolo 2, relativo agli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, si prevede al comma 6, che per la realizzazione degli interventi e delle iniziative a sostegno dei processi di pace e di rafforzamento della sicurezza in Africa sub sahariana è autorizzata, a decorrere dal 1o luglio 2010 e fino al 31 dicembre 2010, oltre alla spesa di euro 2.400.000 ad integrazione degli stanziamenti già assegnati per l'anno 2010 per l'attuazione della

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legge 6 febbraio 1992, n. 180, anche la spesa di euro 778.500 per favorire iniziative dirette ad eliminare le mutilazioni genitali femminili, anche in vista dell'adozione di una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
All'articolo 3, relativo al regime degli interventi, nella parte in cui prevede che il Ministero degli affari esteri è autorizzato, nei casi di necessità e urgenza, a ricorrere ad acquisti e lavori da eseguire in economia, anche in deroga alle disposizioni di contabilità generale dello Stato, si specifica che deve ricorrersi preferibilmente all'impiego di risorse locali sia umane sia materiali.
All'articolo 5, contenente disposizioni in materia di personale, si introduce un comma 3-bis, relativo al regime delle licenze, dei riposi e dei compensi spettanti in caso di assenza per infermità, mentre all'articolo 8 sono state introdotte alcune modifiche alle disposizioni di carattere finanziario.
Richiama, in particolare, l'attenzione del Comitato sulla disposizione che le Commissioni hanno inserito al comma 5 dell'articolo 5.
Il comma 5 nel testo del Governo prevede che per le esigenze correlate con la partecipazione alle missioni internazionali ovvero con le attività di concorso in circostanze di pubblica calamità, fino al 31 dicembre 2010, le Forze armate possono continuare ad avvalersi dei lavoratori occasionali (assunti ai sensi dell'articolo 184, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 19 aprile 2005, n. 170) nei limiti delle risorse destinate nell'anno 2010 all'esecuzione dei lavori in amministrazione diretta a mezzo dei reparti del Genio militare e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. In base alla disposizione inserita nel corso dell'esame in sede referente, si prevede che con riferimento alle qualifiche per le quali è richiesto il requisito della scuola dell'obbligo, il Ministero della difesa, trascorso il citato periodo, qualora abbia la necessità di continuare ad avvalersi delle medesime prestazioni lavorative, procede all'assunzione diretta del lavoratore, in deroga alla vigente disciplina del collocamento obbligatorio, nel limite del venti per cento delle assunzioni autorizzate annualmente ai sensi della normativa vigente.
La disposizione presenta profili di dubbia costituzionalità con riferimento al mancato rispetto dell'articolo 97 della Costituzione, in base al quale «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Ricorda come la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale ha ribadito, da ultimo con la sentenza 26 maggio 2010, n. 195, che il concorso pubblico costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni e che l'area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso. Osserva inoltre che con le sentenze n. 215 e n. 293 del 2009 la stessa Corte ha indicato che la trasformazione del rapporto di lavoro da occasionale a stabile debba riguardare soltanto soggetti selezionati ab origine mediante procedure concorsuali e che debba essere subordinata all'accertamento di specifiche necessità funzionali dell'amministrazione. Riguardo ai limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di personale, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito, con le sentenze n. 81 e n. 205 del 2006, che le deroghe sono legittime solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle e che non sono sufficienti, a tal fine, né la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l'amministrazione, né l'aspettativa degli aspiranti ad una misura di stabilizzazione.
Comunica di aver predisposto una proposta di parere favorevole con una condizione con la quale si chiede alle Commissioni di merito di sostituire il riferimento all' «assunzione diretta» con una previsione che rimandi allo svolgimento delle procedure selettive da osservare nel reclutamento del suddetto personale, in conformità a quanto disposto dall'articolo 97 della Costituzione (vedi allegato 1).

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Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 11.10.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 20 luglio 2010.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.05 alle 14.10.

INDAGINE CONOSCITIVA

Martedì 20 luglio 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 14.10.

Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alle ipotesi di modifica della parte seconda della Costituzione.
(Deliberazione di una proroga del termine).

Donato BRUNO, presidente, ricorda che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto sull'opportunità di richiedere un'ulteriore proroga del termine per la conclusione dell'indagine conoscitiva sulle «Problematiche relative alle ipotesi di modifica della parte seconda della Costituzione», la cui scadenza, inizialmente fissata alla fine del mese di marzo 2010, era stata prorogata al 31 luglio 2010.
Essendo stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, propone di deliberare la proroga al 31 dicembre 2010 del termine fissato per la conclusione dell'indagine.

La Commissione approva la proposta di prorogare al 31 dicembre 2010 il termine per la conclusione dell'indagine conoscitiva.

La seduta termina alle 14.15.

SEDE REFERENTE

Martedì 20 luglio 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 14.15.

Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime di tragedie causate dall'incuria dell'uomo e dalle calamità naturali.
C. 197 Murgia e C. 3351 Rossa.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Annagrazia CALABRIA (PdL), relatore, rileva che le proposte di legge delle quali la Commissione inizia oggi l'esame prevedono l'istituzione di una nuova ricorrenza civile, dedicata alla memoria delle vittime di tragedie (proposta n. 197) e di disastri ambientali e industriali (proposta n. 3351), causati dall'incuria dell'uomo e dalle calamità naturali.
Passando ad esaminare in dettaglio i due progetti di legge, ricorda che la proposta n. 197, all'articolo 1, comma 1, individua il giorno 31 ottobre (ricorrenza dei tragici eventi di S. Giuliano di Puglia del 2002) quale giornata nazionale in memoria delle vittime di tragedie causate dall'incuria dell'uomo e dalle calamità naturali, precisando al comma 3 che tale giornata è considerata solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260, recante disposizioni in materia di ricorrenze festive, senza che però la stessa determini riduzione dell'orario di lavoro negli uffici pubblici, né, qualora cada in giorno feriale, costituisca giorno festivo o comporti riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54, recante disposizioni in materia di giorni festivi. Al comma 2 del medesimo articolo 1, la proposta di legge prevede che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze,

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realizzino e sostengano iniziative volte a celebrare il ricordo delle vittime di disastri, di crolli e di sciagure naturali e di tragedie causate dall'incuria dell'uomo, nonché ad attuare politiche di prevenzione e di riduzione della vulnerabilità del territorio nazionale, anche attraverso attività di informazione da svolgere nelle scuole di ogni ordine e grado. L'articolo 2 dispone l'istituzione di un apposito comitato organizzativo, disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per la promozione e il coordinamento delle iniziative di cui all'articolo 1. Tale comitato svolgerà le proprie attività a titolo gratuito. L'articolo 3 precisa che dall'attuazione della proposta in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, mentre l'articolo 4 stabilisce l'entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La proposta di legge n. 3351, invece, all'articolo 1 indica il 9 ottobre (ricorrenza della tragedia del Vajont del 1963) come giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo, differendo in questo dalla proposta di legge precedentemente illustrata. All'articolo 2, stabilisce che possono essere organizzati sul territorio nazionale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, manifestazioni, cerimonie, incontri e momenti comuni di ricordo dei fatti accaduti e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di promuovere attività di informazione e di sensibilizzazione, d'intesa con i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e dello sviluppo economico, nonché con le regioni e con gli enti locali, per sviluppare una maggiore consapevolezza sulla necessità di tutelare la salute e il patrimonio ambientale del Paese.
Con riguardo al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, pur non potendosi riscontrare un esplicito riferimento costituzionale, è plausibile ritenere che l'istituzione di una nuova ricorrenza civile della Repubblica, che richiede, per sua natura, una disciplina unitaria a livello nazionale, rientri nell'ambito della materia «ordinamento civile», che l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Con riferimento, invece, alla previsione di celebrazioni, manifestazioni e iniziative, anche nelle scuole, contenuta in entrambe le proposte di legge, possono assumere rilievo le materie di competenza legislativa concorrente, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione quali «promozione e organizzazione di attività culturali» e «istruzione».

Sabina ROSSA (PD), dopo avere ringraziato l'onorevole Calabria per la puntuale relazione, ricorda che la sua proposta di legge riproduce analoghe iniziative assunte nelle precedenti legislature ed è oggetto di ampia condivisione da parte di colleghi appartenenti a diversi gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione. La giornata nazionale che tale proposta di legge è volta ad istituire potrebbe, a suo avviso, costituire un'utile occasione di riflessione, specie per i più giovani, sugli elevati costi, anche in termini di vite umane, del mancato rispetto del territorio e degli equilibri ambientali. La scelta della data del 9 ottobre è dettata dal valore tristemente simbolico della tragedia del Vajont, inserita dalle Nazioni Unite, in un documento del 2008, tra i cinque peggiori esempi di cattiva gestione ambientale. Quella tragedia è per l'Italia simbolo di sofferenze e sacrifici, ma anche di volontà di riscatto e di ricostruzione. Auspica, pertanto, la rapida approvazione del provvedimento in esame.

Raffaele VOLPI (LNP), pur riconoscendo alle proposte di legge in esame il merito di porre all'attenzione del Parlamento una questione di indubbia rilevanza, osserva che, come la Commissione ha avuto modo di rilevare a fronte di analoghe iniziative, sono ormai numerose le giornate dedicate alla commemorazione di eventi o alla riflessione sulle problematiche più disparate, con il conseguente rischio di una svalutazione di tali ricorrenze. Sarebbe utile, pertanto, verificare,

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innanzitutto, in che misura simili ricorrenze costituiscano un'effettiva occasione di riflessione e di approfondimento. Ritiene, inoltre, che potrebbe essere più fruttuosa un'iniziativa nei confronti del sistema scolastico, affinché possa assolvere ancora meglio al proprio ruolo di formazione civica delle nuove generazioni. Per le ragioni sin qui esposte, dichiara, in conclusione, di non condividere le proposte di legge in esame.

Donato BRUNO, presidente, fa presente che, nella documentazione predisposta dagli uffici, è disponibile un elenco delle ricorrenze civili e religiose, suddivise tra quelle istituite con legge ovvero con atto di diversa natura.

Gianclaudio BRESSA (PD) osserva, rivolto al collega Volpi, che, più che sul numero delle ricorrenze, occorrerebbe soffermarsi sull'importanza della scelta di proporre determinati temi alla riflessione e alla coscienza civile del Paese. In particolare, il tema in discussione concerne il rapporto tra lo sviluppo e la tutela ambientale ed è dunque, con tutta evidenza, un tema di grande attualità. Osserva, inoltre, che le proposte di legge in esame perseguono, tra l'altro, proprio l'obiettivo auspicato dal collega Volpi, cioè quello di sollecitare il sistema scolastico a promuovere la riflessione, specie dei più giovani, sulle grandi questioni del nostro tempo.

Pierluigi MANTINI (UdC), pur riconoscendo la fondatezza di alcune delle preoccupazioni espresse dal collega Volpi, dichiara di apprezzare le proposte di legge in esame, in quanto esse appaiono idonee a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su una problematica di drammatica attualità, peraltro senza recare oneri per la finanza pubblica. Inoltre, tale iniziativa appare tanto più apprezzabile in un Paese che, come l'Italia, è particolarmente esposto al rischio di tragedie naturali, per ragioni legate alla conformazione del territorio, ma anche all'intervento umano.

Donato BRUNO, presidente, invita tutti i colleghi a un'attenta riflessione sulla problematica oggetto delle proposte di legge in esame. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Norme in materia di cittadinanza.
C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli, C. 2035 Sbai, C. 2431 Di Biagio, C. 2670 Sarubbi, C. 2684 Mantini, C. 2904 Sbai e C. 2910 Garagnani.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 luglio 2010.

Gianclaudio BRESSA (PD), intervenendo sull'ordine dei lavori, precisa che i deputati del suo gruppo si riservano di intervenire dopo che saranno pervenuti i dati informativi richiesti al Ministro dell'interno.

Donato BRUNO, presidente, fa presente che sarà sua cura sollecitare l'invio dei dati, richiesti al Ministro dell'interno lo scorso 13 luglio. Avverte, inoltre, che, non essendovi obiezioni, inserirà nuovamente il provvedimento in esame nel calendario dei lavori della Commissione solo dopo che saranno pervenuti tali dati.

Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab.
C. 627 Binetti, C. 2422 Sbai, C. 2769 Cota, C. 3018 Mantini, C. 3020 Amici, C. 3183 Lanzillotta, C. 3205 Vassallo e C. 3368 Vaccaro.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 luglio 2010.

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Salvatore VASSALLO (PD), premesso di essere consapevole di esprimere un'opinione che, almeno alla luce delle proposte di legge presentate, appare minoritaria anche all'interno del suo gruppo, auspica che il dibattito sulle proposte di legge in esame vada al di là degli umori prevalenti nell'opinione pubblica in materia di divieto di indossare il burqa. Tali umori, infatti, non trovano fondamento né nella civiltà giuridica italiana né in motivi di ordine pratico e, per giunta, sarebbero probabilmente diversi se, invece che del burqa, si discutesse dell'indumento relativamente più diffuso tra le donne islamiche, cioè del niqab. Ritiene, inoltre, che la maggior parte delle proposte di legge in esame produca esiti giuridicamente contraddittori e finisca per piegare a finalità estranee norme che furono introdotte nell'ordinamento per rispondere a precise esigenze di ordine pubblico. Ricorda, quindi, che il niqab, relativamente più diffuso del burqa, è comunque indossato da un numero molto limitato di donne immigrate di prima generazione, anche perché le comunità islamiche presenti in Italia tendono a scoraggiarne l'impiego. Sebbene la maggior parte delle autorità religiose islamiche ritengano che gli indumenti in discorso non siano oggetto di prescrizioni religiose, ritiene che tale questione - rilevante, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, al fine di escludere la perseguibilità del loro impiego - non possa essere risolta da una legge. Rileva, inoltre, che le proposte in esame non rispondano ad esigenze di pubblica sicurezza, atteso che, nel contesto italiano, una donna che indossi il burqa o il niqab desta maggiore attenzione e che, di fatto, non risultano casi di utilizzo di tali indumenti con finalità criminali. Quanto all'osservazione secondo cui la scelta di indossarli sarebbe il frutto di una violenza sulle donne, rileva che non appare corretto perseguire gli indizi di una presunta violenza, anziché la violenza stessa, e che, se tale osservazione fosse fondata, l'esito paradossale di un divieto in materia sarebbe quello di esporre le donne islamiche a una violenza ancora più grave e alla segregazione. Tali ragioni spiegano, a suo avviso, il fatto che in nessun Paese occidentale viga un divieto generalizzato di indossare simili indumenti. Tale divieto, inoltre, potrebbe violare il principio costituzionale di uguaglianza, introducendo una ingiustificata discriminazione rispetto a pratiche simili che fossero riconducibili a religioni diverse da quella islamica. Esprime, pertanto, forti riserve sulle proposte di legge n. 2422 Sbai e n. 2769 Cota. Ritiene, altresì, che anche la proposta di legge n. 3020 Amici dia adito ad alcuni dubbi: in particolare, essa appare contraddittoria nella misura in cui indica nella motivazione religiosa un giustificato motivo per la scelta di coprire il proprio volto, ma, allo stesso tempo, prevede che tale giustificato motivo non esima dal divieto previsto dalla legge n. 152 del 1975. In conclusione, ritiene che sarebbe preferibile attenersi al diritto vivente, accogliendo la giurisprudenza che si è andata formando sulla base delle norme in vigore.

Raffaele VOLPI (LNP) esprime stupore per l'intervento del collega Vassallo, ritenendo che esso sia il frutto di un pregiudizio razzista, oltre che di un approccio populistico e dettato da scarsa competenza. Osserva, infatti, che, contrariamente a quanto sostenuto dall'onorevole Vassallo, le donne islamiche che indossano gli indumenti in questione sono numerose e il fenomeno riguarda non solo cittadine immigrate, ma anche cittadine italiane convertite alla religione islamica. Ritiene, inoltre, che anche qualora il numero di queste donne fosse meno elevato, le proposte di legge criticate dal collega Vassallo andrebbero comunque sostenute, perché ispirate a una fondata esigenza di principio.

Gianclaudio BRESSA (PD) osserva che l'onorevole Volpi può senz'altro non condividere gli argomenti impiegati dal collega Vassallo, ma ciò non può in nessun caso giustificare un attacco sul piano personale. Auspica, quindi, che il confronto possa proseguire in modo pacato, consentendo il grado di approfondimento che gli argomenti in discussione richiedono.

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Raffaele VOLPI (LNP) osserva, rivolto al collega Bressa, che altre volte ha avuto occasione di lamentare il ricorso a toni tutt'altro che pacati proprio da parte sua.

Pierluigi MANTINI (UdC), intervenendo per una precisazione, dichiara di non poter condividere gli argomenti addotti dal collega Vassallo. Osserva, infatti, che il bene giuridico al cui perseguimento sono volte le proposte di legge da lui criticate non consiste nell'ordine pubblico, bensì nella dignità della persona, che certe pratiche mettono a rischio. Ritiene, inoltre, che l'onorevole Vassallo, nel suo intervento, abbia assolutizzato il valore della libertà individuale, laddove tale valore deve essere bilanciato con altri valori meritevoli di tutela, come avviene, ad esempio, per il senso del pudore. Nel caso in esame, si tratta di contrastare una visione maschilista e patriarcale che considera il corpo della donna come motivo di vergogna e che non ha alcuna dignità religiosa, essendo radicata in usanze tribali, mantenute in ambienti culturali estremisti e contigui al terrorismo. Ricorda, infine, come persino in Siria sia stato vietato l'uso del niqab nelle scuole pubbliche.

Salvatore VASSALLO (PD) dichiara di essere stato colpito in modo assai negativo dall'andamento della discussione e, in particolare, dalle offensive, gratuite e incomprensibili accuse di razzismo rivoltegli dall'onorevole Volpi. Giudica del pari offensivo l'atteggiamento didascalico del collega Mantini e rileva come la presunta violazione della dignità delle donne islamiche, cui le proposte di legge in esame intenderebbero porre rimedio, sia contraddetta dalla circostanza che, come ha ricordato l'onorevole Volpi, ad indossare il niqab sono spesso donne italiane convertite all'Islam. Ritiene, comunque, che se l'obiettivo da perseguire è rappresentato dalla dignità della persona, e non dall'ordine pubblico, lo strumento non possa in alcun modo essere quello individuato dalla maggior parte delle proposte di legge in esame e, in particolare, dalle proposte n. 2422 Sbai e n. 2769 Cota. Rileva, infine, che l'esempio della Siria appare improprio, perché non consiste affatto in un divieto generalizzato di indossare il niqab in qualunque luogo pubblico, bensì soltanto, come è certamente legittimo, in determinati luoghi e contesti.

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL) osserva preliminarmente, rivolto al collega Vassallo, che la Consulta per l'Islam ha ritenuto che l'utilizzo del burqa e del niqab non sia in alcun modo riconducibile a prescrizioni religiose. Inoltre, la libertà di ciascuno di indossare gli indumenti che preferisce potrebbe essere invocata se le donne islamiche fossero libere di scegliere e non, come spesso purtroppo avviene, obbligate a indossare il burqa o il niqab, con la violenza o per effetto di un condizionamento culturale non meno cogente. In proposito, ricorda come le cronache abbiano anche recentemente riportato il caso di donne islamiche sottoposte a violenze in famiglia per aver indossato abiti ritenuti troppo occidentali.

Maria Piera PASTORE (LNP), intervenendo per una precisazione, ricorda come le proposte di legge in esame siano volte sia a perseguire finalità di ordine pubblico sia a garantire la dignità della persona e il rispetto, da parte di tutti, delle leggi italiane. Ricorda, altresì, come numerosi altri Paesi europei e la stessa Siria si trovino ad affrontare problemi analoghi. Rileva, infine, come la proposta del collega Vassallo appaia troppo debole rispetto alla natura del problema in discussione, oltre che minoritaria anche all'interno del suo gruppo.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.25.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 20 luglio 2010. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 15.25.

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DL 78/2010: Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.
C. 3638 Governo, approvato dal Senato.

(Parere alla V Commissione).
(Esame e rinvio).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL), relatore, ricorda che il decreto-legge n. 78 del 2010, approvato in prima lettura dal Senato, reca misure di riduzione della spesa e di aumento delle entrate, dirette a conseguire gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria 2010-2013.
Prima di passare all'illustrazione, in dettaglio, delle disposizioni del decreto-legge, ricorda che esso è volto a fronteggiare il rischio di espansione della crisi finanziaria che ha colpito la Grecia e si inserisce, in modo coerente, nel quadro delle misure adottate da tutti i Paesi dell'Unione europea. Ricorda, inoltre, che la manovra economica in esame è coerente con le misure adottate dal Governo sin dall'inizio della legislatura e, al pari di queste, corregge una tendenza all'aumento della spesa pubblica, ma non riduce tale spesa; perciò, più che di tagli, sarebbe corretto parlare di una riduzione delle aspettative di spesa.
Passando all'illustrazione delle norme, osserva che il decreto-legge in esame, originariamente composto di cinquantasei articoli, comprende, a seguito delle modifiche e integrazioni apportate dal Senato, sessantatré articoli, strutturati in tre titoli.
Il titolo I, riguardante la stabilizzazione finanziaria, si articola in quattro capi, rispettivamente concernenti: la riduzione del perimetro e dei costi della pubblica amministrazione; la riduzione del costo degli apparati politici ed amministrativi; il contenimento delle spese in materia di pubblico impiego, invalidità e previdenza; le entrate non fiscali. Il titolo II concerne il contrasto all'evasione fiscale e contributiva. Il titolo III riguarda lo sviluppo e le infrastrutture.
Il disegno di legge di conversione presentato al Senato è accompagnato dalla relazione illustrativa e dalla relazione tecnica sugli effetti finanziari del provvedimento. Non risultano, invece, allegate né la relazione sull'analisi tecnico-normativa (ATN) né la relazione sull'analisi di impatto della regolamentazione (AIR).
Ricorda, quindi, che in numerose circostanze il Governo ha provveduto all'emanazione di decreti-legge contenenti misure volte ad anticipare o accompagnare la manovra annuale di finanza pubblica o, comunque, a realizzare - ancor prima dell'istituzionalizzazione della legge finanziaria - interventi economico-finanziari ad ampio spettro.
Il preambolo del decreto-legge rileva la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica.
Le misure del decreto appaiono riconducibili in via prevalente alla materia sistema tributario e contabile dello Stato, demandata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. A tale ambito materiale sono, tra le altre, riconducibili le disposizioni del provvedimento che recano specifiche misure di carattere tributario: cita, ad esempio, l'articolo 22 (cosiddetto redditometro); l'articolo 21 (Obblighi di comunicazione all'Agenzia delle entrate) e l'articolo 27 (Autorizzazioni alle operazioni intracomunitarie).
Occorre, inoltre, considerare che, in base al disposto del terzo comma dello stesso articolo 117, l'armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario rientrano tra le materie di potestà legislativa concorrente, nelle quali è riservata allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali. Tale ambito di competenza è altresì richiamato dalla stessa Costituzione all'articolo 119, secondo comma, ove si prevede che comuni, province, città metropolitane e regioni stabiliscono

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e applicano tributi ed entrate propri secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Detto coordinamento - come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale (ricorda, in particolare, la sentenza n. 35 del 2005) - non sembra peraltro costituire propriamente un ambito materiale, quanto piuttosto una finalità assegnata alla legislazione statale, funzionale anche al perseguimento di impegni finanziari assunti in sede europea, ivi inclusi gli obiettivi quantitativi collegati al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello europeo.
In questo contesto si collocano diverse disposizioni del decreto in esame. In particolare, richiama l'articolo 14, commi 11 e 12 (Deroghe al patto di stabilità enti locali per pagamenti in conto capitale); l'articolo 14, commi da 25 a 31 (Funzioni fondamentali dei comuni); l'articolo 14, commi 33-bis e 33-ter (Patto di stabilità per enti locali commissariati).
Per quanto riguarda le singole disposizioni, rilevano altresì ulteriori ambiti materiali attribuibili alla competenza legislativa esclusiva o concorrente dello Stato.
Quanto agli ambiti rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, assumono, in particolare, rilievo: «difesa e Forze armate», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione; «organi dello Stato», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera f), della Costituzione; «tutela della concorrenza», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione; «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione; «giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione; «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione; «norme generali sull'istruzione» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione; «previdenza sociale», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione; «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione; «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Sempre con riferimento a singole disposizioni, possono altresì rilevare, tra le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione: «tutela della salute»; «governo del territorio»; «ricerca scientifica e tecnologica»; «porti e aeroporti civili»; «previdenza complementare e integrativa»; «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»; «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»; «promozione e organizzazione di attività culturali».
Per quanto attiene agli ulteriori profili di costituzionalità si può osservare, innanzitutto, che l'articolo 5 comma 1, prevede l'assegnazione al Fondo di ammortamento dei titoli di Stato degli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici degli organi indicati nell'articolo 121 della Costituzione, ossia Consiglio regionale, Giunta e Presidente della Giunta.
In tema di riduzioni dei trattamenti dei consiglieri regionali, ricorda che la Corte costituzionale, in relazione all'articolo 119 della Costituzione, con la sentenza n. 157 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione della legge finanziaria 2006 che prevedeva la riduzione del 10 per cento delle indennità

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spettanti ai titolari degli organi politici regionali (legge n. 266 del 2005, articolo 1, comma 54).
Inoltre, con la sentenza n. 159 del 2008, la Corte ha scrutinato alcune disposizioni della legge finanziaria 2007, volte al contenimento della spesa degli organismi politici e degli apparati amministrativi degli enti territoriali, ribadendo il proprio orientamento secondo cui le disposizioni statali possono solo prevedere «criteri ed obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece imporre loro precetti specifici e puntuali (fra le molte, si vedano le sentenze n. 95 del 2007, n. 449 del 2005 e n. 390 del 2004)».
Il comma 20 dell'articolo 6 esclude l'applicazione diretta delle disposizioni recanti norme di risparmio degli apparati amministrativi contenute nell'articolo stesso a regioni, province autonome ed agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali tali norme sono qualificate come disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
Ricorda, al riguardo, che l'orientamento della Corte costituzionale, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, è nel senso che la autoqualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza (ricorda, ex plurimis, sentenze n. 169 del 2007, n. 447 del 2006 e n. 482 del 1995).
L'articolo 14, comma 6, prevede la possibilità di sospensione dei trasferimenti erariali alle Regioni che risultino «in deficit eccessivo di bilancio». La disposizione non specifica direttamente, né prevedendo normativa di attuazione, i parametri di deficit «eccessivo»; non è, inoltre, espressamente indicata la durata della sospensione e non risulta chiaro il coordinamento con le altre disposizioni concernenti il patto di stabilità e le relative sanzioni.
L'articolo 14, comma 33, reca una norma interpretativa che afferma la natura non tributaria della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani di cui all'articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e affida le relative controversie sorte successivamente al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del decreto in esame) alla giurisdizione ordinaria. Sulla qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale per lo smaltimento dei rifiuti, rilevante ai fini dell'assoggettamento all'imposta sul valore aggiunto (IVA), è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 2009, che ha riconosciuto la natura tributaria della tariffa di igiene ambientale (articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997), con esclusione quindi dalla imponibilità ai fini IVA delle somme dovute e conseguenti ricorsi dei contribuenti per il rimborso dell'IVA pagata. L'interpretazione della Corte costituzionale è stata ribadita, con un revirement giurisprudenziale, dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 8313 del 2010.
Il comma 7 dell'articolo 29 modifica innanzitutto l'articolo 319-bis del codice penale - il quale prevede una circostanza aggravante del delitto di cui all'articolo 319 del medesimo codice riferita ai casi in cui l'omissione o il ritardo di atti d'ufficio, così come il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio, ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene - estendendo l'operatività dell'aggravante in questione ai casi in cui il fatto ha ad oggetto il pagamento o il rimborso di tributi. La seconda parte del comma 7 prevede poi che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica, «è limitata alle ipotesi di dolo». In ordine alla limitazione di responsabilità in esame va richiamata la giurisprudenza costituzionale, che in particolare - nel riconoscere la legittimità delle disposizioni che hanno limitato la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in materia di contabilità pubblica, ai fatti ed alle omissioni posti in essere con dolo o colpa grave - ha ribadito quanto affermato anche in più risalenti

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pronunce e cioè che «non v'è alcun motivo di dubitare che il legislatore sia arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità, ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilità sia ascrivibile (sentenza n. 411 del 1988), senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarietà» (sentenza n. 371 del 1998).
Tuttavia, la medesima Corte costituzionale ha affermato che «può ritenersi ormai acquisito il principio dell'ordinamento secondo cui la imputazione della responsabilità ha come limite minimo quello della colpa grave (prevista, in via generale, insieme all'imputazione per dolo)» e che «non è conforme ai principi dell'ordinamento, quale configurato nell'attuale sistema normativo, attenuare ulteriormente, in via generale, i casi di responsabilità per colpa grave» (sentenza n. 340 del 2001). Sul piano normativo, precedenti che si risolvano in una limitazione della responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti a sole ipotesi dolose sono di fatto rarissimi e, per quel che risulta, giustificati o da circostanze del tutto eccezionali e transitorie (cita, ad esempio, in questo senso, la sentenza n. 108 del 1967) ovvero, nel caso dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, dalle peculiari esigenze costituzionalmente rilevanti che le contraddistinguono (sentenza n. 385 del 1996). Passando all'esame delle disposizioni di specifico interesse della Commissione, segnala, innanzitutto l'articolo 2, il quale prevede, a decorrere dal 2011, una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente nell'ambito delle spese rimodulabili, delle missioni di spesa di ciascun ministero. Gli importi delle riduzioni sono indicati per ciascun ministero nell'allegato 1 al decreto-legge. Per quanto riguarda il Ministero dell'interno, le riduzioni ammontano a 118,7 milioni per il 2011, 120,5 per il 2012 e 122,8 per il 2013. Tra le riduzioni di spesa degli altri ministeri, ne segnala alcune relative al Ministero dell'economia e finanze: 40 milioni per ciascun anno dal 2011 al 2013 (Missione 001 Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e Presidenza del Consiglio dei ministri), 4,1 milioni (Missione 007 Ordine pubblico e sicurezza), 20,5 milioni (Missione 008 Soccorso civile). L'articolo 3, comma 1, prevede a carico del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri per il 2010 specifici obblighi di riduzione della spesa, in aggiunta a quelli, generali, derivanti dalle altre disposizioni del provvedimento in esame. In particolare, la disposizione stabilisce tre diverse misure di contenimento per il solo anno finanziario 2010. La prima riguarda l'eliminazione di posti negli organici dirigenziali della Presidenza fino al raggiungimento di un risparmio non inferiore a 7 milioni di euro. Secondo la lettera della disposizione, tale misura è ulteriore rispetto alle misure analoghe già previste da norme vigenti.
In secondo luogo, sul bilancio 2010 la Presidenza del Consiglio è tenuta a contenere le spese per le strutture di missione per un importo non inferiore a 3 milioni di euro. In terzo luogo, si richiede la riduzione degli stanziamenti per le politiche dei singoli Ministri senza portafoglio e Sottosegretari, con un risparmio complessivo non inferiore a 50 milioni di euro.
L'articolo 5 apre il Capo II del provvedimento in esame recante riduzioni del costo degli apparati politici ed amministrativi. Esso riguarda, in particolare, gli organi costituzionali e di governo e gli apparati politici. Il comma 1, in particolare, prevede che gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa, anche amministrativa e per il personale, che saranno, autonomamente e con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, deliberate per gli anni 2011, 2012 e 2013, da Presidenza della Repubblica, Senato, Camera dei deputati e Corte costituzionale siano versati al bilancio dello Stato per essere poi riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 398 del 2003.
L'articolo 5, comma 2, riduce del 10 per cento, a decorrere dal 1o gennaio 2011, il trattamento economico complessivo dei

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ministri e dei sottosegretari di Stato che non siano membri del Parlamento, di cui all'articolo 2, primo comma, della legge n. 212 del 1952. La norma attenua la differenza di trattamento venutosi a creare con la decurtazione del 30 per cento dello stipendio di ministri e sottosegretari che siano anche parlamentari disposta dalla legge n. 269 del 2006 (vedi oltre).
L'articolo 5, comma 3, riduce del 10 per cento, rispetto all'importo complessivo erogato nel corso del 2009, i compensi dei componenti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e degli organi di autogoverno delle magistrature. La riduzione opera a decorrere dal 1o gennaio 2011.
L'articolo 5, comma 4, riduce del 10 per cento l'ammontare dei rimborsi delle spese elettorali sostenute dai partiti politici per le campagne per il rinnovo del Senato, della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei consigli regionali.
L'articolo 5, comma 5, stabilisce che, ferme restando le incompatibilità previste dalla normativa vigente nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni individuate dall'ISTAT, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute. Eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta.
La seconda parte dell'articolo 5 (commi da 6 a 11), modificata nel corso dell'esame al Senato, è finalizzata al contenimento delle spese relative agli organi politici degli enti locali. Tra gli interventi più rilevanti: la riduzione delle indennità di sindaci, presidenti di provincia, assessori ed altri amministratori locali; l'abolizione dei compensi dei consiglieri circoscrizionali; l'introduzione del divieto di cumulo delle indennità dei soggetti che ricoprono più incarichi.
In particolare, il comma 6 modifica l'articolo 82 del TUEL. Le modifiche apportate sono le seguenti: viene soppressa la corresponsione dei gettoni di presenza ai consiglieri circoscrizionali e delle comunità montane che pertanto sono esclusi dal diritto a qualsiasi emolumento. Fanno eccezione i consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane per i quali l'ammontare del gettone di presenza non può superare, come per i consiglieri comunali e provinciali, il quarto dell'indennità del rispettivo presidente; è soppressa la parametrazione dell'indennità dei presidenti della provincia e dei sindaci al trattamento economico fondamentale del segretario generale dei rispettivi enti. Nella formulazione vigente, viene istituita un'indennità di funzione sostitutiva dei gettoni di presenza, soppressa nel corso dell'esame parlamentare.
Il comma 7 affida ad un decreto del Ministro dell'interno sia una riduzione delle vigenti indennità, secondo fasce parametrali rapportate inversamente al fattore demografico, sia la quantificazione del gettone di presenza come modificato dal comma precedente. La riduzione è valida almeno per un triennio.
Il comma 8 estende a qualsiasi emolumento previsto dal capo IV (status degli amministratori locali) del TUEL, il divieto per i parlamentari nazionali ed europei, e per i consiglieri regionali, di cumulare emolumenti. In precedenza, il divieto era limitato al solo gettone di presenza. Inoltre, viene soppressa l'indennità di missione a cui avevano diritto gli amministratori locali in relazione alla partecipazione ad organi o commissioni connessa all'esercizio delle proprie funzioni.
Il comma 11 limita ad uno l'emolumento che può percepire chi sia eletto o nominato in più organi appartenenti a diversi livelli (presumibilmente territoriali) di governo. L'indennità è individuata - tra quelle cui ha diritto - dallo stesso titolare.
L'articolo 6 prevede una serie di disposizioni volte al contenimento della spesa degli apparati amministrativi. I commi da 1 a 5 sono volti alla riduzione dei costi degli organi collegiali: rendendo onorifica la partecipazione agli organi collegiali di cui all'articolo 68, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008 (comma 1) e agli

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organi collegiali degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche (comma 2); riducendo del 10 per cento i compensi dei componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati di tutte le pubbliche amministrazione comunque denominate (comma 3); prevedendo che i compensi dovuti al dipendente pubblico che sia autorizzato a partecipare all'amministrazione o a fare parte di collegi sindacali di società o enti siano corrisposti non all'impiegato stesso ma all'amministrazione di cui egli fa parte (comma 4); ponendo un limite al numero di componenti degli organi di amministrazione e controllo di tutti gli enti pubblici, anche economici e di tutti gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato (comma 5).
L'articolo 7, comma 30, chiarisce che sono sottratti alla soppressione prevista dal provvedimento cosiddetto «taglia-enti» gli enti non inclusi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. Tale precisazione interpretativa, che pare non innovativa rispetto alla normativa vigente, si rende necessaria, secondo la relazione illustrativa, «anche per il fatto che il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa del 19 novembre 2008, tendente a confermare gli enti pubblici non economici ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 112 del 2008 non ha carattere esclusivo, in quanto in esso non sono ricompresi quegli enti che, a quella data, seppure risultanti istituiti per legge, comunque non erano ancora operativi posto che la relativa dotazione organica non era ancora definita e per i quali quindi la mancata inclusione nel citato decreto non può certo comportare l'effetto della mancata conferma e quindi l'effetto soppressivo».
L'articolo 7, commi da 31-ter a 31-septies, dispongono la soppressione dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali (AGES), prevedendo che il Ministro dell'interno «succeda a titolo universale» all'Agenzia e che al relativo Ministero siano trasferite le risorse strumentali e di personale dell'Agenzia, comprensivo del fondo di cassa.
L'articolo 8, comma 10, attribuisce ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali la competenza ad adottare i provvedimenti con i quali le amministrazioni dichiarano le opere, servizi e forniture da considerarsi «segreti» oppure «eseguibili con speciali misure di sicurezza».
I commi da 1 a 4 dell'articolo 9 recano disposizioni volte a contenere le spese di parte corrente relative ai redditi da lavoro dipendente delle pubbliche amministrazioni. Il comma 1 blocca, per il triennio 2011-2013, il trattamento economico individuale complessivo dei dipendenti pubblici, anche di qualifica dirigenziale, prevedendo che esso non possa in ogni caso superare il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010. Il comma 2 prevede, per il triennio 2011-2013, una riduzione, rispettivamente del 5 e del 10 per cento, dei trattamenti economici complessivi dei dipendenti pubblici per la parte eccedente i 90 mila euro e i 150 mila euro annui. Il comma 2-bis prevede, per il triennio 2011-2013, che l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale pubblico non possa superare il corrispondente importo dell'anno 2010 e che esso venga automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio. Il comma 3 prevede che non si applichino le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a favore dei dirigenti pubblici, di una quota dell'importo derivante dall'espletamento di incarichi aggiuntivi. Infine, il comma 4 prevede che i rinnovi contrattuali relativi ai dipendenti pubblici per il biennio 2008-2009 non possano prevedere miglioramenti economici per il medesimo biennio superiori al 3,2 per cento.
L'articolo 9, comma 32, prevede che le pubbliche amministrazioni che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale non intendano, anche in assenza di una

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valutazione negativa, confermare l'incarico conferito al dirigente, possano conferirgli un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Il comma stabilisce, altresì, che non si applicano eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli e precisa che resta fermo come al dirigente venga conferito un incarico di livello generale o di livello non generale, a seconda, rispettivamente, che il medesimo appartenga alla prima o alla seconda fascia.
Per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, la lettera d) del comma 16 dell'articolo 14 indica la possibilità per il Comune di Roma di ridurre i costi a carico dello stesso per il funzionamento dei propri organi.
Il comma 25 dell'articolo 14 qualifica i successivi commi da 26 a 31, che riguardano la materia delle funzioni fondamentali degli enti locali la cui determinazione è prevista come competenza legislativa esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, in termini di disposizioni per il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l'esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni. Il comma 26 - riproducendo l'identica previsione contenuta nell'articolo 8, comma 1, del disegno di legge recante «Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati», già approvato in prima lettura dalla Camera e ora all'esame del Senato - prevede che l'esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni sia obbligatorio per l'ente titolare. Il comma 27 considera, in via transitoria, quali funzioni fondamentali dei comuni le funzioni già considerate in via provvisoria come tali dall'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Il comma 28, primo periodo, obbliga i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti all'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali, identificate con riferimento al già citato articolo 21, attraverso convenzione o unione. Il comma 29 vieta ai comuni di svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata e vieta che la medesima funzione possa essere svolta da più di una forma associativa. Il comma 30 affida alla legge regionale - nelle materie di competenza concorrente o di competenza residuale generale (di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione) e fermo restando quanto stabilito dal comma 28 - il compito di individuare, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, secondo i princìpi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese. L'individuazione da parte delle regioni deve avvenire anche sulla base del criterio dell'omogeneità delle aree geografiche per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella ottimale, delle funzioni fondamentali. Le leggi regionali devono indicare i termini entro i quali i comuni si devono adeguare ed attivare l'associazione di funzioni. Restano esclusi i comuni capoluogo di provincia e quelli con più di 100.000 abitanti, che non sono obbligati ad associarsi. Il comma 31, rinvia ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore, per la determinazione del termine entro il quale i comuni devono comunque assicurare il completamento dell'attuazione delle disposizioni dei precedenti commi. Il comma 32 dell'articolo 14 vieta ai comuni la cui popolazione è inferiore a 30.000 abitanti, di costituire società. Entro la scadenza del 31 dicembre 2011, tali comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle società costituite da più comuni, la cui popolazione complessiva superi i 30.000

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abitanti, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti. I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro la scadenza, come modificata dal Senato, del 31 dicembre 2011, tali comuni devono mettere in liquidazione le altre società già costituite.
L'articolo 49 modifica la disciplina della conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine di semplificarne la procedura ed accelerare i tempi per l'adozione del provvedimento finale, come precisa la relazione illustrativa.
In particolare, viene rimessa al Governo la decisione finale in caso di motivato dissenso da parte delle amministrazioni cd. sensibili (tutela del paesaggio, salute ed ambiente), modificando anche la relativa procedura di composizione del dissenso. Vengono inoltre previste norme di coordinamento con le procedure di VIA, VAS e AIA sostituendo le integrazioni introdotte dalla riforma del 2005.
L'articolo reca, pertanto, modifiche in tema di: attivazione della conferenza di servizi (articolo 14); procedimento della conferenza in caso di VIA, VAS e AIA (articolo 14-ter); disciplina del dissenso (articolo 14-quater); ambito di applicazione (articolo 29).
Sotto il profilo generale, le nuove regole, attraverso due novelle all'articolo 14, commi 1 e 2, prevedono che l'amministrazione procedente ha la facoltà di indire la conferenza di servizi cosiddetta «istruttoria» - altrimenti detta «interna» o «referente» - che nel precedente testo poteva generare l'equivoco di una obbligatorietà, evitando che la mancata adozione di tale modulo procedurale possa formare oggetto di sindacato da parte del giudice amministrativo, qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo (comma 1, lettera a).
Per la diversa tipologia di conferenza di servizi cosiddetta «decisoria» (altrimenti detta «esterna» o «deliberante»), che resta obbligatoria dopo l'inutile esperimento della procedura ordinaria, viene chiarito che, in talune fattispecie, l'assenza delle determinazioni delle amministrazioni chiamate a pronunciarsi, entro 30 giorni in via ordinaria, non obbliga la pubblica amministrazione procedente ad indire la conferenza di servizi in tutti i casi in cui esistano espresse previsioni normative che consentano alla amministrazione procedente di prescinderne, introducendo una vera e propria ipotesi di sostituzione (comma 1, lettera b)).
Sotto il profilo procedurale, le modifiche all'articolo 14-ter, comma 2, prevedono il coordinamento con le norme sovraordinate in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, stabilendo la stesura di un calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali.
In particolare, tali norme sono applicabili ai casi in cui, una volta convocata la conferenza dei servizi, le amministrazioni coinvolte richiedono che la riunione sia effettuata in una data diversa in quanto impossibilitate a partecipare. Attualmente è previsto, in generale, che la nuova data sia fissata entro i dieci giorni successivi alla prima.
La norma in esame stabilisce, invece, che se la richiesta proviene da un'autorità preposta alla tutela del patrimonio culturale, la nuova data della riunione può essere fissata entro i quindici giorni successivi. Inoltre, i responsabili degli sportelli unici per le attività produttive e per l'edilizia, (SUAP), ove costituiti, o i comuni concordano con i Soprintendenti territorialmente competenti un calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati del Ministero per i beni e le attività culturali.
A seguito di una modifica apportata al Senato, è stato previsto che il suddetto accordo possa coinvolgere non solo il responsabile

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del SUAP o i Comuni, ma anche le altre autorità competenti (comma 2, lettera a)).
Ai sensi del nuovo comma 3-bis, le Soprintendenze devono esprimersi in maniera «definitiva» in sede di conferenza di servizi, ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di loro competenza ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 nei casi di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica (comma 2, lettera b)). In altri termini, alla luce del combinato disposto delle lettere a) e b), il soprintendente si dovrà esprimere un'unica volta e in via definitiva in seno alla conferenza di servizi, sulla base di un calendario almeno trimestrale delle riunioni delle conferenze concordato con lo sportello unico o con il comune.
La finalità dell'intervento, secondo la relazione illustrativa, è quella di consentire semplificazioni procedurali nei casi in cui sia richiesta l'autorizzazione paesaggistica ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004.
L'articolo modifica anche alcune norme dell'articolo 14-ter con riferimento al procedimento di conferenza in caso di valutazione ambientale strategica (VAS), valutazione di impatto ambientale (VIA) e autorizzazione integrata ambientale (AIA). Durante l'iter al Senato è stata aggiunta la lettera b-bis che modifica il comma 4 dell'articolo 14-ter che prevede attualmente la sospensione del termine per l'adozione della decisione conclusiva della conferenza di servizi per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale, come segue: si fa salvo quanto previsto dal nuovo comma 4-bis, introdotto dal comma 2, lettera c) del decreto-legge (e cioè che se l'intervento oggetto della conferenza è già stato sottoposto positivamente a VAS, i relativi risultati e prescrizioni devono essere utilizzati ai fini della VIA); per assicurare il rispetto dei tempi, si autorizza l'amministrazione competente al rilascio dei provvedimenti in materia ambientale a «far eseguire» anche da altri organi dell'amministrazione pubblica o enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero da istituti universitari. In tal caso gli oneri economici diretti o indiretti sono posti a esclusivo carico del soggetto committente il progetto, secondo le tabelle approvate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Con il nuovo comma 4-bis vengono introdotte norme di coordinamento nei casi in cui l'intervento oggetto della conferenza di servizi è stato sottoposto positivamente a VAS, prevedendo che i relativi risultati e prescrizioni conseguiti nell'ambito della VAS devono essere utilizzati senza modificazioni ai fini della VIA, qualora effettuata dalla medesima autorità competente ad effettuare la VAS. In tal modo si accelera il rilascio degli assensi da parte delle amministrazioni coinvolte e si evita la duplicazione di valutazioni già effettuate in sede di VAS (comma 2, lettera c).
Ricorda, in relazione alle competenze in materia di VIA e VAS che, per la VIA vige il cosiddetto criterio tabellare, ossia spetta allo Stato per le opere di maggiore impatto e alle regioni su quelle di minore impatto. Per la VAS, invece, sono sottoposti a VAS statale i piani e programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato e a VAS regionale i piani e programmi la cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali. Si ricorda che, a seguito della delega contenuta nell'articolo 12 della legge n. 69 del 2009, è stato presentato lo schema di decreto legislativo n. 220 che apporta disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo n. 152 del 2006 e sul quale la VIII Commissione ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 23 giugno 2010. In particolare sono state semplificate le procedure di VAS, VIA e AIA.
Attraverso la sostituzione del comma 6-bis dell'articolo 14-ter, viene introdotta la possibilità che, all'esito dei lavori della conferenza e in ogni caso scaduti i termini per i lavori della conferenza in caso di VIA statale (e solo in tal caso), di adire direttamente il Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 26, comma 2, del citato decreto

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legislativo n. 152 del 2006 che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
In tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, la determinazione motivata di conclusione del procedimento sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza.
Viene introdotta, infine, la responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa per la mancata partecipazione alla conferenza di servizi ovvero la ritardata o mancata adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento, valevole anche ai fini dell'attribuzione della retribuzione di risultato, con diritto del privato di dimostrare il danno derivante dalla mancata osservanza del termine di conclusione del procedimento (comma 2, lettera d)).
Con la riformulazione del comma 7 dell'articolo 14-ter, si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata, prevedendo che ciò si applichi anche alle amministrazioni preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS, AIA, paesaggistico territoriale (comma 2, lettera e)). Con una modifica introdotta dal Senato, è stata circoscritta l'esclusione ai soli provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, riconducendo i provvedimenti in materia paesaggistico-territoriale nell'ambito del silenzio assenso.
A seguito della sostituzione del comma 6-bis viene soppresso il comma 9 che prevedeva che la determinazione motivata di conclusione del procedimento sostituisse a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni (comma 2, lettera f)).
Il comma 3 novella l'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990, relativo agli effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi. Sotto il profilo degli effetti di un eventuale dissenso espresso in seno alla conferenza, il decreto prevede, con alcune novelle al comma 1 dell'articolo 14-quater, anche per le amministrazioni preposte alla tutela ambientale (salvo l'esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri), paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, l'obbligo di manifestare il dissenso nella conferenza di servizi. Tale dissenso dovrà essere congruamente motivato, non potrà riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e dovrà recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso. Soltanto in caso di VIA statale è prevista la possibilità che l'amministrazione procedente chieda l'intervento sostitutivo del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, del Codice ambientale per consentire la conclusione dei lavori della conferenza entro un termine ragionevole.
Tale disposizione sembra duplicare quanto previsto dal vigente articolo 14-quater, comma 5, della legge n. 241 del 1990 (comma 3, lettera a)). Tale comma affida, in caso di VIA negativa, la possibilità di chiudere (positivamente) il procedimento di conferenza mediante il ricorso all'articolo 5, comma 1, lettera c-bis), legge 23 agosto 1988, n. 400. In particolare, questa disposizione attribuisce al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti.
La lettera b) riscrive le procedure in caso di dissenso espresso da parte di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela

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della salute e della pubblica incolumità ovvero da una regione o provincia autonoma.
In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, la suddetta procedura non si applicava se le regioni interessate avevano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso l'individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso.
La norma introdotta rimette al Consiglio dei Ministri la decisione finale nella maggior parte dei casi di «motivatodissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità», ad eccezione dei casi in cui la questione sia oggetto di: intese raggiunte tra le Regioni, ex articolo 117, comma 8, della Costituzione, ratificate con legge regionale per disciplinare appositamente il dissenso; specifici procedimenti ex articolo 161 e seguenti del decreto legislativo n. 163 del 2006, relativi alle opere della cosiddetta «Legge obiettivo», che presentano un'autonoma disciplina sul dissenso; specifico procedimento ex decreto del Presidente della Repubblica. 18 aprile 1994, n. 383, in tema di localizzazione di opere statali.
Per quanto riguarda il dissenso espresso da parte di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, viene eliminata la competenza delle Conferenze a favore del Consiglio dei ministri, che si pronuncia: previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Se l'intesa non è raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può comunque essere adottata. Il Consiglio dei ministri deve pronunciarsi entro sessanta giorni dal momento in cui la questione gli è stata rimessa (precedentemente, il termine era di trenta giorni, prorogabili per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni). Analogamente, se il motivato dissenso è espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la competenza è attribuita al Consiglio dei ministri, che delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione delle Regioni o delle Province autonome interessate (comma 3, lettera b)).
Il comma 4, da ultimo, con una novella all'articolo 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, inserisce le norme sulla conferenza di servizi tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, equiparando l'istituto alla dichiarazione di inizio attività e al silenzio assenso già riconosciuti a tali fini dalla legge n. 69 del 2009.
L'inclusione dell'istituto tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è volto ad eliminare, sostanzialmente, la possibilità, da parte delle Regioni, di emanare norme in contrasto con le disposizioni statali ora inserite.
I commi da 4-bis a 4-quinquies, aggiunti all'articolo 49 dal Senato, recano norme in materia di segnalazione certificata di inizio attività e altre norme di semplificazione amministrativa per le imprese. In particolare, il comma 4-bis sostituisce integralmente l'articolo 19 della legge n. 241 del 1990, originariamente rubricato «Dichiarazione di inizio attività».
Con il nuovo articolo 19 sin dal suo esordio (comma 1) si intende corrispondere all'esigenza di liberalizzazione dell'attività d'impresa. Ecco perché il nuovo articolo 19 istituisce una «segnalazione certificata di inizio attività» che sostituisce «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le

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domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale».
L'applicazione della nuova disciplina è subordinata alle seguenti condizioni: che il rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti imposti dalla normativa comunitaria (comma 1); che non si tratti di casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali o di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria (comma 1); che non si versi nelle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (comma 5, primo periodo).
Dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà correderanno la segnalazione per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445. Ulteriore corredo sarà offerto dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte delle Agenzie delle imprese (di cui all'articolo 38, comma 4 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
Le attestazioni e asseverazioni sono funzionali alle verifiche di competenza dell'amministrazione, che a tal fine si avvarranno anche degli elaborati tecnici necessari a corredo della segnalazione. Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiranno anche l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive; sono sempre salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.
Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 19, l'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente.
Lo spazio operativo dell'amministrazione competente, disciplinato dal comma 3, è solo quello di adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti: ciò deve avvenire nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione e può contenere l'ordine di rimozione degli eventuali effetti dannosi. L'amministrazione può però anche fissare un termine - in ogni caso non inferiore a trenta giorni - entro cui, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti. È fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Ricorda che il citato articolo 21-quinquies, comma 1 dispone che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione

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e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.
Invece l'articolo 21-nonies dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando la responsabilità penale, può sempre e in ogni tempo adottare i summenzionati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
Ai sensi del comma 4, decorso il suddetto termine di sessanta giorni, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Il comma 5 devolve ogni controversia relativa all'applicazione dell'articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, precisando che il relativo ricorso giurisdizionale può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20.
Le sanzioni penali previste dal comma 6 (reclusione da uno a tre anni per chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti) si aggiungono alla disciplina delle sanzioni penali di cui al capo VI del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445 in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci (comma 3, ultimo periodo) ed operano se il fatto non costituisce più grave reato.
La disciplina sulla segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) che si viene ad introdurre è ricondotta dal comma aggiuntivo 4-ter alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117 comma 2, lettera e), della Costituzione (materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato), e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma 2 (anch'essa materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato). Ciò risolve il problema del rapporto con la disciplina della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa regionale. Difatti la disposizione in esame stabilisce che la disciplina sulla SCIA sostituisce direttamente, dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, quella della DIA recata da ogni normativa statale e regionale.
Inoltre viene precisato che le espressioni «segnalazione certificata di inizio di attività» e «SCIA» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attività» e «DIA», ovunque ricorrano.
Il comma aggiuntivo 4-quater riprende la tematica della semplificazione, introducendo una normativa a cascata che tende a ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese (anche sulla base delle attività di misurazione degli oneri amministrativi di cui

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all'articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).
L'articolo 50 reca la disciplina relativa al quindicesimo censimento generale della popolazione e delle abitazioni; al non censimento generale dell'industria e dei servizi e al censimento delle istituzioni no profit, nonché al sesto censimento generale dell'agricoltura.
Il comma 1, in particolare, indice: il quindicesimo Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, di cui al Regolamento (CE) 9 luglio 2008, n. 763/08; il nono censimento generale dell'industria e dei servizi; il censimento delle istituzioni no-profit.
A tal fine, la norma autorizza la spesa di 200 milioni di euro per l'anno 2011, di 277 milioni per l'anno 2012 e di 150 milioni per l'anno 2013.
Il comma 2 attribuisce all'ISTAT il compito di organizzare i censimenti suddetti. Ricorda che, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettere b), c) ed e) del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, l'ISTAT, tra l'altro, provvede: alla esecuzione dei censimenti e delle altre rilevazioni statistiche previste dal programma statistico nazionale ed affidate alla esecuzione dell'Istituto; all'indirizzo e al coordinamento delle attività statistiche degli enti ed uffici facenti parte del Sistema statistico nazionale; alla predisposizione delle nomenclature e metodologie di base per la classificazione e la rilevazione dei fenomeni di carattere demografico, economico e sociale. Le nomenclature e le metodologie sono vincolanti per gli enti ed organismi facenti parte del Sistema statistico nazionale.
Il comma 3 esclude dal Patto di stabilità interno, nei limiti delle risorse trasferite dall'ISTAT, le spese derivanti dalla progettazione ed esecuzione del censimento per gli enti territoriali ai quali il Piano generale di censimento affida fasi di rilevazioni censuarie.

Isabella BERTOLINI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di parità di accesso agli organi delle società quotate in mercati regolamentati.
Testo unificato C. 2426 Golfo e C. 2956 Mosca.
(Parere alla VI Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Beatrice LORENZIN (PdL), relatore, ricorda che il testo unificato in esame, in relazione alla scarsa rappresentatività delle donne nei consigli di amministrazione delle società per azioni quotate nei mercati regolamentati, integra il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico dell'intermediazione finanziaria (TUF), con l'obiettivo di bilanciare la rappresentanza tra generi nei suddetti consigli di amministrazione.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa della proposta n. 2426 Golfo, la proposta di legge si pone appunto «l'obiettivo di riequilibrare l'accesso alle cariche direttive delle sole società quotate in borsa che, come si evince dai dati riportati, sono quasi off-limits per le donne».
Nel dettaglio, l'articolo 1 del testo in esame integra l'articolo 147-ter del TUF. Tale articolo, nella versione vigente, stabilisce che lo statuto delle società preveda che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati e determini la quota minima di partecipazione richiesta per la presentazione di esse, in misura non superiore a un quarantesimo del capitale sociale o alla diversa misura stabilita dalla Consob con regolamento, tenendo conto della capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate. Le liste devono quindi indicare quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto, potendo quest'ultimo prevedere che, ai fini del riparto degli amministratori da eleggere, non si tenga conto delle liste che non hanno conseguito una percentuale

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di voti almeno pari alla metà di quella richiesta dallo statuto per la presentazione delle stesse.
Il testo unificato in esame aggiunge quindi al testo dell'attuale articolo 147-ter del TUF un comma 1-bis, che affida allo statuto delle società il compito di prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, intendendosi tale equilibrio raggiunto quando il genere meno rappresentato all'interno dell'organo amministrativo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti.
Il riparto sopra indicato si applica per tre mandati consecutivi e, qualora non sia rispettato dalla composizione del consiglio di amministrazione risultante dall'elezione, i componenti eletti decadono dalla carica. Nel caso di sostituzione di uno o più amministratori prima della scadenza del termine, i nuovi amministratori sono nominati nel rispetto del medesimo riparto. Tali disposizioni si applicano anche alle società organizzate secondo il sistema monistico.
Il testo unificato in esame aggiunge poi al testo dell'attuale articolo 147-quater del TUF un comma 1-bis secondo cui, qualora il consiglio di gestione sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, ad esso si applicano le disposizioni di cui al sopra richiamato articolo 147-ter, comma 1-ter.
Con riguardo alla composizione del collegio sindacale, all'articolo 148 viene aggiunto un comma 1-bis, ai sensi del quale l'atto costitutivo della società deve stabilire che il riparto dei membri sia effettuato in modo che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi del collegio sindacale, dovendosi tale riparto applicare per tre mandati consecutivi. Qualora la composizione del consiglio sindacale risultante dall'elezione non rispetti il riparto così previsto, i componenti eletti decadono dalla carica. Nel caso di sostituzione di uno o più sindaci prima della scadenza del termine, i nuovi sindaci sono nominati nel rispetto del medesimo riparto.
L'articolo 2 del testo in esame prevede inoltre che le disposizioni così introdotte nel TUF si applicano a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati e, comunque, non prima di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L'articolo 3 del testo in esame stabilisce che le nuove disposizioni inserite nel TUF si applicano anche alle società controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati.
Le disposizioni recate dal testo in esame sono riconducibili alla materia «mercati finanziari», che la lettera e) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Vengono, inoltre, in rilievo principalmente gli articoli 41 e 51, nonché l'articolo 3 della Costituzione. L'articolo 41, primo comma, della Costituzione, sancisce il principio in base al quale l'iniziativa economica privata è libera. Tale disposizione, peraltro, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale, deve essere letta in stretta correlazione con il secondo comma del medesimo articolo, in base al quale l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Inoltre, l'articolo 51 della Costituzione al primo comma (come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2003), riconosce, seppur con riferimento alle cariche elettive e agli altri uffici pubblici, il diritto del cittadino di accedere alle medesime in condizioni di eguaglianza. A tal fine «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Il testo in esame, che riguarda gli organi di società private, pur non potendosi considerarsi come diretta attuazione della disposizione costituzionale citata, sembra tuttavia riconducibile al nucleo di principi desumibili dalla disposizione costituzionale.

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Richiama, a tal proposito, la Risoluzione 10 febbraio 2010 del Parlamento europeo sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea, che, al punto 24, chiede «agli Stati membri e alle parti sociali di promuovere una presenza più equilibrata tra donne e uomini nei posti di responsabilità delle imprese, dell'amministrazione e degli organi politici», nonché «pertanto la definizione di obiettivi vincolanti per garantire la pari rappresentanza di donne e uomini». Nella medesima Risoluzione si «sottolinea, a questo proposito, gli effetti positivi dell'uso delle quote elettorali sulla rappresentanza delle donne»;
Evidenzia, quindi, che, sulla base di tale sottolineatura, se pur contenuta in atto non vincolante per il Parlamento nazionale, potrebbe individuarsi una chiave di lettura dell'articolo 51 della Costituzione quale principio suscettibile di assumere nell'ordinamento una valenza generale.
Con riferimento all'articolo 3, sottolinea come la finalità del provvedimento in esame sia quella di porre in essere azioni «positive» che, secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 109 del 1993) «costituiscono il principale strumento a disposizione del legislatore per attuare il dovere - che l'articolo 3, comma secondo, della Costituzione assegna alla Repubblica - di assicurare uno statuto effettivo di pari opportunità di inserimento sociale, economico e politico a categorie di persone socialmente svantaggiate, fondamentalmente quelle riconducibili ai divieti di discriminazione espressi nel primo comma dello stesso articolo 3 (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali)»; tenuto conto, in particolare, che secondo la Corte, dette «azioni positive» - in quanto dirette ad equilibrare situazioni di sostanziale disparità di condizioni - comportano l'adozione di discipline giuridiche differenziate a favore delle categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio di formale parità di trattamento stabilito nell'articolo 3, comma primo, della Costituzione.
Peraltro, ricorda che la Corte costituzionale ha escluso l'ammissibilità di norme che non si propongano di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, ma piuttosto di attribuire quei medesimi risultati (sentenza n. 422 del 1995). La disciplina in esame, per evitare che siano sollevati dubbi alla luce della citata giurisprudenza della Corte Costituzionale, dispone che le misure da essa recate si applichino limitatamente alla durata di tre mandati degli organi societari, introducendo, pertanto, una misura sperimentale a carattere temporaneo.
Ritiene, peraltro, che il carattere «transitorio» potrebbe essere definito in maniera più diffusa e compiuta, in modo tale da individuare un lasso temporale, congruo ma al tempo stesso omogeneo, al termine del quale sia possibile effettuare una valutazione dei risultati conseguiti, anche al fine di predisporre una disciplina a regime della materia, in linea con i principi e le disposizioni costituzionali richiamate.
Evidenzia, infine, come l'articolo 1, al comma 1, capoverso 1-ter e al comma 3, lettera a) capoverso 1-bis, mentre da un lato disciplina le conseguenze derivanti dal mancato rispetto del principio di equilibrio tra i generi in caso di elezione dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, nulla prevede nel caso in cui detto principio non sia rispettato nelle ipotesi di sostituzione di uno o più componenti dei medesimi organi.
In conclusione, formula una proposta di parere favorevole, con due osservazioni che tengono conto di quanto evidenziato nell'illustrazione del provvedimento (vedi allegato 2).

Pierguido VANALLI (LNP) ritiene che l'approfondita relazione della collega Lorenzin non risolva tutti i dubbi sollevati dalla proposta di legge in esame. In particolare, non è chiaro se le disposizioni contenute in tale proposta attengano solo al numero dei consiglieri di amministrazione o anche alla rilevanza dei compiti

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loro assegnati e delle funzioni svolte all'interno della società. A suo avviso, non è chiaro, inoltre, come tali disposizioni possano trovare applicazione nei confronti di società di nuova istituzione. Rileva, altresì, come sia la relazione sia la proposta di parere facciano riferimento ai soggetti socialmente svantaggiati, definizione che, a suo avviso, può risultare offensiva nei confronti delle donne e, al tempo stesso, dar luogo a rivendicazioni da parte di altri soggetti svantaggiati, sollevando così dubbi sulla costituzionalità del provvedimento proprio sotto il profilo del principio di uguaglianza. Dichiara, pertanto, di non condividere la proposta di parere della relatrice.

Isabella BERTOLINI, presidente, precisa che la proposta di legge in esame fa riferimento ai generi e non ad altre più o meno generiche categorie di soggetti.

Sesa AMICI (PD), dopo aver brevemente ricordato l'oscillante giurisprudenza costituzionale in materia, rileva che le conclusioni cui tale giurisprudenza è pervenuta fanno propendere per la piena legittimità costituzionale delle norme in esame, essendo queste configurate come azioni positive, di natura temporanea, volte a rimuovere situazioni di disuguaglianza. A tale riguardo, dichiara di condividere la proposta di parere della relatrice e osserva, rivolta al collega Vannalli, che il riferimento alle categorie di soggetti svantaggiati non riguarda specificamente il genere femminile, bensì, in generale, la giurisprudenza costituzionale sull'articolo 3 della Costituzione.

Maria Piera PASTORE (LNP) preannuncia, in dissenso dal rappresentante del suo gruppo, voto favorevole sulla proposta di parere della relatrice.

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL), pur condividendo le finalità della proposta di legge in esame, chiede chiarimenti in ordine alle conseguenze che potrebbero derivare dalla circostanza che i requisiti, talvolta richiesti per l'accesso ai consigli di amministrazione delle società, potrebbero risultare meno diffusi tra la popolazione femminile.

Isabella BERTOLINI, presidente, fa osservare che la proposta di legge in esame non incide affatto sui requisiti che ciascuna società può stabilire debbano essere posseduti dai membri del proprio consiglio di amministrazione e, comunque, essa è volta a riequilibrare, e non a parificare, i rapporti tra i due generi all'interno di detti consigli.

Beatrice LORENZIN (PdL), relatore, premesso che la Commissione deve concentrarsi sui profili di costituzionalità, conferma che, come è stato giustamente osservato, la proposta di legge in esame non incide sui requisiti dei membri dei consigli di amministrazione. Conferma, altresì, la correttezza di quanto osservato dalla collega Amici sul riferimento alle categorie di soggetti svantaggiati, contenuto nella sua proposta di parere.

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Serbia, dall'altra, con Allegati, Protocolli e Atto finale e Dichiarazioni, fatto a Lussemburgo il 29 aprile 2008.
C. 3620 Governo.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Alessandro NACCARATO (PD), relatore, illustra brevemente il provvedimento in esame, sul quale formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 3).

Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 16.30.