CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 10 febbraio 2010
281.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 10 febbraio 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 14.30.

Disposizioni per la promozione del diritto alla formazione e allo sviluppo professionale.
Nuovo testo unificato C. 1079 Bobba e abb.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Elena CENTEMERO (PdL), relatore, illustra i contenuti del provvedimento, ricordando che la XI Commissione Lavoro ha avviato l'esame, in sede referente, delle proposte di legge A.C. 1079 e abb. nella seduta del 14 maggio 2009. In data 14 gennaio 2010 la stessa Commissione ha adottato come testo base il testo unificato elaborato dal Comitato ristretto.
Il progetto consta di 2 articoli che recano norme volte alla promozione del diritto alla formazione e allo sviluppo professionale.
L'articolo 1 attribuisce una ampia delega al Governo, individuando una serie articolata di principi e criteri direttivi per l'adozione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi recanti norme finalizzate a riconoscere e disciplinare il diritto dei lavoratori - anche se inoccupati - e dei disabili all'apprendimento e alla formazione.
Sulla base dei principi e criteri direttivi previsti per l'esercizio della delega, i decreti delegati dovranno:
a) affermare il diritto individuale alla formazione ed allo sviluppo professionale in ogni momento della vita, da realizzarsi

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mediante la promozione di tirocini formativi in Italia ed all'estero, utilizzando anche il coordinamento delle diverse banche dati esistenti al fine di facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro;
b) definire gli standard di prestazione, riconoscendo alle regioni il compito di disciplinare i servizi necessari per l'esercizio del diritto alla formazione ed allo sviluppo professionale;
c) riordinare e armonizzare i permessi riconosciuti ai lavoratori per l'esercizio del diritto allo studio;
d) estendere i permessi per l'esercizio del diritto allo studio anche ai soggetti titolari di rapporti di collaborazione a progetto;
e) prevedere che l'erogazione di trattamenti di sostegno al reddito siano condizionati alla partecipazione a programmi formativi coerenti con le esigenze dei processi produttivi;
f) favorire le iniziative formative all'interno dei luoghi di lavoro, promuovere il reinserimento dei disoccupati di lunga durata e delle donne uscite dal mercato del lavoro, sostenere l'occupabilità dei lavoratori di età superiore ai 45 anni, aiutare i giovani disoccupati o in stato di disagio, realizzare la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro nelle micro, piccole e medie imprese;
g) riconoscere il diritto all'aggiornamento professionale dei quadri e dei dirigenti;
h) coordinare i piani formativi aziendali con l'indicazione della relativa programmazione provinciale e regionale e predisporre, di concerto con il mondo produttivo, percorsi formativi volti all'assunzione dei corsisti (per almeno il 50 per cento) da parte delle aziende per un periodo non inferiore a tre anni;
i) realizzare un sistema di certificazione degli apprendimenti, differenziati per categorie specifiche, sentito il parere dell'ISFOL e dell'INVALSI;
j) disciplinare le linee di indirizzo per l'avvio di politiche attive in favore dei co.co.pro. e dei lavoratori autonomi;
k) realizzare una sostanziale integrazione tra sistemi formativi e mercato del lavoro;
l) promuovere l'apprendistato ai fini dell'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione;
m) valorizzare l'uso di nuove tecnologie;
n) consentire la deducibilità a fini fiscali delle spese sostenute per l'iscrizione e la frequenza di corsi di formazione;
o) introdurre misure di sostegno diretto (borse di studio, voucher individuali, prestiti agevolati), graduate in relazione alle condizioni individuali dei soggetti beneficiari;
p) incentivare la formazione professionale, con particolare riferimento al settore dei mestieri d'arte;
q) realizzare la semplificazione delle procedure burocratiche, amministrative e di rendicontazione dei piani formativi;
r) valorizzare il ruolo ed i compiti dei fondi interprofessionali;
s) sperimentare iniziative formative in favore dei lavoratori stagionali e intermittenti;
t) garantire che i sistemi formativi regionali siano organizzati anche con il concorso degli enti privati gestori di attività formative;
u) garantire interventi di formazione in particolare nelle zone comprese nell'Obiettivo 1 dei fondi strutturali comunitari di sostegno;
v) istituire un Piano triennale di azione nazionale per la formazione professionale continua che definisca, in coerenza con le indicazioni dell'Unione europea, gli obiettivi del sistema nazionale di formazione;

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w) monitorare i risultati ottenuti dalle regioni, con particolare riguardo per le zone comprese nell'Obiettivo 1.

Viene inoltre precisato che dall'attuazione delle disposizioni sopra illustrate non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
La procedura per l'emanazione dei decreti legislativi è disciplinata all'articolo 2 del testo in esame: esso prevede che i relativi schemi, corredati della relazione tecnica, con deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale, siano trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Eventuali disposizioni correttive ed integrative dei decreti potranno essere adottate, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi previsti dal testo in esame e con le stesse procedure, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore.
Viene infine prevista un'ulteriore delega al Governo, da esercitarsi entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni correttive e integrative, ai fini dell'adozione di ulteriori disposizioni volte al coordinamento dei decreti con le altre leggi dello Stato e all'abrogazione delle norme incompatibili.
Con riferimento alla normativa comunitaria, ricorda che l'Obiettivo 1 dei Fondi strutturali comunitari 2000-2006, citato tra i principi e criteri direttivi della delega di cui all'articolo 1, comma 1, lettere z) e bb), è stato sostituito, per il periodo 2007-2013, dall'Obiettivo «Convergenza», che intende accelerare la convergenza degli Stati e delle regioni in ritardo di sviluppo favorendo il miglioramento delle condizioni di crescita e di occupazione attraverso l'aumento della qualità degli investimenti in capitale fisico e umano, lo sviluppo dell'innovazione, l'adattabilità ai cambianti economici e sociali, la protezione e il miglioramento della qualità dell'ambiente e l'efficacia amministrativa. Tale obiettivo assume carattere prioritario rispetto agli altri due obiettivi (Competitività e Cooperazione territoriale europea, ex-obiettivi 2 e 3) per l'intervento dei Fondi strutturali. Ad esso sono infatti destinate oltre l'81,5 per cento della dotazione complessiva delle risorse dei Fondi, pari a circa 251,2 miliardi di euro, nel periodo di programmazione 2007-2013 (Decisione della Commissione 2006/594/CE del 4 agosto 2006). Sono ammissibili al finanziamento dei Fondi strutturali nell'ambito dell'obiettivo «Convergenza» le aree europee meno sviluppate, corrispondenti al livello NUTS II, il cui PIL per abitante, misurato in parità di potere di acquisto sulla base di dati comunitari per il periodo 2000-2002, è inferiore al 75 per cento della media comunitaria dell'UE-25. L'elenco delle regioni interessate dall'obiettivo «Convergenza» dei Fondi strutturali, valido dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2013, è riportato nell'allegato I alla decisione della Commissione UE n. 595/2006 del 4 agosto 2006. Per l'Italia, vi rientrano le seguenti regioni: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. La Commissione ha peraltro previsto un sostegno transitorio decrescente, c.d. regime di phasing-out, nell'ambito dell'obiettivo «Convergenza», in favore di quelle regioni il cui PIL per abitante sarebbe stato inferiore al 75 per cento della media comunitaria se calcolata sui 15 Stati membri, ma che hanno superato tale soglia per effetto dell'allargamento della UE a 27 Stati (cosiddetto «effetto statistico»). Per l'Italia, l'unica regione a beneficiare del regime di phasing-out fino al 2013 è la Basilicata.
Ricorda peraltro che la Commissione considera una delle priorità della strategia UE-2020 (COM(2009)647), presentata il 12 novembre 2009, il pieno sviluppo della conoscenza quale motore della crescita sostenibile. Su tale necessità ha convenuto il Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.
Il 25 novembre 2009 la Commissione ha presentato la comunicazione «Competenze chiave per un mondo in trasformazione» - progetto di relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione sull'attuazione del programma di lavoro

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«Istruzione e formazione 2010» (COM(2009)640). Nel documento la Commissione pone l'esigenza di utilizzare il quadro europeo delle competenze chiave (digitale, matematica, lingua madre, lingue straniere) per l'apprendimento permanente (Raccomandazione 18 dicembre 2006) nell'ambito di percorsi formativi oltre che nel contesto «formale» anche in quelli «non formale» e «informale».

Gianluca PINI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.35.

ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 10 febbraio 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 14.35.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.
Atto n. 171.
(Rinvio del seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno, rinviato nella seduta del 9 febbraio 2010.

Gianluca PINI, presidente, avverte che il Ministro Ronchi - la cui presenza in Commissione è stata sollecitata dai colleghi nella seduta svoltasi ieri - ha dato la propria disponibilità ad essere presente martedì prossimo alle ore 14.30.

Nessuno chiedendo di intervenire, rinvio quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.40.

ATTI COMUNITARI

Mercoledì 10 febbraio 2010. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 14.40.

Iniziativa per una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ordine di protezione europeo.
17513/09 COPEN 247, COR 1 e PE-CONS 2/10.
(Parere alla II Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento all'ordine del giorno.

Isidoro GOTTARDO (PdL), relatore, evidenzia che la proposta di direttiva di cui oggi la XIV Commissione avvia l'esame nasce per iniziativa di dodici Stati membri, tra cui l'Italia, che hanno ritenuto di doversi attivare per promuovere l'adozione di una disciplina legislativa a livello europeo in una materia estremamente delicata quale la tutela delle vittime di reati. Si prevede, in sostanza, l'istituzione di un «Ordine di protezione europeo (OPE)», inteso dai proponenti quale strumento basato sul principio del reciproco riconoscimento nell'ambito della cooperazione giudiziaria penale. La proposta si inquadra in un complesso di misure già poste in essere e rientra tra le iniziative auspicate dal programma di Stoccolma 2010-2014 per il consolidamento della libertà, sicurezza e giustizia, approvato dal Consiglio europeo del dicembre 2009. Sulla proposta si è svolta, tra il 23 settembre e il 16 ottobre 2009, una consultazione degli Stati membri. I dati statistici forniti da 13 Stati Membri, evidenziano che nel 2008 sono state adottate più di 73.000 misure di protezione, per lo più riferite a casi di violenza di genere. La relazione che accompagna la proposta di direttiva afferma che tutti gli Stati membri UE disporrebbero di misure intese a tutelare la vita, l'integrità fisica, psichica o sessuale e la libertà delle vittime di reati, ma che l'efficacia

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di tali misure risulta limitata attualmente al territorio dello Stato membro che le ha adottate, lasciando quindi la vittima priva della protezione da esse garantita quando varca le frontiere dello Stato in questione.
La proposta di direttiva si prefigge i seguenti obiettivi:
impedire nello Stato membro in cui la vittima si reca, lo Stato di esecuzione, la commissione di un nuovo reato nei suoi confronti da parte dell'autore o presunto autore del reato;
mettere a disposizione della vittima nello Stato membro in cui si reca un livello di garanzia di protezione analogo a quello di cui godeva nello Stato membro che ha concesso la misura;
evitare che la vittima che si reca nello Stato di esecuzione sia discriminata rispetto alle vittime cui quest'ultimo Stato ha concesso misure di protezione. In base alla proposta di direttiva l'emissione dell'ordine di protezione europeo avviene solo su richiesta della persona protetta qualora essa stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato che ha emesso la misura di protezione. Condizione per l'emissione è che sia stata precedentemente adottata nello Stato di emissione una misura di protezione che imponga alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti obblighi o divieti:
divieto di frequentare determinate località in cui la persona protetta risiede o che essa frequenta;
obbligo di rimanere in un luogo determinato;
restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di emissione;
obbligo di evitare contatti con la persona protetta;
divieto di avvicinarsi alla persona protetta entro un perimetro definito.

L'autorità competente dello Stato di esecuzione, alla ricezione di un ordine di protezione europeo lo riconosce e adotta, se del caso, tutte le misure che sarebbero previste dalla legislazione nazionale in casi simili per garantire la protezione dell'interessato, a meno che non decida di invocare uno dei motivi di non riconoscimento previsti dalla proposta stessa. In sostanza, si esclude che lo Stato di esecuzione debba applicare misure che eccedano il suo sistema giuridico, ma si prevede che esso scelga tra le misure previste dal suo ordinamento quelle che corrispondono meglio alle misure adottate dallo Stato di emissione e, in particolare, quelle che sarebbero state adottate in caso analogo secondo la sua legislazione.
Va considerato che, relativamente al principio di proporzionalità, la proposta di direttiva non prevede un'armonizzazione delle misure contemplate negli Stati membri, ma si limita ad introdurre un meccanismo, che nella relazione di accompagnamento viene qualificato nei termini di reciproco riconoscimento, tale da consentire di estendere la protezione di cui gode una persona in uno Stato membro ad un altro Stato membro in cui essa si trova, in conformità della legislazione di quest'ultimo e nel pieno rispetto del suo sistema giuridico.
A questo proposito merita segnalare che il meccanismo di «approccio in tre fasi» contemplato nella proposta (emissione di una misura di protezione interna; emissione di un ordine di protezione europeo su richiesta della persona protetta; adozione da parte dello Stato di esecuzione di una misura di protezione secondo la legislazione nazionale) si discosta parzialmente dal modello tradizionale del mutuo riconoscimento, previsto in altri atti normativi dell'Unione europea. In base a tale modello, lo Stato di esecuzione è tenuto esclusivamente a riconoscere ed eseguire una decisione presa dallo Stato di emissione (ferma restando la possibilità di motivi di non riconoscimento e possibili adattamenti). Non sarebbe, quindi, rimesso allo Stato di esecuzione la valutazione discrezionale delle misure da adottare ma soltanto l'obbligo di applicare quanto già disposto da un'autorità competente di altro Stato membro. Nel caso di

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specie, invece, la proposta di direttiva sembra demandare alla valutazione discrezionale dello Stato di esecuzione non solo le modalità di attuazione della misura di protezione, scegliendo sulla base delle previsioni del proprio ordinamento, ma anche la scelta di procedere o meno, laddove tale esecuzione dovrebbe invece ritenersi obbligatoria. È evidente che l'efficacia dello strumento è subordinato all'effettiva disponibilità in tutti gli ordinamenti di misure di protezione sostanzialmente equivalenti con riferimento alle singole fattispecie contemplate.
Qualora ciò non avvenisse, risulterebbe pregiudicato l'obiettivo che la proposta di direttiva intende perseguire.
Tali questioni sono state sollevate in sede di esame della proposta da parte degli organi preparatori del Consiglio dell'Unione europea e le delegazioni stanno attualmente valutando l'opportunità di introdurre alcune modifiche al testo proposte dalla Presidenza spagnola allo scopo di garantire l'obbligatorietà dell'esecuzione pur nel rispetto dei singoli ordinamenti nazionali; in particolare, si sostituirebbe la previsione in base alla quale lo Stato di esecuzione è tenuto ad adottare «se del caso» le misure di protezione disponibili nel proprio ordinamento, con una norma che imponga allo Stato di esecuzione l'obbligo di eseguire le misure descritte nell'ordine di protezione europeo. Contestualmente si tratterebbe di introdurre una disposizione specifica in forza della quale qualora le misure di protezione previste non trovino riscontro nella legislazione dello Stato di esecuzione, quest'ultimo possa adattarle alla natura delle misure che si applicano nella propria legislazione a fattispecie equivalenti.
Queste correzioni avrebbero il vantaggio di rendere più stringente l'obbligo a carico dello Stato di esecuzione ed assicurare l'effettività della misura di protezione.
In ogni caso, vista la portata della proposta e il rilievo delle questioni sollevate, è indispensabile acquisire una puntuale valutazione da parte del Governo italiano, tenuto conto che, come detto in precedenza, il nostro Paese è tra i promotori dell'iniziativa.
Per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, la relazione che accompagna la proposta sottolinea che, data la dimensione transnazionale del problema, gli obiettivi della proposta non possono essere realizzati in maniera sufficiente dagli Stati membri. Questi infatti non possono stabilire norme proprie relative all'applicazione e alla validità delle loro misure destinate a proteggere le vittime in un altro Stato membro. Pertanto l'obiettivo dell'uniformità del riconoscimento da parte di ogni Stato membro dell'efficacia delle misure adottate da un altro Stato membro può essere raggiunto solo mediante un'azione comune.

Gianluca PINI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.50.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.50 alle 15.05.