CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 28 gennaio 2010
276.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
COMUNICATO
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AUDIZIONI INFORMALI

Giovedì 28 gennaio 2010.

Audizione di rappresentanti dell'ANCI, in merito agli eventi alluvionali che hanno colpito diversi comuni della provincia di Messina.

L'audizione informale è stata svolta dalle 9.20 alle 10.05.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

Giovedì 28 gennaio 2010. - Presidenza del presidente Angelo ALESSANDRI.

La seduta comincia alle 10.05.

Sulla missione a Reggio Calabria e Messina (3-5 dicembre 2009).

Angelo ALESSANDRI, presidente, ricorda che dal 3 al 5 dicembre scorso una delegazione della Commissione ha effettuato una missione dedicata, per una parte, alla verifica dello stato di avanzamento dei lavori lungo l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, e, per un'altra parte, allo svolgimento di un sopralluogo a Messina sui luoghi colpiti dall'alluvione del 1o ottobre 2009. Ricorda di aver partecipato a tutta la durata della missione insieme al deputato Sergio Michele Piffari, mentre i deputati Tino Jannuzzi e Antonino Salvatore Germanà hanno partecipato, rispettivamente, alla prima e alla seconda parte della missione.
La missione era stata deliberata dall'Ufficio di presidenza il 12 novembre 2009 allo scopo di verificare, in primo luogo, l'effettivo stato dei lavori di realizzazione di un'opera fondamentale per l'ammodernamento della rete infrastrutturale del Mezzogiorno, qual è l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, da sempre all'attenzione della pubblica opinione - e costantemente monitorata dalla Commissione - in ragione dei disagi che tali lavori producono per gli utenti, soprattutto nei periodi di esodo, della lunghezza dei tempi di esecuzione dell'opera e della lievitazione dei costi della sua realizzazione.
In secondo luogo, la missione è stata l'occasione, a poche settimane dalla tragica alluvione del 1o ottobre 2009 che ha

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causato numerose vittime e ingenti danni al territorio messinese, di testimoniare la vicinanza della Commissione alle popolazioni colpite e di fare il punto della situazione con le autorità locali cui è demandato il compito di far fronte alla grave emergenza determinatasi.
Per quanto riguarda la prima parte della missione, ricorda che la Commissione ha avuto modo di constatare con soddisfazione che i lavori sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria vanno avanti con regolarità e nel rispetto dei tempi per il suo completamento, che il Governo ha fissato al 2012-2013. In particolare, la delegazione della Commissione ha avuto modo di verificare, in concreto, effettuando anche diversi sopralluoghi nei cantieri lungo l'autostrada, la complessità delle soluzioni progettuali e tecniche imposte dalla scelta originaria di realizzare non un semplice ampliamento dell'attuale autostrada ma una «nuova autostrada» sul vecchio tracciato, per di più con il vincolo di dover garantire sempre il traffico, sia pure con gli inevitabili disagi per gli utenti.
Secondo quanto riferito dai vertici dell'ANAS, che hanno supportato la delegazione della Commissione durante tutta la missione, i lavori procedono secondo il cronoprogramma stabilito. Infatti, metà dei lavori sono stati ormai completati, essendo stati aperti al traffico 193 dei 443 chilometri complessivi di autostrada, 177 chilometri sono in esecuzione, mentre i restanti 73 chilometri (pari al 16,5 per cento del tracciato) sono in avanzata fase di progettazione.
Notevole è apparso anche lo sforzo realizzativo, dato che nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono quotidianamente impegnate 240 imprese affidatarie o subappaltatrici, 3.700 mezzi e attrezzature di cantiere, circa 3.000 lavoratori, oltre ai circa 6.000 addetti dell'indotto.
Ritiene trattarsi di un'ulteriore testimonianza degli effetti positivi prodotti dalla legge obiettivo, che, nel caso della Salerno-Reggio Calabria, ha consentito finalmente di superare la situazione di sostanziale paralisi realizzativa, determinatasi a causa del frazionamento dell'intero progetto in tanti piccoli lotti, con scarsa disponibilità di finanziamenti e con frequenti abbandoni dei lavori da parte delle imprese affidatarie. L'introduzione della figura del general contractor, il conseguente raggruppamento dei lavori in un numero limitato di macrolotti, hanno determinato, di fatto, il riavvio dei lavori - anche in termini di stabilità dei flussi finanziari - e data nuova credibilità all'obiettivo del loro completamento entro il 2012-2013.
In questo quadro positivo, peraltro, la Commissione non ha mancato di sollevare la questione della parziale copertura finanziaria dell'intero progetto, dato che ad oggi è ancora necessario reperire risorse finanziarie per 2,7 miliardi di euro circa. Su questo versante, ferma restando l'esistenza di un limite di capacità dei lavori eseguibili contemporaneamente lungo l'autostrada - pena il blocco del traffico -, che secondo l'ANAS è stato ormai quasi raggiunto, la Commissione ritiene importante continuare a monitorare l'attività del Governo tesa a reperire le fonti di finanziamento necessarie per completare l'opera nei tempi previsti, al fine di contribuire a garantire il superamento del deficit infrastrutturale che continua a minare in radice la possibilità di uno sviluppo e di una crescita economica e civile del Mezzogiorno.
Quanto al sopralluogo effettuato a Messina sui luoghi della tragica alluvione del 1o ottobre 2009, esso ha consentito anzitutto di verificare la gravità dei danni causati dall'alluvione. Inoltre, nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso il Palazzo comunale di Messina, con la partecipazione del sindaco della città, Giuseppe Buzzanca, e dell'assessore regionale al territorio e ambiente, Mario Milone, la Commissione ha avuto modo di raccogliere il punto di vista, le richieste, proposte e osservazioni critiche formulate dalle istituzioni territoriali in ordine all'adeguatezza dei mezzi e delle risorse, nonché dei modelli organizzativi approntati per fronteggiare l'emergenza.

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In particolare, la Commissione ha potuto registrare una diffusa preoccupazione delle autorità locali, peraltro confermata dall'audizione informale dei rappresentati dell'ANCI testé conclusa, per il fatto che la gestione dell'emergenza appare non tenere conto né delle esigenze né delle competenze tecniche presenti sul territorio messinese, le quali appaiono, al contrario, essenziali per realizzare interventi capaci in concreto di prevenire ulteriori disastri e di mettere in sicurezza il territorio dai rischi idrogeologici.
La Commissione, per parte sua, ha assicurato che seguirà gli atti parlamentari connessi alla vicenda, con la dovuta e necessaria attenzione, evidenziando gli effetti positivi degli interventi già messi in atto dallo Stato, dalla Regione, dal Comune di Messina e dagli altri enti, dalla protezione civile e dal volontariato, e ribadendo l'impegno per quanto sarà proposto alle competenze della Commissione in ordine all'individuazione degli interventi necessari per il superamento dell'emergenza.

La Commissione prende atto.

Sulla missione a Copenaghen (16-18 dicembre 2009).

Angelo ALESSANDRI, presidente, ricorda che una delegazione delle Commissioni VIII Ambiente e X Attività produttive della Camera dei deputati ha preso parte al cosiddetto segmento ad alto livello della XV Sessione della Conferenza delle parti nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi a Copenaghen dal 16 al 18 dicembre 2009.
Come è noto, la Conferenza era chiamata a predisporre un documento sostitutivo del Protocollo di Kyoto, destinato a cessare nel 2012.
La delegazione parlamentare era composta, oltre che dal sottoscritto, dal deputato Laura Froner, vicepresidente della Commissione attività produttive, e dai deputati Salvatore Margiotta e Agostino Ghiglia, in rappresentanza della Commissione ambiente.
In occasione della Conferenza, l'Unione Interparlamentare ed il Parlamento danese hanno organizzato congiuntamente un incontro parlamentare, che ha avuto luogo mercoledì 16 dicembre 2009 presso la sede del Parlamento danese. La riunione aveva la finalità di fornire ai parlamentari informazioni di prima mano sulle principali tematiche ed orientamenti della Conferenza, di interagire con i Governi negoziatori direttamente coinvolti nel processo decisionale della Conferenza, di ottenere una migliore conoscenza circa le raccomandazioni adottate dalla Unione con riferimento all'azione parlamentare sui cambiamenti climatici e di scambiare informazioni sul seguito parlamentare della medesima Conferenza, in particolare per quanto riguarda il processo di ratifica.
Dopo la cerimonia inaugurale, si è svolta un'informativa sullo stato dei negoziati inerenti la Conferenza seguita da due sessioni di lavoro, incentrate sulle prospettive post-vertice di Copenaghen e sulla supervisione parlamentare della politica governativa in materia di cambiamento climatico.
I lavori della Conferenza sui cambiamenti climatici - la più vasta riunione di Capi di Stato e di Governo nella storia delle Nazioni Unite - si sono tenuti presso il Bella Center di Copenaghen, in mezzo a manifestazioni pacifiche ma anche a contestazioni che talvolta hanno assunto toni accesi, richiedendo altresì l'energico intervento delle forze dell'ordine; oltre alle delegazioni in rappresentanza dei vari paesi, sono stati ammessi a partecipare ai lavori anche osservatori politici, agenzie specializzate, esponenti di organizzazioni non governative e di associazioni di varia natura interessate ai problemi dell'ambiente. Il premier danese Rasmussen, parlando delle aspettative relative a questo vertice senza precedenti di tutti i «potenti» del mondo ha coniato il termine «Hopenhagen» (Speranzopoli): infatti, gruppi di persone che affollavano l'esterno del Bella Center scandivano lo slogan «seal the deal», adottato anche dal Segretario

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Generale ONU Ban Ki-Moon, invitando ad assumere una decisione significativa per il futuro del pianeta.
Accanto alla sessione plenaria hanno avuto luogo numerosissimi eventi collaterali, di natura prevalentemente tecnico-scientifica, a cura di scienziati, esperti e docenti di università e centri di ricerca, volti ad approfondire, tra gli altri, gli aspetti legati alle emissioni di carbonio, alla deforestazione ed all'impoverimento delle fonti idriche ed energetiche.
Il segmento ad alto livello è iniziato mercoledì 16 dicembre. Il primo ministro del Lesotho Pakalitha Mosisili è intervenuto per conto dei paesi meno sviluppati, evidenziando come questi ultimi abbiano capacità molto limitate di far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici e ribadendo che la riduzione delle emissioni deve essere perseguita da tutti i Paesi in base al principio di una responsabilità comune ma differenziata. Il presidente del Venezuela Chàvez si è anch'egli soffermato sul diverso impegno che i paesi sviluppati devono profondere rispetto a quelli in via di sviluppo, dichiarando che la Cina non può essere considerata uguale agli Stati Uniti. Il ministro dell'ambiente svedese Carlgren, che è intervenuto a nome dell'Unione Europea, ha ricordato che nel corso della Conferenza di Stoccolma del 1972 il Primo Ministro Gandhi aveva affermato come la povertà sia nel contempo la causa principale e la conseguenza del degrado ambientale e che perciò i Paesi più avanzati, essendo responsabili della quota maggiore delle emissioni, devono assumere un ruolo leader. Obiettivo dell'Unione europea è raggiungere un vero e proprio accordo globale ed onnicomprensivo e non solo di segnare una tappa lungo il cammino. I tre punti enunciati da Carlgren hanno avuto riguardo all'obiettivo di rimanere al di sotto dei 2 gradi di riscaldamento, visto che l'Europa ha già una legislazione vincolante volta a ridurre le emissioni del 95 per cento entro il 2050 in confronto ai dati del 1990; al fatto che l'accordo di Copenaghen è chiamato a fornire un sostanziale supporto finanziario ai paesi in via di sviluppo (e l'Unione Europea è pronta a contribuire con almeno 7 miliardi di euro per gli anni 2010-2012); al principio secondo il quale l'accordo dovrà essere globale e ricomprendere tutte le nazioni del mondo, includendo anche quelle dell'Accordo di Bali, nonché essere legalmente vincolante per tutti. Dopo aver ricordato che l'Unione Europea contribuisce per circa il 10 per cento delle emissioni globali, si è rivolto agli Stati Uniti ed alla Cina che, pur avendo differenti responsabilità e capacità, sono da soli responsabili di circa la metà delle emissioni totali di gas serra, invitando entrambe le potenze ad assumere iniziative maggiormente incisive e vincolanti. Ha concluso l'intervento sottolineando che l'obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi potrà essere conseguito solo grazie ad uno sforzo congiunto lungo il cammino di una crescita basata sulla riduzione dell'inquinamento e sullo sradicamento della povertà.
La maggior parte degli esponenti dei Paesi in via di sviluppo ha sottolineato come uno dei principali nodi da sciogliere sia quello dei finanziamenti per allargare ai paesi in via di sviluppo l'economia virtuosa a basso impatto ambientale. E, su questo fronte, con l'intervento del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, l'atmosfera della Conferenza di Copenaghen è cambiata: ella ha affermato che, se ci sarà un accordo «operativo e trasparente», si potrà arrivare alla creazione di un fondo per il trasferimento delle tecnologie pulite ai paesi in via di sviluppo, che arriverà a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. È la stessa posizione dell'Europa: un sostegno finanziario in crescita da oggi al 2020 per agevolare il salto verso una crescita economica a basso impatto ambientale anche nei paesi meno industrializzati.
Ricorda, quindi, che il giorno successivo, 17 dicembre, vi sono stati, tra gli altri, gli interventi di Ahmadinejad, presidente della Repubblica islamica dell'Iran, che ha ravvisato nel capitalismo americano le principali responsabilità dell'effetto serra, di Angela Merkel, cancelliere

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federale della Germania, del presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy e del ministro dell'ambiente italiano Stefania Prestigiacomo. Il presidente francese Sarkozy ha auspicato che da Copenaghen possa uscire almeno una road map, nell'ambito della quale continuare il regime di accordi esistente sulla riduzione delle emissioni fino a quando non si perverrà ad un patto vincolante. Sarkozy ha spiegato i termini dell'intesa: «L'accordo sarà sottoscritto da tutti i 120 leader ma non è perfetto. Tutti i Paesi industrializzati, compresa la Cina, dovranno definire entro gennaio 2010 piani scritti per tagliare le emissioni di CO2 (anidride carbonica) e i Paesi più sviluppati forniranno 100 miliardi di dollari in aiuti a quelli in via di sviluppo entro il 2020. Una «delusione» per il leader dell'Eliseo l'assenza dell'obiettivo di ridurre del 50 per cento le emissioni entro il 2050. Il presidente francese ha poi annunciato che «una nuova conferenza si terrà a Bonn entro sei mesi», aggiungendo che la organizzerà la cancelliera tedesca, Angela Merkel per preparare la prossima Conferenza sul clima in Messico alla fine del 2010.
Il ministro Prestigiacomo ha affermato la necessità di assumere impegni in ordine alla riduzione delle emissioni che risultino vincolanti per tutti e confrontabili tra di loro. In particolare, ha chiesto che gli Stati Uniti riducano le emissioni con obiettivi paragonabili a quelli europei; l'Europa, infatti, si è autonomamente impegnata a ridurre le emissioni del 20 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. I paesi emergenti dovranno assumere impegni di riduzione da definire caso per caso, ma con caratteristiche vincolanti, pena la comminazione di sanzioni.
È intervenuto altresì il presidente della Commissione UE José Manuel Barroso, che tuttavia non ha nascosto il proprio scetticismo circa la possibilità di pervenire ad un accordo vincolante perché alcuni Paesi non sono ancora pronti, in primo luogo gli Stati Uniti e la Cina, che, peraltro, da soli producono la metà dei gas serra di tutto il pianeta. Secondo il presidente dell'esecutivo comunitario, a Copenaghen si dovrà tendere, quindi, a stilare una bozza d'accordo che possa poi diventare un trattato vero e proprio accettabile da tutti i Paesi industrializzati e da quelli in via di sviluppo.
Gli interventi dei leader in plenaria hanno complessivamente disegnato un'ampia convergenza sulla portata dei disastri che deriverebbero da un eventuale fallimento dei negoziati (milioni di profughi climatici e di affamati) e sulle misure necessarie a rallentare la velocità del cambiamento climatico (un taglio delle emissioni del 25-40 per cento al 2020 e del 50 per cento a livello globale al 2050).
Il nuovo accordo sul clima dovrebbe pertanto essere legalmente vincolante per tutti e puntare all'unificazione delle due bozze di trattato per ora in discussione. Un primo binario è rappresentato, infatti, dal proseguimento sul cammino del Protocollo di Kyoto, caldeggiato dagli europei, ma non sottoscritto dagli USA, che pare non intendano accettarlo anche perché legalmente vincolante. L'altra prospettiva è la possibilità di sostituire Kyoto con un trattato di più ampio respiro, più flessibile e quindi più gradito ai paesi che mal sopportano l'attuale farraginoso sistema di vincoli e controlli. Alla costruzione di questo possibile nuovo patto aveva lavorato assiduamente per due anni un gruppo di lavoro formato dai rappresentanti di tutti paesi del mondo che, nella capitale danese, ha presentato una bozza di testo da completare con l'inserimento dei target di riduzione e delle cifre dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo.
Il segmento ad alto livello è proseguito per tutta la giornata del 18 dicembre ed ha visto, tra gli altri, gli interventi di Luiz I. Lula da Silva, presidente del Brasile, del premier cinese Wen JiaBao e del presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama. È apparso subito chiaro che Cina e India giocano un ruolo preminente tra le superpotenze mondiali e che gli Stati Uniti erano chiamati a svolgere un ruolo di forte mediazione per scongiurare il fallimento del vertice. I rappresentanti del governo cinese hanno continuato ad affermare che, pur impegnandosi a consistenti tagli alle

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emissioni, non possono adottare riduzioni di quote di gas serra analoghe a quelle cui dovrebbero tendere i paesi industrializzati (20-30 per cento entro il 2020), sottolineando di essere ormai in prima linea nel campo dell'impiego delle energie rinnovabili. I Paesi industrializzati stanno invece valutando quanta parte delle loro quote di riduzione dovrà essere realizzata attraverso «impegni domestici» (cioè rinnovabili, risparmio ed efficienza in campo nazionale) e quanta attraverso meccanismi flessibili (riforestazioni, tecnologie verdi per i Paesi in via di sviluppo e commerci di quote di emissione).
Dopo i messaggi di tono sostanzialmente negativo della delegazione cinese circa la possibilità di un accordo, successivamente il premier cinese Wen Jiabao ha detto che «il governo e il popolo cinese attribuiscono una grande importanza al problema del cambiamento climatico».
Anche l'India ha mostrato una certa disponibilità quando il premier Manmohan Singh ha dichiarato di essere disposto a «fare di più» nel rush finale del vertice, a patto che vi siano «credibili» garanzie su trasferimenti tecnologici e sostegni finanziari da parte dei paesi ricchi.
Con il passare delle ore si è delineato il ruolo determinante sullo scenario mondiale di Cina, India, Brasile e Sudafrica e la necessità imprescindibile di trovare un accordo con essi. Il Presidente americano Barack Obama nel suo discorso in sessione plenaria aveva sottolineato la necessità di raggiungere un accordo, anche se imperfetto. «Gli Stati Uniti continueranno a lottare contro il cambiamento climatico, a prescindere da quello che verrà deciso a Copenaghen. Siamo qui non per parlare ma per agire», aveva assicurato Obama. «L'America è pronta a prendersi le sue responsabilità in quanto leader». «Non sareste qui se non foste convinti che il pericolo è reale. Il cambiamento climatico non è fantascienza, ma è scienza, è reale». Quanto all'impegno concreto sul da farsi, Obama ha detto che gli USA sono pronti a fare la propria parte sia per il finanziamento dei Paesi più poveri che per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e ha chiesto a tutti i partner di condividere questi sforzi; non ha però fatto nuovi annunci su impegni ulteriori degli Stati Uniti, limitandosi quindi a confermare l'impegno a «tagliare le emissioni del 17 per cento entro il 2020, e di oltre l'80 per cento entro il 2050».
Il Presidente americano, il cui intervento a Copenaghen era molto atteso, ha quindi indetto un vertice serale fuori programma con il premier cinese Wen Jiabao, il premier indiano Manmohan Singh, il presidente del Brasile Inacio Lula da Silva e il presidente sudafricano Jacob Zuma. L'Unione Europea non ha partecipato all'incontro a quattro promosso da Obama ed ha espresso rammarico perché l'Accordo si è poi rivelato al di sotto delle attese di Bruxelles.
Dopo il raggiungimento dell'intesa, nella serata di venerdì 18 dicembre, che ha dovuto superare la dura opposizione di alcune nazioni latinoamericane (Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica), di alcune isole del Pacifico e del Sudan, Obama ha sottolineato che «per la prima volta nella storia tutte le maggiori economie hanno deciso un'azione contro i mutamenti climatici», anche se «c'è ancora molto da fare». Dopo aver ammesso che l'accordo non è sufficiente per combattere il cambiamento climatico e che nessuna nazione è interamente soddisfatta di tutto il contenuto dell'accordo, ha dichiarato che comunque esso rappresenta un significativo e storico passo avanti, una base sulla quale costruire ulteriori progressi.
Prima dell'incontro decisivo, l'ultima bozza diffusa prevedeva queste riduzioni: mondo intero -50 per cento delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. E in particolare: Paesi industrializzati -80 per cento, Paesi in via di sviluppo 15-30 per cento in meno «sul livello normale». Inoltre restava la data del dicembre 2010 come limite ultimo per trovare un trattato legalmente vincolante per combattere il riscaldamento globale «al di sotto dei 2 gradi centigradi», con una revisione nel 2016 che potrebbe considerare un limite più ristretto a 1,5 gradi. Ma

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la Cina era contraria a sottoscrivere il -50 per cento globale entro il 2050. È servito quindi a poco lo studio delle Nazioni Unite che dice a chiare lettere che, firmando un accordo con le proposte concordate, l'aumento medio delle temperature mondiali sarà di 3 gradi e non di 2.
L'idea era, comunque, di far seguire all'Accordo, entro il 2010, la stesura di trattati legalmente vincolanti, come quello di Kyoto, con meccanismi di verifica e sanzioni. Questi trattati avrebbero dovuto seguire, nel giro di pochi mesi e, comunque, entro il prossimo anno, l'Accordo di Copenaghen. Invece, ogni riferimento alla scadenza del 2010 è scomparso dall'intesa finale.
Nell'intesa - definita Accordo di Copenaghen - non si parla di numeri sulla riduzione delle emissioni di gas serra, né a medio né a lungo termine, ma solo di contributi ai Paesi in via di sviluppo per incrementare le tecnologie verdi. I Paesi industrializzati hanno rinviato al prossimo gennaio la decisione sulla misure che dovranno intraprendere entro il 2020 per ridurre le emissioni di gas serra.
L'obiettivo di mantenere entro 2 gradi l'aumento della temperatura nei prossimi decenni, è il punto principale dell'accordo raggiunto. Gli scienziati ritengono che un aumento di oltre 2 gradi comporterebbe conseguenze (siccità, inondazioni, innalzamento dei mari) al di fuori di ogni possibile controllo e difesa.
Le emissioni di Co2 dovrebbero diminuire (per arrivare all'obiettivo dei 2 gradi) del 50 per cento entro il 2050. Per arrivarci, i paesi industrializzati taglieranno le emissioni dell'80 per cento. Anche i paesi emergenti dovrebbero tagliare le loro e non solo rallentarle: per questo Cina e Brasile non vogliono un impegno globale del 50 per cento, che vincolandoli, sia pure a lunga scadenza, a ridurre le emissioni, può compromettere la loro crescita economica. Per accettare il 50 per cento, i paesi emergenti vogliono che i paesi ricchi fissino un obiettivo di riduzione ambizioso già per il 2020. Ma questo obiettivo ancora non c'è. Il risultato è che, per il momento, neanche questo obiettivo di riduzione del 50 per cento è fissato sulla carta.
Perché l'obiettivo al 2050 sia credibile, i paesi industrializzati dovrebbero, infatti tagliare già nel 2020 le loro emissioni, secondo gli scienziati, del 25-40 per cento. Gli impegni presi finora arrivano solo al 14-18 per cento: secondo un recente rapporto, trapelato dall'ambiente degli scienziati che lavorano con l'ONU, una riduzione così modesta spingerebbe le temperature ad un aumento di 3 gradi. La bozza si limitava a registrare gli impegni presi finora dai vari paesi (Ue 20 per cento sul 1990, Usa 17, Giappone 25, ambedue sul 2005) ed è rimasta invariata. A gennaio, ogni paese si limiterà a comunicare all'ONU gli obiettivi che si è volontariamente dato per limitare le emissioni, senza alcun vincolo internazionale.
Per quanto riguarda le foreste, grande polmone del pianeta, la deforestazione è un potente fattore di emissioni: la bozza annuncia incentivi (gli USA hanno già stanziato 1 miliardo di dollari) per allargare le foreste e fermare i disboscamenti.
Per quanto riguarda i finanziamenti, i fondi scatteranno solo se l'accordo finale verrà firmato da tutti: per il triennio 2010-2012 ai paesi più deboli viene promesso un aiuto di 10 miliardi di dollari l'anno e dopo il 2013 entrerà in funzione un Fondo di Copenaghen per il clima, con finanziamenti crescenti, che dovrebbero arrivare a 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020. I fondi arriveranno dai governi, dalle industrie e probabilmente dai proventi dei mercati delle emissioni che verranno istituiti a livello mondiale.
In definitiva, si può affermare che i principali «attori» della scena di Copenaghen, Stati Uniti e Cina, invece di perseguire la fase 2 del Protocollo di Kyoto o l'obiettivo di un nuovo Protocollo, hanno preferito stabilire un accordo politico di facciata, definito «politicamente vincolante», ma che non contempla obblighi immediati e affida la salvezza dell'atmosfera alla buona volontà dei governi futuri. Del resto, l'opposizione della Cina al monitoraggio delle emissioni è stato uno dei

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problemi principali: la Repubblica Popolare cinese ha propugnato la difesa della propria sovranità nazionale contro la «trasparenza», riscuotendo il consenso di molti paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, che con la Cina hanno robuste reti di relazioni commerciali, finanziarie e militari.
La richiesta di trasparenza, indirizzata alla Cina soprattutto da parte americana, era volta a far sì che gli impegni presi da Pechino sul rallentamento delle sue emissioni potessero essere verificati a livello internazionale. L'accordo raggiunto fra gli Stati Uniti e i grandi paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Sud Africa) prevede inventari biennali delle emissioni, da comunicare secondo specifiche linee guida, che devono, però, ancora essere tecnicamente delineate. Questi inventari possono essere sottoposti a «consultazioni e analisi internazionali».
Le due aree del mondo che avrebbero potuto contare molto di più, in quanto spesso si trovano all'avanguardia nel campo delle normative sull'ambiente, Unione europea e Giappone, si sono rivelate del tutto ininfluenti a Copenaghen, come ha dimostrato la tattica usata dal Presidente USA Obama: egli infatti ha cercato l'accordo solo con Cina e India, superpotenze economiche in crescente competizione con l'Occidente e giocatori-chiave dello scacchiere internazionale che, grazie alla loro capacità di rappresentare paesi emergenti ben più poveri di loro, hanno dimostrato di avere un ruolo determinante negli equilibri politici mondiali.
Il Segretario Generale ONU Ban Ki-Moon ha espresso la sua soddisfazione per l'Accordo di Copenaghen, sottolineando tuttavia la necessità che esso abbia effetto immediato, ma soprattutto che tutte le Nazioni lo sottoscrivano al più presto, in modo da poter cominciare a lavorare in ordine ad un accordo legalmente vincolante per la Conferenza sui cambiamenti climatici di Città del Messico del 2010. Tale evento sarà preceduto da due settimane di negoziato, che avranno luogo a Bonn, in Germania, dal 31 maggio all'11 giugno 2010.

La Commissione prende atto.

La seduta termina alle 10.10.