CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 21 luglio 2009
206.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Martedì 21 luglio 2009. - Presidenza del Presidente Gianfranco CONTE.

La seduta comincia alle 14.35.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e la Repubblica di Montenegro.
C. 2539 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maurizio DEL TENNO (PdL), relatore, rileva come la Commissione sia chiamata ad esprimere il parere alla III Commissione Affari esteri sul disegno di legge C. 2539, recante ratifica ed esecuzione dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e la Repubblica di Montenegro, fatto a Lussemburgo il 15 ottobre 2007.
Evidenzia innanzitutto come l'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Montenegro, dall'altra, di cui si propone la ratifica, sia finalizzato ad integrare il Montenegro nel contesto politico ed economico europeo, anche nella prospettiva di una futura candidatura all'ingresso nell'Unione europea.
L'Accordo è parte del processo di stabilizzazione e di associazione (PSA) previsto dalla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 26 maggio 1999, che contribuisce alla definizione della strategia comune dell'Unione nei confronti di cinque paesi dell'Europa sud-orientale (Bosnia-Erzegovina, Croazia, Repubblica federale di Jugoslavia - ridottasi nel frattempo alla Serbia dopo l'indipendenza del Montenegro e del Kosovo -, ex Repubblica jugoslava di Macedonia e Albania).
Passando ai contenuti dell'Accordo, esso si articola in 139 articoli, suddivisi in 10 Titoli, e a esso sono annessi 7 allegati, 8 protocolli ed un Atto finale.
Il Titolo I dell'Accordo, costituito dagli articoli da 2 a 7, reca i princìpi generali concordati tra le Parti per l'attuazione

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dell'Accordo, i quali consistono: nel rispetto dei princìpi democratici e dei diritti umani; nel rispetto dei principi del diritto internazionale - con particolare riferimento alla piena collaborazione con il Tribunale delle Nazioni Unite per i crimini nella ex Jugoslavia - e dello Stato di diritto; nel rispetto dei principi dell'economia di mercato e di quelli relativi alla promozione della pace e della stabilità a livello internazionale e regionale; nello sviluppo di relazioni di buon vicinato, da perseguire mediante progetti di comune interesse soprattutto nel campo della lotta al crimine organizzato, alla corruzione, al riciclaggio di denaro, all'immigrazione clandestina, ai traffici illegali di persone e di stupefacenti; nella lotta contro ogni forma di terrorismo e contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
È previsto un periodo transitorio della durata massima di cinque anni - suddiviso in due fasi - per la realizzazione dell'Associazione, durante il quale verranno applicate gradualmente le disposizioni dell'Accordo: le due fasi hanno lo scopo di consentire, dopo i primi tre anni, una completa revisione sull'applicazione dell'Accordo da parte del Consiglio di stabilizzazione e di associazione (CSA), istituito dall'articolo 119 dell'Accordo stesso.
Il Titolo II riguarda lo sviluppo del dialogo politico a livello bilaterale, multilaterale e regionale. Il dialogo politico bilaterale è mirato a facilitare la progressiva convergenza di posizioni sulle questioni internazionali, la cooperazione regionale e lo sviluppo di relazioni di buon vicinato, e a favorire la comunanza di vedute sulla sicurezza e la stabilità in Europa.
Il dialogo bilaterale si svolge, a livello ministeriale, all'interno del Consiglio di stabilizzazione e associazione. Su richiesta delle Parti il dialogo politico, sia bilaterale che multilaterale, può avvenire anche a livello di alti funzionari. È inoltre previsto che il dialogo politico si possa svolgere a livello parlamentare, attraverso un apposito Comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione, previsto dall'articolo 125 dell'Accordo.
Ai sensi del Titolo III, l'Accordo impegna il Montenegro a promuovere attivamente, con il sostegno della Comunità, la cooperazione regionale, la quale si attua attraverso la stipula di convenzioni con altri Paesi interessati che hanno già firmato un Accordo di associazione al fine, tra l'altro, di favorire il dialogo politico, di instaurare una zona di libero scambio, di stabilire concessioni reciproche in tema di circolazione dei lavoratori, stabilimento, prestazione di servizi e circolazione di capitali. Il Montenegro si impegna inoltre ad avviare la cooperazione con gli altri Paesi interessati al PSA, oltre che con altri Paesi candidati all'adesione all'Unione europea.
Il Titolo IV reca le disposizioni in materia commerciale, rispetto alle quali si segnala in specie l'articolo 9, il quale afferma la piena compatibilità dell'ACCORDO con il quadro normativo dell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO).
Per la libera circolazione delle merci si prevede l'instaurazione progressiva di una zona di libero scambio nel corso di un periodo transitorio della durata massima di cinque anni.
Per quanto riguarda gli ambiti di competenza della Commissione Finanze, segnala come, all'entrata in vigore dell'Accordo, ai sensi degli articoli 20 e 21, saranno aboliti i dazi doganali, le restrizioni quantitative e le misure d'effetto equivalente relativi alle importazioni nella Comunità di prodotti industriali originari del Montenegro.
Parimenti, in base agli articoli 22 e 23, i dazi doganali applicabili alle importazioni in Montenegro di merci provenienti da Paesi della Comunità sono aboliti dalla data di entrata in vigore dell'Accordo ovvero, per le merci di cui all'Allegato I dell'Accordo medesimo, progressivamente ridotti secondo un calendario prestabilito. Sono inoltre aboliti: le restrizioni quantitative sulle importazioni di merci originarie della Comunità; i dazi doganali all'esportazione

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e gli oneri di effetto equivalente, nonché tutte le restrizioni quantitative all'esportazione e le misure ad esse equivalenti.
Per quanto attiene al quadro delle previsioni commerciali riguardanti taluni prodotti agricoli trasformati, ai sensi dell'articolo 26 la Comunità europea si impegna, all'entrata in vigore dell'Accordo, ad abrogare restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente sulle importazioni agricole dal Montenegro, come anche i dazi e gli oneri di effetto equivalente, con l'esclusione di animali vivi e carni bovine fresche o congelate, nonché di vini e zucchero. Per quanto concerne invece ortaggi, legumi, tuberi mangerecci, frutta commestibile, si eliminerà solo da parte del dazio calcolata sul valore. Con riferimento ai cosiddetti prodotti baby beef - definiti nell'Allegato II - la Comunità si impegna ad applicare dazi del 20 per cento sia sulla parte ad valorem sia su quella specifica, come previste dalla tariffa doganale comunitaria, ma limitando l'importazione ad un contingente annuo di 800 tonnellate.
Per quanto concerne il Montenegro, l'articolo 27 prevede l'abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente sui prodotti agricoli originari della Comunità europea, assieme all'impegno ad abolire i dazi applicabili alle importazioni di prodotti agricoli quale specificati nella parte a) dell'Allegato III. Il Montenegro ridurrà invece progressivamente i tassi applicabili alle importazioni elencate nell'Allegato terzo, lettere b) e c), secondo il calendario ivi indicato.
In base agli articoli da 28 a 30, mentre i regimi applicabili agli scambi di bevande alcoliche tra la Comunità europea e il Montenegro è definito dal Protocollo 2, per i prodotti della pesca le Parti aboliscono qualunque dazio o restrizione quantitativa - salvo che per i prodotti elencati nell'Allegato IV.
Gli articoli 31 e 32, in considerazione della particolare delicatezza che i settori dell'agricoltura e della pesca rivestono per l'economia del Montenegro, nonché al fine di salvaguardare l'equilibrio delle risorse alieutiche del mare Adriatico, contengono rispettivamente una clausola di revisione entro tre anni delle disposizioni dell'Accordo, e una clausola di salvaguardia in base alla quale, nel caso in cui l'importazione nel territorio di una delle due Parti di prodotti agricoli e della pesca provochi gravi turbamenti di mercato, si darà luogo a consultazioni per l'adozione di opportune contromisure.
Gli articoli 36 e 37 vietano inoltre la reintroduzione di dazi o misure ad effetto equivalente, come anche di restrizioni quantitative e di discriminazioni fiscali.
In base all'articolo 39 l'Accordo sarà compatibile con altri accordi di libero scambio o la partecipazione a unioni doganali del Montenegro, qualora ciò non alteri le condizioni commerciali dell'Accordo stesso.
È altresì prevista la facoltà di ciascuna Parte di adottare eventuali misure antidumping, sia in base alla clausola generale di salvaguardia di cui all'articolo 41, sia, ai sensi dell'articolo 42, qualora sia posta a rischio la disponibilità di beni essenziali nel territorio della Parte esportatrice. Inoltre, ciascuna delle Parti mantiene il diritto di imporre divieti o restrizioni sulle importazioni, le esportazioni o il transito di merci contemplate nell'Accordo per diversi motivi, tra i quali la pubblica sicurezza, la tutela della salute di persone o animali, nonché del patrimonio vegetale, artistico, storico, e anche la tutela della proprietà intellettuale. In tale contesto l'articolo 45 specifica che tale facoltà non deve costituire una restrizione commerciale dissimulata tra le Parti.
L'articolo 43 regola i monopoli nazionali che presentino carattere commerciale, prevedendo che il Montenegro elimini le discriminazioni tra i cittadini dell'Unione europea e quelli del Montenegro.
Nel Titolo V, riguardante la circolazione dei lavoratori, lo stabilimento di attività economiche, la prestazioni di servizi e la circolazione dei capitali, si stabilisce, all'articolo 49, che i lavoratori cittadini di una Parte legalmente occupati nel territorio dell'altra Parte, nonché i loro familiari, non siano soggetti ad alcuna

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discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione e di licenziamento. L'Accordo prevede altresì che vengano ampliate le agevolazioni all'ingresso dei lavoratori montenegrini concesse dagli Stati membri attraverso Accordi bilaterali, oppure che vengano conclusi Accordi bilaterali per disciplinare la materia; si stabilisce inoltre che vengano previste norme per coordinare i sistemi di previdenza sociale per i lavoratori montenegrini ed i loro familiari, con riferimento a periodi lavorativi effettuati in Paesi membri della UE.
L'articolo 53 prevede che ciascuna delle due Parti conceda, per lo stabilimento delle società, nonché per le attività delle filiali e delle consociate dell'altra Parte, un trattamento non meno favorevole di quello nazionale o della nazione più favorita. Dopo quattro anni dall'entrata in vigore dell'Accordo, le facilitazioni verranno estese fino a ricomprendere lo stabilimento di lavoratori autonomi nei rispettivi territori.
L'Accordo riconosce il diritto di consociate e filiali comunitarie di utilizzare e locare proprietà immobiliari in territorio montenegrino. Le consociate di società comunitarie hanno altresì il diritto di acquistare proprietà immobiliari e di godere dei diritti derivanti da tali proprietà.
Per quanto riguarda gli ambiti di competenza della Commissione Finanze segnala in particolare l'articolo 54, il quale prevede che, per quanto riguarda i servizi finanziari, elencati nell'Allegato VI, le Parti potranno adottare misure a titolo cautelare nel caso di rischi per investitori, risparmiatori o titolari di polizze assicurative, in presenza di instabilità del sistema finanziario o di «sofferenze» da parte di banche o intermediari finanziari. In tale contesto si esclude altresì che le norme dell'Accordo possano intendersi come obbligo per una Parte di rivelare informazioni relative agli affari o alla contabilità di singoli clienti ovvero informazioni riservati di enti pubblici.
L'articolo 59 dell'Accordo promuove anche - a partire dal quarto anno successivo alla sua entrata in vigore - la graduale liberalizzazione della prestazione di servizi da parte di società o di persone legalmente residenti nell'altra Parte contraente, consentendo allo scopo la temporanea circolazione dei prestatori di servizi.
La libera circolazione dei capitali relativi agli investimenti diretti (nonché la liquidazione e il rimpatrio di tali investimenti e dei profitti che ne derivano) e dei capitali relativi ai crediti per transazioni commerciali o alla prestazione di servizi è garantita, ai sensi dell'articolo 63, a partire dalla data di entrata in vigore dell'Accordo. In tale contesto le Parti garantiscono la libera circolazione dei capitali relativi agli investimenti di portafoglio parimenti all'entrata in vigore dell'Accordo, prevedendosi in particolare, ai sensi dell'articolo 62 che «qualsiasi pagamento e bonifico... sul conto corrente della bilancia dei pagamenti tra la Comunità e il Montenegro» verranno autorizzati in moneta liberamente convertibile. Le Parti hanno inoltre facoltà di adottare, per non oltre sei mesi, eventuali misure emergenziali di salvaguardia sui movimenti di capitale, nel caso in cui possano causare difficoltà al funzionamento della politica di cambio o monetaria di una delle Parti, ad esempio in caso di gravi squilibri nella bilancia dei pagamenti.
Le disposizioni generali dell'Accordo in materia di circolazione dei lavoratori, stabilimento, prestazione di servizi, pagamenti correnti e movimenti di capitale sono soggette ad alcune limitazioni. Esse infatti non si applicano alle attività svolte sul territorio di una o l'altra delle Parti se connesse all'esercizio dei poteri pubblici, né trovano attuazione in caso di allarme per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità. Le disposizioni dell'Accordo, inoltre, saranno progressivamente adeguate a quelle dell'Accordo generale (GATS) sullo scambio dei servizi nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio.
In tale contesto l'articolo 68 prevede che il trattamento di nazione più favorita concesso a norma del Titolo V dell'Accordo non si applica alle agevolazioni

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fiscali già concesse o concesse in futuro in base ad accordi contro le doppie imposizioni o altre intese in materia fiscale. Inoltre le norme dell'Accordo non possono interpretarsi nel senso di vietare alle Parti di adottare o applicare misure contro l'evasione fiscale, ovvero di impedire distinzioni nel trattamento tributario tra contribuenti che si trovino in situazioni diverse, in applicazione della rispettiva legislazione tributaria.
Al fine di avvicinare il Montenegro all'acquis communautaire, il Titolo VI prevede un graduale ravvicinamento della legislazione montenegrina a quella comunitaria. Inizialmente, l'attenzione si concentrerà sul ravvicinamento negli elementi fondamentali del mercato interno e su alcune questioni commerciali, mentre , in un secondo momento, con l'ausilio della Commissione europea il Montenegro si attiverà per colmare le restanti lacune, con particolare attenzione agli aspetti legislativi e applicativi delle leggi.
L'Accordo contiene anche, agli articoli da 74 a 77, disposizioni specifiche relative: alle imprese pubbliche o alle imprese cui sono stati riconosciuti diritti speciali o esclusivi; alla tutela e alla applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, industriale e commerciale; all'aggiudicazione di appalti pubblici; alla standardizzazione, metrologia, certificazione e valutazione della conformità.
Il Titolo VII disciplina la cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni (GAI).
In tale ambito l'articolo 80 riconosce l'importanza del rafforzamento delle istituzioni in generale e di quelle giudiziarie in particolare, e del consolidamento dello Stato di diritto, nonché del potenziamento del contrasto alla corruzione e al crimine organizzato.
È prevista l'istituzione di un ambito di cooperazione, bilaterale e regionale, in materia di visti, controlli alle frontiere, asilo e immigrazione, e controllo dell'immigrazione illegale.
Con riferimento agli ambiti di competenza della Commissione Finanze, l'articolo 84 impegna le Parti a collaborare nella lotta al riciclaggio di denaro, prevedendo che la cooperazione tra le Parti in questo settore comprende anche l'assistenza amministrativa e tecnica. Inoltre l'articolo 86 stabilisce che la collaborazione tra le Parti contro le attività criminali riguardi, tra l'altro, la frode fiscale e la falsificazione di valuta.
Il Titolo VIII disciplina le politiche di cooperazione, nel cui ambito le Parti si impegnano ad un rafforzamento dei legami economici esistenti per contribuire allo sviluppo e alla crescita economica del Montenegro, anche qui nel più ampio contesto regionale balcanico.
La Comunità si impegna in particolare a fornire assistenza tecnica, su richiesta del Montenegro, per aiutare quest'ultimo nel ravvicinamento delle sue politiche a quelle dell'Unione economica e monetaria e del mercato unico europeo.
Per quanto attiene agli ambiti di competenza della Commissione Finanze, l'articolo 91 prevede che la cooperazione si concentri sui settori prioritari connessi all'acquis communautaire in materia di banche, assicurazioni e servizi finanziari, nonché per promuovere e tutelare gli investimenti privati, nazionali ed esteri.
In base agli articoli 99 e 100, la cooperazione riguarda, inoltre, il settore delle dogane, per il quale il Protocollo n. 6 stabilisce specifiche regole di assistenza amministrativa, nonché quello della fiscalità. A tale ultimo riguardo si stabilisce che la cooperazione è finalizzata alla riforma del sistema fiscale ed alla ristrutturazione dell'amministrazione fiscale del Montenegro, con particolare attenzione alla lotta alla concorrenza fiscale dannosa ed allo scambio di informazioni.
Il Titolo IX reca le norme in materia di cooperazione finanziaria, con le quali si consente al Montenegro di beneficiare di assistenza finanziaria da parte della Comunità sotto forma di sovvenzioni e di prestiti, compresi quelli concessi dalla Banca europea per gli investimenti. L'assistenza finanziaria consiste in aiuti per il potenziamento delle istituzioni e investimenti, ed è finalizzata a contribuire alla riforma democratica, economica e istituzionale

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in Montenegro, in Accordo con quanto stabilito dal Processo di stabilizzazione. L'assistenza comunitaria può riguardare tutti i settori di armonizzazione della normativa e delle politiche di cooperazione previste dall'Accordo, compreso quello relativo alla giustizia e agli affari interni.
La Comunità europea, in caso di circostanze eccezionali, può concedere assistenza macrofinanziaria, ma solo nel preciso quadro di un Accordo tra il Montenegro e il Fondo monetario internazionale. L'Accordo prevede inoltre l'impegno delle Parti ad adoperarsi per favorire uno stretto coordinamento tra i contributi comunitari e quelli provenienti da altre fonti.
Il Titolo X reca le disposizioni istituzionali, generali e finali. In tale ambito l'articolo 119 istituisce un Consiglio di stabilizzazione e di associazione (CSA), composto, da un lato, da membri del Consiglio dell'UE e della Commissione europea e, dall'altro, da membri del Governo del Montenegro, a è affidato il compito di assicurare il corretto funzionamento dell'Accordo. Il CSA, che adotta decisioni vincolanti in merito all'attuazione dell'ACCORDO, ma può anche formulare raccomandazioni, è assistito nel suo lavoro dal Comitato di stabilizzazione e di associazione (ComSA).
L'articolo 125 istituisce altresì un Comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione, composto, da un lato, da membri del Parlamento europeo e, dall'altro, da membri del Parlamento montenegrino.
L'Accordo dispone che le Parti adottino tutti i provvedimenti necessari per l'adempimento degli obblighi previsti dall'Accordo stesso e per la realizzazione degli obiettivi da questo fissati e stabilisce che possano essere adottate, dopo l'esame da parte del CSA, opportune misure in caso di inottemperanza. Ulteriori clausole generali riguardano la garanzia della tutela giuridica e amministrativa dei diritti individuali e di proprietà delle persone fisiche e giuridiche delle Parti; nonché la possibilità di adottare eventuali misure restrittive per ragioni di sicurezza interna e internazionale. In caso di controversie sull'interpretazione o applicazione dell'Accordo, competente a decidere è il CSA, salvo che per le materie di cui al Protocollo 7, per le quali, dopo due mesi, potrà essere adita la procedura arbitrale.
A norma dell'articolo 133, la durata dell'Accordo è illimitata, salva la facoltà delle Parti di denunciarlo, con effetto sei mesi dopo la notifica, ovvero di sospenderne l'applicazione con effetto immediato, in caso di non applicazione di uno degli elementi essenziali di esso.
Come ricordato in precedenza, il Protocollo n. 6 stabilisce specifiche regole nell'espletamento dell'assistenza amministrativa nel settore doganale contemplata dall'articolo 99 dell'Accordo. Il Protocollo stabilisce che, su domanda dell'autorità richiedente, l'autorità amministrativa dell'altra Parte interpellata fornisca informazioni, adotti misure per il controllo di persone, luoghi, merci o mezzi di trasporti, consegni documenti o notifichi decisioni. Si regolamentano inoltre la forma e contenuto delle domande di assistenza, le modalità di espletamento delle stesse, i casi nei quali le Parti possono derogare agli obblighi di assistenza, per ragioni di tutela della sovranità, dell'ordine pubblico o della sicurezza. Specifiche disposizioni sono altresì dedicate alla tutela della riservatezza negli scambi di informazioni.
Il Protocollo prevede anche la prestazione spontanea di assistenza reciproca, regola la comparizione di funzionari dell'Autorità amministrazione interpellata, in qualità di periti o testimoni, nell'ambito di procedimenti giudiziari in corso presso l'altra Parte, e disciplina la regolazione delle spese di assistenza.
Dal momento che il provvedimento non presenta profili problematici per quanto attiene agli ambiti di competenza della Commissione Finanze, propone di esprimere su di esso parere favorevole.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

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Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013.
Doc. LVII, n. 2.

(Parere alla V Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Maurizio BERNARDO (PdL), relatore, evidenzia innanzitutto come il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) 2010-2013, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 luglio 2009, rechi il nuovo quadro di finanza pubblica per il periodo 2009-2013, aggiornato alla luce delle nuove previsioni di carattere macroeconomico, nelle quali, pur in un quadro di prospettive tuttora incerte, si rilevano segnali di attenuazione delle spinte recessive; ciò anche a seguito delle misure adottate tra la fine del 2008 ed i primi mesi del 2009, per fronteggiare la crisi economica.
A tali misure si aggiunge il più recente provvedimento anticrisi, costituito dal decreto-legge 1o luglio 2009 n. 78 con il quale, come precisato nel DPEF, sono previsti impieghi per circa 11,5 miliardi negli anni 2009-2012, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate e delle minori spese legate al decreto stesso, con effetti neutrali sulla finanza pubblica.
Nel Documento viene ribadita la volontà del Governo, in continuità con gli impegni assunti in sede europea, di proseguire, nel dopo-crisi, il percorso di risanamento dei conti, prospettando una correzione degli andamenti tendenziali di finanza pubblica a partire dal 2011, in linea con le aspettative di miglioramento del quadro economico.
Il DPEF 2010-2013 presenta inoltre una revisione delle stime di crescita dell'economia italiana per l'anno in corso e per il 2010. In particolare, per il 2009 il PIL è stimato ridursi del -5,2 per cento, rispetto al -4,2 per cento indicato nella Relazione Unificata sull'economia e la finanza pubblica (RUEF) presentata nell'aprile scorso, mentre un'inversione del ciclo è prevista a partire dal 2010, anno nel quale il prodotto dovrebbe ricominciare a crescere ad un tasso pari allo 0,5 per cento.
Nel triennio successivo la crescita media annua è prevista attestarsi al 2 per cento, con una ripresa abbastanza sostenuta per effetto dell'atteso recupero del commercio internazionale e degli effetti di rimbalzo da livelli produttivi rimasti molto contenuti.
I consumi finali sono complessivamente previsti in calo dell'1,5 per cento, cui tuttavia dovrebbe seguire una crescita dello 0,3 per cento nel 2010, che continuerà negli anni seguenti.
La contrazione della crescita attesa per il 2009 è ascrivibile altresì alla riduzione degli investimenti fissi lordi (-11,6 per cento). La riduzione stimata tiene conto delle agevolazioni fiscali di detassazione degli acquisti dei beni di investimento delle imprese previste dal decreto-legge n. 78 del 2009 con effetti dalla seconda metà del 2009, che contribuirebbero a un rialzo degli investimenti a partire dal 2010.
Il tasso di disoccupazione subirà un aumento sia nel 2009 (+8,8 per cento) che nel 2010 (8,9 per cento), mentre l'occupazione in termini di unità di lavoro standard farà registrare valori negativi nel 2009 (-2,7 per cento), per poi rallentare la contrazione nel 2010 (-0,2 per cento) e stabilizzarsi su livelli positivi dell'1 per cento nel 2011-2013. La previsione relativa all'inflazione, infine, stima un livello dei prezzi che si manterrà contenuto lungo tutto il periodo previsionale.
Il DPEF sottolinea quindi come l'economia italiana si presenti meno esposta ai fattori specifici della crisi finanziaria, grazie ad alcune caratteristiche strutturali quali il ridotto indebitamento delle famiglie rispetto alla media dell'area dell'euro; la minore vulnerabilità del settore immobiliare; una redditività del settore bancario superiore agli altri paesi dell'area dell'euro.
Tra i segnali positivi per una ripresa dell'economia italiana, il DPEF annovera il rialzo dei corsi azionari rispetto ai minimi

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registrati nella prima metà del marzo scorso, la riduzione dei differenziali di interesse rispetto ai tassi di riferimento e l'attenuazione del calo della produzione industriale. Tra le incognite che pesano sulle prospettive della ripresa rimangono invece la qualità del credito ed il deterioramento del mercato del lavoro.
Le stime di finanza pubblica per il 2009 sono state riviste più volte dal Governo nei vari documenti di previsione presentati nel corso dell'anno, in relazione all'aggravarsi della crisi internazionale.
Rispetto alle strategie di contrasto adottate negli altri paesi industrializzati, il DPEF afferma che in Italia vi è stata una minor necessità di intervenire a sostegno del sistema finanziario.
Secondo quanto riportato dal DPEF, in termini finanziari, escludendo gli interventi a favore del settore bancario e il più recente decreto - legge n. 78 del 2009, il piano anticrisi ha reperito un ammontare di risorse lorde pari a circa 27,3 miliardi per il quadriennio 2008-2011 (2,7 miliardi nel 2008, 11,4 nel 2009, 7,5 nel 2010 e 5,8 nel 2011), corrispondenti all'1,8 per cento del PIL.
In considerazione dei vincoli di bilancio gravanti sul nostro paese, tali interventi sono stati adottati curandone un impatto finale il più possibile neutrale sui saldi di finanza pubblica, attraverso l'utilizzo di coperture recate nei provvedimenti di intervento, ovvero con riallocazione di risorse già disponibili.
In conseguenza del protrarsi della situazione congiunturale negativa, il DPEF 2010-2013, oltre a stimare una ulteriore contrazione della crescita del PIL nel 2009 (-5,2 per cento), rivede al ribasso anche l'obiettivo di indebitamento netto, fissandolo al 5,3 per cento del PIL per il 2009, rispetto al 4,6 per cento indicato dal Governo ad aprile nella Relazione Unificata per l'economia e la finanza pubblica (RUEF).
Il valore dell'indebitamento netto stimato per il 2009 risulta da un peggioramento del saldo primario, che scende ad un valore negativo di 0,4 per cento del PIL. La spesa per interessi si mantiene sostanzialmente stabile, pari al 5,0 per cento.
Dal confronto tra le stime per il 2009 fornite nella RUEF e quelle contenute nel DPEF risulta un peggioramento dell'indebitamento netto di 0,7 punti percentuali di PIL. Secondo quanto riportato nel DPEF, il suddetto peggioramento è sostanzialmente dovuto ad un ulteriore ridimensionamento, rispetto a quanto previsto già nella RUEF, del gettito tributario per circa 4,6 miliardi (in particolare, minori imposte indirette per circa 1,8 miliardi, minori imposte dirette per 0,9 miliardi, e contributi sociali inferiori alla precedente stima per 2,2 miliardi), pari a circa lo 0,3 per cento del PIL.
Il Documento evidenzia inoltre come sul peggioramento del deficit 2009 rispetto alle stime della RUEF abbia inciso, in parte, anche l'impegno assunto da parte del Governo di accelerare i pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese, che ha comportato un incremento delle dotazioni di cassa nel disegno di legge di assestamento per il 2009.
A tale riguardo ricorda che il disegno di legge di assestamento del bilancio per il 2009, (A.S. 1646), attualmente all'esame del Senato, prevede un incremento complessivo delle dotazioni di cassa di circa 18 miliardi per il 2009, al fine del pagamento di quota parte dei residui passivi iscritti in bilancio e dell'accelerazione dello smaltimento dei debiti maturati al 31 dicembre 2008 nei confronti delle Amministrazioni. Di questi 18 miliardi, 5 miliardi (in termini di cassa e di competenza) sono iscritti in aumento dei Fondi per la riassegnazione dei residui passivi perenti, di parte corrente e in conto capitale, quale integrazione «necessaria per il pagamento di crediti vantati dalle imprese per richieste rimaste inevase nel corso del 2008, a causa della esiguità delle risorse disponibili». Ulteriori 5,5 miliardi sono iscritti in aumento del Fondo di riserva per le autorizzazioni di cassa.
Per quanto attiene al rapporto debito pubblico/PIL, la previsione per il 2009 è

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fissata al 115,3 per cento, più alta di 9,6 punti percentuali rispetto al risultato raggiunto nel 2008.
Rispetto a quanto stimato dalla RUEF di aprile, il DPEF stima un ulteriore peggioramento dell'andamento del rapporto tra debito pubblico e PIL di circa 1 punto percentuale, affermando che la gestione del debito nell'anno in corso rimane ancora fortemente influenzata dalle conseguenze della crisi finanziaria internazionale.
Con riguardo alla previsioni per il 2010 e per gli anni successivi, il quadro tendenziale dei conti di finanza pubblica prospetta per il 2010 un indebitamento netto pari al 5 per cento del PIL, in miglioramento di 0,3 per cento rispetto al livello di deficit fissato per il 2009.
La nuova previsione del DPEF risulta peggiorativa di 0,4 punti percentuali rispetto a quanto stimato nella RUEF di aprile 2009.
Secondo quanto riportato nel Documento, il nuovo livello dell'indebitamento netto tendenziale è sostanzialmente legato ad una significativa riduzione delle entrate tributarie (1,8 miliardi rispetto ai dati di aprile), in particolare di quelle dirette, che dimostrano un'elasticità coerente con il ridimensionamento della crescita dell'economia nel 2009, la quale, a causa del meccanismo del prelievo, incide con un certo ritardo sul gettito.
Il quadro tendenziale ricomprende gli interventi del decreto-legge n. 78/2009, i cui effetti positivi, in termini di gettito delle entrate tributarie, si manifestano alla fine del periodo, nel 2012 e nel 2013, per lo 0,1 per cento.
Le spese risultano lievemente superiori alle stime riportate nella RUEF, in considerazione di una previsione di crescita delle spese in conto capitale (circa 1,5 miliardi), parzialmente compensata dalla previsione di una minore spesa per interessi (circa 0,9 miliardi). Il DPEF evidenzia che la maggiore spesa in conto capitale incorpora anche gli effetti derivanti del decreto-legge a favore delle aree colpite dal terremoto in Abruzzo.
Il livello dell'indebitamento netto nel 2010 risulterebbe da una previsione di avanzo primario pari allo 0,2 per cento del PIL (in miglioramento di 0,6 punti rispetto al 2009), e da una spesa per interessi pari al 5,1 per cento del PIL.
Per quanto attiene agli aspetti di più diretto interesse per la Commissione Finanze, rileva come il Documento evidenzi, in merito all'evoluzione delle entrate, una riduzione nel 2009 rispetto al 2008, in particolare per le entrate tributarie (-2,6 per cento), mentre nel 2010 viene indicata una leggera crescita (+0,7), per poi assestarsi sopra il 3 per cento a partire dal 2011.
Il DPEF indica nel 2010 una riduzione della pressione fiscale dal 43,4 al 43,0 per cento.
Con riferimento al conto economico tendenziale 2010-2013, successivamente all'adozione del decreto-legge n. 78 del 2009, l'andamento delle entrate tributarie presenta, in valore percentuale del PIL, un valore del 29,1 nel 2008, del 29,3 nel 2009, del 28,9 nel 2010, del 28,8 nel 2011, del 29 nel 2012, del 29,1 nel 2013.
Il quadro programmatico di finanza pubblica conferma per il 2010 il livello di indebitamento tendenziale, mentre per gli anni successivi gli obiettivi programmatici evidenziano una riduzione progressiva del deficit che dal 5,0 per cento del 2010 scende al di sotto della soglia del 3 per cento nel 2012.
Per l'avanzo primario il Governo si prefissa l'obiettivo di un suo graduale aumento, dallo 0,2 per cento del 2010 al 3,5 per cento del 2013. Ciò, anche a fronte di una spesa per interessi che, anche in via programmatica, si mantiene sostanzialmente stabile nel periodo.
Tenuto conto dell'andamento tendenziale, i nuovi obiettivi finanziari individuano dunque una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa l'1,2 per cento del PIL nel triennio 2011-2013.
Il DPEF afferma che le manovre correttive dovranno privilegiare interventi non peggiorativi della pressione fiscale verso i settori economici operanti nel rispetto

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delle regole, nonché interventi non riduttivi del livello dei servizi alla collettività, bensì finalizzati all'efficienza e all'ottimizzazione dell'impiego delle risorse.
A tal fine, il DPEF prevede, dal lato dell'entrata, il rafforzamento delle forme di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, e, dal lato della spesa, il completamento del risanamento dei budget sanitari delle Regioni in disavanzo, anche attraverso la fissazione di costi standard dei servizi pubblici.
Relativamente alla spesa per prestazioni sociali, il DPEF ritiene necessario un confronto con le parti sociali al fine di possibili percorsi di contenimento della spesa pensionistica.
Infine, per ciò che attiene il bilancio dello Stato, il DPEF fissa l'obiettivo del saldo netto da finanziare, al netto delle regolazioni contabili e debitorie, in 61,4 miliardi di euro nel 2010, 48,1 miliardi nel 2011 e 40,6 nel 2012.
Per quanto concerne l'evoluzione del rapporto debito pubblico/PIL, il quadro tendenziale evidenzia, in relazione al ridimensionamento della crescita dell'economia, un incremento più accentuato di quanto stimato ad aprile nella RUEF, attestandosi a 118,2 per cento nel 2010, superiore di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2009.
A partire dal 2011, nel profilo programmatico, il debito pubblico dovrebbe tornare a ridursi, attestandosi al 118,0 per cento in tale anno, per poi continuare a scendere in modo più significativo nel biennio successivo, collocandosi al 114,1 per cento nel 2013.
Per quanto concerne le materie e gli interventi che ricadono nella competenza specifica della Commissione Finanze, il Governo ricorda come, a seguito dell'acuirsi della crisi finanziaria, di concerto con i Paesi dell'Unione Europea, abbia varato misure atte a fronteggiare la recensione con interventi sia di supporto del settore finanziario, sia di stimolo fiscale.
Sotto il primo profilo, il Documento rileva che in Italia non vi è stata necessità di intervenire a sostegno del sistema finanziario in modo così massiccio come invece, è avvenuto in molti altri paesi; specialmente nell'area anglosassone, sono stati infatti posti in essere provvedimenti di sostegno pubblico diretto.
Con riguardo alla politica fiscale, al fine di evitare effetti negativi legati a un potenziale aumento dei tassi di interesse sul debito, il Governo ha coniugato l'esigenza di massimizzare l'efficacia degli interventi, a fronte di vincoli di bilancio più stringenti che in altri Paesi, con la volontà di aderire pienamente ai principi concordati in ambito europeo.
Gli interventi anticrisi hanno previsto, tra l'altro, sia provvedimenti a salvaguardia del sistema creditizio e del risparmio (recati dal decreto - legge n. 155 del 2008 e dal decreto - legge n. 157 del 2008, successivamente riuniti in sede di conversione) sia interventi a favore dell'economia reale, anche settoriali e finalizzati allo stimolo dei consumi nel triennio 2009-2011.
Il decreto - legge n. 185 del 2008 e il decreto - legge n. 5 del 2009 hanno inoltre concesso agevolazioni fiscali, previsto meccanismi di finanziamento e recato interventi di sostegno alla domanda per orientare le scelte dei consumatori verso prodotti a basso impatto ambientale.
Con riguardo alle misure varate per fronteggiare le difficoltà delle piccole e medie imprese, soprattutto in termini di provvista finanziaria, il decreto - legge n. 5 del 2009 ha incrementato la dotazione del Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese (PMI), con uno stanziamento complessivo di 1,5 miliardi.
Sempre in merito alle questioni relative al finanziamento delle imprese, il Documento richiama inoltre le risorse che, in base all'accordo quadro ABI-MEF del 25 marzo scorso, dovranno essere versate nel Fondo dalle banche che emetteranno strumenti ibridi di patrimonializzazione sottoscritti dallo Stato. Gli interventi del Fondo, al fine di favorire l'accesso al credito delle PMI alle migliori condizioni, riducendo il rischio di credito delle banche finanziatrici, sono assistiti dalla garanzia dello Stato quale garanzia di ultima istanza. A tale proposito si segnala come,

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nel corso del primo quadrimestre dell'anno, le richieste della garanzia del Fondo e il volume dei finanziamenti concessi sono infatti aumentati rispettivamente del 43,3 per cento e del 62,4 per cento e come, seguendo l'attuale politica di gestione del rischio da parte del Fondo, le nuove risorse consentirebbero di attivare nuovi finanziamenti per oltre 20 miliardi.
Il Documento sottolinea quindi il passaggio fondamentale nell'attuazione del programma del Governo costituito dall'approvazione della legge n. 42 del 2009, in materia di federalismo fiscale, con cui è stata data attuazione alle norme costituzionali sul finanziamento degli Enti decentrati e si è delegato il Governo ad emanare decreti legislativi in materia di coordinamento della finanza dei vari livelli di governo, autonomia tributaria degli Enti decentrati e perequazione delle risorse finanziarie.
A tale riguardo si rileva come i principi di autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali, accompagnata a una loro maggiore responsabilizzazione, ispirino il nuovo sistema di finanziamento, essendo infatti assegnati ai livelli inferiori di governo tributi autonomamente istituiti, tributi propri derivati da leggi statali, quote di compartecipazione al gettito dei tributi erariali.
Con riguardo alla distribuzione di risorse alle autonomie territoriali, è soppresso il precedente sistema di trasferimenti erariali e viene previsto il superamento del criterio della spesa storica per la determinazione delle somme trasferite, prevedendosi l'introduzione di fondi perequativi, alimentati dalla fiscalità generale.
Il coinvolgimento diretto dei vari livelli istituzionali nel contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, con meccanismi premiali, viene previsto direttamente dalla legge n. 42.
In relazione alle prestazioni che impongono costituzionalmente alle Regioni la garanzia di livelli essenziali (sanità, assistenza e funzioni amministrative dell'istruzione) e per quelle legate alle funzioni fondamentali degli Enti locali, la nuova disciplina dispone la copertura finanziaria integrale - nei limiti della spesa valutata in base a parametri standard - affidata a trasferimenti perequativi, per colmare il divario tra fabbisogno di spesa standard (calcolato direttamente sulla spesa standard corrente per gli Enti locali e in base all'applicazione di costi standard per i livelli essenziali delle prestazioni delle Regioni) e le entrate tributarie associate alle predette funzioni, valutate anch'esse in termini standardizzati.
La copertura è lasciata all'autonomia tributaria per le altre funzioni, dovendo la perequazione ridurre le differenze nelle basi imponibili (capacità fiscale), senza penalizzare lo sforzo fiscale.
Inoltre, la legge sul federalismo fiscale definisce i rapporti tra i vari livelli di governo, prevedendo regole di condivisione degli obiettivi nazionali perseguiti nell'ambito del Patto di Stabilità e Crescita. La delega prevede altresì, in sede di predisposizione della legge finanziaria e in accordo con la Conferenza Unificata, l'adozione di norme di coordinamento della finanza pubblica che per ciascun livello di governo definiscano, tra l'altro, gli obiettivi programmatici della pressione fiscale e siano volte a garantire il coordinamento della fiscalità dei vari livelli di governo all'interno dell'ordinamento tributario nazionale, assicurando una correlazione tra prelievo e beneficio fruito nel territorio ed evitando doppie imposizioni.
Si riserva quindi di formulare una compita proposta di parere all'esito del dibattito.

Gianfranco CONTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.50.