CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 11 giugno 2009
187.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (II e X)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 11 giugno 2009. - Presidenza del presidente Andrea GIBELLI.

La seduta comincia 13.50.

Riforma delle professioni.
C. 3 Iniziativa popolare, C. 503 Siliquini, C. 1553 Vietti C. 1590 Vitali, C. 1934 Froner, C. 2077 Formisano e C. 2239 Mantini.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni riunite iniziano l'esame del provvedimento in oggetto.

Andrea GIBELLI, presidente, invita i deputati Faenzi e Siliquini a svolgere le rispettive relazioni.

Monica FAENZI (PdL), relatore per la X Commissione, illustra le disposizioni in materia di professioni non regolamentate, contenute principalmente nelle proposte di legge C. 1934 e C. 2077. Le due proposte, sostanzialmente identiche, sono volte all'istituzione di un sistema di regole in materia in grado di garantire un doppio livello di tutela a vantaggio sia delle professioni - che attraverso il riconoscimento statale potranno operare come soggetti giuridici e garantire standard qualitativi migliori - sia dei consumatori. Aggiunge che ulteriori disposizioni relative alle professioni non regolamentate sono contenute nella proposta C. 1590 e precisamente al Capo VI (articoli 26-31), disciplinante il riconoscimento delle associazioni delle suddette professioni; nelle proposte C. 3 e C. 1553, recanti disposizioni sul riconoscimento delle nuove professioni nonché sulle associazioni delle professioni riconosciute (con particolare riferimento all'iscrizione nel relativo registro); nella proposta C. 2239, che interviene solamente su specifici profili delle associazioni professionali.
Illustra, in primo luogo, il contenuto delle proposte C. 1934 e C. 2077, richiamando anche il contenuto della proposta C. 1590 ed evidenziandone le differenze rispetto alle altre proposte in esame. Fa presente che, nella parte relativa alle associazioni professionali, farà riferimento anche alle norme contenute nelle proposte di legge C. 3 e C. 1553, nonché nella proposta di legge C. 2239.

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Osserva che, sulla consistenza delle professioni non regolamentate in Italia, la relazione che accompagna le proposte di legge C. 1934 e C. 2077, citando l'ultimo rapporto del Censis, riferisce il dato di 3,5 milioni di lavoratori - autonomi e dipendenti - che attualmente esercitano attività professionali, senza essere iscritti in ordini o albi professionali. Si tratta delle cosiddette professioni non protette, che non hanno ottenuto il riconoscimento legislativo, diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione ad un ordine o ad collegio professionale per poter essere esercitate e che, nella quasi totalità dei casi, hanno dato vita ad autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico.
L'articolo 1 definisce l'oggetto che attraverso un criterio residuale, è costituito da tutte le professioni, intellettuali e non, per le quali non sia stata prevista espressamente la riserva di legge a favore delle professioni intellettuali ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile, con esclusione delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da leggi in vigore. La disciplina introdotta dai provvedimenti in esame si applica, pertanto, alle cosiddette attività professionali non regolamentate. Viene precisato inoltre che, ai fini delle proposte di legge in esame, per professione si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere in favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale o comunque con il suo concorso, sulla base dei principi deontologici e delle tecniche proprie della medesima attività professionale.
L'articolo 2 introduce il principio del libero esercizio della professione fondato sull'autonomia, sulle competenze e sull'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista. Si prevede, inoltre, la facoltà del professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione, riconoscendone l'esercizio in forma sia individuale sia associata o societaria. L'esercizio della professione può altresì prefigurarsi come lavoro dipendente. In questo caso, la legge predispone apposite garanzie volte ad assicurare l'autonomia e l'indipendenza di giudizio nonché l'assenza di conflitto di interessi anche in caso di lavoro a tempo parziale.
L'articolo 3 disciplina la procedura di riconoscimento delle professioni non regolamentate spettante al ministro della giustizia. Il ministro vi provvede con uno o più decreti, su proposta del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e di concerto con i ministri competenti per materia. Il riconoscimento riguarda le professioni aventi connotazione tipica di interesse diffuso, che dovrà risultare da uno specifico fondamento teorico-pratico, dalla diffusione nell'ambito del mercato nazionale e dalla rilevanza di carattere economica e sociale. Nella relazione illustrativa si sottolinea che la disciplina delle professioni introdotta dalle proposte in esame tiene conto della ripartizione di competenze tra Stato e regioni in materia di professioni (competenza concorrente). La competenza statale, nel riconoscimento e nell'individuazione delle professioni non regolamentate e il rinvio alle regioni per l'emanazione di norme di dettaglio, si pone in linea con il riparto di competenze previsto dalla Costituzione. L'atto di riconoscimento delle professioni non regolamentate deve essere sempre motivato in maniera analitica e deve indicare espressamente le ragioni e gli interessi la cui valutazione sta alla base della decisione. L'atto deve, altresì, stabilire i requisiti necessari per l'esercizio della professione, dopo avere sentito le forme aggregative delle associazioni, la cui disciplina è contenuta nell'articolo 7 delle due proposte in esame. Il suddetto riconoscimento non costituisce motivo di riserva della professione, mentre, per il riconoscimento della professione si rinvia anche alle modalità individuate dai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 5.
L'articolo 4 disciplina le associazioni professionali garantendone la libertà di

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costituzione e individuandole quali soggetti giuridici di diritto privato, fondati su base volontaria, senza vincolo di esclusiva e nel rispetto della libera concorrenza. Gli statuti e le clausole associative delle associazioni sono tenuti a garantire la trasparenza delle attività e degli assetti associativi, la dialettica democratica tra gli associati e l'osservanza dei principi deontologici. Le associazioni sono inoltre tenute a garantire la formazione permanente, l'adozione di un codice deontologico, la vigilanza sul comportamento degli associati e la definizione di sanzioni disciplinari nei confronti degli associati per le violazioni del codice deontologico. A tale fine, la norma impone a ciascuna associazione l'attivazione di uno sportello di riferimento per i consumatori, che vi possono ricorrere in caso di contenzioso con i professionisti.
Disposizioni di analogo tenore sono contenute anche all'articolo 26 della proposta di legge C. 1590, che non contiene alcuna previsione di attivazione del suddetto sportello di riferimento per i consumatori.
L'articolo 5, al comma 1, definisce i requisiti necessari per il riconoscimento delle associazioni, di seguito indicati: a) costituzione da almeno quattro anni per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata registrata presso l'ufficio del registro, ovvero per altra idonea documentazione ufficiale; b) adozione di uno statuto che sancisca un ordinamento democratico, l'assenza dello scopo di lucro, la rappresentatività elettiva delle cariche interne e l'assenza di situazioni di conflitto di interessi o di incompatibilità, la trasparenza degli assetti organizzativi e dell'attività dei relativi organi, nonché l'esistenza di una struttura organizzativa e tecnico-scientifica che consenta l'effettivo raggiungimento delle finalità dell'associazione; c) tenuta di un elenco degli iscritti, da aggiornarsi con cadenza annuale e contenente l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari; d) individuazione di elementi di deontologia; e) precisa identificazione delle attività professionali caratterizzanti la professione di riferimento dell'associazione, nonché dei titoli di studio e delle esperienze formative necessari al relativo esercizio; f) previsione dell'obbligo della formazione permanente; g) ampia diffusione sul territorio nazionale, con sedi in almeno dieci regioni; h) mancata pronuncia di condanna, passata in giudicato, nei confronti dei suoi legali rappresentanti, in relazione ad attività professionali o riferibili all'associazione medesima. Il riconoscimento delle associazioni in possesso dei suddetti requisiti spetta al ministro della giustizia che vi provvede con proprio decreto, sentito il CNEL e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. È richiesto inoltre il concerto con il ministro per le politiche europee e con il ministro competente per materia o settore prevalente di attività. I successivi commi disciplinano la procedura di riconoscimento delle associazioni cui non corrisponde alcuna professione già riconosciuta secondo le modalità stabilite dal precedente articolo 3. In tal caso, si stabilisce che la richiesta di riconoscimento dell'associazione costituisce anche richiesta di riconoscimento della professione di riferimento. A completamento della procedura di riconoscimento delle associazioni richiedenti, il comma 5 impone alle medesime l'adeguamento dei relativi statuti alle disposizioni del suindicato decreto (relative alle connotazioni tipiche della professione riconosciuta), entro sei mesi dalla data di emanazione del decreto stesso. A questo proposito, si segnala che la sola proposta di legge C. 1934 prevede l'inefficacia del riconoscimento in caso di mancato adeguamento. Spetta al ministro della giustizia procedere con proprio decreto, ogni due anni, alla ricognizione delle professioni allo scopo di favorire l'aggiornamento di quelle esistenti, promuovere il riconoscimento di nuove professioni e procedere a eventuali accorpamenti. Infine, il comma 7 fa divieto alle associazioni di adottare e usare denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi.

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Disposizioni analoghe a quelle di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 5 delle proposte di legge C. 1934 e C. 2077 e sono contenute anche nell'articolo 27 della proposta di legge C. 1590. I requisiti richiesti per il riconoscimento delle associazioni coincidono sostanzialmente, l'unica differenza è costituita dalla mancata previsione del requisito della precisa identificazione delle attività professionali caratterizzanti la professione di riferimento dell'associazione, nonché dei titoli di studio e delle esperienze formative necessari al relativo esercizio. Inoltre, per quanto riguarda l'adozione del decreto del Ministero della giustizia di riconoscimento delle professioni, la proposta di legge C. 1590 non richiede il previo parere della Conferenza Stato-regioni. Essa, inoltre, reca espressamente il divieto, per i professionisti iscritti alle associazioni professionali, sia di svolgere le attività professionali riservate dalla legislazione vigente a specifiche categorie sia di adottare ed utilizzare denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi professionali (articolo 30). Analogamente, la proposta di legge C. 2239 dispone che i professionisti iscritti alle associazioni riconosciute, ai sensi del decreto legislativo n. 206 del 2007 e del decreto del ministro della giustizia 28 aprile 2008, non possono esercitare attività professionali riservate dalla legislazione vigente a specifiche categorie o comunque adottare ed utilizzare denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi professionali (articolo 26, commi 1 e 2).
L'articolo 6 demanda alle regioni, sentite le associazioni professionali o le aggregazioni di associazioni professionali riconosciute e presenti a livello regionale, la definizione delle modalità di organizzazione territoriale delle associazioni riconosciute. Consente, inoltre, alle regioni di stabilire, per le attività professionali, requisiti aggiuntivi rispetto a quelli indicati dai decreti di riconoscimento di cui all'articolo 5, in relazione alle caratteristiche del proprio territorio. Compete sempre alle regioni definire i percorsi di formazione necessari per conseguire i requisiti aggiuntivi e per l'aggiornamento delle competenze già acquisite dagli associati.
L'articolo 7 consente la costituzione da parte delle associazioni di forme di aggregazione, con una consistenza di almeno 10 associazioni, aventi funzioni di rappresentanza e di controllo delle associazioni medesime. Le forme aggregative, soggetti autonomi rispetto alle associazioni aderenti che rappresentano, si caratterizzano per l'indipendenza e l'imparzialità di azione. Vi possono partecipare anche le associazioni dei consumatori riconosciute ai sensi del decreto legislativo n. 206 del 2005 (Codice del consumo).
L'articolo 8 istituisce il Registro delle associazioni professionali presso il Ministero della giustizia, cui spetta fissare forme e modalità per renderlo ampiamente consultabile, trattandosi di un registro pubblico. Nel Registro sono automaticamente iscritte, all'atto dell'emanazione del relativo decreto di riconoscimento, le associazioni professionali, mentre le forme aggregative sono iscritte su richiesta. L'istituzione del registro è prevista anche dalla proposta di legge C. 1590 (articolo 28), che si limita a consentirne l'iscrizione alle associazioni riconosciute ai sensi dell'articolo 27, comma 2.
Le proposte C. 3 e C. 1553 hanno contenuto analogo e disciplinano al Titolo III (articoli da 30 a 33 della proposta C. 3; articoli da 33 a 36 della proposta C. 1553) le associazioni delle professioni riconosciute.
L'articolo 9 istituisce l'attestato di competenza, comprovante :il possesso dei requisiti professionali richiesti; l'esercizio abituale della professione; il costante aggiornamento professionale; la conformità del comportamento alle norme di corretto svolgimento della professione. L'attestato è istituito conformemente alla direttiva 2005/36/CE, allo scopo di garantire la tutela dei consumatori. L'attestato - che non è requisito vincolante ai fini dell'esercizio della professione - può essere rilasciato sia dalle singole associazioni professionali, sia dalle forme aggregative oltre che dagli organismi di certificazione delle persone, accreditati dal Sistema nazionale

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per l'accreditamento degli organismi di certificazione e ispezione, SINCERT. Spetta alle associazioni definire i requisiti per il rilascio dell'attestato di competenza, tra i quali rientrano, in particolare: l'individuazione di livelli di qualificazione professionale, dimostrabili tramite il conseguimento di titoli di studio o di specifici percorsi formativi; la definizione dell'oggetto della professione e dei relativi profili professionali; la determinazione di standard qualitativi da rispettare nell'esercizio della professione. Ai fini del rilascio dell'attestato di competenza è inoltre richiesto agli associati il possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale. I soggetti abilitati al rilascio dell'attestato di competenza devono essere accreditati presso il SINCERT. Lo scopo è quello di evitare il condizionamento, in fase di rilascio, da parte di situazioni di conflitto di interessi e di garantirne il riconoscimento nei Paesi UE. L'attestato di competenza ha validità triennale; è rilasciato a tutti gli iscritti alle associazioni che ne fanno richiesta e che dimostrano di essere in possesso dei requisiti su illustrati. Disposizioni analoghe relative all'attestato di competenza sono contenute anche nell'articolo 29 della proposta di legge C. 1590, che però attribuisce la competenza del suo rilascio esclusivamente alle associazioni professionali e non reca la previsione relativa all'accreditamento presso il SINCERT dei soggetti abilitati al rilascio. Una norma relativa all'attestato di competenza, seppur molto più succinta, è contenuta anche nella proposta di legge C. 2239.
L'articolo 10 delle proposte di legge C. 1934 Froner e C. 2077 Formisano reca, sebbene con differenti principi e criteri direttivi, deleghe per la disciplina delle forme di tutela previdenziale delle professioni non regolamentate. In particolare, entrambe le proposte di legge prevedono lo «scorporo» della tutela previdenziale dei soggetti professionali in questione dalla Gestione separata INPS, di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, dove sono iscritti ai sensi della normativa vigente. Tuttavia, mentre la proposta di legge C. 1934 dispone la costituzione di un'apposita gestione autonoma (presso l'INPS), la proposta di legge C. 2077 prevede due canali alternativi consistenti, rispettivamente, nella confluenza nelle casse previdenziali delle professioni ordinistiche già esistenti, corrispondenti per materia e contenuti professionali, o nell'istituzione di una o più casse previdenziali autonome. Più specificamente, la proposta di legge C. 1934 prevede la delega al Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi al fine di istituire specifiche forme di tutela previdenziale dei soggetti che esercitano le professioni oggetto del provvedimento in esame, appunto scorporando questi ultimi dalla gestione separata INPS. Ai fini dell'esercizio della delega, il Governo dovrà attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi: costituzione, presso l'INPS, di una gestione autonoma esclusivamente destinata alle professioni riconosciute; carattere interprofessionale della gestione; determinazione della contribuzione previdenziale tale da rispettare la stabilità della gestione, nonché il riconoscimento della peculiarità della contribuzione propria di attività abitualmente remunerate attraverso parcelle professionali.
Anche la proposta di legge C. 2077 prevede una delega al Governo da esercitare negli stessi termini temporali, istituendo specifiche forme di tutela previdenziale dei soggetti che esercitano professioni non regolamentate mediante scorporo dalla gestione separata INPS, ma sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi, in alternativa tra loro: possibilità, per i soggetti richiamati, di confluire nelle casse di previdenza delle professioni di cui all'articolo 2229 del codice civile corrispondenti per materia e per contenuti professionali; possibilità di istituire una o più casse previdenziali autonome, destinate alle professioni disciplinate dal provvedimento in esame.
L'articolo 11 attribuisce al Ministero della giustizia la vigilanza sull'operato

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delle associazioni professionali, svolta di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, per verificare il rispetto e il mantenimento dei requisiti previsti dalle proposte di legge in esame. In caso di mancata ottemperanza alle disposizioni previste, viene disposta la cancellazione dal Registro delle associazioni professionali.
Disposizioni analoghe sono contenute anche nell'articolo 31 della proposta di legge C. 1590 e nell'articolo 27 della proposta di legge C. 2239, in cui si precisa altresì che la cancellazione dal Registro - disposta allorché si ravvisino irregolarità nell'operato delle stesse associazioni, la perdita dei requisiti necessari o protratta inattività - comporta la revoca dell'autorizzazione a rilasciare attestati di competenza.
L'articolo 12 dispone in merito all'entrata in vigore delle norme recate dai provvedimenti in esame, prevista per il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

Maria Grazia SILIQUINI (PdL), relatore per la II Commissione, sottolinea come le proposte di legge all'esame delle Commissioni riunite sono volte a stabilire l'ordinamento delle professioni intellettuali, delineando una differente disciplina a seconda che la professione sia strutturata in ordini professionali - in presenza di preminenti interessi pubblici - ovvero in associazioni professionali.
In particolare, la struttura associativa viene prevista per le professioni attualmente definite «professioni non regolamentate», alle quali non è riconosciuto lo stesso rilievo delle professioni regolamentate, ma che sono comunque assoggettate, attraverso un apposito registro tenuto dal Ministro della Giustizia, alla vigilanza governativa.
Gli AA.C. 3, 1553, 1590 e 2239 intervengono sia sulle professioni regolamentate sia su quelle non regolamentate; l'AC 503 riguarda essenzialmente le professioni regolamentate; gli AA.C. 1934 e 2077 intervengono esclusivamente sulle professioni non regolamentate.
Passando all'illustrazione delle disposizioni che riguardano le professioni regolamentate precisa che le proposte di legge, che intervengono su tale categoria di professioni ne prevedono l'organizzazione in ordini professionali.
Gli AA.C. 3, 1553, 1590 e 2239 hanno un impianto maggiormente raffrontabile, in particolare sotto il profilo dell'articolazione degli ordini nel Consiglio nazionale e negli Ordini territoriali nonché della struttura e delle funzioni di questi ultimi; tali aspetti sono invece disciplinati in modo peculiare dall'AC 503. Tutte le proposte di legge intervengono poi sulle funzioni e sulle modalità di elezione del consiglio nazionale, prevedendo, con riferimento a tale ultimo aspetto, taluni principi comuni.
Con riferimento all'accesso alla professione, qualificato come libero, in alcune ipotesi si ammette che il legislatore ponga vincoli di predeterminazione numerica.
I soli AAC 1590 e 2239 dettano una disposizione specifica riferita alla professione di notaio (che prevede la predeterminazione numerica e prescrive un concorso annuale con un numero minimo di posti).
L'AC. 1553 conferisce al Governo una delega per la disciplina delle condizioni e i presupposti per l'esercizio delle professioni di interesse generale (per le quali prevede il superamento di un esame di Stato e l'iscrizione in un albo). Con specifico riferimento all'esame di Stato, gli AC 3, 503 e 1553 demandano al Governo, nell'esercizio della potestà regolamentare (AAC 3 e 503) o di una delega (AC 1553), la definizione della relativa disciplina; in base agli AC 1590 e 2239, tale disciplina deve essere introdotta nell'ambito dell'ordinamento professionale.
Lo specifico profilo del percorso formativo e delle modalità del tirocinio viene rimesso agli ordinamenti di categoria dagli AA.C. 3, 1553, 1590 e 2239; l'AC 503, invece, detta direttamente norme sul tirocinio e rinvia la disciplina dei percorsi formativi alla potestà regolamentare del Governo.

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Le proposte di legge AAC 3, 1553, 1590 e 2239 prevedono inoltre l'istituzione di apposite scuole di formazione, delineando un processo di aggiornamento continuo dei professionisti. Tutte le proposte di legge demandano a decreti ministeriali l'individuazione dei titoli universitari richiesti per l'accesso alle professioni. Segnala, inoltre, che le proposte di legge nn. 3, 1553, 1590 e 2239 prevedono specifiche disposizioni riferite rispettivamente ai liberi professionisti e ai professionisti dipendenti.
Con riferimento ai profili deontologici e di responsabilità disciplinare, tutte le proposte di legge prevedono l'adozione di un codice deontologico da parte del Consiglio nazionale (AA.C. 3, 1553, 1590 e 2239) o su proposta del medesimo (AC 503); esse delineano inoltre il quadro delle sanzioni disciplinari applicabili e disciplinano sommariamente le caratteristiche del relativo procedimento.
Le proposte di legge divergono sul punto del regime tariffario, a seconda, in particolare, che venga attribuita natura inderogabile alle tariffe predeterminate (AC 3); ai livelli massimi e minimi (AC 1553); ai soli livelli minimi (AC 503); ai soli massimi (AC 1590 e 2239).
Tutte le proposte di legge prevedono che il professionista debba assicurarsi per la responsabilità professionale e rendere noti al cliente gli estremi della polizza e il relativo massimale e confermano che l'esercizio professionale possa formare oggetto di pubblicità informativa.
I seguenti ulteriori aspetti specifici sono disciplinati soltanto da alcune delle proposte di legge: le associazioni per l'identificazione di specifici profili professionali (AAC 1553, 1590 e 2239); la previdenza obbligatoria per i liberi professionisti (AAC 1553, 1590 e 2239); gli incentivi per i medesimi (AA.C. 3, 503, 1590, 2239) o il loro coinvolgimento nelle scelte economiche generali e in sede di predisposizione del disegno di legge finanziaria (1590 e 2239); l'istituzione dell'Ordine dei tecnici laureati per l'ingegneria (AC 1590; Ordine dei tecnici nella pdl 2239) e gli interventi in materia di Ordini delle professioni sanitarie e infermieristiche (AA.C. 1590 e 2239). Tutte le proposte di legge prevedono che l'attività professionale possa essere svolta sia in forma societaria che in forma associata.
L'AC. 3 stabilisce che la società tra professionisti (STP) sia strutturata in base al modello già previsto per la società tra avvocati dal decreto legislativo n. 96 del 2001; disciplina la società tra professionisti interdisciplinare (STPI), consentendo a professionisti appartenenti a categorie diverse di legarsi per svolgere le rispettive professioni in forma societaria, nonché la società di servizi professionali (SSP), ossia la società alla quale partecipano anche soci non professionisti ammessa nel rispetto di specifiche condizioni.
L'AC 503, oltre a prevedere la creazione presso ogni ordine di un registro delle società professionali e disciplinare il regime delle incompatibilità, detta una dettagliata disciplina degli specifici tipi societari (in particolare, società semplice tra professionisti e società professionale a responsabilità limitata).
L'AC 1553 disciplina la società tra professionisti (STP) richiamando il già citato d.lgs. n. 96 del 2001: consente la costituzione di società tra professionisti in forma di società cooperativa a mutualità prevalente e disciplina inoltre, le società aventi ad oggetto l'esercizio di più professioni di interesse generale (c.d. società interprofessionali).
Gli AC 1590 e 2239, che non prevedono un nuovo modello di società ma richiamano le tipologie esistenti, consentono la costituzione, oltre che di società tra professionisti (STP) anche di società interdisciplinari e delegano il Governo per la riforma di questo settore nel rispetto di alcuni specifici principi e criteri direttivi.
Gli AAC 3, 1553, 1590 e 2239 disciplinano l'esercizio in forma associata delle professioni, prevedendo una specifica denominazione dello studio professionale; l'AC 503 disciplina inoltre l'associazione temporanea tra professionisti, il cui elemento qualificante è la decisione di uno o

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più professionisti di riunirsi per eseguire in comune un'opera o un mandato professionale determinati.
I provvedimenti in esame contengono, infine, diverse norme che attribuiscono poteri normativi al Governo, anche attraverso norme di delega e recano una disciplina transitoria.

Andrea GIBELLI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Delega al Governo per il riordino della legislazione in materia di gestione delle crisi aziendali.
C. 1741 Governo.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni riunite iniziano l'esame del provvedimento in oggetto.

Andrea GIBELLI, presidente, invita i deputati Abrignani e Lussana a svolgere le rispettive relazioni.

Ignazio ABRIGNANI (PdL), relatore per la X Commissione, illustra il disegno di legge in titolo che si compone di due articoli, il primo dei quali, prevedendo la delega al Governo per la riforma della disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, coinvolge direttamente le competenze della X Commissione. L'articolo 2 contiene, invece, una delega al Governo per la riforma della disciplina penale fallimentare, materia che interessa più direttamente le competenze della II Commissione.
Passando all'illustrazione delle disposizioni in materia di amministrazione straordinaria recate dall'articolo 1, sottolinea che, secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa, le esigenze di riforma del vigente quadro normativo nascono dalla percezione delle carenze che affliggono questo importante settore nel più ampio complesso di regole normalmente definito come «statuto dell'imprenditore». Il quadro normativo di riferimento, con riguardo alla crisi delle grandi imprese, si presenta composito, in quanto il fenomeno delle «grandi imprese in stato di insolvenza», risulta oggi disciplinato da una normativa concorrente costituita dal decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, recante misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza e dal decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, recante nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274. La materia è inoltre regolata dalla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà (comunicazione della Commissione europea 2004/C 244/02). Come sottolineato nella relazione illustrativa, l'obiettivo sostanziale della riforma è il superamento della contrapposizione fra tutela dei creditori e conservazione degli organismi produttivi contemperando, nei limiti del possibile, entrambe le esigenze, in quanto la conservazione dell'impresa costituisce un valore anche per i creditori, al fine di conseguire un più congruo soddisfacimento del credito in sofferenza. Ai sensi del comma 1, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 4, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999, e al decreto-legge n. 347 del 2003, comprese le disposizioni per il salvataggio delle imprese che esercitano servizi pubblici di interesse economico essenziale, al fine di armonizzarne le disposizioni, di semplificarne le procedure, di assicurare la continuità aziendale e la salvaguardia dei posti di lavoro nel rispetto della tutela del credito e della concorrenza. La riforma, in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi e criteri direttivi di cui al comma 4, realizza il necessario coordinamento, anche formale, con le altre disposizioni vigenti.

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Ricorda che le disposizioni relative al salvataggio di imprese esercitanti servizi pubblici di interesse economico essenziale sono state recentemente adottate con il decreto-legge n. 134 del 2008, che ha introdotto una serie di modifiche ed integrazioni al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (cosiddetta legge Marzano), adottato a seguito delle note vicende riguardanti il gruppo Parmalat, che ha previsto una complessiva semplificazione della procedura per l'ammissione all'amministrazione straordinaria e ha rafforzato i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa. Il citato decreto-legge n. 134 del 2008 ha previsto altresì un ampliamento dei destinatari della disciplina della cosiddetta legge Marzano, consentendo l'applicazione di questa procedura speciale anche alle imprese in stato di insolvenza che intendano procedere alla cessione di complessi aziendali in base ad un programma che preveda la prosecuzione dell'esercizio dell'attività di impresa. Rimangono invece invariati i due principali requisiti previsti per accedere all'amministrazione straordinaria: il numero dei lavoratori dipendenti, che non dovrà essere inferiore a 500 da almeno un anno, e l'ammontare dei debiti, che non potrà essere inferiore a 300 milioni di euro. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati, secondo la procedura definita dal comma 2 dell'articolo in esame, su proposta del ministro dello sviluppo economico, di concerto con i ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze e per le politiche europee, e sono successivamente trasmessi alle Camere, al fine dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1 o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni. Il comma 3 dispone che, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere emanati uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi con il rispetto del procedimento di cui al comma 2. Il comma 4 detta i seguenti principi e i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere per l'attuazione della delega: a) unificazione delle procedure previste dal decreto legislativo n. 270 del 1999 e dal decreto-legge n. 347 del 2003 e individuazione, quale provvedimento iniziale della procedura di amministrazione straordinaria, del decreto di ammissione del Ministro dello sviluppo economico; b) ridefinizione del contenuto della domanda di ammissione alla procedura, in modo da consentire all'impresa la presentazione di un piano in cui si possa prevedere, anche cumulativamente, la ristrutturazione, la cessione e l'affitto del patrimonio aziendale (segnala, al riguardo, che a seguito delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 134 del 2008, che ha esteso l'ambito di applicazione della disciplina sull'amministrazione straordinaria della cosiddetta legge Marzano, il commissario straordinario entro il termine di centottanta giorni dalla data del decreto di nomina, provvede alla presentazione, in considerazione della situazione della specifica impresa insolvente, alternativamente, di un «programma di cessione dei complessi aziendali» oppure di un «programma di ristrutturazione); c) valutazione del piano da parte del commissario straordinario, con possibilità per lo stesso commissario di proporre modifiche e integrazioni ovvero di presentare un piano alternativo a quello dell'impresa da sottoporre all'approvazione del Ministro dello sviluppo economico; d) previsione espressa dell'affitto di beni, di aziende o di rami aziendali, tra le operazioni autorizzabili per favorire il risanamento; e) durata del piano determinata da uno a due anni in funzione della complessità della procedura, con possibilità di proroga al massimo fino ad un ulteriore anno per eccezionali esigenze sopravvenute; f) indicazione, nel piano predisposto dal commissario straordinario, del profilo dell'eventuale assuntore (ossia, come si

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precisa nella relazione illustrativa, dei requisiti soggettivi minimi dei possibili assuntori quali solidità patrimoniale, vocazione industriale, eccetera) e dei livelli minimi di soddisfacimento dei creditori; g) possibile individuazione dell'eventuale assuntore delle attività delle imprese anche in corso di esecuzione del piano predisposto dal commissario straordinario o successivamente al deposito dell'istanza di concordato e possibili limitazioni nell'assunzione dei debiti; h) coordinamento dell'esercizio delle azioni revocatorie fallimentari con le fattispecie di risanamento mediante ristrutturazione economica e finanziaria; i) possibilità («nella prospettiva di agevolare il superamento della crisi», come chiarito dalla relazione) di concludere accordi di ristrutturazione di debito finanziati con il Fondo per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà istituito con il decreto-legge n. 35 del 2005 (cosiddetto decreto competitività), previa approvazione del Ministero dello sviluppo economico; l) individuazione di adeguate forme di tutela giurisdizionale dei creditori e dei terzi interessati, compatibili con le esigenze di celerità della procedura; m) previsione di una disciplina transitoria per le procedure in corso alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1.

Carolina LUSSANA (LNP), relatore per la II Commissione, illustra il disegno di legge del Governo n. 1741 che è diretto a conferire due deleghe volte rispettivamente alla riforma della disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ed alla riforma della disciplina penale fallimentare. Quale relatrice per la II Commissione si sofferma in particolare sulla delega in materia penale.
L'esigenza di riforma nasce dalla constatazione che il sistema delle norme penali in materia fallimentare ha mantenuto la continuità, di struttura e terminologica, con la normativa già vigente, pur essendo mutati i presupposti extrapenali di riferimento.
Nella relazione di accompagnamento si legge che «va rilevata la sostanziale, e da tutti ammessa, inadeguatezza delle disposizioni penali dell'attuale normativa fallimentare, che non risulta più coordinata con le citate novità della disciplina sostanziale, il che rende, da un lato, necessario un intervento di coordinamento e, dall'altro, pone il problema ineludibile di evitare possibili interferenze con la vetusta normativa penale fallimentare in tema di bancarotta, specie di tipo preferenziale. Non v'è chi non veda, infatti, come le attività dirette alla salvaguardia del patrimonio ancora attivo di un'impresa, così come le deroghe alle regole generali codicistiche ipotizzabili in situazioni di crisi di grandi imprese, debbano trovare una chiara legittimazione nella previsione della legge, così consentendo ai singoli interpreti di agire per il migliore raggiungimento dello scopo del risanamento, senza per questo vedersi esposti al rischio di postume contestazioni di carattere penale. (...) Si è, dunque, ritenuto di non disperdere il complesso delle elaborazioni interpretative sinora maturate, sia allo scopo di assicurare la certezza applicativa delle nuove disposizioni, sia al fine di agevolare il regime transitorio (che, in ogni caso, è disciplinato espressamente). Il disegno di legge intende recuperare una precisa oggettività giuridica di natura patrimoniale, imperniata fondamentalmente sugli interessi dei creditori.»
In particolare, l'articolo 2, comma 1, fissa in 12 mesi il termine della delega.
Il comma 4 individua principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo nell'emanazione dei decreti delegati. In base alla lettera a), il Governo dovrà rivedere la disciplina dei delitti di bancarotta fraudolenta prevedendo le tre distinte ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e preferenziale. La lettera o) individua come presupposto dei delitti di bancarotta fraudolenta il provvedimento di apertura della procedura concorsuale: ciò comporta che il delitto può essere commesso tanto in fase pre-concorsuale, quanto in fase post-concorsuale, ma l'apertura della procedura resta un requisito essenziale del reato.

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Il n. 1 della lettera a) definisce la bancarotta fraudolenta patrimoniale come «la condotta dell'imprenditore individuale che, contemporaneamente allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo, distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa il patrimonio che, a norma delle leggi civili, è destinato al soddisfacimento dei creditori, ovvero espone o riconosce passività inesistenti finalizzate ad arrecare pregiudizio ai creditori». Nella norma di delega, rispetto alla normativa vigente, si evidenzia inoltre che autore del reato può essere il solo imprenditore individuale (per gli institori e gli amministratori si devono vedere lettere d) ed e)). Si fa riferimento, piuttosto che ai beni dell'imprenditore, al patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori. La relazione illustrativa precisa che ciò rappresenta un'estensione dell'oggetto della bancarotta patrimoniale, «con inclusione, ad esempio, del patrimonio del garante concorrente con il soggetto qualificato». La legge delega richiede, inoltre, la previsione di una fattispecie autonoma di reato per l'imprenditore individuale che cagiona intenzionalmente il dissesto, allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori, o occultare il dissesto o occultare la commissione di reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale o preferenziale, distrugge, sottrae, falsifica od omette di tenere i libri o le scritture contabili previsti dalla legge, ovvero tiene i medesimi in modo irregolare o incompleto.
Il n. 2 della lettera a) definisce la bancarotta fraudolenta documentale come la condotta dell'imprenditore individuale che nei tre anni precedenti il provvedimento di apertura della procedura concorsuale, distrugge, sottrae, falsifica od omette di tenere i libri o le scritture contabili previsti dalla legge, ovvero tiene i medesimi in modo irregolare o incompleto. Rispetto alla normativa vigente, nella norma di delega è previsto un arco temporale entro il quale devono essere tenute le condotte che integrano la fattispecie (tre anni precedenti il provvedimento di apertura della procedura concorsuale) ed è eliminata, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
Il n. 3 della lettera a) definisce la bancarotta fraudolenta preferenziale come la condotta dell'imprenditore che, allo scopo di favorire taluni creditori a danno di altri, contemporaneamente allo stato di insolvenza o al concreto pericolo del medesimo, esegue pagamenti, o altre prestazioni estintive di obbligazioni, indebiti o non giustificati sotto il profilo giuridico o economico, ovvero simula titoli di prelazione. Rispetto alla normativa vigente, con riferimento al profilo temporale, l'espressione «prima o durante la procedura fallimentare» è sostituita dal riferimento alla contemporaneità con lo stato di insolvenza o con il concreto pericolo del medesimo. Inoltre, si specifica che la fattispecie è integrata non da un qualsiasi pagamento, ma da un pagamento, o comunque dall'estinzione di un'obbligazione, che risulti indebito o non giustificato sotto il profilo giuridico o economico.
Per quanto riguarda le sanzioni da applicare ai delitti di bancarotta fraudolenta, la lettera i), nn. 1) e 2) prevede per la bancarotta patrimoniale e per quella documentale la reclusione con il minimo da 2 a 4 anni e con il massimo da 8 a 12 anni (attualmente il minimo ed il massimo di reclusione sono rispettivamente 3 e 10 anni). Per la bancarotta preferenziale sono sti confermati i limiti edittali di 1 e 5 anni.
Ai sensi della lettera b), il Governo dovrà rivedere la disciplina del delitto di bancarotta semplice. Il provvedimento di apertura della procedura concorsuale costituisce requisito essenziale anche di tale delitto, in base alla già richiamata lettera o).
Il disegno di legge delega limita le ipotesi di bancarotta semplice alla condotta dell'imprenditore individuale che omette o ritarda la presentazione dell'istanza per l'apertura della procedura concorsuale, così da aggravare il preesistente dissesto. Sostanzialmente la delega mantiene la sola ipotesi attualmente prevista dall'articolo 217, primo comma, n. 4), della legge fallimentare. Diversamente dalla disciplina vigente, il disegno di legge non richiede, come presupposto del

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reato, la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore. La lettera o), infatti, limita il presupposto del provvedimento di apertura della procedura concorsuale ai delitti di bancarotta fraudolenta (lett. a) e di bancarotta semplice impropria (lett. e).
Ai sensi della lettera c), il Governo dovrà prevedere ipotesi specifiche di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta preferenziale a carico del soggetto cui è estesa la procedura concorsuale e relativamente a condotte di disposizione dei propri beni.
In tali ipotesi, ai sensi della lettera i), n. 2), la sanzione dovrà essere della reclusione non inferiore ad un anno e non superiore a 5 anni. In questo caso dunque, il disegno di legge prevede una sanzione meno pesante rispetto a quella prevista, in generale, per i delitti di bancarotta fraudolenta.
Le lettere d) ed e) si riferiscono ai delitti di bancarotta impropria; anche a tali delitti si applica il criterio direttivo di cui alla lettera o) relativo al requisito essenziale del provvedimento di apertura della procedura.
Ai sensi della lettera d), il Governo dovrà disciplinare il delitto di bancarotta fraudolenta impropria.
Il Governo dovrà (n. 1) ridisciplinare la fattispecie prevedendo che i delitti di bancarotta fraudolenta (patrimoniale, documentale o preferenziale) possano essere commessi, oltre che dall'imprenditore individuale (lett. a), anche da: altri soggetti, quali l'institore, ovvero colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale, gli amministratori, direttori o soggetti preposti - anche di fatto - a funzioni di controllo o di liquidazione di società, imprenditori collettivi o enti dichiarati insolventi ed i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari. In queste ipotesi, quanto all'elemento soggettivo, il governo potrà prevedere come dolo alternativo, il fine di arrecare pregiudizio ai soci.
Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria potrà essere configurato anche (n. 2) laddove i predetti soggetti abbiano comunque cagionato, aggravato o occultato il dissesto della società attraverso l'abuso dei propri poteri, la violazione dei doveri relativi alla carica, le false comunicazioni sociali e le illecite operazioni sul capitale, gli utili, le riserve o il patrimonio sociale.
Ai sensi della lettera e), il Governo dovrà disciplinare il delitto di bancarotta semplice impropria.
Nell'emanazione del decreto legislativo il Governo dovrà prevedere il delitto di bancarotta semplice impropria in due casi. Il primo è previsto a fronte di institori, amministratori, direttori o soggetti preposti - anche di fatto - a funzioni di controllo o di liquidazione di società, imprenditori collettivi o enti dichiarati insolventi nonché dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari che omettano o ritardino la presentazione dell'istanza per l'apertura della procedura concorsuale, così da aggravare il preesistente dissesto (si riprende la fattispecie di bancarotta semplice delineata dalla lettera b). Il secondo, è previsto a fronte di condotte o operazioni che determinano o aggravano il dissesto della società; si dovrà trattare di operazioni manifestamente imprudenti o di pura sorte; viene rimessa al Governo la valutazione dell'opportunità di prevedere la responsabilità penale solo se la condotta è commessa in danno di società con azioni quotate in borsa o diffuse tra il pubblico in misura rilevante.
La lettera f) contiene principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo nel regolamentare il reato di simulazione del credito.
Il disegno di legge, non innovando rispetto alla normativa vigente, definisce la fattispecie di simulazione di credito come la «presentazione, nel corso della procedura concorsuale, di domande di ammissione di crediti fraudolentemente simulati, anche per interposta persona».
Per quanto riguarda la sanzione da applicare al delitto di simulazione del credito, la lettera i), n. 2) conferma quella detentiva (da 1 anno a 5 anni) e toglie quella pecuniaria (da 51 a 516 euro).
Ai sensi della lettera g) il Governo dovrà ridisciplinare il reato di ricettazione fallimentare. Il disegno di legge delega qualifica

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la ricettazione fallimentare come la «condotta di chi, consapevole dello stato di dissesto o dell'apertura della procedura concorsuale, senza essere creditore o titolare di diritti sul patrimonio dell'insolvente e senza concorrere con il medesimo, cagiona una diminuzione ingiustificata del patrimonio dell'insolvente stesso». Dovranno essere previste circostanze attenuanti ad effetto speciale che sembrerebbero operare sia per il reato di ricettazione fallimentare che per la simulazione di credito, disciplinata dalla lettera precedente.
In particolare, dovranno essere previste attenuanti per la simulazione di credito, se la domanda di ammissione del credito simulato è ritirata prima della comunicazione, da parte del curatore, dell'esito del procedimento di accertamento del passivo ovvero - se manca l'accertamento dei crediti o dei diritti - prima dell'esercizio dell'azione penale. Attualmente, ai sensi dell'articolo 232, secondo comma, il reato è attenuato e la pena dimezzata se la domanda è ritirata prima della verifica dello stato passivo. Per la ricettazione fallimentare la circostanza attenuante ricorre se i beni ingiustificatamente sottratti al patrimonio dell'insolvente sono reintegrati, anche per equivalente.
La lettera h) delega il Governo a disciplinare il delitto di falsa esposizione di dati o di informazioni all'interno del quale vengono individuate determinate fattispecie. La prima si ha in caso di esposizione di informazioni false o omissione di informazioni imposte dalla legge per poter accedere alle procedure di concordato preventivo, di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e di approvazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti da parte del Ministero dello sviluppo economico. La seconda ricorre in caso di simulazione di crediti inesistenti o altri comportamenti di frode, al fine di influire sulla formazione delle maggioranze. Il Governo dovrà inoltre prevedere che la pena prevista in quest'ultima ipotesi (alterazione delle maggioranze) si applichi anche al creditore che riceve il pagamento o che accetta la promessa al fine dell'espressione del proprio voto.
Come preannunciato la lettera i) detta principi e criteri direttivi in ordine all'entità delle sanzioni penali che il Governo dovrà prevedere per i reati fallimentari. Dalla formulazione della disposizione sembrerebbe che il numero 1) relativo alle sanzioni applicabili alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (nonché alla bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale e documentale) rimetta al legislatore delegato l'effettiva determinazione della sanzione, nell'ambito dei minimi e dei massimi posto dal legislatore delegante.
I numeri 2) e 3) invece, prevedrebbero direttamente le sanzioni applicabili alle fattispecie individuate, posto che a differenza del numero 1) non fa riferimento ad una successiva individuazione della pena.
Qualora questa fosse l'interpretazione corretta, andrebbe chiarito il significato nell'alinea del rifiuto della graduazione delle pene in relazione alla gravità degli illeciti.
Qualora invece anche nelle fattispecie di cui ai numeri 2) e 3) l'effettiva determinazione delle sanzioni fosse rimessa al Governo occorrerebbe meglio esplicitarlo nella formulazione delle disposizioni.
La lettera l) delega il Governo a prevedere per le diverse fattispecie penali una serie di circostanze aggravati e attenuanti, anche ad effetto speciale.
In particolare, il Governo dovrà prevedere aggravanti se il colpevole abbia commesso più fatti penalmente rilevanti o se il fatto abbia causato un danno di rilevante gravità. Il legislatore dovrà invece prevedere attenuanti se il fatto abbia causato un danno di speciale tenuità; se il colpevole, prima del giudizio o della comunicazione dell'esito del procedimento di accertamento del passivo, abbia riparato integralmente il danno patrimoniale patito dai creditori o se, in mancanza dell'accertamento dei crediti o dei diritti, prima dell'esercizio dell'azione penale l'autore del fatto abbia consegnato la contabilità o

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comunque documenti idonei alla completa ricostruzione contabile del patrimonio o del movimento degli affari.
Ai sensi della lettera m), il Governo dovrà poi rivedere la disciplina delle pene accessorie.
In particolare il Governo dovrà prevedere, in caso di condanna per bancarotta fraudolenta, anche impropria, bancarotta semplice e bancarotta semplice impropria, l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Spetterà al Governo stabilire la durata della pena accessoria.
La lettera n) delega il Governo a stabilire l'equiparazione, ai fini penali, dei curatori, dei commissari giudiziali o governativi e dei loro coadiutori ai pubblici ufficiali.
La lettera o), come accennato in precedenza, individua il requisito essenziale dei delitti di bancarotta fraudolenta (anche impropria), di bancarotta semplice (anche impropria), nonché di bancarotta bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta preferenziale a carico del soggetto cui è estesa la procedura concorsuale, nel provvedimento di apertura della procedura concorsuale. In sostanza, tali fattispecie ricorrono solo se alle condotte individuate fa seguito l'apertura delle procedura. Se ciò accade, i reati saranno perseguibili anche se le condotte sono successive al verificarsi del presupposto.
La lettera p) invita il Governo a prevedere che, agli effetti della legge penale, non sia ingiusto «il vantaggio dell'impresa collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo». Il principio enunciato non è estraneo al nostro ordinamento. L'articolo 2634 del codice civile (come riformato nel 2002), in tema di illeciti societari, nel prevedere il delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, specifica appunto che «In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo». Peraltro, da subito la Corte di cassazione ha affermato che la diversità degli interessi tutelati dalla legge penale fallimentare e dalla nuova disciplina dei reati societari, «impedisce che alla materia fallimentare possa applicarsi la norma prevista dall'articolo 2634, comma terzo» (Sez. V, sent. n. 36629 del 24 settembre 2003). Ancor più recentemente, la Corte ha ribadito il principio affermando che «non può in alcun modo escludersi la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione nel caso di trasferimento ingiustificato di beni da una società in stato di insolvenza ad altra società del medesimo gruppo che si trovi in difficoltà economiche» (Sez. V, sent. n. 4410 del 4 dicembre 2007).
La lettera q) delega il Governo a intervenire sulla procedura penale relativa ai reati fallimentari cui fa riferimento il comma in commento, così da consentire al solo curatore - fino alla definizione della procedura concorsuale - la costituzione di parte civile. I singoli creditori potranno costituirsi solo se intendono far valere un titolo di azione propria o personale.
La lettera r) delega il Governo a modificare gli articoli 95 e 96 del decreto legislativo n. 270 del 1999, in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Il disegno di legge, in particolare, invita il Governo a prevedere a fini penali l'equiparazione della dichiarazione di insolvenza alla dichiarazione di fallimento solo nelle ipotesi di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento, nel corso o al termine della procedura e di accertata falsità dei presupposti per l'ammissione alla procedura.
La lettera s) delega il governo a predisporre una normativa transitoria da applicare ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma e per disciplinare la successione nel tempo delle nuove disposizioni penali rispetto alle previgenti.
Infine, la lettera t) invita il Governo ad abrogare le norme incompatibili con la riforma.

Andrea GIBELLI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta

La seduta termina 14.05.