CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 11 marzo 2009
149.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 11 marzo 2009. - Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

La seduta comincia alle 14.20.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo e abb., approvato dal Senato.

(Parere alle Commissioni V e VI).
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 10 marzo 2009.

Sandro GOZI (PD) sottolinea preliminarmente l'ampiezza ed il rilievo del provvedimento, anche sotto il profilo comunitario. Richiama l'attenzione dei colleghi sulla necessità di garantire un attento controllo parlamentare lungo tutto il processo di attuazione dei decreti delegati che scaturiranno dalla legge, non solo da parte della Commissione bicamerale appositamente prevista, ma anche da parte della XIV Commissione, al fine di verificare - di concerto con la Commissione europea - la piena compatibilità delle disposizioni con i principi e i criteri comunitari.
Si sofferma quindi su alcuni temi affrontati dal disegno di legge in esame, che dovranno essere valutati con particolare attenzione al fine di assicurarne la piena compatibilità con il diritto comunitario.
Si riferisce innanzitutto alla previsione, prefigurata dai principi di delega, di un graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi criteri ai quali ancorare il finanziamento della

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spesa: il fabbisogno standard, per il finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali, e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.
Il disegno di legge prevede inoltre l'individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa. Come ricordato dal relatore, con recenti sentenze in ordine all'adozione di misure fiscali agevolate a livello locale, la Corte di giustizia ha chiarito che è consentita una differenziazione delle aliquote tra diverse aree del Paese (senza violazione della disciplina sugli aiuti di Stato), ma a condizione che i provvedimenti fiscali siano adottati da un'autorità territoriale dotata, sul piano costituzionale, di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale; la Corte ha precisato che l'eventuale minore gettito derivante dall'aliquota ridotta non deve essere compensato da sovvenzioni o contributi provenienti da altre regioni o dal governo centrale. Gli effetti di tali pronunce della Corte dovranno essere valutati con particolare attenzione.
Evidenzia quindi come occorra prevedere una vera e propria road map per l'attuazione della delega: entro tre mesi è necessario avviare il lavoro sulla riforma delle autonomie locali, affinché i decreti delegati di attuazione del federalismo possano essere in futuro emanati in seguito a quelli per la riforma del sistema delle autonomie; entro sei mesi dovrebbe essere presentato un provvedimento che definisca i livelli essenziali delle prestazioni nei settori ancora privi di questo strumento; entro nove mesi dovrebbe essere predisposta una quantificazione completa dell'impatto della riforma. Questi passaggi dovrebbero consentire di pervenire, entro dodici mesi, all'emanazione del primo dei decreti attuativi.
Anche in tema di fondi perequativi per gli enti locali, occorrerà assicurare che gli indicatori di fabbisogno di infrastrutture siano definiti in coerenza con la programmazione regionale di settore, tenendo conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea e nel rispetto degli obiettivi di coesione economica e sociale.
Un altro aspetto che merita particolare attenzione appare quello del rapporto tra i provvedimenti previsti e i processi consultivi in corso a livello europeo sulla coesione territoriale. Ricorda in proposito che, in relazione agli interventi per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate, la Commissione europea, al fine di valutare le implicazioni dell'introduzione della coesione territoriale tra gli obiettivi dell'Unione in vista dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha svolto tra ottobre 2008 e febbraio 2009 una consultazione delle autorità regionali e locali, delle associazioni, delle ONG e della società civile sul tema della coesione territoriale, sulla base di un apposito Libro verde.
Si sofferma quindi su ulteriori temi meritevoli di approfondimento: si tratta in primo luogo del Patto per la convergenza, rispetto al quale occorre garantire una migliore descrizione delle modalità con cui i livelli essenziali delle prestazioni si tramutano in concreti obiettivi di servizio e quindi in stime dei fabbisogni finanziari standard. In secondo luogo, occorre assicurare garanzie per i territori a bassa capacità fiscale, avendo sempre presente i rapporti con il meridione del nostro paese e la necessità di salvaguardare le risorse destinate a tali aree e gli interventi di rimozione del deficit di sviluppo e di infrastrutture.
Sottolinea infine l'opportunità di garanzie in ordine alla copertura finanziaria dei decreti di attuazione, che dovrebbero pertanto essere corredati da apposite relazioni tecniche.

Gianluca PINI (LNP), relatore, esprime apprezzamento per le osservazioni di carattere tecnico formulate dal collega Gozi, che potranno senz'altro arricchire la proposta di parere che si riserva di formulare in una prossima seduta.

Nunziante CONSIGLIO (LNP) osserva che il disegno di legge sul federalismo fiscale costituisce un passaggio di natura

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epocale per il Paese, le cui implicazioni e portata sono a tutti note e sono state già illustrate in dettaglio nella relazione dell'onorevole Pini. Attenendosi agli aspetti di stretta competenza della XIV Commissione, si sofferma su due elementi fondamentali: per un verso, il disegno di legge è perfettamente coerente con la normativa, i principi e i vincoli posti dall'ordinamento dell'UE, con particolare riferimento al Patto di stabilità e crescita, agli aiuti di Stato, alla politica regionale; per altro verso, l'impostazione generale del provvedimento ed alcune disposizioni specifiche sembrano sviluppare principi e tendenze recenti del sistema costituzionale europeo. In sostanza, il disegno di legge non solo si attiene ai vincoli «negativi» posti dall'ordinamento comunitario ma ne sviluppa le potenzialità e i principi generali. Con riguardo a quest'ultimo aspetto, richiama l'attenzione dei colleghi su tre questioni.
In primo luogo, la realizzazione del federalismo fiscale, come enunciato espressamente nel disegno di legge, è espressione del principio di sussidiarietà in senso funzionale; in questo senso, la realizzazione del federalismo fiscale si inserisce, quindi, nella più generale affermazione della sussidiarietà intesa non solo quale criterio per l'allocazione dei poteri normativi e finanziari al livello di governo appropriato ma quale metodo di buon governo. Sono espressione di questo approccio le norme relative al coordinamento dei vari livelli di Governo, di cui ad esempio al Capo VI del disegno di legge.
Si afferma in questo modo un metodo e una cultura di governo in grado di coinvolgere tutti gli enti territoriali interessati che proprio l'UE ha favorito, per esempio attraverso le procedure di programmazione nel settore della politica di coesione.
In secondo luogo, le norme sul riparto dei fondi perequativi per gli enti locali e sulla perequazione infrastrutturale rispondono ad esigenze di solidarietà, coesione economica, sociale e soprattutto territoriale, che sono obiettivi fondamentali dell'UE. Ricorda, in particolare, che la dimensione territoriale della politica di coesione ha assunto di recente un rilievo crescente e sarà inclusa dal Trattato di Lisbona tra gli obiettivi e le politiche dell'UE.
In terzo luogo, come già evidenziato dal collega Pini, l'articolo 2, comma 2, lett hh), che prevede l'individuazione di forme di fiscalità di sviluppo in conformità con il diritto comunitario, mira ad avvalersi delle opportunità prospettate da alcune recenti sentenze della Corte di Giustizia. Si tratta di una novità di fondamentale importanza, soprattutto in quanto si consentirà a ciascuna regione la definizione di misure di sostegno al tessuto produttivo del territorio di riferimento. Su questo tema la XIV Commissione svolgerà peraltro attività istruttorie ed approfondimenti nel Comitato per il monitoraggio sull'attuazione delle politiche UE.
Propone, in conclusione, di includere nel preambolo del parere che la Commissione approverà un riferimento agli aspetti richiamati, in modo da sottolineare che il disegno di legge non è soltanto conforme ai vincoli dell'ordinamento comunitario ma all'essenza stessa del processo di costruzione europea.

Jean Leonard TOUADI (PD) con riferimento a quanto osservato dal collega Consiglio in ordine alla sussidiarietà e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sottolinea come occorra affiancare agli elementi richiamati quello della responsabilità.
Osserva quindi con rammarico come in una seduta dedicata ad una delle riforme più importanti della legislatura, che affronta temi di rilievo costituzionale e che meriterebbe un dibattito con ampia partecipazione, vi sia una presenza assai ridotta di deputati, con la totale assenza di due gruppi politici.

Antonio RAZZI (IdV) osserva che la riforma in oggetto deve confrontarsi inevitabilmente con il problema del debito pubblico italiano, qualunque sia la forma di federalismo fiscale a cui ci si ispirerà. Il sistema vigente in Italia è infatti estremamente

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corporativo e al suo interno tutti purtroppo nel corso di decenni hanno trovato il loro tornaconto. L'equilibrio però, nel Paese, si è rotto: il diagramma della spesa e del debito pubblico si è fatto insostenibile, e questo gli italiani lo hanno da tempo capito. Il motore della crescita economica si è drammaticamente del tutto fermato, e non solo nel nostro Paese. L'economia reale fa sempre più fatica a produrre le risorse necessarie ad alimentare la finanza e la spesa pubblica: con le tasse che sono arrivate a livelli esasperanti. Negli anni '90 si profilò l'idea del federalismo in genere, e di quello fiscale in particolare, con l'obiettivo ultimo di diminuire la pressione fiscale e di semplificare il sistema tributario.Già all'epoca ci si chiedeva chi si dovesse far carico dell'enorme debito dello Stato. La Commissione bicamerale, presieduta dall'onorevole D'Alema, ipotizzava di «rinviare i problemi finanziari del Regionalismo accentuato ad una legge organica». Le Regioni avrebbero avuto così tributi propri (istituiti e regolati da leggi regionali) del tipo sovraimposte ed addizionali, e quote di partecipazione al gettito prodotto nelle singole Regioni, con riferimento soprattutto alle imposte dirette (IVA). Le spese che sarebbero rimaste a carico dello Stato (per il funzionamento degli organi costituzionali, per la giustizia, per la difesa, per la pubblica sicurezza, per le politiche energetiche, per i trasporti e le telecomunicazioni, ecc.) sarebbero state esclusivamente spese di funzionamento, pari al totale delle imposte dirette introitate.
Gli interessi sul debito pubblico, anch'essi da pagare, rappresentano all'incirca l'80 per cento delle imposte indirette incassate dallo Stato. Considerando tutte queste cifre, sarebbero rimaste a disposizione, per finanziare le Regioni, somme molto insufficienti rispetto a quelli che sono i veri fabbisogni delle Regioni, degli enti locali.
Ricorda infatti che, statisticamente, dal 1865 la finanza locale ha sempre pesato un terzo rispetto a quella statale. Con la riforma tributaria del 1973, l'autonomia tributaria degli enti locali è stata messa nel cassetto: tant'è che agli inizi degli anni '90 una lira su ogni venti pagate dai cittadini per tasse è stata incassata dal sistema delle autonomie locali.
Con la riforma che si prospetta, l'Italia ha una grande occasione, ritornare cioè al periodo precedente il 1973; non dimenticando però che un debito pubblico enorme ci lega tutti. Dobbiamo comunque evitare, vista la crisi economica planetaria dei nostri giorni, che l'Italia rischi di più rispetto ad altre Nazioni, visti i costi insostenibili che gravano sulla nostra finanza pubblica (interessi sul debito) e sul sistema produttivo. Il problema dunque, in tema di riforma del sistema fiscale in senso federale, è contemporaneamente politico e costituzionale: occorre evitare però di aggiungere nuovi carrozzoni ai tanti già visti finora, in quanto spese inutili ne abbiamo sopportate già troppe.
L'ipotesi federalista del fisco deve mirare sul rifiuto dell'eccessivo intervento pubblico: facilitando così occupazione e produzione, avvicinando sempre di più le decisioni politiche alle esigenze giornaliere dei cittadini, valorizzando in pieno i meriti tanto dei singoli quanto delle collettività.
Auspica quindi che il Governo, nell'esercizio dei poteri di delega parlamentare, attui una riforma normativa ispirata a Paesi federali come la Germania e l'Austria. La costituzione tedesca, emendata nel 1967, introduce ad esempio una «norma di salvaguardia» all'articolo 109) comma 4), che prevede «il coordinamento finanziario e la attribuzione di particolari poteri al Governo federale nei casi di perturbazione dell'economia». E questi poteri si sono dimostrati, soprattutto in questi ultimi mesi di turbolenze finanziarie mondiali, estremamente efficaci nei confronti dei vari Länder. La Costituzione austriaca assegna invece il tributo (nella forma di tassa e di imposta, Steuern und Gebühren) all'ente territoriale (Stato od enti locali territoriali) e sulla base delle funzioni di ognuno di essi (tributo statale, regionale, comunale). È la legge dello Stato federale che individua, classifica il tributo: anche - e soprattutto - ai fini della assegnazione (allo Stato federale e/o agli

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enti territoriali locali), tenendosi conto del principio di perequazione e del meccanismo di stabilità. Si riscontra dunque in Austria un meccanismo di consultazione tra Stato federale, i Länder/Regioni ed i Comuni.

Mario PESCANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.45.

ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 11 marzo 2009. - Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

La seduta comincia alle 14.45.

Schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, concernente misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE.
Atto n. 62.

(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

Gianluca PINI (LNP), relatore, illustra i contenuti del provvedimento in esame che modifica l'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, recante misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE. La direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, definisce il quadro normativo comunitario per la prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. La citata direttiva, nell'abrogare e sostituire la precedente direttiva 91/308/CEE, estende le attività di vigilanza, oltre che alle manipolazioni di fondi di provenienza criminosa, anche alla raccolta di beni e denaro di provenienza lecita a scopo di finanziamento del terrorismo, introducendo altresì nuovi obblighi in materia di procedure di identificazione della clientela da parte di enti creditizi e finanziari, notai e liberi professionisti, prestatori di servizi, agenti immobiliari, case da gioco e altre persone fisiche o giuridiche che negoziano beni.
Gli obblighi di verifica sono definiti in funzione del rischio associato al tipo di cliente, al rapporto d'affari, al prodotto, alla transazione effettuata, tenendo conto del principio di gradualità delle misure in relazione al livello di rischio.
La richiamata disciplina comunitaria prevede, inoltre, che gli enti creditizi e finanziari e gli altri operatori interessati dispongano di sistemi efficaci, anche elettronici, proporzionati alla dimensione e alla natura degli affari, al fine di rispondere con tempestività e appropriatezza alle richieste di informazioni riguardanti i rapporti di affari e di assicurare il rispetto degli obblighi di conservazione di dati e documenti.
La direttiva stabilisce poi specifici obblighi di segnalazione con riguardo alle attività sospettate di connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo. In particolare, sono sottoposte ad osservazione le operazioni complesse o di importo insolitamente elevato nonché tutti gli schemi insoliti di operazioni che non hanno un fine economico evidente o uno scopo chiaramente lecito. A tale fine, l'unità di informazione finanziaria (UIF) è individuata quale autorità nazionale centrale per combattere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.
Con la direttiva 2006/70/CE (recepita dall'Italia con il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231) sono state dettate misure di esecuzione della direttiva 2005/60/CE, per quanto riguarda la definizione di «persone politicamente esposte» e i

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criteri tecnici per le procedure semplificate di adeguata verifica della clientela e per l'esenzione nel caso di un'attività finanziaria esercitata in modo occasionale o su scala molto limitata.
La materia è stata, tra l'altro, oggetto di diversi interventi normativi a livello comunitario, tra i quali si segnalano il regolamento (CE) n. 2580/2001 (che reca misure restrittive specifiche contro determinate persone ed entità destinate a combattere il terrorismo), il regolamento (CE) n. 881/2002 (che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001) nonché i provvedimenti emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della Comunità europea, recanti le cosiddette «sanzioni finanziarie internazionali».
Tali interventi si aggiungono alle iniziative assunte, più in generale, dalla comunità internazionale, iniziative che vanno dalla stipula della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo del 1999 all'adozione delle misure di congelamento dei fondi e delle risorse economiche stabilite dalle numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
Lo schema di decreto legislativo in esame, che consta di soli due articoli (l'articolo 2 disciplina la sola entrata in vigore), trova fondamento nell'articolo 1, comma 5, della legge 29/2006 (legge comunitaria 2005), che contempla la possibilità di emanare disposizioni correttive dei decreti legislativi adottati per il recepimento di direttive comunitarie. Il termine per l'esercizio di tale facoltà da parte del Governo scade l'11 maggio 2009.
Quanto ai contenuti del provvedimento, ricorda che l'articolo 3 del citato decreto legislativo 109/2007 ha confermato l'istituzione, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, del Comitato di sicurezza finanziaria già previsto dal decreto-legge 369/2001, prevedendone, altresì, durata indeterminata (in luogo dell'originaria durata limitata ad un anno, poi di volta in volta prorogata).
Il predetto Comitato, la cui istituzione è volta a ottemperare gli obblighi internazionali assunti dall'Italia nella strategia di contrasto al terrorismo, è composto dal direttore generale del tesoro o da un suo delegato, con funzioni di presidente, e da undici membri, nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base delle designazioni effettuate, rispettivamente, dal Ministro dell'interno, dal Ministro della giustizia, dal Ministro degli affari esteri, dalla Banca d'Italia, dalla CONSOB, dall'ISVAP e dall'Ufficio italiano dei cambi. Del Comitato fanno anche parte un dirigente in servizio presso il Ministero dell'economia e delle finanze, un ufficiale della Guardia di finanza, un funzionario o ufficiale in servizio presso la Direzione investigativa antimafia, un ufficiale dell'Arma dei carabinieri e un rappresentante della Direzione nazionale antimafia. Ai fini dello svolgimento dei compiti riguardanti il congelamento delle risorse economiche, il Comitato è integrato da un rappresentante dell'Agenzia del demanio.
L'articolo 3 del decreto legislativo 109/2007 regolamenta, altresì, i rapporti del Comitato con gli enti rappresentati e con l'autorità giudiziaria e, in generale, le attività che tale organismo è chiamato a svolgere. In particolare, al Comitato è attribuita la facoltà di acquisire informazioni dalle amministrazioni pubbliche e dall'autorità giudiziaria, di stabilire collegamenti con i corrispondenti organismi di altri Paesi e di formulare alle competenti autorità internazionali, sia delle Nazioni unite che dell'Unione europea, proposte di designazione di soggetti o enti sospettati di terrorismo ai fini dell'applicazione delle misure di congelamento di beni e risorse. Quando, sulla base delle informazioni acquisite, sussistono sufficienti elementi per formulare alle competenti autorità internazionali proposte di designazione e sussiste il rischio che i fondi o le risorse economiche da sottoporre a congelamento possano essere, nel frattempo, dispersi,

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occultati o utilizzati per il finanziamento di attività terroristiche, il presidente del Comitato ne fa segnalazione al procuratore della Repubblica competente. Infine, ai sensi del comma 4 del predetto articolo 3, con un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Comitato, è definita la disciplina relativa al funzionamento dello stesso Comitato, ai cui componenti non può essere corrisposto alcun emolumento, indennità o rimborso spese.
In vista dell'imminente adozione di tale provvedimento, le nuove disposizioni riscrivono il citato comma 4, ampliando il contenuto del decreto ministeriale sul funzionamento del Comitato in relazione a due ulteriori profili.
In primo luogo, si demanda al menzionato decreto ministeriale anche la definizione dei procedimenti rientranti nella competenza del Comitato. Come evidenziato, tra i compiti attribuiti al Comitato di sicurezza finanziaria rientrano il monitoraggio dell'attuazione delle misure di congelamento di fondi sospetti e la designazione dei soggetti o enti sospettati di terrorismo ai fini del congelamento delle risorse. Conseguentemente, lo schema di decreto legislativo in esame prevede che l'adottando decreto ministeriale disciplini non solo il funzionamento «interno» del Comitato (ossia gli aspetti relativi alla composizione, alla sede, al quorum costitutivo e deliberativo, allo svolgimento dei lavori), ma anche il suo funzionamento nell'ambito dei procedimenti comunitari e internazionali (quali la designazione di soggetti sospettati di terrorismo ai fini del congelamento delle risorse, la proposta di cancellazione dalle liste dei designati, l'aggiornamento delle stesse, il monitoraggio dell'attuazione delle misure di congelamento, la valutazione delle istanze di esenzione dalle citate misure). La modifica risulta necessaria, anche in relazione ai principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria in materia di tutela del diritto al contraddittorio e alla difesa dei soggetti inseriti nelle liste (cfr, tra le altre, la sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2008, procedimenti riuniti C-402/05 e C-415/05 P).
L'altro elemento di novità riguarda l'individuazione, con il decreto ministeriale di cui all'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 109/2007, delle categorie di documenti formati o comunque rientranti nelle disponibilità del Comitato che sono sottratti al diritto di accesso. Come evidenziato nella relazione illustrativa, tale previsione deriva non solo dalla carenza di una disciplina organica in materia di documenti sottratti al diritto di accesso, ma anche dalla delicatezza delle tematiche affrontate dal Comitato, la cui documentazione è riconducibile, in larga parte, alla previsione dell'articolo 24, comma 1, lett. a), della legge 241/1990, che esclude l'accesso in relazione ai documenti coperti da segreto di Stato nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, da regolamenti governativi o dalle singole pubbliche amministrazioni secondo le modalità fissate dalla legge.
Per quanto concerne i lavori in corso a livello comunitario sui temi affrontati dallo schema di decreto legislativo, si segnala che il Consiglio giustizia e affari interni ha adottato, il 24 luglio 2008, la Strategia riveduta per la lotta al finanziamento del terrorismo. La strategia, articolata in 10 raccomandazioni, prevede che, in collaborazione con gli Stati membri, si proseguano e intensifichino i lavori per migliorare le modalità di congelamento e confisca dei beni delle organizzazioni terroristiche e dei proventi di attività illecite, nonché per istituire norme minime comuni relative all'addestramento degli investigatori finanziari e promuovere un'efficace cooperazione tra unità di informazione finanziaria (UIF) a livello dell'Unione europea e con i Paesi terzi.

Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.55.

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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.55 alle 15.10.

COMITATO PERMANENTE PER IL MONITORAGGIO SULL'ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL'UE

Mercoledì 11 marzo 2009. - Presidenza del presidente Nunziante CONSIGLIO.

La seduta comincia alle 15.15.

Esame istruttorio della sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee dell'11 settembre 2008 (cause da C-428/06 a C-434/06) avente ad oggetto agevolazioni fiscali da parte di enti territoriali.

Isidoro GOTTARDO (PdL) illustra i contenuti della sentenza in oggetto, ricordando che è stata emessa dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee l'11 settembre 2008, a seguito di domande di pronuncia pregiudiziale rivolte dal Tribunal Superiore de Justicia de la Comunidad Autònoma del Pais Vasco (Spagna), con decisioni 20 settembre 2006 (C-428/06, C-429/06 e da C-431/06 a C-434/06) e 29 settembre 2006 (C-430/06). Essa interviene sul rapporto tra le misure fiscali di vantaggio adottate da un ente territoriale (regionale o locale) e la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. La pronuncia della Corte si colloca nell'alveo di un indirizzo giurisprudenziale consolidato (con particolare riferimento ad una precedente sentenza del 6 settembre 2006) e chiarisce i presupposti per l'individuazione delle «misure regionali selettive» (soggette alla disciplina degli aiuti di Stato).
Nel dettaglio, oggetto del contendere è l'adozione di alcuni provvedimenti fiscali di vantaggio da parte dei tre enti territoriali (cosiddetti «Territorios históricos») costituenti la Comunità dei Paesi Baschi.
Tra le norme contestate si segnalano, in particolare, l'adozione di un'aliquota agevolata di imposta sulle società (pari al 32,5 per cento), inferiore all'aliquota generale applicata in Spagna (pari al 35 per cento), nonché ulteriori misure (sotto forma di detrazioni) non presenti nella legge generale spagnola relativa all'imposta delle società.
Il giudice spagnolo ha chiesto se misure fiscali di portata generale, ove non implichino la concessione di un vantaggio a determinate imprese o a determinate produzioni debbano essere considerate «selettive» e dunque essere assoggettate alla disciplina del Trattato CE, per il solo motivo che esplicano la loro influenza esclusivamente nel territorio che rientra nella competenza di un ente territoriale dotato di autonomia tributaria.
A tal proposito, sia il ricorso del giudice nazionale che la sentenza in commento fanno riferimento alla sentenza del 6 settembre 2006, relativa alla causa C-88/03 (Repubblica portoghese contro Commissione delle Comunità europee), con la quale la Corte di Giustizia ha chiarito la propria posizione in materia di applicazione della disciplina comunitaria degli aiuti di stato cosiddetti «selettivi» (articolo 87, comma 1, del Trattato) e adozione di misure fiscali favorevoli (come l'adozione di un'aliquota fiscale ridotta) in determinate aree geografiche dei Paesi membri.
Oggetto della sentenza era un regime adottato dalle autorità portoghesi che adeguava il sistema fiscale nazionale alle specificità della Regione autonoma delle Azzorre. La Commissione rilevava che tali riduzioni d'aliquota d'imposta costituivano, per le imprese situate in una determinata regione del Portogallo, un vantaggio del quale non potevano giovarsi imprese che intendessero compiere analoghe operazioni economiche in altre zone del Portogallo e favorivano, pertanto, le imprese soggette ad imposta nella Regione delle Azzorre rispetto a tutte le altre imprese portoghesi.
In tale sentenza la Corte anzitutto ha ricordato che l'articolo 87 del Trattato CE vieta gli aiuti di Stato che «favoriscono talune imprese o talune produzioni» rispetto ad altre imprese che si trovino in

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una situazione fattuale e giuridica analoga, falsando o minacciando di falsare la concorrenza (articolo 87, TCE). È stato tuttavia precisato che la nozione di aiuto di Stato non riguarda i provvedimenti statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese e, pertanto, «selettivi a priori», qualora tale differenziazione risulti dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale in cui tali provvedimenti si inseriscono.
È stato rilevato in dottrina che, con la sentenza 6 settembre 2006, la Corte ha scardinato (par. 56-58 della sentenza) il consolidato orientamento teorico della cd. «selettività territoriale» adottato dalla Commissione europea, secondo il quale ogni misura non applicabile su tutto il territorio nazionale sarebbe selettiva territorialmente, a prescindere dall'autonomia amministrativa-finanziaria dell'ente che la adotta. Allorché si tratta di esaminare se un provvedimento abbia carattere selettivo, la Corte afferma infatti che è essenziale determinare il contesto di riferimento, ma che tale contesto non è necessariamente definito entro i limiti del territorio nazionale.
Conseguentemente, per valutare la selettività di una misura adottata da un'entità territoriale e intesa a stabilire, unicamente in una parte del territorio di uno Stato membro, un'aliquota fiscale ridotta in confronto all'aliquota in vigore nel resto del detto Stato membro, occorre verificare se il detto provvedimento sia stato adottato da tale entità nell'esercizio di poteri sufficientemente autonomi rispetto al governo centrale e, eventualmente, accertare se il provvedimento si applichi effettivamente a tutte le imprese stabilite o a tutte le produzioni realizzate nel territorio di competenza di tale entità.
In una situazione in cui un ente regionale o territoriale, nell'esercizio di poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, stabilisce un'aliquota fiscale inferiore a quella nazionale ed applicabile unicamente alle imprese presenti nel territorio di sua competenza, il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale può limitarsi all'area geografica interessata dal provvedimento, qualora l'ente territoriale soddisfi determinate condizioni, in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, e dunque ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese presenti nel territorio di sua competenza.
A tale proposito, la Corte distingue (par. 64 ss. della sentenza) tra:
misure di vantaggio relative a tributi erariali, stabilite dal governo centrale ed applicabili solo con riferimento a determinate aree geografiche. In questa ipotesi, la Corte ha affermato ci si trovi sempre dinanzi ad un aiuto di Stato;
misure di vantaggio relative a tributi erariali stabilite dalle collettività territoriali nell'esercizio di facoltà ad esse simmetricamente attribuite. In questo secondo caso la Corte ha asserito che la simmetrica attribuzione alle collettività territoriali del potere di variare l'aliquota faccia sì che non ci sia la possibilità di individuare un livello imponibile «normale» di riferimento, che funga da parametro per ipotizzare l'esistenza di una deroga al trattamento generale; pertanto la misura non costituisce aiuto di Stato;
misure che stabiliscono un trattamento di favore con riguardo ad un tributo nazionale, adottate da alcune collettività territoriali (ed applicabili unicamente alle imprese situate all'interno del territorio di loro competenza) che dispongono di una potestà preclusa alla generalità delle collettività territoriali di pari livello. Con riferimento a questa terza ipotesi, la Corte di giustizia ritiene che, non essendoci la «simmetria», affinché «il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale (possa) limitarsi all'area geografica interessata dal provvedimento» debbano sussistere una serie di condizioni:
a) che sia stata adottata da un'autorità territoriale dotata, sul piano costituzionale, di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale (autonomia «istituzionale»);
b) che la decisione sia stata presa senza possibilità di un intervento diretto

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da parte del governo centrale in merito al suo contenuto (autonomia «procedurale»);
c) che le conseguenze economiche di una riduzione dell'aliquota d'imposta nazionale applicabile alle imprese presenti nella regione non devono essere compensate da sovvenzioni o contributi provenienti da altre regioni o dal governo centrale (autonomia «finanziaria»).

La sentenza emanata l'11 settembre 2008 commento si occupa, in particolare, di recare precisazioni relative sia ai requisiti di autonomia finanziaria, sia ai poteri di verifica, da parte del giudice nazionale, dell'esistenza dei requisiti medesimi.
In particolare, per quanto attiene all'autonomia procedurale, i giudici comunitari hanno stabilito che essa sussiste anche a fronte di procedimenti di concertazione, purché, precisano i giudici, la decisione finale presa in esito a tale procedimento sia adottata dall'ente infrastatale e non dal governo centrale. L'obbligo dell'ente territoriale di tenere in considerazione, nel processo decisionale, l'interesse dello Stato e il rispetto dei limiti delle competenze (anche dettati da norme costituzionali, come nel caso spagnolo, per quanto riguarda i principi della solidarietà e dell'armonizzazione fiscale) non impedisce di qualificare l'ente come dotato di autonomia procedurale. Essa infatti non va valutata tenendo conto dell'ampiezza della competenza dell'ente locale, quanto della possibilità per lo stesso «di adottare una decisione in maniera indipendente, cioè senza possibilità di un intervento diretto del governo centrale in merito al suo contenuto» (par.107). Di conseguenza l'obbligo per l'ente locale di rispettare l'interesse dello Stato nell'esercizio delle proprie competenze «non costituisce in linea di principio un elemento lesivo dell'autonomia procedurale» (pt. 108).
In relazione al criterio dell'autonomia finanziaria, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 109 delle sue conclusioni, il fatto che - da una valutazione complessiva dei rapporti finanziari tra lo Stato centrale e le autonomie - risulti la sussistenza di trasferimenti finanziari dallo Stato verso gli enti non può, in quanto tale, essere sufficiente a dimostrare che tali enti non si assumono le conseguenze economiche delle misure fiscali da essi adottate e che, pertanto, non godono di un'autonomia finanziaria, dato che siffatti trasferimenti possono spiegarsi con motivi che non presentano alcun legame con le suddette misure fiscali (par. 135). Spetta dunque al giudice nazionale verificare se gli enti territoriali (nella specie, i Territorios Históricos) si assumano le conseguenze politiche ed economiche di una misura fiscale adottata nei limiti delle competenze ad essi conferite. È dunque il giudice nazionale l'unico soggetto competente ad identificare il diritto nazionale applicabile e ad interpretarlo, nonché ad applicare il diritto comunitario alle controversie che gli sono sottoposte.
Con riguardo ad eventuali effetti che la sentenza della Corte di Giustizia in esame potrebbe spiegare nell'ordinamento italiano, si può ricordare, in via preliminare, come la ripartizione delle competenze fra lo Stato e gli altri enti che costituiscono la Repubblica, introdotta dalla riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha comportato l'assegnazione di conseguenti poteri in materia di entrata e di spesa agli enti territoriali e di correlate funzioni normative, da esercitarsi nel quadro definito dalla legislazione statale. Tale assetto di rapporti, nel quale a ciascun ente è riconosciuta autonomia finanziaria entro i limiti necessari a mantenere l'unitarietà dell'ordinamento e la solidarietà tra le articolazioni territoriali della Repubblica, si riassume nella formula del «federalismo fiscale». Si tratta di materia, come è noto, attualmente oggetto del disegno di legge recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione» (AC 2105), all'esame della Camera.
Per quanto specificamente attiene alla materia tributaria, esso si esplica - secondo

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le previsioni dell'articolo 119 della Costituzione - nella titolarità di tributi ed entrate propri dei suddetti enti territoriali e nella disponibilità di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La disciplina normativa dei primi è rimessa agli enti medesimi, che possono definirne tutti gli elementi fondamentali (soggetti passivi, basi imponibili, territorialità, aliquote, riscossione, accertamento), nel quadro generale stabilito dalla legge dello Stato, cui resta altresì riservato il contenzioso.
Attualmente, le principali fonti di entrata tributaria delle regioni a statuto ordinario e degli enti locali, diverse dalle quote di partecipazione al gettito dei tributi statali (imposta sul valore aggiunto; imposta di fabbricazione sulle benzine), sono costituite da:
addizionali a tributi statali (addizionali regionale e comunale all'imposta sui redditi delle persone fisiche; addizionale all'imposta di consumo sul gas metano, addizionale comunale e provinciale sul consumo di energia elettrica, addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri su aeromobili);
destinazione alle regioni e agli enti locali dell'intero gettito di tributi disciplinati dalla legge statale, con la possibilità di determinazione delle aliquote - entro limiti prefissati - da parte della regione o dell'ente locale (fra le principali: imposta regionale sulle attività produttive; imposta comunale sugli immobili; tassa automobilistica regionale, imposta provinciale di trascrizione per gli autoveicoli).
Tutti i tributi sopra individuati sono istituiti e disciplinati dalla legge statale la quale, peraltro, stabilisce anche l'ambito di autonomia entro il quale gli enti territoriali possono esercitare un potere di intervento sulla misura del tributo (ad esempio, la legge statale può disporre i limiti minimi e massimi di aliquota d'imposta applicabile dall'ente territoriale). Il minor gettito riscosso dagli enti territoriali che introducono, nei limiti fissati dalla legge statale, agevolazioni fiscali non determina alcuna compensazione finanziaria a carico dello Stato. Viceversa, qualora l'agevolazione sia introdotta con legge statale e, pertanto, non comporti una selezione in senso territoriale dell'imposta, la medesima legge può prevedere un trasferimento di risorse in favore dell'ente territoriale per un ammontare corrispondente al minor gettito realizzato dell'ente stesso.
Disposizioni particolari sono previste per le cinque regioni a statuto speciale. Per queste infatti, titolari di maggiori competenze legislative e amministrative fin dalla loro costituzione, la principale fonte di finanziamento è costituita da quote di compartecipazione ai tributi erariali. Ogni statuto elenca le imposte erariali - una quota percentuale delle quali è attribuita alla regione - le aliquote eventualmente differenziate per ciascuna imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Le compartecipazioni dunque possono essere considerate «tributi propri» solo relativamente alla destinazione del gettito e non anche per quanto riguarda la loro disciplina.
Propone in conclusione, anche ai fini di una valutazione delle possibili ricadute della sentenza sull'ordinamento italiano, di procedere all'audizione del professor Luca Antonini, docente di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Padova ed esperto del settore, oltre che consulente del Ministero dell'Economia. Si tratta peraltro di una materia strettamente connessa a quella del federalismo fiscale, ed in tal senso il Governo ha infatti opportunamente richiamato il principio della fiscalità di vantaggio nel testo del disegno di legge attualmente all'esame della Camera.
Saluta quindi con estremo favore la sentenza in esame, poiché si assiste in Europa ad una curiosa situazione, che vede taluni paesi, spesso quelli di più piccole dimensioni, che applicano misure fiscali vantaggiose al proprio sistema economico, attivando dinamiche concorrenziali molto forti, rispetto alle quali paesi come l'Italia si trovano in notevole difficoltà. In tal senso la sentenza della Corte

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di giustizia può rendere anche il sistema imprenditoriale italiano più competitivo.

Sandro GOZI (PD) condivide l'importanza della sentenza all'esame del Comitato, anche tenuto conto della situazione di svantaggio competitivo dell'Italia, soprattutto rispetto a Paesi europei di nuovo ingresso. Ricorda che già nel 2000 il Governo Amato aveva tentato di introdurre misure di fiscalità di vantaggio, ma la Commissione europea si era espressa negativamente in tal senso; la pronuncia della Corte di giustizia obbliga oggi la Commissione a rivedere le sue posizioni sulla materia degli aiuti di Stato. Occorre tuttavia prestare attenzione al rischio - più sensibile in una fase di crisi economica come è quella attuale - di attivare forme di concorrenza sugli aiuti di Stato ed il verificarsi di casi nei quali alcune aree si lancino in una gara al ribasso, o al rialzo, al fine di attirare imprese sul proprio territorio. Cita al riguardo il fenomeno dei cosiddetti cacciatori di aiuti, avvenuto in Francia in coincidenza con la riforma di decentramento amministrativo, con imprese che si spostavano da un dipartimento all'altro solo per ottenere gli incentivi previsti. Occorre evitare una simile deriva in ambito europeo, che vedrebbe comunque l'Italia soccombere. Ritiene perciò opportuno richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di stabilire parametri entro i quali i territori con autonomia contabile e economica possano modulare la propria fiscalità.
Propone, in conclusione, di affiancare l'audizione del professor Antonini con quella di un altro esperto del settore e docente universitario, il professor Tommaso Di Tanno.

Nunziante CONSIGLIO, presidente, sottoporrà alla valutazione dell'Ufficio di presidenza della Commissione le proposte di audizione formulate dai colleghi.

La seduta termina alle 15.40.