CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 25 febbraio 2009
144.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 118

COMITATO PERMANENTE PER L'ESAME DEI PROGETTI DI ATTI COMUNITARI E DELL'UE

AUDIZIONI INFORMALI

Mercoledì 25 febbraio 2009.

Audizione informale di rappresentanti dell'ABI (Associazione bancaria italiana) nell'ambito dell'esame istruttorio della «Proposta di direttiva che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda gli enti creditizi collegati a organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione della crisi (COM(2008)602)» e della «Comunicazione della Commissione: Revisione della procedura Lamfalussy. Rafforzamento della convergenza in materia di vigilanza (COM(2007)727 def).

L'audizione informale si è svolta dalle 9.15 alle 10.10.

ATTI DEL GOVERNO

Mercoledì 25 febbraio 2009. - Presidenza del vicepresidente Gianluca PINI.

La seduta comincia alle 14.40.

Pag. 119

Schema di regolamento recante recepimento della direttiva 2005/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare e recante modificazione della direttiva 2001/25/CE.
Atto n. 58.

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento, e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di regolamento all'ordine del giorno, rinviato nella seduta del 24 febbraio 2009.

Benedetto Francesco FUCCI (PdL), relatore, formula una proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato).

Gianluca PINI, presidente, preannuncia il voto favorevole del gruppo LNP sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Sandro GOZI (PD) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Nicola FORMICHELLA (PdL) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere formulata dal relatore.

La seduta termina alle 14.45.

COMITATO PERMANENTE PER IL MONITORAGGIO SULL'ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL'UE

Mercoledì 25 febbraio 2009. - Presidenza del presidente Nunziante CONSIGLIO.

La seduta comincia alle 14.45.

Esame istruttorio della sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee del 13 novembre 2008 (causa C-46/07) avente ad oggetto il regime pensionistico dei dipendenti pubblici (Doc. LXXXIX, n. 53).

Elena CENTEMERO (PdL) illustra i contenuti della sentenza in oggetto, ricordando che la Corte di giustizia delle Comunità europee, con la sentenza del 13 novembre 2008 (causa C-46/07), ha condannato la Repubblica italiana per aver violato gli obblighi derivanti dall'articolo 141 del Trattato che istituisce la Comunità europea, eccependo che la normativa nazionale consente ai dipendenti pubblici di accedere alla pensione di vecchiaia ad età diverse a seconda del sesso con effetti discriminatori.
La Commissione europea ha avviato, già nel luglio del 2005, la procedura di infrazione da cui è derivata la sentenza di condanna, lamentando la violazione del principio della parità retributiva di cui al predetto articolo 141 per le modalità con le quali è configurato nell'ordinamento italiano il sistema di pensionamento dei dipendenti pubblici.
La sentenza non riguarda i dipendenti privati, in quanto il regime previdenziale amministrato dall'INPS è considerato, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza comunitaria, un regime cosiddetto «legale», come tale soggetto alla direttiva 79/7/CEE che, all'articolo 7, consente di escludere dal campo di applicazione del principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale la fissazione dei limiti di età per la concessione della pensione di vecchiaia.
Il quadro di riferimento normativo per la previdenza del pubblico impiego è definito dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421, che si applica ai dipendenti pubblici e agli altri lavoratori del settore pubblico nonché ai lavoratori che in passato hanno prestato servizio per un ente pubblico. Il regime previdenziale ivi delineato è gestito, come è noto, da un apposito ente, l'Istituto nazionale della previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP).

Pag. 120

Secondo la ricostruzione della Commissione europea, avallata dalla Corte di giustizia, il combinato disposto dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 e dell'articolo 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335 attribuisce ai dipendenti pubblici il diritto di percepire la pensione di vecchiaia, nell'ambito del regime previdenziale gestito dall'INPDAP, a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini. La normativa nazionale offrirebbe, peraltro, solo ai dipendenti pubblici di sesso femminile la possibilità di optare per la permanenza in servizio, senza prevedere una facoltà analoga per i dipendenti di sesso maschile, determinando così una forma di trattamento discriminatorio per gli uomini in violazione dell'articolo 141 del Trattato.
La Corte, nell'accogliere le censure della Commissione europea, ha sostenuto che, ai sensi del citato articolo 141 del Trattato, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. A tal fine, per retribuzione si intende il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo.
Nella sentenza si precisa che un regime pensionistico di vecchiaia è considerato professionale e rientra quindi nel campo di applicazione del menzionato articolo 141 qualora ricorrano alcuni specifici requisiti. In particolare, è necessario, ai fini dell'attribuzione di tale qualificazione, che la pensione interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, che sia direttamente funzione degli anni di servizio prestati e che il relativo importo sia calcolato in base all'ultimo stipendio del dipendente pubblico.
La Corte, tenendo conto delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria, ha ritenuto che la pensione di vecchiaia gestita dall'INPDAP appare connotata proprio dai predetti requisiti. Nel respingere quindi l'argomento sostenuto dall'Italia secondo il quale il regime pensionistico dei dipendenti pubblici, in ragione della privatizzazione del pubblico impiego, sarebbe stato assimilato a quello privato e pertanto non riguarderebbe una categoria particolare di lavoratori, ha affermato che la pensione versata nell'ambito del regime pensionistico del pubblico impiego va qualificata come retribuzione ai sensi dell'articolo 141 del Trattato.
Poiché il predetto articolo 141 vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori in ragione del sesso, la normativa italiana, vincolando la concessione della pensione (che è da ritenersi, come detto, una voce della retribuzione) a un requisito di età che varia in relazione al sesso, finisce per essere in contrasto con il principio della parità retributiva.
La Corte di giustizia ha parimenti escluso che la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione di età diversa a seconda del sesso possa essere giustificata dall'obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne, in attuazione della disposizione di cui all'articolo 141, paragrafo 4. Tale disposizione, che ha la finalità di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, consente allo Stato membro di mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali. La Corte ha tuttavia rimarcato che i provvedimenti nazionali adottati per il conseguimento di tale finalità debbono, in ogni caso, essere diretti a sostenere e promuovere la vita lavorativa della donna su un piano di parità rispetto all'uomo. La fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d'età diversa a seconda del sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile, ossia a porre rimedio alle difficoltà che le donne possono incontrare durante la loro carriera professionale.

Pag. 121

Quanto agli effetti della sentenza e ai profili connessi alla sua attuazione, segnala che, ove lo Stato non provvedesse a dare esecuzione alla pronuncia della Corte di giustizia, la Commissione europea potrebbe avviare una procedura di mancato adempimento ex articolo 228 del Trattato. Tale procedura potrebbe concludersi con una nuova sentenza di condanna al pagamento di sanzioni, consistenti in una somma forfetaria e/o in una penalità di mora in relazione alla gravità e alla persistenza dell'inadempimento.
Non va trascurato, inoltre, che il giudice nazionale, come chiarito dalla stessa giurisprudenza comunitaria in un recente precedente (ordinanza 16 gennaio 2008, cause riunite da C-128/07 a C-131/07, relativa all'aliquota agevolata sul trattamento di fine rapporto per il pensionamento anticipato a 50 anni per le donne e a 55 per gli uomini), è obbligato a disapplicare le disposizioni discriminatorie senza attenderne la rimozione da parte del legislatore. La sentenza della Corte potrebbe quindi essere invocata da dipendenti pubblici di sesso maschile dinanzi al giudice italiano per una parificazione al ribasso dell'età pensionabile, con evidenti ripercussioni anche sulla finanza pubblica.
Per quanto concerne le pari opportunità in ambito lavorativo (che trovano riconoscimento anche negli articoli 2 e 3, paragrafo 2, del Trattato, nonché negli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), segnala che la più recente disciplina è ora dettata, a livello comunitario, dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativa all'attuazione del principio di parità di opportunità e di parità di trattamento fra donne e uomini in materia di occupazione e di lavoro. La citata direttiva mira a semplificare, modernizzare e migliorare la normativa comunitaria di settore in materia di occupazione e di lavoro, riunendo in un unico documento (mediante rifusione) le disposizioni introdotte dalle numerose direttive già adottate in materia.
La recente direttiva, oltre a ribadire il principio della parità retributiva tra lavoratori di sesso maschile e femminile, affronta, tra l'altro, gli aspetti connessi alla parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale, per i quali viene specificamente sancito il divieto di discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso. Per regimi professionali di sicurezza sociale si intendono i regimi non regolati dalla citata direttiva 79/7/CEE, aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, subordinati o autonomi, raggruppati nell'ambito di un'impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o di sostituirsi ad esse, indipendentemente dal fatto che l'affiliazione a questi regimi sia obbligatoria o facoltativa.
Dal punto di vista del campo di applicazione materiale, la direttiva precisa che le disposizioni concernenti la parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale riguardano, tra l'altro, i regimi pensionistici di una categoria particolare di lavoratori come quella dei dipendenti pubblici, se le relative prestazioni sono versate al beneficiario a motivo del suo rapporto di lavoro con il datore di lavoro pubblico.
Nel fornire un'elencazione esemplificativa di misure discriminatorie, la disciplina comunitaria individua tra le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento quelle che si basano direttamente o indirettamente sul sesso per stabilire, tra l'altro, limiti di età differenti per il collocamento a riposo.
Le nuove norme stabiliscono, infine, che la facoltà riconosciuta a uomini e donne di chiedere un'età pensionabile flessibile alle stesse condizioni non è incompatibile con il principio di pari opportunità.
La direttiva 2006/54/CE ha fissato al 15 agosto 2008 il termine per adeguare gli ordinamenti nazionali o per provvedere affinché le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordo. Ove necessario per tener conto di particolari difficoltà, gli Stati membri dispongono

Pag. 122

tuttavia di un ulteriore anno al massimo per il recepimento delle nuove norme.
Al riguardo, è utile segnalare che la citata direttiva è stata inserita, per il recepimento nell'ordinamento nazionale, nell'Allegato B del disegno di legge comunitaria 2008 (A.S. 1078), attualmente all'esame del Senato.

Sandro GOZI (PD), nel riservarsi di intervenire sul merito della sentenza, che giudica particolarmente importante, ritiene necessario, sotto il profilo metodologico, prevedere la partecipazione di un rappresentante del Governo alle sedute della Commissione; ciò anche al fine di consentire un approfondimento ed un chiarimento delle diverse soluzioni adottabili, illustrate nella relazione del 19 gennaio 2009 della Commissione di studio sulla parificazione dell'età pensionabile, operante presso il Dipartimento della funzione pubblica.

Nunziante CONSIGLIO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.