CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 10 febbraio 2009
134.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e VI)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 10 febbraio 2009. - Presidenza del presidente della VI Commissione Gianfranco CONTE, indi del presidente della V Commissione Giancarlo GIORGETTI. - Intervengono il Ministro delle riforme per il federalismo Umberto Bossi, il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli ed il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Aldo Brancher.

La seduta comincia alle 9.05.

Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.
C. 2105 Governo, approvato dal Senato, C. 452 Ria, C. 692 Consiglio regionale della Lombardia e C. 748 Paniz.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame dei provvedimenti in oggetto.

Antonio LEONE (PdL), relatore per la V Commissione, segnala preliminarmente come il disegno di legge delega di cui la Camera dei deputati inizia l'esame sia il frutto di un'intensa collaborazione interistituzionale e di un paziente lavoro di confronto, che ha visto la partecipazione di tutti i livelli di governo e il contributo di diverse forze politiche. In tal senso, rileva come la sua relazione intenda rappresentare unicamente un primo contributo all'esame, che dovrà essere necessariamente integrato con gli elementi che emergeranno nel corso dell'istruttoria legislativa ed in particolare delle previste audizioni.
Il federalismo fiscale costituisce il tassello mancante di un lungo e complesso processo di transizione dell'ordinamento italiano verso una compiuta valorizzazione del sistema delle autonomie territoriali e responsabilizzazione delle relative classi dirigenti. Il nuovo assetto federalista è diretto, infatti, a ricostruire un rapporto trasparente fra Stato e cittadini in ordine alle decisioni in materia di spesa e di prelievo, rafforzando nel contempo il principio di responsabilità politica delle amministrazioni territoriali, chiamate a rendere conto direttamente agli elettori del

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corretto uso delle risorse. Nell'attuale difficile scenario macroeconomico, la trasformazione in senso federale dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali rappresenta, inoltre, una fondamentale opportunità per migliorare la qualità dell'azione amministrativa, riqualificando nel contempo la spesa pubblica secondo principi di trasparenza, efficienza e responsabilità. Una coerente attuazione del disegno federalista dovrebbe, infatti, favorire un riassorbimento degli sprechi, obbligando tutte le pubbliche amministrazioni ad adottare standard di efficienza ed economicità verificabili in relazione ai livelli e alla qualità dei servizi pubblici offerti a cittadini e imprese, in tante parti del paese ancora carenti e sottodimensionati. In questo quadro, il graduale passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard per il finanziamento delle funzioni essenziali migliorerà significativamente l'efficienza allocativa delle risorse pubbliche, mentre il ruolo di regia riservato allo Stato nel nuovo assetto dei rapporti finanziari con le autonomie garantirà nel contempo la salvaguardia dei principi di solidarietà e di riequilibrio territoriale sottesi al nostro sistema costituzionale. Al riguardo, intende ribadire ancora una volta che il federalismo, come fenomeno giuridico, economico e sociale complesso, è, e deve essere inteso, come un mezzo per modernizzare l'intero apparato pubblico, rafforzando i governi locali nella loro capacità di garantire in modo uniforme sul territorio nazionale i diritti fondamentali, offrendo ai cittadini una amministrazione più efficiente, meno burocratica e meno costosa. Di converso, il federalismo fiscale non può e non deve essere inteso come un mezzo per alimentare una cultura ultraliberista di «Stato minimo», volta a ridimensionare diritti di cittadinanza e politiche sociali, né tantomeno come uno strumento teso ad indebolire lo Stato centrale e a disarticolare i poteri pubblici, sostituendo al centralismo statale una serie di «centralismi» delle regioni. Analogamente, l'attuazione del federalismo fiscale non potrà in alcun modo essere utilizzata per effettuare surrettiziamente politiche di tipo redistributivo, riallocando risorse dal sud al nord del Paese, ovvero per alterare in modo silente i principi costituzionali della progressività dell'imposizione e della capacità contributiva. Il federalismo non è un'opzione di politica economica che intende offuscare il tema del Mezzogiorno e del dualismo territoriale, quanto piuttosto una cornice politico-istituzionale che consente di affrontarlo con un approccio totalmente inedito, volto a coniugare in modo nuovo le esigenze di qualità, economicità ed uniformità dei servizi pubblici offerti ai cittadini. Osserva infatti che l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, lungi dal determinare un affievolimento della coesione della collettività nazionale, dovrà invece garantirne la ricomposizione sotto l'insegna di uno Stato riformato, fondato su governi locali coinvolti in modo trasparente e responsabile nei processi decisionali, assumendo come modello il federalismo cooperativo, fondato sulla sussidiarietà e la leale collaborazione tra i livelli di governo, nel quale lo Stato centrale gioca un forte ruolo di coordinamento ed ispirandosi al principio fondamentale stabilito dall'articolo 5 della Costituzione, alla luce del quale va interpretata la complessiva disciplina del Titolo V, che il federalismo fiscale potrà garantire una maggiore autonomia finanziaria agli enti territoriali, salvaguardando nel contempo il principio dell'unità e della indivisibilità della Repubblica.
Rinviando quindi per gli aspetti propriamente fiscali alle considerazioni che saranno svolte dal relatore per la VI Commissione, osserva in via generale che il disegno di legge delega ha subito numerose modifiche nel corso dell'esame parlamentare presso il Senato, le quali, pur non alterando l'impianto originario del provvedimento, ne hanno specificato ed integrato i criteri direttivi su molti aspetti qualificanti, ponendo in particolare l'accento sul rispetto del principio di solidarietà e sulle esigenze di perequazione territoriale, anche di carattere infrastrutturale,

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nonché sui profili inerenti il monitoraggio e il controllo parlamentare dell'attuazione della delega.
Segnala come il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dal disegno di legge sia incentrato, com'è noto, sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati. A tal fine il disegno di legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. Viene inoltre prevista l'attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti - in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, livello della pressione fiscale e incremento dell'occupazione - ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all'individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario, ovvero di scioglimento degli organi nei casi più gravi. Segnala poi la rilevanza della previsione, inserita nel corso dell'esame parlamentare, dell'individuazione dei principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, volta ad assicurare la redazione dei bilanci delle autonomie territoriali in base a criteri predefiniti e uniformi, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato ed agevolmente riconducibili ai criteri rilevanti ai fini dell'osservanza del patto di stabilità e crescita europeo (articolo 2, comma 2, lettera h). Il forte ancoraggio ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario è garantito anche dalla previsione in base alla quale le regioni e gli enti locali dovranno adottare, per le proprie politiche di bilancio, regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita (articolo 2, comma 2, lettera g). In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni di riduzione del debito e dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni in rapporto al PIL assunti in sede comunitaria; dovrà inoltre essere garantita la simmetria tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie - onde evitare ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi - nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria.
Per quanto concerne l'autonomia finanziaria degli enti territoriali il disegno di legge individua il paniere di tributi propri e compartecipazioni, da assegnare ai diversi livelli di governo, secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali, definendo un quadro diretto a consentire l'esercizio concreto dell'autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, assicurando nel contempo un adeguato livello di flessibilità e di manovrabilità dei tributi. Nel corso dell'esame al Senato è stato specificato che l'attribuzione di risorse autonome alle regioni e agli enti locali, in relazione alle rispettive competenze, dovrà essere effettuata anche nel rispetto del «principio di solidarietà» (articolo 2, comma 2, lettera e), primo periodo). Tra gli altri criteri direttivi di carattere generale risulta opportuno altresì richiamare il divieto di doppia imposizione sul medesimo presupposto, il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, finalizzato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa delle funzioni fondamentali, nonché la previsione del coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale. Sempre in tema di principi generali della delega segnala, infine, la previsione - invero pleonastica sul piano

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giuridico ma significativa su quello politico - ai sensi della quale l'esercizio di una più ampia autonomia tributaria dovrà comunque essere coerente con i principi della capacità contributiva e della progressività dell'imposizione di cui all'articolo 53 della Costituzione (articolo 2, comma 2, lettera i); di portata innovativa è invece la previsione, anch'essa aggiunta durante l'esame al Senato, volta al rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente (articolo 2, comma 2, lettera c).
Circa le modalità di finanziamento delle funzioni, rileva che il modello proposto si fonda sulla distinzione tra le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza - finanziate integralmente - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria e quindi nei limiti della capacità fiscale, pur con il sussidio anche in tal caso di meccanismi perequativi. In particolare, il disegno di legge configura un doppio canale perequativo, valido per tutti i livelli di governo, in base al quale sarà garantita una perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti locali, mentre le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno finanziate secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale (ma non integrale) livellamento delle differenti capacità fiscali dei diversi territori, il cui ordine dovrà rimanere inalterato. Su tali aspetti è intervenuta una modifica nel corso dell'esame al Senato, che ha specificato come le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di Regioni ed Enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo debbano comunque consentire di «finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite» (articolo 2, comma 2, lettera e), secondo periodo). In questo quadro, uno degli elementi cardine dell'impostazione del disegno di legge è il graduale passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali. Il sistema di finanziamento prescelto comporterà l'avvio di un complesso processo di individuazione dei costi standard, sulla base dei quali valutare i fabbisogni da finanziare, che richiederà l'esercizio di una delicata funzione di raccolta ed elaborazione delle informazioni di benchmarking, che oltre alla sanità dovrà essere sperimentata in settori fondamentali quali l'istruzione, l'assistenza, i trasporti pubblici. Anche in tal caso una modifica introdotta dal Senato ha precisato la nozione di costo e fabbisogno standard, quale costo o fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia - tenendo conto anche del rapporto tra il numero dei dipendenti dell'ente territoriale e il numero dei residenti - costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica, nonché gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle rispettive funzioni (articolo 2, comma 2, lettera f). Ai fini del superamento, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica sembrerebbe pertanto doversi fare riferimento non ad un modello teorico bensì ai costi effettivamente sostenuti a livello territoriale; il riferimento ai criteri dell'efficienza e dell'efficacia sembrerebbe, inoltre, diretto a prendere come base i costi reali delle gestioni migliori, al fine di costruire un sistema di finanziamento in grado di promuovere i comportamenti virtuosi, garantendo nel contempo i livelli e la qualità dei servizi resi ai cittadini. Sempre in tema di principi di delega generali inerenti il finanziamento delle funzioni fondamentali, ricorda come nel corso dell'esame al Senato sia stata prevista - a fianco dei meccanismi sanzionatori per gli enti che non assicurino i livelli essenziali delle prestazioni ovvero l'esercizio delle funzioni

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fondamentali degli enti locali - anche la definizione di «specifiche modalità» attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i predetti livelli essenziali o l'esercizio delle suddette funzioni (ovvero non rispetti in modo sistematico il patto di convergenza), adotta misure sanzionatorie che possono giungere sino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria (articolo 2, comma 2, lettera u), secondo periodo).
Per quanto attiene alle regioni, osserva che il disegno di legge individua, in primo luogo, le funzioni essenziali relativamente alle quali lo Stato garantisce l'integrale finanziamento della spesa; tra esse vengono annoverate quelle relative ai settori della sanità, dell'assistenza e dell'istruzione. Con riferimento a quest'ultima, a seguito di una modifica introdotta dal Senato, è stato peraltro specificato che rientrano in tale ambito le sole spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché le funzioni già ora svolte dalle regioni tenuto anche conto di quanto stabilito dall'intesa Stato-Regioni. L'ammontare della spesa essenziale riconosciuta ai fini del finanziamento alle regioni è determinato, come accennato, sulla base del costo standard stabilito a livello nazionale e corrispondente al livello minimo sufficiente per finanziare il fabbisogno delle prestazioni essenziali. Sul punto è intervenuta una modifica introdotta dal Senato ai sensi della quale le aliquote (di tributi e compartecipazioni) dovranno essere fissate al livello minimo assoluto sufficiente almeno per finanziare pienamente il fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP valutati ai costi standard) «in una sola Regione», e non più, come nel testo originario, «almeno una», ipotesi che avrebbe potuto rendere possibile il finanziamento ulteriore per le altre regioni più «virtuose» dell'ultima, tra quelle individuate. Una disciplina specifica è stata inoltre prevista per il settore del trasporto pubblico locale, per il cui finanziamento si deve tener conto, oltre al costo standard, anche dell'esigenza di fornire un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale. Per quanto concerne le modalità di finanziamento individuate, cui corrisponde una contestuale soppressione dei trasferimenti statali delle funzioni trasferite, esse sono rappresentate dai tributi regionali, dalle compartecipazioni a tributi erariali e, ove necessario, dall'utilizzo del fondo perequativo. Rientrano nella definizione di tributi regionali sia i tributi propri derivati, ossia quelli istituiti da legge statale, sia le aliquote riservate di tributi erariali sia, infine, i tributi propri istituiti con legge regionale. L'autonomia finanziaria delle regioni viene prevista entro i limiti stabiliti dalla legge statale, per quanto concerne i tributi propri derivati e le aliquote riservate. Per quanto riguarda, invece, i tributi istituiti con legge regionale gli unici vincoli sono previsti nei principi e criteri direttivi generali e riguardano, tra l'altro, il divieto della doppia imposizione rispetto al tributo erariale. A seguito di una modifica introdotta dal Senato, è stata peraltro prevista la tendenziale limitazione dell'utilizzo delle compartecipazioni ai tributi erariali ai soli casi in cui occorra garantire il finanziamento integrale della spesa (come nel caso della spesa collegata ai livelli essenziali delle prestazioni - LEP - articolo 8, comma 1, lettera f). Novità sono state introdotte al Senato anche per quanto concerne il tema della perequazione a favore delle regioni, per la quale è stato specificato come il fondo perequativo statale debba essere di carattere verticale. Tale specificazione sembra voler ribadire il ruolo centrale dello Stato nella gestione dell'attività perequativa. Come sopra accennato, segnala che il fondo perequativo è strutturato in due componenti per le quali non sussiste vincolo di destinazione. La quota destinata a finanziare le prestazioni essenziali è alimentata da una compartecipazione all'IVA; la quota finalizzata al finanziamento delle altre prestazioni è alimentata dall'addizionale IRE. Rispetto alle prestazioni essenziali il fondo perequativo è finalizzato a finanziare integralmente i fabbisogni standard, mentre

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rispetto alle altre prestazioni il fondo dovrebbe assicurare il parziale livellamento delle capacità fiscali (articolo 9). Tra i principi e i criteri indicati in materia di finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, da affiancare ai criteri e principi generali previsti dall'articolo 2, segnala, infine, la cancellazione degli stanziamenti erariali relativi alle funzioni trasferite e la corrispondenza tra l'aumento dei tributi regionali e della compartecipazione IVA, da un lato, e la riduzione delle aliquote dei tributi statali, dall'altro lato.
Per quanto attiene alla finanza degli enti locali, rileva in via generale che la scelta operata è stata quella di configurare un assetto della finanza locale in cui viene attribuito un ruolo significativo anche alle regioni nel delineare schemi di coordinamento della finanza degli enti locali nel rispetto - per quanto riguarda la perequazione - dei criteri generali e delle garanzie fissate nel disegno di legge di delega. Si è pertanto inteso individuare un punto di equilibrio tra Stato, regioni ed enti locali, in sede di attuazione della perequazione statale all'interno di ogni territorio regionale secondo il metodo dell'intesa con gli enti locali: le regioni potranno quindi ridefinire la spesa e le entrate standardizzate degli enti locali secondo i criteri di riparto fissati dal legislatore statale riferiti al proprio territorio. In particolare, per quanto concerne l'autonomia di entrata degli enti locali, il disegno di legge demanda alla legge statale l'individuazione dei tributi propri dei comuni e delle province; anche la regione, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, può istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali. Nell'attuazione della delega, la legge statale può inoltre sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a comuni e province tributi o parti di tributi già erariali. È altresì prevista la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente con i principi generali di «flessibilità fiscale» e manovrabilità dei tributi. Infine, per i comuni e le province sono previsti «tributi di scopo», che l'ente può applicare in riferimento a particolari finalità; con riferimento alle città metropolitane è invece prevista l'adozione di uno specifico decreto legislativo per quanto riguarda l'assegnazione di tributi ed entrate proprie. Relativamente alle modalità di finanziamento delle spese, ricorda che il disegno di legge prevede una classificazione delle spese di comuni, province e città metropolitane in tre tipologie: le spese riconducibili alle funzioni «fondamentali», ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale; le spese relative alle «altre funzioni»; le spese che, prescindendo dall'oggetto delle funzioni, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.
Osserva che in tema di finanziamento di tali spese il Senato ha apportato alcune modifiche che hanno meglio specificato il paniere di tributi che i comuni utilizzano per il finanziamento delle spese fondamentali includendovi, oltre alla compartecipazione al gettito dell'IVA e dell'IRPEF, anche forme di imposizione immobiliare, ma con esplicita esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale (precludendo pertanto la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa - articolo 12, comma 1, lettera b). Per le spese delle province relative alle funzioni fondamentali è stato invece previsto il finanziamento prioritario mediante il gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma, nonché dalla compartecipazione ad un tributo erariale (articolo 12, comma 1, lettera c). Ai fini del finanziamento delle funzioni degli enti locali è stata inoltre introdotta la previsione della valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e la salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento

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alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, dei territori montani e delle isole minori (articolo 11, comma 1, lettera g). Segnala, inoltre, la previsione, anch'essa introdotta al Senato, in base alla quale la legge statale, nell'ambito della premialità ai comuni virtuosi, in sede di individuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale - la cosiddetta Golden rule - articolo 12, comma 1, lettera l). Per quanto concerne la perequazione, il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali è assicurato dall'intervento di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. La dimensione del fondo perequativo statale, con riguardo alle funzioni fondamentali, è determinata, per ciascuna tipologia di ente, in misura pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province, intendendosi come tali le entrate derivanti dai tributi propri valutati ad aliquota standard. La ripartizione tra i singoli enti del fondo perequativo, per la parte afferente alle funzioni fondamentali, è effettuata sulla base di due specifici indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario, calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale; e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale. Con riferimento ai principi e ai criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, merita richiamare la previsione transitoria, introdotta durante l'esame parlamentare, in base alla quale, ai fini della quantificazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi per il finanziamento integrale delle spese afferenti alle funzioni fondamentali, calcolate secondo il criterio del fabbisogno standard, si considerano provvisoriamente le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 1996. (articolo 20, comma 2); i commi 3 e 4 dell'articolo 20 individuano inoltre, rispettivamente per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, mentre l'eventuale adeguamento dell'elenco provvisorio delle funzioni fondamentali degli enti locali viene infine rimesso ai decreti legislativi attuativi della legge delega.
Segnala poi, con riferimento al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni «non fondamentali», come il disegno di legge stabilisca che esse siano finanziate con il gettito dei tributi propri e delle compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo. A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l'intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato sulla capacità fiscale per abitante ed è espressamente diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti. Nel corso dell'esame al Senato è stato previsto che, per gli enti locali con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi, la perequazione debba essere effettuata tenendo conto di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell'ente a forme associative (articolo 13, comma 1, lettera f). Con riferimento al sistema di perequazione, rileva che il disegno di legge ha previsto l'intervento delle regioni, dando ad esse la facoltà di intervenire nel riparto delle risorse assegnate ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale a titolo di perequazione. A tal fine le regioni possono procedere ad effettuare proprie valutazioni delle entrate standardizzate e della

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spesa corrente standardizzata dei comuni e delle province, nonché effettuare stime autonome di fabbisogni di infrastrutture, sulla base di criteri definiti mediante accordi sanciti in sede di Conferenza unificata e previa intesa con gli enti locali medesimi. Il termine generale per il trasferimento dei fondi perequativi dalle regioni ai comuni ed alle province è fissato in venti giorni decorrenti dal momento in cui le regioni ricevono tali fondi dallo Stato. Nel caso in cui la regione non provveda al trasferimento delle risorse perequative nei termini previsti, è previsto l'esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione. I decreti delegati attuativi del nuovo sistema di finanziamento delle spese degli enti locali provvederanno pertanto alla soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento delle spese, fondamentali e non, degli enti locali. Dalla soppressione sono esclusi gli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi. Nella fase transitoria, i fondi perequativi saranno quantificati in misura pari alla differenza tra i trasferimenti soppressi (esclusi i finanziamenti per gli interventi speciali) e le maggiori entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, in maniera tale da garantire che il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l'entità del fondo perequativo dipende pertanto dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto. Per quanto riguarda il finanziamento delle spese degli enti locali nella fase transitoria è previsto che, fino all'entrata in vigore delle norme di legge relative alla individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali sia effettuato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali e il restante 20 per cento di esse come non fondamentali.
Sempre in tema di Enti locali, ricorda che nel corso dell'esame al Senato sono stati inseriti l'articolo 22, recante la disciplina transitoria per la prima istituzione delle Città metropolitane e l'articolo 23, recante norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma Capitale. In particolare, ai sensi dell'articolo 22 le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. In caso di istituzione, sulla cui proposta è indetto un referendum, la provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi, ma solo a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana individuati dalla apposita legge di disciplina organica della materia, che dovrà altresì provvedere al trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti le funzioni trasferite. Dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum e fino alla data di entrata in vigore della suddetta disciplina organica, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta e nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente. Per quanto concerne Roma Capitale, essa è definita quale ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, dotato di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, e al quale sono attribuite specifiche funzioni amministrative e ulteriori risorse finanziarie e cespiti patrimoniali. In ordine alle disposizioni testé richiamate, ricorda come esse abbiano un carattere transitorio e come pertanto le questioni afferenti l'ordinamento e le funzioni delle città metropolitane e di Roma capitale debbano essere inquadrate in un più ampio processo di riforma.
Ricorda poi le novità che sono state introdotte anche in tema di interventi finalizzati agli obiettivi di riequilibrio territoriale cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, per il cui finanziamento - con risorse nazionali e comunitarie - dovrà essere adottato il metodo della programmazione pluriennale, in

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luogo della logica delle manovre finanziarie annuali. Nella sostanza, la disposizione di cui all'articolo 15 del disegno di legge fa riferimento a quelle risorse aggiuntive attualmente previste per gli interventi nelle c.d. aree sottoutilizzate, attraverso l'utilizzo dell'apposito Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), dei fondi strutturali dell'Unione europea e del relativo cofinanziamento nazionale a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie di cui all'articolo 5 della legge n. 183 del 1987. In tale ambito, si prevede la confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il loro vincolo finalistico. I decreti delegati dovranno considerare le specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica, alla prossimità al confine con Stati esteri o con regioni a statuto speciale e alla qualifica di territorio montano. Essi dovranno quindi individuare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economico-sociali e favorire l'esercizio effettivo dei diritti della persona, nonché definire le modalità in base alle quali gli obiettivi e i criteri di utilizzo delle risorse per gli interventi speciali dovranno essere oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata. Segnala, inoltre, come tra le specifiche realtà territoriali che occorrerà tenere in considerazione ai fini degli interventi speciali il Senato abbia inserito il riferimento alle isole minori, nonché specificato che tali interventi sono diretti, tra l'altro, a promuovere la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese.
Segnala quindi le disposizioni in materia di attuazione degli interventi a finalità vincolata di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, limitate al profilo della perequazione delle dotazioni infrastrutturali, inserite al Senato nel nuovo articolo 21, il quale prevede l'effettuazione di una ricognizione degli interventi infrastrutturali riconducibili al citato articolo 119, quinto comma, della Costituzione (inerenti, in particolare, la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, e le strutture portuali ed aeroportuali). Successivamente a tale ricognizione, al fine di recuperare il deficit infrastrutturale esistente, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, saranno individuate le opere da inserire nel «Programma delle infrastrutture strategiche», annualmente allegato al DPEF, tenendo conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.
Osserva poi come il tema del coordinamento della finanza pubblica assuma un ruolo centrale nel nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Una riforma in senso federale di funzioni e risorse deve infatti necessariamente garantire una efficiente articolazione della politica economica tra i diversi attori istituzionali dotati di autonomia finanziaria, sia sul versante del consolidamento dei conti pubblici, sia sul piano dello svolgimento delle singole politiche di settore. Al riguardo, i criteri direttivi in tema di coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo sono stati integrati nel corso dell'esame al Senato ed è stato altresì introdotto un nuovo istituto (il Patto di convergenza) volto a definire un nuovo quadro di «coordinamento dinamico» della finanza pubblica.
In particolare, il disegno di legge prevede, in primo luogo, il concorso di tutti i livelli di governo al conseguimento degli obiettivi della politica di bilancio nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai Trattati internazionali. Com'è noto, tale concorso è stato sinora assicurato con il Patto di stabilità interno, istituto, ricorda, più volte modificato nell'ambito delle manovre finanziarie adottate nell'ultimo decennio e divenuto il principale strumento di controllo della crescita della spesa degli enti decentrati. Nel nuovo assetto delle relazioni economico-finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali, il coordinamento della finanza pubblica viene inteso in senso ampio, affiancando a meccanismi di

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monitoraggio e controllo della spesa e dei saldi degli enti decentrati anche meccanismi premiali e sanzionatori afferenti sia il rispetto degli equilibri di bilancio, sia i livelli, i costi e la qualità dei servizi pubblici. In tale prospettiva, il Patto di stabilità interno, sinora adottato per definire l'entità del concorso dei diversi enti territoriali agli obiettivi della politica di bilancio, dovrebbe essere integrato da un nuovo «Patto di convergenza» (articolo 17), ossia da un insieme di regole per il coordinamento dinamico della finanza pubblica che il Governo è chiamato a definire annualmente nell'ambito della legge finanziaria previo confronto con gli enti territoriali in sede di Conferenza unificata. Tale istituto è finalizzato, in particolare, a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, ossia ad agevolare il graduale passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard, che costituisce uno degli elementi distintivi dell'impianto del disegno di legge. Il Patto di convergenza dovrà inoltre stabilire, per ciascun comparto, il livello programmato dei saldi da rispettare, gli obiettivi di servizio, il livello di ricorso al debito, nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva. In questo quadro, i principi e criteri direttivi previsti dal disegno di legge attribuiscono alle regioni uno specifico ruolo di coordinamento a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base al quale esse, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, possono adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti in ciascuna regione. Si prevede, inoltre, l'individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza volti a garantire obiettivi qualitativi dei servizi regionali e locali, funzionali a loro volta all'introduzione di un sistema premiante per gli enti che assicurino una più elevata qualità dei servizi associata ad un livello di pressione fiscale inferiore alla media. L'attivazione di meccanismi premiali è prevista altresì per gli enti che partecipano a progetti strategici nell'interesse della collettività nazionale o che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile. Nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica e che non adottano le misure correttive necessarie, incluso l'utilizzo dei margini disponibili di incremento del prelievo, è prevista invece la definizione di un sistema sanzionatorio, che contempla il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali. Meccanismi sanzionatori di carattere automatico sono inoltre previsti a carico degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con l'individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione - che comportano lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta - vengono annoverate le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali. Rileva che il disegno di legge richiama, infine, la necessità di assicurare la trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale. Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, segnala che il provvedimento prevede l'istituzione di una specifica Conferenza permanente, cui parteciperanno i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, deputata a concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per ciascun comparto - anche in

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relazione ai livelli di pressione fiscale e indebitamento - e a vigilare sul loro conseguimento, nonché a verificare periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogno standard. Qualora l'attività di monitoraggio del Patto di convergenza rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare - previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante - un procedimento denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive che devono essere intraprese per ridurre ed eliminare gli scostamenti, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica. Ricorda, infine, che nel corso dell'esame al Senato tra i criteri direttivi generali di cui all'articolo 2 è stata prevista l'individuazione dei principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, volta ad assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, da concordare in sede di Conferenza unificata, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. Anche in tal caso si prevede un ancoraggio alla disciplina comunitaria, stabilendosi che la registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni e degli enti locali sia eseguita in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l'osservanza del patto di stabilità e crescita europeo (articolo 2, comma 2, lettera h); l'inosservanza di criteri uniformi per la redazione dei bilancio viene inoltre sanzionata dallo Stato (articolo 2, comma 2, lettera v).
Per quanto concerne le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'articolo 25 del disegno di legge prevede il loro concorso, nel rispetto degli Statuti speciali - al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà; all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché all'assolvimento degli obblighi comunitari. Il Senato ha specificato che tali enti concorrono anche al patto di convergenza. I criteri e le modalità per l'applicazione delle suddette previsioni sono rimessi alle norme di attuazione dei rispettivi Statuti, da definirsi secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica. Le medesime norme di attuazione disciplinano, altresì, le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale. In base ad un'integrazione apportata dal Senato, resta comunque ferma la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da erogare sull'intero territorio nazionale in condizioni di efficienza ed appropriatezza.
Con riferimento all'attuazione della delega rileva in via generale che le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 del disegno di legge istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale. Tali organi, collocati in una posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), sono la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale - introdotta nel corso dell'esame parlamentare - la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
In particolare, la prevista istituzione della Commissione bicamerale soddisfa l'esigenza, segnalata anche dalle forze di opposizione, di concentrare in un unico organo la procedura per l'esame degli schemi di decreto legislativo, in modo da permettere alle Camere di controllare e verificare mediante un'accurata analisi i profili politici e tecnici delle scelte compiute dal Governo in sede di attuazione della delega. Essa si configura come un organismo consultivo composto da quindici

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deputati e quindici senatori, avente il compito, da un lato, di pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega e, dall'altro, di verificare lo stato di attuazione della riforma e di riferirne ogni sei mesi alle Camere. La Commissione assicura il raccordo con le regioni e gli enti locali grazie ad un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali: un organismo tecnico non parlamentare istituito ad hoc, al quale partecipano rappresentanti delle autonomie territoriali. Essa è destinata a sciogliersi ex lege al compimento della fase transitoria della riforma. Ricorda come nel corso dell'esame al Senato sia stato specificato un nuovo criterio applicativo del principio di proporzionalità della rappresentanza parlamentare ai fini della nomina dei componenti della Commissione da parte dei Presidenti delle Camere, sul quale sarebbe utile svolgere una più estesa riflessione nel corso del prosieguo dell'iter del provvedimento. La Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale istituita dall'articolo 4 ha il principale compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega in materia di federalismo fiscale. Essa si presenta pertanto quale organo tecnico consultivo del Governo, ma anche del Parlamento e di tutti gli enti territoriali coinvolti nel processo di attuazione del federalismo fiscale; composta su base paritaria da rappresentanti tecnici dello Stato e degli enti territoriali, essa è chiamata a operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali; a promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi; a svolgere attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.
Inoltre, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica istituita nell'ambito della Conferenza unificata, composta da rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, è destinata a svolgere il ruolo di organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica. Essa concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica esercitando compiti di proposta, di monitoraggio e di verifica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, anche con riguardo all'adeguatezza delle risorse assicurate a ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte.
Osserva che gli organi sopra citati prefigurano una complessa rete di interrelazioni tra i menzionati organi, posto che la Commissione parlamentare può avvalersi (oltre che del Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali), della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma. Inoltre la Commissione tecnica paritetica è a sua volta chiamata a svolgere le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente, per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto; le Camere possono richiedere ad essa informazioni e dati di carattere finanziario e tributario; la Commissione fornisce altresì al Governo gli elementi conoscitivi per la predisposizione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega. Ancora la Conferenza permanente, oltre a quanto detto in ordine ai suoi rapporti diretti con le Camere, costituisce la sede di raccordo tra Stato ed enti territoriali in seno alla Conferenza unificata.
L'articolo 6 aggiunge alle competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria quella di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.
Per quanto concerne la procedura di adozione dei decreti legislativi, nel corso dell'esame al Senato è stato previsto che i relativi schemi - da adottare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega (salvo il primo da adottare entro 12 mesi) siano trasmettessi alle Camere ai fini dell'espressione del parere

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entro sessanta giorni della suddetta Commissione bicamerale e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario. Tali schemi sono adottati previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata, in mancanza della quale il Consiglio dei ministri delibera, approvando tuttavia una relazione, da trasmettere alle Camere, nella quale sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta. È stato inoltre delineato un meccanismo volto a rafforzare il parere parlamentare, in omaggio a un'esigenza unanimemente condivisa dalle forze di maggioranza e di opposizione, prevedendosi che il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, debba ritrasmettere i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, ai fini dell'espressione di un nuovo parere entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva (articolo 2, commi 3 e 4).
In linea generale, da numerose disposizione del disegno di legge, ed in particolare da quelle relative alle procedure di predisposizione dei decreti delegati, emerge con chiarezza come il federalismo fiscale andrà attuato con gradualità e sulla base di un attenta analisi delle funzioni e delle risorse, un esame approfondito dei bilanci regionali e locali e la messa a punto di strumenti, quali i costi standard ed il sistema di perequazione, fondamentali ai fini dell'equilibrio e della tenuta del sistema.
Il disegno di legge contiene una serie di disposizioni volte ad assicurare al Parlamento la possibilità di accompagnare tale processo, di monitorarlo e di intervenire per esprimere il proprio punto di vista. Il riconoscimento di uno specifico ruolo al Parlamento ed alle assemblee legislative regionali appare una condizione necessaria ad assicurare il buon esito del percorso che è stato avviato, mantenendo un alto livello di consenso in merito alle scelte politiche e tecniche attraverso le quali è destinato a realizzarsi il federalismo fiscale. Rileva come, per quanto attiene agli effetti finanziari, il disegno di legge delega non rechi una esplicita clausola di copertura finanziaria, né una clausola di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, ma si limita - in modo inedito rispetto alle ordinarie modalità di copertura delle leggi - a introdurre un vincolo in base al quale l'attuazione della delega dovrà essere «compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita» (articolo 26, comma 1). Tale atipica clausola di «salvaguardia finanziaria» va considerata alla luce della complessità e del contenuto essenzialmente «metodologico e procedimentale» del provvedimento, che comporta un'obiettiva difficoltà a pervenire ex ante ad una quantificazione del complesso dei relativi effetti finanziari. È evidente come una simile previsione si proietti, per così dire, sulla fase di adozione dei singoli decreti e legittimi una sua attuazione aperta e partecipata da parte del Parlamento nazionale, delle regioni e degli enti locali. Le uniche spese per le quali si dispone una copertura a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio sono quelle derivanti dall'attuazione degli articoli 4 e 5 (relativi, rispettivamente, alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - articolo 26, comma 3). Al riguardo, ricorda come la questione dei costi e degli effetti finanziari del disegno di legge sia stata ampiamente affrontata nel corso dell'esame presso il Senato, nell'ambito del quale il Ministro dell'economia e delle finanze ha tra l'altro sottolineato come la complessità della delega non consenta una compiuta valutazione ex ante dei suoi effetti sui saldi di finanza pubblica. Al fine di rispondere, almeno in parte, all'esigenza, da più parti sollevata, di approfondire nel dettaglio le grandezze e i profili finanziari derivanti dall'attuazione della delega, nel corso dell'esame al Senato è stato disposto che almeno uno dei decreti legislativi sia adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge e che in tale occasione il Governo debba trasmettere alle Camere, in allegato al

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relativo schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (articolo 2.comma 6). Ai fini della valutazione degli effetti finanziari segnala comunque come tra i criteri direttivi di carattere generale di cui all'articolo 26 figuri sia un vincolo in base al quale al trasferimento delle funzioni deve corrispondere un trasferimento del personale - evidentemente diretto a garantire una simmetria tra la riallocazione delle funzioni e la dotazione del relativo capitale umano e finanziario, finalizzata ad evitare una possibile duplicazione di funzioni e pertanto di costi a carico della finanza pubblica - sia la previsione di meccanismi idonei a salvaguardare l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria.
Conclusivamente esprime l'auspicio che l'esame delle Commissioni riunite consenta di apportare miglioramenti al testo, in modo che il provvedimento possa essere il più possibile condiviso, nell'interesse del Paese.

Gianfranco CONTE, presidente, in considerazione dell'imminente avvio delle comunicazioni del Presidente in Assemblea, sospende brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 10.05, è ripresa alle 10.15.

Antonio PEPE (PdL), relatore per la VI Commissione, segnala in primo luogo come l'obiettivo di fondo del provvedimento sia quello di rendere più efficiente lo Stato, realizzando, in prospettiva, una riduzione della pressione tributaria ed una riduzione della spesa pubblica, contribuendo in tal modo al rilancio dell'economia nazionale.
Ricorda inoltre che il disegno di legge, avendo carattere di delega, non potrà necessariamente esaurire tutte le numerosissime problematiche connesse con l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, molte delle quali dovranno essere risolte nella successiva fase, che si svilupperà lungo l'arco temporale di esercizio della delega: in questa prospettiva appare utile tratteggiare gli aspetti fondamentali del provvedimento, nonché individuare le tematiche principali ad esso sottese, al fine di indirizzare nel modo più proficuo il lavoro delle Commissioni.
Con il provvedimento si punta ad assicurare una maggiore autonomia di spesa e di prelievo per gli Enti locali, che però dovrà sempre muoversi all'interno di un quadro di unità nazionale. Le politiche di entrata e quelle di spesa vengono così avvicinate, responsabilizzando gli Enti locali al fine di assicurare efficienza nei servizi. Un'efficienza che deve necessariamente coniugarsi con il principio di solidarietà nazionale.
Il disegno di legge punta ad attuare finalmente il disposto dell'articolo 119 della Costituzione, relativo all'autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, in un quadro articolato di principi e criteri direttivi che ne assicurino un solido ancoraggio con i principi costituzionali, nonché il coordinamento con l'ordinamento tributario e finanziario della Repubblica, nell'ambito più generale dei vincoli sanciti dal Patto di stabilità europeo.
Il sistema tributario delle regioni e degli enti locali viene dunque ulteriormente sviluppato, attraverso la previsione di tributi propri in senso stretto, di tributi propri derivati, di compartecipazioni a tributi erariali e di riserve di aliquota relative a tali ultimi tributi.
In tale contesto si punta a responsabilizzare maggiormente le regioni e gli enti locali, nonché a contemperare l'autonomia finanziaria e la flessibilità fiscale per i livelli di governo decentrati con l'esigenza di rispettare i principi di capacità contributiva, di territorialità dei tributi locali, di esclusione della doppia imposizione e dell'esportazione di imposte, di neutralità dell'imposizione.
Segnala quindi come il disegno di legge abbia subito significative modifiche nel

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corso dell'esame al Senato che hanno integrato i criteri direttivi su molti aspetti significativi, sottolineando in particolare la necessità di rispettare e valorizzare il principio di solidarietà e le esigenze di perequazione territoriale, anche di carattere infrastrutturale, nonché i profili di collaborazione interistituzionale tra i diversi livelli di governo. In questo senso si inquadra la scelta, compita dal disegno di legge, di adottare un sistema di perequazione verticale.
L'elemento cardine dell'impostazione del disegno di legge rimane il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli Enti locali.
Con riferimento ai costi standard, che costituiranno la base per valutare i fabbisogni da finanziare, l'impostazione seguita dal disegno di legge prevede di fare riferimento ai costi effettivi delle funzioni, per costruire un sistema di finanziamento in grado di promuovere ed incentivare i comportamenti virtuosi, garantendo nel contempo i livelli e la qualità dei servizi resi ai cittadini. Parallelamente alla determinazione dei fabbisogni standard, è prevista l'attivazione di procedure di monitoraggio e la definizione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi e sanzionatori per il mancato rispetto degli equilibri economico-finanziari e per la mancata garanzia dei livelli essenziali delle prestazione o esercizio delle funzioni fondamentali, che possono arrivare sino alla previsione della sanzione dell'ineleggibilità nei confronti degli amministratori inadempienti.
In merito alle modalità di finanziamento delle funzioni, il modello proposto dal disegno di legge si fonda sulla distinzione tra le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza - finanziate integralmente - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria e pertanto nei limiti della capacità fiscale degli enti decentrati, pur con il sussidio anche in tal caso del fondo perequativo.
In tale prospettiva si ipotizza un doppio canale perequativo, valido per tutti i livelli di governo, in base al quale sarà garantita una perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali degli Enti locali, mentre le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno finanziate (non necessariamente in modo integrale) secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale (ma non integrale) livellamento delle differenti capacità fiscali pro-capite dei diversi territori, il cui ordine dovrà rimanere inalterato.
Passando a sintetizzare le singole disposizioni del provvedimento, l'articolo 1 circoscrive l'ambito dell'intervento normativo, specificandone le finalità di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e indicando che dovrà essere gradualmente sostituito, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica, al fine di garantirne la massima responsabilizzazione, nonché l'effettività e trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti.
In tale contesto il comma 2 precisa che le disposizioni applicabili in materia di coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome sono quelle contenute negli articoli 14, 21 e 25 del provvedimento.
L'articolo 2, interamente sostituito durante l'esame in sede referente al Senato, individua i principi e i criteri direttivi di carattere generale per l'esercizio della delega, cui vanno poi ad aggiungersi gli specifici principi e criteri direttivi indicati nei singoli articoli successivi con riguardo ai diversi profili di attuazione dell'articolo 119.

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Tra i principi ed i criteri direttivi di carattere generale sono indicati:
l'autonomia di entrata e di spesa e la maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile finanziaria di tutti i livelli di governo;
la lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali; la razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso;
il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'azione di contrasto all'evasione fiscale;
la razionalità dei singoli tributi e del sistema tributario, la semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi ed il rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente;
l'attribuzione di risorse autonome ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, di modo che le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di Regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;
la determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo o fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, e tenendo conto anche del rapporto tra il numero dei dipendenti dell'ente territoriale e il numero dei residenti, costituisce l'indicatore rispetto a cui comparare e valutare l'azione pubblica, nonché gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle rispettive funzioni;
l'adozione per le politiche di bilancio da parte di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita;
l'individuazione dei principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato;
la coerenza con i principi stabiliti dall'articolo 53 della Costituzione in materia di prelievo tributario;
il superamento graduale del criterio della spesa storica, che dovrà essere sostituito da quello del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali e da quello della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;
l'esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto di imposta, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;
la tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate dagli enti territoriali;
la possibilità, per le Regioni, di istituire tributi regionali e locali, determinare variazioni delle aliquote applicate dagli altri enti locali, nonché di istituire compartecipazioni sui tributi propri o sulle proprie compartecipazioni, con esclusione, sia per lo Stato sia per le regioni stesse, di ogni intervento sui tributi non appartenenti al proprio livello di governo;
la previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto di quanto riscosso agli enti titolari del tributo;

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la previsione che i tributi erariali compartecipati siano integralmente contabilizzati nel bilancio dello Stato;
la definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;
la previsione di specifiche modalità attraverso cui il Governo, nel caso in cui la Regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie, fino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;
la garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;
la riduzione della imposizione fiscale statale in misura adeguata, corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali, calcolata ad aliquota standard, e la corrispettiva riduzione delle risorse statali umane e strumentali;
l'eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
la valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale;
la territorialità dell'imposta dei tributi regionali e locali e dei gettiti delle compartecipazioni, in conformità a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione;
la neutralità dell'imposizione ed il divieto di esportazione delle imposte;
l'individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa.

Per quanto riguarda la procedura di adozione dei decreti legislativi, essi sono trasmessi alle Camere perché sia espresso il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, prevista dall'articolo 3,e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione.
Viene inoltre delineato un meccanismo volto a rafforzare il parere della predetta Commissione, in omaggio a un'esigenza unanimemente condivisa da maggioranza e opposizione, prevedendo che il Governo, se non intende conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per l'espressione di un nuovo parere da parte della Commissione.
Infine, si prevede che almeno uno dei decreti legislativi sia adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delega, e che il Governo trasmetta alle Camere, in allegato al relativo schema di decreto, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

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L'articolo 3, introdotto durante l'esame al Senato, istituisce una Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. L'istituzione di un organismo parlamentare demandato ad esprimere il parere sugli schemi di decreto legislativo emanati in forza della delega, il cui esame sarebbe dunque sottratto alle Commissioni parlamentari permanenti competenti in materia, è stata richiesta in particolare dall'opposizione, con la motivazione di concentrare in un unico organo parlamentare la procedura per l'esame degli schemi di decreto legislativo adottati ai sensi della delega, al fine di permettere alle Camere di verificare mediante un'accurata analisi i profili politici e tecnici delle scelte compiute dal Governo in sede di attuazione della delega.
In dettaglio, l'articolo disciplina i criteri di composizione e di funzionamento della Commissione, prevedendo che essa sia composta da quindici senatori e da quindici deputati, in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari, e che assicuri inoltre il raccordo con le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata.
Per quanto attiene alla definizione delle sue competenze, si stabilisce che essa esprima i pareri sugli schemi dei decreti legislativi e verifichi lo stato di attuazione della delega, riferendone ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria e avvalendosi a tal fine del supporto informativo della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale o della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
Per quanto riguarda gli altri organismi coinvolti nell'attuazione della delega, l'articolo 4 prevede l'istituzione di una Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, mentre l'articolo 5 istituisce la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
In merito al primo degli organismi richiamati, si stabilisce che di esso facciano parte, su base paritaria, rappresentanti tecnici dello Stato e degli enti di cui all'articolo 114, secondo comma, della Costituzione, con la partecipazione alle sue riunioni anche di un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e di uno del Senato della Repubblica.
Per quanto riguarda i relativi compiti, la Commissione tecnica è chiamata ad acquisire ed elaborare gli elementi conoscitivi necessari per la predisposizione dei decreti legislativi previsti dall'articolo 2. In particolare la Commissione, che opera nell'ambito della Conferenza unificata, realizza le rilevazioni e le attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi, connessi alla condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, aggiungendosi alla funzione di segreteria tecnica della Conferenza di cui all'articolo 5.
Rispetto al testo originario del disegno di legge, la novità più significativa introdotta nel corso dell'esame al Senato riguarda il superamento del carattere transitorio dell'organismo, che assume ora natura permanente.
Per quanto riguarda invece la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita dall'articolo 5, essa costituirà l'organismo istituzionale per il funzionamento del nuovo ordinamento finanziario, svolgendo altresì compiti di verifica circa il funzionamento del sistema finanziario pubblico nel suo complesso.
In particolare, la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica di ogni comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento.
Inoltre, essa propone i criteri per l'utilizzo dei fondi perequativi, secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione; verifica l'utilizzo dei fondi per gli interventi speciali e assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle

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funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema; verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.
Nel corso dell'esame al Senato si è specificato che essa è destinata a operare sino alla revisione delle norme del Titolo I della Parte seconda della Costituzione.
L'articolo 6, inserito nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, rafforza i compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, per comprendervi il potere di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.
Passando al Capo II, che disciplina i rapporti finanziari Stato - Regioni, l'articolo 7 detta i principi e i criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali.
In particolare si stabilisce che le Regioni dispongono di tributi propri derivati, aliquote riservate sulle basi imponibili di tributi erariali e tributi propri istituiti con leggi regionali. Inoltre si precisa che le modalità di attribuzione dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni sono definite tenendo conto il luogo del consumo, la localizzazione dei cespiti, il luogo di prestazione del lavoro o la residenza del percettore, prevedendo altresì che il gettito di tali tributi e compartecipazioni non hanno vincoli di destinazione.
Le principali modifiche apportate nel corso dell'esame al Senato sono volte a precisare che gli interventi regionali sulla struttura dei tributi propri derivati e delle aliquote riservate debbono avvenire nel rispetto della normativa comunitaria, facendo salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione.
In secondo luogo, in relazione ai tributi aventi quale presupposto i consumi, le modalità di attribuzione alle regioni del loro gettito devono tenere conto del luogo di consumo, il quale si identifica, per i servizi, nel domicilio del soggetto fruitore finale.
L'articolo 8 reca i principi e i criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento.
In particolare si prevede la definizione di una disciplina volta a classificare, tra le spese connesse alle funzioni regionali, quelle che sono riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione; tali spese devono essere ricondotte ai costi standard, e devono essere erogate in condizioni di efficienza ed appropriatezza su tutto il territorio nazionale.
In questo contesto si prevede che le spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni siano finanziate con il gettito dei tributi regionali, con una riserva di aliquota IRPEF o dell'addizionale IRPEF ovvero della compartecipazione regionale all'IVA, con quote specifiche del fondo perequativo, nonché, in via transitoria, con il gettito IRAP, di cui si prevede la soppressione.
Le spese diverse sono invece finanziate con il gettito dei tributi propri o con le quote del fondo perequativo.
Si prevede inoltre la soppressione dei trasferimenti statali relativi alle spese rientranti nella competenza legislativa delle Regioni, sia per quanto riguarda le spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, sia per quanto riguarda le spese diverse.
Per quanto riguarda le modifiche apportate al testo nel corso dell'esame al Senato, si segnala la previsione secondo cui, per quanto riguarda il finanziamento del trasporto pubblico locale, l'attribuzione delle quote del fondo perequativo sia

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subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale.
Inoltre si stabilisce che l'utilizzo delle compartecipazioni sia tendenzialmente limitato ai soli casi in cui occorre garantire il finanziamento integrale della spesa.
Particolarmente significativa appare la modifica introdotta alla lettera h) del comma 1, in base alla quale le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese per le funzioni fondamentali delle regioni siano determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), in una sola regione (e non più, come nel testo originario del disegno di legge, in «almeno una regione»).
Da ciò sembra discendere che, se ci si dimensionerà al minimo previsto (come appare l'ipotesi più accreditata) in tutte le Regioni, meno una, il gettito fiscale non sarà sufficiente a coprire le spese «essenziali» e dovrà in tal caso intervenire la perequazione; al Fondo perequativo dovrebbero pertanto partecipare tutte le Regioni, tranne quella il cui fabbisogno per i LEP sia già coperto da tributi e compartecipazioni.
Al comma 3 viene altresì specificato che le spese per l'istruzione rientranti nelle spese essenziali individuate con riferimento alla lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, le quali devono essere finanziate integralmente, sono quelle per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle Regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore del disegno di legge.
L'articolo 9 detta i principi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi per la determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo statale a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante.
In particolare si istituisce un fondo perequativo statale di carattere verticale, alimentato da una compartecipazione al gettito IVA, nonché da una quota dell'addizionale regionale all'IRPEF.
Il fondo è ripartito in modo da finanziare la differenza tra il fabbisogno standard necessario alla copertura delle spese per i servizi essenziali (tra i quali la sanità, l'assistenza e l'istruzione) ed il gettito regionale dei tributi dedicati a tali spese. Il fondo è ripartito, senza vincoli di destinazione, in favore delle Regioni nelle quali il gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, tenendo inoltre conto, per le Regioni al di sotto di una soglia di popolazione ancora da definire, del fattore della dimensione geografica.
In tale contesto, nel corso dell'esame al Senato è stato inserito il principio per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l'integrale copertura.
L'articolo 10 contiene i principi e i criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni.
In particolare si prevedono la cancellazione degli stanziamenti di spesa contenuti nel bilancio dello Stato relativi a tali funzioni, la riduzione delle aliquote dei tributi erariali, l'incremento dei tributi propri regionali e delle addizionali, nonché della compartecipazione regionale all'IVA.
Si stabilisce inoltre una verifica periodica, da effettuarsi secondo modalità che saranno definite, circa la congruità, sia sotto l'aspetto del gettito sia sotto quello della correlazione con le funzioni, dei tributi posti a riferimento per la copertura del fabbisogno standard.
L'articolo 11, interamente sostituito nel corso dell'esame al Senato, detta i principi e i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi di cui all'articolo 2, in materia di finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane.

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Si prevede, in primo luogo, la classificazione delle spese relative alle funzioni degli enti metropolitani, nonché le modalità di finanziamento delle predette spese, sulla base del fabbisogno standard con soppressione dei trasferimenti statali e regionali.
Per quanto riguarda le innovazioni introdotte nel testo durante l'esame presso l'altro ramo del Parlamento, si afferma il principio per cui l'individuazione delle funzioni fondamentali è rimessa alla legislazione statale.
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento integrale di tali funzioni, in base al fabbisogno standard, si è specificato che la manovrabilità dei tributi erariali e regionali per i quali è attribuita ai comuni un'aliquota addizionale tiene conto delle fasce demografiche dei comuni; inoltre, è stato introdotto il principio che prevede la valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, e dei territori montani.
Per quanto attiene invece le modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle Città metropolitane, sono state richiamate le modalità di cui all'articolo 7 della n. 131 del 2003, (cosiddetta legge «La Loggia»), al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento.
L'articolo 12 detta i principi ed i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi con riguardo al coordinamento e all'autonomia tributaria degli enti locali.
A tale riguardo si prevede:
a) l'individuazione, con legge statale, dei tributi comunali e provinciali;
b) il riconoscimento di una compartecipazione dei Comuni al gettito dell'IRPEF, il mantenimento dell'addizionale al medesimo importo ed il riconoscimento di un tributo proprio comunale;
c) il riconoscimento alle Province di una compartecipazione all'IRPEF e di un tributo proprio provinciale;
d) la possibilità, per le Regioni, di istituire nuovi tributi dei Comuni, delle Province e delle città metropolitane, ovvero di istituire a favore di tali enti compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali.

Per quanto riguarda le modificazioni apportate nel corso dell'esame al Senato, in primo luogo, quanto alle modalità di finanziamento delle spese dei comuni inerenti alle funzioni fondamentali, si è introdotto anche il principio per cui esse sono prioritariamente finanziate, alternativamente o cumulativamente, dal gettito derivante da una compartecipazione all'IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, alla data di entrata in vigore del disegno di legge.
In secondo luogo, per quanto concerne le spese delle province relative alle loro funzioni fondamentali, si è stabilito che esse sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale. Nel corso dell'esame al Senato, il testo originale è stato modificato nel senso di chiarire che i tributi di scopo - tanto per le province quanto per i comuni - possono essere anche più d'uno.
Infine, la previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni comprende anche la possibilità di attribuire loro maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali e non soltanto

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- come previsto nel testo originario - attraverso il solo incremento dell'autonomia impositiva.
Per quanto riguarda l'articolo 13, che detta i principi ed i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi con riguardo all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, si prevede l'istituzione, nel bilancio di ciascuna Regione, di un fondo perequativo per i Comuni e di un fondo perequativo per le Province, alimentati da un fondo perequativo dello Stato, con separata indicazione degli stanziamenti per i comuni e per le province. La ripartizione dei fondi tra i singoli enti è effettuata sulla base:
1) di un indicatore di fabbisogno finanziario risultante dalla differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi ed il valore standardizzato del gettito dei tributi e delle entrate proprie: la spesa corrente standardizzata è calcolata sulla base di una quota uniforme per abitante corretta in ragione dell'ampiezza e delle caratteristiche demografiche, nonché delle caratteristiche territoriali dell'ente;
2) di indicatori del fabbisogno infrastrutturale dei singoli enti.

La dimensione del fondo, con poste contabili separate per i comuni e per le province, è il risultato di una sottrazione, con riguardo alle funzioni fondamentali. In particolare la sottrazione avviene, a seguito delle modifiche apportate al testo in sede referente, tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell'articolo 12, esclusi i contributi di cui all'articolo 15.
Inoltre, la ripartizione della perequazione tra i singoli enti con specifico riferimento alle funzioni fondamentali avviene in base a due tipi di indicatori di fabbisogno, uno di carattere finanziario (spesa corrente) ed altri relativi alle infrastrutture (spesa in conto capitale).
Sono stati inoltre definiti i criteri di riparto delle quote del fondo e si è introdotto anche il principio che prevede la definizione di modalità in base alle quali, per le spese relative all'esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative.
Nel corso dell'esame in sede referente al Senato è stato altresì soppresso, accogliendo una specifica richiesta dei gruppi di opposizione, l'articolo 13 del testo originario del disegno di legge, che disciplinava il finanziamento e il patrimonio di Roma capitale. La soppressione è correlata all'introduzione nel testo dell'articolo 23, concernente l'ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione: a tale proposito nel corso dell'esame in sede referente al Senato è stata più volte richiamata la necessità di affidare la delineazione della disciplina «a regime» delle prerogative finanziarie e patrimoniali di Roma capitale a uno specifico e autonomo disegno di legge, per approfondirne tutti gli aspetti attraverso un ampio confronto tra le varie forze parlamentari.
L'articolo 14 - dedicato alla disciplina del finanziamento delle città metropolitane ed ampliamente modificato al Senato - prevede, al comma 1 uno specifico decreto legislativo - in luogo del rinvio alla legge statale contenuto nel testo del Governo - per assicurare il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche attraverso specifici tributi che garantiscano una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni.
Nel corso dell'esame al Senato è stato soppresso il comma 2 del testo originario, il quale prevedeva che, fino alla realizzazione

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delle Città metropolitane fosse assicurato il finanziamento delle funzioni dei relativi Comuni capoluogo, nello stesso modo previsto per le Città metropolitane nel comma 1, ovvero garantendo una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. La decisione di sopprimere tale comma - in accoglimento di una specifica osservazione dell'opposizione - intende evitare che l'attribuzione ai comuni capoluogo, nella fase transitoria, delle prerogative finanziarie delle città metropolitane ne rallenti la costituzione.
L'articolo 15 detta i principi ed i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che disciplinano gli interventi speciali di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione.
In primo luogo la lettera a) prevede la definizione delle modalità per cui tali interventi saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell'Unione europea e con cofinanziamenti nazionali: un'integrazione apportata al Senato dispone che l'effettuazione degli interventi sarà informata al metodo della programmazione pluriennale.
La lettera b) stabilisce la confluenza in appositi fondi destinati agli enti locali dei contributi speciali recati dal bilancio dello Stato.
La lettera c) impone di considerare - nella quantificazione e allocazione degli interventi - le specificità territoriali, il deficit infrastrutturale, i diritti della persona, la collocazione geografica degli enti, la loro prossimità al confine con altri Stati o con Regioni ad autonomia speciale, il carattere montano dei territori e - in base a un'integrazione apportata in sede referente - delle isole minori.
La lettera d) dispone l'individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l'esercizio effettivo dei diritti della persona.
Infine, la lettera e) - integrata durante l'esame al Senato - stabilisce che l'entità delle risorse è determinata dai provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria.
Il Capo VI disciplina il coordinamento dei diversi livelli di governo: in tale ambito l'articolo 16 detta i principi e i criteri direttivi relativi al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo.
In particolare si stabilisce:
la garanzia della trasparenza delle diversità delle capacità fiscali di ciascun livello di governo e delle sue eventuali modifiche;
la possibilità per le regioni di differenziare le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alle loro diversità finanziarie;
il rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, al fine di assicurare che ciascuna Regione ed ente locale sia in regola con il Patto di stabilità interno;
la determinazione dei parametri fondamentali in base ai quali valutare la virtuosità dei comuni, ai fini dell'attivazione di meccanismi premiali o sanzionatori dell'autonomia finanziaria;
l'individuazione di indicatori di efficienza e adeguatezza idonei a garantire uno standard qualitativo adeguato nell'erogazione dei servizi forniti dalle regioni e dagli enti locali;
l'introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti virtuosi e di un sistema sanzionatorio per quelli che non lo sono, con il blocco automatico delle assunzioni per gli enti che superano i parametri fissati a livello nazionale concernenti il rapporto tra numero dei propri dipendenti e numero dei residenti, e individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.

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La formulazione dell'articolo 17, che attiene al patto di convergenza verso i costi e i fabbisogni standard, trae spunto da una proposta avanzata nel corso dell'esame al Senato dal gruppo del Partito democratico.
La disposizione autorizza il Governo - previo confronto e valutazione congiunta in Conferenza unificata - a proporre, nell'ambito del disegno di legge finanziaria, norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica, al fine di realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo.
Le norme sul coordinamento dinamico sono altresì volte a stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi finanziari da rispettare, gli obiettivi di servizio, il livello di ricorso al debito e l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria di Regioni ed enti locali.
Le norme di coordinamento proposte dal Governo nel disegno di legge finanziaria devono essere coerenti con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati nel Documento di programmazione economico-finanziaria. Qualora il monitoraggio rilevi che gli obiettivi assegnati ad uno o più enti non siano stati raggiunti, è compito dello Stato - d'intesa con la Conferenza unificata - attivare un procedimento denominato piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza. Tale piano - limitato agli enti che presentano gli scostamenti maggiori a livello di costo medio per abitante - ha lo scopo di acclarare i motivi alla base degli scostamenti e di stabilire i correttivi da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.
L'articolo 18 detta i principi e i criteri direttivi cui devono informarsi i decreti legislativi che stabiliscono i principi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, sulla base del criterio di territorialità.
In particolare si prevede l'attribuzione gratuita ad ogni livello di Governo, previa concertazione in sede di Conferenza unificata, di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni, alle capacità finanziarie ed alle competenze effettivamente svolte. Tale attribuzione avverrà, per quanto riguarda i beni immobili, sulla base del criterio di territorialità,
In tale ambito si stabilisce che saranno individuate tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, tra i quali quelli appartenenti al patrimonio culturale nazionale.
Per quanto riguarda le norme transitorie, contenute nel Capo VIII, l'articolo 19 stabilisce i principi ed i criteri direttivi cui si devono conformare i decreti legislativi con riguardo alla fissazione di una disciplina transitoria per le Regioni.
In particolare, si prevede che l'utilizzo dei criteri di calcolo del fondo perequativo in favore delle Regioni si applichi dopo un periodo transitorio, nella quale si opererà un graduale passaggio dai trasferimenti rilevati in media nel triennio 2006-2008 ai nuovi criteri di calcolo delineati dall'articolo 9. Questi ultimi saranno utilizzati a partire dall'effettiva quantificazione delle risorse necessarie a finanziare i livelli essenziali delle prestazioni.
Per operare tale quantificazione si richiede un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni, mentre il testo iniziale del Governo faceva riferimento ad un periodo di tempo sostenibile, anche se l'inizio di decorrenza di tale periodo quinquennale è comunque rimesso ai decreti legislativi.
Per le materie diverse dai livelli essenziali delle prestazioni, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante - secondo una precisazione inserita dalle Commissioni - in cinque anni.
Nel caso in cui - in sede di attuazione dei decreti legislativi - emergano situazioni

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oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune Regioni, lo Stato ha la facoltà di attivare a proprio carico meccanismi correttivi di compensazione di durata pari al periodo transitorio quinquennale.
In ogni caso si stabilisce la garanzia per le regioni che, in sede di prima applicazione del nuovo meccanismo, sarà coperto il differenziale tra i dati previsionali ed il gettito dei tributi e delle compartecipazioni, e che il gettito delle nuove entrate non sia inferiore ai trasferimenti per le spese relative alle materie di competenza legislativa delle regioni, prevedendosi inoltre una verifica circa la congruità delle risorse finanziarie.
L'articolo 20 reca i principi per la definizione delle norme transitorie relative al finanziamento delle funzioni degli enti locali.
In particolare si prevede:
che le ulteriori funzioni amministrative devolute agli enti locali ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione siano adeguatamente finanziate dallo Stato e dalle regioni;
la garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province sia, per il complesso dei comuni e delle province, almeno pari al valore dei trasferimenti statali soppressi destinati a finanziare le spese riconducibili alle funzioni fondamentali e alle altre funzioni.

Inoltre i fondi perequativi dei comuni e delle province dovranno essere quantificati, per ciascun livello di governo, in misura pari alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi destinati a finanziare le spese riconducibili alle funzioni fondamentali e alle altre funzioni e le maggiori entrate spettanti ai comuni e alle province in luogo dei trasferimenti soppressi.
Nel determinare i fondi perequativi, occorrerà altresì tener conto dei criteri di graduale superamento della spesa storica, nonché definire regole, tempi e modalità della fase transitoria, in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, sia per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali sia per le altre spese.
Si prevede quindi, in via transitoria, che fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali il fabbisogno delle funzioni di comuni e province venga finanziato assumendo che l'80 per cento delle spese si riferisca alle funzioni fondamentali, e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali, per mezzo delle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, nonché dal fondo perequativo. Nelle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria sono ricomprese le compartecipazioni al gettito dei tributi regionali.
Un'ulteriore norma transitoria prevede, ai fini della quantificazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, che, per il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali, calcolate secondo il criterio del fabbisogno standard, si considerano provvisoriamente le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 1996. I commi 3 e 4 recano, rispettivamente per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni da ritenersi fondamentali. L'individuazione dell'elenco è funzionale alla quantificazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, da calcolarsi secondo il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali (valutate al costo standard) e, per le altre funzioni, secondo la riduzione delle differenze tra le capacità fiscali.
Infine, il comma 5 rimette ai decreti legislativi attuativi della legge la disciplina dell'eventuale adeguamento - che va concertato in sede di Conferenza unificata - dell'elenco provvisorio delle funzioni fondamentali degli enti locali.
L'articolo 21, inserito nel corso dell'esame al Senato, reca le modalità di attuazione degli interventi a finalità vincolata di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, limitatamente

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al profilo della dotazione infrastrutturale, individuando una forma di «perequazione infrastrutturale».
In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze predispone, d'intesa con i Ministri per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, e con gli altri Ministri competenti per materia, una ricognizione degli interventi infrastrutturali previsti dalle norme vigenti riguardanti la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, nonché le strutture portuali ed aeroportuali.
I principi e criteri direttivi a cui informare l'attività ricognitiva sono: l'estensione delle superfici territoriali interessate, la densità della popolazione e delle unità produttive, i particolari requisiti delle zone montane, la valutazione della dotazione infrastrutturale di ciascun territorio e la valutazione della specificità dei territori insulari.
In base al comma 2, nella fase quinquennale transitoria di passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard e delle capacità fiscali - occorre individuare, sulla base della ricognizione, gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Si specifica come tale individuazione sia finalizzata al recupero del deficit infrastrutturale, incluso quello riguardante il trasporto pubblico locale, e debba essere calibrata sulla base della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard. Gli interventi infrastrutturali così individuati sono altresì indicati nel programma da inserire nel documento di programmazione economico-finanziaria.
L'articolo 22 reca una disciplina transitoria relativa alle città metropolitane, in attesa dell'entrata in vigore di una disciplina organica in materia.
In particolare il comma 2 prevede che le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli, secondo le modalità indicate dai commi da 2 a 5.
La proposta è avanzata dal Comune capoluogo congiuntamente alla provincia, ovvero dal Comune capoluogo congiuntamente ad almeno il 50 per cento dei comuni della provincia che rappresentino almeno il 50 per cento della popolazione, ovvero ancora dalla provincia congiuntamente ad almeno il 50 per cento dei comuni della provincia stessa che rappresentino almeno il 50 per cento della popolazione.
Sulla proposta di costituzione, che deve contenere la perimetrazione della città metropolitana ed una proposta di statuto, è acquisito il parere della Regione ed è indetto un referendum tra tutti i cittadini dei comuni inclusi nella perimetrazione.
Nell'ambito di ciascuna città metropolitana il comma 6 prevede l'istituzione di un consiglio provvisorio della città metropolitana, composto dai sindaci dei comuni che vi fanno parte, e dal presidente della provincia.
In caso di istituzione, il comma 7 prevede che la provincia di riferimento cessi di esistere e siano soppressi tutti i relativi organi, a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana individuati dalla apposita legge di disciplina organica della materia, che dovrà altresì provvedere al trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite.
Secondo il comma 8, dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum e fino alla data di entrata in vigore della suddetta disciplina organica, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta e nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.
In base al comma 9, ai soli fini delle previsioni concernenti le spese e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via

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provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi. Ai sensi del comma 10, ai medesimi fini sono, altresì, considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano: a) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; c) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.
L'articolo 23, anch'esso introdotto nel corso dell'esame al Senato, reca, fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane, l'ordinamento transitorio di Roma Capitale, disciplinandone i confini territoriali e prevedendo altresì che essa disponga di speciale autonomia statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione.
In particolare, secondo i principi e criteri direttivi contenuti al comma 3, sono attribuite a Roma Capitale le ulteriori funzioni amministrative relative:
alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali;
alla difesa dall'inquinamento;
allo sviluppo economico e sociale di Roma;
allo sviluppo urbano e alla pianificazione territoriale;
all'edilizia pubblica e privata;
all'organizzazione e funzionamento dei servizi urbani;
alla protezione civile;
alle ulteriori funzioni devolute dallo Stato e dalle Regioni ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.

L'esercizio delle funzioni è disciplinato con regolamenti adottati dal Consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, dei principi della legislazione statale e di quella regionale nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma Capitale.
Con specifico decreto legislativo, adottato sentiti la Regione Lazio, la Provincia di Roma e il Comune di Roma, è disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma Capitale.
Sono infine previsti principi e criteri direttivi specifici per l'attribuzione alla città di Roma, Capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio.
L'articolo 24 contiene i principi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni delle Regioni e degli enti locali, prevedendo adeguate forme di collaborazione di tali enti come il Ministero dell'Economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate, che dovranno realizzarsi attraverso la configurazione di centri di servizio regionali per la gestione dei tributi, nel quadro di apposite convenzioni tra gli enti decentrati ed il Ministro dell'economia, con le quali saranno stabilite le modalità gestionali, operative e di ripartizione degli oneri e degli introiti derivanti dall'attività di recupero dell'evasione. Nel corso dell'esame al Senato è stato inserito un richiamo al rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione delle entrate di loro competenza.
L'articolo 25, recante le norme di coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, prevede che, con norme di attuazione dei rispettivi statuti, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano stabiliscano i criteri e le modalità per il concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà.
Tali norme dovranno tener conto delle dimensioni finanziarie di tali enti, delle funzioni esercitate, degli svantaggi strutturali e dei livelli di reddito pro capite. In tale contesto le predette norme disciplineranno, per quanto di competenza, il coordinamento tra la normativa statale in materia di finanza pubblica e le corrispondenti

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leggi regionali e provinciali, definiranno i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario relativamente alla potestà legislativa attribuita a tali enti, ed individueranno forme di fiscalità di sviluppo.
Le più significative differenze apportate nel corso dell'esame al Senato riguardano la previsione di mantenere ferma la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nei casi in cui lo Stato debba assicurare il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale.
Si prevede inoltre che, a fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, rispettivamente le norme di attuazione definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise.
Sono state poi introdotte disposizioni che disciplinano la procedura di emanazione delle norme di attuazione dell'articolo, e che prevedono ulteriori compiti per la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, la quale, integrata da un rappresentante tecnico della regione o della provincia autonoma interessata, svolge una ricognizione delle disposizioni vigenti relative all'ordinamento finanziario di tali enti.
L'articolo 26 reca disposizioni di salvaguardia finanziaria, stabilendo che l'attuazione della normativa di delega deve risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il Patto europeo di stabilità e crescita.
Nel corso dell'esame in sede referente al Senato si è precisato che i decreti legislativi di attuazione della delega devono individuare meccanismi idonei ad assicurare coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni debba corrispondere un trasferimento del personale, tale da evitare ogni duplicazione di funzioni, e che deve essere garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo.
Si stabilisce inoltre, al comma 3, che alle spese derivanti dall'attuazione degli articoli 4 e 5, recanti l'istituzione della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, si fa fronte con gli ordinari stanziamenti di bilancio.
L'articolo 27 prevede infine che i decreti legislativi emanati ai sensi della delega contenuta nell'articolo 2 indicano le disposizioni incompatibili, disponendone conseguentemente l'approvazione.
Passando quindi ad alcune valutazioni complessive sul provvedimento, evidenzia innanzitutto come il disegno di legge tocchi sostanzialmente tutte le questioni attinenti all'istituzione di un sistema fiscale federalista, lasciando ovviamente impregiudicato il quadro costituzionale relativo al riparto di funzioni tra Stato ed autonomie locali.
Si tratta di un punto che merita un approfondimento, potendosi ritenere logicamente che le risorse attribuite agli enti decentrati debbano essere calibrate in base agli effettivi compiti a questi attribuiti.
Una compiuta e coerente attuazione dell'articolo 119 della Costituzione richiede anche una serie di interventi di riassetto istituzionale ed amministrativo che dovrebbero accompagnare il processo riformatore nella prospettiva di un complessivo aggiornamento dell'architettura istituzionale del Paese.
In primo luogo occorrerebbe, in prospettiva, ripensare l'attuale assetto bicamerale, al fine di assicurare un'adeguata rappresentanza alle autonomie territoriali ed individuare una sede istituzionale adeguata ad assumere le scelte connesse con il funzionamento del nuovo sistema tributario. Si tratta, del resto, di una prospettiva prefigurata dallo stesso disegno di

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legge, il quale si pone il problema di individuare un organismo deputato a tali scelte, istituendo, all'articolo 5, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ma riconosce a quest'ultima carattere temporaneo, fino alla riforma del Titolo I della Parte seconda della Costituzione (relativa appunto alla disciplina costituzionale del Parlamento).
Sotto un ulteriore profilo si pone il tema del migliore chiarimento del quadro delle competenze legislative e delle funzioni svolte dai diversi livelli di governo, superando gli elementi di incertezza insorti con riferimento al nuovo Titolo V della Costituzione, in particolare in alcuni settori di importanza cruciale per il rilancio competitivo del Paese, quali l'energia e le grandi reti infrastrutturali.
In tale contesto occorre garantire la necessaria corrispondenza tra funzioni, risorse e responsabilità attribuite ai diversi livelli di governo, procedendo, con legge dello Stato, ad attuare il disposto dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, al fine di individuare in termini più specifici le funzioni fondamentali degli enti locali. Tale individuazione appare infatti necessaria per determinare il fabbisogno delle funzioni di comuni e province, il quale è stato calcolato transitoriamente considerando in modo forfettario l'80 per cento di esse come fondamentali e il restante 20 per cento come non fondamentali.
Con riferimento alle tematiche concernenti i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo, un primo aspetto da approfondire riguarda la ripartizione tra i diversi livelli di governo degli obiettivi di riduzione del deficit e del debito.
Occorre infatti coniugare l'ampliamento degli spazi di autonomia tributaria degli enti decentrati con il permanere, in capo allo Stato, di un rilevante ammontare di spese, a forte componente esogena, quali il pagamento del servizio del debito pubblico e di prestazioni non comprimibili nel quantum (pensioni, stipendi), a fronte della devoluzione alle regioni di tributi caratterizzati da una dinamica, in rapporto al PIL o ad altri fattori (tax compliance, accertamento), di cui lo Stato stesso non potrà beneficiare appieno.
Inoltre è necessario valutare le conseguenze determinate dall'attribuzione alle amministrazioni locali di quote rilevanti del patrimonio statale, sia per quanto riguarda la gestione dell'attivo patrimoniale dello Stato e la politica di dismissione del patrimonio disponibile, che l'attuale disciplina finalizza alla riduzione del debito, sia per quanto attiene alla gestione ed alle garanzie relative al debito pubblico stesso, che, come accennato in precedenza, rimarrebbe allo Stato.
Un altro dei nodi principali da sciogliere è quello del passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli Enti locali.
Tale passaggio richiederà infatti l'esercizio, da parte dello Stato, di una delicata funzione di raccolta ed elaborazione delle informazioni necessarie per l'individuazione di tali valori, che, oltre alla sanità, settore in cui sono già state fatte significative esperienze, dovrà essere esercitata in settori fondamentali quali l'istruzione, l'assistenza sociale e i trasporti pubblici locali.
Le modalità attraverso le quali giungere a tale obiettivo sono evidentemente assai varie e complesse, e dovranno fare riferimento ai costi effettivamente sostenuti a livello territoriale, prendendo come base i costi reali delle singole gestioni in relazione alle diverse funzioni. In tale contesto i costi standard dovranno inoltre essere commisurati ad un livello sufficientemente elevato di efficienza, in modo tale da poter costruire pragmaticamente un sistema di finanziamento in grado di promuovere ed incentivare i comportamenti virtuosi, garantendo nel contempo i livelli e la qualità dei servizi resi ai cittadini, in un'opera di contemperamento di istanze diverse.

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Il superamento, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica dovrà inoltre essere realizzato gradualmente, per consentire agli enti di riassorbire, comunque in tempi ragionevoli, eventuali eccessi di spesa, dovendosi tale proposito verificare se i cinque anni previsti dal disegno di legge delega siano congrui, anche alla luce dell'esperienza già maturata nel settore sanitario.
Sul versante delle entrate, l'attuazione del federalismo fiscale dovrebbe condurre ad una valorizzazione dei tributi propri degli enti territoriali, promuovendo l'autonomia impositiva di Regioni ed Enti locali, anche al fine di fare emergere in modo chiaro il collegamento tra l'imposizione tributaria e i servizi pubblici da erogare a livello territoriale.
Benché ampiamente condivisi, i principi e i criteri direttivi contenuti nel disegno di legge delega scontano un certo grado di genericità, in parte inevitabile, il quale potrebbe peraltro essere superato nel corso del prosieguo dell'iter parlamentare (si pensi al riguardo alle forme di «imposizione immobiliare» dei comuni o alla facoltà per le Regioni di istituire tributi propri ma solo se non incidenti su una base imponibile già tassata a livello statale).
Sempre in tema di entrate emerge inoltre l'esigenza di contemperare i principi, certamente condivisibili, di flessibilità e di manovrabilità dei tributi, con le più volte ribadite esigenze di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario. A tal fine sarà necessario adottare ogni cautela affinché la maggiore autonomia tributaria degli enti territoriali - e, segnatamente, la possibilità di manovra loro riconosciuta in tema di deduzioni, aliquote ed agevolazioni - non comporti una eccessiva frammentazione delle basi imponibili ed una moltiplicazione dei centri di prelievo, posto che una ulteriore complicazione del sistema, oltre ad allontanare i cittadini dalle istituzioni, potrebbe alimentare negativi fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Quello della semplificazione dovrà essere un obiettivo irrinunciabile della politica fiscale.
Il riconoscimento di una più ampia autonomia impositiva agli enti territoriali non dovrà, inoltre, tradursi in un incremento del prelievo fiscale; eventuali recuperi di efficienza e risparmi di spesa dovrebbero invece essere utilizzati per una riduzione dei livelli di tassazione dei diversi livelli di governo e per un potenziamento dei servizi pubblici offerti a cittadini e imprese, soprattutto ove essi appaiano sottodimensionati.
Specifica attenzione dovrà poi essere dedicata alle modalità di partecipazione dei diversi enti all'attività di accertamento dei tributi, ed al necessario coordinamento tra i diversi livelli di governo in questo campo, nonché alle possibili conseguenze che ciò potrà avere su alcuni aspetti fondamentali dell'azione tributaria, quali l'omogeneità dell'azione amministrativa, l'aggiornamento delle risultanze documentali, il rapporto con i contribuenti.
Un punto essenziale è altresì costituito dalla valutazione degli effetti finanziari del provvedimento, rispetto al quale il Ministro dell'economia, nel corso dell'esame al Senato, ha segnalato come la complessità della delega renda impossibile una stima ex ante del suo impatto sulla finanza pubblica.
Tale considerazione è certamente fondata, in quanto l'impatto economico deal riforma dipende da un numero elevato di variabili tra loro correlate, il cui contenuto potrà essere definito solo in fase di attuazione, e pone il Parlamento ed il Governo di fronte ad una sfida indubbiamente complessa.
Da ultimo, svolge qualche riflessione su taluni aspetti del procedimento di esercizio della delega.
Si tratta, in particolare, della disposizione, introdotta all'articolo 3 nel corso dell'esame al Senato, secondo cui i pareri sugli schemi dei decreti legislativi predisposti sulla base della delega sono esaminati, oltre che dalle commissioni permanenti competenti per le conseguenze di carattere finanziario, dalla Commissione bicamerale istituita dal medesimo articolo 3, riprendendo il meccanismo utilizzato in altre occasioni, ad esempio dalle deleghe

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per la riforma del sistema tributario previste dalla legge n. 662 del 1996, sul quale tuttavia erano già emerse in passato talune perplessità.
Occorre infatti considerare come tale previsione, che è stata motivata con l'esigenza di concentrare in un unico organo parlamentare la procedura per l'esame degli schemi di decreto legislativo, escluderà le Commissioni Finanze di Camera e Senato dall'analisi degli schemi dei decreti legislativi, privandole conseguentemente della possibilità di seguire appieno l'intero processo di riforma, che investe profili essenziali per le loro competenze istituzionali.
Il confronto su questa materia impone evidentemente una riflessione anche sul piano propriamente culturale, oltre che sul terreno tecnico, dei contenuti del provvedimento.
Luigi Einaudi, non un moderno o contemporaneo ideologo del federalismo fiscale, scriveva, nel lontano 1959, che se gli Enti locali vivono di proventi ricevuti, ovvero rinunciati, dallo Stato, manca l'orgoglio del vivere del proprio sacrificio e sorge la psicologia del vivere a spese altrui.
Ovviamente, ogni idea relativa ad un'autonomia impositiva da parte degli Enti locali presuppone la costruzione di quella che si può definire come una nuova «etica della responsabilità». Una responsabilità cui ha fatto appello, non molto tempo fa, lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiamando ad un salto di qualità soprattutto gli amministratori del Mezzogiorno d'Italia.
Alla luce delle considerazioni appena svolte ritiene dunque particolarmente opportuno il ciclo di audizioni previsto per i prossimi giorni, il quale potrà consentire di acquisire elementi utili per approfondire le tematiche appena evidenziate ed orientare conseguentemente il dibattito.
Auspica quindi che sul provvedimento si possa registrare la più ampia condivisione da parte di tutte le forze politiche sul provvedimento, completando l'opera svolta al Senato, al fine di dare risposte compiute alle esigenze che in questa materia emergono dal Paese.
Si riserva infine di svolgere ulteriori considerazioni alla luce delle risultanze che si evidenzieranno nel corso delle audizioni.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 10.55.

AUDIZIONI INFORMALI

Martedì 10 febbraio 2009.

Audizione del Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, nell'ambito dell'esame in sede referente, del disegno di legge C. 2105 e abbinate, recante Delega al Governo in materia di federalismo fiscale.

L'audizione informale si è svolta dalle 10.55 alle 13.