CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 24 settembre 2008
60.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 13.35 alle 14.

COMITATO PERMANENTE PER L'ESAME DEI PROGETTI DI ATTI COMUNITARI E DELL'UE

Mercoledì 24 settembre 2008. - Presidenza del presidente Sandro GOZI.

La seduta comincia alle 14.

Comunicazioni del Presidente.

Sandro GOZI, presidente, avverte, con riferimento ai progetti di atti dell'Unione europea che il Comitato ha selezionato nella seduta dello scorso 18 settembre, che l'Ufficio di Presidenza della Commissione ne ha condiviso il rilievo prioritario, dando mandato al Comitato di svolgere un approfondimento istruttorio dei medesimi, ai fini del successivo esame - ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento - da parte della Commissione plenaria.
Nella seduta odierna il Comitato potrebbe approfondire la proposta di direttiva relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare (COM(2007)249).

Rocco BUTTIGLIONE (UdC) illustra i contenuti della proposta di direttiva relativa alle sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, evidenziando come si tratti di un atto che si colloca nell'ambito di una serie di direttive volte a definire una politica comune in materia di immigrazione. Osserva in proposito come si debba registrare un sensibile ritardo dal punto di vista della collaborazione bilaterale e multilaterale, di difficile applicazione soprattutto in tema di rimpatrio dei cittadini stranieri irregolari.
L'orientamento generale che emerge in ambito europeo è quello che i cittadini irregolari debbano essere rimpatriati, e tale impostazione si riflette anche sulla direttiva in esame; orientamenti di diversa natura, sostanzialmente riconducibili all'area della sinistra antagonista, sono risultati minoritari. L'applicazione di tale principio, tuttavia, appare tutt'altro che facile, anche tenuto conto di alcune questioni, politicamente sensibili, sulle quali richiama l'attenzione dei colleghi.
Si sofferma innanzitutto sulla distinzione tra immigrazione legale e illegale,

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evidenziando come la direttiva ipotizzi la presenza di immigrati legalmente presenti sul territorio, che accedono al mercato del lavoro nero, per decisione propria o del datore di lavoro. In Italia, tuttavia, si è in presenza, in ampia misura, di un fenomeno diverso, ossia di una immigrazione illegale, che lavora in nero, non perché lo voglia il lavoratore o il datore di lavoro, ma perché il sistema delle quote di accesso rende estremamente complessa la regolarizzazione di tali lavoratori. In un simile contesto, si corre il rischio che una normativa particolarmente severa rechi forti disagi sia agli imprenditori, oggetto di pesanti sanzioni penali, che ai lavoratori irregolari, esposti a provvedimenti di espulsione. Occorre pertanto, a suo avviso, sanare la situazione italiana con una gestione meno rigida dei flussi, poiché altrimenti l'adesione ad un sistema di misure particolarmente severe potrebbe rivelarsi un onere difficilmente gestibile da parte del Paese. Richiama in proposito, a titolo di esempio, una proposta avanzata sul punto dall'europarlamentare Claudio Fava, che ha ipotizzato di inserire nella direttiva una disposizione che preveda la regolarizzazione dei cittadini di paesi terzi nei casi nei quali il rapporto di lavoro appaia sostanzialmente regolare.
Rileva, del resto, come la direttiva introduca misure penetranti volte ad ottenere l'obbedienza alle disposizioni in essa contenute, prevedendo che ogni anno almeno il 10 per cento delle imprese di ciascuno Stato membro siano oggetto di ispezioni. Ricorda che in Italia il numero delle imprese soggette a controlli si aggira intorno all'1-2 per cento e non vale quindi l'obiezione che sia già prevista nel nostro paese, per simili reati, la responsabilità penale poiché la probabilità di essere individuati è assai poco elevata.
Occorrerebbe inoltre meglio comprendere le differenze tra la situazione di un cittadino di paese terzo e di un cittadino italiano che lavorano in nero, al fine di verificare che non vi sia una disparità di trattamento tra le due situazioni, anche tenuto conto della vastità del fenomeno del lavoro nero in Italia. Sembrerebbe utile sul punto un esame comparato.
Esprime quindi un convincimento personale, in ordine alla necessità di una depenalizzazione dei reati e del ricorso più ampio a sanzioni amministrative, mentre si deve registrare una tendenza inversa, sia in ambito nazionale che comunitario. È un punto sul quale occorre riflettere e che il Governo dovrebbe tenere presente in sede di negoziato.
Osserva infine come appaia, a suo avviso, equilibrato il sistema di verifiche introdotte dalla direttiva, che non impone oneri eccessivi al datore di lavoro, il quale non è tenuto a verificare che la documentazione a lui presentata dai lavoratori sia o meno veritiera.
Riterrebbe utile, in conclusione, poter acquisire l'orientamento del Governo su tali tematiche e sui problemi evidenziati.

Antonio RAZZI (IdV) nel condividere quanto illustrato dall'onorevole Buttiglione, sottolinea il rilievo del tema della sicurezza sul lavoro, evidenziando come solo un regolare contratto di lavoro possa garantire ai lavoratori la necessaria tutela. Appare opportuno sotto tale profilo rafforzare il sistema dei controlli anche prevedendo organi di controllo a livello regionale.

Jean Leonard TOUADI (PD) considera la direttiva in esame particolarmente importante poiché l'impiego di cittadini irregolari introduce elementi assai gravi di distorsione della concorrenza oltre a produrre un evidente danno per i lavoratori medesimi.
Si sofferma quindi su alcune disposizioni di particolare interesse, richiamando innanzitutto la lettera f) dell'articolo 2 che definisce la categoria dei subappaltatori includendo anche la persona giuridica cui è affidata l'esecuzione di un contratto e che consente pertanto di rintracciare tutta la catena degli appalti e subappalti. Richiama quindi l'attenzione dei colleghi sull'articolo 4, lettera a) che stabilisce che gli Stati membri obblighino i datori di

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lavoro a chiedere ai cittadini di paesi terzi di presentare il permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno valida per la durata del lavoro. Evidenzia in proposito che vi sono numerose tipologie di permessi di soggiorno e che non tutte consentono di lavorare. Si riferisce, ad esempio, a coloro che sono in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, che non possono lavorare, o a coloro che hanno un permesso di soggiorno per motivi di studio o per motivi religiosi e che possono accedere al mercato del lavoro solo a determinate condizioni. Si tratta di un punto da chiarire.
Evidenzia poi una contraddizione con riferimento all'articolo 6 che prevede il pagamento dei costi di rimpatrio da parte del datore di lavoro per i cittadini impiegati illegalmente e all'articolo 7, laddove si stabilisce il pagamento delle retribuzioni arretrate. Nel caso, infatti, in cui vi sia una procedura di rimpatrio, appare particolarmente complesso, per il lavoratore rientrato nel proprio paese di origine, ottenere gli arretrati che gli spettano.
Richiama quindi l'articolo 10, rilevando come, fatta eccezione per il caso di violazione reiterata, le fattispecie di reato previste - impiego di almeno quattro cittadini irregolari o di almeno il 50 per cento dei dipendenti - si applichino assai difficilmente al settore dell'assistenza familiare, che pure costituisce in Italia un fenomeno molto diffuso.
Con riferimento all'articolo 14, osserva che si prevede la possibilità di concedere permessi di soggiorno per coloro che presentano denuncia contro i loro datori di lavoro. Questa disposizione non si applica tuttavia alle vittime della tratta degli esseri umani e evidenzia in tal senso una grave lacuna.
Rileva altresì come potrebbe essere interessante prevedere la possibilità dell'autodenuncia non solo per il lavoratore ma anche per il datore di lavoro, al fine di pervenire ad una conciliazione che eviti le sanzioni.
Sottolinea, infine, come la direttiva dia per scontato che il lavoratore sia cittadino di un paese terzo, mentre il datore di lavoro no. Le statistiche mostrano invece che, almeno in Italia, non è così poiché spesso i datori di lavoro sono anch'essi originari di paesi terzi. È quindi necessario comprendere come in questi casi si applichino le sanzioni.

Sandro GOZI, presidente, si associa alle considerazioni svolte dai colleghi, osservando, con riferimento a quanto evidenziato dall'onorevole Buttiglione, che la rigidità della legislazione interna in materia di flussi restringe i margini di manovra dell'Italia in ambito comunitario ed appare pertanto giusto rivedere la normativa nazionale. Per quanto riguarda invece il ricorso a sanzioni amministrative, sottolinea come l'adozione di sanzioni penali sia prevista solo in relazione a specifiche fattispecie, di particolare gravità, elencate all'articolo 10 e non sia un'automatica conseguenza della violazione degli obblighi fissati dalla direttiva in materia di impiego di cittadini irregolari. Concorda quindi con la lacuna evidenziata dall'onorevole Touadi in ordine all'assenza di disposizioni riguardanti la tratta degli esseri umani, con riferimento all'agevolazione delle denunce e segnala inoltre l'opportunità di richiamare l'attenzione del Governo sul fenomeno dell'intermediazione abusiva, il fenomeno del caporalato, che non appare preso in considerazione dalla direttiva.

Rocco BUTTIGLIONE (UdC) rileva, con riferimento a quanto suggerito dall'onorevole Touadi in materia di autodenuncia da parte dei datori di lavoro, che ove sul punto si raggiungesse un accordo politicamente condiviso, si potrebbe fare un ulteriore passo avanti prevedendo che, laddove emerga una situazione di irregolarità, si possa pervenire ad una conciliazione che sollevi il datore di lavoro dalle sanzioni previste, prevedendo la stipula di un contratto di lavoro regolare. Una simile soluzione potrebbe costituire una via d'uscita conveniente sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.

Benedetto Francesco FUCCI (PdL) osserva come il suggerimento dell'onorevole

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Buttiglione necessiti seria considerazione, purché la misura adottata si collochi comunque nel sistema delle quote, seppure rivisto nel senso di una minore rigidità. Sottolinea quindi l'opportunità di appoggiare l'ipotesi al vaglio del Consiglio di sanzionare le persone giuridiche che impiegano lavoratori irregolari anche attraverso l'esclusione dal beneficio di prestazioni o sovvenzioni.
Evidenzia quindi la necessità di colpire con sanzioni particolarmente severità l'impiego illegale di minori, sottolineando, infine, l'opportunità di sostenere le proposte che mirano ad un rafforzamento del sistema delle ispezioni, anche attraverso l'attribuzione di adeguati poteri alle autorità competenti.

Sandro GOZI, presidente, facendo riferimento all'osservazione del collega Buttiglione circa la possibilità di un riassorbimento delle sanzioni previste dalla direttiva mediante l'assunzione regolare del lavoratore, osserva come tale ipotesi farebbe venire meno il carattere deterrente delle disposizioni in esame e renderebbe poco attraente l'eventuale autodenuncia da parte del datore di lavoro. L'imprenditore, infatti, potrebbe attendere di essere scoperto, per scegliere poi tra la sanzione o l'assunzione del lavoratore.

Rocco BUTTIGLIONE (UdC) osserva come una soluzione a tale obiezione potrebbe essere quella di scadenzare la norma nel tempo, dando tale possibilità al datore di lavoro solo per i primi cinque anni dalla sua entrata in vigore.

Sandro GOZI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.50.