CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 8 luglio 2008
29.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e II)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 9 LUGLIO 2008

Pag. 17

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 8 luglio 2008.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 9.15 alle 9.50 e dalle 19.45 alle 20.

SEDE REFERENTE

Martedì 8 luglio 2008. - Presidenza del presidente della II Commissione Giulia BONGIORNO. - Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo e Elisabetta Alberti Casellati.

La seduta comincia alle 10.

Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
C. 1442 Governo.

(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.

Giulia BONGIORNO, presidente, all'esito della riunione congiunta degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, appena svoltasi, avverte che è stato stabilito che l'esame preliminare si concluderà nella seduta odierna, che il termine per la presentazione di emendamenti è stato fissato alle ore 16.30 e che questi saranno esaminati nella seduta delle Commissioni convocate al termine delle votazioni della seduta pomeridiana dell'Assemblea per proseguire eventualmente nella seduta di domani, al fine di concludere l'esame in sede referente in tempi utili per iniziare l'esame a partire dalla seduta pomeridiana di mercoledì 9 luglio, secondo quanto stabilito dal calendario dei lavori dell'Assemblea, ove concluso dalle Commissioni.

Giuseppe CALDERISI (PdL), relatore per la I Commissione, rileva che il disegno di legge del quale le Commissioni riunite iniziano oggi l'esame è espressamente volto a tutelare un valore di rilevanza costituzionale, quale è l'interesse al sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo ai vertici istituzionali: l'interesse, in altre

Pag. 18

parole, a che l'esercizio delle più alte funzioni pubbliche possa svolgersi con la necessaria regolarità e la continuità. La rilevanza di tale valore, che, a suo giudizio, è di per sé evidente, è stata esplicitamente confermata dalla stessa Corte costituzionale, la quale, intervenendo sul punto con la nota sentenza n. 24 del 2004, ha ben ritenuto possibile l'introduzione nell'ordinamento di misure finalizzate alla tutela del valore in questione, purché rispettose del necessario contemperamento con gli altri, concorrenti valori costituzionali sui quali tali misure possono incidere. A tale principio di ragionevole contemperamento di valori costituzionali si ispirano tutte le disposizioni recate dall'unico articolo del disegno di legge oggi in esame.
Passando ad illustrare il contenuto del provvedimento, ricorda che il comma 1 dell'articolo unico dispone la sospensione dei processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, dei Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, fino alla cessazione dalla carica o dalla funzione. Si tratta di un limitatissimo numero di soggetti, accomunati da due caratteristiche: sono titolari di posizioni di vertice in altrettanti organi costituzionali; sono titolari di funzioni istituzionali aventi natura essenzialmente politica e trovano la propria legittimazione, in via diretta o mediata, nella volontà popolare. Un'altra carica istituzionale, anch'essa posta al vertice di un organo costituzionale, non è stata invece inclusa nel novero dei destinatari della disciplina: quella di Presidente della Corte costituzionale. Come precisa la relazione illustrativa del disegno di legge, tale scelta è motivata esclusivamente dalla diversità di tale carica, per investitura e funzioni, rispetto alle quattro summenzionate, che sono omogenee tra loro in quanto la fonte d'investitura promana dalla volontà popolare e le funzioni esercitate hanno impronta eminentemente politica. Va comunque sottolineato che il Presidente della Corte costituzionale, al pari degli altri giudici della Corte, è coperto dall'immunità di cui all'articolo 3 della legge costituzionale n. 1 del 1948, che ha esteso ad essi il godimento dell'immunità accordata nel secondo comma dell'articolo 68 della Costituzione ai membri delle due Camere. Il comma 1 fa inoltre esplicitamente salvi i casi di cui agli articoli 90 e 96 della Costituzione, cioè le ipotesi di responsabilità del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio dei ministri per atti compiuti nell'esercizio delle rispettive funzioni: la cosiddetta «responsabilità funzionale». Ciò significa che, con riguardo ai titolari di queste due cariche, la sospensione riguarda i soli processi per reati «extrafunzionali». I cosiddetti «reati funzionali» rientrano nella disciplina prevista dalle citate norme costituzionali, secondo le quali il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; mentre il Presidente del Consiglio dei ministri può essere sottoposto alla giurisdizione ordinaria per i predetti reati, dopo la decisione di rinvio a giudizio adottata dal tribunale dei ministri e, in ogni caso, previa autorizzazione della Camera di appartenenza. La sospensione concerne anche i processi relativi a fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione. Infatti, l'esigenza di tutela delle alte cariche dello Stato sussiste in relazione alla pendenza del processo, indipendentemente dal fatto che si proceda per fatti commessi in epoca anteriore all'assunzione della carica o della funzione. Come già detto, la sospensione opera sino alla cessazione dalla carica o dalla funzione.
Ai sensi del comma 2 l'imputato può, in qualsiasi momento, rinunciare alla sospensione, con atto proprio o del difensore munito di procura speciale. La rinunciabilità della sospensione è posta a tutela del diritto di difesa dell'imputato, garantito dall'articolo 24 della Costituzione e, come opportunamente fa notare la relazione illustrativa del disegno di legge, non contrasta con la ratio della norma in quanto l'eventuale rinunzia costituirebbe di per sé un indice obiettivo del fatto che lo svolgimento del processo non interferisce, nel

Pag. 19

caso concreto, con il «sereno svolgimento» delle funzioni inerenti alla carica. Si realizza così, come afferma ancora la relazione, l'equo contemperamento dei valori sottesi agli articoli 24 e 51 della Costituzione.
Il comma 3, a tutela del diritto alla prova, stabilisce poi che la sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di provvedere all'assunzione delle prove non rinviabili, procedendo, ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, all'incidente probatorio anche in pendenza della sospensione. Escludendo la paralisi assoluta delle attività processuali, si salvaguarda in questo modo il diritto alla prova, impedendo che la sospensione operi in modo generale e indifferenziato sul processo in corso.
Il comma 4 prevede che, all'ipotesi di sospensione del processo sia collegata la contestuale sospensione del decorso del termine di prescrizione, trovando applicazione l'articolo 159 del codice penale.
Il comma 5, nel ribadire che la sospensione opera per l'intera durata della carica o funzione, stabilisce tuttavia che essa non è reiterabile nei confronti del medesimo soggetto. Anche questa disposizione è finalizzata a contemperare l'interesse tutelato dal provvedimento con altri valori anch'essi meritevoli di tutela, tra i quali il principio di ragionevole durata del processo e il già richiamato diritto di difesa. Il comma dispone tuttavia che la sospensione possa reiterarsi in caso di «nuova nomina nel corso della stessa legislatura». Tale eccezione è stata formulata ponendo mente all'ipotesi, non infrequente nella storia dei Governi di questo Paese, in cui a un Presidente del Consiglio dei ministri accada di «succedere a sé stesso» in esito di una crisi di Governo intervenuta e risolta in corso di legislatura.
Il comma 6, derogando esplicitamente a quanto prescritto dall'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, prevede che, una volta sospeso il processo penale, nel caso di trasferimento dell'azione in sede civile, il processo civile non sia sospeso. Tale deroga costituisce diretta applicazione di un principio sancito nella citata sentenza n. 24 del 2004, secondo cui la parte civile non deve veder sacrificati i propri diritti in conseguenza della sospensione del processo penale. Allo stesso principio è ispirata la previsione di una «corsia preferenziale» in caso di trasferimento dell'azione in sede civile.
Il comma 7 reca una disposizione transitoria volta a chiarire che la disciplina introdotta si applica anche ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento, fissata dal comma 8 nel giorno successivo a quello di pubblicazione della legge nella Gazzetta ufficiale.
Ricorda poi che la disciplina in esame trova un precedente nell'articolo 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140, il cosiddetto «lodo Maccanico-Schifani». L'articolo prevedeva che il Presidente della Repubblica, fatta salva la sua responsabilità ex articolo 90 della Costituzione, i Presidenti delle due Camere, il Presidente del Consiglio dei ministri, salva la sua responsabilità per reati ministeriali ex articolo 96 della Costituzione, e il Presidente della Corte costituzionale non potessero essere sottoposti a processo penale per nessun reato, anche relativo a fatti antecedenti l'assunzione delle cariche, fino alla cessazione delle medesime, e sospendeva quindi i processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge. In queste fattispecie trovava applicazione l'articolo 159 del codice penale in materia di sospensione della prescrizione.
Ricorda altresì che la Corte costituzionale, con la menzionata sentenza n. 24 del 2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, nei quali trovano fondamento, rispettivamente, il principio di parità di trattamento rispetto alla giurisdizione e il diritto alla difesa, e ha dichiarato assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale sollevato. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal tribunale di Milano con riferimento all'articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza; all'articolo 112, che sancisce il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale;

Pag. 20

agli articoli 68, 90 e 96, in quanto attribuisce alle persone che ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero quindi ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell'articolo 138; e agli articoli 24, 111 e 117, perché non consente l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato e delle parti civili, tra l'altro in contrasto con la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Nessuno di tali motivi di incostituzionalità è stato fatto proprio dalla Corte, ad eccezione, come detto, di quelli afferenti agli articoli 3 e 24 della Costituzione. La Corte ha infatti rilevato che l'interesse tutelato dalla disposizione, ossia il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni inerenti alle più alte cariche dello Stato, appare apprezzabile e tutelabile in armonia con i princìpi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale. La Corte ha rilevato che si tratta di un «modo diverso ma non opposto di concepire i presupposti e gli scopi della norma la tesi secondo la quale il legislatore, considerando che l'interesse pubblico allo svolgimento delle attività connesse alle alte cariche comporti nel contempo un legittimo impedimento a comparire, abbia voluto stabilire una presunzione assoluta di legittimo impedimento. Anche sotto questo aspetto la misura appare diretta alla protezione della funzione».
La Corte ha osservato, tuttavia, che la sospensione generale, automatica e di durata non determinata crea un regime differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione penale. In particolare, la Corte ha affermato che «la constatazione di tale differenziazione non conduce di per sé all'affermazione del contrasto della norma con l'articolo 3 della Costituzione. Il principio di eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse possono implicare differenti normative. In tale seconda ipotesi, tuttavia ha decisivo rilievo il livello che l'ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversità può venire in considerazione. Nel caso in esame sono fondamentali i valori ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l'esigenza di protezione della serenità dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione. Alle origini della formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionali.» L'automatismo generalizzato della sospensione - ha proseguito la Corte - incide, menomandolo sul diritto di difesa dell'imputato, al quale è posta l'alternativa tra continuare a svolgere l'alto incarico rimanendo sotto il peso di un'imputazione in ipotesi anche assai grave, oppure dimettersi dalla carica al fine di ottenere un accertamento giudiziale prefigurato come favorevole, rinunciando con ciò al godimento di un diritto garantito dall'articolo 51 della Costituzione. Risulta, altresì, sacrificato - ha affermato ancora la Corte - il diritto della parte civile, la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell'azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dall'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale.
La Corte ha inoltre ritenuto che la durata della sospensione per un tempo indefinito e indeterminabile potesse ledere il diritto di azione e di difesa, oltre al bene costituzionale dell'efficienza del processo.
La Corte ha ritenuto la norma in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione anche perché accomuna in unica disciplina cariche diverse per investitura e per funzioni, distinguendo per la prima volta, sotto il profilo della parità rispetto ai princìpi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti. L'ha infine ritenuta viziata da irragionevolezza in quanto, pur facendo salvi gli articoli 90 e 96 della Costituzione, tace sull'articolo 3, secondo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1948, che ha esteso a tutti i giudici della Corte il godimento dell'immunità

Pag. 21

accordata nel secondo comma dell'articolo 68 della Costituzione ai membri delle due Camere.
Ebbene, la sentenza n. 24 del 2004 ha costituito dichiaratamente la linea-guida del testo in esame, le cui disposizioni sono direttamente riconducibili ai princìpi affermati in quella sentenza, inclusa la scelta di non includere nel novero dei destinatari della disciplina il Presidente della Corte costituzionale e di limitare pertanto il meccanismo di sospensione alle più alte cariche dello Stato che siano più omogenee tra loro con riguardo sia alla fonte di investitura, che promana dalla volontà popolare, sia alla funzione esercitata, che ha natura eminentemente politica.
Rileva poi che, d'altro canto, non è più solo l'articolo 95 della Costituzione a far spiccare la figura del Presidente del Consiglio rispetto a quella dei ministri: oggi è anche la legge elettorale approvata nel 2005, la quale prevede la formale indicazione preventiva del Capo della coalizione, con conseguente investitura diretta del Presidente del Consiglio da parte degli elettori, a determinare una netta diversità di investitura e di funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto agli altri componenti del governo. Analogamente, il rilievo politico-istituzionale assunto dai Presidenti dei due rami del Parlamento - con il ruolo arbitrale all'interno delle Camere e di rappresentanza esterna dell'organo, con il potere di nomina delle autorità indipendenti e con il ruolo loro assegnato dall'articolo 88 Costituzione - comporta una netta diversità delle loro funzioni rispetto a quelle svolte dagli altri componenti delle Camere.
Aggiunge che non è irrilevante, tra l'altro, che la Presidenza della Repubblica, nel comunicato del 2 luglio scorso, con il quale è stata data notizia dell'autorizzazione, da parte del Capo dello Stato, alla presentazione del disegno di legge in esame alle Camere, abbia ricordato che «punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004» ed abbia osservato che «a un primo esame, quale compete al Capo dello Stato in questa fase, il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza», aggiungendo che la Corte non sancì che la norma di sospensione di quei processi dovesse essere adottata con legge costituzionale e considerò inoltre come un «interesse apprezzabile» la tutela del bene costituito dalla «assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche», rilevando come tale interesse possa «essere tutelato in armonia con i princìpi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale» e stabilendo a tal fine alcune essenziali condizioni.
Ricorda, infine, un articolo da lui pubblicato sul Foglio il 16 gennaio del 2002, prima, quindi, dell'approvazione del «lodo Maccanico-Schifani», nel quale, prendendo le mosse dalla proposta dell'allora vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Verde, di ristabilire l'autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del Parlamento, ricostruiva le ragioni storiche dell'istituto, le ipotesi di riforma e le vicende che avevano portato al suo superamento nel 1993. L'articolo concludeva auspicando il ripristino dell'immunità parlamentare e ricordando una decisione della Corte di cassazione francese, la quale, con riferimento alle inchieste allora in corso sul presidente Chirac per fatti relativi al periodo in cui quegli era stato sindaco di Parigi, aveva chiarito che, per garantire il regolare funzionamento dei pubblici poteri e la continuità dello Stato, i processi ordinari relativi ad atti extrafunzionali del Presidente della Repubblica dovevano intendersi sospesi in pendenza del mandato.
Ricorda altresì come un meccanismo di improcedibilità e una sospensione della prescrizione furono di fatto inventate dal procuratore della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, anche per l'allora Presidente della Repubblica Scalfaro, ai tempi del suo «non ci sto»: infatti, nel chiedere al tribunale dei ministri l'autorizzazione alla prosecuzione delle indagini nei confronti

Pag. 22

dei ministri Gava e Scotti per l'accusa di peculato, il procuratore di Roma precisava che nei confronti del Presidente della Repubblica non si dava la possibilità di avviare indagini, «per disposizioni costituzionali». Si discusse molto, allora, su quali fossero le disposizioni costituzionali che impedivano di indagare sul Capo dello Stato, ma quel che qui rileva è che l'ordinanza di Mele segnalava una precisa esigenza: quella di preservare dai procedimenti penali le alte cariche dello Stato. Tale esigenza persiste tuttora, come anche quella del ripristino dell'immunità parlamentare, essendo indispensabile, ai fini dell'ordinato svolgimento della vita istituzionale, stabilire tutele nel conflitto tra politica e magistratura: un conflitto che risale agli albori del parlamentarismo e che tanti problemi ha comportato.

Enrico COSTA, relatore per la II Commissione, rileva che il relatore per la I Commissione ha illustrato la ratio ed il fondamento costituzionale del provvedimento in esame. In veste di relatore per la II Commissione si soffermerà sul meccanismo in cui si sostanzia la sospensione dei processi penali delle quattro più alte cariche dello Stato.
In primo luogo ribadisce che la disciplina della sospensione è stata delineata tenendo conto della sentenza n. 24 del 2004, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
Il disegno di legge si compone di un solo articolo suddiviso in otto commi.
Il comma 1, facendo salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, esclude l'applicabilità della norma in esame ai cosiddetti «reati funzionali», la cui disciplina è dettata dai predetti articoli della Costituzione. Si tratta di una precisazione che non riguarda i Presidenti delle due Camere, riferendosi tali disposizioni rispettivamente al Presidente della Repubblica ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonché ai ministri. Il primo, non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione, nel qual caso è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune. I secondi, secondo quanto precisato dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera di appartenenza e dopo la decisione di rinvio a giudizio adottata dal tribunale dei ministri. Il disegno di legge in esame è, quindi, diretto a incidere sui processi per i reati extrafunzionali del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei ministri, cioè i reati estranei alle attività inerenti alla carica, nonché sui processi penali, senza distinzione di tipo di reato, per reati addebitati ai Presidenti delle Camere.
Con la precisazione di cui sopra, il comma 1 stabilisce che i processi penali nei confronti delle predette alte quattro cariche dello Stato sono sospesi. Si tratta di una sospensione del processo penale, con la precisazione, prevista dal comma 2, della possibilità di rinunciarvi, che opera dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione. L'irrilevanza del momento in cui il fatto è avvenuto deriva dalla ratio del provvedimento, il quale risponde ad una esigenza di tutela delle alte cariche dello Stato - al fine di garantire un sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono alle cariche stesse - in relazione alla pendenza del processo.
La delimitazione del periodo di sospensione, la cui ratio è da rinvenire nella tutela del munus pubblico, è collegata alla durata della carica o funzione. Ai sensi del comma 5, infatti, la sospensione opera per l'intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura. A differenza del testo dichiarato incostituzionale nel 2004, si sancisce il

Pag. 23

principio della non reiterabilità della sospensione del processo nel caso in cui la persona assuma nuovamente la carica che comporta la sospensione del processo. Ciò per contemperare la tutela del munus pubblico con l'esercizio della giurisdizione, la quale non può essere sottoposta ad una sospensione indefinita e potenzialmente prorogabile senza alcun termine finale. Per ciò che riguarda il Presidente del Consiglio dei Ministri, la sospensione opera anche nel caso di nuovo incarico, purché assunto nella stessa legislatura. Infatti, si ritiene che, finchè non termini la legislatura, la carica di Presidente del Consiglio dei ministri sia da considerare ricoperta con continuità e, quindi, permangano le medesime esigenze di sospensione del processo senza che ciò determini un vulnus per l'esercizio della giurisdizione.
Il comma 1 del provvedimento in esame è quindi volto ad introdurre una nuova ipotesi di sospensione del processo che si aggiunge a quelle già previste dalla normativa vigente. Queste sono state richiamate nella citata sentenza n. 24 evidenziando come «la sospensione, di solito prevista per situazioni oggettive del processo, è funzionale al suo regolare proseguimento». Nel caso di sospensione dei processi in ragione della carica ricoperta dall'imputato o indagato ci troviamo in una diversa ipotesi, in quanto la sospensione è riconnessa ad un interesse diverso rispetto al regolare proseguimento del processo. Tuttavia, non per questo ci troviamo innanzi ad una violazione di norme costituzionali o ad una lesione dei principi generali dell'ordinamento. È la stessa Corte Costituzionale a prevedere la possibilità di ipotesi di sospensione del processo per ragioni non endoprocedurali. Si legge espressamente nella sentenza n. 24, che «ciò non significa che quello delle sospensioni sia un sistema chiuso e che il legislatore non possa stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, ma implica la necessità di identificare i presupposti di tali sospensioni e le finalità perseguite, eterogenee rispetto a quelle proprie del processo». Ciò che conta è che il bene protetto dal quale muove la sospensione del processo sia meritevole della tutela alla quale la sospensione mira. Tale bene, individuato dalla Corte «nell'assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche», è ritenuto dalla medesima come «un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale».
I motivi di declaratoria di incostituzionalità sono stati, in particolare: la non rinunciabilità alla sospensione, la lesione di alcuni diritti della parte civile, la reiterabilità all`infinito. Questi punti, come vedremo per i primi due e come abbiamo già visto per il terzo, sono stati affrontati dal disegno di legge in esame (commi 2, 6 e 5).
Il comma 2 prevede che, in ogni momento, l'imputato possa rinunciare alla sospensione, anche attraverso il difensore munito di procura speciale. Si tratta di una novità rispetto al testo dichiarato incostituzionale nel 2004, che trova la propria ragione nella tutela del diritto di rilevanza costituzionale di difesa (articolo 24) dell'imputato. A questi, per non comprimere un diritto costituzionalmente garantito, è data la facoltà di scegliere se affrontare o meno il processo senza doversi dimettere dalla carica ricoperta, come invece comportava il testo del 2003. Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge è rilevato che «si realizza, così, l'equo contemperamento dei valori sottesi agli articoli 24 e 51 della Costituzione» e che, sotto il profilo della ragionevolezza, «la disposizione contenuta nel comma 2 è conforme alla ratio legis, in quanto la rinuncia alla sospensione assume un valore obiettivo, dimostrando che, nel caso concreto, lo svolgimento del processo non interferisce con il «sereno svolgimento della carica», alla cui esclusiva tutela è preordinato il meccanismo di sospensione».
Altra differenza di non poco conto rispetto alla disciplina dichiarata costituzionalmente

Pag. 24

illegittima nel 2004 è la previsione del comma 3. Tale norma consente al giudice - qualora ne ricorrano i presupposti stabiliti nel codice di procedura penale dalle disposizioni sull'incidente probatorio e sugli atti urgenti quali atti preliminari al dibattimento - di acquisire, nel processo sospeso, le prove non rinviabili. In questo modo sono soddisfatte le esigenze giurisdizionali del processo, che potrebbero invece essere pregiudicate da una assoluta paralisi di ciascuna attività processuale a causa della sospensione del processo. È, infatti, salvaguardato il diritto alla prova e si impedisce che la sospensione operi in modo generale e indifferenziato sul processo in corso.
Per quanto attiene alla prescrizione del reato, il comma 4 ne sospende il corso durante il periodo di sospensione del processo, secondo il meccanismo generale previsto dall'articolo 159 del codice penale. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
Il comma 6, alla luce della sentenza n. 24, prevede la possibilità, per la parte civile, di trasferire l'azione in sede civile, in deroga all'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale, secondo cui quando l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge. Quella che stiamo esaminando è proprio una di quelle eccezioni previste dalla legge. Si tratta di una novità importante rispetto al testo del 2003, in quanto è volta a tutelare un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di difesa della controparte. La possibilità di ottenere comunque il risarcimento del danno anche se il processo penale è sospeso evita ciò che la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2004 ha evidenziato come un profilo di incostituzionalità: la possibilità che la posizione della parte civile subisca gli effetti della sospensione del processo penale. Proprio per tutelare appieno il diritto della parte civile è stabilito che, in caso di riproposizione della domanda in sede civile, la causa debba essere trattata con priorità, attraverso la riduzione del termine per comparire.
Il comma 7 contiene una disposizione transitoria, che estende la sospensione anche ai processi penali già in corso, in ogni fase, stato e grado, alla data di entrata in vigore della legge.
Il comma 8 stabilisce, infine, che la legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Pierluigi MANTINI (PD) sottolinea che il contesto in cui si vuole esaminare il provvedimento è di forte compressione dei tempi parlamentari. Ricorda, peraltro, di essere il primo firmatario di una proposta di legge costituzionale che, incidendo sull'articolo 68 della Costituzione, interviene sulla stessa materia. Sottolinea altresì che il Parlamento non si piega né deve essere influenzato dalla piazza. Oggi, tuttavia, non è il giorno più adatto per parlare di pacificazione e intese tra politica e giustizia. Tuttavia è arrivato il momento di applicare a questo tema i parametri della politica, che conducono talvolta a pensare a soluzioni di compromesso e ad optare per il male minore. Ritiene che sia necessario predisporre uno strumento più forte, come quello in esame, per sottolineare l'autonomia tra politica e giustizia, anche se sarebbe preferibile che ciò avvenisse sul piano della maturazione culturale del Paese. Non può peraltro tacersi che quindici anni di conflitto tra i predetti poteri dello Stato hanno arrecato consistenti danni al Paese.
La proposta di legge in esame appare coerente con la sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2004, la quale sostanzialmente evidenzia i requisiti di costituzionalità di un intervento normativo in questa materia, anche se probabilmente non esaurisce tutte le possibili argomentazioni e considerazioni sulla compatibilità costituzionale. Rileva inoltre che la dottrina costituzionale prevalente ritiene che

Pag. 25

esista un bene costituzionale, meritevole di tutela, che ne caso di specie consiste nella protezione della serenità nello svolgimento dell'incarico da parte delle alte cariche dello Stato. Ritiene che si possa intervenire sulla materia anche con leggi ordinarie, indipendentemente dal fatto che un intervento con legge costituzionale possa essere comunque considerato preferibile.
Esprime rammarico per il comportamento di chi, minacciando l'approvazione della norma cosiddetta «blocca processi», contenuta nel decreto-legge sulla sicurezza, stia cercando di far passare l'approvazione del provvedimento in esame come una sorta di concessione all'opposizione. Auspica un maggiore impegno complessivo da parte di tutte le forze politiche sui temi politici fondamentali per il Paese, al di fuori della logica del ricatto.

Sesa AMICI (PD) ricorda, affinché ne resti memoria nei resoconti parlamentari, che nella riunione congiunta degli uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite, i gruppi di minoranza hanno duramente contestato la forte compressione dei tempi di esame del provvedimento imposta dalla maggioranza, la quale è lesiva delle prerogative dell'opposizione e della stessa maggioranza, che ha il diritto, oltre che il dovere, di approfondire adeguatamente i provvedimenti che approva.
Nel sottolineare come sia la prima volta che su un provvedimento dell'importanza di quello in esame si procede, senza il consenso unanime dei gruppi, ad una così drastica compressione dei tempi di discussione, preannuncia che il suo gruppo si asterrà da ogni intervento in fase di esame preliminare, fermo restando che, ove non intervengano fatti nuovi, ricorrerà ad ogni mezzo lecito in suo possesso per impedire che il provvedimento giunga all'approvazione finale in modo frettoloso e superficiale. Di fronte, infatti ad una imposizione politica, la reazione non può che essere politica.

Donatella FERRANTI (PD), nel ribadire quanto dichiarato dalla collega Amici e dopo aver precisato che il deputato Mantini è intervenuto a titolo personale, chiarisce che il gruppo intende, attraverso l'astensione dalla discussione, porre in evidenza una questione, quella della compressione dei tempi di discussione, che attiene alla salvaguardia dell'essenza stessa della democrazia. Si tratta infatti di discutere su un provvedimento della massima importanza, che incide su aspetti di rilevanza costituzionale e che esigerebbe pertanto tempi di discussione se non eccezionali quantomeno normali. La maggioranza, invece, impone di esaminare il provvedimento nel giro, addirittura, di poche ore: una strozzatura dei tempi di discussione che costituirebbe un gravissimo precedente di lesione delle prerogative delle minoranze e dunque della stessa democrazia.

Manlio CONTENTO (PdL) rileva con soddisfazione come finalmente si stia discutendo della questione più rilevante nei rapporti tra politica e giustizia. La questione è se un ordinamento che prevede la sospensione dei processi penali nei confronti delle cariche dello Stato sia auspicabile o possibile. Di fronte a tale rilevante questione l'onorevole Di Pietro ha ritenuto di dover usare, nei confronti del legittimo comportamento dei colleghi della maggioranza e dei membri del Governo, espressioni colorite quali «metodo mafioso» e «picciotti». È evidente che simili espressioni sono del tutto fuori luogo poiché qui si intende risolvere un problema serio, indipendente dalla posizione del Presidente del Consiglio, che riguarda la sottrazione delle alte cariche dello Stato ad un confronto con la magistratura che spesso supera i limiti ed i confini delineati dalla Costituzione.
Una parte dell'opposizione, quella con una cultura costituzionale di antica tradizione, ha dimostrato di essere disponibile a discutere, anche perché sa bene che il tema ha una sua primaria importanza, che prescinde dalla posizione del Presidente del Consiglio, e conosce gli esempi di analoghe normative adottate da altri Paesi.

Pag. 26

Quanto allo strumento con il quale intervenire, certamente la tesi della legge costituzionale, basata sul bilanciamento degli interessi, è apprezzabile. Anche la strada della legge ordinaria, tuttavia, è praticabile, anche in considerazione di quanto enunciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 24 del 2004, nella quale si sottolinea che la materia non attiene all'immunità ma alla sospensione del processo.
Evidenzia come il provvedimento in esame sia conforme alla predetta sentenza della Corte Costituzionale: sotto il profilo della durata della sospensione (anche se desta talune perplessità la disciplina della non reiterabilità), sotto quello delle alte cariche coinvolte e della conservazione delle garanzie costituzionali per la parte offesa (che potrebbe essere anche lo Stato).
Poiché è a tutti evidente la necessità di sottrarre le alte cariche dello Stato allo scontro in atto contro una parte della magistratura, auspica che il dibattito, nel Parlamento e più in generale nel Paese, possa proseguire senza le argomentazioni inutili, offensive e strumentali dell'onorevole Di Pietro. Concorda con l'onorevole Mantini sulla necessità che si apra un periodo di confronto politico più aperto con l'opposizione e ritiene che l'approvazione del provvedimento in esame possa contribuire a sgombrare il campo da sterili polemiche e a creare un rapporto di collaborazione tra le forze politiche.

Federico PALOMBA (IdV) dichiara, a nome del suo gruppo, di dissentire radicalmente nel merito e nel metodo dal provvedimento in esame. Appare evidente, anche dall'illustrazione delle relazioni, come sfugga la drammaticità del comportamento di una maggioranza che forza a suo piacimento le regole costituzionali e parlamentari, per tutelare gli interessi individuali del premier. Replicando all'onorevole Contento, ricorda che anche queste ultime sono regole e, come tali, devono valere per tutti. Concedere solo sette ore per l'esame di questo provvedimento vuol dire creare un precedente inaudito ed estremamente pericoloso. Sottolinea quindi anche la responsabilità del Presidente della Camera, che ha consentito che tutto questo accadesse e ricorda altresì il comportamento del suo predecessore, che ha determinato una inopportuna accelerazione dell'iter legislativo per l'approvazione della legge sull'indulto. Stigmatizza quindi il comportamento di una maggioranza che continua a bloccare il Paese per l'approvazione di provvedimenti che non si pongono nell'interesse generale, strozzando il dibattito parlamentare.
Rileva con forte rammarico che nemmeno i presidenti delle Commissioni I e II hanno voluto tutelare le prerogative dell'opposizione, garantendo tempi adeguati di discussione. Sottolinea peraltro che una così grave situazione di compressione dei tempi parlamentari deriva anche dai falsi affidamenti creati dall'erronea convinzione che si potesse arrivare ad una sorta di scambio fra la cosiddetta norma «blocca processi», contenuta nel decreto-legge sulla sicurezza, e il cosiddetto «Lodo Alfano» oggi in esame. È evidente, d'altra parte, il collegamento tra i due provvedimenti, entrambi volti a sottrarre il Presidente del Consiglio ad una pesante situazione giudiziaria.
Preannuncia quindi la presentazione di emendamenti ed una forte e serrata opposizione che verrà condotta dal suo gruppo sia all'interno che fuori dal Parlamento. Conclude sottolineando l'estrema gravità di quanto sta accadendo ed auspica un immediato ripensamento da parte del Governo e della sua maggioranza.

Antonio DI PIETRO (IdV) esprime radicale contrarietà nei confronti del provvedimento in esame sia nel merito che nel metodo. Sottolinea come tale provvedimento rappresenti un'urgenza non per il Paese ma solo ed unicamente per il Presidente del Consiglio, evidentemente sottoposto a processi penali che si trovano nella fase finale. Si tratta di un uso indebito e privato del Parlamento che configura un vero e proprio «sequestro» del Parlamento a scopo di voto di scambio.

Pag. 27

Il sereno svolgimento delle funzioni, che dovrebbe costituire la ratio del provvedimento è valore che deve essere riferito ai cittadini, che hanno diritto di essere amministrati bene e onestamente, e non al soggetto interessato dal provvedimento medesimo. La realtà è che i cittadini non sono affatto sereni se hanno il dubbio che chi li governa non sia onesto. È del tutto incostituzionale, e sostanzialmente ingiusto, che talune persone siano completamente sottratte alla giurisdizione. È altresì abnorme il risultato che si ottiene, sottraendo tali soggetti alla responsabilità per qualsiasi tipo di reati, poiché costoro potrebbero teoricamente commettere qualsiasi efferatezza e ciò non può essere consentito.
Sottolinea inoltre la contraddizione insita nel fatto che tale forma di «scudo» nei confronti delle alte cariche dello Stato operi dal momento dell'esercizio dell'azione penale e non dalla fase delle indagini preliminari. Se infatti si afferma che il bene tutelato è la serenità nell'esercizio delle funzioni, come si può sostenere che tale serenità non verrebbe meno nel caso di provvedimenti restrittivi della libertà personale adottati nel corso delle indagini preliminari? Tale controsenso è facilmente spiegabile e deriva dal fatto che quello in esame è un provvedimento ad personam, che serve a bloccare un determinato processo giunto alla sua fase conclusiva. Inoltre sottolinea come non vi sia alcuno scontro tra politica e giustizia, ma semplicemente un magistrato che sta procedendo legittimamente nei confronti di un cittadino. E di fronte a tale esigenza di un solo individuo si violano tutte le regole determinando una compressione del dibattito parlamentare senza precedenti.
Ricorda altresì come la maggioranza tentasse di giustificare la norma «blocca processi», facendola passare per una norma fondamentale per la soluzione dei problemi della giustizia. Si è visto infine che tutto questo era falso e che lo scopo della norma era ben altro. Infatti la norma «blocca processi» viene utilizzata solo quale strumento di ricatto in attesa di approvazione del provvedimento in esame. Ritiene che un simile comportamento, se non si operasse in un'area di irresponsabilità, avrebbe rilevanza penale.

Mario TASSONE (UdC) dichiara la perplessità del proprio gruppo in ordine, soprattutto, alla questione della fonte da impiegarsi, vale a dire se ordinaria o costituzionale. Premesso che il suo gruppo parteciperà al dibattito senza posizioni preconcette, esprime l'avviso che occorra impostare il discorso tenendo conto di quale sia la storia del Paese. Sono note a tutti le ragioni per le quali fu riformato l'articolo 68 della Costituzione: nel pieno dell'inchiesta denominata «tangentopoli», la politica abdicò al suo primato consentendo a poteri diversi di occupare il proprio spazio. Dopo la negazione dell'autorizzazione a procedere contro Craxi, la pressione dell'opinione pubblica e dei media spinse ad una frettolosa riforma dell'istituto dell'immunità parlamentare, il quale assolveva tuttavia ad una fondamentale funzione, quella di assicurare l'equilibrio tra i poteri dello Stato. A suo avviso, serve quindi oggi restaurare un sistema di garanzie dell'equilibrio dei poteri.
Esprime poi perplessità sul comma 5 dell'articolo unico, che prevede la sospensione dei processi non sia reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della medesima legislatura: si tratta di una previsione che non appare giustificata, attesa la ratio della norma.
Conclude puntualizzando che il suo gruppo è estraneo a logiche di scambio sul provvedimento in esame, e che valuta in piena autonomia di giudizio, riservandosi di esprimere su di esso un giudizio complessivo alla luce di un più approfondito esame.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO prende atto degli interventi fin qui svolti, rilevando però che essi non hanno per lo più riguardato il merito del provvedimento.
Osserva che, sebbene il Parlamento abbia senza dubbio una posizione centrale nel sistema della democrazia, va tenuto conto della sentenza con cui la Corte costituzionale ha ritenuto che la tutela del

Pag. 28

Presidente del Consiglio e dei Presidenti delle Camere costituisca un interesse meritevole di apprezzamento e tale da poter giustificare un trattamento differenziato delle alte cariche dello Stato rispetto agli altri cittadini; in sostanza la Corte ha ritenuto che la tutela delle alte cariche dello Stato sia un precipuo interesse dello Stato di diritto.
Ricorda che la Corte era investita tra l'altro della questione se fosse corretto disciplinare la materia attraverso la legge ordinaria. Su tale punto la Corte non si è però pronunciata, se non tra le considerazioni preliminari, ritenendolo evidentemente privo di rilievo.
Respinge poi con forza l'accusa di falsità mossa dal deputato Di Pietro, dalla quale si sente toccato in quanto rappresentante del Governo che al Senato ha seguito il avori relativi al decreto-legge «sicurezza». Premesso di essere sempre convinto della necessità di stabilire un programma di politica criminale, ricorda che negli anni '70 fu tra quelli che, nell'ambito del Consiglio superiore della magistratura, allora presieduto da Bachelet, segnalò l'esigenza di una corsia privilegiata per alcuni processi. Il Consiglio superiore della magistratura scelse allora di emanare una circolare per indicare alcune priorità processuali, la quale diede vita ad un acceso dibattito tra i processualpenalisti, per alcuni dei quali la circolare era scorretta in quanto spettava al Parlamento stabilire corsie preferenziali per determinati processi.
Dopo aver poi ricordato la circolare Zagrebelsky, la quale tornò sul punto ben prima della circolare Maddalena più volte evocata in questi giorni, puntualizza che la sua personale posizione sul punto è sempre stata quella che spetta al Parlamento di stabilire quali processi vadano privilegiati, anche perché è essenziale prevedere, come appunto fa l'articolo 2-ter del decreto-legge «sicurezza», la sospensione dei processi ritenuti non prioritari, in quanto in mancanza della sospensione comporta di fatto l'intervento della prescrizione.

Jole SANTELLI (PdL) prende atto che il gruppo dell'Italia dei valori si è assunto il ruolo di difensore a spada tratta della magistratura e sostiene posizioni che partono in sostanza dall'assunto della superiorità del potere giudiziario sulla politica.
Quanto al merito del provvedimento, ricorda come, mentre quando approvò il cosiddetto lodo Maccanico-Schifani il Parlamento si muoveva su un terreno ancora inesplorato, ora invece può far riferimento ad una precisa sentenza della Corte costituzionale, la quale ha posto alcuni punti fermi, innanzitutto respingendo l'ipotesi di violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che del resto, com'è noto, non sancisce un principio di uguaglianza astratta ma di uguale trattamento delle situazioni uguali e diverso trattamento delle situazioni diverse.
Esprime meraviglia per la posizione assunta dal gruppo del Partito democratico, che le appare quasi un espediente per sottrarsi al dibattito sul merito del provvedimento ed esprime l'auspicio che tale atteggiamento possa essere superato e che si ricostituisca quello spirito di collaborazione sulle riforme che ha caratterizzato l'inizio della legislatura. D'altra parte il Partito democratico aveva inizialmente sostenuto la legittimità giuridica, oltre che politica, di un provvedimento che sospendesse i processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, salvo poi tornare sulla sua posizione per ragioni non ben chiare.
Quanto al fatto che il Governo ha preannunziato emendamenti al decreto-legge «sicurezza» contemporaneamente alla richiesta di un rapido esame del disegno di legge in titolo, afferma che si tratta di una pura coincidenza, e non di uno scambio.
Con riferimento all'intervento del deputato Tassone, ritiene che esso abbia posto le basi per una corretta riflessione.
Conclude evidenziando alcuni punti del provvedimento che suscitano la sua perplessità, in particolare il principio della non reiterabilità della richiesta di sospensione dei processi, che, pur nella consapevolezza che la norma deve conformarsi

Pag. 29

alla sentenza della Corte costituzionale, appare poco convincente, attesa la ratio della disposizione.

Gaetano PECORELLA (PdL) ritiene che il deputato Contento abbia ben rappresentato il problema di fondo che si tratta di affrontare, quello della mancanza di stabilità politica derivante, a partire dal 1993, dal difficile rapporto della politica con la magistratura. Posto che la stabilità politica, e quindi la serenità di azione delle alte cariche dello Stato, è un valore, sussiste l'esigenza di tutelarlo: per assicurare continuità alle legislature è quindi necessario l'intervento legislativo.
Ritiene che, d'altra parte, anche il deputato Di Pietro abbia posto un problema serio: quello del rapporto tra le attività di indagine e la sospensione del processo. Rileva infatti che, nell'attuale formulazione, il testo del Governo risulta contraddittorio, in quanto, al comma 1, stabilisce che i processi penali siano sospesi, ma nei commi successivi fa riferimento non alla sola fase dibattimentale bensì anche a quella delle indagini preliminari: il comma 7, in particolare, fa riferimento ad ogni fase, stato o grado dei processi, non distinguendo quindi tra «processo» in senso stretto e «procedimento». Si tratta di un punto della massima importanza sul quale il Governo ha il dovere di pronunciarsi, decidendo se intende far riferimento all'intero procedimento ovvero solo alla fase strettamente dibattimentale.
Per quanto attiene alla fonte, rilevato preliminarmente che gli istituti della sospensione processuale e dell'immunità sono diversi, osserva che il primo può essere disciplinato con legge ordinaria, mentre il secondo, in quanto implica l'attribuzione di funzioni alle Camere, non può essere disciplinato se non con legge costituzionale.
Ritiene poi che il deputato Di Pietro abbia posto anche un altro problema concreto: vi sono infatti reati rispetto ai quali sarebbe difficile spiegare per quale ragione non si proceda contro le alte cariche dello Stato. Per questo, a suo avviso, è necessario intervenire anche sull'immunità parlamentare, al qual fine occorre però necessariamente procedere con legge costituzionale. In definitiva, una disciplina completa della materia deve, a suo avviso, necessariamente passare anche attraverso un intervento legislativo di rango costituzionale.
Per il resto ritiene che il disegno di legge in esame rispetti le indicazioni della corte costituzionale. Per quanto riguarda, in particolare, la questione posta dalla Corte costituzionale in relazione all'esigenza di non discriminare tra i Presidenti delle Camere e gli altri membri del Parlamento, ritiene che la Corte sia incorsa in un abbaglio quando ha ritenuto che il lodo Maccanico-Schifani avesse distinto ingiustificatamente tra cariche di analoga natura. Esiste infatti una precisa ragione per accomunare Presidenti delle Camere e Presidente del Consiglio, distinguendoli dagli altri parlamentari, in quanto solo per i primi sussiste l'esigenza di tutelarne, in maniera specifica, la serenità di azione. Inoltre la Corte ha argomentato che i Presidenti delle Camere sarebbero membri del Parlamento al pari degli altri, ancorché aventi specifiche funzioni organizzatorie. In effetti, però, essi hanno un rilievo costituzionale che manca agli altri: basti pensare al ruolo di vicario del Presidente della Repubblica che la Costituzione attribuisce al Presidente del Senato o al potere del Presidente della Camera di convocare il Parlamento in seduta comune per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. In definitiva, l'esigenza di tutelare la serenità dei Presidenti delle Camere ed il loro differente rilievo costituzionale rispetto agli altri parlamentari giustificano, a suo avviso, un loro trattamento differenziato rispetto a questi ultimi.

Luciano DUSSIN (LNP) ritiene che l'esame del provvedimento in oggetto debba muovere dalla preliminare considerazione per cui, secondo i sondaggi più accreditati, il gradimento presso l'opinione pubblica del presidente del Consiglio dei ministri è oggi di molto superiore a quello che ottiene la magistratura. Pertanto, quando si offende, anche con l'uso di

Pag. 30

termini inopportuni, la figura del presidente del Consiglio, indirettamente si offendono anche gli elettori che lo hanno votato.
Il provvedimento in esame, che dichiara di condividere, rappresenta però solo il punto di partenza di un più articolato percorso riformatore, che deve incentrarsi su una organica riforma della magistratura, a partire dalla posizione e dalle funzioni del Consiglio superiore della magistratura. L'obiettivo da perseguire deve essere quello di costruire un sistema di controllo dell'operato dei magistrati, con la previsione di meccanismi sanzionatori per coloro che non svolgono i compiti ad essi assegnati, preferendo invece perseguire finalità diverse.

Gianni FARINA (PD) si sofferma, in primo luogo, sull'impatto che l'approvazione del provvedimento in esame produrrà sull'opinione pubblica italiana, che difficilmente però ne comprenderà la reale portata, e sull'opinione pubblica internazionale. L'uso della giustizia in Italia è l'unico tema, infatti, in grado di catturare l'interesse dei media stranieri, e questo provvedimento non passerà inosservato.
Il disegno di legge in esame reca norme di rilevanza tale da rendere necessario un esame approfondito, con congrui tempi riservati al dibattito parlamentare, senza le compressioni dei tempi che invece sono state stabilite. Oltretutto sarebbe stato necessario che il Governo proponesse la disciplina in esame mediante una iniziativa legislativa costituzionale, anziché una ordinaria: questa considerazione si giustifica alla luce della materia trattata e delle implicazioni di ordine costituzionale che ne discendono.
La tutela delle più alte cariche dello Stato non è un istituto sconosciuto agli altri ordinamenti stranieri, ma esso è sempre riferito esclusivamente alla carica di Capo dello Stato, e non anche alle altre figure, che invece sono contemplate nel provvedimento in esame.

Antonino LO PRESTI (PdL) sottolinea l'importanza di garantire al Paese stabilità politica, superando la stagione che contrappone aspramente la politica alla magistratura.
Il provvedimento è volto a riaffermare il primato della politica, consentendo di superare la crisi che essa ha attraversato negli ultimi tempi, a cui ha contribuito anche l'uso distorto fatto del potere giudiziario da parte di singoli magistrati.
Conclude citando il pensiero di Giuseppe Ayala, che ha sostenuto l'accusa nel primo «maxi-processo» alla criminalità organizzata di stampo mafioso, secondo cui i settori della magistratura che più ne pregiudicano l'immagine e l'operato sono rappresentati dagli organismi, quali il Consiglio superiore della magistratura e l'Associazione nazionale magistrati, all'interno dei quali si consumano vendette e ritorsioni personali, e dall'azione poco equilibrata di quei magistrati che sono alla ricerca di una notorietà personale.
Si sofferma, infine, sul merito del provvedimento in esame, dichiarando di condividere le perplessità manifestate, nel corso del dibattito, in ordine alla applicazione temporale della sospensione dei processi, della quale ritiene debba essere specificata la portata.

Carlo COSTANTINI (IdV) fa presente che il proprio gruppo non intende abbandonare i lavori delle Commissioni riunite, ritenendo opportuno partecipare all'esame del provvedimento.
Il provvedimento in esame non si fonda, come pure affermato in numerosi interventi, sulla sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale. In questa sentenza, infatti, non c'è alcun riferimento ai cosiddetti reati extrafunzionali nè a quelli commessi prima dell'assunzione della carica, che sono invece espressamente contemplati dal provvedimento. Scopo del proprio gruppo è garantire l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e non, come affermato dal deputato Santelli, quello di affermare la superiorità dei magistrati.
Il meccanismo della sospensione del processo, come concepito nel provvedimento in oggetto, si differenzia dall'istituto dell'immunità solo sotto il profilo formale,

Pag. 31

producendo invece analoghi effetti sotto quello sostanziale. Anzi, la sospensione produce una incidenza ancora maggiore, in quanto opera automaticamente, laddove l'immunità è condizionata da una deliberazione parlamentare.
Questo provvedimento, a proprio avviso, presenta evidenti forzature di principi costituzionali e regolamentari. Si riferisce, sotto quest'ultimo profilo, all'organizzazione dei lavori delle Commissioni riunite, sottolineando l'eccessiva brevità dei tempi riservati allo svolgimento dell'esame preliminare, e la fissazione di un termine per la presentazione degli emendamenti eccessivamente breve. A proprio avviso una simile organizzazione dei lavori in Commissione non trova precedenti nella storia del Parlamento , soprattutto in considerazione della portata del provvedimento. Si tratta di una procedura di urgenza che, lungi dal venire incontro ad una necessità reale, è volta esclusivamente a tutelare le esigenze di una singola persona. Si sofferma quindi sulle forzature dei principi costituzionali, che sono evidenziate dall'uso, fatto dal Governo, di un disegno di legge ordinaria, anziché costituzionale. A conforto di questa opinione richiama, da un lato, i contenuti della sentenza n. 24 del 2004 della Corte, che il Governo dichiara di avere tenuto in considerazione e, dall'altro, la prassi diffusa negli altri ordinamenti europei, dove questa materia è disciplinata con leggi di natura costituzionale. Ancora, sotto il profilo costituzionale, il provvedimento appare lesivo del principio di uguaglianza, contenuto nell'articolo 3 della Costituzione, creando un'evidente situazione di disparità tra diversi soggetti.
Ciò che appare comunque più grave, al di là dei contenuti del provvedimento, è la gravissima compressione dei tempi d'esame riservati alle Commissioni, che impedisce di affrontare i temi più importanti di questo e di altri provvedimenti, al solo fine di agevolare lo svolgimento della manovra governativa. Le decisioni in ordine alla calendarizzazione in Assemblea del provvedimento in esame e del decreto-legge in materia di sicurezza rendono evidente la connessione che lega i due provvedimenti, di cui si gioverà essenzialmente il capo del Governo. A ciò si aggiunge la dichiarazione, resa dal Ministro Vito nel corso della seduta delle Commissioni svoltasi ieri, con la quale è stata preannunciata una modifica del decreto-legge in materia di sicurezza, evidentemente da riferirsi alla soppressione dal testo dell'articolo 2-ter, in materia di sospensione dei processi. In tal modo la soppressione di questa disposizione potrà avere luogo solo dopo che la Camera avrà approvato il disegno di legge in esame.

Pino PISICCHIO (IdV) osserva preliminarmente che la compressione dei tempi di esame del provvedimento in oggetto limita le prerogative del Parlamento, stravolgendone prassi e procedure. Il dibattito che le Commissioni stanno svolgendo avviene mediante il ricorso a procedure improprie, soprattutto in considerazione della mancanza di ogni tipo di reale necessità. L'approvazione di questo disegno di legge viene negoziata con la modifica di un altro provvedimento, che presenta profili di eccentricità dovuta al suo contenuto disomogeneo. Si riferisce al decreto-legge in materia di sicurezza che, contenendo una disposizione volta alla sospensione dei processi, al pari del provvedimento in esame, è diretto ad un unico «utilizzatore eccellente», il quale ne trarrà un vantaggio personale.
Queste modalità di esame impediscono in radice lo svolgimento di un serio confronto sui contenuti dei provvedimenti e, in particolare, del disegno di legge in oggetto che, oltretutto, alla luce dei suoi risvolti costituzionali, avrebbe dovuto rivestire la forma di disegno di legge costituzionale.
Conclude soffermandosi sulle finalità del provvedimento, che, in considerazione del suo contenuto, non ritiene possano essere raggiunte. Esso infatti accentua i toni del contrasto tra politica e magistratura, che in vero sono già aspri, anche a causa di isolati episodi di protagonismo da parte di singoli magistrati.

Pag. 32

Giorgio Clelio STRACQUADANIO (PdL), dopo aver dichiarato di condividere le osservazioni, di natura tecnica e costituzionale, illustrate da parte dei deputati del proprio gruppo, fa presente che svolgerà alcune considerazioni di carattere politico. Rileva che questo provvedimento è effettivamente diretto a tutelare il Presidente del Consiglio dei Ministri quale istituzione della Repubblica. L'analisi delle vicende giudiziarie del presidente Berlusconi evidenziano infatti che l'atteggiamento da parte della magistratura nei suoi confronti assume carattere di accanimento solo quando egli guida la maggioranza politica, a differenza di quanto accade quando invece il presidente Berlusconi si trova all'opposizione. Al riguardo reputa essenziale riconsiderare l'istituto dell'immunità, al fine di garantire adeguata tutela agli organismi parlamentari e governativi, che in alcuni casi sono oggetto di una vera e propria azione persecutoria da parte della magistratura. Sotto questo profilo l'operato di tali magistrati appare inaccettabile: sottolinea l'opportunità che i magistrati inquirenti si limitino a raccogliere le prove, a carico ma anche a favore della parte, evitando di fare un uso distorto delle proprie funzioni.
Dichiara di ritenere necessario che l'organo parlamentare, che gode di una legittimazione popolare, non debba subire, mediante apposite azioni giudiziarie, attacchi volti alla sua delegittimazione, fondati su specifici moventi politici.
Conclude il proprio intervento sottolineando l'opportunità di apportare le idonee modifiche alla Costituzione volte a tutelare adeguatamente la funzione parlamentare.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire dichiara chiuso l'esame preliminare. Ricorda quindi che, secondo quanto stabilito nella riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite svoltasi questa mattina, il termine per la presentazione di emendamenti è stato fissato alle ore 16.30 e che questi saranno esaminati nella seduta delle Commissioni convocata al termine delle votazioni della seduta pomeridiana dell'Assemblea per proseguire eventualmente nella seduta di domani, al fine di concludere l'esame in sede referente in tempi utili per iniziare l'esame a partire dalla seduta pomeridiana di mercoledì 9 luglio, secondo quanto stabilito dal calendario dei lavori dell'Assemblea.

La seduta termina alle 13.05.

SEDE REFERENTE

Martedì 8 luglio 2008. - Presidenza del presidente della II Commissione Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 20.05.

Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
C. 1442 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame del provvedimento, rinviato nella odierna seduta antimeridiana.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti e articoli aggiuntivi al provvedimento in esame (vedi allegato) e che gli articoli aggiuntivi 1.01 e 1.02 Brigandì sono da considerare inammissibili vertendo rispettivamente sulla materia della competenza riservata ai regolamenti parlamentari e su quella della insindacabilità.
Tali articoli aggiuntivi esulano dalla funzione propria dell'atto legislativo. Ricorda che il Presidente della Camera nella circolare del 10 gennaio 1997 sulla istruttoria legislativa ha precisato, al punto 5.3, che debbono essere dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi palesemente incongrui rispetto al contesto

Pag. 33

logico e normativo e quelli - proprio come nel caso in questione - manifestamente lesivi della sfera di competenza riservata ad altre fonti del diritto (leggi costituzionali, regolamenti parlamentari, legislazione regionale, regolamenti comunitari).
Avverte quindi che, secondo quanto stabilito a seguito della riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite I e II, appena terminata, ora si procederà all'esame degli emendamenti.
Sono stati presentati circa trecento emendamenti. Come già stabilito, l'esame in sede referente si concluderà in tempi utili affinché l'esame in Assemblea possa iniziare alle ore 16 di domani, secondo quanto confermato dalla Conferenza dei Presidenti dei gruppi riunitasi alle ore 18.30 di oggi.
Ciò significa che le Commissioni dovranno conferire il mandato al relatore entro le ore 12.30 di domani.
Secondo quanto stabilito, la seduta di questa sera terminerà alle ore 22, mentre la seduta di domani inizierà alle 9.30.
Invita pertanto i relatori ed il rappresentante del Governo ad esprimere i pareri sugli emendamenti presentati.

Enrico COSTA (PdL), relatore per la II Commissione, invita tutti i presentatori al ritiro degli emendamenti esprimendo, in difetto, parere contrario. Si riserva tuttavia di compiere i n occasione dell'esame in Assemblea una valutazione più approfondita sull'emendamento 1.293 Costantini, che presenta taluni aspetti condivisibili.

Giuseppe CALDERISI (PdL), relatore per la I Commissione, esprime parere conforme a quello dell'onorevole Costa.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO esprime parere conforme a quello dei relatori.
Con riferimento all'articolo 1, comma 7, rispetto al quale era stata sollevata una questione nel corso della precedente seduta, precisa che l'espressione «in ogni fase, stato o grado» è stata utilizzata per garantire il più ampio ambito di applicazione alla norma, evitando problemi interpretativi e non significa necessariamente un riferimento anche alle indagini preliminari.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che l'emendamento 1.1 Palomba è accantonato su richiesta del presentatore, che in questo momento, insieme ad altri deputati appartenenti al suo gruppo, è impegnato in una manifestazione politica.

Roberto ZACCARIA (PD) intervenendo sull'emendamento 1.2 Amici, volto a sopprimere il comma 1 dell'articolo 1, illustra l'evoluzione della disciplina dell'immunità per le alte cariche dello Stato. Esprime quindi un giudizio fortemente negativo sulla norma in esame, che permette la sospensione del processo per reati, anche comuni, perfino se commessi prima dell'assunzione della funzione, con conseguente violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Sottolinea come la disposizione in esame, sovrapponendosi a quella di cui agli articoli 90 e 96 della Costituzione ed estendendo la tutela anche ai Presidenti della Camera e del Senato, crei un sistema del tutto disorganico a tutela delle immunità delle alte cariche dello Stato. Ritiene altresì condivisibile la tesi secondo la quale la materia in esame dovrebbe essere disciplinata con fonte di rango costituzionale, sottolineando come la sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2004 lasci impregiudicata tale questione e come la norma presenti vizi di incostituzionalità sia materiali che di procedura, ponendosi in contrasto con l'articolo 72 della Costituzione e con le norme del Regolamento della Camera che di tale articolo costituiscono diretta attuazione. Raccomanda quindi l'approvazione dell'emendamento 1.2 Amici.

Michele BORDO (PD) interviene sull'emendamento 1.2 Amici, del quale raccomanda l'approvazione. Ritiene inaccettabile la compressione dei tempi parlamentari per l'esame del provvedimento, del quale non condivide né il metodo né il

Pag. 34

merito. È evidente che si tratta di una normativa posta nell'esclusivo interesse del premier, e che la stessa si pone in contrasto con gli articoli 3, 112, 111 e 138 della Costituzione. Non vi è dubbio, infatti, che la legge ordinaria non possa disciplinare la materia in questione. Sul piano applicativo evidenzia come i processi si bloccherebbero solo se le alte cariche dello Stato commettessero dei reati comuni, extrafunzionali. Al contrario, i processi per i reati funzionali ai sensi degli articoli 90 e 96 della Costituzione andrebbero avanti. Il che rappresenta un'assurdità giuridica.

Pasquale CIRIELLO (PD), intervenendo sull'emendamento 1.2 Amici, stigmatizza la compressione dei tempi di esame del provvedimento in oggetto.
Ritiene che il Governo avrebbe dovuto più opportunamente fare ricorso al disegno di legge costituzionale, anziché ordinario, per presentare al Parlamento la disciplina in questione.
Con riferimento al contenuto del provvedimento, dichiara di non condividere la previsione volta a tutelare i reati cosiddetti extrafunzionali, che contribuisce a creare un sistema di tutela che non si riscontra in nessun altra democrazia occidentale.

Cinzia CAPANO (PD) non condivide il ricorso alla fonte legislativa ordinaria per disciplinare la materia contenuta nel provvedimento in oggetto, ritenendo invece necessario il ricorso alla fonte costituzionale.
Il provvedimento in esame è volto ad attribuire, di fatto, veri e propri privilegi a vantaggio di persone fisiche individuate, anche in relazione a reati comuni, cercando di nascondersi dietro la sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, i cui contenuti sono in vero stati ignorati. A nulla valgono i tentativi di mitigare gli effetti negativi del provvedimento, come, ad esempio il tentativo di tutelare la parte civile: a proprio avviso, infatti, il provvedimento è incostituzionale, come si evince dall'analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia.
Ritiene, in conclusione, che la maggioranza voglia creare odiosi privilegi a vantaggio della classe politica, che dichiara di non condividere. Si tratta di privilegi che contraddicono i più elementari principi costituzionali che sono a fondamento dello Stato di diritto.

Mario CAVALLARO (PD) ricorda che già la XIV legislatura era iniziata in modo non diverso da questa.
Il provvedimento in esame è un disegno di legge esaminato con procedure di urgenza: esso invece avrebbe dovuto più opportunamente riferirsi alla materia dell'immunità parlamentare, eventualmente modificandone la disciplina. Si tratta di misure di gravità assoluta delle quali l'opinione pubblica non ha compreso la reale portata, che producono danni considerevoli all'ordinamento giuridico e provocano, al tempo stesso, una frattura costituzionale senza precedenti.

Le Commissioni respingono l'emendamento 1.2 Amici.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che le Commissioni ora passeranno all'esame dell'emendamento 1.1 Palomba, precedentemente accantonato, essendo nel frattempo sopraggiunto l'onorevole Costantini, cofirmatario dello stesso.

Carlo COSTANTINI (IdV) illustra l'emendamento 1.1 Palomba. Fa preliminarmente presente che il ministro Calderoli ha da poco rilasciato una dichiarazione alla stampa con cui afferma che questo provvedimento chiude il cerchio della politica governativa in materia di giustizia. In realtà i problemi della giustizia sono ben altri ed il provvedimento in oggetto, esaminato con una programmazione che comprime i tempi dell'esame, reca norme in radice non condivisibili, che in nessun modo possono risolvere i problemi della giustizia.
Si dichiara rammaricato per l'atteggiamento tenuto dalla maggioranza in tema di giustizia e sicurezza: le misure adottate appaiono del tutto inadeguate, e, oltretutto

Pag. 35

smentiscono le promesse fatte in campagna elettorale, considerato che paiono limitarsi al solo provvedimento in esame, volto solo a salvaguardare gli interessi del Capo del Governo.

Pietro TIDEI (PD) osserva che la Costituzione già prevede la disciplina in materia di responsabilità del Capo dello Stato e dei ministri, che però non è in grado di tutelare adeguatamente la posizione giudiziaria del capo del Governo. A questo scopo, invece, è volto il provvedimento in esame.
Il Parlamento, in questo momento, è paralizzato dall'esame di provvedimenti che non vanno nell'interesse della collettività, a partire dai temi quali la crescita economica o la sicurezza dei cittadini.
Invita quindi la maggioranza a rinunciare ad approvare questo provvedimento, in modo che il Capo del Governo possa affrontare i processi che lo riguardano e consentendo al Parlamento di esaminare i provvedimenti più importanti.

Doris LO MORO (PD) si sofferma preliminarmente sulla sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, la cui lettura evidenzia non solo l'illegittimità costituzionale del provvedimento in esame, ma anche il modo sbagliato con cui il problema della tutela da offrire alla più alte cariche dello Stato è stato affrontato sotto un profilo metodologico.
La maggioranza non ignora certo che le vere priorità del paese sono altre, come il federalismo fiscale o la sicurezza dei cittadini.
Le ragioni dell'opposizione, che sono state illustrate nel corso dell'esame, sono volte a difendere il prestigio del Parlamento e la storia italiana rispetto ad una vicenda, al cui centro si pone la figura del presidente del Consiglio.
Il provvedimento in esame appare discutibile sotto il profilo della sua formulazione, ma, più di tutto, per la sua finalità intrinseca, vale a dire l'obiettivo di impedire la celebrazione di processi nei confronti del presidente del Consiglio. È un obiettivo che catalizza l'attenzione e contribuisce ad annacquare le altre questioni recate dai provvedimenti che le Commissioni stanno esaminando in questi giorni, a cominciare dalla sicurezza dei cittadini.

Le Commissioni respingono l'emendamento 1.1 Palomba.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che un rilevante numero di proposte emendative, il primo di questi è l'emendamento 1.3 Palomba, è volto a prevedere l'esclusione della sospensione del processo in relazione a specifiche fattispecie di reato. Si tratta in particolare degli emendamenti 1.3 Palomba, limitatamente alla lettera a); 1.4 Costantini, limitatamente alla lettera a); 1.5 Palomba, limitatamente alla lettera a), 1.6 Costantini, 1.7 Costantini, 1.8 Palomba, gli emendamenti da 1.16 Ferranti fino a 1.287 Ferranti.
Ora quindi sarà posto in votazione il principio della esclusione della sospensione del processo in relazione a specifiche fattispecie di reato.
In caso di approvazione del principio saranno poste in votazione le singole proposte emendative riconducibili a tale principio; in caso di reiezione tali proposte emendative si intenderanno respinte.

Carlo COSTANTINI (IdV), con riferimento al principio che viene posto in votazione, fa presente di ritenere inaccettabile che siano sospesi tutti indistintamente i processi penali.

Anna ROSSOMANDO (PD) ritiene inaccettabile prevedere che siano sospesi tutti indistintamente i processi penali all'interno di una norma di rango ordinario, se non configurando la fattispecie quale vero e proprio privilegio. Si sofferma quindi sulla sentenza n. 24 del 2004 della Corte costituzionale, la cui lettura consente di affermare la necessità di far ricorso alla Corte costituzionale per disciplinare la materia in questione. Conclude evidenziando le proprie perplessità sulla formulazione del provvedimento, che svolge l'unica finalità di favorire gli interessi del

Pag. 36

capo del Governo, sconvolgendo tutti gli equilibri costituzionali.

Alessandro NACCARATO (PD) ritiene che non sia condivisibile una norma che prevede la sospensione di tutti i processi, senza alcune distinzione, a carico delle quattro cariche dello Stato contemplate dal provvedimento.
Al riguardo dichiara di non condividere il ricorso alla fonte ordinaria per disciplinare la materia in questione.
Si sofferma poi sulla disciplina vigente negli altri ordinamenti costituzionali sulla stessa materia, che rafforzano le proprie perplessità sulla disciplina assolutamente singolare che si sta approvando. È un provvedimento irragionevole e incomprensibile, che assicura una impunità assoluta alle 4 cariche dello Stato, che non trova termini di confronto in altri ordinamenti stranieri.

Giulia BONGIORNO, presidente, pone pertanto in votazione il principio volto a prevedere l'esclusione della sospensione del processo in relazione a specifiche fattispecie di reato

Le Commissioni respingono il principio posto in votazione dal Presidente.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che, a seguito della reiezione del principio della esclusione della sospensione del processo in relazione a specifiche fattispecie di reato, si intendono respinte le seguenti proposte emendative: 1.3 Palomba, limitatamente alla lettera a); 1.4 Costantini, limitatamente alla lettera a); 1.5 Palomba, limitatamente alla lettera a), 1.6 Costantini, 1.7 Costantini, 1.8 Palomba. Si intendono altresì respinte le proposte emendative da 1.16 Ferranti fino a 1.287 Ferranti. Dopo aver ricordato che si era stabilito che la seduta odierna si sarebbe conclusa alle ore 22, rinvia il seguito dell'esame alla seduta già convocata per domani alle ore 9.30.

La seduta termina alle 22.05.