CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 30 gennaio 2013
772.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione
ALLEGATO

ALLEGATO 1

INDAGINE CONOSCITIVA

Nuove politiche europee in materia di immigrazione.

Documento conclusivo approvato dal Comitato.

INDICE

1. Introduzione.
2. Immigrazione e prospettive europee: il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo.
3. La regolazione dell'immigrazione: accoglienza e integrazione.
4. Strumenti di controllo dell'immigrazione illegale.
5. La gestione delle frontiere.
6. Una visione globale delle politiche migratorie.
7. Conclusioni.

1. Introduzione.

  Dal 26 novembre 2008 al 27 settembre 2011 il Comitato ha svolto un'ampia serie di audizioni e di missioni, con lo scopo di mettere a fuoco una vasta prospettiva europea di politica migratoria, da attuare per i singoli Stati membri dell'Unione europea, contestualmente individuando una visione comune in materia di asilo, sulle cui basi adottare coerenti ed efficaci politiche nazionali di controllo dell'immigrazione, di accoglienza e di tutela dei migranti e dei richiedenti asilo nel nostro Paese.
  Le audizioni hanno coinvolto soggetti istituzionali, nazionali, europei e internazionali, e rappresentanti della società civile, responsabili o impegnati nel settore della gestione, dell'accoglienza, della programmazione dell'immigrazione.
  Nel dettaglio sono stati auditi i seguenti soggetti: il Sottosegretario al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Ferruccio Fazio (26/11/08 e 03/12/08); rappresentanti della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes (21/01/09); il Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, Prefetto Rodolfo Ronconi (11/03/09); rappresentanti della fondazione ISMU (22/04/09); il rappresentante nel Consiglio di amministrazione di Europol, Antonio Sessa (20/05/09 e 30/06/09); il Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi (14/07/09); il Sottosegretario al Ministero dell'interno, Alfredo Mantovano (22/09/09); l'Ambasciatore d'Italia a Tripoli, Francesco Paolo Trupiano (13/10/09); il Presidente del Comitato per i minori stranieri presso il Ministero del lavoro, della salute e delle Pag. 19politiche sociali, Giuseppe Silveri (27/10/09); il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione presso il Ministero dell'interno, Mario Morcone (10/11/09); il Direttore dell'area sviluppo, lavoro e affari sociali della Divisione Immigrazione presso l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), Georges Lemaitre (24/11/09); rappresentanti dell'Associazione Save the Children – Italia ONLUS (19/01/10); il Direttore dell'Ufficio regionale per il Mediterraneo dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), Peter Schatzer, (23/02/10); il Ministro dell'interno, Roberto Maroni (14/04/10, 12/10/10 e 31/05/11); il Presidente vicario dell'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale (ONC) del CNEL, Giorgio Alessandrini (28/04/10); rappresentanti del Forum delle Comunità straniere in Italia (08/06/10); il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione presso il Ministero dell'interno, Angela Pria (06/07/10 e (15/02/11); il Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Christopher Hein (20/07/10); il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro (05/10/10); il Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti (09/11/10); il Capo della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, Ferdinando Nelli Feroci (23/11/10 e 19/07/11); il Delegato per l'Europa del Sud dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Laurent Jolles (01/02/11); ufficiali della Guardia di finanza (01/03/11); il Commissario delegato per l'emergenza immigrazione dal Nord Africa, Franco Gabrielli (19/04/11); rappresentanti della Guardia costiera (28/06/11); il Direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, Rodolfo Ronconi (27/09/11).
  Le missioni hanno interessato tutti i Paesi del Mediterraneo toccati dai maggiori flussi migratori, nonché altri Stati membri dell'Unione la cui posizione in materia di regolazione delle politiche migratorie appariva particolarmente significativa.
  Sono state perciò svolte missioni nell'isola di Lampedusa (il 10 ottobre 2008), a Gradisca d'Isonzo (20 novembre 2008), in Spagna (il 26 e 27 febbraio 2009), a Bruxelles (l'11 maggio 2009), in Grecia (il 21 e 22 maggio 2009), a Malta (il 16 e 17 luglio 2009), in Svizzera (il 1o ottobre 2009), a Cipro (il 12 e 13 novembre 2009), in Francia (il 25 e 26 febbraio 2010), in Libia (il 26 e 27 maggio 2010), in Polonia (21 e 22 ottobre 2010), a Crotone (18 febbraio 2011), a Gradisca d'Isonzo (11 marzo 2011), di nuovo a Lampedusa (22 marzo 2011).

2. Immigrazione e prospettive europee: il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo.

  Punto di partenza dell'indagine è rappresentato dal Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, adottato dal Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2008, nel quale fu fissato l'impegno dell'Unione europea a sviluppare una politica comune in materia di immigrazione e di asilo, fondata su un approccio globale di relazioni esterne con i Paesi di origine dei migranti e su una concezione delle politiche migratorie come strumento di valorizzazione economica e culturale, nonché di controllo dei grandi flussi migratori che caratterizzano i nostri tempi. Pag. 20
  Il Patto in sé costituisce un atto di indirizzo politico della Presidenza dell'Unione che riassume la politica europea in materia di immigrazione e asilo di questi ultimi anni: pur non essendo ancora una vera e propria politica dell'immigrazione europea in senso stretto, rappresenta tuttavia un importantissimo passo avanti in questa direzione.
  Riconoscendo l'avanzamento negli ultimi cinquanta anni del progetto politico e di civiltà rappresentato dall'Unione europea, il Consiglio ha individuato uno dei massimi traguardi raggiunti in tal senso nella costituzione di un vasto spazio di libera circolazione che comprende la maggior parte del territorio europeo. In questo ambito le migrazioni internazionali si collocano come una opportunità economica e di reciproco arricchimento fra Stati membri dell'Unione e Paesi di origine dei migranti: le politiche migratorie devono pertanto essere concepite sulla base di un approccio globale, cioè nel quadro di uno stretto partenariato tra i Paesi di origine, transito e destinazione.
  Su queste basi, il Consiglio europeo ha assunto cinque impegni fondamentali, che nella loro ispirazione generale hanno rappresentato l'impalcatura dell'indagine svolta dal Comitato:
   I. organizzare l'immigrazione legale tenendo conto delle priorità, delle esigenze e delle capacità d'accoglienza stabilite da ciascuno Stato membro e favorire l'integrazione;
   II. combattere l'immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro Paese di origine o in un Paese di transito, degli stranieri in posizione irregolare;
   III. rafforzare l'efficacia dei controlli alle frontiere;
   IV. costruire un'Europa dell'asilo;
   V. creare un partenariato globale con i Paesi di origine e di transito che favorisca le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo.

  Sul primo punto il Consiglio europeo ha riconosciuto alcuni principi: spetta anzitutto a ciascuno Stato membro decidere le condizioni di ammissione sul suo territorio dei migranti legali e fissarne, se del caso, il numero, eventualmente in partenariato con i Paesi di origine; è necessario che ogni Stato membro attui una politica d'immigrazione scelta in funzione dell'insieme delle esigenze del mercato del lavoro; tale politica deve in ogni caso consentire un equo trattamento dei migranti e l'integrazione armoniosa degli stessi nella società del Paese ospitante.
  Poiché poi l'Unione europea non dispone dei mezzi per accogliere tutti i migranti in arrivo che aspirano a stabilirvisi e poiché un'immigrazione mal controllata può pregiudicare la coesione sociale dei Paesi di destinazione, è necessario che le politiche migratorie degli Stati membri tengano debitamente conto delle capacità d'accoglienza dell'Europa sul piano del mercato del lavoro, degli alloggi, dei servizi, sanitari, scolastici e sociali, nonché della necessità di proteggere i migranti dal rischio di sfruttamento da parte di reti criminali.Pag. 21
  Inoltre, poiché l'accesso al territorio di uno Stato membro consente anche l'accesso al territorio di altri Stati europei, è imperativo che ciascuno Stato tenga conto degli interessi dei partner nel definire e attuare le proprie politiche di immigrazione, integrazione e asilo. Perciò il Consiglio ha indicato nella lotta all'immigrazione clandestina una delle priorità da perseguire con metodo concertato a livello europeo, in particolare: rafforzando la cooperazione degli Stati membri e della Commissione con i Paesi di origine e di transito; impegnando ciascuno Stato membro all'effettiva applicazione del principio in base al quale gli stranieri in posizione irregolare nel territorio degli Stati membri devono lasciare tale territorio (privilegiando lo strumento del rimpatrio volontario).
  Per quanto concerne la necessità di rafforzare l'efficacia del sistema di controllo alle frontiere, il Consiglio europeo ha significativamente riconosciuto che gli Stati membri esposti, per la loro situazione geografica, a un afflusso maggiore di migranti o che dispongono di mezzi limitati devono poter contare sulla solidarietà effettiva dell'Unione europea.
  Nella costruzione di un'Europa dell'asilo, il Consiglio ha quindi ribadito che ogni straniero perseguitato ha il diritto di ottenere assistenza e protezione nel territorio dell'Unione europea in applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, come modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, e degli altri trattati ad essa correlati, ritenendo altresì che sia giunto il momento di completare l'istituzione, prevista dal programma dell'Aia, del sistema europeo comune di asilo.
  Infine, il Consiglio europeo ha convenuto che una efficace politica migratoria non può prescindere dalla conclusione, con i Paesi per i quali è necessario, di accordi di riammissione a livello comunitario o bilaterale, in modo che ciascuno Stato membro disponga degli strumenti giuridici per assicurare l'allontanamento degli stranieri in posizione irregolare; ciò anche al fine di rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e transito, nel quadro di un approccio globale in materia di politiche migratorie e per combattere l'immigrazione clandestina.

3. La regolazione dell'immigrazione: accoglienza e integrazione.

  L'immigrazione ha un rilevante l'impatto sui fattori di crescita e di prosperità nazionale in rapporto all'andamento demografico e al fenomeno dell'invecchiamento della popolazione italiana, con un positivo effetto in termini di aumento del prodotto interno e di sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale. Tuttavia, pur nell'ottica dell'immigrazione intesa come risorsa da valorizzare e tutelare, nel Comitato si è spesso sottolineato il fatto che una realistica programmazione dei flussi migratori mediante adeguate politiche appare indispensabile, considerando la necessità dell'inserimento dei migranti nel mercato del lavoro, la delicatezza delle questioni relative alla loro integrazione sociale e culturale, le capacità di accoglienza e di protezione anche dei soggetti più vulnerabili. È stato però frequentemente rilevato che lo strumento dei decreti flussi, sempre più Pag. 22utilizzato da irregolari dimoranti in Italia per regolarizzare la loro posizione, è andato perdendo la capacità di governare i reali flussi migratori.
  Già il Patto europeo sull'immigrazione e l'integrazione aveva posto l'accento sulla necessità che la concezione delle politiche migratorie degli Stati membri dell'Unione europea tenesse conto della concreta capacità di assorbimento dei migranti economici da parte del mercato del lavoro nazionale e delle potenzialità di integrazione degli stessi nel tessuto sociale, culturale, oltreché economico.
  Queste valutazioni dovrebbero essere effettuate in sede di definizione delle politiche migratorie, tenendo conto – come si dice nel Patto – anche delle probabili ricadute nei sistemi sociali ed economici dei Paesi membri dell'Unione, che in virtù dell'Accordo di Schengen si trovano esposti alle conseguenze delle singole politiche nazionali in termini di ingresso di lavoratori stranieri.
  Secondo la stessa Strategia di Lisbona, i flussi migratori devono essere organizzati in maniera tale da poter fornire la migliore risposta ad una valutazione comune rispetto ai bisogni del mercato del lavoro in tutta Europa. Tuttavia, poiché la prerogativa di decidere le condizioni di ammissione rispetto agli immigrati legali e di fissarne la relativa quota numerica rimane esclusivamente in capo ad ogni singolo Stato membro dell'Unione, tale obiettivo è di assai difficile conseguimento. È tuttavia possibile, e necessario, sviluppare la capacità di ogni Stato di misurare le potenziali carenze di risorse umane per settore occupazionale, professionale e per livelli di qualifica. È possibile in tal modo operare una migliore programmazione dei flussi, che il Comitato auspica possa tradursi anche in un embrionale coordinamento a livello europeo.
  In questo senso l'immigrazione (regolare o irregolare) è una questione che riguarda non soltanto la sicurezza o la sovranità dello Stato, ma anche la gestione del mercato del lavoro: le audizioni svolte dal Comitato hanno infatti posto in luce quasi unanimemente che il successo delle politiche migratorie dipende in gran parte dalla soluzione del disallineamento tra offerta e domanda di lavoro, da realizzare con un saggio governo dei flussi.
  Il problema strutturale dell'immigrazione irregolare come fenomeno di massa impone di riflettere anzitutto sul cattivo funzionamento dei canali legali d'ingresso: l'incontro della domanda e dell'offerta non sembra infatti essere un problema per i lavoratori altamente qualificati, mentre lo è certamente per i lavoratori meno specializzati, per i quali i canali legali d'ingresso risultano inadeguati ed inefficienti. Oltre al fatto che è estremamente difficile prevedere canali di reclutamento formali all'estero (per i quali sarebbero necessarie importanti infrastrutture nei Paesi di origine dei migranti), occorre considerare che esistono mansioni per le quali l'assunzione a distanza appare particolarmente inadeguata (è il caso delle famiglie per colf e badanti, ma anche di datori di lavoro per la manodopera generica).
  Nello specifico caso italiano, molti interventi in Comitato hanno evidenziato come la normativa vigente sugli ingressi di lavoratori in Italia sia decisamente inadeguata rispetto alle modalità effettive di funzionamento del mercato del lavoro, senza contare che per molte Pag. 23ragioni il nostro Paese si trova al momento al di fuori dei pur imponenti flussi migratori su scala globale riguardanti i lavoratori ad alta qualifica. In un mondo globalizzato gli accordi industriali tra società straniere e grandi aziende italiane rendono infatti necessaria una mobilità dei lavoratori qualificati e delle loro famiglie che sia sganciata dalle procedure collegate al «decreto flussi».
  L'indagine del Comitato ha identificato come obiettivo critico la necessità di ridurre il tasso di immigrazione irregolare che è spesso conseguenza della difficoltà di accesso attraverso i canali legali. In generale, appare indispensabile individuare in ogni formula di politica migratoria un punto di equilibrio tra incentivi e sanzioni per i migranti, volti gli uni a favorire gli ingressi legali, gli altri a scoraggiare quelli illegali o la permanenza irregolare. Nessun Paese sembra sia riuscito ad individuare in maniera perfetta questo punto di equilibrio: per quanto riguarda ad esempio gli incentivi al rispetto delle regole del mercato del lavoro, sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei specifici ispettorati del lavoro, le cui sanzioni tuttavia appaiono ovunque piuttosto modeste e dunque insufficienti a scoraggiare il fenomeno dell'immigrazione irregolare e del lavoro sommerso.
  Un'attenzione particolare e approfondimenti specifici (anche a mezzo di apposite missioni) sono stati dedicati dal Comitato al sistema dell'accoglienza predisposta a favore dei migranti per ragioni economiche, dei rifugiati o meritevoli di protezione sussidiaria, dei soggetti deboli o particolarmente vulnerabili, indipendentemente dalla loro condizione di presunta irregolarità.
  I centri di prima accoglienza, istituiti con la legge del 29 dicembre 1995, n. 563, finalizzata a fronteggiare il fenomeno degli sbarchi degli anni ’90, consentivano di apprestare interventi e misure assistenziali urgenti di primo soccorso agli stranieri irregolari, al momento del loro ingresso sul nostro territorio. Furono successivamente sostituiti dai CIE (Centri di identificazione ed espulsione): si tratta di strutture finalizzate al trattenimento del soggetto destinatario di un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, convalidato a seguito di un procedimento in presenza del giudice di pace; essi inoltre svolgono le procedure per l'identificazione, spesso difficile, del cittadino extracomunitario.
  Uno dei problemi sollevati relativamente alla gestione e all'organizzazione dei CIE riguarda la frequente compresenza nella stessa struttura di soggetti con precedenti penali e migranti irregolari, che determina le difficoltà di convivenza e può innescare pericolosi meccanismi di conflitto e di rivolta, alimentati, in molti casi, dalle inadeguatezze strutturali dei centri stessi e dalla durata eccessiva dei confinamenti nei centri stessi. Su questo punto in particolare il Comitato non ha raccolto alcun contributo che possa definirsi risolutivo, considerando che la separazione delle due categorie – a leggi vigenti, e quindi in presenza del reato di immigrazione clandestina – appare quanto mai difficoltosa.
  I CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) ospitano invece persone in attesa di valutazione della propria domanda di asilo da parte della commissione territoriale. Il sistema dei Centri per i richiedenti asilo si completa con lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), cui le audizioni del Comitato hanno Pag. 24destinato largo spazio: si tratta di un modello largamente apprezzato anche in Europa, rivolto ai richiedenti asilo o coloro che hanno già ricevuto la protezione internazionale, che si basa sulla collaborazione interistituzionale tra Stato ed enti locali, con l'apporto collaborativo della società civile. Nelle strutture facenti capo alla rete SPRAR, oltre ai servizi normalmente assicurati nei centri governativi per immigrati, vengono svolti percorsi di integrazione che comprendono l'insegnamento della lingua italiana, l'orientamento al territorio e la formazione professionale. Vi sono anche alcuni progetti specifici destinati alle cosiddette categorie vulnerabili, nelle quali rientrano anche i minori. Il sistema appare ben disegnato, ma soffre di una strutturale inadeguatezza delle risorse a disposizione.
  Dalle verifiche svolte sul posto e dalle audizioni è emerso che il sistema infrastrutturale destinato all'identificazione e all'accoglienza degli stranieri è rimasto negli ultimi anni sostanzialmente invariato; a partire dal 2011 è apparso invece sempre più difficoltoso il mantenimento dell'attuale standard quantitativo e qualitativo dei servizi garantiti allo straniero nei Centri di accoglienza, con particolare riferimento a quelli di assistenza sanitaria, mediazione linguistico-culturale, assistenza sociale e psicologica, e informazione legale.
  In occasione della grave emergenza migratoria conseguente ai rivolgimenti politico-sociali della cosiddetta «primavera araba» dell'inizio del 2011, l'accoglienza dell'eccezionale flusso di migranti è stata organizzata secondo un apposito piano condiviso fra le regioni italiane e concordato insieme al Governo tra la fine di marzo e l'inizio di aprile del 2011. Tale piano prevedeva una distribuzione dei richiedenti asilo e dei profughi in tutte le regioni italiane, escluso l'Abruzzo, attraverso il Sistema della protezione civile nazionale e delle protezioni civili regionali, con l'individuazione da parte delle regioni delle località da destinare agli insediamenti.
  Nonostante le crescenti difficoltà di gestione dovute al continuo aumento dei flussi migratori, il Comitato ha constatato in più occasioni la rilevanza strategica del sistema generale dell'accoglienza (CARA e SPRAR), non soltanto nel quadro della prima accoglienza dei migranti, ma soprattutto nella fase successiva della loro integrazione ed del loro inserimento graduale nel tessuto sociale ed economico nazionale, rafforzandosi nella convinzione che le politiche dell'integrazione socioculturale degli immigrati regolari siano la via maestra per governare in modo razionale il fenomeno strutturale dell'immigrazione.
  Il Patto europeo per l'immigrazione e l'integrazione considera attentamente questo versante delle politiche migratorie, invitando gli Stati membri ad attuare con i mezzi più adeguati non soltanto politiche d'immigrazione professionale che tengano conto di tutti i bisogni del mercato del lavoro di ciascuno Stato membro (rafforzando gli incentivi per i lavoratori altamente qualificati e facilitando l'ingresso e la circolazione nell'Unione di studenti e ricercatori), ma anche regolando adeguatamente l'immigrazione familiare e migliorando le capacità d'integrazione delle famiglie, valutate in base alle loro risorse, alle condizioni di alloggio nel Paese di destinazione nonché, ad esempio, in base alla conoscenza della lingua di tale Paese. Pag. 25
  Molti componenti del Comitato hanno sottolineato che in questa direzione è necessario – come dice testualmente il Patto – cercare un equilibrio tra i diritti dei migranti (l'accesso all'istruzione, al lavoro, alla sicurezza e ai servizi pubblici e sociali) e i loro doveri (rispetto delle leggi del Paese ospitante). Misure specifiche dovranno perciò essere prese per favorire l'apprendimento della lingua e l'accesso all'occupazione, fattori essenziali d'integrazione; per assicurare il rispetto dei valori fondamentali quali i diritti dell'uomo, la libertà d'opinione, la democrazia, la tolleranza, la parità uomo-donna e l'obbligo di scolarizzazione dei figli.
  L'integrazione rappresenta quindi l'orizzonte necessario di ogni efficace politica migratoria. Di questo è certamente consapevole l'Unione europea che ha stanziato nel programma 2007-2013 un apposito Fondo europeo per l'integrazione di cittadini di Paesi terzi, volto a favorire la capacità degli Stati membri di elaborare, realizzare e valutare politiche di interventi per l'integrazione di cittadini stranieri. Il suo obiettivo è, quindi, quello di facilitare il processo di integrazione dei cittadini provenienti da contesti economico-sociali, culturali, religiosi e linguistici diversi, nonché di favorire lo scambio di esperienze e buone prassi tra gli Stati membri. Destinatari sono i cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in Italia che hanno fatto ingresso nel nostro Paese da meno di cinque anni.
  Il nostro Ministero dell'interno ha sviluppato una strategia per l'utilizzo di queste risorse europee, programmando e realizzando diverse azioni: formazione linguistico-educativa; orientamento al lavoro e qualificazione; progetti rivolti ai giovani; azioni di sensibilizzazione, informazione e comunicazione; iniziative di mediazione interculturale e promozione della figura del mediatore; programmi innovativi di integrazione; capacity building; valutazione delle politiche e dei progetti.
  Con le norme contenute nel cosiddetto «pacchetto sicurezza» (legge 15 luglio 2009, n. 94), è stato inoltre introdotto lo strumento dell'accordo di integrazione, volto ad operare l'effettivo coinvolgimento del cittadino immigrato in un percorso di integrazione, la cui efficacia dipende dalle risorse messe in campo e dal loro migliore utilizzo (cfr. infra, l'analogo modello francese).
  Un discorso a parte meritano le misure di accoglienza ed integrazione destinate ai minori stranieri, su cui il Comitato ha svolto più di un'audizione, allo scopo di approfondire le procedure di identificazione, la collaborazione con gli enti locali, i meccanismi di eventuali ricongiungimenti familiari e dei rimpatri assistiti, nonché la capacità di integrazione sociale dei minori e il costo del loro mantenimento a carico della collettività.
  Il minore straniero non accompagnato, come noto, non può essere espulso: è possibile esclusivamente il rimpatrio assistito, consistente nel rientro volontario da parte del minore, accertate le reali condizioni del contesto socio-economico familiare nel suo Paese e l'eventuale possibilità di rientro. La prima accoglienza di questi minori è gestita dagli enti locali (per il tramite dei servizi sociali) e dalle Forze dell'ordine (polizia e polizia municipale), secondo un modulo di gestione che vede la collaborazione pressoché paritaria fra Ministero dell'interno, Ministero delle politiche sociali (attraverso il Comitato Pag. 26per i minori stranieri) ed enti locali, che gestiscono le strutture di accoglienza specificamente riservate ai minori. In queste strutture i minori ricevono l'assistenza necessaria a lungo termine e vengono inseriti in appositi programmi di integrazione che includono la frequenza scolastica. Negli ultimi anni è cresciuto il numero dei minori provenienti dall'Egitto, da Paesi sub-sahariani e del Corno d'Africa (Somalia, Eritrea, Etiopia); è inoltre apparsa la nazionalità afghana, in precedenza pressoché sconosciuta.
  Una delicata questione relativa alla gestione dei minori resta quella che concerne la loro identificazione come minori: è infatti su questo punto che il Comitato ha rilevato le maggiori criticità, anche nel corso delle numerose visite ai centri di accoglienza. Per non essere espulsi infatti molti migranti stranieri si dichiarano minori di età, distruggendo i propri documenti d'identità: resta responsabilità delle autorità di polizia italiane definirne l'età nel modo più possibile rispondente al vero anche attraverso strumenti di accertamento non sempre affidabili, come la radiografia del polso. Questa complessa procedura aggrava notevolmente gli adempimenti delle Forze dell'ordine presenti nei Centri di prima accoglienza dei migranti, dilatando i tempi di permanenza di molti stranieri (anche richiedenti asilo) all'interno di queste strutture, in condizioni non adeguate all'accoglienza di soggetti vulnerabili come bambini, donne in gravidanza o interi nuclei familiari.
  Ancora sul tema dell'integrazione, con particolare riferimento ai nuclei familiari, il Comitato ha raccolto importanti contributi che riportano alcune esperienze straniere in merito. Sul punto, sembra particolarmente significativo il modello francese che prevede la stipula di uno specifico contrat d'accueil et d'intégration pour la famille, con il quale i genitori di figli minori che entrano in Francia si impegnano a seguire corsi di formazione sui propri diritti e doveri genitoriali e a rispettare e a far rispettare ai figli le norme sull'obbligo scolastico; anche il figlio minore se ha più di sedici anni deve siglare un contrat d'intégration con il quale si impegna a seguire corsi di francese e di educazione civica. Si noti a questo riguardo che il mancato rispetto del contrat può incidere sul rinnovo del permesso di soggiorno.

4. Strumenti di controllo dell'immigrazione illegale.

  Le audizioni svolte e i contributi raccolti dal Comitato hanno confermato la generale condivisione dell'idea che le migrazioni internazionali siano un fenomeno strutturale, che persisterà finché esisteranno grandi divari economici fra le varie parti del globo e che per conseguenza non può essere gestito in un'ottica emergenziale o meramente securitaria. È quindi necessario seguire una logica di valorizzazione dei flussi, di regolazione e di programmazione a lungo termine, fondata sull'integrazione dei migranti nelle società di destinazione, nel pieno rispetto dei diritti umani e delle aspettative dei Paesi di origine dei flussi.
  Nell'ambito del Patto per l'immigrazione e l'integrazione, il Consiglio europeo ribadisce la propria determinazione a combattere l'immigrazione irregolare, puntando a rafforzare la cooperazione degli Pag. 27Stati membri e della Commissione con i Paesi di origine e di transito per combattere il fenomeno nel quadro di un approccio globale. L'appartenenza all'Unione implica l'accettazione del principio secondo il quale gli stranieri in posizione irregolare devono lasciare il territorio degli Stati membri, nel rispetto del loro diritto e della loro dignità. Il Consiglio europeo invita così gli Stati membri a limitarsi a regolarizzazioni non generalizzate, ma valutate caso per caso e a concludere quanto più possibile accordi di riammissione con i Paesi interessati, in modo che ciascuno Stato membro disponga degli strumenti giuridici per assicurare l'allontanamento degli stranieri in posizione irregolare.
  Il Comitato condivide l'approccio europeo fondato sul riconoscimento della necessità di combattere l'immigrazione irregolare, la quale elude quei canali legali che assicurano una adeguata valorizzazione dei flussi attraverso la necessaria integrazione nel tessuto economico, sociale e culturale del Paese di destinazione.
  Sullo specifico tema del contrasto all'immigrazione irregolare, le audizioni di rappresentanti del Governo svolte dal Comitato all'inizio dell'indagine conoscitiva hanno posto in luce l'orientamento dell'Esecutivo da poco insediato ad intraprendere la via di una più stringente regolamentazione del fenomeno, per ridurre l'incidenza dell'immigrazione clandestina e irregolare in genere. Nel corso dell'audizione del 15 ottobre 2008 in particolare, illustrando le linee generali della politica migratoria in via di elaborazione da parte del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno si è soffermato sui contenuti del cosiddetto «pacchetto sicurezza», composto da un decreto-legge, tre decreti legislativi e due disegni di legge.
  Con il primo decreto-legge n. 92 del 2008, convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, sono stati modificati alcuni articoli del codice penale, che consentono ora l'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero condannato a due anni di reclusione, invece dei dieci precedentemente previsti. Si stabilisce altresì la reclusione da uno a quattro anni per chi trasgredisce l'ordine di espulsione emesso dal giudice e si aggiunge una nuova circostanza aggravante relativa alla commissione del reato da parte di chi si trova illegalmente sul territorio nazionale. Viene inoltre prevista la nuova fattispecie delittuosa per chi cede a titolo oneroso un immobile ad un cittadino straniero privo del titolo di soggiorno e vengono aggravate le sanzioni penali per il datore di lavoro che impiega stranieri irregolari e per coloro che agevolano la permanenza illegale dello straniero.
  I tre decreti legislativi riguardavano i ricongiungimenti familiari dei cittadini stranieri, il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato politico e la libera circolazione dei cittadini comunitari. Essi erano volti ad introdurre una più stringente regolamentazione dell'istituto dei ricongiungimenti familiari, con l'introduzione di alcune condizioni limitative dell'esercizio di tale diritto nei confronti del coniuge, dei figli maggiorenni e dei genitori, e con una diversa disciplina del diritto di asilo che eviti l'uso strumentale delle relative richieste. Viene, in particolare, affidato al prefetto il compito di stabilire un luogo di residenza o un'area dove il richiedente asilo possa circolare e viene disposto che il richiedente asilo, già destinatario di un decreto di espulsione, permanga nel Centro di identificazione ed Pag. 28espulsione (CIE) in cui si trova. Anche l'estensione fino a diciotto mesi del periodo di trattenimento in un CIE del cittadino straniero da rimpatriare e l'introduzione del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato rispondevano alla medesima esigenza rappresentata dal Ministro di introdurre un più efficace controllo del fenomeno migratorio.
  Alcune delle successive audizioni svolte dal Comitato sono state dedicate a sondare e approfondire tutte le azioni di contrasto all'immigrazione irregolare che, garantendo il diritto sovrano di controllare le coste e il territorio nazionale e salvaguardando la legalità del mercato di lavoro e la sicurezza, non si riduca tout court in una azione di repressione dei flussi migratori con soli effetti a breve termine. Tale politica di contrasto, da sviluppare nel pieno rispetto dei diritti dei migranti, dovrebbe basarsi su valutazioni pragmatiche dell'impatto delle norme sulla realtà, senza pregiudizi di natura ideologica, con i quali si rischia di trasformare i flussi in fenomeni sommersi e pertanto ipso facto incontrollabili.
  Su queste premesse, un'emersione dell'irregolarità non può scaturire dall'adozione di misure di regolarizzazione generalizzate (che contrasterebbero con le indicazioni del Consiglio europeo), ma attraverso misure ad personam proposte, eventualmente, da commissioni territoriali. Ma per restringere l'irregolarità è cruciale, anzitutto, l'attento disegno degli strumenti di programmazione in grado di regolare i flussi, in modo da garantire l'integrazione dei lavoratori migranti, dopo aver valutato le capacità di assorbimento del mercato del lavoro nazionale, le possibilità di inserimento culturale e sociale, opportunamente corroborate da politiche ad hoc.
  Nel prosieguo dell'indagine, il Comitato ha avuto modo di soffermarsi sugli esiti della politica di programmazione dei flussi, intrapresa dal Governo negli anni più recenti attraverso la fissazione di quote e l'emanazione dell'annuale decreto flussi. Secondo quanto emerso in alcune audizioni, nonché dalle osservazioni di diversi componenti del Comitato, tale politica e in particolare lo strumento del decreto flussi risultano oramai insufficienti ad una efficace regolazione del fenomeno migratorio, avendo sostanzialmente fallito l'obiettivo di garantire l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, favorendo addirittura – secondo alcuni – un aumento dell'immigrazione irregolare, a causa della ristrettezza o della effettiva impraticabilità dei canali di ingresso legali nel nostro Paese. In conseguenza il decreto flussi non è stato emanato a partire dal 2010 se non per i lavoratori stagionali (l'ultimo decreto-flussi per lavoratori non stagionali è infatti il D.P.C.M. 30 novembre 2010).
  Sotto un profilo di specifica competenza del Comitato, le audizioni hanno evidenziato il fatto che il visto turistico Schengen ha svolto e continua a svolgere un indebito ruolo di filtro per coloro che entrano in Italia allo scopo di cercare un lavoro, rappresentando così un ostacolo per una effettiva tutela del diritto di asilo. È noto infatti che il sistema Schengen e la politica comune dei visti si fondano su un corpus di regole stringenti ed estremamente selettive (spesso di emanazione amministrativa), volte a verificare se le richieste di visto turistico siano in realtà motivate da ragioni economiche. Di fatto queste regole – se rigidamente interpretate – svolgono impropriamente Pag. 29la funzione di selezionare gli ingressi a scopo di ricerca di lavoro o di asilo, surrogando o superando quelli che dovrebbero essere principi politici di programmazione dei flussi. Nel contempo, l'esistenza di dette regole induce l'aspirante richiedente asilo a cercare altri canali non legali per raggiungere il nostro Paese e presentare così sul nostro territorio la domanda di protezione internazionale. Questo sembra essere uno dei motivi per cui oggi in Italia e in tutta Europa circa il 90 per cento dei richiedenti asilo è di fatto costretto ad arrivare in modo irregolare.
  Per i Paesi del Mediterraneo (Italia, Grecia, Malta, Cipro, Spagna) il fatto che i richiedenti asilo per presentare la propria richiesta debbano raggiungere il nostro territorio illegalmente, rappresenta un problema aggiuntivo, perché arrivare via mare in modo irregolare significa mettere a rischio la propria vita e alimentare le reti criminali internazionali del traffico di persone.
  Anche per questa ragione sono state particolarmente approfondite dal Comitato, nel corso di apposite audizioni, le principali problematiche connesse alla regolamentazione del diritto di asilo e alla sua attuazione, un argomento che, pur non costituendo l'oggetto principale dell'indagine, è apparso come strettamente legato alla gestione e al controllo dell'immigrazione. Soprattutto nello scorcio conclusivo dell'indagine, infatti, è emersa in più occasioni la questione di una corretta ed efficace tutela del diritto di asilo in occasione di flussi misti di migranti e in presenza della criticata prassi dei respingimenti in mare, condannati, tra l'altro, anche recentemente dalla Corte di Strasburgo (cfr. sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012 che ha condannato il nostro Paese per un respingimento di migranti verso la Libia). Si tratta di delicati problemi giuridici che coinvolgono da un lato la sovranità dello Stato nel controllo delle coste e delle politiche migratorie, dall'altro una efficace tutela dei diritti dei richiedenti asilo, che nel caso di respingimenti in mare non possono essere garantiti.
  L'indagine ha evidenziato che, se i respingimenti in mare dei migranti non garantiscono adeguatamente il rispetto del diritto di asilo, occorre tuttavia che siano individuate a livello europeo concrete modalità di supporto a favore dei Paesi come l'Italia particolarmente esposti – per la loro collocazione geografica – a flussi di rifugiati, sopratutto in questa fase storica di instabilità politica in altri Paesi mediterranei. L'andamento dei flussi migratori negli anni compresi fra l'inizio dell'indagine conoscitiva e la primavera del 2011 ha registrato – secondo quanto dettagliatamente testimoniato dai diversi soggetti istituzionali auditi – una progressiva diminuzione degli ingressi di migranti e profughi sul territorio italiano. Dai dati depositati agli atti del Comitato risulta in particolare che il contrasto e la prevenzione dell'immigrazione clandestina hanno causato una riduzione degli sbarchi nell'anno 2009 pari al 74 per cento rispetto al 2008 e una flessione di oltre il 96 per cento nei primi mesi del 2010, rispetto ad analogo periodo del 2009, a partire da quando è stata data una prima attuazione al dispositivo del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia, sottoscritto nell'agosto del 2008 (cfr. audizioni del Ministro dell'interno Roberto Maroni, del 14 aprile 2010, Pag. 30e del Prefetto Angela Pria, del 6 luglio 2010). Non sono mancate, nel Comitato e tra gli auditi, voci di forte critica rispetto alle modalità di attuazione di detto Trattato.
  Il problema del contrasto dell'immigrazione clandestina si è invece posto con maggiore drammaticità all'indomani della crisi nordafricana della primavera del 2011, nella fase conclusiva dell'indagine conoscitiva, quando si sono fortemente intensificati gli arrivi sul nostro territorio di migranti e profughi provenienti in particolare dalla Tunisia e dalla Libia. In questo periodo il Comitato ha svolto alcune audizioni dedicate ad acquisire dati continuamente aggiornati sulla situazione, nonché una apposita missione a Lampedusa (v. infra).
  Il 12 febbraio 2011 il Consiglio dei ministri ha decretato lo stato di emergenza a causa dello straordinario flusso di migranti proveniente dai Paesi del Nord Africa (diretto verso la Sicilia, e in particolar modo a Lampedusa), segnando l'avvio di un percorso di gestione emergenziale degli ingressi, per un verso, e commissariale, per l'altro. Alla dichiarazione dello stato di emergenza è seguita infatti un'ordinanza di protezione civile che in una prima fase ha individuato nel prefetto di Palermo il commissario delegato: il Ministero dell'interno, infatti, ritenne che vi fosse una prevalenza degli aspetti di sicurezza in quanto la maggior parte delle persone che stavano arrivando sul territorio nazionale non erano profughi, ma cosiddetti «migranti economici». Si è di nuovo posta la controversa questione dei respingimenti in mare, in occasione dei quali non sembrava possibile discernere fra migranti economici e rifugiati, rischiando così di sovrapporre attività di soccorso in mare e azioni di contrasto all'immigrazione clandestina.
  Uno degli strumenti di controllo dell'immigrazione frequentemente citati nel corso dell'indagine è rappresentato dall'istituto del rimpatrio volontario, previsto dalla legge in particolare per le categorie vulnerabili di migranti. Si tratta di percorsi di accompagnamento, prevalentemente individuali, destinati esclusivamente a coloro che ne fanno richiesta e di cui sia effettivamente verificata la volontà di rientrare nel Paese di origine, secondo progetti spesso elaborati in collaborazione con l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM). Per la sua natura volontaria, questo strumento ha avuto un utilizzo molto limitato ed è di scarsa efficacia come mezzo di controllo dell'immigrazione irregolare.
  Esiste un Fondo europeo per i rimpatri, destinato a supportare gli sforzi compiuti dagli Stati per i rimpatri e, nello specifico, a sostenerli nello sviluppo di un approccio comune per la gestione degli stessi, di una cooperazione tra Stati membri e per sostenere le norme e le migliori pratiche comunitarie. Il programma per il periodo dal 2008-2013 ammontava a 111,8 milioni di euro, destinati ai cittadini di Paesi terzi entrati irregolarmente nello Stato membro che devono essere rimpatriati nello Stato di provenienza, e anche cittadini di Paesi terzi, con o senza protezione internazionale, che scelgono di utilizzare il rimpatrio volontario.
  Il problema centrale che vanifica l'operatività del rimpatrio volontario assistito è tuttavia rappresentato dal fatto che, non essendo prevista alcuna sospensione dal reato di immigrazione clandestina per chi chiede di essere rimpatriato, il migrante che decidesse di fare Pag. 31ricorso a questo strumento si troverebbe automaticamente nella condizione di essere denunciato per ingresso illegale in Italia. In generale, una maggiore utilizzazione dello strumento del rimpatrio volontario è sollecitata dall'Unione europea e dipende anche da una sufficiente disponibilità di risorse finanziarie, da una formazione adeguata del personale, da una cooperazione attiva con i Paesi di origine.
  D'altro canto, il Comitato ha potuto rilevare come l'espulsione coattiva, comunque strutturata, appare per sua natura atta a colpire solo una minima parte dei migranti «irregolari». Numerosi problemi riguardano infatti la sua concreta applicazione in base alle norme che la regolano, le quali si sovrappongono ad una normativa comunitaria parzialmente diversa e provvista di scarsa efficacia pratica.
  Il Ministro dell'interno, nell'audizione del 15 ottobre 2008, ha avuto modo di spiegare questo punto specifico in sede di illustrazione delle linee generali in materia di contenimento dell'immigrazione irregolare. In quell'occasione si è soffermato sullo strumento delle espulsioni coattive, facendo rilevare la precisa intenzione del Governo di disegnare il reato di immigrazione clandestina o di ingresso illegale puntando principalmente sulla sanzione accessoria del provvedimento giudiziale di espulsione emanato dal giudice, piuttosto che sulla sanzione principale di tipo pecuniario. In questo modo è infatti possibile procedere all'espulsione immediata con un provvedimento del giudice, senza problemi di compatibilità con la normativa europea, secondo la quale la regola per l'allontanamento dei cittadini extracomunitari deve essere l'invito ad andarsene e non l'espulsione (a meno che il provvedimento di espulsione non sia appunto conseguenza di una sanzione penale). Infatti, il semplice invito ad andarsene rivolto allo straniero, indicato dalla direttiva europea come soluzione preferibile, nell'esperienza italiana ha mostrato una efficacia troppo limitata.
  In conclusione, il Comitato ha constatato che le migrazioni irregolari costituiscono un flusso molto più consistente degli sbarchi (o arrivi) di cosiddetti «clandestini» attraverso le frontiere: il problema principale nella lotta all'immigrazione irregolare non è infatti rappresentato da coloro che arrivano nel nostro Paese totalmente privi di documenti di identità o di visto (che rappresentano solo una modesta frazione dei flussi di ingresso complessivi), ma da quei migranti, entrati con qualche tipo di documentazione (un passaporto, un visto da studente o da lavoratore temporaneo) e che però si trattengono nel Paese oltre il termine di validità del loro titolo di ingresso o di permanenza, entrando così in condizione di irregolarità (cosiddetti overstayers).

5. La gestione delle frontiere.

  Il Comitato ha svolto un'ampia serie di audizioni ed alcune missioni volte ad approfondire il tema sempre più critico della porosità delle frontiere esterne dell'Unione europea: si tratta di un nodo cruciale per un'efficace programmazione delle politiche migratorie nazionali e nel contempo di un elemento chiave per definire una Pag. 32reale condivisione in prospettiva europea nella gestione dei flussi migratori, da considerare sia nella loro dimensione ordinaria, sia nelle fasi acute di eventuali emergenze politico-sociali.
  Nel controllo delle proprie frontiere esterne vale per ciascuno Stato membro dell'Unione europea il principio inderogabile della responsabilità nazionale, che è il risvolto della sovranità sul proprio territorio. Se nessun Paese intende mettere in discussione il principio della libera circolazione intracomunitaria, considerato unanimemente uno dei risultati più importanti della storia dell'integrazione europea, questo principio, tuttavia, deve coniugarsi con il rafforzamento delle frontiere esterne dell'Unione europea, con un ulteriore consolidamento dell’acquis sulla libera circolazione delle persone e con la creazione di adeguati e contestuali strumenti di reazione a possibili emergenze.
  In questo quadro si inserisce la questione di una possibile revisione dell'Accordo di Schengen, venuta alla ribalta soprattutto a partire dall'inizio del 2011, in occasione della crisi migratoria seguita ai rivolgimenti politico-sociali dei Paesi nordafricani. In quel frangente, in particolare, si è prospettata la necessità di individuare una possibile revisione dell'Accordo che andasse al di là delle ipotesi in precedenza considerate, per tenere adeguatamente conto dell'urto di eccezionali pressioni migratorie a carico di un solo Stato membro dell'area Schengen. 
  In merito alle proposte di revisione del sistema Schengen, è ancora all'esame delle istituzioni UE un pacchetto di proposte finalizzate a rendere più efficace la gestione delle frontiere esterne mantenendo al contempo inalterato il principio della libera circolazione all'interno dell'Unione europea. Queste proposte comprendono la proposta di regolamento COM(2011)559, che modifica l'attuale meccanismo di valutazione e monitoraggio per verificare l'applicazione dell’acquis di Schengen, e la proposta di regolamento COM(2011)560, che modifica il Codice frontiere Schengen al fine di introdurre norme comuni sul ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne in circostanze eccezionali.
  La prima proposta prefigura il passaggio dall'attuale sistema di valutazione sull'attuazione dell’acquis di Schengen, prettamente intergovernativo, a un sistema che affida la responsabilità primaria in materia alla Commissione europea, sia pure con il coinvolgimento di esperti degli Stati membri e di FRONTEX. La seconda proposta si propone invece di ribaltare l'attuale impostazione relativa al ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, attualmente in capo agli Stati membri che ne possono fare uso in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. In base alle modifiche prospettate, il soggetto titolare del potere di ripristinare i controlli non sarebbe più lo Stato membro ma le istituzioni europee. Si prevede inoltre una procedura specifica di ripristino di controlli alle frontiere interne per decisione della Commissione europea qualora le valutazioni Schengen evidenzino carenze gravi e persistenti nei controlli alle frontiere esterne da parte di uno Stato membro, nella misura in cui esse costituiscono una minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna a livello dell'Unione o nazionale. Pag. 33
  Nell'eventualità di una crisi umanitaria è quindi necessario che la gestione di eventuali pressioni migratorie sia concordata e supportata a livello europeo, senza che ciò interferisca con il funzionamento dell'Accordo stesso (cioè senza sospendere la libera circolazione delle persone), ma individuando soluzioni concordate affinché l'onere dei flussi sia opportunamente ripartito tra i Paesi membri dell'Unione europea, secondo il principio della condivisione degli oneri (burden sharing).
  È noto, peraltro, che la difficoltà nell'applicazione del principio della condivisione degli oneri derivanti dall'immigrazione nei Paesi di confine discende dalla netta opposizione dei Paesi che ne sono meno direttamente interessati e che ancora oggi costituiscono in Europa uno scoglio ad una concreta soluzione del problema. In occasione delle audizioni riservate a questo tema il Comitato ha infatti potuto appurare che non è di agevole definizione la quota di profughi o migranti di cui ciascuno degli Stati parte dell'Accordo dovrebbe farsi carico, dal momento che le cifre fornite dai soggetti interessati sul reale carico sopportato dai singoli Paesi sono discordanti. Si lavora per ora a introdurre un principio di solidarietà tra Stati basato esclusivamente sulla volontarietà e non sull'utilizzo di criteri oggettivi, con prospettiva di risultati concreti assai modesti.
  Altrettanto difficile è il negoziato europeo sulla controversa questione della citata clausola di salvaguardia, in base alla quale uno Stato membro può procedere unilateralmente alla sospensione del meccanismo della libera circolazione delle persone, per evitare che improvvise pressioni di natura migratoria sui confini esterni di uno o più Stati membri dell'area Schengen si riversino sul proprio territorio. L'ipotesi di affidare alla Commissione europea un ruolo centrale nell'attivazione di questo meccanismo di ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne dell'Unione europea, sostenuta da alcuni Stati membri, ha riscosso in alcune occasioni le reazioni prudenti o negative della Germania, dell'Austria, della Francia, della Spagna e del Benelux, che invece propendono per lasciare l'attivazione della clausola nella disponibilità di ciascuno Stato membro.
  Infine, il Comitato intende sottolineare che, in una indispensabile ottica di solidarietà nella gestione delle frontiere esterne, è necessario e urgente che l'Unione europea si ponga come controparte di accordi bilaterali con Paesi extracomunitari, in particolare del Maghreb, con l'Egitto così come con alcuni altri Paesi Africani, allo scopo di governare i flussi migratori e per rendere più agevole la politica dei rimpatri.
  Nel contrasto all'immigrazione irregolare l'azione dell'Unione deve concentrarsi prioritariamente su due aspetti, il primo dei quali investe il già citato problema degli overstayers, ossia dei cittadini che entrano in maniera legale nel territorio dell'Unione, titolari di un visto turistico, e che poi prolungano illegalmente il proprio soggiorno (per questo tema, v. il paragrafo 4). Il secondo aspetto pone in primo piano l'assoluta necessità di riconsiderare e se del caso ridefinire lo statuto e il concreto funzionamento dell'Agenzia FRONTEX, così come la sua accountability politica.Pag. 34
  Nell'ottobre 2004, come è noto, è stata creata un'Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, denominata FRONTEX. Tra i compiti dell'Agenzia (che per il 2008 disponeva di un budget di circa 70 milioni di euro), vi sono quelli di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne, di assistere gli Stati membri in materia di formazione del corpo delle guardie di confine, di monitorare l'evoluzione delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne e di fornire il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.
  Nel corso delle audizioni svolte è stata ripetutamente sottolineata la carenza del ruolo di FRONTEX che, a parere di molti, non svolge sufficienti compiti di natura operativa, i quali rimangono per lo più responsabilità dei singoli Stati membri, con i relativi costi. In questo ambito risulta che l'Italia ha sollecitato e continua a sollecitare un rinnovato impegno europeo per rilanciare concretamente l'Agenzia su basi di effettiva operatività e solidarietà tra Stati membri nella gestione delle frontiere.
  Nel contesto del potenziamento di FRONTEX è diffusa opinione che sia auspicabile l'estensione del suo ruolo dalla sola attività di intelligence, formazione e coordinamento delle operazioni congiunte allo svolgimento anche delle conseguenti operazioni di trasferimento dei cittadini irregolari dal luogo di rintraccio alle strutture di accoglienza, di identificazione e di un eventuale rimpatrio. Appare necessario che FRONTEX non sia solo un Agenzia di coordinamento delle unità navali dei diversi Paesi membri dell'Unione, ma agisca come soggetto con responsabilità diretta. Ma questo non può avvenire senza un potenziamento dell'Agenzia, dotandola di mezzi propri d'intervento e, allo stesso tempo, sottoponendo ad un più stringente controllo politico la sua delicata attività.
  Sotto questo profilo, il Governo italiano nel 2010 ha avanzato una proposta di riforma di FRONTEX che prevede, in primo luogo, che l'Agenzia assuma la diretta responsabilità nella gestione delle unità navali per quanto riguarda il Mediterraneo; in secondo luogo, che organizzi nei Paesi europei dei centri di accoglienza e dei centri di identificazione e di espulsione per ospitare i rifugiati e i clandestini; in terzo luogo, che proceda ai voli di rimpatrio. Per parte sua il Consiglio europeo ha auspicato in più occasioni un rafforzamento dell'operazione di controllo alle frontiere e la definizione di chiare regole di ingaggio per il pattugliamento congiunto e per lo sbarco sulle coste delle persone soccorse in mare.
  Il rafforzamento delle attività di FRONTEX potrebbe essere utilmente conseguito anche attraverso il miglioramento della cooperazione su base volontaria con i Paesi terzi nelle operazioni di pattugliamento congiunto via mare e via terra e l'ulteriore sviluppo di voli di rimpatrio congiunti organizzati e cofinanziati dall'agenzia. Rimane sullo sfondo l'ipotesi (su cui ancora non si è coagulato un sufficiente consenso) di dar vita a un vero e proprio corpo europeo delle guardie di frontiera, che vada al di là del principio su cui si basa Pag. 35l'operatività di FRONTEX, cioè quello di favorire al massimo la collaborazione tra forze di polizia e forze nazionali adibite al controllo alla frontiera.
  In generale tutte le risultanze delle audizioni e delle missioni svolte hanno posto in luce la necessità di una effettiva gestione integrata a livello europeo delle frontiere esterne, in base alla quale prevedere un ulteriore sviluppo della rete europea di pattugliamento e l'attuazione del principio di solidarietà con gli Stati membri sottoposti a particolare pressione migratoria. In questa direzione, la Commissione europea viene invitata ad avviare un programma di cooperazione marittima, gestione delle frontiere, protezione internazionale, rimpatrio e riammissione degli immigrati irregolari, senza contare l'avvio di una ulteriore cooperazione con i Paesi terzi, soprattutto attraverso il rilancio del dialogo dell'Unione con la Libia e con la Turchia.
  Nel 2007 il Parlamento europeo ha istituito il Fondo europeo per le frontiere esterne (EBF) per il periodo 2007-2013, il cui scopo principale è quello di rafforzare il controllo del perimetro delle frontiere esterne e dei flussi di persone che si presentano alle frontiere stesse, sostenendo finanziariamente quei Paesi che hanno maggiori difficoltà nell'attuare queste misure. Il Fondo, che adotta la formula del co-finanziamento, richiede allo Stato membro una corrispondente partecipazione finanziaria per programmi, progetti o attività ispirate alle seguenti cinque priorità: graduale organizzazione di una comune gestione integrata delle frontiere; sviluppo e realizzazione delle «componenti» nazionali del sistema di sorveglianza europeo delle frontiere esterne e della rete di pattugliamento europeo; rilascio dei visti e contrasto all'immigrazione illegale; realizzazione di sistemi per l'incremento degli strumenti legislativi comunitari nel settore dei visti e delle frontiere esterne (SIS-Schengen-VIS); efficace ed efficiente applicazione degli strumenti giuridici comunitari nell'ambito dei controlli alle frontiere esterne e del rilascio dei visti con riferimento al manuale comune per le Guardie di frontiera e all'istruzione consolare comune.
  Un'ultima delicata questione, già citata, ma che concerne ugualmente la gestione delle frontiere esterne dell'Unione è rappresentata dal fenomeno dei respingimenti in mare. Su questo punto in particolare, il Comitato ha registrato la posizione del Governo, per il quale non si può impedire all'Italia di esercitare la propria sovranità sul controllo del territorio e nel rispetto delle decisioni democraticamente assunte in materia di politiche migratorie, procedendo ai respingimenti in mare, sia pure ove strettamente necessario e nel solo caso di gravi emergenze migratorie. Diversi membri del Comitato hanno vivamente deplorato il ricorso a questo strumento, censurandone l'illegittimità giuridica. È stato inoltre fatto rilevare che l'Italia ospita un numero di rifugiati di gran lunga inferiore a quello ospitato dai maggiori Paesi europei e che un efficiente burden sharing implicherebbe un aumento considerevole degli oneri per il nostro Paese. Altri interventi in Comitato hanno sottolineato la posizione gravemente carente in questo campo dell'Unione europea, che di fatto Pag. 36consente che si addossino al singolo Stato membro i costi e la responsabilità (politica e giuridica) della gestione di un interesse collettivo, di cui dovrebbe farsi carico l'intera Unione.

6. Una visione globale delle politiche migratorie.

  Stabilito che la definizione delle politiche migratorie deve rientrare a pieno titolo nel quadro della responsabilità dell'Unione e specificamente nell'ambito delle relazioni esterne, il Comitato ritiene di individuare nella elaborazione di una efficace politica estera di cooperazione con i Paesi terzi da parte dell'Unione la chiave essenziale per la risoluzione a lungo termine dei problemi connessi alla gestione dei flussi migratori. Tale cooperazione deve porsi sia a valle del fenomeno, come coordinamento a livello giuridico (con la conclusione di accordi di riammissione) e di collaborazione tra polizie, per garantire il controllo delle frontiere terrestri e marittime; sia a monte, con la conclusione di accordi internazionali di cooperazione economica rafforzata con i Paesi terzi di provenienza e di transito dei migranti che arrivano sul territorio dell'Unione.
  L'entrata in vigore degli accordi bilaterali di riammissione rende possibile l'attivazione delle procedure per l'identificazione, attraverso i canali diplomatici o consolari, della nazionalità degli immigrati irregolari e il conseguente rimpatrio. Una difficoltà pratica sembra però costituita dal fatto che tutti gli accordi di riammissione prevedono il riconoscimento formale del cittadino prima del rimpatrio, ma consentono alle autorità del Paese che non manifestano una buona volontà a riammettere i propri cittadini di poter giocare sui tempi della procedura amministrativa. In caso di accordi di riammissione sottoscritti dall'Unione – dei quali si lamenta la scarsità – la forza persuasiva sui Paesi di origine delle persone da rimpatriare risulterebbe assai superiore.
  L'Italia ha da tempo avviato un dialogo permanente con i Paesi dell'Africa e del Mediterraneo, ritenendo di fondamentale importanza lo sviluppo e il rafforzamento della cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussi di immigrazione illegale. Tale collaborazione si basa su una serie di punti: l'attuazione di programmi di assistenza tecnica, che prevedono la cessione gratuita di mezzi e tecnologie da impiegare nella lotta all'immigrazione clandestina, nonché attività di formazione e addestramento del personale, visite di studio, distacco di ufficiali di collegamento e scambio di personale; l'attivazione di canali diretti per lo scambio di informazioni strategiche, operative e investigative; il coinvolgimento delle forze di polizia dei Paesi terzi rivieraschi nei dispositivi di pattugliamento in mare.
  Si tratta di forme di assistenza tecnica e forniture di materiali destinati ad accrescere la capacity building dei Paesi interessati, in funzione di ausilio nella lotta all'immigrazione clandestina. Tra le più recenti iniziative di collaborazione operativa assunte dall'Italia in questo contesto, si segnalano quelle con Algeria, Nigeria, Ghana, Niger, Senegal, Gambia, Sudan Somalia, Eritrea, Etiopia, oltre alla Libia, che merita uno specifico approfondimento.Pag. 37
  Con la sottoscrizione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia, il 30 agosto 2008, ratificato con la legge 6 febbraio 2009, n. 7, è stata prevista l'intensificazione della collaborazione in atto nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina, in attuazione del protocollo di cooperazione e del protocollo aggiuntivo tecnico-operativo già sottoscritti dal precedente Governo a Tripoli il 29 dicembre 2007. L'efficacia di questo accordo emergerebbe anche dai dati, che evidenziano una drastica riduzione degli sbarchi di clandestini nei primi due anni successivi all'entrata in vigore (cfr. audizione del Ministro Maroni del 14 aprile 2010). Tuttavia nel Comitato si sono manifestati forti dissensi sulle modalità di attuazione del Trattato, sulla natura dei respingimenti, sulla situazione drammatica dei campi di detenzione dei migranti in Libia, che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra, sulla chiusura di detti campi alle ispezioni di organizzazioni internazionali e delle ONG.
  Il contenimento degli ingressi di irregolari attraverso la Libia ha condotto ad una parziale modifica delle rotte di ingresso dei migranti in Europa: se in precedenza tali flussi passavano dai Paesi sub-sahariani, attraverso il Niger e verso la Libia, successivamente si sono orientati maggiormente verso Est e verso Ovest, marcando nuove rotte che interessano la Spagna e la Grecia. A rendere il quadro ancora più articolato si aggiunge il fatto che negli ultimi anni anche i Paesi del Maghreb si sono trasformati da zone di origine di flussi migratori verso l'Unione europea – o di transito dai Paesi dell'Africa sub-sahariana, asiatici e a volte latinoamericani – a terre di destinazione dell'immigrazione stessa: Paesi come l'Algeria, la Libia e il Marocco stanno ormai diventando territori di destinazione, dove i migranti spesso vengono bloccati e trattenuti grazie alla collaborazione più stretta tra l'Europa e i Paesi del Maghreb. Particolarmente critico è il caso della Libia, che ha una popolazione immigrata compresa – secondo varie valutazioni – tra uno e due milioni, con alta proporzione di migranti di origine sub-sahariana.
  L'assistenza fornita alla Libia con il citato Trattato era finalizzata al miglioramento delle capacità di gestione, prevenzione e repressione del fenomeno dell'immigrazione illegale, al rafforzamento delle potenzialità investigative per disarticolare le reti criminali dedite al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani, nonché al perfezionamento delle tecniche per gestire in maniera efficace, in linea con gli standard internazionali, i migranti illegali intercettati alle frontiere e sul territorio (cfr. audizione del Ministro Maroni del 14 aprile 2010).
  Il precipitare degli eventi nella fascia dei Paesi nordafricani agli inizi del 2011 e particolarmente in Libia, con il conseguente scoppio della gravissima emergenza umanitaria sotto forma di eccezionali flussi di sbarchi sulle coste italiane, non ha consentito al Comitato (anche per l'arco temporale in cui si è svolta l'indagine) di concludere le considerazioni via di elaborazione che riguardavano la politica di cooperazione con i Paesi del Nord Africa perseguita dal Governo fino alla primavera del 2011.
  Rimangono tuttavia valide alcune considerazioni de iure condendo (e non solo) sulla scarsa, se non insufficiente posizione assunta in più occasioni dall'Unione europea sulla questione migratoria, sull'emergenza Pag. 38umanitaria e sulla situazione dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: posizione che può essere definita di sostanziale inadeguatezza rispetto alla dimensione e alla gravità del fenomeno.
  Ciò che sembra evidente in particolare è la carenza da parte dell'Unione europea di una visione di insieme del fenomeno migratorio in un quadro globale e nei rapporti con il territorio, la popolazione e il mercato del lavoro europeo, per non parlare delle prospettive in termini di integrazione culturale e sociale. Di fronte al parziale insuccesso dei due modelli di integrazione incarnati dall'assimilazionismo (francese) e dal multiculturalismo (inglese), l'Unione non ha ancora saputo individuare un tertium genus di politiche migratorie, che sappia fare i conti con una realtà composita, come quella rappresentata dal tessuto politico e culturale dell'Unione (prima ancora che economico), e che sappia proporre su queste basi un modello originale, ma soprattutto realistico, di integrazione. Restano i programmi europei e le dichiarazioni di principio, cui manca ancora oggi una solida base di cooperazione concreta e fattiva fra tutti gli Stati membri, che non siano solo quelli interessati dalla gestione diretta delle frontiere esterne dell'Unione.
  Su questo punto vengono in rilievo – sia pure soltanto in termini di road map – i contenuti del programma di Stoccolma, documento di lavoro adottato dal Consiglio europeo nel dicembre del 2009, in cui si delinea un programma di misure e di iniziative da realizzare nel quinquennio dal 2010 al 2014 nel settore della giustizia e degli affari interni. Fondato sull'idea di dare concretezza al principio della cittadinanza europea attraverso un meccanismo di migliore protezione dei diritti fondamentali, il programma di Stoccolma intende rafforzare le basi per un'Europa del diritto e della giustizia, creando uno spazio europeo in cui sia agevolato l'accesso alla giustizia per tutti, a prescindere dalla nazionalità e dalla residenza; ponendo i fondamenti per un'Europa della sicurezza, soprattutto attraverso la cooperazione di polizia; introducendo una regolamentazione dei criteri di accesso al mercato del lavoro europeo da parte di cittadini di Paesi non europei, attraverso una gestione integrata delle frontiere e una politica dei visti commisurata a queste finalità; attuando politiche migratorie ispirate ad una progressiva armonizzazione dei criteri di ingresso e di soggiorno dei migranti regolari, corredate da misure mirate a contenere e a reprimere il fenomeno dell'immigrazione illegale o clandestina; infine affermando il principio del cosiddetto del volere esterno, cioè l'integrazione delle politiche migratorie nel quadro più generale delle relazioni esterne dell'Unione.

7. Conclusioni.

  A. Il Comitato è consapevole che in una definizione di corrette e nello stesso tempo efficaci politiche migratorie i valori e le questioni in campo sono molteplici e spesso tra di loro in conflitto. È necessario quindi individuare gli strumenti per portare a sintesi valori entrambi rilevanti, quali da un lato il rispetto dei diritti umani e il dovere di solidarietà dei Paesi avanzati nei confronti di quelli con maggiori difficoltà, dall'altro il diritto/dovere delle singole nazioni di garantire Pag. 39alle proprie popolazioni la piena regolarità dei flussi migratori, anche tramite un efficace controllo della legalità del mercato del lavoro, la predisposizione delle migliori condizioni per l'integrazione sociale ed economica dei migranti, la tutela della coesione sociale e della sicurezza.
  B. Il Comitato è anche consapevole del fatto che la bassissima natalità del Paese durante gli ultimi tre decenni ed il conseguente rapidissimo invecchiamento stanno determinando una strutturale diminuzione delle forze di lavoro autoctone, rendendo inevitabile una sostenuta domanda di lavoro immigrato per le famiglie e per le imprese.
  C. Di fronte alle frequenti crisi migratorie che scaturiscono dall'instabilità politica e dalle pressioni migratorie inerenti al differenziale di sviluppo fra Nord e Sud del mondo, è opinione comune nel Comitato che i problemi connessi alle migrazioni globali non possano essere risolti a livello nazionale: in particolare, questioni come la crisi economica mondiale, il lavoro, la disoccupazione e le nuove povertà non possono più essere affrontate da un singolo Stato membro dell'Unione, ma occorre una presa di coscienza e soprattutto di posizione concreta a livello europeo.
  D. Anche se i Paesi di origine dei migranti traggono rilevanti benefici dalle rimesse dei loro emigrati, la via maestra alla soluzione dei gravissimi problemi economici che affliggono i Paesi in via di sviluppo non può essere costituita dai flussi migratori: sono invece assolutamente necessarie politiche di sviluppo nazionali, opportunamente sostenute e rafforzate con l'aiuto non solo finanziario dell'Europa. Dei milioni di persone che sono uscite dalla povertà negli ultimi vent'anni in Cina, India ed altri Paesi un tempo poverissimi, ben poche di queste lo hanno fatto grazie ai vantaggi della migrazione, ma piuttosto grazie a politiche di sviluppo interne e all'espandersi del commercio internazionale.
  E. Occorre perciò che l'Italia si impegni nelle opportune sedi europee (e internazionali) affinché siano rafforzate e promosse le politiche comuni di aiuto e cooperazione allo sviluppo sul territorio dei singoli Paesi di origine dei flussi migratori. È poi necessario che le politiche migratorie ed il governo dei flussi siano coerenti con più ampi accordi di partenariato miranti allo sviluppo economico e alla crescita della qualità delle risorse umane nei Paesi di emigrazione.
  F. Nella definizione delle politiche migratorie nazionali il Comitato ritiene essenziale individuare a livello europeo efficaci canali legali di ingresso dei lavoratori nel mercato del lavoro dell'Unione europea, organizzando i movimenti attraverso canali appropriati e migliorando ove necessario l'attuale sistema dei visti turistici, ad evitare che un'interpretazione troppo restrittiva delle norme che ne regolano la concessione si trasformi in un ostacolo per coloro che aspirano a chiedere asilo politico sul territorio dell'Unione.
  G. Occorre altresì considerare che una politica nazionale di fissazione delle quote eccessivamente restrittiva o fondata sulla definizione a distanza del contratto di lavoro per il migrante non Pag. 40esaurisce la richiesta di lavoro non qualificato e favorisce invece processi di entrata in clandestinità, sia da parte di quei migranti che permangono sul territorio italiano oltre il limite di validità del proprio visto (overstayers), sia da parte di coloro che entrano senza documenti validi. Una opportuna revisione delle politiche delle quote – e delle regole per l'accesso legale nel Paese per lavoro – può trasformarle in strumenti più adeguati a favorire l'incontro fra domanda e offerta di lavoro, soprattutto per quanto riguarda il lavoro non qualificato. In aggiunta ad una realistica e concreta politica degli ingressi, volta a favorire l'integrazione fra mercati del lavoro a livello globale, si dovrebbe prevedere la conclusione di accordi bilaterali di cooperazione con i Paesi di provenienza dei flussi, accordi che avrebbero anche la funzione di premiare quei Paesi che collaborano fattivamente alla gestione comune delle frontiere.
  H. Per quanto attiene al contrasto della clandestinità e dell'irregolarità, nel Comitato c’è ampio favore per il pieno accoglimento delle indicazioni del Patto europeo mediante l'adozione di tutti gli strumenti da esso previsti. C’è diffusa consapevolezza che l'irregolarità spesso significa (o si trasforma in) illegalità e che il contrasto dell'immigrazione clandestina è indispensabile per combattere anche le reti criminali transnazionali che organizzano la tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo ed altri traffici illeciti. Per questo motivo il Comitato ritiene essenziale non abbassare la guardia su questo fronte.
  I. È tuttavia opinione del Comitato che alcuni degli strumenti attualmente in uso nelle politiche di contrasto appaiano poco efficaci e richiedano una revisione. In particolare, sono necessarie: una migliore regolamentazione dei procedimenti di espulsione, che risultano di difficile applicazione, quando non inefficaci; una ridefinizione dell'istituto del rimpatrio volontario assistito, la cui applicazione risulta attualmente vanificata dall'esistenza del reato di immigrazione clandestina oltreché dalla scarsità delle risorse dedicate; una trasformazione, concertata nelle opportune sedi europee, dello strumento del respingimento in mare al fine di privarlo dei profili di illegittimità giuridica, consentendo l'identificazione di eventuali richiedenti asilo senza vanificare l'esigenza di controllo delle coste da parte dei Paesi più esposti ai flussi migratori.
  J. Sulla via dell'integrazione dei lavoratori immigrati, il Comitato riconosce che molto resta ancora da fare, anche in considerazione della grave crisi economica che ha ulteriormente esposto i lavoratori stranieri ai rischi della disoccupazione e della conseguente perdita del permesso di soggiorno nel nostro Paese. Si ritiene comunque che la piena integrazione degli immigrati nel tessuto sociale, economico e culturale del Paese sia la condizione indispensabile per garantire armoniose politiche dell'immigrazione e la sostenibilità a lungo termine dei processi migratori in ogni parte del globo.
  K. Misure ulteriori e più significative e drastiche come l'eliminazione del reato di clandestinità e un più agevole accesso alla cittadinanza italiana non sono condivise da tutti i gruppi politici presenti nel Comitato, ma rappresentano una delle proposte alternative Pag. 41che potrebbero consentire di superare alcune delle inefficienze manifestate dalla legislazione attuale in materia di ingresso ed integrazione degli stranieri presenti sul nostro territorio.
  L. L'utilità di prevedere processi di emersione ad personam non occasionali e la necessità di una negoziazione organica di nuovi accordi di riammissione sembrano invece punti condivisi da tutto il Comitato, che intende altresì sottolineare tra le priorità strategiche: il rafforzamento dell'agenzia FRONTEX; una maggiore solidarietà in materia di asilo; una riforma dei regolamenti di Dublino II; efficaci accordi di riammissione e una più stretta cooperazione con i Paesi di origine e transito dei flussi migratori.
  M. Il Comitato lamenta infine la perdurante mancanza di una normativa nazionale sull'asilo, tanto più necessaria in quanto è in netto incremento negli ultimi tempi la percentuale di ingressi da parte di cittadini extracomunitari provenienti da aree di crisi e richiedenti protezione umanitaria. Anche a tale riguardo risulterebbe di estrema utilità la presentazione annuale al Comitato della relazione in materia di immigrazione ed asilo, secondo quanto disposto dall'articolo 37 della legge n. 189 del 2002.

RELAZIONI
SULLE MISSIONI SVOLTE DAL COMITATO

Allegate al documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione e asilo.

Relazione sulla missione svolta nell'isola di Lampedusa
(10 ottobre 2008)

  Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione nella riunione del 17 settembre scorso, venerdì 10 ottobre 2008 una delegazione del Comitato si è recata in missione nell'isola di Lampedusa, per visitare il Centro di Soccorso e prima accoglienza (CSPA) degli immigrati e svolgere alcuni incontri nella materie di competenza.
  Il Centro di Lampedusa, originariamente localizzato nei pressi dell'Aeroporto e con una capienza massima di 186 posti, è stato istituito nel luglio 1998 quale Centro di permanenza temporanea ed assistenza (CPTA), anche con funzioni di «centro di primo soccorso e smistamento» dei migranti (sia richiedenti asilo, sia irregolari) che vi transitavano per poche ore in attesa di essere trasferiti, dopo un primo accertamento sanitario e dell'identità, presso altre strutture della Sicilia o del continente.
  Ben presto il Centro è risultato inadeguato per fronteggiare, efficacemente, il numero sempre più rilevante di extracomunitari che sbarcavano sull'isola. Basti pensare alla progressione degli arrivi registrata negli ultimi 5 anni (nel 2003 sono stati pari a 8.800, per Pag. 42diventare 10.477 nel 2004, balzare successivamente alla cifra di 15.527 nel 2005, e pervenire ai 18.047 arrivi nel 2006 e 11.749 nel 2007, fino a 19.764 del settembre 2008) per capire il senso dell'impegno sostenuto dalle istituzioni e dalla popolazione locale.
  Così è nata l'esigenza di mutare la natura e la destinazione originaria del centro, oggi non più deputato al trattenimento ed all'identificazione, bensì destinato alle sole attività di soccorso e prima accoglienza.
  In questo arco di tempo, le Autorità competenti hanno dunque l'opportunità di dedicarsi alla primissima fase operativa, per poi favorire l'afflusso alle altre strutture presenti sul territorio nazionale (rispettivamente presso i CIE – se ci sono gli estremi per l'espulsione – negli altri casi presso i Centri di accoglienza per i Richiedenti Asilo, CARA), consentendo così una permanenza breve sull'isola agli stranieri, di norma non superiore alle 48 ore. Risale al febbraio 2006 la riqualificazione del Centro da CPT in Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CSPA).
  Problematiche peculiari sono emerse a proposito delle modalità di accoglienza, smistamento ed affidamento di immigrati di minore età, su cui il Prefetto di Agrigento si è riservato di trasmettere al Comitato un apposito documento.
  Come si è avuto modo si verificare in loco, il Centro è stato rinnovato anche sotto il profilo logistico, grazie ad una nuova e più dimensionata struttura, collaudata e resa operativa dal 1o agosto 2007, oggi in grado di ospitare 381 persone: estensibili, all'occorrenza, a 804.
  Decisivo appare il concorso di tutte le componenti delle istituzioni statali, dell'associazionismo di settore e delle maggiori organizzazioni internazionali non governative, in grado di contribuire significativamente a tutte le esigenze immediate e di prospettiva.
  Adeguata è sembrata la predisposizione dei beni di prima necessità da parte della cooperativa «Lampedusa Accoglienza» che gestisce il centro: ci si riferisce all'erogazione ordinaria dei pasti e di uno standard basico di vestiario, nonché alla distribuzione dei kit per l'igiene personale, materiale che la delegazione ha potuto visionare durante la visita nei locali del centro. Peraltro, sono apparsi scarsamente ricettivi proprio i locali deputati alla mensa. Sui costi unitari del servizio sono verbalmente pervenuti contrastanti elementi di informazione.
  L'aspetto dell'assistenza sanitaria è stato l'oggetto principale dell'incontro con i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie che operano all'interno del CSPA: è infatti in vigore da qualche anno una convenzione, a titolo gratuito, tra la Prefettura di Agrigento, l'ASL competente di Palermo e l'associazione «Medici Senza Frontiere», per garantire l'effettuazione di un primo ed immediato triage sanitario al momento dello sbarco in cui intervengono medici, infermieri e mediatori culturali, con possibilità di somministrazione di farmaci di primo soccorso in casi di grave urgenza, ovvero di invio immediato al poliambulatorio dell'isola.
  Dal mese di aprile è operativa una ulteriore convenzione anche con i medici del Sovrano Militare Ordine di Malta, per assicurare il soccorso sanitario degli immigrati già dal momento del loro trasbordo sulle unità navali della Capitaneria di porto. Accanto alle misure di Pag. 43soccorso, già dal 2006 è stata sottoscritta una Convenzione con OIM, UNHCR e CRI per l'attivazione di un presidio fisso all'interno del Centro per attività di supporto informativo-legale ai migranti nell'ambito delle rispettive finalità istituzionali.
  In base a questa iniziativa le tre Organizzazioni hanno prestato il proprio contributo per potenziare il sistema di accoglienza dei migranti irregolari, e per fornire, accanto ad un primo orientamento legale, uno specifico supporto informativo sulla legislazione italiana in tema di immigrazione irregolare, di tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, nonché sulle procedure di ingresso regolare in Italia.
  Infine, da agosto 2008, opera una task force medica presso il Centro di accoglienza, grazie ad una convenzione firmata dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, per effettuare a favore dei migranti, ma anche della cittadinanza e dei soggiornanti nell'isola, prestazioni sanitarie gratuite nelle specialità di dermatologia, infettivologia, ginecologia e per la formazione di operatori sanitari nel centro di primo soccorso e assistenza e presso il poliambulatorio dell'isola di Lampedusa. La convenzione, che avrà una durata di 90 giorni, permetterà ai medici di svolgere, tra l'altro, attività di formazione in materia sanitaria, con particolare riferimento agli aspetti collegati alla diagnosi delle malattie dell'immigrazione e della povertà e con attenzione all'approccio interculturale, nella tutela della salute degli immigrati e per il contrasto delle patologie della povertà, nel pieno rispetto delle diverse identità culturali.
  Pur esulando dalle competenze del Comitato, giova sottolineare che, più volte, nell'ambito della visita, i nostri interlocutori hanno fatto presente le criticità connesse alla non soddisfacente copertura delle esigenze sanitarie sull'isola, sia in ragione del carattere settoriale delle prestazioni assicurate, sia a causa della assenza di una struttura ospedaliera generale.
  A quanto si è appreso, inoltre, l'assistenza sanitaria, tanto della popolazione locale quanto degli immigrati, è resa ancor più difficoltosa dalla situazione dei trasporti pubblici: pur sussistendo un servizio di elisoccorso per i casi di grave emergenza (tuttavia esercitato con pochi velivoli), i collegamenti aerei di linea con la Sicilia sono al momento insufficienti e rendono pertanto problematico il trasferimento di assistiti soggetti a cure indifferibili e reiterate (come ad esempio, le chemioterapie), o non deambulanti; a sua volta, il trasporto via mare spesso non viene esercitato a causa delle cattive condizioni meteo-marine.
  Dopo la visita al Centro la delegazione, grazie all'eccellente coordinamento operativo ed alla fattiva collaborazione del Prefetto e del Questore di Agrigento, presenti sul posto, è stata prontamente trasferita al porto dell'isola, proprio in concomitanza con lo svolgimento delle operazioni di sbarco di circa duecento immigrati da due motovedette della Guardia Costiera, che poco prima li avevano soccorsi e raccolti in mare aperto a bordo di un'imbarcazione alla deriva (successivamente si è appreso che erano precisamente 218 immigrati, tutti nordafricani presumibilmente provenienti dalla Libia).
  Abbiamo così avuto modo di riscontrare, in tempo reale, le dimensioni e la frequenza degli arrivi dei migranti nell'isola (solo il Pag. 44giorno precedente ne erano infatti giunti circa un migliaio), le drammatiche modalità dei loro viaggi, cui spesso corrispondono precarie condizioni di salute, ma anche la tempestività dei soccorsi e degli adempimenti di prima accoglienza, anche sanitaria, che vengono posti in essere dagli operatori delle forze dell'ordine, nonché dalle sopracitate organizzazioni umanitarie.
  La delegazione ha molto apprezzato tale capacità di coordinamento, e ne ha dato atto al Prefetto di Agrigento, dottor Umberto Postiglione, nel corso dell'incontro pomeridiano svoltosi nella sede dell'Aeronautica militare con i rappresentanti delle forze armate e di polizia preposte alle attività di monitoraggio e contrasto dell'immigrazione clandestina: la stessa Aeronautica Militare, la Guardia di Finanza, la Guardia Costiera, l'Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato, a ciascuna delle quali è stato rivolto un sentito ringraziamento.
  Nel corso dell'incontro abbiamo sottolineato il valore simbolico dell'avere scelto Lampedusa come destinazione della prima missione del Comitato, sia per il carattere costantemente emergenziale, l'ampiezza e l'estrema attualità delle problematiche del fenomeno migratorio sull'isola, sia a testimonianza dell'impegno del Parlamento nazionale ad occuparsi stabilmente di immigrazione, a partire dalla ratifica degli accordi bilaterali con i Paesi rivieraschi e nella prospettiva del crescente ruolo che in materia sta assumendo l'Unione Europea.
  Dopo avere ascoltato il Sindaco ed il Vice Sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis e Angela Maraventano, che hanno fatto ulteriormente presenti i problemi derivanti dall'assenza di un nosocomio sull'isola, nonché dai carenti collegamenti aerei di linea, la delegazione ha ringraziato quanti hanno reso possibile la missione, impegnandosi a raccogliere ed approfondire le sollecitazioni e gli spunti di riflessione emersi durante la visita nell'isola.

Relazione sulla missione svolta a Gradisca d'Isonzo
(20 novembre 2008)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 20 novembre 2008 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Gradisca d'Isonzo (Gorizia), per visitare il Centro di identificazione ed espulsione (CIE), nonché di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) degli immigrati ivi ubicato, e svolgere alcuni incontri nella materie di competenza.
  Il primo Centro per immigrati di Gradisca è stato formalmente istituito nel dicembre 2000 quale Centro di permanenza temporanea ed assistenza (CPTA, oggi di identificazione ed espulsione – CIE), ma la sua costruzione, osteggiata da alcune parti delle comunità locali, è materialmente iniziata appena nel 2004, per completarsi nel marzo 2006: solo da allora il Centro è divenuto pienamente operativo.
  La capienza teorica del Centro era stata prevista in 248 posti, ma già dal febbraio 2007 una parte della struttura è stata destinata a sole Pag. 45funzioni di accoglienza, anche in virtù del progressivo incremento della pressione migratoria registratasi a livello nazionale: ancora oggi la sezione di accoglienza conta 112 posti.
   Sempre nel 2006 erano iniziati i lavori per la realizzazione di una sezione del Centro deputata ad accogliere gli immigrati richiedenti asilo (oggi CARA), diventata operativa solo nei primi mesi del 2008.
  Allo stato, dunque, nell'ambito del medesimo complesso sono attivi:
   il C.I.E., da 136 posti;
   il C.D.A., da 112 posti;
   il C.A.R.A., da 138 posti.

  In tutte e tre le sezioni il numero degli ospiti attualmente presenti è vicino ai limiti di capienza.
  La gestione, disciplinata da apposita convenzione con la competente Prefettura, è attribuita al Consorzio Connecting People, che detiene l'affidamento per il CIE ed il CDA fino al 2010, e temporaneamente fino alla fine del 2008 anche per il CARA, per la cui gestione è prossima alla conclusione la procedura di affidamento.
  L'assistenza sanitaria è stato il primo aspetto trattato nel corso dell'incontro con i responsabili del Centro: non sono emerse particolari problematiche sanitarie connesse alla provenienza degli immigrati, ed il personale medico ha dichiarato che la situazione epidemiologica all'interno tanto del CIE quanto del CARA è da ritenersi sotto controllo. In ogni caso, è stata espressa l'esigenza di rendere sistematico uno screening sanitario per tutti gli immigrati ospiti del Centro, attraverso una convenzione con l'ASL competente: in particolare, semplici prelievi ematochimici consentirebbero di individuare tempestivamente eventuali casi di malattie infettive, che peraltro a tutt'oggi non constano.
  La delegazione ha poi visitato la struttura del CIE, dove non sono mancati momenti di tensione dovuti all'animosità con cui alcuni ospiti hanno inteso, e potuto, interloquire con i parlamentari, per rappresentare stati di disagio e situazioni personali correlate ai procedimenti di identificazione ed espulsione in corso, o già definiti a loro carico. In tale occasione è stata apprezzata la capacità di mediazione e di persuasione sia delle forze dell'ordine, sia del personale preposto alla gestione del Centro.
  Analoga situazione si è verificata quando ci si è trasferiti nella sezione CARA della struttura, dove si sono avvicinati con toni di protesta alcuni richiedenti asilo: anche in questo caso ne sono state ascoltate le ragioni, mentre le forze dell'ordine si interponevano nei confronti dei soggetti più esagitati.
  Al termine della visita si è tenuto un incontro con il Prefetto di Gorizia, dottoressa Maria Augusta Marrosu, il Presidente della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, Prefetto Francesco Squarcina, nonché con i rappresentanti delle forze dell'ordine e del Consiglio italiano per i rifugiati (CIR).
  Ci si è soffermati soprattutto sui richiedenti asilo: le domande di asilo sono formulate da soggetti provenienti principalmente da Nigeria, Pag. 46Somalia, Iraq, Afghanistan e Costa d'Avorio. La Commissione territoriale diretta dal Prefetto Squarcina, peraltro, esamina le domande provenienti da immigrati allocati in tutto il triveneto, e non solo a Gradisca d'Isonzo. Nonostante la complessità di ciascuna pratica (ogni colloquio con un richiedente asilo può durare da una a ben sette ore), ed il massiccio incremento di domande registratosi nell'ultimo anno, a fine 2008 la Commissione conta di smaltire gli arretrati e di emettere i decreti contestualmente alle relative decisioni (si è passati dalle 782 pratiche di agosto scorso, accumulatesi nel tempo per ragioni organizzative, alle 357 attuali).
  A livello centrale, la Commissione Nazionale, che ha compiti di indirizzo e coordinamento delle dieci commissioni territoriali, ha esaminato, dal 1o gennaio al 31 ottobre 2008, 24.041 domande di asilo, con i seguenti esiti:
   6.408 riconoscimenti dello status di protezione internazionale, di cui:
    a) 1.323 status di rifugiato;
    b) 5.085 status di protezione sussidiaria (validità: 3 anni);
    1.740 riconoscimenti dello status di protezione umanitaria (validità: 1 anno, subordinatamente all'assenso delle Questure interessate);
    15.893 reiezioni.

  Nelle more dell'esame della domanda di asilo, il richiedente ha diritto al solo vitto ed alloggio, e può essere ammesso al lavoro se trascorrono più di sei mesi dalla richiesta. In caso di rigetto della domanda, il richiedente può ricorrere alla magistratura, ma il ricorso non determina automaticamente la sospensione del provvedimento, che può essere decisa solo nei casi di effettiva necessità.
  La Prefettura ha evidenziato l'esigenza che siano apportate modifiche al capitolato che regola l'affidamento della gestione del CARA, soprattutto al fine di predisporre al suo interno attività che impegnino gli ospiti, analogamente a quanto già avviene nel CIE.
  Dopo un breve intervento del rappresentante del Consiglio Italiano Rifugiati (CIR), esplicativo delle attività di supporto informativo-legale che l'organizzazione presta in favore degli immigrati, hanno preso la parola i rappresentanti delle forze dell'ordine. Confortante è risultato il dato secondo cui non si registra un aumento di reati collegati alla presenza di cittadini extracomunitari: emerge piuttosto un quadro di asserita percezione di maggiore insicurezza, e di minore decoro urbano, da parte della popolazione locale.
  Le forze di polizia sono impegnate, in particolare, nella prevenzione di reati di strada, come ad esempio il possibile sfruttamento della prostituzione femminile (anche se la percentuale di donne ospiti nel centro non arriva neppure al 10 per cento del totale): positivo in questo senso è risultato l'impiego dei militari nei compiti di vigilanza del Centro, che ha reso possibile una più efficace destinazione delle pattuglie di polizia e carabinieri al controllo del territorio.Pag. 47
  Nel pomeriggio la delegazione è stata ricevuta nel Palazzo Municipale del Comune di Gradisca d'Isonzo, dove ha incontrato il Sindaco, Franco Tommasini, il Presidente della Provincia, Enrico Gherghetta, l'Assessore Regionale per la sicurezza Federica Seganti, ed i Consiglieri Regionali Gaetano Valenti e Giorgio Brandolin.
  Dopo l'iniziale contrarietà della popolazione locale alla costruzione del Centro per gli immigrati, che ha avuto comunque un certo impatto sulle attività economiche della zona, Gradisca ha assorbito la realtà del Centro con spirito di accoglienza ed un approccio costruttivo: oggi appare prioritario dibattere non tanto sulla sua esistenza, quanto sulle migliorie da apportare nella zona, a cominciare da una adeguata illuminazione pubblica.
  Nonostante i grandi sforzi quotidianamente profusi dalla Questura e dalla Prefettura, è stata rappresentata l'esigenza di contenere l'ingente flusso di immigrati, che nella Regione è costituito soprattutto da richiedenti asilo.
  I maggiori problemi non sembrano più derivare dalla permeabilità della frontiera slovena, dove oggi sono efficacemente espletate attività di pattugliamento misto tra i due Paesi, ma da un'immigrazione apparentemente legale (ed anche più consapevole di quella che investe Lampedusa), che approda nel Nord-Est anche attraverso normali vettori aerei sotto forma di manodopera di ditte straniere appaltatrici di servizi o lavorazioni: sulle effettive destinazioni di questi migranti, spesso, non vengono eseguiti adeguati controlli.
  Ciò spiega il conseguente allarme sociale da parte delle popolazioni locali, preoccupate soprattutto delle possibili implicazioni sanitarie e di sicurezza. Dal canto loro, gli amministratori locali temono soprattutto gli effetti economici del descritto fenomeno migratorio, a cominciare dalla necessità di contenere gli oneri dell'assistenza sanitaria in favore dei migranti, specie in una Regione a statuto speciale come il Friuli Venezia Giulia, che, in base alla normativa vigente, provvede al finanziamento dell'assistenza sanitaria pubblica esclusivamente con risorse a carico del proprio bilancio, senza alcun onere a carico dello Stato. Altra esigenza avvertita dagli amministratori è quella di favorire l'affidamento ad imprese locali delle attività che costituiscono il cd. indotto economico afferente ai Centri per gli immigrati.
  A fronte di queste sollecitazioni, la delegazione ha sottolineato l'estrema utilità della visita a Gradisca: la capacità di accoglienza della comunità non oscura certo la dimensione nazionale del fenomeno migratorio, che in quanto tale esige un approccio comune, libero da pregiudizi ideologici e speculazioni politiche, improntato alla concretezza ed alla sinergia istituzionale.
  Dopo la missione a Lampedusa, dove è stata riscontrata una grande capacità operativa sul fronte della prima accoglienza, la visita al Centro di Gradisca ha evidenziato una realtà molto diversa, dove, pur nella consapevolezza del carattere anche strumentale delle proteste organizzate, si è colta la drammaticità della situazione di chi sta per ricevere un decreto di espulsione o di denegato asilo. Occorre quindi riportare le risultanze degli incontri avuti nelle competenti sedi istituzionali.Pag. 48
  Il quotidiano lavoro degli operatori sul campo, dalla Prefettura alle forze di polizia, dalla Commissione territoriale al mondo del volontariato, aiuta a comprendere la complessità, anche tecnica, della materia dell'immigrazione: se da una parte risulta difficile far applicare appieno le normative, specie se più restrittive, dall'altra l'immigrazione è anche una risorsa molto preziosa, e pertanto non c’è altra via se non quella di implementare politiche volte a contemperare sicurezza ed integrazione, mercato e democrazia, diritti e doveri, in un'ottica che prediliga sempre l'interesse nazionale.

Relazione sulla missione svolta in Spagna
(26-27 febbraio 2009)

  Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 26 e venerdì 27 febbraio 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione in Spagna.
  Il primo giorno, giunta a Madrid, la delegazione del Comitato ha incontrato una rappresentanza della Commissione lavoro e immigrazione del Congreso de los diputados. Durante la riunione sono state illustrate le caratteristiche dell'immigrazione spagnola nonché la politica migratoria di questo Paese.
  La Spagna, così come l'Italia, si è trasformata in pochi anni da Paese origine di emigrazione in Paese recettore di immigrazione. Gli stranieri residenti legalmente in Spagna nel 1981 erano 198.042, mentre al 31 dicembre 2008 essi erano 4.473.499, di cui 2.132.447 cittadini appartenenti ai Paesi dell'Unione europea (il 47,63 per cento del totale) e 2.341.052 cittadini extracomunitari (il 52,33 per cento del totale). La tendenza è in costante aumento, e tra il 2007 ed il 2008 l'incremento è stato di 494.485 unità (circa il 10 per cento del totale).
  La condizione giuridica degli stranieri è basata sull'articolo 13.1 della Costituzione spagnola, ai sensi del quale l'ingresso, la residenza ed il lavoro degli stranieri è regolato da quanto disposto, in primo luogo, dai trattati internazionali, bilaterali o multilaterali; in assenza di un accordo specifico si applica la norma ordinaria, in particolare la Ley Orgánica 4/2000, de Derechos y libertades de los extranjeros en España y su integración social, e le sue successive modifiche. In termini generali, per l'ingresso in Spagna è richiesto un documento idoneo ed il relativo visto, se richiesto, nonché i mezzi di sostentamento necessari al mantenimento della persona durante il tempo previsto di soggiorno nel Paese. La permanenza degli stranieri è regolata dagli artt. 29-35 della suddetta legge, che prevedono due possibilità: a) estancia: permanenza non superiore ai 90 giorni, salvo quanto previsto dalla norma per gli studenti; b) residenza: che può essere temporanea per un periodo superiore ai 90 giorni ed inferiore a 5 anni, per la quale si richiedono i mezzi di sostentamento o permesso di lavoro, oppure permanente, che dà diritto a risiedere a tempo indeterminato in Spagna ed a lavorare a parità di condizioni dei cittadini spagnoli, ma che può essere richiesta solo dopo una residenza di 5 anni. Pag. 49
  La politica spagnola in materia di immigrazione si sviluppa lungo tre direttrici principali: l'armonizzazione della normativa nei Paesi membri dell'Unione europea, la lotta all'immigrazione clandestina e l'integrazione dei lavoratori stranieri presenti sul territorio nazionale.
  Per quanto riguarda il primo aspetto, una adeguata politica europea in materia di immigrazione ed una omogeneizzazione delle normative dei singoli Paesi membri della UE sono ritenute fondamentali al fine di evitare alcuni fenomeni quali lo spostamento dei flussi migratori verso quei Paesi in cui le norme, i controlli e le sanzioni siano meno rigide, oppure che l'inasprimento della lotta alla immigrazione clandestina in alcuni Paesi sia vanificata dalla eccessiva permissività della normativa vigente in altri Paesi membri. A tal fine, la Spagna ha collaborato attivamente affinché fossero approvati sia il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo che la Direttiva sui rimpatri, e si è fatta promotrice di pattugliamenti congiunti delle frontiere all'interno della Agenzia comunitaria a ciò preposta, cosiddetta FRONTEX.
  La lotta alla criminalità clandestina occupa un posto fondamentale nelle politiche sull'immigrazione del Governo spagnolo. Nel 2004 il Governo Zapatero ha effettuato una regolarizzazione di circa 700.000 lavoratori irregolari presenti in Spagna, ma, al fine di evitare un «effetto chiamata», sono stati regolarizzati solo gli stranieri con un lavoro stabile e residenti in Spagna da più di sei mesi; è comunque importante ricordare che in Spagna è possibile per i cittadini stranieri anche irregolari l'iscrizione nell'anagrafe comunale, empadronamiento, che consente l'accesso all'istruzione e ai servizi sanitari di base.
  Quanto all'integrazione, l'andamento positivo dell'economia spagnola negli ultimi anni, che ha accresciuto la necessità di mano d'opera e favorito l'immediato assorbimento degli stranieri nella catena produttiva, è stato l'elemento determinante di un inserimento relativamente fluido degli stranieri. Quest'ultimo è stato favorito in parte anche dalla forte presenza di immigrati latinoamericani, che costituiscono il primo gruppo geografico per permessi di soggiorno rilasciati e sono i principali beneficiari del Piano di integrazione varato dal Governo Zapatero, che stanzia circa 2 miliardi di Euro per il periodo 2007-2010: la lingua ed un passato in comune ne fanno infatti un collettivo più facilmente assimilabile.
  I Paesi latinoamericani traggono beneficio da una serie di canali preferenziali previsti dalla normativa spagnola: diversi hanno firmato in via bilaterale un «Accordo di collaborazione per la selezione in loco di personale interessato a lavorare in Spagna»; alcuni, come Perù e Cile, possono esentare i propri cittadini dall'obbligo di dimostrare che il posto di lavoro a cui aspirano in Spagna sul Regime generale è di difficile copertura; i cittadini latinoamericani necessitano inoltre di un tempo minimo di residenza in Spagna di 2 anni per l'acquisizione della cittadinanza, contro i 10 nei casi restanti; agli inizi del 2009, la Spagna ha firmato accordi con Ecuador, Colombia ed Argentina per garantire agli immigrati residenti in Spagna da almeno 5 anni il diritto di voto alle elezioni amministrative (su base di reciprocità).
  La delegazione italiana ha sottolineato le analogie riscontrabili tra le questioni migratorie dei due Paesi, sia per quanto riguarda l'incidenza complessiva del numero di immigrati rispetto alle popolazioni Pag. 50autoctone, sia a proposito dell'esigenza di una maggiore attenzione dell'UE sulle sue frontiere meridionali. I recenti provvedimenti governativi in materia di sicurezza ed immigrazione, lungi dall'essere ispirati da principi xenofobi, sono piuttosto funzionali al ripristino di un quadro normativo che coniughi accoglienza dei regolari e rigore contro la clandestinità, postulando norme certe sui rimpatri e censendo le presenze – soprattutto dei nomadi – sul territorio nazionale. L'Italia avverte l'esigenza di una maggiore armonizzazione delle politiche migratorie alla normativa comunitaria, peraltro non sempre di emanazione tempestiva, specie per quanto concerne la condizione giuridica dei lavoratori cosiddetti in nero e dei cosiddetti overstayers (ovvero la permanenza irregolare dei possessori di visti per turismo), che alimentano in modo massivo il fenomeno della clandestinità.
  Successivamente la delegazione del Comitato ha incontrato il Sottosegretario di Stato all'immigrazione, Consuelo Rumí Ibáñez, la quale ha premesso che, per fare fronte all'immigrazione clandestina, non è sufficiente una politica repressiva e di controllo delle frontiere: sono infatti necessari soprattutto accordi con i Paesi di origine delle correnti migratorie ed una adeguata politica di gestione dei flussi legali.
  Il Governo spagnolo si è impegnato a migliorare i rapporti con il Marocco consentendo una miglior sorveglianza delle frontiere anche con pattuglie miste, il rimpatrio immediato dei cittadini marocchini illegali ed un maggior controllo dei flussi migratori provenienti dall'area sub-sahariana; ha intensificato i rapporti bilaterali con gli altri Paesi dell'Africa occidentale, con molti dei quali ha sottoscritto accordi migratori che includono clausole sulla riammissione (dal 2004 a oggi sono stati firmati accordi migratori con Gambia, Guinea, Mali, Capo Verde, Guinea Bissau, Ghana e Mauritania); è stata rafforzata la rete di rappresentanze diplomatiche nella regione e sono stati avviati progetti di cooperazione per i quali si prevede di destinare risorse finanziarie pari allo 0,7 per cento del PIL.
  Il flusso legale di immigrati è regolato dalla legge, che prevede quattro diversi percorsi:
    1. il contingente di lavoratori stranieri: la legge consente al Governo di fissare la quantità di lavoratori stranieri che possono essere assunti nei loro Paesi di origine in base alle richieste presentate dei datori di lavoro e tenendo conto delle esigenze delle Comunità autonome, degli enti sociali e del rapporto sullo stato dell'occupazione e dell'integrazione dei migranti elaborato dal Consejo Superior de Política de Inmigración. Questo tipo di offerta di lavoro è orientata principalmente verso quei Paesi che hanno firmato con la Spagna accordi per la regolarizzazione dei flussi migratori. Per il 2007 è stato approvato l'ingresso di 27.034 lavoratori stranieri, per il 2008 si è scesi a 15.731;
   2. la contrattazione nominativa nei Paesi di origine: insieme al contingente, il Governo può autorizzare una quota massima di richieste nominative. Nel 2007 questa quota è stata stabilita in 92.000 unità; Pag. 51
   3. visti per ricerca di occupazione: contestualmente, il Governo può stabilire un numero di visti per ricerca di lavoro riservati a stranieri figli o nipoti di spagnoli, o a determinati settori di attività in funzione delle richieste del mercato del lavoro. Il visto è valido per un periodo di tre mesi. Per il 2007 sono stati autorizzati 500 visti per stranieri figli o nipoti di spagnoli, nonché 455 visti per ricerca di lavoro nel settore domestico;
   4. contratti temporanei: il Governo ha la facoltà di autorizzare permessi di soggiorno temporaneo per lavoratori stagionali; tali permessi hanno una durata massima di 9 mesi e consentono al lavoratore stagionale l'ingresso e l'uscita dal territorio nazionale secondo le modalità di svolgimento del lavoro realizzato. Nel 2006 la quota massima di lavoratori stagionali è stata fissata in 61.000 unità.

  È all'attenzione del Parlamento spagnolo una proposta di modifica della ley de extranjerias. L'obiettivo della riforma è quello di recepire alcune direttive comunitarie e contemporaneamente aggiornare una legge ormai datata rispetto alla realtà migratoria della Spagna ed al quadro economico che aveva caratterizzato la politica nella prima legislatura socialista. Questi i principali obiettivi: garantire il godimento dei diritti fondamentali per tutti i cittadini; disegnare un sistema di accesso progressivo ad altri diritti, a misura che aumenta la permanenza in Spagna.
  Ad esempio, con il rinnovo del permesso di soggiorno di un anno scatta il diritto di ricongiungimento familiare per coniugi e discendenti (questi ultimi, se maggiori di 16 anni, avranno diritto automaticamente ad un permesso di lavoro); il ricongiungimento di genitori e suoceri (a carico e con oltre 65 anni) è invece ammesso solo per i residenti in Spagna da almeno 5 anni; adeguare il sistema di assunzione in origine al mercato del lavoro. In sostanza, questo canale di accesso viene drasticamente ridotto: il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato la revisione del «catalogo dei posti di difficile copertura» per il 2009, portandolo da 15.000 a 901 posti di lavoro (-90 per cento); conferire rango di legge dello Stato alla politica di integrazione dei migranti. Si stabilisce fra l'altro che le Amministrazioni pubbliche svilupperanno misure specifiche per favorire l'apprendimento dello spagnolo e delle altre lingue ufficiali del Paese; aumentare la capacità dello Stato nella lotta all'immigrazione clandestina. Approfittando dei margini della Direttiva UE sui Rimpatri, vengono ampliati i termini per l'identificazione degli stranieri (da 40 a 60 giorni); si introduce la possibilità di rimpatrio dei minori non accompagnati, retta tuttavia dal principio del superiore interesse del minore e sempre che sia possibile verificarne la provenienza e la situazione familiare nel Paese di origine; costituisce causa di espulsione la condanna dello straniero (dentro o fuori dalla Spagna) per un delitto punito in Spagna con almeno un anno di carcere; si elevano le pene per favoreggiamento e/o sfruttamento dell'immigrazione clandestina (per es. da 10.000 a 100.000 euro per i matrimoni di convenienza).
  Nell'ultimo quinquennio la Spagna ha dunque superato la logica di politiche «per gli stranieri» ed ha sposato quella delle politiche Pag. 52«per l'immigrazione»: il principale asse portante di queste ultime, come detto, è costituito dagli accordi di cooperazione con i Paesi di origine che, con particolare riferimento al Marocco, hanno consentito, nel tempo, adeguati scambi di informazione, ingressi mirati di manodopera a fronte di rimpatri agevolati, e pattugliamenti congiunti delle frontiere, marittime e terrestri: ad oggi, secondo quanto dichiarato, la Spagna riesce a far rimpatriare circa il 95 per cento dei marocchini irregolari. Maggiori difficoltà si incontrano invece nel rimpatrio di clandestini provenienti dall'Africa sub-sahariana e dall'Asia.
  Alla fine del 2007 è stata approvata la Legge organica 13/2007, al fine di consentire il perseguimento extraterritoriale del traffico illegale o dell'immigrazione clandestina di persone: poiché tali reati sono perpetrati da una criminalità organizzata di livello internazionale, il legislatore spagnolo ha adottato specifiche misure legislative, che, rafforzando il contrasto di tali comportamenti criminosi, permettono di proteggere pienamente gli stessi diritti umani degli immigrati.
  Rispondendo ad alcune domande, il Sottosegretario ha chiarito che i rimpatri richiedono più tempo laddove non sussistano accordi bilaterali di riammissione, precisando che i tempi di permanenza nei Centri di detenzione dipendono da quelli necessari all'identificazione, e che, pur essendo possibili rimpatri collettivi, occorre comunque valutare caso per caso le singole situazioni soggettive (da 40 giorni, la legge di riforma prevede l'incremento a 60 giorni di permanenza nei Centri).
  Certamente il Patto europeo contiene molti passi avanti, ma anche il potenziamento di FRONTEX non risulterebbe sufficiente senza una seria politica di cooperazione. Per quanto attiene ai cd. overstayers, il progetto di riforma della legge spagnola sull'immigrazione prevede più incisive forme di contrasto alla loro presenza sul territorio, consistenti nell'attivazione di controlli incrociati e procedure identificative all'entrata e all'uscita dal Paese.
  Nel pomeriggio di giovedì 26 febbraio la delegazione del Comitato è stata ricevuta dal Sottosegretario all'interno Antonio Camacho, e dal Direttore Generale per l'Immigrazione, Arturo Avello. Anche in questa occasione si è convenuto sulla peculiarità del fenomeno migratorio in nazioni come Spagna ed Italia, la cui posizione geografica favorisce ingenti flussi di entrata. Si tratta quindi di una grande sfida, che l'Europa deve saper raccogliere in modo unitario: si è ribadita la necessità di puntare innanzitutto sulla cooperazione con i Paesi di origine, presupposto fondamentale affinché risultino efficaci il contrasto alla clandestinità e la promozione dell'immigrazione regolare per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro. Queste, unitamente a concrete politiche dell'integrazione, sono le principali linee di intervento del Governo spagnolo in materia di immigrazione.
  La delegazione italiana ha ricordato come il fenomeno migratorio sulla penisola sia iniziato nei primi anni novanta con i massicci sbarchi di cittadini albanesi sulle coste della puglia. Attualmente, in Italia si possono stimare circa 4 milioni e mezzo di immigrati regolari, cui vanno aggiunti circa 750.000 clandestini, verso i quali non è ipotizzabile ricorrere a sanatorie indiscriminate. Soltanto recentemente l'Europa sembra avere preso coscienza della portata della Pag. 53questione migratoria, e quindi dell'esigenza di addivenire a politiche comuni in materia: ma molto resta ancora da fare, solo se si pensa al dramma di Lampedusa, alle difficoltose procedure di rimpatrio ed alla scarsa efficacia dell'azione di FRONTEX.
  In proposito, il Sottosegretario Camacho ha rammentato che in passato anche la Spagna aveva fatto ricorso, in alcuni casi ed a certe condizioni, a sanatorie di massa (di circa 700.000 illegali all'inizio del primo Governo Zapatero), senza tuttavia innescare il cd. «effetto calamita» (secondo cui la regolarizzazione finisce con l'attirare altra immigrazione). Molto più efficace è risultata la politica della cooperazione con Paesi come Senegal, Mali, Mauritania, in cui la Spagna ha investito risorse per lo sviluppo, inviato personale e messo a disposizione infrastrutture, ottenendo in cambio una fattiva collaborazione dei rispettivi governi nel prevenire le partenze dei clandestini da questi Stati. Tuttavia, data la complessità del fenomeno, la cooperazione non può privilegiare il rapporto solo con alcuni Stati o singole realtà geografiche: essa deve operare anche a livello multilaterale, e coinvolgere le organizzazioni internazionali.
  Gli assalti alle barriere di Ceuta e Melilla nell'autunno del 2006, e gli sbarchi di massa alle Canarie nello stesso anno, hanno favorito alcuni aggiustamenti della politica migratoria, nel senso di porre maggior rigore nel contrasto all'immigrazione clandestina. Tra il 2006 ed il 2008 la Spagna è riuscita a ridurre il fenomeno di circa il 67 per cento, tanto che gli sbarchi sulle coste spagnole si sono ridotti da 39.180 nel 2006 a 13.424 nel 2008.
  Le principali misure adottate per raggiungere questi risultati sono:
    l'istituzione di un Sistema Integrado de Vigilancia Exterior, SIVE, che attraverso una rete di sensori radar, sistemi di videosorveglianza anche a raggi infrarossi e sensori acustici permette, a quanto sembra, l'intercettazione del 99 per cento delle imbarcazioni che attraversano il suo campo di azione. Il SIVE, per il quale sono stati investiti nel periodo 2000-2008 232 milioni di euro, è attivo nella costa Andalusa, nell'enclave di Ceuta e nelle isole Canarie, e si prevede un suo ampliamento a tutta la costa mediterranea spagnola;
    la formazione, insieme alle forze adibite al controllo delle frontiere marocchine, di pattuglie miste allo scopo di intercettare le navi che trasportano migranti illegali, ed il pattugliamento congiunto coordinato dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX) delle coste dell'Africa occidentale;
    il potenziamento delle forze di polizia operanti nel controllo delle frontiere dell'immigrazione, i cui effettivi sono stati aumentati del 50 per cento nell'ultimo quinquennio fino a raggiungere le 15.700 unità, anche con l'istituzione di un corpo speciale per l'intercettazione ed espulsione di soggetti particolarmente pericolosi per l'ordine pubblico;
    lo scambio di informazioni via satellite tra Spagna, Portogallo, Mauritania, Senegal e Capo Verde nell'ambito della rete di comunicazioni denominata SEAHORSE, finanziata dall'Unione europea.

Pag. 54

  A titolo esemplificativo, grazie a questi moduli di collaborazione integrata, nell'ultimo anno la Spagna ha allestito 154 voli per un totale di circa 7.000 immigrati rimpatriati, mentre FRONTEX ne ha predisposti solo 10, di cui la metà con il concorso determinante degli equipaggi spagnoli. Ciò si spiega anche considerando che, negli ultimi anni, Madrid ha avuto accesso in misura crescente ai fondi stanziati per i rimpatri ed il controllo alle frontiere, nel quadro delle attività promosse dalla direzione generale «Giustizia, libertà e sicurezza» della UE (si prevede infatti che, nel biennio 2009-2010, la Spagna sarà il primo beneficiario di tali fondi, con circa 90 milioni di euro di contributi).
  Il risultato, secondo quanto riferito, è il rimpatrio del 60-70 per cento circa dei clandestini (presumibilmente di quelli che giungono via mare, che non sono tuttavia la maggioranza degli irregolari presenti in Spagna). Ciononostante, il numero di stranieri presenti illegalmente sul territorio è stimato intorno a 500.000, ma potrebbe anche essere molto superiore.
  Il giorno successivo, venerdì 27 febbraio, la delegazione del Comitato si è recata a Melilla, città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Rif, nell'Africa del Nord. La visita, la prima di una delegazione parlamentare italiana, ha permesso di conoscere da vicino una realtà unica in Europa: dodici chilometri quadrati di estensione, 70.000 abitanti, di cui la metà arabo-musulmani, oltre a una significativa comunità ebraica e ad un'antica collettività indiana. Particolarmente elevato risulta l'afflusso di minori stranieri non accompagnati, per il cui mantenimento la città riceve un finanziamento statale annuo di oltre 3 milioni di euro: tali minori, analogamente a quanto avviene in Italia, sono infatti ospitati in appositi centri di accoglienza, in cui sono erogati servizi assistenziali di base.
  La delegazione ha incontrato il presidente della Città autonoma di Melilla, Juan José Imbroda, ed il delegato del Governo spagnolo, Gregorio Escobar, i quali hanno illustrato la situazione degli immigrati illegali presenti nel locale centro di accoglienza temporanea. Quest'ultimo, in particolare, è stato costruito a suo tempo per fronteggiare le ricadute derivanti, in termini di ordine pubblico, dalla massiccia presenza di immigrati provenienti dalla frontiera terrestre con il Marocco (nel 2006 arrivò ad ospitare fino a 1600 immigrati).
  La normativa spagnola prevede tre tipi di centri per migranti:
    1. Centros de Acogida a Refugiados (CAR). Questi centri pubblici sono specializzati nella accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati o di persone in situazioni simili che non dispongano dei mezzi economici necessari per il proprio sostentamento; essi forniscono vitto, alloggio e assistenza sanitaria durante il periodo di durata dell’iter amministrativo. La durata della permanenza nei CAR non può superare i sei mesi, eccezionalmente prorogabili fino a dodici. Oltre ai servizi di prima necessità, i centri sono strutturati per favorire l'integrazione dei migranti, fornendo corsi di lingua e cultura spagnola nonché di formazione professionale.
    2. Centros de Internamento de Extranjeros (CIE). La legge spagnola prevede, come misura di carattere preventivo o cautelare, la possibilità di disporre giudizialmente l'ingresso in un CIE per gli Pag. 55stranieri che abbiano pendente un procedimento di espulsione, di riammissione o di ritorno. I CIE presenti in Spagna sono 9, siti a Madrid, Barcellona, Valencia, Malaga, Algeciras, Murcia, Las Palmas de Gran Canaria, Santa Cruz de Tenerife e Fuerteventura; i centri hanno una capacità totale di circa 4.600 posti, di cui 3.300 solo nelle isole Canarie.
    3. Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes (CETI). Sono centri della pubblica amministrazione per la prima accoglienza di immigrati e richiedenti asilo presenti nelle città autonome di Ceuta e Melilla.

  La delegazione ha potuto visitare il Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes di Melilla, che ha una capacità di 472 posti. Attualmente nel CETI sono ospitati 564 persone di 35 diverse nazionalità. Il Centro, che dipende dal Ministerio de Trabajo e Inmigración (Ministero del lavoro), fornisce vitto, alloggio ed assistenza sanitaria ai richiedenti asilo ed agli immigrati illegali in attesa di un provvedimento di espulsione. Agli ospiti del centro è offerta la possibilità di frequentare corsi di lingua e cultura spagnole e di formazione professionale, e viene prestata assistenza giuridica gratuita.
  Nella stragrande maggioranza dei casi, gli ospiti avanzano infatti richiesta di asilo, assistiti da servizi di consulenza giuridica e mediazione culturale: se l'istanza viene accolta, il richiedente viene trasferito in altri centri ubicati sul territorio peninsulare, specificamente dedicati ai richiedenti asilo. Laddove invece la domanda viene respinta, si avviano le procedure per l'espulsione ed il rimpatrio: occorre tuttavia attendere l'esito dell'eventuale ricorso amministrativo che l'istante può presentare. In alcuni casi, neanche la reiezione del ricorso rende effettivo il rimpatrio, dal momento che, in via sussidiaria, può essere riconosciuto lo status di protezione per motivi umanitari.
  I migranti che riescono ad entrare illegalmente nella città sono accompagnati al Commissariato da dove, dopo un primo tentativo di identificazione, sono inviati al CETI. Nel Centro ricevono una badge identificativo che dà diritto di accesso ai servizi e con il quale possono entrare ed uscire dal Centro liberamente. Chi riceve un decreto di espulsione definitivo è trasferito in un Centro di internamento ubicato sulla penisola, gestito dal Ministerio del interior, da dove sarà rimpatriato od espulso.
  I dati ufficiali del Ministerio del interior indicano una diminuzione annuale costante degli ingressi illegali in Ceuta e Melilla, che sono stati 2.000 nel 2006, 1.553 nel 2007 e 1.210 nel 2008 con un trend negativo di circa il 22 per cento. Tuttavia, poiché, solo negli ultimi due mesi, sembra siano stati espulsi 900 marocchini entrati illegalmente a Melilla, è ragionevole quantificare tra 7.000 e 10.000 il numero di irregolari che annualmente riescono ad attraversare la frontiera.
  In ogni caso, gli immigrati illegali entrano a Melilla quasi esclusivamente attraverso i valichi di frontiera aperti al transito dei lavoratori transfrontalieri (circa 30.000 al giorno): insieme a quella di Ceuta, l'altra enclave spagnola in territorio marocchino, si tratta dell'unica frontiera terrestre esterna dell'area Schengen in Africa, che Pag. 56la delegazione ha potuto visitare prima di fare rientro in Italia. Come si è potuto verificare direttamente, tali varchi sono vigilati costantemente dai due lati e l'intrusione di clandestini può dunque avvenire grazie a passaporti falsi, oppure nascondendosi in mezzi di trasporto o utilizzando lo stesso documento per più persone.
  La barriera di confine che separa Melilla dal territorio marocchino è infatti praticamente invalicabile: essa si estende per tutta la lunghezza della frontiera terrestre (circa una decina di chilometri) ed è costituita da un solido, doppio reticolato, alto fino a 6 metri, largo circa 2 ed intervallato da una «zona cuscinetto» dotata di appositi sensori preposti alla segnalazione remota di eventuali tentativi di intrusione. La barriera è inoltre sorvegliata a vista in molteplici punti, fissi e mobili, sia sul versante marocchino che dal lato spagnolo, ed è presidiata da numerosi dispositivi di videosorveglianza.
  In conclusione, la delegazione del Comitato ha riscontrato alcune analogie tra i fenomeni migratori in Spagna ed in Italia, convenendo con le autorità spagnole che si tratta di una grande sfida, che l'Europa deve saper raccogliere in modo unitario armonizzando sempre più la normativa. Si è peraltro preso atto della peculiare politica migratoria spagnola nei confronti delle popolazioni latino-americane, con cui tuttora sono intrattenute relazioni privilegiate e particolari status di accoglienza e protezione, che spiegano anche il grado di integrazione raggiunto da questi migranti.
  Anche in Spagna è comunque finita l'epoca delle regolarizzazioni di massa, e la pressione migratoria degli ultimi anni ha indotto il Governo ad introdurre più rigorose misure di contrasto all'immigrazione clandestina: al riguardo, particolarmente efficace è risultata la cooperazione spagnola con i Paesi di origine dei flussi migratori, in cui la promozione dell'immigrazione regolare per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro si associa a forme di investimento e sviluppo economico, soprattutto in quei Paesi africani da cui partono i più consistenti flussi migratori. Ciò pone le condizioni per proficue relazioni diplomatiche e quindi per attuare, bilateralmente, serie misure di rimpatrio e riammissione (a partire dal Marocco), e per favorire azioni congiunte come la sorveglianza alle frontiere (comuni ed esterne) ed il pattugliamento delle coste di interesse.
  A ciò va aggiunto il massiccio ricorso della Spagna a tecnologie di prevenzione, come i sistemi di sorveglianza satellitare delle frontiere marittime e le reti di comunicazione, il cui utilizzo risulta particolarmente efficace sia grazie ai richiamati moduli di cooperazione bilaterale integrata, sia in virtù di un sapiente impiego delle risorse economiche messe a disposizione dell'Unione Europea: la Spagna si colloca infatti tra i maggiori beneficiari dei Fondi comunitari in materia di immigrazione, ed è il principale contributore in termini di unità dispiegate nelle operazioni condotte da FRONTEX.

Relazione sulla missione svolta in Belgio
(11 maggio 2009)

  Come convenuto nell'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di Pag. 57vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, lunedì 11 maggio 2009 il Presidente del Comitato, onorevole Boniver, si è recata in missione a Bruxelles per un incontro con il Vice Presidente della Commissione Europea, Jacques Barrot.
  L'incontro ha avuto ad oggetto i temi dell'immigrazione clandestina nel Mediterraneo e dell'identificazione degli strumenti europei che possano agevolarne il contrasto, nel quadro dell'applicazione del principio di solidarietà e dell'introduzione del burden sharing tra Stati Membri.
  Il Presidente Boniver ha innanzitutto espresso l'auspicio che l'Unione Europea si faccia tempestivamente carico della questione della gestione dei flussi migratori, e che le tematiche siano gestite in un'ottica di solidarietà effettiva, in linea con il «Patto europeo per l'immigrazione e l'asilo». Ha ricordato il massiccio afflusso di migranti clandestini via mare, che si verifica specie in periodi dell'anno climaticamente più favorevoli, evidenziando l'importante novità della cooperazione recentemente offerta dalle autorità di Tripoli, che ha permesso di far rientrare un certo numero di navigli in porti libici.
  Pur prendendo atto delle critiche espresse da esponenti del Consiglio d'Europa e di altri organismi, circa la necessità di assicurare l'accesso al diritto di asilo malgrado i respingimenti siano avvenuti in acque internazionali (e quindi senza violare il principio del non refoulement stabilito dalla Convenzione del 1951), il Presidente Boniver ha confermato che il Governo italiano perseguirà sulla strada intrapresa, in quanto considerata, al momento, l'unico modo per scoraggiare massicci sbarchi di immigrati clandestini. Naturalmente, l'Italia ha presente la necessità di attivare meccanismi adeguati per l'identificazione degli aventi diritto alla protezione internazionale, ma, al contempo, occorre porre in essere adeguate forme di burden sharing tra gli Stati membri dell'Unione europea affinché non siano i soli Paesi del mediterraneo meridionale ad assumere l'intero onere del respingimento degli immigrati illegali e dell'accoglimento dei richiedenti asilo.
  L'onorevole Boniver ha pertanto suggerito di esplorare, anche a livello europeo, la possibilità di aprire veri e propri uffici in Libia per l'esame delle domande di protezione internazionale, nonché di «comunitarizzare» un certo numero di porti del Mediterraneo che costituiscono attualmente le principali vie d'accesso dall'Africa all'Europa. Una tale ipotesi si presenta certamente complessa, tuttavia essa dovrebbe essere parte di una politica europea più attiva nei confronti dei problemi politici, economici ed umanitari dell'Africa, che tenga conto anche degli aspetti positivi dell'immigrazione.
  Il Vice Presidente Barrot si è dichiarato d'accordo su tale analisi e sulla proposta di aprire in Libia centri per l'esame delle domande di asilo, alla cui gestione potrebbe contribuire anche l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Nell'esprimere l'auspicio che tutti gli Stati membri sostengano tale iniziativa anche con un attiva partecipazione, il Vice Presidente Barrot si è impegnato a trattare la questione sia all'interno della Commissione, che nel contesto della prossima riunione del Consiglio Giustizia e Affari Interni.
  Barrot è poi tornato sull'idea, già discussa nel corso di un precedente incontro avuto con i Ministri degli interni maltese ed italiano, Bonnici e Maroni, secondo cui l'Agenzia comunitaria FRONTEX, al di là del mero controllo delle frontiere esterne, debba svolgere Pag. 58un ruolo più incisivo nell'organizzazione dei rimpatri: l'approntamento di voli di ritorno da parte di FRONTEX potrebbe, secondo Barrot, facilitare l'applicazione del principio del burden sharing. Anche al fine di negoziare con Tripoli l'apertura dell'ufficio per l'esame delle domande di protezione internazionale, Barrot si è dichiarato disponibile a recarsi in Libia prima della pausa estiva, raccomandando su questo la cooperazione italiana.
  Il Presidente Boniver, nell'esprimere pieno sostegno all'idea di un rafforzamento del ruolo e delle funzioni di FRONTEX, ha accennato alla necessità di definire una serie di «regole di ingaggio» per le operazioni di pattugliamento navale, quale ad esempio l'identificazione del porto di sbarco, recentemente oggetto di contrasto tra Italia e Malta. A tale proposito Barrot ha replicato che occorre evitare un confronto bilaterale sulla questione, che presenta controversi aspetti di diritto internazionale, e che pertanto la strada maestra consiste nell'arrestare le partenze dalle coste libiche, ma sempre salvaguardando il diritto d'asilo con la predetta possibile istituzione di appositi uffici.
  Si è anche dichiarato pienamente favorevole all'inserimento di un capitolo dedicato al tema dell'immigrazione clandestina nelle conclusioni del prossimo Consiglio Europeo, sottolineando la necessità che i Ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri seguano costantemente queste tematiche e ne trattino gli aspetti pertinenti in sede di Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne (CAGRE), e ipotizzando lo svolgimento di una nuova conferenza internazionale, che veda il possibile coinvolgimento della Libia, proprio per trattare i problemi migratori del Mediterraneo centro-orientale, senza trascurare il rapporto tra migrazione e sviluppo.
  Nel corso dell'incontro è stata infine affrontata la tematica dell'ingresso nel territorio dell'Unione di un sempre maggior numero di minori non accompagnati, più esposti al rischio di sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali. Barrot ha rilevato che il tema gli è stato di recente sollevato dalla Spagna, e che la Commissione si impegnerà per elaborare una proposta volta ad offrire una protezione rafforzata ai minori, ricordando che già sono disponibili appositi finanziamenti comunitari.
  Il Vice Presidente Barrot, rispondendo poi ad una domanda dell'onorevole Boniver sui problemi tecnici insorti nella realizzazione del Sistema Informativo Schengen di seconda generazione (cd. SIS II), ha espresso l'auspicio della Commissione che sia possibile risolvere le difficoltà di natura informatica del programma: a tal fine, attende l'esito della consulenza tecnica in corso, e spera di essere in grado di dare una risposta definitiva al Consiglio Giustizia e Affari Interni del prossimo giugno in merito alla possibilità o meno di mantenere l'impianto originario del progetto.

Relazione sulla missione svolta in Grecia
(21-22 maggio 2009)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Pag. 59Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 21 e venerdì 22 maggio 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione in Grecia.
  Il primo giorno, giunta ad Atene, la delegazione del Comitato ha incontrato il Vice Ministro degli esteri Iannis Valinakis, il quale ha inteso evidenziare il livello di collaborazione tra i due Paesi, anche nell'ambito della partecipazione a consessi multilaterali come l'Unione europea, nonché il rilievo che la visita assume in un momento particolarmente delicato sul fronte migratorio.
  In Grecia, come in Italia, il problema dell'immigrazione clandestina è di dimensioni massicce, aggravato dal particolare momento di sfavorevole congiuntura economica mondiale, e dalla peculiarità geografica della Grecia, costituita da molti complessi insulari, in alcuni casi vicinissimi alle coste della Turchia.
  Nel 2008 sono stati ben 150.000 i tentativi di ingresso clandestino in Grecia, in molti casi attraverso l'approdo su isole caratterizzate da bassa densità abitativa, che si sono così trovate a dover affrontare invasioni inadeguate alle proprie dimensioni e strutture di accoglienza.
  Si è concordato nel valutare il problema dell'immigrazione clandestina come un problema europeo, non solo quindi dei Paesi direttamente esposti in prima linea, che hanno maturato una particolare sensibilità nei confronti del fenomeno. Recente è infatti l'intesa tra i due Paesi affinché il contrasto dell'immigrazione clandestina venga affrontato nel corso del vertice di giugno del Consiglio Giustizia e Affari interni (GAI).
  La delegazione del Comitato ha ricordato la recente missione in Spagna, svolta nel mese di febbraio scorso, cui seguiranno, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche migratorie europee, analoghe visite a Malta e a Cipro, in una visione comune dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per il miglioramento del contrasto del fenomeno, causato essenzialmente da fattori economici e umanitari.
  Il Governo italiano ha iniziato ad utilizzare lo strumento del respingimento per riaccompagnare gli immigrati nei porti libici di partenza, in virtù di un recente accordo tra Italia e Libia, la cui applicazione ha anche sollevato polemiche e contrasti con organismi dell'ONU.
  A seguito del recente incontro tra il Presidente Boniver ed il Vice Presidente della Commissione Europea, Jacques Barrot, si è delineata la necessità di una vera collaborazione europea per l'accoglienza, la concessione di asilo politico ed il contrasto dell'immigrazione clandestina, che devono essere affrontati nell'ottica di una strategia comune, in quanto problemi che riguardano l'intera comunità europea.
  All'interno del Comitato parlamentare Schengen c’è l'intento di affrontare in modo bipartisan la ricerca di soluzioni al problema dell'immigrazione clandestina, al fine di evitare che il tema, già spinoso, diventi motivo di scontro politico interno, che pregiudicherebbe un adeguato governo del fenomeno.
  La missione della delegazione intende rafforzare la collaborazione tra i due Paesi, al fine di armonizzarne le iniziative di contrasto all'immigrazione clandestina nell'ambito di un'Europa più coesa Pag. 60politicamente, e più consapevole della dimensione globale del fenomeno migratorio, che non può rimanere a carico dei soli Stati rivieraschi.
  Pur non dichiarandosi d'accordo con la politica dei respingimenti, il Vice Ministro Valinakis ha auspicato che la Turchia osservi gli accordi di riammissione e che l'Italia possa cooperare a questo obiettivo. Nel condividere l'esigenza di una maggiore solidarietà comunitaria, ha ricordato la proposta del Primo Ministro greco di istituire una vera e propria Guardia costiera europea con il compito di prevenire gli sbarchi degli immigrati clandestini: nel frattempo, occorre implementare la cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo, ed in questo senso ha espresso apprezzamento per il contributo assicurato dalla Guardia costiera italiana nelle attività di pattugliamento delle coste insulari vicine alla Turchia. La limitata ricettività delle isole greche sta spingendo il Governo a valutare il possibile ricorso ad unità navali da adibire a centri «mobili» di prima accoglienza degli immigrati, anche ai fini di un primo sommario esame di eventuali richieste di asilo.
  Nel pomeriggio del 21 maggio la delegazione è poi stata ricevuta dal Vice Ministro dell'interno Markoiannakis, il quale, dopo avere brevemente richiamato le competenze del suo dicastero, ha evidenziato come il tasso di criminalità nel Paese, pur mantenendosi complessivamente basso, è comunque recentemente aumentato in conseguenza sia della crisi economica che dei crescenti flussi di immigrazione clandestina. Questi ultimi, in particolare, dovuti principalmente alla posizione geografica della Grecia nel Mediterraneo – peraltro simile all'Italia –, hanno portato in pochi anni la quota di immigrati clandestini a circa un milione di persone, ovvero oltre il 10 per cento della popolazione complessiva del Paese: si calcola che il 60 per cento dei reati perpetrati in territorio greco siano commessi da soggetti clandestini, specie da quelli provenienti da aree povere del mondo.
  Nonostante i confini greci siano parte della frontiera esterna dell'Unione, manca ancora un efficace approccio europeo comune al problema migratorio: mentre in Grecia sono ormai integrati i cittadini provenienti da Paesi limitrofi al confine settentrionale (soprattutto bulgari ed albanesi), i grandi flussi di ingresso illegale nel Paese si verificano dal sud e dall'est, ovvero dall'Africa e dall'Asia, sfruttando la frammentazione del territorio greco nelle moltissime isole, le cui coste sono evidentemente difficili da sorvegliare. Data la breve distanza dalla Turchia, ci si può introdurre in una o più di queste isole anche con imbarcazioni di fortuna: il problema è tanto più grave in quanto, secondo quanto riferito dal Vice Ministro dell'interno, la Turchia non disincentiva le partenze degli irregolari, ma è piuttosto teatro dell'azione di organizzazioni di trafficanti che lucrano proprio sul transito dei clandestini ed il loro imbarco verso le isole greche più vicine.
  La Grecia si attiene agli accordi internazionali vigenti, ed è consapevole che la gestione di questi enormi flussi di ingresso irregolare postula comunque l'esigenza di valutare eventuali richieste di asilo, così come – lungi da ogni atteggiamento xenofobo – non si sottrae ai doveri di soccorso e prima accoglienza. Tuttavia, una volta Pag. 61entrati in territorio greco, i clandestini, ovviamente, non hanno documenti di riconoscimento, così che le difficoltose procedure di identificazione rendono spesso, di fatto, impossibile il rimpatrio: peraltro, anche in presenza di un accordo bilaterale di riammissione, la Turchia non lo applica, così da lasciare alla Grecia l'intero onere della gestione degli irregolari.
  Markoiannakis ha quindi rivolto alla delegazione italiana la richiesta di unirsi alla Grecia nelle istanze attraverso le quali investire del problema le autorità europee, che a suo avviso non possono lasciare i Paesi del sud del Mediterraneo da soli nell'affrontare l'emergenza migratoria: l'intera Unione europea deve farsene carico, secondo principi di solidarietà e cooperazione.
  La delegazione italiana ha sottolineato le analogie riscontrabili tra le questioni migratorie dei due Paesi, sia per quanto riguarda l'analisi del fenomeno, sia a proposito dell'esigenza di una maggiore attenzione dell'UE sulle sue frontiere meridionali.
  Come già emerso in occasione di un recente incontro che il Presidente del Comitato Schengen ha avuto con il Vice Presidente della Commissione europea, Barrot, occorre porre in essere adeguate forme di burden sharing tra gli Stati membri dell'Unione europea affinché non siano i soli Paesi del mediterraneo meridionale ad assumere l'intero onere del respingimento degli immigrati illegali e dell'accoglimento dei richiedenti asilo: bisogna, insomma, «comunitarizzare» oneri e mezzi di contrasto all'immigrazione clandestina, anche se trattasi di un obiettivo di non agevole conseguimento. In ogni caso, poiché l'Europa finora si è fatta carico solo occasionalmente del problema (ad esempio, con la proposta di direttiva sui rimpatri), la delegazione ha condiviso la necessità di un forte impulso politico unitario da parte dei Paesi del mediterraneo meridionale (Italia, Grecia, Malta e Cipro), finalizzato ad ottenere in sede europea maggiore attenzione, anche attraverso la rivisitazione del quadro normativo e della disponibilità dei fondi finanziari destinati alla gestione dell'immigrazione.
  Sotto il profilo giuridico, infatti, è stata rilevata la contraddizione derivante dal fatto che, mentre il diritto comunitario non consente il ricorso a regolarizzazioni di massa, non permette neppure l'attivazione di strumenti idonei a rimpatri di massa: ciò spiega la presenza, sul territorio dell'Unione, di un numero di clandestini che si stima tra 12 e 14 milioni di persone, ma anche l'enorme difficoltà delle operazioni di rimpatrio. Su quest'ultimo punto la delegazione, riscontrando il conforme avviso del Vice Ministro greco, ha espresso l'auspicio che in sede comunitaria si avvii quanto prima una appropriata riflessione circa la natura ed i reali poteri oggi conferiti all'Agenzia per la gestione delle frontiere esterne dell'Unione, FRONTEX, che potrebbe espletare funzioni più incisive. Peraltro, una politica europea solidale ed intransigente nei confronti della clandestinità deve coniugarsi con il doveroso rispetto dell'immigrazione legale, che porta un prezioso contributo all'economia ed al mercato del lavoro dell'Unione.
  La mattina di venerdì 22 maggio la delegazione è stata ricevuta dal Vice Presidente del Parlamento greco, Nerantzis, con il quale il Presidente Boniver, nel sottolineare l'intesa bilaterale tra i due Paesi, Pag. 62ha condiviso un approccio comune e sostanzialmente bipartisan nell'analisi del fenomeno migratorio e nella sua individuazione quale priorità assoluta nell'agenda politica delle rispettive istituzioni parlamentari: l'Italia e la Grecia chiedono che sia l'Europa ad esperire soluzioni concertate e pragmatiche, ed in questo senso giudicano favorevolmente sia l'iniziativa comunitaria volta ad istituire un vero e proprio ufficio europeo per l'asilo, sia l'ipotesi di creare una struttura per richiedenti asilo nei Paesi di transito come la Libia.
  Anche nelle azioni di contrasto all'immigrazione clandestina occorre una politica europea comune basata sulla solidarietà e sulla cooperazione con i Paesi di provenienza dei flussi, in quanto si tratta di un impegno molto gravoso che non si può lasciare a singoli Stati, che pure devono difendere la propria sovranità.
  Nel corso dell'incontro il Vice Presidente del Comitato Schengen, onorevole Strizzolo, ha portato il saluto dell'associazione interparlamentare di amicizia italo-greca, di cui è Vice Presidente, unendosi all'auspicio che l'Europa possa mettere presto in campo piani e programmi di azione comune per una gestione del fenomeno migratorio che sappia contemperare le esigenze di sicurezza con quelle, altrettanto primarie, del rispetto dei diritti umani dei migranti.
  Successivamente, la delegazione del Comitato ha incontrato una ampia rappresentanza della Commissione parlamentare Pubblica amministrazione, ordine pubblico e giustizia del Parlamento greco.
  È stata ribadita l'esigenza di un approccio comunitario al fenomeno migratorio: il 47 per cento degli ingressi illegali in Europa avviene dalle frontiere meridionali, specialmente attraverso le isole. È stata sottolineata l'importanza di giungere quanto prima alla realizzazione dell'Ufficio europeo per l'asilo, delineato nel Patto europeo adottato dal Consiglio dello scorso ottobre 2008, la cui adozione la Grecia sostiene senza riserve.
  Le iniziative politiche portate avanti da Italia, Grecia, Malta e Cipro saranno tenute in considerazione nell'ambito della predisposizione del Programma di Stoccolma, che sui temi migratori seguirà quello dell'Aja e dovrà attenersi a quattro principi fondamentali:
   a) la completa attuazione degli accordi di riammissione (che attualmente la Turchia non rispetta);
   b) il potenziamento dell'Agenzia FRONTEX in vista dell'applicazione di protocolli di resettlement;
   c) equa distribuzione degli oneri e delle responsabilità sull'attuazione del diritto di asilo;
   d) istituzione di un servizio europeo dell'asilo.

  La delegazione del Comitato, dopo avere richiamato le attività conoscitive che sta svolgendo sulle politiche europee dell'immigrazione, ha ribadito la necessità di «comunitarizzare» l'approccio e la disciplina del fenomeno. Anche il Governo italiano ha sempre rispettato gli accordi internazionali vigenti, specie quelli concernenti la protezione per motivi umanitari ed il diritto d'asilo: ciò non risulta peraltro incompatibile con i recenti provvedimenti di allungamento dei tempi di trattenimento nei Centri di identificazione ed Pag. 63espulsione, e con le recenti modalità di respingimento in acque internazionali.
  Anche il Commissario Barrot ha condiviso l'esigenza di addivenire a forme di burden sharing tra gli Stati membri dell'Unione, ovvero a soluzioni concertate in un'ottica di solidarietà e cooperazione, che superi le tradizionali difficoltà burocratiche (che attualmente ritardano molto le procedure di rimpatrio) e sappia coniugare, con pragmatismo, sicurezza e rispetto dei diritti umani. Non sono state espresse riserve sulle azioni di respingimento, rese finalmente possibili grazie alla recente entrata in vigore dell'accordo italo-libico, la cui sedimentazione è stata peraltro lunga e irta di difficoltà.
  I commissari greci hanno nuovamente sottolineato la necessità di soluzioni politiche di portata europea al problema migratorio, richiamando la negativa immagine che il Paese subisce dalle invasioni di immigrati sulle proprie coste, che dovrebbero essere oggetto di calibrate misure di resettlement tra gli Stati membri: ciò non significa, tuttavia, non assicurare adeguata tutela dei richiedenti asilo. Piuttosto, occorre perseguire più severamente il fenomeno criminale della tratta dei clandestini, anche rivisitando le norme internazionali che formano il cd. diritto del mare, e colpire con sanzioni i Paesi che non applicano gli accordi di rimpatrio.
  Alcuni accenti diversi sono peraltro emersi negli interventi dei deputati dell'estrema destra e della sinistra radicale: nel primo caso è stata invocata l'apposizione di veri e propri limiti europei all'accoglienza dei flussi migratori, unitamente ad una forte iniziativa politica che induca finalmente la Turchia all'osservanza del trattato di riammissione; nel secondo caso, invece, sono state formulate critiche alla politica dei respingimenti attuata dal Governo italiano, nonché alla tendenza di quello greco a «militarizzare» la gestione della clandestinità, di cui non vanno dimenticate le cause di povertà, diseguaglianze sociali e crisi umanitarie.
  La delegazione del Comitato ha replicato che le azioni di respingimento poste in essere dal Governo italiano sono pienamente conformi al diritto internazionale in quanto condotte in acque non territoriali, e che l'Italia è ai primi posti tra gli Stati europei per numero di domande di asilo accolte. Il dramma umanitario sotteso al fenomeno migratorio deve essere affrontato al riparo da polemiche propagandistiche e strumentalizzazioni che facciano leva sulle paure delle popolazioni: serve piuttosto, oltre ad una politica comunitaria rafforzata, anche una seria riconsiderazione degli strumenti di cooperazione con i Paesi di provenienza dei flussi migratori, in quanto le origini del fenomeno sono prevalentemente socio-economiche.
  Certo, non va dimenticato l'operoso apporto assicurato dagli immigrati regolari, perfettamente integrati nel tessuto sociale e nei sistemi economici dei Paesi di destinazione, ma neppure può sottacersi l'alto tasso di criminalità diffuso tra quelli clandestini (il 38 per cento dei detenuti nelle carceri italiane è costituito da stranieri, quasi sempre irregolari): doveroso e condiviso risulta quindi l'appello che Italia e Grecia rivolgono alle Istituzioni europee affinché si prenda coscienza della necessità di politiche integrate, coraggiose e lungimiranti, che sappiano contemperare le giuste istanze di sicurezza Pag. 64avanzate dai popoli del Vecchio continente con la capacità di accoglienza degli immigrati onesti e di protezione dei soggetti più deboli.
  Al termine degli incontri presso il Parlamento greco, la delegazione si è trasferita nell'isola di Samos: nei locali del Centro Direzionale della Polizia dell'isola, ha incontrato l'onorevole Thalassinos Thalassinos, eletto nella circoscrizione di Samos e membro della medesima Commissione Parlamentare.
  Il Direttore della Polizia, Panaghiotis Kordonouris, ed il Comandante della Guardia Costiera, Stylianos Partsafas, hanno fornito dati statistici sul fenomeno dell'immigrazione clandestina relativamente all'arcipelago del quale Samos fa parte, distante solo un miglio marino dalle coste turche. A causa di tale vicinanza, gli arrivi sono frequenti, anche se meno massicci rispetto a quelli di Lampedusa, e si è registrato grave disagio da parte degli abitanti di Samos per l'aumento degli sbarchi: nonostante il buon livello di cooperazione con le forze di polizia di altri Paesi europei, nei primi quattro mesi del 2009 si sono infatti registrati 400 ingressi illegali in più rispetto al medesimo periodo del 2008. Inoltre, gli sforzi che la polizia compie per contrastare l'immigrazione clandestina sottraggono e distolgono energie alla gestione di altri problemi di ordine pubblico.
  Il capo della polizia ha riferito che, stando alle dichiarazioni degli interessati, i Paesi di provenienza degli immigrati sono, per lo più, Somalia, Afghanistan, Eritrea, Iraq, Palestina. Le nazionalità che fanno registrare un maggior numero di richieste di asilo politico sono l'irachena e l'afghana.
  La procedura prevede che, una volta effettuato il fermo per ingresso illegale dell'immigrato, questi viene condotto nell'ospedale di Samos per gli opportuni controlli, poi trasferito presso il Centro di accoglienza, nel quale viene fotografato e dove vengono gli vengono rilevate le impronte digitali. Gli viene successivamente consegnato un documento che lo obbliga a lasciare la Grecia entro un mese: fanno eccezione coloro che provengono da Iran, Iraq, Siria, Georgia, che sono immediatamente rimpatriati grazie ad accordi bilaterali di riammissione.
  Peraltro, il termine di 30 giorni viene largamente disatteso, e molti immigrati tendono a rimanere sull'isola, suscitando ulteriore disagio nella popolazione locale. Rispondendo ad un quesito posto dalla delegazione del Comitato, il capo della polizia ha chiarito che, nella maggior parte dei casi, le domande di asilo sono formulate dai richiedenti solo dopo avere raggiunto Atene.
  Dall'incontro è emerso chiaramente come la collaborazione con la Turchia, nonostante la vigenza di un trattato di riammissione, sia pressoché inesistente: dal 2002, infatti, di 56.000 clandestini giunti in Grecia, ne sono stati rimpatriati solo 4.400 (il costo per ogni immigrato rimandato in Turchia è di 78 euro).
  Con altri Paesi la Grecia pure ha stipulato accordi bilaterali, riscontrando tuttavia difficoltà nella identificazione degli immigrati analoghe a quelle che incontra l'Italia: positiva in tal senso, ma laboriosa, è risultata la collaborazione dell'Agenzia FRONTEX, che mettendo a disposizione interpreti coopera a riaccompagnamenti via terra, transitando da Atene. Pag. 65
  Infine, al contrario di quanto avviene in Italia, dove si registra un aumento del fenomeno, il numero dei minori non accompagnati non è risultato significativo: la relativa procedura di accoglienza prevede che, una volta giunto sul territorio il minore, ne venga data informazione al Procuratore competente, il quale esercita la funzione di tutore temporaneo e adotta le misure necessarie per la nomina del tutore permanente, che ha l'obbligo di trasferire il minore sull'isola di Lesbo, dove è ubicato un apposito centro di accoglienza per minori non accompagnati.
  Dopo alcune ulteriori specifiche tecniche rese dal Comandante della Guardia Costiera, Stylianos Partsafas, sulle modalità di pattugliamento delle zone costiere, la delegazione si è recata presso il Centro di raccolta temporanea nella zona di Vathy, che al momento ospitava 103 immigrati, a fronte di una capienza di 275 persone, che in periodo estivo si può ampliare fino ad 800 posti. Responsabile dello spazio interno del Centro è il personale civile della Prefettura, mentre la polizia greca è preposta al controllo delle aree esterne limitrofe.
  La struttura, circondata da filo spinato e protetta da un'ulteriore «zona cuscinetto» che la separa da una seconda barriera, si compone di cinque blocchi prefabbricati, destinati agli uffici della Prefettura, ad una mensa, ad una lavanderia, ai locali riservati agli immigrati, tra i quali anche minori non accompagnati, che la delegazione ha potuto incontrare. Vi sono, inoltre, spazi per i bambini e per attività sportive.
  Al termine della visita al Centro, prima di fare rientro in Italia la delegazione, grazie all'ottimale capacità organizzativa del personale della ambasciata italiana in Grecia, ha potuto brevemente incontrare l'equipaggio di una motovedetta della Guardia costiera italiana – Capitaneria di porto di Catania, che coopera con quella greca nell'ambito dell'operazione «Poseidon» di pattugliamento congiunto costiero che fa capo a FRONTEX: in tale occasione il personale di bordo ha illustrato le modalità di svolgimento delle attività di istituto, e anche a livello operativo è emersa l'importanza – più volte sottolineata da entrambe le parti nel corso della missione – di una gestione integrata del fenomeno migratorio, e di una forte concertazione in ambito comunitario tanto delle strategie di contrasto della clandestinità, quanto delle politiche di governo dei flussi di immigrazione regolare.

Relazione sulla missione svolta a Malta
(16-17 luglio 2009)

  Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 16 e venerdì 17 luglio 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Malta.
  Il primo giorno, giunta a La Valletta, la delegazione del Comitato ha incontrato il Ministro degli esteri Tonio Borg, il quale ha inteso preliminarmente sottolineare i benefici che il Trattato di Schengen ha portato ai cittadini europei in termini di libera circolazione, fungendo Pag. 66esso stesso da veicolo di pace tra i popoli: non per questo l'adesione di Malta all'area Schengen può considerarsi, a suo avviso, motivo dell'incremento della pressione migratoria sull'isola.
  È peraltro necessaria, secondo Borg, una sorveglianza più responsabile delle frontiere, specie di quelle marittime, da parte dell'Europa: dallo scorso mese di maggio si è registrato un calo notevole di afflussi di immigrati irregolari sull'isola, grazie agli effetti dell'accordo bilaterale recentemente stipulato tra Italia e Libia ed alle correlate iniziative di respingimento in acque internazionali.
  Sul punto, è consapevole che il respingimento rappresenta una misura controversa, anche estrema, ma che diventa indispensabile se l'Unione europea non assume un ruolo unitario ed efficace nei controlli alle frontiere esterne. La cooperazione italo-libica, certamente tributaria dei notevoli sforzi finanziari compiuti dal Governo italiano, sta dando per Malta grandi risultati per quanto concerne i flussi migratori: se lo scorso anno giunsero via mare sull'isola circa 2.700 clandestini, e nell'inverno appena trascorso pure si sono registrati ben 600 arrivi (non pochi per l'estensione territoriale e la densità abitativa di Malta), a maggio 2009 sono sbarcati solo 60 irregolari, nessuno a giugno (mese che di norma conta invece massicci afflussi), e solo 22 nella prima metà di luglio.
  Il Presidente del Comitato, onorevole Boniver, nel ringraziare il Ministro Borg dell'accoglienza ricevuta, ha sottolineato il carattere di amicizia e solidarietà della visita della delegazione, che tende così a rafforzare ulteriormente i già ottimi rapporti bilaterali tra i due Paesi. Entrambi infatti annettono priorità alla materia migratoria nelle rispettive agende politiche, e condividono l'esigenza di rafforzare al riguardo le competenze dell'Unione europea, specie in ordine alla stipula di accordi di riammissione con i Paesi di origine e transito dei flussi, nonché alla definizione di una politica comune dell'asilo, su cui stenta a decollare il tanto auspicato processo di comunitarizzazione della disciplina: su quest'ultimo punto, in particolare, si registrano gli scarsi passi in avanti finora compiuti verso l'istituzione dell'Ufficio europeo per l'asilo.
  Positive risultano invece le iniziative finora assunte dai Paesi del cosiddetto Gruppo Quadro (Italia, Malta, Grecia e Cipro), che si auspica possano essere funzionali al potenziamento dell'agenzia FRONTEX, anche tenendo conto che le misure di riaccompagnamento in acque internazionali scontano inevitabili limiti circa le possibili istanze di richiedenti asilo imbarcati sui natanti intercettati.
  Sull'argomento il Ministro Borg ha tenuto a precisare che nel Mediterraneo, in realtà, è più appropriato parlare di cooperazione italo-maltese che non di azioni coordinate da FRONTEX, la cui missione di sorveglianza delle frontiere esterne è destinata a rimanere sulla carta almeno fino a quando la Libia non acconsentirà di stipulare con la medesima agenzia specifici accordi di cooperazione per il pattugliamento preventivo delle coste di pertinenza: allo stato, in effetti, le operazioni di FRONTEX non possono avere carattere di prevenzione e si limitano al soccorso delle imbarcazioni in difficoltà.
  Va inoltre considerato che la Libia tende ad accettare i rimpatri dei propri connazionali (peraltro si tratta di casi trascurabili), ma non quelli di immigrati provenienti da Paesi come Ghana e Nigeria, con Pag. 67cui non ha concluso accordi di riammissione: in questo senso occorrerebbero, secondo Borg, accordi basati su concrete iniziative di aiuto allo sviluppo verso questi Stati, che in tal modo verrebbero incentivati ad accogliere i propri rimpatriati. È inoltre opinione del Ministro degli esteri maltese che le misure di riaccompagnamento finora adottate dal Governo italiano risulterebbero meno controverse se la Libia accettasse di sottoscrivere la Convenzione di Ginevra e favorisse il rafforzamento delle prerogative degli uffici dell'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati in Libia, così mostrando più concreta attenzione al tema primario del rispetto dei diritti umani.
  Il Vice Presidente del Comitato, onorevole Strizzolo, ha ribadito l'importanza della visita della delegazione italiana in un'ottica di crescente consapevolezza politica che sta maturando nel consesso comunitario: il fenomeno della clandestinità si può arginare solo con adeguati strumenti di cooperazione con i Paesi terzi, che riducano progressivamente il divario economico tra il nord ed il sud del mondo, nonché attraverso il rigoroso rispetto dei diritti umani. Le relazioni tra Italia e Malta, nonostante qualche episodica divergenza, sono molto proficue, e sicuramente trarranno ulteriore beneficio da una politica europea di vera cooperazione con gli Stati di origine e transito dei flussi migratori.
  Anche l'onorevole D'Ippolito Vitale ha espresso una valutazione positiva sui primi effetti delle recenti intese italo-libiche in materia di pattugliamento marittimo: molto peraltro resta ancora da fare, a cominciare proprio da un maggiore coinvolgimento delle autorità libiche nelle attività di sorveglianza costiera. Le iniziative intraprese a livello comunitario dai Paesi aderenti al cd. Gruppo Quadro hanno avuto comunque effetti innovativi: ormai è matura la consapevolezza che la logica degli accordi bilaterali tra singoli Paesi resterà valida fino a quando l'Unione europea non deciderà di stipulare propri accordi con Stati terzi, ed in questo senso sarebbe auspicabile anche un ruolo più incisivo dell'Organizzazione Mondiale dell'Immigrazione (OIM).
  Rispondendo ad un quesito dell'onorevole D'Ippolito Vitale, il Ministro Borg ha precisato che gli ingenti afflussi di clandestini sull'isola non sono risultati pregiudizievoli dal punto di vista dell'ordine pubblico: piuttosto, il fenomeno ha finito con l'alimentare un certo fermento nazionalistico nell'opinione pubblica, mentre nel lungo periodo, a suo avviso, potrà scontare problemi di integrazione.
  In risposta ad alcuni ulteriori quesiti posti dal senatore Livi Bacci, Borg ha fatto presente che, attualmente, nel complesso dei centri di raccolta sono ospitati tra 5.000 e 6.000 immigrati; con riferimento all'ultimo quinquennio, sono stati effettuati circa 1.500 rimpatri, mentre si possono stimare in oltre 6.000 i clandestini che hanno lasciato l'isola per recarsi in altri Paesi dell'area Schengen. In generale, a suo avviso, la maggior parte di coloro che vengono respinti in acque internazionali sui natanti non hanno titolo a richiedere asilo politico.
  Inevitabile, dato il noto, recente episodio del cargo turco «Pinar», è risultata una domanda, posta sempre dal senatore Livi Bacci, sulle possibili soluzioni ai problemi insorti nell'applicazione degli accordi tra Italia e Malta per quanto concerne le operazioni di ricerca e soccorso nelle acque internazionali (Search and rescue, SAR). A tale Pag. 68riguardo il Ministro Borg ha minimizzato la portata delle divergenze tra i due Paesi, che a suo avviso non hanno mai messo in discussione la solidità delle relazioni bilaterali: stando a quanto riferito dal Ministro maltese, la disputa verte su questioni interpretative, che investono la titolarità del coordinamento delle attività di soccorso. Secondo le autorità maltesi, a loro spetta coordinare tali operazioni, ma l'approdo del natante soccorso deve avvenire nel porto più vicino al punto di salvataggio e non in quello del Paese preposto al coordinamento: Malta, inoltre, non concorda con l'asserzione secondo cui il porto di Lampedusa non costituirebbe approdo sicuro dal punto di vista marittimo. In ogni caso, l'oggetto del contenzioso è alla costante attenzione delle competenti autorità dei due Paesi, che stanno tuttora lavorando per superare le richiamate difficoltà interpretative.
  Dopo l'incontro con il Ministro Borg la delegazione italiana si è trasferita al Ministero per la giustizia e gli affari interni, dove ha incontrato il Segretario generale Mario Debattista, il quale ha ricordato come il fenomeno dell'immigrazione clandestina ricorra ormai dal 2002, e da allora sia in continuo aumento. Lo scorso anno il numero degli ingressi illegali è stato di circa 2.800 clandestini, dato preoccupante se rapportato alla popolazione dell'isola. Negli scorsi mesi di febbraio e marzo è stato registrato un picco delle presenze nei centri di accoglienza.
  In risposta ad un quesito del senatore Stiffoni, che ha chiesto maggiori dettagli sull'accordo di collaborazione con l'Italia in materia di sorveglianza marittima, il Segretario Generale ha affermato che esiste un continuo scambio di informazioni in tempo reale tra i Paesi, in quanto l'area che Malta si trova a dover coordinare e gestire è molto estesa (si tratta di un retaggio del periodo coloniale) e, anche per la penuria di personale, è più che mai necessaria la collaborazione con l'Italia, che viene realizzata, con sistemi di comunicazione satellitare, dalla Guardia di Finanza e dalla Guardia Costiera italiane.
  Sul punto ha preso la parola l'Ambasciatore italiano a La Valletta, Paolo Trabalza, il quale, dopo avere fornito ulteriori specifiche sui suddetti sistemi di comunicazione operativa, ha ricordato come l'accordo prescriva che il natante soccorso deve essere condotto nel porto più vicino, mentre alcuni Paesi come l'Italia a la Spagna (ma non Malta, appunto), hanno sottoscritto un emendamento alla Convenzione secondo cui il natante deve essere condotto in un porto del Paese che ha effettuato le operazioni di soccorso. Peraltro, il diplomatico ha rilevato che nel diritto del mare non esiste una nozione di safe port, precisando che, secondo le autorità italiane, la definizione di «porto sicuro» fa riferimento a possibili rischi di ordine pubblico e non ai criteri di sicurezza marittima: in ogni caso, sull'interpretazione delle norme della Convenzione è tuttora in corso un negoziato tra Italia e Malta.
  Tornando alle questioni migratorie, in risposta ad una domanda dell'onorevole Delfino, Debattista ha spiegato che gli immigrati irregolari sono trattenuti nei «centri chiusi» per il tempo necessario all'identificazione, per il cui assolvimento l'ostacolo principale è ovviamente rappresentato dal reperimento di documenti: ai fini Pag. 69dell'identificazione, risulta proficua la collaborazione con i Paesi magrebini come Algeria, Tunisia ed Egitto, mentre con altri Stati la cooperazione è piuttosto problematica.
  La permanenza massima nei centri chiusi è di 12 mesi, che possono protrarsi fino a 18 nel caso di rigetto della eventuale (ma ricorrente) richiesta di asilo. Nei centri chiusi si contano attualmente circa 1.300 presenze, che raggiungono invece il numero di 3.000 nei «centri aperti», strutture che accolgono coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto di asilo. La maggior parte delle richieste di asilo proviene da immigrati originari dell'area del Corno d'Africa, alla metà dei quali (circa 2.000 negli ultimi anni) sono stati riconosciuti il diritto di asilo o lo status di protezione umanitaria.
  Rispondendo ad un quesito formulato dal senatore Livi Bacci, il Segretario generale ha chiarito che coloro che hanno ricevuto asilo negli ultimi anni vivono nella comunità maltese (sia pure spesso in difficili condizioni di sostentamento a causa della precarietà occupazionale), ma spesso sono emigrati verso altri Paesi europei, in percentuali che non è agevole quantificare.
  Nel pomeriggio del 16 luglio la delegazione si è spostata presso la sede dell'Istituto Italiano di Cultura, dove si sono svolti incontri con il Vice Direttore del Jesuit Refugee Service e con esponenti di Medici Senza Frontiere.
  Il primo organismo fornisce assistenza agli immigrati in detenzione, ed offre un servizio di intermediazione per assistenza legale ed informazioni di base. Al termine del periodo detentivo i clandestini sono invece assistiti dalla Commissione Emigranti, altra organizzazione non governativa.
  L'Avvocato. Katrine Camilleri, Vice Direttore del Jesuit Refugee Service, sostiene che le condizioni degli immigrati nei centri che li ospitano non sono soddisfacenti sia per carenza di assistenza sanitaria e di strutture, che per mancanza di mezzi di informazione e comunicazione, nonché per l'inadeguatezza delle condizioni igieniche.
  I centri chiusi sono veri e propri centri di detenzione allestiti in aree militari o appartenenti alle Forze di Polizia, la cui gestione è affidata, nella maggior parte dei casi, a personale con pregresse esperienze in polizia, con formazione, a suo avviso, inadatta.
  La procedura per l'ottenimento dell'asilo politico consiste nella compilazione di un modulo e in un'intervista finalizzata all'approfondimento del singolo caso. Subordinatamente al diritto di asilo, può essere concesso lo status di protezione umanitaria: anche se vi è possibilità di appello da parte del richiedente che si sia visto respingere la richiesta di asilo, l'avvocato Camilleri ritiene che la legge sia, sul punto, poco trasparente, e che le sentenze di reiezione non contengano appropriate motivazioni. È evidente come l'alta percentuale dei soggetti richiedenti asilo sia dovuta alla circostanza che tale sistema – lungi peraltro da potersi considerare uno strumentale aggiramento delle disposizioni di legge – è l'unico modo per tentare di lasciare anzi tempo il centro di detenzione.
  Rispondendo ad alcuni quesiti dell'onorevole D'Ippolito Vitale, è stato fatto presente alla delegazione che il servizio di assistenza Pag. 70psicologica, di cui si avverte uno stretto bisogno viste le numerose cause di stress connesse alla condizione di immigrato, è stato recentemente sospeso per mancanza di risorse finanziarie.
  L'aspetto più problematico per quanto concerne i minori non accompagnati è legato all'accertamento dell'età anagrafica: non esiste una procedura legale per stabilire se essa sia inferiore o meno alla maggiore età. Sul piano amministrativo, la procedura prevede esami radiografici ed interviste volte ad accertare la reale età dei soggetti minori, a volte non accompagnati. Esistono comunque centri destinati a tale categoria di soggetti, ma i minori vi accedono anche dopo molti mesi di detenzione promiscua con clandestini adulti.
  Ha quindi avuto luogo il colloquio con esponenti di Medici senza frontiere, nelle persone del dottor Gabriele Santi e dottoressa Gabriella Serlazzo Natoli.
  L'assistenza medica e psicologica di Medici senza frontiere è iniziata nell'agosto 2008. Lo staff operativo è attualmente composto da due medici, una psicologa, tre sanitari ed un addetto amministrativo. All'epoca, sono state denunciate al Parlamento europeo le pessime condizioni dei centri chiusi: scarsa igiene, sovraffollamento, insufficienza di strutture, che contribuivano al peggioramento delle condizioni di salute degli immigrati, tra i quali minori, donne in stato di gravidanza e malati, reduci da traumi, guerre, perdite familiari.
  La distribuzione e somministrazione di farmaci risultava spesso tardiva, quindi inefficace, e avveniva a cura di personale militare, molto spesso non competente sul piano sanitario: numerosi sono poi stati i casi di mancato isolamento di soggetti affetti da patologie infettive come la tubercolosi e la varicella, il cui inadeguato trattamento ha favorito il diffondersi delle malattie tra gli altri ospiti.
  L'associazione, in segno di protesta verso le autorità maltesi, ha quindi deciso, lo scorso mese di marzo, di abbandonare l'isola, per poi ritornare a seguito delle rassicurazioni fornite dal Governo circa un concreto impegno a migliorare le condizioni di detenzione, che in effetti sembrerebbe avere avuto successivo riscontro. Peraltro, ancora oggi nei centri di Hal Far l'unico presidio sanitario è assicurato da Medici senza frontiere.
  La delegazione del Comitato, pur apprezzando gli elementi di informazione ricevuti, non ha potuto non riscontrare una seppur parziale contraddizione tra le gravi carenze denunciate da Medici senza frontiere e le rassicuranti e responsabili dichiarazioni rese dal Ministro Borg, pur consapevole della complessità del problema.
  La mattina del 17 luglio la delegazione ha potuto visitare, peraltro senza alcuna restrizione neanche nei confronti della stampa al seguito, i centri per immigrati di Hal Far. Nel pomeriggio ha poi brevemente vistato il centro aperto di Marsa.
  Il centro chiuso di Hal Far si trova all'interno di una caserma militare in una zona isolata rispetto al centro abitato. Ospita attualmente circa 300 immigrati, nella maggior parte dei casi di nazionalità somala, tutti di sesso maschile. La capienza massima è di 1.500 persone, distribuite in containers progettati per contenerne 16 ciascuno; insufficienti sembrano i servizi igienici, e precarie sono le sistemazioni con materassi posati per terra senza biancheria. Da Pag. 71segnalare che la Protezione civile italiana ha fornito il laminato che dovrà sostituire le reti che delimitano le pareti dei dormitori.
  Nonostante i notevoli sforzi economici del Governo maltese (10 milioni di euro ogni anno vengono investiti nel settore dell'immigrazione), non molto più confortevoli si preannunciano le condizioni di vita degli immigrati all'interno del nuovo centro chiuso di Hal Far, in corso di ristrutturazione al momento della visita della delegazione, dove saranno allestite camerate di 16 metri quadrati che ospiteranno ciascuna venti posti letto «a castello»: rispetto ai prefabbricati in alluminio (in cui d'estate si toccano temperature torride), si tratta comunque di una struttura in muratura.
  Secondo quanto emerso nei colloqui con i responsabili del centro allo stato in funzione, al momento dell'arrivo gli immigrati vengono sottoposti a visita medica e a radiografie presso strutture ospedaliere: successivamente viene effettuato un accertamento più approfondito ed adeguato ai singoli casi. Per le donne sono previste visite specialistiche. La refezione è divisa in tre pasti giornalieri ed è a base di cucina europea, che non tiene conto di eventuali diverse tradizioni alimentari degli ospiti. Lo stato di rifugiato viene riconosciuto in circa il 4 per cento delle richieste. Il centro aperto di Hal Far ospita attualmente 500 immigrati, distribuiti in 45 tende che ne contengono 20. Poiché si tratta di immigrati ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato o altra forma di protezione umanitaria, essi hanno libertà di uscire dal centro per cercare lavoro, nonostante le difficoltà di trovarne, se non a tempo determinato.
  Nei locali adibiti agli uffici amministrativi gli ospiti hanno l'obbligo di registrare la loro presenza e, coloro che non hanno un'occupazione, percepiscono un sussidio pari a circa 100 euro per il loro sostentamento. Il numero di immigrati attualmente presente nei 10 centri aperti è complessivamente pari a 2.400. Gli standard abitativi del centro visitato dalla delegazione sono quelli di una vera tendopoli, con temperature altissime e odori nauseabondi sia dentro che fuori le singole tende.
  Il centro aperto di Marsa si presenta diverso da quelli di Hal Far, in quanto risulta inserito nel tessuto urbano, sia pure in un contesto parzialmente degradato: la struttura è ricavata nello stabile di una ex scuola ed è operativa da un anno. Ospita, attualmente, circa 300 immigrati provenienti in maggioranza dal Sudan. Viene gestito da una cooperativa che organizza attività per impiegare gli ospiti, come corsi di lingua e di pittura, e gestisce rivendite di beni di prima necessità.
  Rispetto alla gestione esclusivamente statale dei centri di Hal Far, nel caso di Marsa è subito emersa la differente organizzazione che fa capo ad una cooperazione tra pubblici poteri e soggetti privati: essa sembrerebbe improntata al tentativo di intraprendere processi di integrazione degli immigrati, ma alto sembra anche il rischio di ghettizzazione della comunità ospitata.
  L'ultimo incontro istituzionale della delegazione ha avuto luogo il giorno 17 luglio nel Palazzo presidenziale con lo speaker del Parlamento maltese, onorevole Louis Galea, che, dopo avere evidenziato l'importanza delle missioni finora svolte dal Comitato Schengen, ha ricordato i tradizionali rapporti di amicizia e solidarietà che intercorrono Pag. 72tra Italia e Malta sin dagli anni ’60, allorché l'Italia avviò un programma di aiuti finanziari che sarebbero poi risultati determinanti per la crescita dell'isola, fino all'ingresso della stessa nell'Unione europea, per il cui conseguimento ancora una volta è stato decisivo il ruolo svolto dall'Italia.
  La visita della delegazione parlamentare italiana rappresenta una rilevante occasione per approfondire la conoscenza di una realtà che, per civiltà, storia e cultura, è molto vicina all'Italia: entrambi i Paesi si affacciano sul Mediterraneo, e questo rappresenta un tratto distintivo delle rispettive identità nazionali, che a suo avviso meriterebbe maggiore considerazione.
  Anche il Presidente Boniver, nel rimarcare l'ottimo livello delle relazioni tra i due Paesi, ha richiamato le missioni già compiute dal Comitato Schengen in Spagna ed in Grecia: con la visita a Malta, e con quella che in autunno avrà luogo a Cipro, si consolida un processo di conoscenza di realtà che presentano molte similitudini sul fronte della lotta all'immigrazione clandestina, specie di quella proveniente dall'Africa sub-sahariana. Questi Paesi hanno dovuto fronteggiare, nell'ultimo biennio, flussi migratori praticamente raddoppiati rispetto ad un pur recente passato, e se da poco nel Mediterraneo gli sbarchi si sono drasticamente ridotti, fin quasi a scomparire negli ultimi due mesi, questo risultato è interamente ascrivibile alle recenti intese stipulate con la Libia ed alle conseguenti operazioni di respingimento in acque internazionali.
  Anche a seguito degli incontri avuti con le autorità del Governo maltese, la delegazione ha ormai maturato il fermo convincimento che in Europa serve maggiore coesione politica e più coraggio nel collocare l'immigrazione tra le priorità assolute della sua agenda politica, e quindi anche degli sforzi finanziari da compiere: poiché il fenomeno ha infatti origini socio-economiche, ridurne la portata e gli effetti è possibile solo attraverso l'attivazione di più incisivi strumenti di cooperazione, e di politiche che perseguano un attento contemperamento tra il doveroso rispetto dei diritti umani e l'incomprimibile esigenza di tutela dell'integrità territoriale degli Stati più esposti ad ingenti flussi migratori.
  In questo senso giudica molto positivamente i risultati che, a livello comunitario, stanno sortendo le lodevoli iniziative politiche intraprese dai Paesi del cd. Gruppo Quadro, che contribuiranno a consolidare un approccio europeo più coeso ed unitario alle problematiche migratorie: l'Europa deve superare la contraddittoria proibizione sia di rimpatri che di sanatorie di massa, anche perché sul proprio suolo si contano circa 9 milioni di clandestini.
  Il Presidente Boniver ha infine espresso il pieno sostegno italiano alla candidatura di Malta ad ospitare la sede dell'Ufficio europeo per l'asilo, di auspicabile prossima istituzione.
  Il Vice Presidente Strizzolo ha richiamato l'esigenza che l'Europa istituisca una sorta di task force umanitaria che supporti i Paesi del Mediterraneo in quanto più esposti a massicci arrivi di clandestini: inoltre, verso i Paesi di origine e transito dei flussi migratori devono essere messi in campo seri programmi di aiuto allo sviluppo, per contenere esodi che altrimenti assumeranno col tempo dimensioni inimmaginabili. Pag. 73
  La visita della delegazione nell'isola rafforza le già eccellenti relazioni che, nonostante alcune recenti incomprensioni, intercorrono da decenni tra i due Paesi, e, come detto dal Presidente Boniver, l'Italia sostiene la candidatura maltese ad ospitare l'Ufficio europeo per l'asilo.
  Lo speaker Galea ha voluto sottolineare che, anche nei Paesi con estrema vocazione all'accoglienza, l'enorme afflusso di clandestini può diventare un fattore di destabilizzazione degli equilibri politici interni, favorendo il formarsi di posizioni estremistiche.
  Il fenomeno migratorio va gestito nel suo complesso e, al di là degli ottimi risultati conseguiti nel breve periodo dallo storico, ma oneroso, accordo italo-libico (di cui sta grandemente beneficiando anche Malta), la via maestra non può che essere rappresentata, a suo avviso, da una superiore strategia di partnership con il continente africano, dal quale altrimenti presto partiranno esodi di massa verso l'Europa: di questa strategia non può non far parte anche un calibrato programma di regolarizzazione delle quote di immigrati rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di destinazione.
  Il senatore Stiffoni, intervenendo su quest'ultima considerazione dell'onorevole Galea, ha invocato con forza l'assoluto rispetto dell'accordo da parte delle autorità libiche che, anche visti i cospicui investimenti finanziari assicurati dall'Italia, non possono tenere costantemente «sotto scacco» gli interessi dell'altro contraente.
  Ha quindi preso la parola l'onorevole Delfino, che, nel dichiararsi d'accordo con quanto espresso dal Presidente Boniver, ha inteso sottolineare come questi incontri bilaterali, oltre a rafforzare le già ottime relazioni tra i due Stati, consentano di cogliere un aspetto ulteriore, finora poco evidenziato: l'immigrazione rappresenta infatti un'imperdibile occasione per delineare il potenziamento delle strategie di sviluppo dell'area del Mediterraneo, anche nei consessi politici internazionali che fanno capo al G8 ed al G14.
  Le visite compiute nei centri di Hal Far hanno fatto emergere una dura realtà, con standard di vita certamente da migliorare anche stanziando a livello europeo maggiori risorse economiche; al contempo, non può non esprimersi apprezzamento per la totale apertura che le autorità maltesi hanno voluto accordare nei sopralluoghi alla delegazione italiana ed alla stampa al seguito, che ha potuto svolgere un prezioso lavoro di documentazione senza alcuna restrizione: nelle precedenti missioni del Comitato questo non sempre è avvenuto, ed è il segno che il Governo maltese, proprio perché profonde notevoli sforzi finanziari ed organizzativi nel settore dell'immigrazione, non intende nascondere all'Europa le precarie condizioni degli ospiti dei centri di detenzione e di accoglienza.
  L'onorevole D'Ippolito Vitale ha dichiarato di condividere il richiamo all'identità mediterranea che accomuna i Paesi del cd. Gruppo Quadro, le cui istanze devono essere fortemente veicolate nelle sedi decisionali di un'Europa che troppo spesso guarda più al nord che al sud del mondo.
  Consapevole del carattere globale dell'immigrazione e delle sue cause prevalentemente socio-economiche, l'Italia auspica un rigoroso ma spedito cammino verso la definizione di politiche sempre più Pag. 74integrate dell'Unione europea in materia migratoria, ed è senz'altro positiva l'attenzione mostrata verso l'Africa nel recente vertice del G8 tenutosi a L'Aquila.
  È infine intervenuto il senatore Livi Bacci, che ha espresso un giudizio molto critico sulle politiche europee dell'immigrazione: a suo avviso, l'UE non ha ancora sviluppato una politica comune in materia, e anzi si può piuttosto sostenere che in realtà vigono 27 politiche migratorie diverse, tante quanti i Paesi membri. Se esiste una politica migratoria dei Ministri degli interni e dei capi delle polizie dei singoli Stati, non si intravede all'orizzonte il delinearsi di una politica globale che, per esempio, regolamenti compiutamente gli accessi legali nel mercato del lavoro da parte degli immigrati.
  Oltre a mancare una vera volontà politica, è sua opinione che, al momento, difettino anche adeguati programmi di finanziamento di aiuti allo sviluppo verso i Paesi di origine dei flussi migratori: anche l'Italia, assieme ad altri Stati occidentali, deve pertanto compiere maggiori sforzi economici e fare passi più coraggiosi verso un global approach che oggi si presenta come obiettivo di non facile raggiungimento.

Relazione sulla missione svolta in Svizzera
(1o ottobre 2009)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 1o ottobre 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione in Svizzera.
  Giunta a Lugano, la delegazione del Comitato ha incontrato il parlamentare del Canton Ticino Fulvio Pelli, il quale ha inteso preliminarmente sottolineare che l'associazione della Svizzera agli accordi di Schengen risale a circa un anno fa, ma che deve ancora trovare completa applicazione per quanto riguarda l'esercizio dei controlli ai varchi di confine terrestri: qui sono venuti meno i controlli di polizia, ma restano ancora quelli di natura doganale, che peraltro non risultano appesantire più di tanto le procedure di ingresso nella Confederazione. Risultano anzi semplificati i procedimenti di rilascio dei visti per motivi di turismo.
  Il beneficio più evidente ed innovativo scaturito per la Svizzera dall'associazione alla cd. area Schengen consiste nell'integrazione della polizia elvetica nei sistemi europei di controllo dei dati che compongono il Sistema Informativo Schengen (cd. SIS), che consente l'accesso ad un ampio spettro di elementi e dati conoscitivi: l'implementazione dei compiti di prevenzione permette quindi alle autorità di polizia di razionalizzare l'impegno ai confini del Paese e di concentrare maggiori sforzi operativi dentro il territorio federale.
  Rispondendo ad alcuni quesiti, l'onorevole Pelli ha precisato che l'ingresso elvetico in area Schengen non ha prodotto, al momento, un deterioramento delle condizioni di sicurezza per la popolazione, né innescato situazioni di tensione sociale, pur rivoluzionando le modalità Pag. 75di spostamento e stabilimento delle persone. Non si registra, in particolare, un incremento della cd. immigrazione passiva, neppure dai Paesi dell'Europa orientale: è piuttosto aumentato il flusso di tedeschi, molto attivi nel mercato del lavoro e dell'imprenditoria, specie nel circuito alberghiero e della ristorazione, ma anche nei settori ospedaliero ed universitario. Ciò forse si spiega anche con l'elevato costo della vita in Svizzera, che oltre tutto scoraggia la permanenza nei confronti di chi non dimostra un'adeguata capacità di sostentamento economico.
  Anche la delegazione italiana, dopo avere ricordato il senso e l'importanza delle precedenti missioni effettuate recentemente dal Comitato nei Paesi del cd. Gruppo Quadro nell'attuale fase del dibattito politico sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, ha espresso apprezzamento per la decisione della Svizzera di associarsi agli accordi di Schengen, così allargando gli spazi di libertà di cui godono i cittadini europei: la visita, ispirata da sentimenti di storica amicizia che da sempre connotano i rapporti tra i due Paesi, intende sottolineare la positiva svolta voluta dalla Svizzera nella direzione della sempre maggiore integrazione europea.
  Al termine dell'incontro con l'onorevole Pelli la delegazione si è trasferita a Bellinzona, dove è stata accolta nel Palazzo Governativo dal Presidente del Gran Consiglio del Ticino, Riccardo Calastri, che ha introdotto le relazioni del Colonnello Romano Piazzini, comandante della polizia cantonale, e del Colonnello Mauro Antonini, comandante delle Guardie di confine.
  Il Colonnello Piazzini ha innanzitutto espresso gratitudine per l'eccellente cooperazione in essere con le autorità italiane di polizia, e per le importanti funzioni «di filtro» da esse svolte al di là confine ticinese nelle quotidiane attività di prevenzione.
  Con l'adesione all'area Schengen si sta progressivamente implementando la cooperazione con le altre polizie europee, dovuta all'integrazione nel SIS, che sta sortendo effetti positivi: allo stato, infatti, non sembrerebbe in aumento la criminalità di importazione (anche grazie al forte controllo sociale esercitato dai cittadini, il 60 per cento dei quali è naturalizzato o figlio di stranieri nato in Svizzera), pur se si intravedono all'orizzonte alcuni fenomeni, nuovi per il Paese, come l'accattonaggio e la mendicità di strada. Si tratta comunque di un processo ancora in fieri, come dimostra l'elevato numero di accordi che la Confederazione tuttora sta ancora stipulando, anche con l'Italia.
  È quindi intervenuto il Colonnello Antonini, il quale ha illustrato i compiti cui è preposto il Corpo delle Guardie di Confine, operante (a differenza dei corpi di polizia cantonali, che sono diversi per ciascuno dei 26 Cantoni) in ambito federale in materia doganale, migratoria e di sicurezza federale.
  L'ottimale livello di cooperazione con le altre polizie, specie quella italiana, ha consentito di superare alcune difficoltà operative incontrate nella fase di prima applicazione dell'associazione all'area Schengen: da ricordare, in particolare, il nuovo centro, istituito a Chiasso, competente in materia migratoria, che vede una fattiva sinergia tra le polizie dei due Paesi. Pag. 76
  Rispondendo ad un quesito del Presidente Boniver, il Colonnello Antonini ha precisato che l'apertura delle frontiere non ha fatto registrare, al momento, massicci arrivi in Svizzera di cittadini provenienti dell'Est Europa (specie Bulgaria e Romania), in quanto il loro status non è ancora del tutto equiparato a quello degli altri europei già ammessi alla libera circolazione: questa sorta di moratoria scadrà nel 2010.
  In risposta ad alcune domande poste dal senatore Stiffoni, ha preso la parola Giampiero Gianella, Cancelliere dello Stato del Canton Ticino, il quale ha ricordato che l'adesione elvetica allo spazio Schengen non è stata uniformemente approvata nei referendum tenutisi nei singoli Cantoni: in particolare, nel Ticino e in quelli più meridionali ha prevalso un voto contrario all'associazione, probabilmente per motivi economici (di cui peraltro non sfugge il significato politico).
  Anche negli altri Cantoni, e non solo nel Ticino, è invece rimasto sostanzialmente invariato il tasso di criminalità, grazie alla prossimità della polizia al cittadino, all'efficacia dell'impiego del SIS ed alla rapida capacità di riconversione, metodologica ed operativa, mostrata dalle autorità di polizia all'indomani dell'ingresso della Svizzera nello spazio Schengen. 
  Rispondendo ad un quesito dell'onorevole Delfino, il Colonnello Piazzini ha ammesso che, nonostante i positivi riscontri finora avutisi in termini di impatto sull'ordine pubblico, è comunque necessario un maggior coordinamento intercantonale tra le diverse polizie, indispensabile per una piena cognizione di fenomeni criminali organizzati e complessi. Non è una strategia di facile attuazione, in quanto la Svizzera è un coacervo di lingue e culture diverse, ma serve un salto di qualità che vada al di là delle periodiche riunioni di coordinamento tra i comandanti delle polizie dei 26 Cantoni.
  Anche il Colonnello Antonini ha ribadito l'esigenza di un miglior coordinamento, anche a livello transfrontaliero, tra i diversi corpi di polizia: più che pattuglie miste composte da agenti di diversi Paesi, sarebbero auspicabili veri e propri team investigativi congiunti.
  Nelle ore pomeridiane la delegazione ha incontrato il Consigliere di Stato e membro del Governo del Cantone Luigi Pedrazzini, direttore del dipartimento delle Istituzioni; l'Incaricato cantonale della protezione dei dati Michele Alberini; il Coordinatore dipartimentale per le problematiche Schengen Francesco Catenazzi; il Capo della Sezione dei permessi e dell'immigrazione Attilio Cometta; il Direttore della Divisione dell'Azione sociale e delle famiglie Martino Rossi.
  Quest'ultimo ha illustrato le politiche dell'asilo, che in Svizzera possono considerarsi improntate ad un federalismo di esecuzione: la Confederazione è infatti competente a legiferare e a stipulare accordi internazionali in materia, assicurando la prima accoglienza dei richiedenti asilo, le cui procedure avvengono in appositi Centri di registrazione e durano mediamente un mese, dopo il quale si decide l'esito della domanda.
  Spetta sempre al Governo federale distribuire i richiedenti asilo tra i 26 Cantoni ai fini della sistemazione alloggiativa e per la necessaria assistenza durante il seguito della procedura: dietro parziale rimborso dalla Confederazione, infatti, i singoli Cantoni ne Pag. 77curano l'assistenza materiale, l'accompagnamento ed il controllo amministrativo e di polizia. Laddove la domanda di asilo sia accolta, anche solo provvisoriamente, il Cantone promuove l'integrazione sociale e professionale dell'interessato.
  Nella disciplina elvetica il candidato può essere ammesso in via provvisoria all'asilo per una durata inferiore o superiore ai 7 anni: in questo lasso di tempo è ospitato in centri collettivi gestiti dalla Croce Rossa svizzera per i primi due/tre mesi, quindi in appartamento con servizio di accompagnamento assicurato da un servizio sociale privato.
  È interessante notare come, nei primi tre mesi, la Croce Rossa svizzera si fa carico della soluzione abitativa del candidato all'asilo, erogandogli altresì cure sanitarie, introducendolo alla conoscenza della lingua e della cultura del Paese, avviando la scolarizzazione dei bambini: inoltre, mentre il richiedente può essere avviato allo svolgimento di lavori pubblica utilità, gli è preclusa ogni attività professionale, che tuttavia, dopo il primo trimestre, può comunque essere autorizzata a condizione che l'opzione lavorativa non sia sottratta ad altri cittadini in cerca di occupazione.
  Una volta ammesso provvisoriamente, il candidato all'asilo ha diritto ad alloggiare in appartamento, all'accompagnamento sociale, a cure sanitarie pagate se non ha i necessari mezzi di sostentamento; beneficia inoltre di programmi di facilitazione dell'integrazione sociale e professionale, e può esercitare attività lucrative dietro autorizzazioni analoghe a quelle riconosciute ai lavoratori comunitari.
  Ancora migliore è parso il regime di trattamento dei «rifugiati riconosciuti», ovvero dei richiedenti ammessi all'asilo a titolo definitivo: in questo caso l'interessato avrà un permesso di dimora fino al quinto anno dall'ingresso in territorio elvetico, che si trasforma in permesso di domicilio dopo tale termine. Il rifugiato, alla bisogna, può sempre contare sull'assistenza sociale per l'erogazione di un sussidio minimo vitale analogo a quello corrisposto ai cittadini svizzeri e agli stranieri dimoranti o domiciliati, e fino all'ottenimento del domicilio gode anche dell'accompagnamento sociale.
  In pratica, una volta acquisito il permesso di domicilio, il rifugiato è equiparato ai cittadini elvetici ed agli stranieri regolarmente residenti, sia per quanto concerne il diritto al lavoro, sia per l'assistenza materiale.
  Quando invece il richiedente asilo non presenta i requisiti necessari all'accoglimento della domanda, si aprono due strade: o viene respinto con la prescrizione di un termine di partenza dal territorio nazionale, oppure è direttamente escluso dalla procedura ordinaria in quanto questa non entra neppure nel merito dell'istruttoria.
  Nel primo caso lo Stato dispone un aiuto al rientro, ma se questo non è attuabile (o a causa di situazioni sfavorevoli nel Paese di origine, o per mancanza di un accordo di riammissione) e, soprattutto, se il candidato presenta caratteristiche di vulnerabilità (minore non accompagnato, malato, invalido, anziano, ecc.), allora scatta il già visto programma di accoglienza: la Croce Rossa lo ospita in un centro collettivo erogandogli una assistenza minima, ma stimolandolo, al contempo, a collaborare ai fini del successivo rimpatrio. Da evidenziare che il ricorso alla detenzione amministrativa, senza altra misura Pag. 78di sostegno, è contemplato nei soli casi in cui il soggetto non presenta condizioni di vulnerabilità e non coopera all'espletamento delle procedure di rimpatrio.
  Quando invece il richiedente non è neanche ammesso alla procedura di esame ordinario della domanda, l'istruttoria non entra nel merito ed il soggetto viene subito avviato al rientro con trattamento analogo a quello già descritto per i «respinti con termine di partenza».
  Al termine dell'illustrazione, il dottor Rossi ha fornito alcuni dati statistici relativi alle procedure di asilo nel Canton Ticino: nel gennaio 2009 si è toccata la punta massima delle domande: 1500, di cui 730 tuttora in procedura, 680 ammesse provvisoriamente, e 90 respinte con termine di partenza. In particolare, 170 candidati sono stati ospitati in centri collettivi della Croce Rossa, 180 in pensioni a causa della saturazione di tali centri, e ben 1150 in appartamenti.
  Nello scorso mese di agosto il numero complessivo di domande di asilo ammontava a 1390; di queste una ventina sono classificabili come «casi Dublino», ovvero di soggetti che avevano avanzato una prima istanza di asilo in altri Paesi dell'area Schengen, per poi trasferirsi in Svizzera e rivendicare il medesimo diritto in territorio elvetico: in questi casi troverà applicazione il Trattato di Dublino, che impone che la domanda di asilo sia esaminata – ed eventualmente accolta – dal Paese in cui per primo sia stata presentata e richiede pertanto che il richiedente sia fatto rientrare dalla Svizzera nel Paese di inoltro della prima istanza.
  In conclusione, la relazione ha evidenziato come una virtuosa gestione delle politiche di asilo si scontra comunque, anche in Svizzera, con i problemi di sempre, già riscontrati in altri Paesi: la scarsa vocazione delle autorità locali all'accoglienza, il coinvolgimento degli asilanti respinti in episodi di microcriminalità, la difficoltà a reperire e mantenere strutture di accoglienza ricettive a costi sostenibili, e soprattutto le note criticità nel rendere effettivo il rimpatrio di coloro che sono respinti, sia per la mancanza dei necessari documenti sia, spesso, per l'assenza o l'inadeguatezza degli accordi di riammissione con i Paesi di origine dei candidati all'asilo.
  La delegazione del Comitato ha espresso compiacimento sia per la collaborazione con le autorità italiane, sia per il livello di controllo sociale che la Svizzera sembra avere nella conduzione delle politiche di asilo: in Italia, invece, ancora si registrano in materia alcune criticità, nonostante l'incremento del numero delle Commissioni ministeriali deputate all'esame delle richieste ed il contestuale, drastico calo di afflussi di clandestini sulle coste italiane, dovuto all'entrata in vigore del recente accordo italo-libico, che ha reso possibili, da maggio scorso, attività di pattugliamento costiero congiunto ed azioni di riaccompagnamento dei natanti nei porti di partenza.
  Non ci si può comunque nascondere che il rimpatrio effettivo di chi non ha titolo a permanere nel territorio nazionale è oltremodo difficoltoso allorché difettino, o risultino inadeguati o inattuati, i necessari accordi di riammissione con i Paesi di provenienza e transito, nonostante nella normativa italiana – conformemente al Pag. 79dettato comunitario – il termine di detenzione dei clandestini nei Centri per l'identificazione e l'espulsione (CIE) sia stato da poco innalzato a 180 giorni.
  Il Consigliere Pedrazzini ha osservato che, malgrado la positiva impressione ricevuta dalla delegazione italiana, anche in Svizzera sussistono problemi sociali e di ordine pubblico connessi alla gestione dei richiedenti asilo: le popolazioni locali sono spesso allarmate dal loro vagabondare in strada in attesa dell'esame delle domande, e a Lugano si può parlare di agglomerati frequentati da stranieri dediti, per lo più, ad attività illecite come lo spaccio di sostanze stupefacenti, al punto che le autorità stanno valutando se ricorrere, in caso di necessità, a misure di fermo amministrativo.
  Ciò anche perché la massa di richiedenti asilo è in realtà costituita da un coacervo di categorie diverse: si va da veri e propri accessi di clandestini in territorio svizzero, al transito frontaliero dall'Italia, fino alla fattispecie, non residuale, del soggetto che si dichiara perseguitato pur essendo in possesso di regolare passaporto.
  La visita della delegazione si è conclusa con un incontro con il Sindaco di Lugano, Giorgio Giudici, nella sede del Palazzo municipale, alla presenza del Capo della polizia di Lugano, Avvocato Roberto Torrente. Il Sindaco ha sottolineato le storiche relazioni tra l'Italia ed il Ticino, auspicando che l'apertura svizzera allo spazio Schengen possa essere fattiva e serena.
  Il Presidente del Comitato, nel ringraziare il Sindaco per l'accoglienza ricevuta, si è soffermata sugli esiti degli incontri tecnici che la delegazione ha avuto a Bellinzona, dai quali è sostanzialmente emerso che l'associazione elvetica all'area Schengen ha prodotto, al momento, solo effetti positivi, senza ricadute di criminalità o particolari tensioni sociali: la visita è risultata pertanto significativa e politicamente intensa e pregna di contenuti.
  Il fenomeno migratorio può essere adeguatamente governato solo con un approccio europeo comune, con la consapevolezza che esso incide sui livelli demografici, gli equilibri economici e gli assetti democratici del Vecchio Continente, che solo ora inizia a misurarsi con l'immigrazione di seconda e terza generazione. L'Italia, storico Paese di emigrazione, coglie le motivazioni socio-economiche che stanno alle origini dei grandi flussi migratori provenienti dal sud del mondo: proprio per questo, non può rinunciare a politiche che, senza disdegnare l'accoglienza dell'immigrazione onesta ed operosa, sappiano anche contrastare le storture ed i risvolti illeciti del fenomeno, a salvaguardia dei valori democratici in cui il nostro Paese si radica.
  Rispondendo ad un quesito dell'onorevole Delfino, ha infine preso la parola l'Avvocato Torrente, Capo della polizia di Lugano, a giudizio del quale l'apertura della Svizzera allo spazio Schengen risponde alle esigenze di una mobilità europea sempre più integrata e globalizzata. La Confederazione cerca un'apertura sostenibile, anche rimodulando il proprio assetto normativo, ma appare oggi irrinunciabile un allineamento del Paese ai sistemi di controllo e di rilascio dei visti tipici dell'area Schengen, di cui la polizia elvetica sta apprezzando la capacità di coordinamento ed integrazione: fare parte di questo sistema – pensa innanzitutto all'accesso alle banche dati Schengen – è ormai indispensabile per la stessa sicurezza della Svizzera. Pag. 80
  Accanto agli indubbi risvolti positivi finora riscontrati, non si può tacere che l'adesione agli accordi di Schengen ha portato con sé anche alcuni fenomeni deteriori sottesi alla liberalizzazione delle frontiere: si sono per esempio registrati, con grande sorpresa per gli svizzeri ticinesi, i primi episodi di accattonaggio e di mendicità su strada. Si tratta comunque di una sfida complessivamente stimolante, da raccogliere insieme ai partner europei, che richiederà nel tempo un progressivo adeguamento degli ordinamenti giuridici anche dei singoli Cantoni, che il Ticino ha già avviato modificando le prime ordinanze comunali.

Relazione sulla missione svolta a Cipro
(12-13 novembre 2009)

  Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 12 e venerdì 13 novembre 2009 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Cipro.
  Il primo giorno, giunta a Larnaca, la delegazione del Comitato si è trasferita al Centro di permanenza per immigrati sito nella località di Kofinou, lungo la strada che conduce a Nicosia. Si tratta di una struttura adibita all'accoglienza di soli richiedenti asilo, dal momento che nell'isola non esistono centri di identificazione ed espulsione: coloro che non hanno titolo a rimanere in territorio cipriota sono infatti trattenuti in regime carcerario.
  Il Centro di Kofinou, che ha una capienza massima di 120 posti, al momento della visita della delegazione contava solo 20 ospiti presenti, in attesa dell'esame delle rispettive domande di asilo: nelle more, le autorità cipriote non esercitano controlli stringenti sui richiedenti, che sono infatti liberi di circolare e di cercare lavoro, che trovano soprattutto nei settori dell'agricoltura, della ristorazione e della manovalanza.
  L'esame delle domande, a cura del Ministero dell'interno, dura da 1 a 6 mesi, durante i quali gli ospiti hanno diritto al vitto e ad un sussidio di 85 euro mensili. Il sussidio sale a 250 euro per i rifugiati che non sono accolti nel Centro e quindi provvedono autonomamente alla soluzione alloggiativa: in entrambi i casi, peraltro, il sussidio è sospeso laddove il titolare trovi un'occupazione regolarmente retribuita, ma alto è comunque il rischio dello sfruttamento del lavoratore «al nero».
  Rispondendo ad alcune domande poste dai parlamentari della delegazione, i responsabili del Centro hanno chiarito che esso non è presidiato dalle forze dell'ordine in quanto gli ospiti sono liberi di entrare ed uscire: certo, non sono mancati momenti di tensione tra esponenti di diverse etnie o nazionalità, ed in questi casi l'Ufficio per la prevenzione sociale del Ministero, che gestisce il Centro, si rivolge alla vicina caserma della polizia. È anche possibile disporre in questi casi l'allontanamento dalla struttura di soggetti particolarmente esagitati, ma non è prevista l'espulsione dal Paese: il rischio è che Pag. 81comunque l'immigrato attraversi la «linea verde» ed entri nel territorio dell'autoproclamata repubblica turco-cipriota del Nord, che è fuori dal controllo dei greco-ciprioti e risulta pertanto permeabile a flussi di entrata ed uscita di clandestini.
  Successivamente, la delegazione si è trasferita a Nicosia, dove ha incontrato presso il Parlamento alcuni membri della Commissione Affari interni, guidata dal Presidente Ioannis Larnaris, che ha inteso sottolineare la comunanza delle problematiche migratorie per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e soprattutto per quelli aderenti al cd. Gruppo Quadro, di cui ha lodato le iniziative diplomatiche: poiché la cooperazione in questa materia è molto importante, ha auspicato un allargamento dello stesso Gruppo Quadro al fine di sensibilizzare sempre di più l'Unione europea nelle attività di prevenzione e contrasto alla clandestinità.
  Il Presidente della delegazione italiana, onorevole Margherita Boniver, nel ringraziare per l'accoglienza ricevuta, ha ricordato il senso delle precedenti missioni che il Comitato Schengen ha svolto nel corso del 2009 proprio nei Paesi del cd. Gruppo Quadro, con i quali è forte l'interesse a rinsaldare un legame politico sui temi dell'immigrazione e dell'asilo, e con la consapevolezza che l'Italia è stata essa stessa Paese di origine di emigrazione per motivi economici ed oggi conta circa 5 milioni di immigrati regolari e 700 mila clandestini.
  Nel consesso comunitario gli obiettivi prioritari da perseguire sono il rafforzamento dell'agenzia FRONTEX, la definizione di una politica comune dell'asilo, nonché adeguate strategie per il resettlement dei rifugiati e iniziative di cooperazione per incentivare i rimpatri volontari. In particolare sull'asilo ritiene necessario superare quella clausola del Trattato di Dublino che impone all'interessato di formulare la domanda di asilo nel territorio del Paese di arrivo, ed auspica la tempestiva attivazione dell'Ufficio europeo per l'asilo, che tra l'altro Cipro si candida ad ospitare.
  Il Governo italiano è riuscito, grazie alla stipula dell'accordo italo-libico a Bengasi, ad ottenere in pochi mesi un drastico calo, di oltre il 90 per cento, nell'afflusso di clandestini che via mare giungevano sulle coste di Lampedusa: resta tuttavia il problema generale di una pressione migratoria verso l'Europa che proviene dal sud del mondo, con molteplici implicazioni umane, politiche, socio-economiche e di sicurezza.
  Il Presidente Larnaris, nel ricordare la collocazione geografica di Cipro nel Mediterraneo, si è quindi soffermato sulla specificità della situazione politica dell'isola, divisa in due dalla cd. linea verde che per 180 chilometri separa la repubblica greco-cipriota dal territorio del Nord, occupato dal 1974 dai turco-ciprioti: si tratta del 37 per cento del territorio insulare, completamente fuori controllo della Repubblica e da cui proviene il 90 per cento dell'immigrazione clandestina di origine asiatica. Gli irregolari partono in realtà dalla Turchia, che non coopera all'attuazione degli accordi di riammissione in quanto non vi è riconoscimento reciproco delle due entità politiche: resta infatti problematico un reale controllo da parte di FRONTEX, perché la linea verde non è una vera frontiera e non è possibile incentivare rimpatri volontari.Pag. 82
  A Cipro insistono al momento circa 100.000 stranieri, di cui un quarto clandestini: a fronte delle scarse risorse economiche, giungono moltissime richieste di asilo (allo stato, ne sono pendenti circa 1.500). Occorrerebbe quindi un sostanziale supporto dell'Unione europea, e certamente a ciò gioverebbe ospitare l'Ufficio europeo per l'asilo.
  L'onorevole Ivano Strizzolo ha espresso l'auspicio che Cipro possa risolvere al più presto l'annosa questione del territorio occupato, con l'aiuto dell'Europa e dell'Italia. Lo scopo della missione del Comitato Schengen è proprio quello di consolidare le relazioni diplomatiche tra gli Stati più esposti ai flussi migratori affinché l'Unione europea, pur nella ordinaria dialettica politica di ogni Paese membro, si faccia maggiormente carico della gestione dei molteplici risvolti dell'immigrazione. Rispondendo ad alcuni quesiti posti dal senatore Piergiorgio Stiffoni, il Presidente Larnaris ha ricordato l'enorme afflusso di richieste di asilo che negli anni passati giungeva da immigrati provenienti da Paesi dell'ex Unione Sovietica: oggi le domande, pur diminuite, sono comunque ancora tante per un'isola, che ha più che mai bisogno di attingere a maggiori fondi europei per cercare di organizzare ulteriori punti di accoglienza e fronteggiare l'esborso corrispondente all'erogazione dei sussidi.
  Negli ultimi anni è certamente aumentata l'incidenza della criminalità, specie di quella giovanile nelle scuole ed anche ad opera di stranieri. Sullo sfondo c’è sempre la questione turca, che finora non ha trovato soluzioni soddisfacenti: Cipro si augura di non dover ricorrere all'esercizio del diritto di veto per quanto concerne l'ingresso della Turchia nell'Unione europea, e confida piuttosto in più incisive iniziative diplomatiche dei 27 membri che già ne fanno parte.
  Venerdì 13 novembre la delegazione si è recata al Ministero dell'interno, dove ha incontrato il Ministro cipriota Neoklis Sylikiotis: questi ha espresso apprezzamento per i rapporti bilaterali tra i due Paesi, nonché per le valide iniziative diplomatiche da essi assunte nell'ambito del cd. Gruppo Quadro, al quale va ascritto il merito di amalgamare comuni istanze politiche in seno all'Unione europea, la cui azione in materia migratoria non può essere finora giudicata del tutto soddisfacente. Positiva è dunque la pressione esercitata dagli Stati del Gruppo Quadro, che auspica possa presto allargarsi a Francia e Spagna.
  Ciò potrebbe favorire la definizione di accordi europei con la Libia e la Turchia, che per Cipro costituiscono obiettivi primari unitamente al rafforzamento dell'agenzia FRONTEX ed al cd. burden sharing tra gli Stati membri in materia migratoria, che deve avere più peso nel prossimo Programma di Stoccolma: nel Consiglio europeo riunitosi lo scorso mese di giugno si è iniziato a discutere di resettlement, ma ci si è limitati a lanciare un programma pilota su base esclusivamente volontaria che non sembra abbia riscosso grande successo e che certamente non corrisponde alle aspettative di Cipro.
  Il nervo scoperto è chiaramente la autoproclamata repubblica di Cipro Nord, da cui proviene la maggioranza di flussi clandestini a causa della totale impossibilità di controllo da parte della Repubblica di Cipro sulla «linea verde».Pag. 83
  La delegazione italiana si è associata alle considerazioni formulate dal Ministro Sylikiotis, sia in ordine all'efficacia delle iniziative del cd. Gruppo Quadro, sia in merito alla necessità di porre in essere una più organica politica comune in materia di immigrazione ed asilo, con particolare riferimento alla esigenza di addivenire a veri e propri accordi comunitari di riammissione con i Paesi da cui originano i principali flussi: al di là della questione cipriota, della cui delicatezza e complessità la delegazione è pienamente consapevole, per governare un fenomeno complesso come quello dell'immigrazione per motivi economici bisogna mettere in campo coraggiosi programmi di cooperazione globale.
  Pur apprezzandosi il primo tentativo di giungere tra Paesi europei a forme volontarie di redistribuzione dei rifugiati, e pur plaudendo all'allestimento dei primi voli charter europei per il rimpatrio di clandestini identificati ed espulsi, non si può non auspicare la conclusione di protocolli più cogenti, a partire dalla indispensabile modifica del Trattato di Dublino, nella parte in cui rende obbligatorio presentare la richiesta di asilo nel territorio dello Stato di primo arrivo. A ciò potrebbero giovare l'istituzione dell'Ufficio europeo per l'asilo, e l'implementazione delle funzioni svolte dall'agenzia FRONTEX, che solo recentemente ha visto aumentare sensibilmente il proprio bilancio a 85 milioni di euro.
  Il Ministro Sylikiotis si è detto consapevole che l'Italia, nelle sedi ufficiali, appoggia Malta nella candidatura ad ospitare l'Ufficio europeo per l'asilo, ma l'importante è che esso sia allocato in un Paese del Mediterraneo, proprio per la sua valenza simbolica. Non va però dimenticato che Cipro, estrema frontiera orientale del Mediterraneo, non può beneficiare delle attività di FRONTEX e dei fondi europei per le frontiere esterne proprio a causa del fatto che la linea verde non è una frontiera dell'area Schengen, e poiché la Turchia non coopera all'attuazione degli accordi di riammissione è più che mai necessario giungere quanto prima ad un accordo tra la Turchia stessa e l'Unione europea, che finora ha lasciato Cipro da sola nell'affrontare la questione.
  La delegazione è poi tornata al Parlamento per incontrare il suo Presidente, l'onorevole Marios Garoyian, che ha richiamato l'importanza delle relazioni parlamentari ai fini dell'intensificazione della cooperazione tra gli Stati membri, specie tra quelli che si affacciano sul Mediterraneo: in questo senso valuta positivamente l'incontro che il giorno precedente la delegazione italiana ha avuto con i parlamentari della Commissione affari interni.
  Pur apprezzando le iniziative del cd. Gruppo Quadro, non può negare che la visita della delegazione del Comitato Schengen cade in un momento molto difficile per Cipro, a causa dello stallo nel negoziato con l'autoproclamata repubblica del Nord a maggioranza turco-cipriota: dalla linea verde transita invero la gran parte dei clandestini in arrivo nella Repubblica di Cipro.
  Il mantenimento dell'esercito turco al di là della linea verde e la presenza di 180.000 coloni importati dalla madrepatria costituiscono elementi sufficienti per affermare che la Turchia non rispetta il diritto internazionale e le risoluzioni dell'ONU, al punto da mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della Repubblica di Cipro.Pag. 84
  La delegazione italiana ha espresso comprensione per la difficile situazione politica di Cipro, ben rappresentata dal Presidente Garoyan anche con asserzioni molto esplicite: nel contesto generale del fenomeno migratorio, che riguarda milioni di esseri umani in fuga da povertà ed instabilità, la specificità di Cipro è sotto gli occhi di chi ha la possibilità di varcare la linea verde e mettere a confronto due mondi diversi.
  La cooperazione italo-cipriota, che a sua volta è tributaria dell'impulso politico proveniente dal cd. Gruppo Quadro, è dunque molto importante e trascende la sola questione migratoria: dopo la caduta del muro di Berlino e l'abbattimento della frontiera a Gorizia nel 2004, si può sostenere che a Cipro resiste l'ultimo muro nel cuore dell'Europa, il cui superamento risponde però ad un evidente interesse strategico dell'Unione europea, che pertanto deve impegnarsi alacremente per la risoluzione della questione turco-cipriota.
  L'ultimo incontro della delegazione si è svolto con il Permanent Secretary del Ministero degli esteri, Ambasciatore Emiliou, che ancora una volta si è soffermato sulla stretta cooperazione tra i due Paesi in materia migratoria, nell'ambito delle positive iniziative di recente assunte dal cd. Gruppo Quadro.
  La delegazione italiana, dopo avere brevemente descritto gli incontri precedenti e la visita al Centro di permanenza di Kofinou (in cui si denota un'ottima organizzazione), ha argomentato che il contrasto alla clandestinità e la gestione dei richiedenti asilo sono le due sfide principali da raccogliere nel consesso comunitario.
  Il Gruppo Quadro ha avuto il merito di collocare l'immigrazione tra le priorità dell'agenda politica dell'Unione europea, nella cui sede occorre con forza perseguire almeno tre obiettivi strategici: il rafforzamento dell'agenzia FRONTEX, la stipula di accordi europei di riammissione con i Paesi di origine dei flussi e l'istituzione dell'Ufficio europeo per l'asilo. A questi va aggiunta la necessaria revisione del Trattato di Dublino nella parte in cui prescrive che il rifugiato presenti la domanda di protezione nel Paese in cui giunge per primo.
  Con il Trattato di Bengasi, e le conseguenti attività di pattugliamento e riaccompagnamento recentemente poste in essere, l'Italia è riuscita a contrastare il 90 per cento degli arrivi via mare dalla Libia sulle proprie coste, ma è evidente che l'avere reso impercorribili una o più rotte dell'immigrazione clandestina rende inevitabile la ricerca di canali di approdo alternativi, magari proprio verso la frontiera orientale dell'Europa e quindi verso Cipro.
  A tale proposito l'Ambasciatore Emiliou, pur giudicando positivamente ogni accordo finalizzato a contenere la pressione migratoria e pur non riscontrando, al momento, un maggior afflusso di clandestini via mare verso Cipro come conseguenza del pattugliamento congiunto delle coste libiche, non può non invocare con forza l'esigenza che la Turchia cooperi attivamente alla risoluzione della annosa questione della Repubblica del Nord: una volta superata la disputa sulla sovranità territoriale, un accordo di riammissione tra l'Unione europea e la Turchia arresterebbe il flusso di immigrati che transita dalla linea verde, su cui la Repubblica di Cipro non può esercitare alcun controllo, e che FRONTEX non può pattugliare non trattandosi di frontiera esterna dell'area Schengen.

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Relazione sulla missione svolta in Francia
(25-26 febbraio 2010)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, giovedì 25 e venerdì 26 febbraio 2010 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Parigi.
  Il primo giorno la delegazione del Comitato ha incontrato Jean Pierre Garson, Capo della divisione immigrazione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
  L`OCSE analizza gli sviluppi dei flussi e delle politiche migratorie, approfondendo gli aspetti economici e sociali delle migrazioni, il ruolo dell'immigrazione nel sostenere la crescita economica e l'integrazione dei lavoratori immigrati nel mercato del lavoro dei Paesi membri. Inoltre, gli studi svolti dall`OCSE si basano su statistiche relative all'immigrazione, volte a monitorare i flussi migratori degli ultimi dieci anni, a migliorare la comparabilità dei dati sull'immigrazione e a fornire stime sulla popolazione nata all'estero.
  Nel corso del 2009, il lavoro dell'OCSE in ambito migratorio si è in particolare incentrato sulle ripercussioni della crisi economica sui flussi migratori internazionali, tema anche affrontato nell'edizione speciale della pubblicazione International Migration Outlook, che è servita di base per la discussione dell’High Level Policy Forum on Migration, tenutosi a Parigi il 29 e 30 giugno 2009. Partendo dal recente decremento dei flussi migratori mondiali a causa della crisi, l`High Level Policy Forum on Migration si è focalizzato in particolare sulle seguenti tematiche: l'impatto della crisi economica sul fenomeno della migrazione internazionale; la gestione dei lavoratori migranti; l'integrazione dei migranti e dei loro figli. L'OCSE ritiene strategico, ai fini dello sviluppo economico durevole, che siano adottate politiche che consentano al mercato del lavoro di rispondere in maniera elastica ed efficiente alle condizioni macroeconomiche internazionali di ripresa dalla crisi.
  Garson, dopo avere ricordato la notevole esposizione geografica dell'Italia ai flussi migratori clandestini, ne ha dichiarato apprezzabili le politiche di contrasto e cooperazione, evidenziando tuttavia che oggi, specie in relazione alla crisi economica, occorrerebbe rafforzare le strategie di inserimento lavorativo degli immigrati: da un lato bisogna potenziare la cooperazione allo sviluppo nei Paesi poveri, dall'altro avere il coraggio di legalizzare maggiormente canali di ingresso rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di destinazione.
  Rispondendo ai quesiti posti dalla delegazione, Garson ha argomentato come anche in Francia le questioni migratorie abbiano recentemente avuto implicazioni in termini di sicurezza, precisando che nel caso italiano la «questione sicurezza» si leghi soprattutto alle filiere di sfruttamento della manodopera clandestina, a fenomeni di tratta e a conflitti inter-etnici tra immigrati: è comunque certo che le politiche migratorie devono coniugare sicurezza ed inclusione, legalità e solidarietà.Pag. 86
  In questo senso non possono considerarsi soddisfacenti le relazioni tra l'Unione europea e l'OCSE, e in seno a queste anche l'apporto italiano potrebbe essere più costante ed incisivo: incoraggiante, in tale direzione, è risultata l'azione del Ministro Maroni nella sua recente visita in Francia.
  In tempo di crisi economica i flussi non sono destinati a diminuire in quanto la recessione nei Paesi meno sviluppati è più forte: se si vuole davvero arginare un'immigrazione incontrollata, occorre allora moltiplicare gli sforzi di cooperazione.
  Anche questa va tuttavia ripensata in senso più rigoroso, evitando di limitarla ad un miope scambio tra incentivi economici da parte dell'Occidente e generici impegni a frenare le ondate migratorie da parte dei responsabili degli Stati da cui esse originano (a volte governati da veri e propri dittatori). Ciò posto, malgrado le organizzazioni criminali cerchino sempre nuove rotte per favorire afflussi di clandestini in Europa, non va omesso che la maggior parte dei clandestini non giunge via mare, ma è costituita dai cosiddetti overstayers.
  Nei confronti della popolazione immigrata è poi necessario impegnarsi a perseguire programmi di integrazione non solo verso i «nuovi arrivati», ma anche e prima di tutto verso i «vecchi immigrati». Certo, anche l'accoglienza, e non solo le politiche di contrasto, dovrebbe avere un respiro più europeo: l'Unione europea deve fare di più ed avere un approccio comune alla problematica.
  Venerdì 26 febbraio la delegazione italiana è stata ricevuta dal Ministro dell'immigrazione, Eric Besson, che dapprima ha illustrato le politiche francesi in materia di immigrazione ed asilo, per poi soffermarsi sulle politiche europee e sulle recenti iniziative multilaterali adottate in ambito comunitario. Da entrambe le parti è stata sottolineata la piena convergenza delle strategie poste in essere da Italia e Francia, tanto in materia di repressione dei flussi irregolari, quanto con riguardo alle politiche di accoglienza di quelli regolari: i due Paesi vivono oggi la medesima emergenza, e per il contenimento dei fenomeni migratori è indispensabile il sempre maggiore coinvolgimento delle Istituzioni europee.
  La Francia ha avviato negli ultimi anni una nuova politica in materia di immigrazione, fondata su un rafforzamento del «governo» dei flussi migratori quale necessario presupposto di una ambiziosa politica d'integrazione: modifiche sono intervenute nella politica dei visti e del rilascio dei titoli di soggiorno, nell'apertura all'immigrazione professionale, nella lotta all'immigrazione irregolare, nella disciplina del diritto di asilo, nonché nelle modalità di acquisizione della cittadinanza.
  Nell'ambito della politica d'integrazione, sono state promosse importanti iniziative, quali il contrat d'accueil et d'integration (CAI). Nello stesso tempo, il governo dei flussi migratori ha portato anche ad una rigorosa politica di sostegno al rimpatrio nei Paesi d'origine.
  Dal 1o gennaio 2008 è stato istituito il Ministère de l'immigration, de l'intégration, de l'identité nationale et du développement solidaire, che ha unificato le competenze relative ai singoli aspetti del percorso di uno straniero immigrato in Francia: dall'accoglienza presso il consolato all'integrazione nella società civile, fino all'eventuale acquisizione Pag. 87della nazionalità francese o, viceversa, al rimpatrio verso il Paese di origine. Un Comité interministeriel de contrôle de l'immigration fissa gli orientamenti della politica governativa in materia di controllo dei flussi migratori e presenta ogni anno al Parlamento un rapporto sugli orientamenti pluriennali della politica governativa in materia di immigrazione.
  Nell'ambito delle politiche di rilascio dei titoli di soggiorno, il legislatore francese ha dettato norme più restrittive in materia di ricongiungimento familiare, con l'obiettivo di ridimensionare un fenomeno in forte crescita negli ultimi anni: la riforma del 2006 ha previsto nuove norme relative al controllo della validità dei matrimoni, ed è stato anche precisato in senso restrittivo l'ammontare delle risorse economiche di cui deve disporre l'immigrato che richieda il ricongiungimento.
  Una disposizione molto contestata della recente legislazione del 2007 riguarda la prova del legame familiare, che l'immigrato deve fornire, ai fini del ricongiungimento, dimostrabile anche attraverso un test del DNA.
  Sempre ai fini del ricongiungimento, vige ora una valutazione del grado di conoscenza della lingua francese e dei valori della Repubblica, per gli stranieri di età compresa tra 16 e 65 anni. In caso di non sufficiente conoscenza, il rilascio del visto è subordinato al conseguimento di un attestato che dimostri la partecipazione ad un corso di formazione di due mesi, al termine del quale interviene una nuova valutazione.
  Tutti gli stranieri ammessi per la prima volta in Francia, o che entrano regolarmente in un'età compresa tra i 16 e i 18 anni, e che intendano rimanervi stabilmente devono sottoscrivere un contrat d'accueil et d'intégration che prevede una formazione civica e, se del caso, linguistica. Il contratto ha la durata di un anno, rinnovabile per un altro anno. In caso di mancato rispetto, il Prefetto può decidere di non rinnovare il permesso di soggiorno.
  Gli immigrati, i cui figli abbiano beneficiato della procedura di ricongiungimento familiare, sono poi obbligati a concludere con lo Stato un contrat d'accueil et d'intégration pour la famille, in base al quale dovranno seguire una formazione specifica sui diritti e i doveri dei genitori e impegnarsi a rispettare l'obbligo scolastico.
  Anche per ottenere il rilascio di un primo certificato di residenza, valido per dieci anni, lo straniero deve dimostrare la sua integrazione nella società francese fondata su tre elementi: l'impegno personale di rispettare i principi su cui si fonda la Repubblica; il rispetto effettivo di tali principi; una buona conoscenza della lingua francese.
  Per gli stranieri in situazione regolare la legge del 2007 ha peraltro creato una nuova categoria di permessi di soggiorno: il permesso di residente permanente con durata indeterminata. Quest'ultimo è accordato agli immigrati che risiedono in Francia da più di dieci anni, a condizione che dimostrino la completa integrazione e non costituiscano una minaccia per l'ordine pubblico.
  Secondo i dati relativi al 2009, la Francia ha accolto per lunghi soggiorni più di 170.000 stranieri di origine extra-comunitaria, con una riduzione dei flussi pari al 3,7 per cento rispetto all'anno 2008, dovuta principalmente alla sfavorevole congiuntura economica.Pag. 88
  La riforma del 2006-2007 ha inoltre modificato il quadro giuridico dell'immigrazione professionale, prevedendo un'apertura selettiva del mercato del lavoro francese all'immigrazione (per determinati mestieri e per determinate zone geografiche con difficoltà di reclutamento di manodopera).
  Per rispondere ai bisogni concreti delle imprese, vengono rilasciati permessi di soggiorno temporaneo, quali le carte «salarié» e «travailleur temporaire» (previste rispettivamente per lavoratori dipendenti e a tempo determinato), ai titolari di un contratto di lavoro superiore ad un anno, sempre per l'esercizio di determinate attività professionali ed in specifiche zone geografiche.
  Un titolo di soggiorno temporaneo, il permesso «travailleur saisonnier», viene rilasciato ai lavoratori titolari di un contratto di lavoro stagionale (agricolo o di altro tipo) di durata superiore a tre mesi, purché questi si impegnino a mantenere la loro residenza abituale fuori dal territorio francese. Il permesso temporaneo, di durata triennale, consente di entrare in Francia per lavori stagionali per una durata massima di 6 mesi su 12 consecutivi.
  La concessione della cittadinanza è il coronamento del percorso di integrazione. Le modalità per l'acquisizione della nazionalità francese sono:
   a) l'acquisizione per dichiarazione, che prevede due principali tipi di dichiarazioni (rappresentanti il 95 per cento delle dichiarazioni): i giovani nati in Francia da genitori stranieri residenti in Francia da 5 anni (dichiarazione sottoscritta e registrata da un giudice); i congiunti (coniugi o conviventi) di cittadini francesi dopo almeno quattro anni di vita in comune (dichiarazione sottoscritta davanti al giudice o console e registrata dal Ministro incaricato delle naturalizzazioni);
   b) l'acquisizione per decreto del Primo Ministro, su proposta del Ministro incaricato delle naturalizzazioni. La domanda di naturalizzazione può essere presentata da ogni straniero maggiorenne con un titolo di soggiorno valido.

  Sotto il profilo dell'accoglienza, in termini generali e comparativi, la Francia resta il primo Paese in Europa per le richieste di naturalizzazione e il secondo nel mondo per le richieste d'asilo: nel 2009 sono stati concessi 10.864 permessi di soggiorno sulla base di un riconoscimento dello status di rifugiato politico, su un totale di 47.000 richieste. Al contempo, 108.275 stranieri hanno acquisito la nazionalità francese.
  Commentando gli esiti del Consiglio dei Ministri competenti in materia di Giustizia ed Affari interni, tenutosi a Bruxelles il 25 febbraio 2010, il Ministro Besson ha espresso compiacimento per gli obiettivi conseguiti nel vertice: da un lato si profila un adeguamento della disciplina regolamentare dell'agenzia FRONTEX, dall'altro si delinea finalmente una vera e propria road map dell'Unione europea in materia migratoria, articolata in ben 29 punti strategici.
  Nella lotta alla clandestinità si è preso atto della gravità della situazione nei Paesi rivieraschi, più esposti agli afflussi via mare anche a causa dei comportamenti equivoci di Stati come Libia e Turchia, che Pag. 89non sempre rispettano gli accordi vigenti: sul punto, il vertice prefigura un passo decisivo verso un sostanziale rafforzamento delle prerogative di FRONTEX, propedeutico all'istituzione di una vera e propria polizia europea di frontiera.
  Importante è anche la decisione relativa all'approntamento di voli comuni per il rimpatrio dei clandestini, ed all'impiego delle tecnologie proprie del programma EUROSUR, che risulteranno molto utili nell'individuazione e nel contrasto dei flussi via mare. Ciò non dovrà andare a detrimento del diritto di silo, che deve essere salvaguardato anche con la collaborazione delle Organizzazioni non governative, secondo un approccio integrato, comune e non discriminatorio.
  In relazione ad alcune osservazioni formulate dalla delegazione a proposito dell'esigenza di addivenire a veri e propri accordi europei di riammissione in luogo di quelli bilaterali, Besson ha ammesso che non tutti gli Stati membri caldeggiano uno statuto europeo dei rifugiati politici: l'armonizzazione normativa è ancora lontana, ma l'istituzione dell'Ufficio europeo per l'asilo a La Valletta rappresenterà un passo significativo. Occorre però andare oltre, a cominciare dalla revisione del Trattato di Dublino (ma il Governo francese non ha ancora maturato sul punto una posizione ufficiale), fino alla mutualizzazione volontaria della protezione delle frontiere ed al resettlement dei rifugiati.
  Il Governo francese è comunque contrario alle cosiddette «regolarizzazioni di massa», cioè a sanatorie indiscriminate di immigrati irregolari presenti sul territorio degli Stati membri, in quanto tali misure, contrariamente a quanto previsto nel «Patto per l'Immigrazione», rappresenterebbero un segnale di acquiescenza nei confronti delle attività illegali delle reti di traffici di clandestini, e permetterebbero agli immigrati regolarizzati di circolare liberamente nei diversi Paesi dell'area Schengen.
  Sul fronte della cooperazione, richiamata come obiettivo primario dai parlamentari italiani, il Governo francese conta molto sulle iniziative a favore dello sviluppo solidale, tanto che la legge di programmazione finanziaria per il periodo 2009-2012 ha previsto un totale di 158 milioni di euro in autorizzazioni d'impegno, e 104 milioni di euro in crediti di pagamento destinati all'attuazione di misure di sviluppo solidale. I principali Paesi beneficiari delle misure di sviluppo solidale sono quelli con i quali la Francia ha firmato accordi di gestione concertata dei flussi migratori e di sviluppo solidale.
  Dopo l'incontro con il Ministro Besson la delegazione del Comitato ha potuto visitare il Centro di trattenimento amministrativo di Plaisir, dove sono state altresì illustrate le politiche di contrasto all'immigrazione irregolare e quelle di asilo.
  Nella legislazione francese, uno straniero infrange la normativa sull'immigrazione nei seguenti due casi:
   a) fin dal momento del suo arrivo in Francia: viene posto in questo caso in «zona d'attesa», senza essere ammesso ad entrare sul territorio francese (cd. non ammissione);
   b) nel momento in cui circola sul territorio francese senza titolo di soggiorno: in questo caso lo straniero può essere condotto in un centro di ritenzione amministrativa (CRA).

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  I CRA, costituiti per Decreto interministeriale, hanno una capacità di accoglimento che non può superare di norma le 140 persone: ne esistono oggi 24 in tutto il territorio francese, e quello di Plaisir – che presenta peraltro caratteristiche proprie di una struttura para-carceraria – contiene appena una trentina di ospiti, con un tempo di trattenimento medio di circa 10 giorni. La gestione è affidata direttamente agli organi di polizia, e colpisce il fatto che il numero di ospiti sia in pratica pari a quello degli agenti in servizio nella struttura.
  Lo straniero trovato in situazione irregolare ha comunque la possibilità di tornare volontariamente nel suo Paese di origine con un aide au retour.
  Il collocamento in zona d'attesa o nei CRA ha l'obiettivo di permettere i preparativi della partenza di una persona in situazione irregolare o non ammessa. La durata di mantenimento è strettamente limitata a 18 giorni per la zona d'attesa, e massimo a 32 giorni per i CRA (la più breve in tutta Europa). Tutte le decisioni di non ammissione o di allontanamento si svolgono sotto controllo giurisdizionale (che spesso dà ragione agli interessati).
  Anche il rifiuto di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero il ritiro dello stesso, possono essere associati, dal 2006, all'obbligo di espulsione dal territorio francese, permettendo la fusione delle due decisioni che nella legislazione previgente erano invece distinte.
  Lo straniero che deve essere allontanato può scegliere tra due modalità di rimpatrio:
   a) il rimpatrio volontario: in questo caso, l'amministrazione francese si fa carico della parte organizzativa del rimpatrio (documenti di viaggio, biglietti di trasporto aereo e terrestre, bagagli e così via) e di un aiuto finanziario rateizzato.
   b) il rimpatrio forzato: se, nonostante la decisione di non ammissione o di allontanamento, confermata da una decisione davanti al giudice nei suoi vari gradi, lo straniero decide di rimanere irregolarmente sul territorio francese, egli può essere oggetto di allontanamento forzato. L'amministrazione accompagna il soggetto fin dentro l'aereo con destinazione per il suo Paese di origine e, in qualche caso, lo accompagna fino al Paese di destinazione per assicurarsi della sua partenza effettiva.

  In vista del recepimento della direttiva europea sui «rimpatri» del 16 dicembre 2008, il Governo francese si appresta a varare un insieme di nuove norme che prevede, tra l'altro, l'estensione da 32 a 45 giorni di trattenimento nei centri di accoglienza, nonché il divieto di rientro nel territorio europeo per 3 anni (5 in caso di recidiva) per gli stranieri in situazione irregolare che non abbiano ottemperato ad una misura di rimpatrio forzato, oppure che non abbiano rispettato il periodo di partenza volontaria entro un mese.
  L'efficacia della lotta contro l'immigrazione clandestina dipende anche dalle azioni condotte contro il lavoro sommerso. I reati connessi al lavoro illegale comportano sanzioni penali, ma anche pesanti e dissuasive ammende amministrative per i datori di lavoro che se ne Pag. 91rendano responsabili. La riforma del 2006 ha rafforzato le sanzioni nei confronti dei datori di lavoro ed ha predisposto un pacchetto di nuove disposizioni per una migliore efficacia della lotta contro il lavoro illegale degli stranieri. In particolare, dal 1o luglio 2007 spetta al datore di lavoro l'obbligo di verificare, prima di ogni assunzione, l'esistenza del titolo che autorizza lo straniero ad esercitare un'attività dipendente in Francia.
  Complementare, ma distinta negli strumenti e negli obiettivi, è poi la lotta alle filiere d'immigrazione clandestina, che costituisce necessariamente l'altra rilevante parte della politica di governo dei flussi migratori. Data la transnazionalità di tali reti organizzate, la lotta all'immigrazione clandestina, anche se priorità nazionale, si inserisce in una dimensione ben più ampia, europea e internazionale. La direzione centrale della polizia di frontiera francese ha favorito lo sviluppo di misure di cooperazione a livello internazionale e il suo Office central è il punto nazionale di contatto nelle relazioni con gli organismi internazionali specializzati (INTERPOL, EUROPOL, SCHENGEN) e con gli omologhi uffici di altre sei polizie di frontiera (Regno Unito, Germania, Spagna, Italia, Belgio, Paesi Bassi).
  Quanto al diritto d'asilo, in Francia esso ha un valore costituzionale anche se, secondo gli orientamenti del Governo, non può costituire la «variabile di aggiustamento» della politica d'immigrazione. Sono previsti due tipi di statuto di protezione:
   a) lo stato di rifugiato è riconosciuto: in applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951; ad ogni persona perseguitata in ragione della sua azione in favore della libertà; ad ogni persona sulla quale l'Alto Commissariato dell'ONU per i Rifugiati eserciti un mandato «stretto» (Statuto dell'HCR, artt. 6 e 7);
   b) la protezione sussidiaria è accordata alla persona che, pur non corrispondendo ai criteri sopra esposti, sia riconosciuta soggetta nel suo Paese alla pena di morte, alla tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti, o ad una minaccia grave, diretta e individuale contro la sua vita o la sua persona in ragione di una violenza generalizzata risultante da una situazione di conflitto armato interno o internazionale.

  Durante la procedura d'istruzione delle domande di asilo, colui che richiede protezione è chiamato demandeur d'asile. In seno al Ministero dell'immigrazione, dell'integrazione, dell'identità nazionale e dello sviluppo solidale è stato creato un apposito Servizio per l'asilo per sottolineare la distinzione tra la problematica dell'asilo da quella dell'immigrazione: il Servizio è il solo interlocutore per tutto ciò che concerne l'esercizio del diritto d'asilo in Francia.
  L'organizzazione dell'esame delle domande d'asilo è affidata a due organismi indipendenti:
   1) l’Office fran ais de protection des réfugiés et des apatrides (OFPRA), che ha il compito di riconoscere la qualità di rifugiato, o di accordare la protezione sussidiaria ai soggetti che ne ricoprano le condizioni, e di esercitare la protezione giuridica e amministrativa dei rifugiati e degli apolidi come quella dei beneficiari della protezione sussidiaria;Pag. 92
   2) la Cour Nationale du Droit d'Asile (CNDA) nella fase della procedura giurisdizionale. La Corte è l'organo di giurisdizione amministrativa posta sotto l'autorità di un membro del Consiglio di Stato, che ha competenza a giudicare sui ricorsi contro le decisioni dell'OFPRA.

  Sulla base di impegni assunti a livello internazionale, la Francia accorda infine una particolare protezione ai minori stranieri isolati:
   a) quando siano trattenuti in «zona d'attesa»;
   b) nello svolgimento delle procedure d'esame della loro domanda d'asilo;
   c) durante il periodo di esame della loro domanda d'asilo (i minori sono accolti nel Centro d'accoglienza e orientamento per minori soli richiedenti asilo speciale – CAOMIDA);
   d) nel caso di rimpatrio nel Paese di origine (viene assicurata la presenza di un parente del minore all'arrivo in aeroporto).

Relazione sulla missione svolta in Libia
(26-27 maggio 2010)

  Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, mercoledì 26 e giovedì 27 maggio 2010 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Tripoli.
  Il primo giorno la delegazione del Comitato ha incontrato il Vice Segretario del Comitato Popolare per le Relazioni Estere e la Cooperazione Internazionale Abdelati Al-Obeidi (Vice Ministro degli esteri) che, dopo avere sottolineato l'ottimale cooperazione tra Italia e Libia nei settori economico, del contratto all'immigrazione clandestina e della lotta al terrorismo, si è fatto portavoce della richiesta, più volte rappresentata, che la Libia possa presto essere equiparata agli altri Paesi della regione del Maghreb per quanto concerne i tempi di rilascio dei visti per l'ingresso in uno Stato aderente allo spazio Schengen: si tratterebbe di ridurre questo lasso di tempo a 48 ore lavorative, in luogo degli attuali 10 giorni lavorativi che mediamente occorrono per la concessione dei visti ai cittadini libici.
  Nell'occasione il Vice Ministro ha altresì sollecitato l'Italia ad estendere l'accordo sull'esenzione dei visti per i passaporti diplomatici, recentemente siglato dai ministri degli Esteri, Franco Frattini e Musa Kusa, anche ad altre categorie, quali gli studenti e le persone malate che necessitano di cure appropriate.
  In materia di contrasto all'immigrazione clandestina Al-Obeidi ha lamentato la mancata attuazione, da parte dell'Unione europea, del memorandum d'intesa siglato nel 2007 con l'allora commissario Ferrero Waldner, che prevedeva un controllo congiunto delle frontiere terrestri e dello spazio aereo: vi si prevedeva l'istituzione di un sistema di monitoraggio, anche con tecnologie satellitari, delle frontiere Pag. 93desertiche nel sud della Libia, per una spesa complessiva di 300 milioni di euro, da sostenersi al 50 per cento da parte italiana e al 50 per cento da parte europea. Il Vice Ministro ha evidenziato al riguardo che, mentre l'Italia ha mantenuto tale impegno nell'ambito di quelli assunti con la stipula, nell'agosto 2008, del Trattato di Bengasi, l'Unione europea risulta tuttora non avere ancora cofinanziato, per la quota pattuita, la realizzazione del predetto sistema di sorveglianza.
  La delegazione del Comitato ha condiviso il giudizio sull'eccellente stato delle relazioni bilaterali tra i due Paesi, soprattutto grazie alla stipula del Trattato di Bengasi che ha finora permesso di conseguire importantissimi risultati sul fronte della lotta al massiccio afflusso di immigrati clandestini sulle coste italiane, ed in generale dei Paesi europei rivieraschi. Per l'effetto dissuasivo dei pattugliamenti, nonché per l'efficacia degli scambi informativi e delle sinergie operative tra i rispettivi corpi di polizia, si può quindi parlare di una cooperazione di successo, che altri Stati vorrebbero prendere a modello delle loro relazioni con la Libia e che potrà concorrere all'implementazione delle relazioni tra l'Unione europea ed il Paese africano. Il Trattato di Bengasi rappresenta infatti una svolta strategica per gli equilibri di tutta l'area mediterranea, che potranno ulteriormente giovarsi di un necessario rafforzamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo negli Stati di origine dei principali flussi migratori.
  Il Vice Ministro degli esteri si è associato all'auspicio di più incisive iniziative di cooperazione allo sviluppo da condurre nelle aree più povere del mondo, che sono quelle da cui traggono origine flussi migratori per motivi economici: confida pertanto che, anche grazie all'apporto dell'Italia, il prossimo vertice euro-africano in programma a novembre 2010 possa fornire un significativo contributo in questa direzione. Rispondendo infine ad un quesito specifico, ha chiarito che i rimpatri di clandestini verso i Paesi di provenienza vengono realizzati con la collaborazione delle rispettive rappresentanze diplomatiche, ma si tratta di operazioni molto onerose e tanto più difficoltose quanto minore è il livello della cooperazione bilaterale.
  Successivamente la delegazione italiana è stata ricevuta da Sulaiman Al-Shuhumi, Segretario per gli affari esteri del Congresso Generale del Popolo, che ha ringraziato il Presidente Boniver per avere accettato il suo invito a recarsi in visita in territorio libico, nella prospettiva di un ulteriore consolidamento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Con la firma del Trattato di Bengasi si è chiuso con il passato e sono stati compiuti molti sforzi da entrambe le parti, ma altre enunciazioni contemplate negli accordi devono trovare piena attuazione, auspicabilmente anche prima della decorrenza del secondo anniversario della stipula, che coincide con il prossimo 30 agosto.
  Sul piano della lotta alla immigrazione clandestina la Libia si può considerare Stato di massicci transiti e di prima accoglienza: poiché le frontiere del Paese sono vastissime e la loro sorveglianza è piuttosto complessa, l'Unione europea deve concorrere ai dispositivi di controllo frontaliero che l'Italia ha già cofinanziato per la parte di sua competenza.
  Non ci si può tuttavia limitare a varare solo misure di sicurezza per contenere flussi migratori alimentati da motivazioni economiche: Pag. 94la povertà va contrastata all'origine, con seri programmi di cooperazione allo sviluppo nei Paesi che ne hanno bisogno. In questo senso ritiene indispensabile una maggiore cooperazione tra l'Unione europea e l'Unione africana, o comunque un razionale ampliamento del cd. Dialogo 5 + 5, anche per superare alcuni impasse politici insiti nelle dinamiche dell'Unione euromediterranea.
  Al dialogo non giovano però, a suo avviso, le recenti restrizioni che alcuni Paesi europei hanno deciso sulla costruzione di moschee e minareti sui propri territori, nonché sull'esibizione in pubblico del velo integrale da parte di donne ligie alle tradizioni islamiche: questi divieti, secondo Al-Shuhumi, non fanno altro che alimentare tensioni e tentazioni fondamentalistiche.
  La delegazione del Comitato si è associata alle positive valutazioni espresse sullo stato delle relazioni tra Italia e Libia dopo la stipula del Trattato di Bengasi, di cui caldeggia una completa attuazione anche negli altri settori di intervento, ivi compreso quello degli investimenti, che auspica possa consolidarsi a condizioni di maggiore reciprocità.
  Ha poi preso atto delle osservazioni critiche formulate nei confronti dell'Unione europea, chiamata ad attuare pienamente gli impegni assunti con il memorandum d'intesa del 2007: poiché il Trattato di Bengasi ha di fatto creato le condizioni per una finora drastica riduzione degli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, è facile immaginare che le rotte dei flussi migratori si sposteranno presto altrove. È pertanto necessario perseguire una politica di dialogo e collaborazione con la Libia e con il continente africano per rafforzare le iniziative di cooperazione allo sviluppo nei Paesi afflitti da povertà e crisi umanitarie: obiettivi per il cui conseguimento anche l'Unione europea deve fare la sua parte fino in fondo.
  In questa direzione senz'altro si colloca la recente legislazione che la Libia ha varato in materia migratoria, la quale reca importanti disposizioni per combattere fenomeni criminali legati allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina ed alla tratta di esseri umani: si tratta di uno sforzo di rilievo, che contribuirà all'intensificazione delle relazioni multilaterali ed al consolidamento del partenariato euromediterraneo.
  Circa le questioni identitarie richiamate da Al-Shuhumi, non va dimenticato che l'Europa si contraddistingue proprio per l'estrema tolleranza nei riguardi delle diverse culture che la abitano: sul rispetto delle tradizioni si trova sempre un punto di equilibrio, mentre non si può transigere con quelle minoranze oltranziste che vorrebbero fare di alcune moschee luoghi non di culto ma di predicazione di sentimenti antioccidentali.
  La mattina di giovedì 27 maggio la delegazione del Comitato ha potuto visitare, senza stampa al seguito, il centro di raccolta di immigrati di Twesha, alla periferia di Tripoli. La struttura contava al momento circa 800 ospiti, tutti uomini in giovane età in attesa del completamento delle procedure di identificazione, propedeutiche al rimpatrio verso i Paesi di origine.
  Gli immigrati risultavano ammassati in grandi camerate, compartimentate con sistemi di chiusura e di sorveglianza propri di un regime di detenzione, ma senza la suddivisione di spazi abitativi Pag. 95interni e con limitate possibilità di deambulazione per motivi di sicurezza. In una di queste camerate erano allocati circa un centinaio di eritrei, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. All'esterno sono previsti uno spazio per attività ricreative, un punto di incontro per le visite dei parenti ed un ambulatorio medico che – oltre alla visita preliminare, cui segue la registrazione di ogni ospite – effettua mediamente circa 40 visite quotidiane, rimettendo al ricovero ospedaliero i casi sanitari più seri.
  Successivamente la delegazione si è intrattenuta in colloquio con alcuni volontari italiani che operano nel centro per conto dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che con le autorità libiche sta realizzando un protocollo di cooperazione pilota.
  In effetti, negli ultimi 4 anni si è potuta registrare una progressiva apertura dei centri di accoglienza (18 in tutto) al contributo delle organizzazioni non governative: grazie ad un progetto pari a 10 milioni di euro, finanziato dall'Unione europea ma con un ruolo di leadership da parte dell'Italia, l'OIM è presente in quasi tutte le strutture, alcune delle quali destinate ad ospitare solo donne e bambini, o viceversa interi nuclei familiari. Come è noto, invece, non sono ufficialmente riconosciute le attività da anni svolte in Libia dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che tuttavia – secondo quanto riferito alla delegazione – rilascerebbe agli aventi diritto elementi documentali che il Governo libico riconosce ai fini dell'osservanza del principio del non refoulement.
  L'OIM si occupa prevalentemente di supportare quanti intendono avvalersi del rimpatrio volontario assistito, che in genere va a buon fine soprattutto verso Paesi come Niger, Ghana, Senegal, Liberia, Mali e Nigeria: piuttosto che elargire danaro si preferisce optare per forme di incentivo alla reintegrazione dei rimpatriati nei territori di origine, ai fini del loro reinserimento in un'attività lavorativa. Ciononostante, la permanenza degli immigrati all'interno dei centri è spesso molto lunga, sia a causa di una legislazione priva di garanzie specifiche sui tempi di trattenimento, sia a causa della difficoltà di trasferire rimesse in patria una volta fallito il tentativo di approdare in territorio europeo.
  Di ritorno dalla visita al centro di Twesha la delegazione è stata ricevuta dal Vice Segretario Generale del Comitato Popolare per la Sicurezza Pubblica (Vice Ministro degli interni), Al-Obeidi, che ha inteso premettere la sostanziale assenza, in Libia, di forme di criminalità organizzata, ad eccezione di quelle legate proprio allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina, che la recente legislazione in materia migratoria si prefigge di colpire con determinazione.
  La Libia è un Paese di massicci transiti e risulta pertanto fondamentale la collaborazione con gli altri partner nella lotta alla clandestinità: se quella con l'Unione europea è ancora limitata, la cooperazione con l'Italia è invece stretta ed efficace, in quanto comune è l'approccio alla problematica migratoria e reciproco risulta il sostegno alle iniziative che i due Stati conducono nei fori multilaterali. In particolare, gli scambi e le sinergie tra le rispettive forze di polizia hanno prodotto risultati insperati sul fronte della prevenzione degli sbarchi, arrestando di fatto, finora, gli arrivi via mare di clandestini in Italia nonostante la particolare esposizione geografica dei due Paesi.Pag. 96
  Tuttavia, né l'Italia né la Libia possono accontentarsi di affrontare il massivo fenomeno migratorio soltanto con metodi di polizia: per coniugare sicurezza, solidarietà e cooperazione occorrono ingentissimi investimenti economici, e dunque questi Paesi, come tutti quelli rivieraschi esposti ai flussi migratori, non possono essere lasciati soli dall'Europa.
  Bisogna, piuttosto, implementare le politiche di cooperazione allo sviluppo nei territori più poveri, da cui originano le spinte migratorie, per ridurre il più possibile il gap economico tra il nord ed il sud del mondo. La Libia sostiene da tempo tali politiche in seno al gruppo di Dialogo cd. 5 + 5, ed è auspicabile che anche l'Italia solleciti fortemente l'Unione europea ad intensificare gli sforzi cooperativi, a partire dagli impegni già pattuiti con il memorandum d'intesa del 2007: quest'ultimo, in particolare, deve ancora trovare applicazione per quanto riguarda il finanziamento europeo del previsto sistema di sorveglianza satellitare delle frontiere desertiche, in ordine al quale l'Italia ha invece già onorato l'impegno economico assunto, attraverso il fattivo lavoro svolto dalla Direzione centrale della polizia dell'immigrazione e delle frontiere del Ministero dell'interno, che il Vice Ministro ha esplicitamente ringraziato.
  La delegazione del Comitato ha espresso apprezzamento per il livello di cooperazione raggiunto tra le strutture operative dei due Paesi preposte al contrasto dell'immigrazione clandestina: grazie al Trattato di Bengasi gli sbarchi sono al momento diminuiti di oltre il 90 per cento, ma è illusorio pensare che ciò basti ad fermare i tentativi di fuggire da guerre e povertà. I flussi migratori cercheranno rotte alternative per l'ingresso in Europa, e ciò evoca la necessità imprescindibile che anche le organizzazioni internazionali prendano pienamente coscienza dei risvolti del fenomeno.
  La visita al centro di Twesha ha permesso una attenta riflessione non solo sulla portata dell'immigrazione in Libia in rapporto ai numeri della sua popolazione, ma anche sulla consapevolezza che ormai le autorità libiche hanno maturato nell'affrontare la problematica: accanto all'insostituibile attività di contrasto propria delle forze di polizia, si riscontra una incoraggiante apertura al contributo dell'OIM, prezioso soprattutto per favorire rimpatri assistiti, nonché una significativa svolta nella repressione delle filiere criminali di sfruttamento della clandestinità.
  Dalle istituzioni libiche si ascolta quindi un linguaggio di responsabilità, collaborazione e consapevolezza, che concorrerà certamente al rafforzamento della cooperazione tanto con l'Europa ed il Mediterraneo, destinatari dei flussi migratori, quanto con le aree a sud della Libia, da cui i flussi hanno origine.
  Le solide relazioni bilaterali tra Italia e Libia costituiscono ormai un vero e proprio modello, cui devono guardare tutti gli attori politici chiamati ad esercitare responsabilità di governo del fenomeno migratorio. Il Trattato di Bengasi ha aperto, tra la Libia e l'Italia, una nuova fase politico-diplomatica che deve coinvolgere sempre di più l'Unione Europea e l'Unione africana, risultando strategico non solo per il bacino del Mediterraneo. L'odierna missione a Tripoli del Comitato parlamentare Schengen – Europol – Immigrazione testimonia anche il sostegno del Parlamento italiano al proprio Governo Pag. 97nel perseguimento di politiche europee sempre più comuni ed integrate in materia di immigrazione ed asilo, improntate al giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, solidarietà e rispetto dei diritti umani.
  L'ultimo incontro in programma si è svolto con Mohamed Belgasem Al-Zwei, Segretario del Congresso Generale del Popolo (Presidente del Parlamento). Anche in tale colloquio è stato sottolineato l'ottimale stato delle relazioni bilaterali tra Italia e Libia all'indomani della firma del Trattato di Bengasi, che ha inaugurato una stagione politica del tutto nuova chiudendo difficili pagine di storia tra i due Paesi.
  Il Segretario Al-Zwei ha espresso preoccupazione per le ricadute economiche dell'ingente massa migratoria che tuttora si riversa in Libia, che ha un'estensione territoriale cinque volte superiore a quella dell'Italia ed un numero di clandestini enorme in percentuale alla popolazione ufficiale: ciò spiega anche le difficili condizioni umanitarie in cui versano gli immigrati in territorio libico.
  Poiché il mondo sta diventando un unico villaggio globale, le principali organizzazioni internazionali devono maturare un diverso approccio al fenomeno migratorio, anche nell'interesse del mondo occidentale: poiché colui che emigra lo fa per motivi soprattutto economici, bisogna superare una visione solo «securitaria» dell'immigrazione, che sconta soluzioni di breve periodo, e mettere piuttosto in campo credibili e lungimiranti programmi di cooperazione allo sviluppo. Certo, anche il monitoraggio delle frontiere corrisponde ad un interesse cruciale per difendersi da flussi incontrollati di ingresso, ed in questo auspica che l'Italia possa sensibilizzare fortemente l'Unione europea a fornire maggiormente il suo contributo.
  La delegazione ha convenuto con le argomentazioni del Presidente Al-Zwei: specie nell'attuale congiuntura economica l'immigrazione non potrà essere fermata da pur efficaci accordi per il pattugliamento delle frontiere.
  Nondimeno, nessun Paese, neanche il più avanzato, può permettersi di aprire le porte a tutti coloro che aspirano ad entrarvi: in questo senso, Italia e Libia risultano accomunati dall'esigenza di governare adeguatamente un fenomeno complesso, che postula il contemperamento tra gli interessi nazionali di ciascuno ed un equilibrio socio-economico generale. Ecco il motivo per cui, in quello che opportunamente è stato definito un unico villaggio globale, la cooperazione internazionale risulta strategica: alla medesima conclusione il Comitato Schengen – Europol – Immigrazione è giunto all'esito delle missioni svolte nei mesi scorsi in Paesi dell'Unione europea come Spagna, Francia, Grecia, Malta e Cipro, particolarmente sensibili alle tematiche migratorie.
  La visita a Tripoli, svolta ad un elevato livello istituzionale, ha confermato l'esigenza di un approccio globale all'immigrazione, nonché la valenza assolutamente strategica di un partenariato euromediterraneo ed euroafricano che deve superare incertezze ed empasse politici per consacrare al più alto livello di sinergia istituzionale politiche di cooperazione rispettose della dignità dell'uomo, dei suoi bisogni di vita e dell'identità degli Stati nazionali.

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Relazione sulla missione svolta in Polonia
(21 e 22 ottobre 2010)

  Giovedì 21 e venerdì 22 ottobre 2010 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, sull'attività di Europol e in materia d'immigrazione si è recata – conformemente a quanto deliberato in precedenza dall'Ufficio di Presidenza del Comitato – in missione a Varsavia, in Polonia, per approfondire le tematiche relative all'organizzazione, funzionamento e attività dell'Agenzia Europea FRONTEX, ivi avente sede, e per conoscere, attraverso incontri con organi parlamentari e di Governo della Polonia, le politiche ed esperienze in materia di immigrazione di quel Paese.
  Il primo incontro è stato, nel primo pomeriggio di giovedì 21 ottobre 2010, con il Presidente della Commissione Amministrazione e Affari interni della Camera Bassa (Sejm), deputato Marek Biernacki, affiancato da una delegazione composta dai deputati Staniszawa Przasdka (Vice Presidente, SLD) e Grzegorz Raniewicz (PO).
  L'onorevole Biernacki ha innanzi tutto evidenziato che l'area di competenza della Commissione da lui presieduta coincide con quella del Ministero dell'interno polacco, del quale egli ha avuto la titolarità dal 1999 al 2001, periodo nel quale si occupò anche della prospettiva di adesione della Polonia al trattato di Schengen. 
  La politica polacca presta oggi grande attenzione e cura alla piena e coerente attuazione del trattato di Schengen e alla normativa dell'Unione europea in tema di immigrazione e asilo. In relazione al problema dell'immigrazione clandestina, la Polonia rappresenta per lo più un Paese di transito, anche a causa del livello del reddito pro-capite inferiore e quindi meno attraente rispetto ad altri Paesi, tranne per coloro che provengono dai paesi dell'ex Unione Sovietica, per i quali rappresenta, invece, la meta definitiva.
  La frontiera del mare del Paese non è interessata dal fenomeno, nonostante venga ugualmente protetta; quella con i Paesi ex URSS è protetta in modo naturale per la specificità delle caratteristiche fisiche, mentre la zona meridionale è costituita da territori montuosi e spopolati dopo la seconda guerra mondiale.
  In vista dell'ingresso della Polonia nell'Unione Europea, a fini preventivi, sono stati effettuati investimenti volti alla protezione delle frontiere anche mediante opportune tecnologie. Ai confini con Bielorussia e Ucraina – Paesi con cui sono stati anche stipulati specifici accordi in materia di ingressi transfrontalieri e di controllo delle frontiere – sono efficientemente organizzati pattugliamenti comuni. È questa la frontiera che necessita di maggiore attenzione, anche perché rappresenta la frontiera orientale dell'Unione Europea. Si era registrato, in anni passati, il tentativo di aprire un corridoio di immigrazione illegale nel sud della Polonia, ma tale tentativo è stato molto rapidamente impedito e ora la zona relativa è praticamente ermetica.
  L'adesione all'Accordo di Schengen ha comportato un forte impegno per l'adeguamento al sistema informativo SIS e una redistribuzione del personale di frontiera da quella occidentale, ormai Pag. 99meno significativa, a quella orientale, nonché investimenti tecnici per proteggere le frontiere stesse (elicotteri, telecamere, ad esempio). Il servizio di frontiera sta assumendo progressivamente le caratteristiche di polizia di frontiera, sia per le specificità di questo servizio, sia in considerazione dell'interesse della criminalità organizzata verso il le attività di immigrazione illegale.
  Per ciò che riguarda le espulsioni conseguenti ad immigrazione illegale, queste avvengono per circa tre quarti attraverso provvedimenti amministrativi e per la restante parte per decisione dei tribunali, ove conseguenti a reati.
  Conseguentemente alla guerra in Cecenia, si è verificato un consistente flusso dall'est, soprattutto negli anni ’90; per i paesi sotto l'influenza dell'ex Unione Sovietica, la Polonia rappresenta un simbolo. La Polonia è favorevole all'entrata nell'Unione Europea dell'Ucraina e, successivamente, della Bielorussia. Nonostante si dichiari l'uguaglianza tra vecchi e nuovi membri, la Polonia è consapevole di essere oggetto di maggiore attenzione ed osservazione e in virtù di tale circostanza infonde maggiore impegno nel suo ruolo di membro UE, anche nel rispetto dei diritti umani.
  A questa esposizione hanno fatto seguito alcuni interventi e domande dei componenti della delegazione del Comitato Schengen. Il senatore Piergiorgio Stiffoni (LNP) ha chiesto informazioni in particolare sulla situazione alle frontiere orientali. Il senatore Massimo Livi Bacci (PD) ha, tra l'altro, chiesto se l'accordo tra Bielorussia e Ucraina circa l'ingresso di lavoratori temporanei senza visto possa in qualche modo agevolare casi di immigrazione clandestina, se l'irregolarità viene considerata infrazione amministrativa o reato, nonché precisazioni in merito ai circa 50.000 vietnamiti presenti in Polonia di cui ha appreso notizia tempo fa. Il Vice Presidente del Comitato deputato Ivano Strizzolo (PD) ha chiesto precisazioni circa l'entità numerica delle richieste di asilo politico. Il deputato Vincenzo Taddei (PDL) ha chiesto notizie in tema di pianificazione dei flussi degli ingressi per motivi di lavoro. Il deputato Teresio Delfino (UdC), rilevato che la pressione dell'immigrazione clandestina in Polonia appare meno intensa di quella cui sono sottoposti altri Paesi, ha sottolineato la importanza di un forte sostegno comunitario alle politiche e azioni per il controllo dell'immigrazione gestite dai Paesi più soggetti, per ragioni geografiche ed economiche, a tale pressione, e ha domandato se la Polonia condivida l'esigenza di questo forte e mirato sostegno comunitario.
  La rappresentanza del Parlamento polacco, dopo aver sottolineato nuovamente lo sforzo e la solerzia della Polonia nell'adeguare la propria legislazione in tema sia di immigrazione che asilo a quella europea, ha precisato che anche in Polonia i cittadini di Paesi extracomunitari devono essere forniti, ai fini dell'ingresso, di apposito visto, non richiesto solo in casi particolari in base agli accordi transfrontalieri. Nel 2009 sono stati negati 27.000 visti; più di 2000 persone sono state fermate alle frontiere mentre tentavano di entrare illegalmente in Polonia e le espulsioni sono state più di 3000. Il servizio immigrazione svolge il compito di individuare coloro i quali soggiornano illegalmente, e in proposito ciò che emerge e che non si hanno tanto ingressi illegali, quanto permanenze in Polonia dopo la Pag. 100scadenza del visto di ingresso. Dal 2009 si è verificata una flessione delle domande di asilo politico: da 3607 a 2600 dai primi nove mesi del 2009 ai primi nove mesi del 2010. Ciò dipende dal ritorno volontario nel proprio Paese di molti dei richiedenti. Circa la presenza di un consistente numero di immigrati dal sud est asiatico, è stato osservato che si tratta di soggetti arrivati per lo più in Polonia prima del 1990.
  La sera di giovedì 21 ottobre, presso la sede dell'ambasciata, la delegazione del Comitato ha inoltre incontrato il senatore Marek Ziolkowski, Vice Presidente della Camera Alta (Senato), con il quale si è avuto luogo un approfondito scambio di informazioni e valutazioni sulle politiche dell'immigrazione nei due Paesi, in raccordo con le politiche europee dell'immigrazione attuali e in prospettiva.
  La giornata di venerdì si è aperta con la visita presso l'Agenzia europea per la sicurezza e l'immigrazione FRONTEX. Qui la delegazione del Comitato è stata ricevuta dal Direttore Ilkka Laitinen, che ha illustrato ai componenti della delegazione parlamentare l'organizzazione ed il funzionamento della Agenzia, servendosi anche di slides.
  La missione di FRONTEX è il coordinamento delle azioni di frontiera della UE, nel rispetto dei valori e delle regole della UE in materia di diritti della persona e di libera circolazione. Successivamente all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, hanno assunto maggiore importanza la prevenzione e la lotta al crimine, sempre però nello spirito per cui il controllo dei confini non deve diventare un ostacolo alla libera circolazione dei cittadini comunitari.
  La cooperazione integrata fra Paesi UE nelle materie di competenza di FRONTEX attiene a cinque aree tematiche: il controllo ai confini, che rappresenta la parte più operativa e tangibile; la lotta alla criminalità organizzata internazionale; i condizionamenti geografici della cooperazione; la cooperazione tra agenzie deputate alla applicazione della legge; la legislazione in vigore nei diversi Paesi. La sicurezza dei confini è parte integrante della sicurezza interna, nonché correlata a tutti gli altri aspetti legati alle frontiere: la politica estera, il commercio, ecc.
  Per FRONTEX ha valore strategico la conoscenza/consapevolezza di quanto accade ai confini, prerequisito per le eventuali, opportune reazioni. La responsabilità delle frontiere spetta ai relativi Paesi, ma la funzione di FRONTEX è il coordinamento della collaborazione dei Paesi membri, al fine di un'efficace cooperazione e di una sana gestione di risorse finanziarie ed umane. Il rispetto della persona umana rappresenta un valore da salvaguardare; l'efficace comunicazione con autorità e pubblico un obiettivo da perseguire, insieme ad un efficace lavoro di gruppo, indispensabile nel coordinamento di forze, ad un'alta professionalità per la conquista della fiducia necessaria per gli scopi da realizzare. L'Italia, con i suoi due centri di Gaeta e Cesena, è il Paese che ha apportato il maggior contributo nel 2010 e tale trend sarà prevedibilmente confermato nel 2011.
  Quello in corso è il secondo anno consecutivo nel quale ai confini si rileva una diminuzione del 24% del flusso migratorio nell'Unione europea. Dal 2008 al 2009 la riduzione era stata del 30%. Alla base del fenomeno vi sono motivi di ordine economico – crisi finanziaria mondiale, particolarmente sentita in Europa, con conseguente riduzione Pag. 101della richiesta di manodopera – ma anche, in alcuni Paesi membri, l'adozione di più rigorose politiche migratorie, nonché il rafforzamento della collaborazione con Paesi non UE che costituiscono, per posizione geografica, territorio di provenienza o transito dei flussi migratori verso la UE. In sostanza, si è preso atto della diretta correlazione tra pressione migratoria e cooperazione con paesi extra-UE, e i Paesi membri hanno sviluppato una migliore capacità di controllare le frontiere. In questo contesto si inserisce il trattato stipulato tra Italia e Libia, che ha ridotto considerevolmente le dimensioni del fenomeno migratorio nel mar Mediterraneo. Attualmente il flusso migratorio è concentrato in Grecia e Turchia, attraverso i quali Paesi quale transita il 90% dei flussi di immigrazione: dunque, si è verificato uno spostamento del fenomeno dai confini marittimi a quelli terrestri. Il flusso dalla Turchia alla Grecia è in allarmante peggioramento: se si confrontano i dati del 2009 a quelli del 2010 si può constatare un aumento del 400%. E infatti, è in quella zona che è ora impiegata la maggior parte delle risorse UE per le politiche in tema di controllo dell'immigrazione.
  FRONTEX è un'agenzia giovane, che ha al bilancio cinque anni di attività. Il Consiglio di Amministrazione è costituito dai vertici della guardia di frontiera dei Paesi membri, caratterizzati da alta professionalità nelle modalità di coinvolgimento. Il 75% delle risorse confluite in FRONTEX torna ai Paesi membri a titolo di rimborso per operazioni congiunte. L'organizzazione consta di tre divisioni: alla operativa spetta la funzione di coordinare la cooperazione; alla amministrativa la gestione e la formazione delle risorse umane e la gestione di quelle tecniche; infine una ulteriore divisione svolge l'analisi del rischio e la programmazione.
  Dal 2006 al 2009 l'attività dell'Agenzia FRONTEX, fatta di azioni congiunte nei «punti caldi», di scambio di informazioni, di utilizzo sincronizzato di mezzi tecnici, è decuplicata, fattori che permettono di incrementare l'intensità delle operazioni sono i finanziamenti, le capacità personali e la determinazione e la volontà dei Paesi membri. Gli aeroporti costituiscono importanti strutture per il controllo delle frontiere, anche se le operazioni congiunte che vi si svolgono sono poco visibili ai passeggeri in transito. FRONTEX, ha un ruolo di assistenza nelle operazioni di rimpatrio non volontario, durante le quali il Paese membro interessato organizza la scorta dei soggetti nell'ambito di operazioni congiunte che FRONTEX, contribuisce a finanziare. Ogni anno vengono effettuati rimpatri di circa 2000 persone, con una frequenza di circa una operazione a settimana, per un totale di 40 – 50 l'anno. In tali casi vengono utilizzati speciali aeromobili, noleggiati allo specifico scopo: l'effetto di tali operazioni è deterrente nei confronti del fenomeno dell'immigrazione illegale e riguardano coloro per i quali si sono svolti tutti i livelli di giudizio, ma sono, nel contempo, molto onerose. FRONTEX svolge anche un ruolo di mediatore tra mondo accademico e di ricerca e quello degli utilizzatori: l'Università di Bologna è un partner del programma base per la formazione dell'attività di ricerca e sviluppo.
  Ai fini della programmazione di ogni operazione, è necessario il consenso del Paese per l'utilizzo del mezzo interessato e FRONTEX provvede al rimborso delle spese del Paese ospitante dell'operazione Pag. 102nella misura del 55%. La complessità della procedura di consultazione dei Paesi membri incide purtroppo negativamente sulla tempestività degli interventi. Vengono, infatti, imposte troppe condizioni per l'uso dei mezzi; d'altra parte FRONTEX ha scelto di non acquistare i mezzi necessari alle operazioni, preferendo forme alternative alla acquisizione, come ad esempio il noleggio.
  Attualmente il Consiglio d'Europa sta discutendo il regolamento di FRONTEX. Dal 1o ottobre FRONTEX ha un ufficio distaccato nel Pireo, al servizio di Grecia, Cipro, Italia e Malta.
  A questa esposizione hanno fatto seguito interventi e domande dei componenti del Comitato Schengen. In particolare: la Presidente del Comitato onorevole Margherita Boniver, nel sottolineare che FRONTEX si trova attualmente in un momento di grande cambiamento, ha domandato se la strada che intende intraprendere è nel senso di diventare «bigger» o «better»; il senatore Piergiorgio Stiffoni (LNP) ha chiesto precisazioni in merito al prossimo ingresso della Romania all'accordo Schengen; il Vice Presidente del Comitato deputato Ivano Strizzolo (PD) ha sollecitato dettagli sulle squadre di intervento rapido; il Segretario di Presidenza del Comitato, deputata Ida D'Ippolito Vitale (PDL), ha chiesto informazioni sulla funzione di FRONTEX nell'ambito delle operazioni di rimpatrio; infine il deputato Terenzio Delfino (UdC) ha formulato domande sul regolamento in esame in Consiglio dell'Unione europea.
  Il Direttore di FRONTEX Ilkka Laitinen ha fornito risposte ai quesiti, precisando innanzi tutto che l'obiettivo di FRONTEX è di migliorare è non la crescita dimensionale ma il miglioramento della qualità del proprio lavoro e, più in generale, del coordinamento delle azioni di frontiera UE. In questa ottica va anche letto il bilancio di FRONTEX: sarebbe fuorviante intendere come costi non operativi quelli imputati, sul piano contabile, alle due direzioni di FRONTEX che si occupano di amministrazione e studi. E questo perché da una parte, allo svolgimento di molte operazioni partecipa personale amministrativo; dall'altra, la distinzione tra costi amministrativi e costi per attività operative va fatta in base ad una analisi funzionale delle spese, e non in base alla direzione che gestisce la spesa. Lo dimostra il fatto che su un totale di 265 risorse umane dipendenti da FRONTEX, ben 200 sono di natura operativa e solo le restanti 50 hanno compiti amministrativi. Inoltre, va sottolineato che, in quanto Agenzia «giovane», FRONTEX ha in questa prima fase di vita la necessità di dotarsi ex novo di impianti informatici e tecnici e sta investendo in infrastrutture, utilizzando anche le ingenti risorse finanziarie erogate dal Parlamento europeo negli anni 2007 e 2008. Questi costi, se per una contabilità formale appaiono amministrativi, sostanzialmente sono investimenti funzionali alla missione operativa.
  Precisato che FRONTEX non partecipa alle operazioni di valutazione in corso concernenti l'imminente entrata nell'area Schengen di Romania e Bulgaria, ha quindi osservato che attualmente l'area più impegnativa, che necessita di maggiori interventi, è rappresentata dai confini di Grecia e Turchia. Le squadre di intervento rapido non sono ancora state utilizzate perché non si è manifestata una reale situazione di emergenza; tali squadre rappresentano, infatti, l'ultima istanza in casi allarmanti. Pag. 103
  Per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio, la funzione di FRONTEX è di natura organizzativa, sia dal punto di vista umanitario, che logistico-amministrativo. Il fenomeno delle permanenze illegali rappresenta un problema sentito e di importanti dimensioni, del quale le sanzioni sono solo un aspetto della questione.
  Infine, ha ricordato che l’iter del regolamento attuativo in esame presso il Consiglio dell'Unione europea da marzo è ora in fase conclusiva: è previsto che il Parlamento europeo discuta la relativa bozza nel mese di novembre 2010, per concludere presumibilmente l’iter di approvazione di tale documento entro il primo trimestre del 2011.
  Successivamente all'incontro con i vertici di FRONTEX, la delegazione del Comitato si è trasferita presso la sede della Presidenza della Repubblica, per un incontro di circa un'ora con il Sottosegretario di Stato per gli affari internazionali della Presidenza della Repubblica, onorevole Jaromir Sokolowski. L'incontro è stato occasione per un approfondito e proficuo scambio di opinioni sulle tematiche dell'integrazione e dell'immigrazione, agevolato anche dalla diretta e buona conoscenza dell'Italia da parte del Sottosegretario Sokolowski.
  La missione si è quindi conclusa con i due successivi incontri presso il Ministero per gli affari Interni e l'amministrazione.
  Qui la delegazione ha dapprima avuto un breve incontro in forma ristretta con il Sottosegretario agli Interni Adam Rapacki.
  A questo ha fatto seguito un colloquio di circa un'ora con la Direttrice del Dipartimento UE Operazioni Internazioni del Ministero degli interni Malgorzata Kutyla.
  La dottoressa Kutyla ha innanzi tutto tenuto a sottolineare che la politica della sicurezza e dell'immigrazione adottata dalla Polonia è fortemente impegnata a garantire il pieno rispetto delle regole e degli standard di sicurezza e accoglienza dell'Unione Europea, quali derivanti dai trattati internazionali ed europei e dagli accordi di Schengen. In questo contesto, è stato riconfermato che le frontiere orientali – le uniche che la Polonia condivide con Paesi non facenti parte dell'Unione Europea: Ucraina e Bielorussia, oltre all'enclave russa di Kaliningrad – non costituiscono oggi in alcun modo un fattore di rischio per la sicurezza né della Polonia, né dell'Unione Europea, e possono essere considerate ben protette (mediante polizia di frontiera e strumenti tecnologici) e praticamente ermetiche. Infatti, il fenomeno dell'immigrazione irregolare in Polonia risulta ormai da anni quantitativamente insignificante, e il maggior numero di richieste di ingresso per motivi non turistico-lavorativi concerne richieste di asilo di persone che entrano legalmente in Polonia dalla frontiera bielorussa, senza visto in base agli accordi transfrontalieri esistenti. Ogni anno entrano così in Polonia circa 8000 richiedenti asilo, dei quali la grande maggioranza (circa 80-90 per cento) è costituita da cittadini russi di origine cecena. Per altro, nella maggior parte dei casi non viene concesso l'asilo, ma soltanto una «protezione temporanea» (provvedimento di «soggiorno temporaneo»), come consentito dalla legislazione comunitaria.
  Alla frontiera con l'Ucraina vige poi, in base ad uno specifico accordo trasnfrontaliero tra i due Paesi, un sistema cosiddetto di Pag. 104«ingresso facilitato», per il quale i cittadini ucraini hanno libertà di ingresso in Polonia per motivi di lavoro purché restino, all'interno della Polonia, entro una fascia di 30 chilometri dal confine. Un analogo accordo transfrontaliero è già stato sottoscritto anche con la Bielorussia, ma non è ancora operativo. E ancora, lo stesso tipo di accordo è in via di negoziazione con la Russia.
  Per quanto riguarda la gestione degli ingressi, si cerca di facilitare l'immigrazione di persone di origine polacca – tali spesso essendo le persone che abitano territori oggi bielorussi a nord del confine polacco – o che, pur senza tale origine, abbiano requisiti culturali/professionali corrispondenti ai fabbisogni del sistema del lavoro e della cultura polacco. Si cerca inoltre di favorire la conservazione dei legami degli immigrati col Paese di provenienza, sia per ragioni umanitarie e sociali che in una prospettiva di rientro, a medio termine, dell'immigrato nel Paese da cui proviene. E ancora, per tutte gli ingressi dettati da ragioni lavorative si opera affinché sia già noto, al momento dell'ingresso, il datore di lavoro: a tal fine, sono previste apposite procedure e documentazioni, ovviamente semplificate nel caso degli ingressi per lavoro stagionale (agricoltura, turismo).
  A questa esposizione hanno fatto seguito domande e richieste di chiarimenti da parte: del deputato Vice Presidente del Comitato Ivano Strizzolo (PD), che ha chiesto di conoscere le misure applicate nel caso di ingresso clandestino e di avere informazioni sulle modalità e strutture di accoglienza; della deputata e Segretario di Presidenza Ida D'Ippolito Vitale (PDL), che ha chiesto informazioni sulla provenienza della manodopera agricola, nonché se la Polonia possa essere utilizzata dalle rotte migratorie come mero Paese d'ingresso regolare, salvo poi transito in altri Paesi comunitari; del senatore Massimo Livi Bacci (PD), che ha chiesto chiarimenti sulle stime UE di uno stock complessivo di immigrazione irregolare in Polonia di circa 200 mila persone e sull'eventuale presenza di popolazioni di cultura nomade o provenienti dal terzo mondo; del deputato Teresio Delfino (UdC), che ha chiesto informazioni sull'assistenza sanitaria e sociale assicurata agli immigrati.
  La dottoressa Malgorzata Kutyla ha precisato che la procedura prevista in presenza di una richiesta di asilo prevede la acquisizione delle impronte digitali e la sistemazione del richiedente in un Centro per rifugiati, nei quali sono erogati servizi di assistenza medica e interpretariato. Quindi si attiva la procedura per verificare la sussistenza o meno dei presupposti legali per l'asilo. Durante il giorno, gli ospiti dei Centri per rifugiati sono autorizzati ad uscirne, rientrando la sera.
  La manodopera agricola proviene essenzialmente da Bielorussia e Ucraina. Per altro, va ricordato che i territori della Bielorussia confinanti col nord della Polonia erano spesso polacchi prima del secondo conflitto mondiale, e questo, in uno con l'origine polacca e la conoscenza della lingua da parte delle relative popolazioni, è tra i motivi di tale flusso.
  Esclude, quindi, che la Polonia possa rappresentare una meta attraente per popolazioni di cultura nomade e per immigrati dal terzo mondo, sia per ragioni climatiche (l'inverno è molto freddo e disagevole al di fuori di strutture edilizie adeguate), sia perché i salari Pag. 105e l'assistenza sociale sono più modesti rispetto a quelli di altri Paesi europei. Le meta preferita, per il livello di assistenza sociale, è l'Austria, mentre Francia e Belgio sono mete privilegiate dei ceceni che chiedono l'asilo di seconda istanza.
  Per quanto riguarda la questione del transito verso altri Paesi UE, può naturalmente succedere – in Polonia come altrove nella UE, e comunque non su scala significativa – che una persona entri regolarmente in Polonia per esempio con un visto temporaneo e, poi, passi in altri Paesi UE, nei quali diviene col tempo irregolare. Comunque, quando ciò succeda, l'irregolare viene rimandato in Polonia dal Paese UE in cui è stato individuato.
  Infine, precisa che i richiedenti asilo possono permanere nei Centri appositi fino a un anno e in tale periodo ricevono sussidi finanziari, sono aiutati nello studio della lingua polacca e a trovare lavoro. Dopo il primo anno l'ospitalità del Centro richiedenti asilo cessa e il rifugiato deve provvedere autonomamente alle proprie esigenze; l'assistenza linguistica e scolastica continua ad essere assicurata soltanto ai bambini.
  Al termine di questo incontro la delegazione del Comitato parlamentare è ripartita alla volta di Roma.

Relazione sulla missione svolta a Crotone
(18 febbraio 2011)

  Venerdì 18 febbraio 2011 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, sull'attività di Europol e in materia d'immigrazione si è recata – conformemente a quanto deliberato in precedenza dall'Ufficio di Presidenza del Comitato – in missione a Crotone, per visitare il centro di accoglienza CdA – CARA sito in S. Anna di Isola Capo Rizzuto, messo a disposizione in seguito all'emergenza causata dai recenti e massici sbarchi di immigrati dal nord Africa e per incontrare i rappresentanti delle Istituzioni e delle Amministrazioni locali e gli operatori delle associazioni attive nel settore dell'assistenza agli immigrati.
  La delegazione, costituita dal Presidente Margherita Boniver, dal Segretario Ida D'Ippolito Vitale, dal senatore Massimo Livi Bacci (PD), dal senatore Piergiorgio Stiffoni (LNP), dal deputato Vincenzo Taddei (PdL), è stata accolta dal Prefetto Vincenzo Panico e dal Questore Giuseppe Gammino.
  Il centro di accoglienza, ubicato ad Isola di Capo Rizzuto, è il più grande d'Europa ed è gestito dall'associazione di volontariato Misericordie, coadiuvata da altre organizzazioni quali la Caritas e le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani). La struttura offre un alloggio all'immigrato, provvede alla sua identificazione con la collaborazione delle forze di polizia, assicura il servizio sanitario e la fornitura di vestiario, prodotti per l'igiene personale, lenzuola e coperte, oltre alla distribuzione di pranzo e cena, in orari prestabiliti e dietro esibizione di tessera identificativa. Su tale tessera vengono accreditati quotidianamente 3,50 euro utilizzabili esclusivamente presso il corner shop all'interno del Centro.Pag. 106
  All'immigrato è consentito uscire dal Centro tutti i giorni dalle 8.00 alle 20.00 e, in caso di allontanamento non autorizzato dalla Prefettura, cessano le condizioni di accoglienza. Il Centro fornisce, inoltre, servizio di lavanderia, barberia, postale, fax, interpretariato, navetta, assistenza sociale, legale e psicologica. Attività di intrattenimento di carattere sportivo, ludico e ricreativo sono organizzati all'interno del Centro, oltre a corsi di lingua italiana e laboratori riservati esclusivamente alle donne per attività di alfabetizzazione, istruzione, cucito, ricamo, disegno e pittura. Sono stati previsti spazi dedicati alla preghiera, una ludoteca per i bambini, seguiti da operatrici specializzate. Inoltre ogni immigrato può utilizzare un servizio di bus navetta fino a Crotone, particolarmente utile vista l'ubicazione decentrata delle strutture di accoglienza.
  Dopo la visita al CdA ed al CARA (il CIE è in fase di ristrutturazione, pertanto non operativo) la delegazione, presso i locali della Prefettura, ha incontrato il Prefetto Vincenzo Panico, la Vice Presidente della Regione Calabria Antonella Stasi, il Questore Giuseppe Gammino, il Tenente Colonnello del Comando Provinciale dei Carabinieri Luigi Di Santo, il Tenente Colonnello del Comando Provinciale della Guardia di Finanza Teodosio Marmo, i Sindaci dei Comuni di Crotone Peppino Vallone e di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole, il Consigliere della Provincia di Crotone Giuseppe Frandina, il Presidente della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale Francesca Buccino, il deputato calabrese PdL Giovanni Dima.
  Ai parlamentari sono stati rappresentati i problemi conseguenti alla massiccia presenza di sbarchi di immigrati su di un ridotto territorio, ospitati in una struttura progettata per una capienza di 1200 unità, contro una attuale presenza di 1500 unità, che rischia il collasso. Sono state espresse aspettative nei confronti del Governo centrale in merito ad un programma ed un progetto politico di base in materia di immigrazione, a supporto di un territorio che sta sopportando il peso di una eccezionale emergenza umanitaria con conseguenza di ordine sociale: prostituzione, piccoli episodi di microcriminalità. La nazionalità dei presenti nel centro è prevalentemente costituita da quella tunisina (45%), seguita da quella afghana (18%). Sono registrate anche presenze di nazionalità pakistana (14%), irachena (8%), turca (4%).
  Terminato l'incontro con i rappresentanti delle istituzioni, si è svolta una tavola rotonda con rappresentanti delle associazioni operative nell'assistenza agli immigrati.
  In particolare con il Governatore delle Misericordie d'Italia di Isola Capo Rizzuto Leonardo Sacco, il Commissario Antonio Greco, della Croce Rossa Italiana, con il rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati (UNHCR) Andrea De Bonis, con il rappresentante dell'Organizzazione Internazionale Migrazioni (OIM) Alessia Pignolo, con Don Giuseppe Noce, della Caritas diocesana, con il Presidente di Agorà Kroton Pino De Lucia Lumeno.
  La missione si è conclusa con una conferenza stampa con gli organi di informazione locali. La delegazione parlamentare ha Pag. 107espresso apprezzamento e soddisfazione per il modo in cui tale emergenza viene gestita, con la consapevolezza della necessità di prepararsi a nuove emergenze.

Relazione sulla missione svolta a Gradisca d'Isonzo
(11 marzo 2011)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, venerdì 11 marzo 2011 una delegazione del Comitato composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dal Segretario Ida D'Ippolito Vitale (PdL), dal senatore Carlo Pegorer (PD), dal senatore Piergiorgio Stiffoni (LNP), si è recata in missione a Gradisca d'Isonzo (Gorizia), per visitare il Centro di identificazione ed espulsione (CIE) e il Centro di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) degli immigrati ivi assegnati, e svolgere alcuni incontri nella materia di competenza del Comitato, in seguito al recente clima di tensione ed ai conseguenti incendi, atti di vandalismo ed insurrezioni verificatisi in tali centri.
  Preliminarmente alla visita si è tenuto un incontro presso la Prefettura di Gorizia con i rappresentanti delle istituzioni locali: il Prefetto di Gorizia, dottoressa Maria Augusta Marrosu, il Questore di Gorizia, Pier Riccardo Piovesana, il Sindaco di Gorizia, Ettore Romoli, il Sindaco di Gradisca d'Isonzo, Franco Tommasini, il Sindaco di Sagrado, Elisabetta Pian, il Presidente della Provincia di Gorizia, Enrico Gherghetta, il consigliere della Regione Friuli Venezia Giulia, Giorgio Brandolin, il direttore del servizio polizia locale e sicurezza della Regione Friuli Venezia Giulia, Roberto Rossetto. In un successivo incontro sono stati ascoltati esponenti delle associazioni umanitarie attive sul posto e di diverse sigle di sindacati di polizia.
  Durante la tavola rotonda il Prefetto Marrosu ha informato la delegazione circa le condizioni dei centri per immigrati: in particolare il CARA è ora saturo di ospiti, mentre il CIE (nel quale sono in corso lavori per incrementarne la sicurezza), in seguito all'incendio di ventisette stanze, ne dispone di sole due utilizzabili, della capienza di otto unità ciascuna, ma attualmente occupate da cento immigrati.
  Il Questore Piovesana ha aggiunto che, nonostante il centro sia stato progettato per ospitare una sola categoria di immigrati, l'attuale popolazione ha precedenti penali ed è trattenuta da provvedimenti amministrativi. Dalla fine del mese di agosto 2010 non si sono più verificate fughe, ma è iniziata un'intensificazione ed un netto peggioramento di comportamenti vandalici che hanno causato danneggiamenti di telecamere, del sistema antincendio della struttura, dei materassi e delle serrature, al fine di ritardare ed ostacolare l'intervento dei vigili del fuoco, sotto organico per l’escalation del fenomeno vandalico.
  I recenti sbarchi ed arrivi, conseguenti la crisi nel Mediterraneo, hanno comportato un aggravamento degli episodi di danneggiamento, Pag. 108che già si erano verificati in passato. Coloro che sono stati arrestati per incendio doloso sono stati già processati e condannati per direttissima.
  Il Sindaco di Gradisca d'Isonzo ha sottolineato che, nonostante la particolare delicatezza della difficoltosa situazione, si è deciso di non modificare la linea politica, esprimendo, nel contempo, il parere favorevole alla chiusura del centro a causa dei danni di immagine, oltre che materiali, al senso di allarmismo, di disagio ed insicurezza che sta originando nella popolazione locale, che vive di turismo e commercio. Il senso di disagio è comune agli stessi ospiti del centro, gli stessi che hanno contribuito al suo sfascio e danneggiamento, che occorre, però, mettere in condizione di sicurezza insieme agli operatori che vi operano. A tale fine appare opportuno e ragionevole coinvolgere altri Comuni.
  Il Presidente della Provincia di Gorizia ha osservato l'opportunità di riformare la politica dell'immigrazione in seguito al fenomeno della globalizzazione e in assenza, ormai, di blocchi contrapposti in politica internazionale e di un ripensamento in merito alla politica protezionista.
  Il centro di accoglienza viene percepito dalla popolazione locale come causa di spreco di denaro pubblico (il costo annuo ammonta ad otto milioni di euro), origine di criticità e problemi.
  Il consigliere Brandolin auspica che l'attuale situazione di emergenza sia risolta spalmandola sul territorio regionale, anche con l'utilizzazione di caserme militari, come già avvenuto in analoghe, passate circostanze.
  I sindacati delle forze dell'ordine hanno evidenziato la necessità di un intervento per organizzare e rafforzare l'insufficiente organico del personale operante nel centro. Inoltre hanno denunciato la totale impermeabilità del centro a monitoraggi di soggetti esterni, sia da parte di organi di informazione, che di associazioni umanitarie e spesso anche di istituzioni locali, con i quali i rapporti sono pressoché inesistenti.

Relazione sulla missione svolta nell'isola di Lampedusa
(22 marzo 2011)

  Martedì 22 marzo 2011 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, sull'attività di Europol e in materia d'immigrazione, composta dalla Presidente Margherita Boniver, dal Vice Presidente Ivano Strizzolo e dal senatore Massimo Livi Bacci, si è recata in missione a Lampedusa, per verificare urgentemente sul posto la grave situazione conseguente al sensibile aumento degli sbarchi di migranti sull'isola, successivamente allo scoppio del conflitto libico e ai connessi recenti sviluppi internazionali della crisi.
  La situazione che la delegazione ha riscontrato sull'isola è apparsa fin dal primo momento particolarmente drammatica: durante il volo, infatti, subito prima dell'atterraggio a Lampedusa la delegazione ha avuto modo di avvistare una barca carica di migranti che si avvicinava Pag. 109alle coste dell'isola scortata da una motovedetta della Guardia di Finanza. Successivamente il barcone ha sbarcato sul molo commerciale del porto di Lampedusa (appositamente adibito agli sbarchi dei migranti) un carico di circa 60 persone, che hanno raggiunto la folla di migranti già presente sulla banchina e in attesa di trovare una sistemazione adeguata.
  La delegazione del Comitato ha inteso manifestare anzitutto la propria solidarietà agli abitanti dell'isola, evidentemente schiacciati dal peso di un'accoglienza eccessiva rispetto alle strutture previste e alle risorse disponibili. La delegazione ha pertanto incontrato, oltre al Prefetto Vicario Diomedi che ha curato l'organizzazione della visita, il Sindaco di Lampedusa, De Rubeis, nonché i rappresentanti delle Forze dell'ordine presenti in loco (Questore, Carabinieri, Aeronautica, Guardia di Finanza, Guardia costiera). Nell'ambito della Conferenza stampa finale inoltre sono stati ascoltati rappresentanti della Giunta Comunale e dei cittadini.
  In tutti questi incontri, l'aperta e pressante richiesta di aiuti diretta al Governo ha riguardato non tanto il finanziamento di ulteriori strutture per l'accoglienza sull'isola, quanto la predisposizione di un efficace e urgente servizio di trasferimento dei migranti dall'isola in altri luoghi del territorio nazionale, anche in vista dell'imminente stagione turistica. In particolare, lo stato di grave emergenza in cui si trova l'isola, che la delegazione del Comitato ha potuto constatare direttamente, è caratterizzato da alcune evidenti criticità, che si stanno acuendo nelle ultime ore fino al limite del tollerabile, non solo per i migranti, ma anche per la popolazione residente.
  Tali criticità si possono così riassumere:
   Il numero dei migranti presenti sull'isola al 21 marzo ha superato quello della popolazione residente (si parla di 4.760 migranti contro 4.500 residenti circa). La maggior parte di questi si trova sparsa sul territorio dell'isola, considerato che il Centro di accoglienza (che ha una capienza massima di circa 800 persone) non può accoglierli tutti, nonostante il fatto che sia stata ampliata la capienza anche con l'allestimento di un limitato numero di tende. Una parte di questi migranti è stata accolta in strutture decentrate e controllate, temporaneamente adibite allo scopo (come ad esempio i minori e/o i pochi nuclei familiari sbarcati in questi giorni). Un'altra grande parte di essi non trova accoglienza in alcuna struttura (permanente o temporanea) e pertanto pernotta all'addiaccio sul territorio, con preferenza per le aree della zona portuale e l'edificio (coperto) della stazione marittima, che si trova in condizioni comprensibilmente penose. In tutti i casi descritti, non esiste alcuna disponibilità di servizi igienici adeguati o anche soltanto di fortuna.
   L'identificazione di migranti, come avviene anche negli altri luoghi di sbarco in Italia, appare particolarmente difficoltosa, in quanto la quasi totalità di essi non è in possesso di documenti di identità, molti di essi anzi dichiarano di essere minorenni per usufruire delle norme di legge più favorevoli che ne impediscono l'espulsione. Più dell'80% di essi è costituito da adulti maschi in un'età molto giovane (per lo più fra i 20 e i 30 anni): non risultano Pag. 110recentemente sbarcati né anziani, né un significativo numero di nuclei familiari, mentre la percentuale delle donne non supera il 20%.
   È di tutta evidenza che la stragrande maggioranza dei migranti sbarcati sull'isola nelle ultime settimane è di nazionalità tunisina: molti di questi tuttavia presentano domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, che come tale deve essere vagliata dalle autorità competenti. Ciò li obbliga ai tempi di permanenza necessari oltre che all'identificazione, anche alla successiva valutazione della richiesta di asilo: tempi relativamente lunghi, di cui i migranti non sono evidentemente a conoscenza (si aspettano infatti di essere rilasciati nell'arco di pochi giorni).
   È significativo che più del 90% di tali migranti di nazionalità tunisina dichiarino con assoluta certezza di volersi recare in Francia a lavorare, nel più breve tempo possibile; alcuni di loro sembrano anche ignorare il fatto di trovarsi su un'isola di dimensioni molto limitate, ciò che richiede mezzi e risorse per trasferirsi in altro luogo, senza contate i tempi necessari alla loro identificazione e/o riconoscimento dello status di richiedente asilo. Per questi motivi, oltre che per le precarie e difficilissime condizioni igienico-sanitarie, la situazione di molti di questi migranti diventa particolarmente pericolosa per la convivenza nei centri e nelle aree dove di fatto molti di essi soggiornano, innescando tra di essi diffuso malcontento, proteste generalizzate accompagnate spesso da atti di vandalismo e/o di autolesionismo.
    All'arrivo nell'isola, ai migranti vengono distribuite una tessera telefonica, per mettersi in contatto con i familiari, una razione giornaliera di 10 sigarette, una somma giornaliera di 5 euro. All'interno del Centro di accoglienza è in funzione una cucina atta a preparare e distribuire 5000 pasti al giorno. Sull'erogazione di questo servizio di assistenza, molto efficiente, pesa tuttavia l'incognita derivante dal fatto che la permanenza dei migranti sull'isola è allo stato attuale del tutto indeterminata.
    Al 21 marzo era appena cominciata l'operazione di evacuazione dei migranti dall'isola a mezzo di aeromobili messi a disposizione dall'aeronautica e dalla Guardia di Finanza. Tuttavia autorità locali e rappresentanti dei cittadini hanno evidenziato come il numero dei trasferimenti di migranti già operati risulti ampiamente inferiore al ritmo giornaliero degli sbarchi (nell'ultima operazione di evacuazione effettuata il rapporto era di 300 trasferimenti contro 1000 persone sbarcati nell'arco della stessa giornata).

Pag. 111

ALLEGATO 2

INDAGINE CONOSCITIVA

Diritto di asilo, immigrazione ed integrazione in Europa.

Documento conclusivo approvato dal Comitato.

INDICE

1. Introduzione.
2. La cornice normativa del diritto di asilo.
2.1. Le norme internazionali.
2.2. Le politiche e la normativa dell'Unione europea in materia di asilo.
2.3. La normativa italiana.
3. I flussi migratori misti e la gestione delle crisi umanitarie.
4. Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo.
5. Le tutele del richiedente asilo nella procedura di presentazione ed esame della domanda.
6. Politiche di integrazione per i beneficiari di protezione internazionale.
7. Conclusioni.

1. Introduzione.

  Gli esiti dell'indagine conoscitiva sulle nuove Politiche europee in materia di immigrazione, conclusa dal Comitato nell'estate del 2011, apriva alcune prospettive di confronto politico e di approfondimento sui temi dell'integrazione dei flussi di migranti e in particolare sull'effettiva attuazione del diritto di asilo nel nostro Paese, in presenza di alcune criticità giuridiche e politiche riscontrate nel corso delle audizioni. L'assenza di una adeguata legislazione organica sulla materia dell'asilo, infatti, e la concomitanza di alcuni eventi di rilevanza globale, come la grave emergenza migratoria seguita alla cosiddetta primavera araba dell'inizio del 2011, avevano portato alla ribalta dell'opinione pubblica italiana ed europea nella prima metà del 2011 la necessità di conciliare – nell'immediato e per il futuro – un'adeguata tutela dei diritti dei profughi con l'esigenza di un efficace controllo delle frontiere dell'area Schengen.
  Per tale motivo, il Comitato ha deliberato il 25 ottobre 2011 lo svolgimento di una nuova indagine conoscitiva incentrata esclusivamente sui nodi irrisolti delle politiche di integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo in particolare, che erano emersi nel corso della precedente indagine, in connessione con la questione di una efficace attuazione della normativa in materia di asilo. Su questo punto in Pag. 112particolare, era interesse specifico del Comitato approfondire il tema delle tutele e delle garanzie previste per l'accoglienza e il trattenimento dei richiedenti asilo e i problemi connessi alla necessità della loro identificazione con le relative garanzie di informazione, nonché la tempistica per la definizione delle domande di asilo e, in ultimo, l'attuazione delle misure previste per prevenire l'uso strumentale delle domande di asilo.
  Con questi precisi obiettivi, dal 29 novembre 2011 all'11 dicembre 2012 il Comitato ha svolto una serie di audizioni, comprendente rappresentanti del Governo e delle istituzioni nazionali, europee e internazionali, nonché esponenti della società civile e degli organismi responsabili o impegnati nel settore della tutela dei diritti dei richiedenti asilo e degli immigrati in Europa.
  In particolare sono stati auditi i seguenti soggetti: il Direttore generale dell'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani (29/11/11); il Capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione presso il Ministero dell'interno, Angela Pria (20/12/11); il Commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca (07/02/12); il Ministro per la cooperazione internazionale e l'immigrazione, Andrea Riccardi (28/02/12); il Capo missione dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) in Italia, Josè Oropeza (08/05/12); il Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, Alfonso Pironti (05/06/12); il Direttore dell'Ufficio ILO (International Labour Office) per l'Italia e San Marino, Luigi Cal (03/07/12); una delegazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome (10/07/12); il responsabile dell'Ufficio immigrazione della Caritas italiana, Oliviero Forti (24/07/12); il Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi (11/09/12); il Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri (25/09/12); il Direttore del CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), Christopher Hein (23/10/12); il Capo dell'Ufficio operazioni aeronavali della Guardia di finanza, Michele Dell'Agli (06/11/12); il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero (11/12/12).
  Il Comitato ha quindi svolto le seguenti missioni: in Tunisia, il 18 e 19 gennaio 2012; in Bulgaria, il 14 e 15 marzo 2012, in Turchia, dal 16 al 18 maggio 2012, in Romania, il 10 e l'11 ottobre 2012, nei Paesi Bassi, il 5 e 6 dicembre 2012.

2. La cornice normativa del diritto di asilo.

  Una delle finalità dichiarate dell'indagine conoscitiva era quella di approfondire anzitutto il quadro normativo del diritto di asilo, soffermandosi in particolare sulle questioni connesse alla condizione giuridica dei richiedenti asilo e dei rifugiati in genere, mettendo a fuoco in particolare lo stato di attuazione e le eventuali possibilità di miglioramento di queste norme. Le audizioni svolte in questo senso soprattutto dagli esponenti del Governo hanno contribuito a fornire un quadro informativo molto esauriente sia delle norme europee e internazionali, sia della loro attuazione a livello nazionale, nonché delle prospettive di riforma a livello di Unione europea, comprendenti anche le ipotesi di revisione del sistema Schengen.

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2.1. Le norme internazionali.

  Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato, per il quale non è sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente conculcate le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.
  Secondo il diritto internazionale, presupposto per l'applicazione del diritto di asilo è la nozione di rifugiato internazionale, cioè di colui che, direttamente (mediante provvedimento di espulsione o impedimento al rientro in patria) o indirettamente (per l'effettivo o ragionevolmente temuto impedimento dell'esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali), sia stato costretto dal Governo del proprio Paese ad abbandonare la propria terra e a rifugiarsi in un altro Paese, chiedendovi asilo.
  Questa nozione risulta ulteriormente specificata dall'articolo 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati, che indica i seguenti motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato: discriminazioni fondate sulla razza; discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico); discriminazioni fondate sull'appartenenza ad un determinato gruppo sociale; limitazioni al principio della libertà di culto; persecuzione per le opinioni politiche. L'articolo 32 della Convenzione prevede espressamente il divieto di espulsione del rifugiato che risieda regolarmente nel territorio di uno degli Stati contraenti se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.
  L'Italia, con la L. 523/1992, ha ratificato la Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea, in ottemperanza alle statuizioni della Convenzione di Ginevra. La convenzione ora di fatto è sostituita dal c.d. Regolamento Dublino II (Regolamento (CE) n.1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo). In particolare, gli Stati membri si impegnano affinché la domanda di asilo loro presentata da parte di qualsiasi straniero sia esaminata dallo Stato competente (i criteri di individuazione della competenza sono indicati dagli artt. 5-8 della Convenzione) in conformità alla sua legislazione ed agli obblighi internazionali.

2.2. Le politiche e la normativa dell'Unione europea in materia di asilo.

  Con lo svolgimento dell'indagine il Comitato era interessato a ricostruire e seguire da vicino il processo europeo relativo alla costruzione e al completamento del Sistema europeo comune di asilo (cosiddetto SECA), anche attraverso il ruolo svolto dal Governo in occasione dei frequenti e difficili negoziati europei sulla materia. Pag. 114
  Già nel Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, dell'ottobre 1999 fu definita una politica comune dell'Unione europea in materia di immigrazione e di asilo di carattere globale, tale cioè da abbracciare le questioni della tutela dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi d'origine dei flussi migratori. A questa prima fase (1999-2004), che ha comportato l'adozione di un importante numero di strumenti giuridici, volti a creare norme minime comuni in settori come le condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo, le procedure di asilo, i requisiti per l'attribuzione della qualifica, è seguito il Consiglio europeo dell'Aja del novembre 2004, che ha confermato il programma di Tampere e ha posto le basi per la realizzazione di una seconda fase della politica europea in materia di asilo, volta a instaurare entro il 2010 un regime comune in materia di asilo valido nell'intera Unione.
  Il 17 giugno del 2008, la Commissione europea ha adottato la Comunicazione sulla politica di immigrazione comune e il Piano strategico per l'asilo, in cui si esponevano le misure per portare a termine la seconda fase del sistema europeo comune di asilo, migliorando a livello comunitario la definizione degli standard di protezione e prevedendo una serie di modifiche alla legislazione vigente dei singoli Stati membri per superare le disparità esistenti nell'attuazione delle politiche di asilo.
  La strategia di armonizzazione si basava in particolare su alcuni punti: garantire l'accesso all'asilo a chi ne ha bisogno; stabilire una procedura comune di asilo; individuare uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale; tenere conto della dimensione di genere e delle particolari esigenze dei gruppi vulnerabili; intensificare la cooperazione tra gli Stati membri sulle questioni pratiche; stabilire norme sulla determinazione delle responsabilità degli Stati membri e sui meccanismi di sostegno alla solidarietà; garantire la coerenza con le altre politiche che incidono sulla protezione internazionale.
  Il Fondo europeo per i rifugiati, nato originariamente per realizzare gli obiettivi del programma di Tampere, contribuisce alla realizzazione pratica del Sistema unico europeo di asilo, finanziando progetti di capacity building per creare a favore dei beneficiari soluzioni di accoglienza durature nel tempo. Rientra nel completamento del Sistema anche la recente istituzione dell'EASO (European Asylum Support Office), con compiti di sostegno alla cooperazione pratica in materia di asilo, attraverso l'individuazione di best practices e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. Questa struttura sostiene altresì ogni azione a favore dei Paesi dell'Unione europea, i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a forte pressione, a causa della loro situazione geografica o demografica o di situazioni caratterizzate dall'improvviso arrivo di un vasto numero di cittadini extracomunitari.
  È stato ribadito più volte dal Consiglio dell'Unione che il 2012 avrebbe dovuto essere l'anno della compiuta realizzazione del Sistema europeo comune d'asilo, attraverso il completamento di quella che viene definita la seconda fase del progetto. Il processo avrebbe dovuto condurre al completamento del Sistema attraverso la riforma dell'intero pacchetto delle tre direttive comunitarie in materia (concernenti l'accoglienza dei richiedenti asilo, la procedura e la qualifica per la Pag. 115protezione internazionale), nonché del sistema Dublino, con la revisione dei regolamenti Dublino II (v. infra) e del sistema EURODAC (Dattiloscopia europea).
  Le audizioni svolte dal Comitato, in particolare quelle del Ministro degli affari europei e del Capo della Rappresentanza permanente a Bruxelles, hanno messo in luce i graduali – ma sostanzialmente lenti – progressi del negoziato europeo relativo al completamento del Sistema unico di asilo, processo che ha comportato e comporta l'adozione di un pacchetto di provvedimenti normativi volti a ravvicinare ulteriormente le legislazioni degli Stati membri in tema di condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, di procedure comuni per il riconoscimento della protezione internazionale e il ravvicinamento dei diritti garantiti dallo status di rifugiato e da quello di beneficiario di protezione sussidiaria.
  Il corpus normativo europeo sulla materia si compone delle tre direttive conosciute come direttiva «accoglienza» (direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri); direttiva «procedure» (direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato); direttiva «qualifiche» (direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta).
  Lo scopo che si intende perseguire con questa normativa, in fase di continuo aggiornamento, è quello di ridurre il margine di discrezionalità degli Stati membri nel definire gli standard di accoglienza dei richiedenti asilo a livello nazionale, in uno sforzo di armonizzazione teso ad evitare la ricerca, da parte dello straniero, del cosiddetto «trattamento migliore» (direttiva «accoglienza»). La direttiva «procedure» mira a costituire una procedura unica per entrambe le forme di protezione internazionale, cioè per lo status di rifugiato e per i beneficiari di protezione sussidiaria, mentre la direttiva «qualifiche», mira a garantire standard più elevati di protezione ai richiedenti asilo, procedendo a un riavvicinamento dei diritti garantiti dai due differenti status di protezione.
  I negoziati sul Sistema comune europeo di asilo coinvolgono come si è detto anche la revisione del cosiddetto «Regolamento Dublino II», che fissa i criteri di individuazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, nonché la revisione del regolamento Eurodac, che disciplina il sistema di raccolta e di confronto delle impronte digitali.
  In forza del Regolamento Dublino II (Regolamento (CE) n.1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo) vige il principio che competente per l'esame della domanda di asilo è un unico Paese, da individuare Pag. 116secondo alcuni criteri. Il primo di questi criteri fa riferimento al primo ingresso del richiedente asilo: se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è competente per l'esame della sua domanda di asilo (tale responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera). Altri criteri concernono il principio dell'unità del nucleo familiare; l'eventuale rilascio di permessi di soggiorno o visti (per il quale lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l'esame della domanda d'asilo); la cosiddetta clausola umanitaria (qualsiasi Stato membro, pur non essendo formalmente competente, può accettare di esaminare una domanda d'asilo per ragioni umanitarie).
  Le ipotesi di revisione del regolamento Dublino II, che hanno costituito l'oggetto di più di un'audizione in Comitato, originano da una iniziativa della Commissione europea, che nel 2008 ha adottato una proposta per modificare Dublino II, diretta a migliorare l'efficienza del sistema e le esigenze di tutela dei richiedenti protezione internazionale (proposta di regolamento COM(2008)820). In linea con il Piano strategico sull'asilo, la proposta, tuttora all'esame delle istituzioni europee, è finalizzata a fronteggiare non solo le circostanze di particolare pressione in cui versano i sistemi di asilo e di accoglienza degli Stati membri, ma anche le situazioni in cui è carente il livello di protezione dei richiedenti protezione internazionale. Gli aspetti più rilevanti di questa proposta di modifica riguardano i casi di particolare pressione su alcuni Stati membri che presentano capacità limitate di accoglienza e assorbimento: si propone infatti di inserire nel regolamento una nuova procedura (meccanismo di emergenza) che consente la sospensione dei trasferimenti del richiedente asilo verso lo Stato membro competente. È possibile ricorrere a tale procedura anche laddove sussista il rischio che, a seguito di un trasferimento secondo le norme di Dublino II, il richiedente non benefici di norme di protezione adeguate nello Stato membro competente, segnatamente in termini di condizioni di accoglienza e accesso alla procedura di asilo.
  Nato per limitare il fenomeno delle domande d'asilo multiple, cioè presentate in più Stati membri, il criterio del Paese di primo ingresso su cui si incentra Dublino II è sostenuto dalla maggioranza dei Paesi del centro e del nord Europa, ma non è certamente favorevole per l'Italia, Paese di frontiera esterna dell'Unione europea. È per questa ragione che proprio il nostro Governo e quelli degli altri Paesi di frontiera dell'Unione hanno più volte ribadito l'esigenza di rendere quanto mai flessibile l'applicazione di questo criterio. E tuttavia, nel quadro dei negoziati attualmente in corso per la revisione del Regolamento Dublino II, il Comitato ha potuto constatare – dalle audizioni e dalle missioni svolte – che questa esigenza non è stata accolta, prevalendo piuttosto l'orientamento dei Paesi nordeuropei a rafforzare la competenza dello Stato membro di primo ingresso di colui che chiede l'asilo.
  Se non è stato possibile ottenere un'attenuazione del principio della responsabilità del Paese di primo ingresso, che penalizza proprio i Paesi di frontiera esterna, l'Italia da tempo insiste per un rafforzamento dell'impegno per la piena attuazione del Sistema europeo di asilo, attraverso la fissazione di status, procedure e livelli di accoglienza Pag. 117unici. Su queste basi dovrebbero essere avviati progetti per il trattamento delle domande di protezione al di fuori del territorio dell'Unione europea, il che consentirebbe di istituire canali dedicati all'ingresso dei richiedenti asilo.
  Nell'ambito delle audizioni dirette a ricavare un quadro generale ed aggiornato sulla progressiva costruzione del Sistema europeo comune di asilo, il Comitato ha poi inteso concentrare la propria attenzione sul fronte dei negoziati europei diretti a modificare il quadro delle normative nazionali non solo in materia di asilo, ma anche sul versante dei controlli dei flussi migratori, incidenti sull'operatività del cosiddetto «Codice Schengen» (Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone), anche a seguito degli ingenti flussi migratori della primavera del 2011 provenienti dal Nord Africa.
  Poiché per l'operatività del sistema Schengen è di cruciale importanza che, alle frontiere dei Paesi membri, il controllo delle persone provenienti dal territorio esterno all'Unione europea si svolga secondo procedure e criteri uniformi, sono state avanzate in sede europea diverse proposte in merito ad una periodica valutazione dell'efficacia e dell'uniformità di tali controlli. Sotto questo profilo rileva particolarmente la riforma del sistema di governo del meccanismo Schengen (cosiddetta riforma della governance di Schengen), resa più urgente proprio a seguito dei mutamenti politici nell'area del Mediterraneo, in particolare nei Paesi rivieraschi del Nord Africa e, in parte, anche del Medio Oriente.
  In quell'occasione infatti si è assistito alla sospensione unilaterale delle norme in materia di libera circolazione delle persone nell'area Schengen da parte di uno Stato facente parte della stessa area, che invocava la presunta incapacità o impossibilità di altro Stato parte dell'area Schengen di provvedere ad un controllo efficace delle proprie frontiere, a causa della grave emergenza migratoria in atto.
  Per far fronte ai problemi di ordine politico oltreché giuridico sollevati dalla crisi migratoria nordafricana, l'Unione europea ha ritenuto di prospettare alcune linee di intervento della riforma dei meccanismi di funzionamento dell'Accordo di Schengen. La prima linea di intervento riguarda le procedure di valutazione sulla capacità degli Stati membri di effettuare i controlli alle frontiere; la seconda coinvolge i meccanismi per attivare le misure necessarie in caso di anomalie nei flussi migratori, il citato «Codice Schengen».
  Le proposte riguardano la possibilità di reintroduzione dei controlli alle frontiere interne, in presenza di circostanze eccezionali, nonché il meccanismo di valutazione e di monitoraggio sull'applicazione dell’acquis di Schengen. Particolare attenzione è stata rivolta alla ridefinizione del meccanismo attraverso il quale procedere al ripristino dei controlli e alla connessa eventualità che il potere decisionale possa essere trasferito alla Commissione europea.
  In questo ambito, viene in rilievo anzitutto la valutazione del momento in cui si può o si deve attivare la situazione di preallarme o di intervento che consentirebbe al singolo Stato parte di Schengen di attivare meccanismi di sospensione unilaterale dell'Accordo. Le proposte avanzate a livello europeo indicano prevalentemente la Pag. 118necessità che non sia sufficiente un semplice aumento dei flussi migratori per permettere ad alcuni degli Stati membri di Schengen di reintrodurre dei controlli, ma occorre che esista un vero nesso di causa ed effetto tra l'aumento dei flussi e una dimostrata incapacità dello Stato di adempiere ai suoi doveri di controllo. Inoltre, non verrebbero considerate ragioni relative alla sicurezza interna o all'ordine pubblico come sufficienti, di per sé, a determinare un intervento di ulteriore sicurezza come la sospensione delle norme in materia di libera circolazione delle persone: è necessario, infatti, che ci sia una minaccia o un concreto manifestarsi di un'instabilità nel funzionamento del sistema Schengen.
  In sostanza, nel negoziato in corso su questi punti prevale l'idea in base alla quale sarebbe lo Stato membro che percepisce il rischio di una instabilità del sistema a rivolgersi alla Commissione europea, la quale può decidere di sottoporre al Consiglio, dopo una rapida istruttoria, determinate proposte di raccomandazione. Il potere di iniziativa spetta, quindi, sempre alla Commissione, su segnalazione dello Stato interessato, e poi questa sottopone la questione al Consiglio, che è l'organo abilitato a prendere le misure. Vi è perciò l'intento di «comunitarizzare» maggiormente il sistema, coinvolgendo, al di là dei vari rapporti tra le autorità degli Stati membri, sempre di più la Commissione europea come garante dell'interesse generale europeo.
  Sul medesimo versante di una revisione e di un aggiornamento delle politiche migratorie in direzione maggiormente comunitaria, rispetto agli orientamenti nazionali prevalenti, l'indagine conoscitiva ha fatto emergere – in linea con le risultanze della precedente indagine svolta dal Comitato – la necessità che l'Unione europea rilanci una visione globale di controllo dei flussi migratori attraverso la conduzione di una politica estera di conclusione di accordi economici di aiuto allo sviluppo, riprendendo la sua grande tradizione di cooperazione allo sviluppo, in particolare nei confronti di quei Paesi allora definiti dell'area Africa-Caraibi-Pacifico, oggetto delle Convenzioni di Lomé e di Yaoundé, ancora in vigore. Occorrono, inoltre, accordi bilaterali tra Europa e Paesi terzi specificamente concepiti in funzione del controllo dei flussi migratori, nonché a questo stesso scopo il consolidamento dell'area mediterranea, attraverso un rafforzamento dell'Unione per il Mediterraneo.
  Al duplice scopo di sostenere lo sviluppo delle popolazioni locali, relegando l'emigrazione e soluzione residuale, e favorire la crescita democratica, attraverso la promozione dei diritti umani e civili, il Comitato condivide l'opinione di quanti suggeriscono che per il futuro gli accordi economici e commerciali conclusi dall'Europa contengano anche clausole inerenti la sfera dei diritti umani, civili e politici e la realtà sociale delle persone nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, contribuendo a rilanciare da parte europea una visione di civiltà non solo economica ma anche sociale e politica.

2.3. La normativa italiana.

  Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando ancora una legge organica che ne stabilisca le condizioni Pag. 119di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita. Il riconoscimento dello status di rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea.
  Nella XV legislatura la materia ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di due decreti legislativi, il 251/2007 e il 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva «qualifiche»), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva «procedure»). La nuova disciplina sostituisce pressoché interamente quella recata dal decreto-legge 416/1989 (cosiddetta legge Martelli) che originariamente aveva ad oggetto sia la condizione giuridica degli immigrati, sia dei rifugiati.
  Nel 1998 la parte della legge Martelli relativa all'immigrazione è stata abrogata e sostituita dal Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero (il D.lgs. 286 del 1998). Della legge Martelli rimaneva in vigore unicamente la parte concernente i rifugiati, contenuta nell'articolo 1, successivamente modificato dalla L. 189/2002. Quest'ultima (cosiddetta legge Bossi-Fini), oltre a intervenire sulla disciplina generale dell'immigrazione attraverso una profonda revisione del testo unico del 1998, ha integrato le disposizioni sul diritto di asilo contenute nella legge Martelli, lasciando tuttavia in vigore la parte concernente il sistema di accoglienza e protezione, sia dei richiedenti asilo, sia dei rifugiati, che continua a trovare fondamento negli articoli 1-sexies (sistema di protezione) e 1-septies (finanziamento del sistema di protezione) del decreto legge 416/1989, introdotti dalla legge Bossi-Fini. Ulteriori disposizioni in materia di accoglienza sono contenuti nel D.lgs. 140/2005, anch'esso di derivazione comunitaria. Inoltre, altre disposizioni in materia di rifugiati si rinvengono nel Testo unico sull'immigrazione, quali il divieto di espulsione e di respingimento degli stranieri (non refoulement) che possono essere oggetto di persecuzione nel proprio Paese (articolo 19 T.U.) e il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare anche per i rifugiati (articolo 29-bis del T.U., introdotto dal D.lgs. 5/2007).
  Il nuovo sistema amplia complessivamente le garanzie per i richiedenti asilo, sia sotto il profilo contenutistico della protezione riconosciuta, che sotto il profilo procedurale.
  Sotto il primo profilo, il D.lgs. 251/2007 (di attuazione della direttiva «qualifiche») disciplina, da un lato, l'insieme dei diritti e delle prerogative di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato o il riconoscimento della protezione sussidiaria e, dall'altro, le norme minime relative alla loro attribuzione. In particolare, mentre per la definizione di rifugiato si mantiene quale modello la Convenzione di Ginevra, costituisce un elemento di novità l'introduzione nell'ordinamento interno, a integrazione di quella che viene definita nel suo complesso «protezione internazionale», della figura della «persona ammissibile alla protezione sussidiaria», definita come il cittadino Pag. 120straniero privo dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato il quale, tuttavia, si ritiene che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno e che non può o (proprio a cagione di tale rischio) non vuole avvalersi della protezione del Paese di origine.
  Il Capo V del D.lgs. 251/1997 definisce nei suoi vari aspetti il contenuto sia della protezione connessa allo status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria. In particolare, l'articolo 19 introduce quale criterio generale l'obbligo di tener conto della specifica situazione delle persone vulnerabili (minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologia, fisica o sessuale). L'articolo 20 determina il contenuto della protezione dal respingimento, in primo luogo operando un richiamo al citato articolo 19, c. 1, del Testo unico in materia di immigrazione, che ha introdotto nell'ordinamento il principio del non refoulement.
  Si segnala che, poiché nel corso dell'indagine conoscitiva il Comitato ha dedicato largo spazio alle osservazioni e alle valutazioni degli auditi in merito all'efficacia e all'adeguatezza della normativa a presidio dei diritti dei richiedenti asilo soprattutto nella procedura di esame delle domande di protezione internazionale, appare utile soffermarsi brevemente sulle specifiche norme che regolano questa procedura nel nostro ordinamento.
  Il D.lgs. 25/2008 (di recepimento della direttiva «procedure»), disciplina appunto i procedimenti di presentazione e di esame della domanda di protezione, nonché le procedure di revoca e cessazione della protezione e le garanzie attribuite al richiedente in ogni fase del procedimento.
  Nel dare attuazione alla direttiva comunitaria, il decreto individua una autorità nazionale competente per l'esame delle domande di asilo ripartendone le funzioni su tre livelli di competenze in materia:
    a. le autorità competenti a ricevere le istanze di protezione (gli uffici della polizia di frontiera e le questure secondo le modalità indicate dall'articolo 26, c. 2);
    b. l'autorità competente ad assumere la decisione relativa alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda: si tratta dell'Unità Dublino (istituita in attuazione dell'articolo 22 del citato regolamento (CE) 343/2003), un ufficio operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, ed in particolare nell'Ufficio III della Direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo.
    c. le autorità competenti all'esame delle domande, che si identificano con le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.

  In sintesi, il sistema che regola il procedimento di esame delle richieste di riconoscimento del diritto di asilo è articolato in dieci commissioni presenti su tutto il territorio nazionale, coordinate da una Commissione nazionale che ha sede a Roma. Dopo essere state presentate agli uffici di polizia di frontiera all'atto di ingresso o alle Pag. 121questure se il richiedente risiede già nel territorio nazionale, le domande sono trasmesse alle commissioni territoriali competenti che decidono in ordine al loro accoglimento. Nel corso dell'esame della domanda, il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato (articolo 7 del D.lgs. 25/2008).
  Viene accolto il sistema delineato dall'articolo 23 della direttiva basato su due tipi di procedura: una ordinaria e una prioritaria o accelerata (facoltativa). Sui tempi di esame per la procedura ordinaria l'articolo 27 del D.lgs. 25/2008 dispone che entro 30 giorni dal ricevimento della domanda la commissione territoriale competente provvede al colloquio e nei successivi tre giorni decide. Tali termini tuttavia possono essere derogati se sopravvenga l'esigenza di acquisire nuovi elementi. La procedura accelerata (definita esame prioritario dall'articolo 28) si attiva in tre ipotesi: domanda palesemente fondata; domanda presentata da persone appartenenti ad una delle categorie vulnerabili minori, anziani, disabili, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito violenze gravi); domanda presentata dai richiedenti che rientrano fra coloro che sono avviati ai centri di accoglienza (ad eccezione di coloro che devono essere semplicemente identificati) o ai CIE.
  Apposite norme sono dedicate ai casi di inammissibilità delle domande, alla tipologia delle decisioni delle commissioni territoriali, alla garanzia del richiedente asilo di ricorrere avverso le decisioni delle predette commissioni, definendo altresì gli effetti della presentazione del ricorso sulla permanenza del richiedente asilo.
  L'articolo 29 del D.lgs. 25/2008 disciplina i casi di inammissibilità delle domande, mentre l'articolo 30 prevede la sospensione dell'esame delle domande per le quali è in corso la decisione in merito allo Stato competente (ai sensi del regolamento (CE) n. 343/2003). Come possibili cause di inammissibilità (o più precisamente di irricevibilità) delle domande, il decreto legislativo considera solamente due ipotesi: le domande presentate da chi è stato già riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della convenzione di Ginevra; le reiterazioni di identica domanda in assenza di nuovi elementi.
  Ai sensi del medesimo decreto legislativo, la commissione territoriale, fatto salvo il caso di ritiro della domanda, di inammissibilità della stessa, o di sospensione in caso di dubbio sullo Stato competente a decidere, deve adottare una delle seguenti decisioni (articolo 32): riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria; rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, oppure in caso di cessazione o esclusione dalla protezione ivi previste; rigettare la domanda per manifesta infondatezza (ipotesi introdotta dal D.lgs. 159/2008).
  L'articolo 35 del D.lgs. 25/2008 riconosce al richiedente asilo il diritto a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua domanda, prevedendo la possibilità di impugnare le decisioni della commissione territoriale: di accoglimento o rigetto della domanda; di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di rifugiato; di revocare o constatare la cessazione della protezione internazionale; nonché il provvedimento di inammissibilità della domanda. In quest'ultima ipotesi, nel caso di decisione successiva all'abbandono del richiedente del centro di accoglienza o di permanenza Pag. 122e qualora la domanda risulti infondata, il ricorso non comporta la sospensione della decisione (tranne per decisione del tribunale cui è presentato il ricorso per gravi motivi); sospensione che, invece, scatta per le altre ipotesi.
  Infine, nel quadro delle garanzie predisposte dalla legge, merita di essere menzionato l'articolo 36, ai sensi del quale i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere rinnovato il permesso di soggiorno se la decisione non interviene entro 6 mesi; inoltre, se sono ospitati nei centri di accoglienza rimangono nei medesimi centri, dove vengono anche trasferiti i richiedenti trattenuti nei CIE che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato.
  Il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al D.lgs. 25/2008 è stato da ultimo modificato in più punti dal D.lgs. 159/2008, facente parte del «pacchetto sicurezza» approvato dal Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008. Il provvedimento conteneva una serie di misure legislative in materia di sicurezza dove ampio spazio era dedicato alle disposizioni volte a contrastare l'immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio. L'intervento normativo è stato predisposto anche al fine di evitare l'uso strumentale della domanda di asilo come mezzo per permanere in Italia senza essere in possesso dei requisiti.
  Tra le modifiche principali alla disciplina previgente apportate dal «pacchetto sicurezza» si ricorda l'introduzione della possibilità da parte del prefetto di stabilire un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare e il trasferimento del potere di nomina delle commissioni territoriali per l'esame delle domande dal Presidente del Consiglio al Ministro dell'interno. Inoltre, lo straniero che risulta già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento, nel caso in cui presenti domanda di protezione internazionale, deve rimanere nel centro di identificazione ed espulsione nel quale si trova.

3. I flussi migratori misti e la gestione delle crisi umanitarie.

  Dopo essere stato per molti decenni un Paese di emigrazione, da almeno quindici anni l'Italia è diventato un Paese di immigrazione, assistendo in un periodo molto breve all'arrivo di ben cinque milioni di migranti, di cui 4,2 milioni negli ultimi quattordici anni.
  Sulle prospettive dei flussi migratori e della loro gestione su un piano europeo e globale, nel quadro di una moderna concezione delle politiche migratorie, il Comitato condivide e fa proprie le osservazioni avanzate in più sedi e da diversi soggetti circa la necessità di sganciare le politiche di gestione dei flussi migratori da approcci meramente repressivi del fenomeno o emergenziali, per trasformarle in parte integrante delle relazioni esterne dell'Unione europea e delle politiche – anche nazionali – di cooperazione economica bilaterale.
  Il sensibile incremento dei flussi di ingresso nel nostro territorio, anche a seguito delle sempre più ricorrenti catastrofi umanitarie (dovute a guerre, emergenze economiche o sconvolgimenti politico-sociali di varia natura), fa sì che le politiche migratorie, quale che ne sia il legittimo titolare, debbano essere abbinate ad un efficiente Pag. 123controllo delle frontiere, nel rispetto del Codice Schengen, e ad una adeguata ed efficace gestione dell'accoglienza, soprattutto nella sua fase iniziale.
  Le maggiori difficoltà nella gestione dei flussi migratori di frontiera, particolarmente in occasione di gravi emergenze umanitarie (come quella rappresentata dalle masse di profughi in fuga dalla Libia della primavera del 2011), è rappresentata infatti non tanto dalla quantità degli ingressi e della relativa difficoltà di controllarne e gestirne l'accoglienza, quanto dalla qualità mista degli stessi, composti di migranti economici e migranti «forzati», ossia persone che fuggono da gravi calamità, come la guerra, le carestie, le catastrofi naturali, in generale ogni evento incontrollabile e di grandi dimensioni che mette a rischio la loro sicurezza e incolumità.
  Per questi casi di emergenze migratorie, la nostra legislazione prevede alcune misure specifiche, dette di protezione temporanea, applicabili nel caso di flussi di profughi che lasciano il proprio Paese al verificarsi di gravi eventi (guerra civile, violenze generalizzate, aggressioni esterne, catastrofi naturali ecc.). In tali circostanze, il Testo unico sull'immigrazione consente al Governo di determinare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri gli interventi di protezione temporanea necessari per accogliere in maniera tempestiva e adeguata le popolazioni sfollate che dovessero raggiungere in massa il territorio italiano (articolo 20, D.Lgs. 286/1998).
  Tornando alla questione dei flussi misti, occorre chiarire che, poiché non esistono forme di ingresso protetto e regolare in Italia per coloro che necessitano di protezione (come potrebbe essere ad esempio un visto per richiesta asilo rilasciato dalle ambasciate italiane), occorre considerare ogni flusso di migranti in arrivo come un flusso misto, che in quanto tale impone garanzie di non respingimento.
  A questo proposito, l'articolo 6 del Regolamento 562 del 2006 (c.d. Codice delle frontiere Schengen) esplicitamente dispone che le norme relative al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea si applichino senza pregiudizio «dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento».
  Sebbene nel diritto internazionale non esista un obbligo di concessione dell'asilo, è noto che la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati prevede il divieto di refoulement (respingimento), sancendo all'articolo 33 che nessuno Stato contraente espellerà o respingerà in qualsiasi modo un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della razza, della religione, della cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
  Il regolamento Regolamento (UE) n. 1168/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 introduce taluni elementi in tema di rispetto dei diritti fondamentali che non possono essere trascurati ai fini della valutazione di compatibilità della legislazione italiana con la cornice normativa europea. Dopo aver rimarcato nel preambolo che uno degli obiettivi politici chiave dell'Unione europea è lo sviluppo di una politica migratoria fondata sui diritti dell'uomo, Pag. 124sulla solidarietà e sulla responsabilità, e dopo aver richiamato la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il diritto internazionale pertinente (la Convenzione di Ginevra), all'articolo 2, paragrafo 1-bis, si dispone che nessuno può essere sbarcato in un Paese o altrimenti consegnato alle autorità dello stesso in violazione del principio di non respingimento, o in un Paese nel quale sussista un rischio di espulsione o di rimpatrio verso un altro Paese in violazione di detto principio; si impone altresì una particolare attenzione alle esigenze dei bambini, delle vittime della tratta di esseri umani e delle persone bisognose di assistenza medica ovvero di protezione internazionale.
  Recentemente, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia (23 febbraio 2012), ha condannato il nostro Paese per un respingimento di migranti verso la Libia, dissipando ogni dubbio circa l'applicabilità extraterritoriale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In questo senso, la Corte di Strasburgo intende sottolineare che ogni politica finalizzata ad «esternalizzare» il controllo dell'immigrazione (ad es., attraverso accordi con Paesi extraeuropei, vedi Libia) dovrà attenersi scrupolosamente all'interpretazione data dalla Corte e svolgersi nel pieno rispetto dei diritti umani, in diritto e nella prassi.
  Su questo punto il Comitato ha raccolto, anche nel corso della precedente indagine conoscitiva, le valutazioni fortemente negative di molti rappresentanti di organismi internazionali, della società civile, di associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei rifugiati, che hanno stigmatizzato la prassi adottata dal Governo italiano soprattutto nel corso del 2009 dei cosiddetti respingimenti in mare. Il Comitato registra altresì che nessuna delle numerose audizioni svolte o dei sopralluoghi svolti in loco, nei Centri di accoglienza e di identificazione dei migranti, hanno condotto all'individuazione di misure chiare e univoche, in grado di risolvere il dilemma esistente fra un efficace controllo delle coste in occasione di gravi emergenze umanitarie e la tutela del diritto dei rifugiati di conoscere e disporre di quanto necessario per l'esercizio del proprio diritto di asilo, ammesso che ciò non potesse adeguatamente avvenire a bordo delle navi italiane che hanno effettuato i respingimenti stessi.
  Speculare a questo problema dei respingimenti in mare, che sottraggono a presumibili titolari del diritto di asilo l'effettivo esercizio del proprio diritto, la difficoltà di discernere le diverse tipologie di migranti all'interno dei flussi misti può creare, in alcune circostanze, il paradosso di assicurare a coloro che migrano per motivazioni palesemente economiche le tutele che la legge riserva ai rifugiati.
  Risulta infatti che nel 2011, per esempio, sono arrivati a Lampedusa 32.000 cittadini quasi tutti di nazionalità tunisina, l'80 per cento dei quali ha presentato domanda di asilo, in funzione evidentemente strumentale a prolungare la propria permanenza sul nostro territorio e ad evitare un provvedimento di espulsione, trattandosi quasi certamente di migranti economici (anche se fuggiti a condizioni di difficile sicurezza interna). Le commissioni territoriali, chiamate a definire il loro status, nel 60 per cento circa dei casi non hanno riconosciuto loro alcun tipo di protezione, denegando la tutela e costringendo queste persone al successivo ricorso giurisdizionale, con costi enormi a carico della collettività. L'immissione automatica di Pag. 125queste persone nella procedura di asilo, non essendo evidentemente prevista alcuna forma di screening preliminare, ha dunque determinato enormi disagi per l'intera collettività di immigrati ospitata nei Centri di accoglienza, nonché costi rilevanti per lo Stato italiano. In evenienze di questo tipo, alcuni dei soggetti auditi dal Comitato hanno prospettato l'ipotesi di riconoscere una forma di permesso temporaneo per agevolare l'uscita di queste persone da forme di accoglienza costose e prolungate nel tempo, che nella grande maggioranza dei casi non sono dovute.
  Alle difficoltà di gestione dei flussi misti al momento del loro ingresso sul nostro territorio (con la connessa questione dell'illegittimità dei respingimenti in mare), si aggiunge il fatto che la loro natura estremamente composita in occasione di gravi crisi umanitarie complica il procedimento diretto a definire lo status di tali persone, sollevando delicate questioni di diritto sostanziale.
  Una delle questioni agitate nei mesi della crisi umanitaria nordafricana ha riguardato proprio la condizione giuridica dei richiedenti asilo provenienti dalla Libia, cioè i richiedenti stanziati sul territorio libico ed emigrati in seguito alla guerra civile: la maggioranza dei migranti richiedenti asilo non erano infatti libici di nazionalità o di cittadinanza, ma provenivano dai Paesi dell'Africa sub-sahariana, a loro volta emigrati in Libia alla ricerca di migliori condizioni economiche e lavorative. Tuttavia, alla stregua delle normative non soltanto nazionali ma anche europee le condizioni per accordare lo status di rifugiato – ovvero la protezione sussidiaria, legata invece al pericolo e al rischio per la propria incolumità che corre il richiedente in ragione di situazioni di conflitto armato o di guerra civile nel suo Paese – vanno esaminate in considerazione del Paese di cittadinanza del richiedente. Diventava allora irrilevante, da un punto di vista strettamente formale, che il richiedente asilo fosse da tempo stanziato e inserito nel tessuto economico di un Paese, come la Libia, in cui si sono poi presentate le condizioni di conflitto interno, guerra civile e conflitto armato: esso risultava in ogni caso non riconoscibile come avente diritto all'asilo, in quanto nel suo Paese di cittadinanza non vi erano condizioni di guerra interna o calamità.
  L'entità e la composizione dei flussi di migranti arrivati in Italia nel corso del 2011 è stata oggetto di numerose audizioni svolte dal Comitato. In generale, si rileva che la quota dei profughi sul flusso della migrazione è sempre molto contenuta, nonostante l'incidenza sui dati del 2011 sia significativa. Anche in questo caso però sul piano generale, un'incidenza di 25.000-30.000 persone di richiedenti asilo su un totale di circa 60.000 ingressi non cambia lo scenario dei flussi migratori, che invece è influenzato prevalentemente dalla recessione economica.
  A titolo di esempio, può essere utile citare i dati sull'ultima emergenza migratoria occorsa, forniti al Comitato dal Direttore generale dell'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, in occasione dell'audizione del 29 novembre 2011; in questa sede si informava il Comitato che dal 1o gennaio 2011 fino al novembre dello stesso anno un flusso di circa 60.000 persone si era riversato sul nostro territorio. Di questi, almeno 26.000 circa risultavano tunisini; il resto era distribuito variamente tra egiziani e Pag. 126sub-sahariani, con componenti di provenienza anche asiatiche, che erano prevalentemente ex-lavoratori in Libia. Da questo Paese in particolare provenivano due flussi di mobilità, uno derivante dalla destabilizzazione interna dei Paesi nordafricani (soprattutto Egitto e Tunisia), e l'altro derivante dalla destabilizzazione della Libia stessa, con esodi verso Tunisia ed Egitto.
  Ai dati forniti dal Direttore Forlani, fanno da pendant quelli aggiornati e comunicati a quasi un anno di distanza dal Ministro dell'interno Cancellieri, in occasione dell'audizione del 25 settembre 2012: nel corso del 2011, infatti, sono stati 62.692 gli stranieri sbarcati sulle coste italiane, mentre dal 1o gennaio del 2012 alla data dell'audizione sono stati 8.884. Ciò testimonia l'eccezionalità degli eventi migratori che si sono verificati nel 2011 e le conseguenti gravi difficoltà di gestire il controllo delle coste italiane nel medesimo periodo.
  Ai fini del controllo delle frontiere Schengen (che nel caso dell'Italia ormai sono soltanto frontiere marittime, avendo aderito all'area Schengen anche la Svizzera) rileva anche la distinzione fra migranti irregolari che vengono scoperti all'atto di ingresso o irregolari che si trovano all'interno del territorio statale.
  Sotto questo profilo, dai dati raccolti dal Comitato, è possibile affermare che i soggetti di Paesi extracomunitari che arrivano in Italia via mare costituiscono non più del 30 per cento di quelli che annualmente vengono trovati sul territorio nazionale. La stragrande maggioranza dei migranti irregolari presenti sul territorio dello Stato sono infatti i cosiddetti overstayers, cioè coloro che, entrati legalmente nel territorio dello Stato, quindi con un titolo di ingresso valido, vi permangono in illiceità a seguito di scadenza dello stesso.

4. Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo.

  Il sistema di accoglienza degli stranieri che arrivano in Italia con i flussi di migranti misti è abbastanza articolato. Esso prevede, come primo passaggio, l'accesso alle strutture di prima accoglienza, che sono diversificate sulla base dei profili dei soggetti ospitati: la ripartizione esistente ad oggi prevede la sola distinzione fra Centri di identificazione ed espulsione (CIE) e i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA). Su questa base si innesta, nella fase della seconda accoglienza, il modulo di accoglienza diffusa e di integrazione locale rappresentato dallo SPRAR: il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati considerato un modello di sostegno all'integrazione, riconosciuto e apprezzato in Europa come misura di capacità di accoglienza.
  La legge mantiene la distinzione prevista dal decreto-legge 416/1989 (articolo 1-bis) tra coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, da trattenere nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), e gli altri richiedenti, da trattenere nei centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA).
  I CARA, previsti dal già citato D.lgs. 25/2008, sono destinati ad ospitare i richiedenti asilo che si trovano in particolari condizioni: stranieri privi di documento, oppure entrati in Italia in violazione di Pag. 127controlli di frontiera o stranieri fermati in posizione irregolare. Questi restano nei CARA per il tempo necessario alla loro identificazione o alla decisione sulla domanda di asilo. Trascorso tale termine, senza che sia intervenuta una decisione, al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio, con una validità triennale rinnovabile, che gli permette di lasciare il centro. L'ospitalità nei CARA prosegue fino alla decisione della commissione territoriale competente, qualora il richiedente asilo risulti privo di mezzi di sostentamento, oppure non trovi posto nelle strutture facenti capo al sistema dello SPRAR. Per coloro ai quali la domanda di asilo è rigettata o per quanti la presentano dopo aver ricevuto un provvedimento di espulsione, è prevista la collocazione nei CIE, ossia i Centri identificazione ed espulsione per immigrati. A differenza dei CIE i CARA non sono luoghi di trattenimento: i richiedenti asilo sono liberi di uscire da essi e molti si disperdono sul territorio, anche perché per molti di loro l'Italia rappresenta solo un Paese di passaggio verso altre mete europee.
  Viene separata così nettamente l'ipotesi di accoglienza da quella del trattenimento. Nel primo caso, i richiedenti vengono ospitati nei centri di accoglienza quando si verificano le seguenti condizioni: necessità di determinare l'identità o la nazionalità del richiedente; presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati fermati dalla forza pubblica per aver eluso i controlli di frontiera o per essere in condizioni di soggiorno irregolare.
  Gli articoli 20, 21 e 22 del D.lgs. 25/2008 disciplinano invece il trattenimento del richiedente asilo per il periodo necessario all'esame della domanda. In particolare, l'articolo 21 disciplina i casi di trattenimento presso i CIE dove affluiscono: coloro che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perché macchiatesi di gravi reati (crimini di guerra, contro l'umanità); coloro che sono stati condannati per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto in flagranza (articolo 380 codice procedura penale) o per reati particolarmente gravi quali quelli di droga, immigrazione clandestina, prostituzione; coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione di qualsiasi natura o di respingimento. È comunque garantito l'accesso ai CIE dei rappresentanti dell'ACNUR, degli avvocati e dei rappresentanti degli organismi di tutela dei rifugiati autorizzati dal Ministero dell'interno.
  In questo quadro un primo elemento di criticità è rappresentato dal fatto che, nel sistema complessivo dell'accoglienza disposta dalla legislazione italiana a favore dei richiedenti asilo, non è data adeguata attuazione al principio (sancito dall'articolo 6, c. 1, e dell'articolo 13, c. 1, della direttiva «accoglienza») in base al quale il richiedente asilo ha diritto di accesso alle condizioni materiali di accoglienza fin dal momento in cui presenta la domanda di asilo.
  Se infatti l'articolo 5, c. 5, del D.lgs. 140/2005 (di attuazione della citata direttiva) prevede che «L'accesso alle misure di accoglienza è disposto dal momento della presentazione della domanda di asilo», nella prassi, tuttavia, si registrano casi di dilatazione significativa del tempo che intercorre fra la presentazione della domanda da parte del richiedente e la sua formalizzazione ad opera della Questura competente. Durante questo periodo di tempo, i richiedenti asilo sono del Pag. 128tutto privi di forme di accoglienza e rischiano pertanto di trovarsi in condizioni di estremo disagio. È importante perciò garantire, a chiunque ne manifesti la volontà, immediato accesso alla procedura di richiesta della protezione presso le Questure territorialmente competenti, nonché ridurre al minimo i tempi previsti per l'espletamento delle procedure (cfr. audizione dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, del 10 luglio 2012).
  Nella fase successiva al riconoscimento della protezione internazionale diventa invece operativo lo SPRAR, il Sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati introdotto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che coordina in rete i servizi di accoglienza e integrazione erogati dagli enti locali, in favore dei richiedenti asilo e degli stranieri che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale.
  Lo SPRAR è frutto della collaborazione tra lo Stato, gli enti territoriali e le associazioni di volontariato (vi è una stretta correlazione in modo particolare con l'ANCI e con l'OIM, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Nel sistema sono previsti servizi finanziati tramite il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (la cui ripartizione avviene con decreto del Ministro dell'interno), che consente l'erogazione di contributi atti a finanziare progetti presentati dagli enti locali sulla base di bandi di gara pubblici. In particolare, questi progetti sono volti a sostenere iniziative a tutela delle categorie di soggetti ordinari, vulnerabili (ovvero minori non accompagnati, disabili, vittime di torture o violenza, anziani, donne in gravidanza e nuclei monoparentali) e portatori di disagio mentale. In generale, il Sistema garantisce, oltre all'accoglienza in termini di vitto, alloggio e vestiario, anche l'insegnamento della lingua italiana, l'informazione legale, l'orientamento al territorio e, dove possibile, la formazione professionale; per i minori, inoltre, i progetti territoriali prevedono anche l'iscrizione in varie scuole dell'obbligo.
  Per quanto riguarda il funzionamento dello SPRAR, il Comitato ha raccolto giudizi largamente positivi, se si eccettua il fatto che ogni interlocutore interrogato sul punto ha sottolineato l'insufficiente capienza materiale del sistema, soprattutto a seguito degli eccezionali flussi migratori del 2011: ad oggi, infatti (2012), il sistema mette a disposizione solo 3.000 posti, insufficienti rispetto al numero di richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia, numero che si deve immaginare in aumento anche per il prossimo futuro.
  Appaiono su questo punto meritevoli di considerazione le valutazioni sullo SPRAR depositate dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, auditi dal Comitato il 10 luglio 2012, secondo i quali, «l'esperienza accumulata in questi anni ha dimostrato chiaramente l'inefficienza delle strutture del tipo CARA (di grandi dimensioni, avulse dal contesto territoriale, in difficoltà nel farsi carico delle specificità e vulnerabilità degli individui) nel fornire adeguati strumenti di accoglienza e integrazione ai richiedenti asilo. Al contrario, il sistema SPRAR ha fornito e fornisce tuttora servizi di elevato livello ma il suo principale limite è nella previsione di un numero fisso di posti di accoglienza (attualmente 3.000 a livello nazionale), che sono peraltro accessibili anche ai titolari di protezione, così riducendo ulteriormente la platea di richiedenti asilo all'interno del sistema».Pag. 129
  Da quanto esposto emerge anzitutto che la principale criticità concernente il sistema di accoglienza predisposto dal nostro ordinamento per i richiedenti asilo (o in senso atecnico «profughi») è rappresentata dal fatto che, pur prevedendo strutture distinte e separate per le due tipologie di ingressi (CIE e CARA), l'accoglienza destinata a migranti economici e rifugiati risulta spesso sovrapponibile, generando vistose promiscuità che nella prassi non si è riusciti ad evitare. Ciò principalmente a causa della natura mista dei flussi migratori, dei tempi materiali dell'identificazione e della successiva permanenza in attesa dell'accoglimento di un eventuale ricorso.
  Un altro problema centrale è costituito dai costi di tale accoglienza e dalla possibilità che le medesime risorse da destinare alla permanenza del singolo richiedente asilo possano essere più utilmente impiegate per integrarlo nel mercato del lavoro italiano e (ove possibile) rimpatriarlo con sufficienti mezzi di sostegno per reintegrarlo economicamente nel suo Paese di origine (v. infra, il paragrafo dedicato alle misure di integrazione dei richiedenti asilo).
  Secondo informazioni del Ministero dell'interno, tuttora, nelle strutture di accoglienza vi sono più di 26.000 richiedenti asilo, di cui solo pochi riconosciuti come rifugiati, con un costo per l'accoglienza fornita dall'inizio dell'anno 2011 che alla fine del 2012 potrebbe arrivare a ben 1,3 miliardi di euro, in buona parte a causa dell'emergenza immigrazione curata dalla protezione civile nel corso del 2011 (cfr. audizione del Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein, del 23 ottobre 2012).
  I servizi di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sono svolti principalmente dagli enti locali. La L. 189/2002 ha soppresso la corresponsione di un contributo di prima assistenza per 45 giorni da parte del Ministero dell'interno in favore dei richiedenti asilo privi di mezzi; in luogo di tale contributo l'articolo 1-sexies del decreto-legge 416/1989 (introdotto dall'articolo 32 della L. 189/2002), disciplina un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati consentendo agli enti locali di accogliere nell’àmbito dei servizi di accoglienza da essi apprestati i richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza, ove non ricorrano le condizioni di trattenimento nei centri di identificazione; prevedendo forme di sostegno finanziario apprestate dal Ministero dell'interno e poste a carico di un fondo ad hoc (Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo) istituito dal successivo articolo 1-septies; prevedendo l'attivazione (ad opera del Ministero dell'interno) e l'affidamento, mediante convenzione, all'ANCI di un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza.
  Il decreto-legge 195/2002, articolo 2, c. 8, chiarisce che i soggetti destinatari dei servizi di accoglienza richiamati all'articolo 1-sexies del decreto-legge 416/1989, sono gli stranieri titolari di permesso umanitario di cui all'articolo 5, comma 6, del testo unico. Si ricorda che, ai sensi del citato articolo 5, comma 6, è possibile disporre il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno sulla base di convenzioni o accordi internazionali quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, «salvo che Pag. 130ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».

5. Le tutele del richiedente asilo nella procedura di presentazione ed esame della domanda.

  Nel corso dell'indagine conoscitiva, molte osservazioni sono state presentate dagli auditi e discusse in seno al Comitato in merito alla effettività delle tutele accordate ai richiedenti asilo nella fase della procedura di esame delle domande di protezione internazionale. Il Comitato ha pertanto deciso di acquisire tutti gli elementi informativi necessari a formulare una valutazione quanto più possibile aderente alla realtà sul funzionamento del sistema e sull'adeguatezza della normativa vigente.
  Le garanzie predisposte dalla legge (D.lgs. 25/2008) a favore del richiedente asilo nel corso della procedura di esame della domanda di protezione internazionale sono assicurate fin dal momento dell'accesso alla procedura stessa. Come si è detto (v. supra), è sancito il principio in base al quale il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio nazionale per tutto il tempo necessario all'esame della domanda. Peraltro il prefetto stabilisce il luogo di residenza o una area dove i richiedenti possono circolare (come precisato dal D.lgs. 159/2008). La permanenza è finalizzata unicamente allo svolgimento della procedura, anche se viene fatto salvo il diritto del richiedente di svolgere una attività lavorativa nel caso in cui la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione, senza che il ritardo possa essere attribuito al medesimo richiedente asilo. Infine, la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, qualora non riconosca lo status di rifugiato o quello di persona ammessa alla protezione sussidiaria, può chiedere al questore il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
  Sono altresì definite dalla legge a tutela del richiedente asilo una serie di garanzie informative sulla procedura da seguire e sull'esito della domanda.
  Oltre a esser garantita la possibilità di comunicare con l'ACNUR e l'assistenza di interpreti, è regolato anche il colloquio personale che il richiedente può sostenere davanti alla commissione territoriale, momento centrale della procedura. Il D.lgs. 25/2008 prevede ulteriori garanzie in favore del richiedente asilo, quali il diritto all'assistenza legale e, nel caso di ricorso, al gratuito patrocinio, il diritto all'accesso alle informazioni relative alla procedura, il diritto all'accesso agli atti amministrativi e più in generale alle tutele connesse all'azione amministrativa. La Commissione nazionale ha il compito di curare la formazione e l'aggiornamento dei propri componenti e di quelli delle commissioni territoriali. Una speciale tutela è assicurata ai minori non accompagnati (articolo 19) ai quali deve essere garantita l'assistenza del tutore in ogni fase del procedimento. In caso di dubbio sull'età, il richiedente può essere sottoposto, previo consenso, ad accertamenti medici, ma il mancato consenso non pregiudica il proseguimento della procedura, né il suo esito. Pag. 131
  Da quanto emerso nel corso delle audizioni e da una valutazione complessiva del sistema di riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale, nelle sue varie articolazioni, il Comitato ritiene di poter condividere l'osservazione in base al quale esso è globalmente ben congegnato, ma alquanto frammentato nell'attribuzione delle competenze.
  Si nota anzitutto la compresenza di strutture distinte e piuttosto eterogenee nell'ambito dello stesso Ministero dell'interno: nell'esame delle domande di asilo intervengono da una parte l'amministrazione civile (costituita dalle commissioni, dalle prefetture e dal Dipartimento delle libertà civili e immigrazione), dall'altra l'amministrazione della pubblica sicurezza, rappresentata a sua volta dal dipartimento della pubblica sicurezza, dalle questure e dagli altri organi di polizia. Nell'ambito dell'amministrazione civile, la Commissione nazionale per il diritto d'asilo, il suo presidente e le commissioni territoriali si occupano esclusivamente della procedura d'asilo. L'unità Dublino a sua volta è un ufficio che fa capo al dipartimento delle libertà civili, nel quale operano, a parte la Commissione nazionale (che formalmente, pur trattandosi di un collegio, rientra nel medesimo Dipartimento), la direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo, che gestisce i CARA e il sistema dell'intera accoglienza, e la direzione centrale per le politiche dell'immigrazione e dell'asilo.
  Anche in questo caso risultano interessanti alcune osservazioni depositate dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in occasione della già citata audizione del 10 luglio 2012, da cui emergono alcuni punti salienti.
  In primo luogo, viene espressa la valutazione per la quale è necessario che le decisioni dell'Unità Dublino presso il Ministero dell'interno di rinviare i richiedenti asilo verso altri Paesi UE debbano accuratamente considerare le conseguenze sui soggetti coinvolti, onde evitare il rischio di condanne da parte della Corte europea dei diritti umani e/o di violazioni del diritto dell'Unione (sanzionabili dalla Corte di Giustizia dell'UE).
  L'osservazione in sé richiama i contenuti della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 21 dicembre 2011, in cui si dice che quando gli Stati membri «non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo [...] costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti», essi sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente. La Corte ha dunque rifiutato l'esistenza di una presunzione assoluta che lo Stato membro individuato come competente dall'applicazione dei criteri del Regolamento Dublino rispetti i diritti fondamentali. Questa osservazione sembra corroborata anche dalla famosa sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Belgio per aver rinviato in Grecia un richiedente asilo, nonostante le autorità belghe conoscessero le condizioni a cui tale richiedente sarebbe stato esposto in Grecia: questa sentenza dovrebbe perciò essere considerata anche in relazione ai respingimenti verso la Grecia dai porti adriatici di richiedenti protezione.Pag. 132
  In secondo luogo, appare necessario garantire un contesto di elevata competenza/qualità all'interno delle commissioni territoriali rispetto alle decisioni assunte in prima istanza sulle domande di protezione internazionale.
  L'articolo 8, c. 2, lett. c), della direttiva «procedure» dispone che «il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia una conoscenza dei criteri applicabili in materia di asilo e di diritto dei rifugiati». L'articolo 13, c. 3, lett. a), prevede poi che gli Stati «provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza sufficiente per tener conto del contesto personale o generale in cui nasce la domanda, compresa l'origine culturale o la vulnerabilità del richiedente, per quanto ciò sia possibile». La normativa italiana, al contrario, non prevede criteri di qualità per il reclutamento dei membri delle commissioni. Né esiste un ufficio al servizio delle commissioni territoriali per reperire informazioni sui Paesi di origine dei richiedenti asilo.
  Pertanto si ritiene opportuno individuare specifici criteri per il reclutamento dei membri delle commissioni territoriali, anche in rappresentanza degli enti locali, che tengano in considerazione sia la conoscenza della situazione generale e specifica del Paese di provenienza dei richiedenti protezione, sia le modalità di ascolto con particolare attenzione alle categorie vulnerabili, alle vittime di tortura, alle donne ed alle persone perseguitate per motivi di orientamento sessuale.
  Un ultima questione, ugualmente sollevata dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, riguarda il diritto ad un ricorso con effetti sospensivi contro la decisione assunta sulla domanda di asilo, diritto che la nostra legislazione non garantisce sempre.
  Infatti, secondo quanto prevede l'articolo 19, c. 4, lett. a), b), c), d), del D.lgs. 150/2011, la presentazione del ricorso può, in determinati casi, non sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (ad es. per le persone nei CIE o nei CARA). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha in più occasioni ripetuto che, per essere «effettivo», come richiesto dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, un ricorso in materia di asilo deve avere effetto sospensivo.
  Su questo punto, tuttavia, il Comitato non ha assunto una specifica posizione, come invece suggerito dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che chiede espressamente al Governo di modificare la normativa vigente prevedendo l'automatico effetto sospensivo per tutti i ricorsi avverso le decisioni negative delle commissioni territoriali, al fine di riallineare l'Italia con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
  Un discorso specifico riguarda l'attuazione delle norme in materia di asilo per quanto riguarda i tempi effettivi di esame delle domande di asilo.
  Qui il Comitato rileva un'oscillazione che va dai 150 giorni delle commissioni di Milano e di Roma (le meno «virtuose» perché hanno un carico notevole – su Roma convergono il Lazio, la Sardegna, l'Umbria e, fino a poco tempo fa, anche la Toscana) fino ai 20-30 Pag. 133giorni della commissione di Foggia. Facendo una media dei tempi di esame delle domande di asilo fra tutte le commissioni territoriali ci si attesta sui 50-60 giorni.
  Nel 2011, la percentuale di accoglimento delle richieste di asilo è stata del 40 per cento, mentre le risposte negative sono state del 44 per cento. Il residuo del 16 per cento rappresenta ciò che viene accomunato sotto la voce unica di «altro esito», in cui sono compresi gli irreperibili, gli assenti, coloro che non si presentano e quelli in attesa delle determinazioni dell'Unità Dublino. Non sono invece stati resi disponibili i dati relativi agli altri Paesi europei con un'antica tradizione in materia di asilo, come la Francia, la Germania e il Regno Unito, e in cui le percentuali di accoglimento sono più basse.
  Fino al 2010, la percentuale di riconoscimento dei tre status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria si aggirava intorno al 50 per cento di tutti i richiedenti asilo in prima istanza: si tratta di un dato di tutto rispetto, nel contesto dell'Unione europea. La situazione è parzialmente cambiata a causa dell'emergenza nordafricana del 2011 lo scorso anno: come è stato detto infatti, molti dei richiedenti asilo provenienti dalla Libia non erano né rifugiati né bisognosi di protezione internazionale, poiché la normativa europea e nazionale prendono in esame solamente la condizione del Paese di origine, non quella del Paese di provenienza.
  Occorre anche aggiungere che negli ultimi anni i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di richieste di asilo non sono stati né l'Italia, né la Grecia, né la Spagna – cioè quelli maggiormente esposti, nel Mediterraneo, a frontiere esterne – ma la Francia, la Germania, la Svezia e la Gran Bretagna.
  Per quanto riguarda le misure che l'ordinamento prevede per evitare un uso strumentale della domanda di asilo, fra cui le nozioni di domanda manifestamente infondata e di domanda reiterata, il Comitato ha registrato alcune opinioni discordanti in merito.
  La nozione di domanda manifestamente infondata, introdotta nell'ordinamento nel 2008, doveva rappresentare un deterrente contro la presentazione di domande fittizie da parte da migranti economici, tuttavia, le commissioni ne hanno fatto un uso estremamente ridotto, principalmente perché i richiedenti asilo che presentano una domanda manifestamente infondata hanno poco da perdere sotto il profilo procedurale. Per quanto concerne la reiterazione della domanda di asilo, il D.lgs. 25/2008 prevede che il richiedente asilo possa ripetere la domanda solo si vi è un quid novi, ossia dei fatti aggiunti, sopravvenuti o da lui stesso trascurati nella prima domanda: la norma nasce per scoraggiare la ricerca di asylum shopping – questa volta all'interno del territorio nazionale – per la quale era invalso l'uso di reiterare la domanda d'asilo a una diversa commissione, rispetto a quella già adita.

6. Politiche di integrazione per i beneficiari di protezione internazionale.

  Nonostante il nostro Paese, per la sua stessa collocazione geografica, risulti un indubbio crocevia di flussi migratori ripetuti e difficili da controllare, tuttavia l'Italia non dispone, a livello di Pag. 134politiche migratorie e sociali, di un modello di integrazione individuato, paragonabile all'inglese o al francese. La sua debolezza, e al tempo stesso la sua forza, è proprio quella di essere un Paese senza modello, con una platea di immigrati estremamente particolare. Proprio per questa ragione è di cruciale importanza impostare correttamente per il futuro adeguate politiche di integrazione degli stranieri che si insediano a vario titolo sul nostro territorio, tali da garantire una armoniosa e civile convivenza fra tutti.
  Poiché il Comitato nella prima parte della legislatura ha dedicato una apposita indagine conoscitiva alle politiche dell'immigrazione, all'interno della quale largo spazio è stato destinato alla questione dell'integrazione dei lavoratori immigrati, il campo della presente indagine è volutamente limitato alle misure di integrazione dei soli richiedenti asilo.
  Pertanto, si segnala che, pur essendo state svolte alcune audizioni anche sul tema dell'integrazione sociale e lavorativa degli stranieri immigrati principalmente per ragioni economiche (v. in particolare le audizioni del Direttore generale immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, del 29 novembre 2011, e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, dell'11 dicembre 2012), il documento conclusivo si concentrerà esclusivamente sugli esiti concernenti le politiche di integrazione dei richiedenti asilo, riconfermando le conclusioni già elaborate nel corso della precedente indagine per quanto riguarda invece i migranti economici.
  La necessità di elaborare una strategia per mettere i rifugiati e titolari di protezione internazionale in condizioni di intraprendere un percorso di definitiva integrazione nella nostra società e nel mercato del lavoro riguarda sia la fase che accompagna l'esame della loro domanda di asilo, sia quella successiva all'accoglimento della stessa (mentre invece, per i casi di rigetto dell'istanza, vengono in rilievo strategie alternative, come il rimpatrio assistito).
  Un primo significativo elemento di garanzia per una buona integrazione sia dei rifugiati sia dei titolari di protezione sussidiaria è rappresentato dalla protezione del loro nucleo familiare: i familiari dei beneficiari di protezione, qualora non venga loro estesa la protezione, possono essere ricongiunti, mentre, se si trovano già in Italia, possono ottenere un permesso per motivi di famiglia. Il protetto sussidiario invece, a differenza del rifugiato, pur beneficiando delle facilitazioni per l'accertamento della parentela, deve comunque dimostrare di possedere ai fini del ricongiungimento quelli che vengono definiti i requisiti minimi, cioè alloggio e reddito minimo.
  Il Ritorno Volontario Assistito, conosciuto anche con l'acronimo RVA, consiste nella possibilità di ritorno, che include un aiuto logistico e finanziario, offerta ai migranti che non possono o non vogliono restare nel Paese ospitante e che desiderano, in modo volontario e spontaneo, ritornare nel proprio Paese d'origine. Attualmente in Italia si realizzano vari programmi di ritorno volontario assistito, approvati con il Fondo europeo rimpatri.
  Ai sensi del comma 5, lettera e), dell'articolo 1-sexies, del decreto-legge 416/1989 tra i compiti del servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza dei richiedenti Pag. 135asilo e alla tutela dei rifugiati e degli stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria, vi è quello di promuovere e attuare, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni o altri organismi, nazionali o internazionali, a carattere umanitario.
  L'audizione del Capo Missione dell'OIM in Italia, Josè Oropeza, ha utilmente contribuito a illustrare al Comitato l'attività che l'organismo svolge in collaborazione con le autorità italiane per l'attuazione di questo interessante strumento, facente capo a progetti che prevedono anche la reintegrazione del migrante nel suo Paese di origine.
  Il progetto PARTIR prevede ad esempio un supporto per la realizzazione di piani di reintegrazione socio-economica in patria, attraverso colloqui individuali con i beneficiari, mirati ad accertare la fattibilità del rientro. L'OIM, sulla base di una valutazione caso per caso del migrante e del progetto di reintegrazione, può fornire un contributo, sotto forma di beni e/o servizi e fino ad un massimo di 1100 euro, utile a rendere sostenibile il rientro nel Paese di origine. L'entità del contributo sarà stabilita a seconda dei bisogni dell'interessato e del grado di vulnerabilità, in stretto coordinamento con gli uffici OIM nei paesi di origine. Gli uffici OIM hanno altresì il compito di assistere i beneficiari all'arrivo, predisporre l'accoglienza iniziale e seguirli nella realizzazione e gestione del loro progetto individuale di reinserimento socio-lavorativo.
  I programmi di rimpatrio volontario sono principalmente rivolti a richiedenti protezione internazionale (anche chi ha ricevuto diniego e presentato ricorso); cittadini di Paesi terzi che beneficiano di forme di protezione internazionale o con permesso di soggiorno per motivi umanitari; vittime di tratta; migranti che vivono in Italia in situazione di estrema vulnerabilità e grave disagio (disabili, donne sole con bambini, anziani, persone con gravi problemi di salute fisica e/o mentale, senza fissa dimora); cittadini di Paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso e/o soggiorno in uno Stato membro (o che non soddisfano più le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno ai fini della permanenza sul territorio italiano).
  Il Comitato valuta positivamente questo tipo di strumenti nel campo delle politiche di reintegrazione dei richiedenti asilo nei propri Paesi di origine, mentre ne riconosce la limitata efficacia se usati come strumento di controllo dei flussi migratori. Sono però certamente interessanti le valutazioni in termini di costi dello strumento del rimpatrio volontario assistito, che, come è emerso nel corso delle audizioni svolte (cfr. soprattutto l'audizione del Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein, del 23 ottobre 2012), ha un costo sensibilmente inferiore alla prolungata permanenza del richiedente asilo nelle strutture di accoglienza finanziate dallo Stato in attesa del responso delle commissioni territoriali e dell'esito di un eventuale appello.
  L'audizione del Direttore del CIR (Consiglio Italiano Rifugiati) ha posto in luce la necessità di incentivare ulteriormente, oltre a misure di reintegrazione nei Paesi di origine, attraverso il rimpatrio volontario, anche misure di integrazione in Italia, per chi trova un lavoro regolare (per esempio includendo prospettive di lavoro autonomo, Pag. 136possibilità di creazione di microimprese ed altro). Questo tipo di provvedimenti, come si è detto, ha un costo di molto inferiore alla semplice accoglienza, che costa 46 euro a persona al giorno: moltiplicando questa cifra per l'intero periodo medio di permanenza nei CARA – ormai, più di un anno e mezzo, includendo il periodo di attesa per i ricorsi – e per 26.000 persone (cifra stimata dei richiedenti asilo nell'ultimo anno), si arriva infatti ad una somma enorme, superiore al costo di interventi di concreto sostegno economico ai migranti in questione. Inoltre, sempre secondo l'esperienza del CIR, mediamente con 2.500 euro a persona è possibile favorire l'integrazione lavorativa e alloggiativa di un rifugiato in Italia, fornendogli un posto di lavoro, una formazione professionale, un aiuto iniziale per un alloggio autonomo, con meccanismi di garanzia anche per il datore di casa (ad esempio, una fideiussione). Il rimpatrio volontario assistito con una misura di reintegrazione nel Paese di origine ha pressappoco lo stesso costo, se non meno: si tratta anche in questo caso di una cifra abbastanza modesta, se confrontata con il costo dell'accoglienza.
  Il Comitato ha altresì potuto constatare che, una volta che la persona ha faticosamente ottenuto un permesso di soggiorno per protezione internazionale o per protezione umanitaria, non esiste un programma nazionale che favorisca l'integrazione del rifugiato: si tratterebbe di investimenti relativamente poco costosi, in confronto a quanto costa affrontare le devianze sociali e il degrado di queste persone, una volta abbandonate al loro destino sul nostro territorio.
  Nel corso dell'audizione del Direttore dell'Ufficio ILO per l'Italia e San Marino, Luigi Cal, del 3 luglio 2012, questi ha però ha espresso apprezzamento per il piano di integrazione approvato nel 2010 dal Governo italiano sul tema della sicurezza e dell'accoglienza, che riguarda cinque aree tematiche, tra le quali la formazione e l'apprendistato; l'occupazione degli immigrati in Italia; l'alloggio e la governance locale (quindi il ruolo dei comuni e delle regioni); l'accesso ai servizi sanitari e sociali essenziali; gli immigrati di seconda generazione. A questo proposito si ricorda che il 10 marzo 2012 è entrato in vigore l'accordo di integrazione, in base al quale al momento dell'arrivo nel nostro Paese l'immigrato accetta l'impegno di rispettare tutte le nostre regole di civile convivenza, mentre dal canto suo lo Stato italiano si impegna a somministrare una serie di servizi, tra i quali l'insegnamento della lingua italiana e dell'educazione civica.

7. Conclusioni.

  Le conclusioni elaborate dal Comitato sulla base dei contributi ricevuti e delle osservazioni emerse nel corso dei dibattiti svolti si riferiscono a molte delle questioni esaminate nel corso dell'indagine, coprendo così un ampio ventaglio di argomenti. Esse possono essere così sintetizzate.

A. Sul piano della normativa europea e del ruolo dell'Unione nella gestione delle politiche migratorie e delle crisi umanitarie.

  Il Comitato auspica fortemente un rinnovato e rafforzato impegno dell'Unione europea sul fronte dei negoziati per la creazione di un Pag. 137Sistema europeo comune di asilo, affinché si giunga con la massima urgenza a definire un compiuto quadro normativo in grado di regolare efficacemente e uniformemente su tutto il territorio dell'Unione lo status giuridico dei richiedenti asilo, anche e soprattutto in occasione di flussi misti ed emergenze umanitarie.
  Tale Sistema deve mirare a fornire soluzioni concrete e comuni a tutta l'Unione europea per il caso dei respingimenti in mare, ammissibili solo quando venga assicurata la tutela effettiva e sostanziale, non solo formale, del diritto del migrante di avanzare domanda di asilo. Alcuni membri del Comitato ritengono, peraltro, che non sia possibile assicurare tale tutela nel caso dei respingimenti in mare.
  Al centro delle preoccupazioni del Comitato è stata posta la delicata questione della gestione di flussi improvvisi e incontrollati che si riversano su Paesi di frontiera dell'area Schengen, in presenza dei quali è necessario conciliare le necessarie tutele dei diritti riconosciuti allo straniero a livello internazionale con le esigenze di regolazione e gestione dei flussi migratori da parte dei singoli Stati membri dell'Unione.
  Il Comitato ritiene prioritario che l’acquis di Schengen in materia di libera circolazione vada tutelato come una conquista di primario valore. Molti componenti del Comitato chiedono, tuttavia, che l'Unione tenga nella dovuta considerazione le esigenze di quei Paesi che per ragioni geografiche si trovano fortemente esposti alle emergenze migratorie. Ogni eventuale cautelativa sospensione dell'Accordo di Schengen deve essere effettivamente giustificata dall'assoluta eccezionalità e temporaneità del fenomeno – valutata su criteri oggettivi – nella convinzione che la libera circolazione assicurata dall'Accordo non sia in alcun modo posta in discussione.
  Il Comitato sollecita anche e soprattutto in sede europea la conclusione non solo di accordi di riammissione, ma soprattutto di accordi di cooperazione economica, volti a realizzare programmi di sviluppo nei Paesi d'origine dei più consistenti flussi migratori diretti verso l'Unione europea, per alleviare la pressione migratoria esercitata su questa sponda del Mediterraneo.

B. Sul sistema generale delle tutele normative predisposte a livello nazionale.

  Il Comitato è favorevole alla promozione di una risposta legislativa complessiva di attuazione della Costituzione sulla condizione del rifugiato nella forma di una legge organica, che regoli tutta il percorso che lo riguarda, dal momento della presentazione della richiesta d'asilo (che non necessariamente deve avvenire solo sul territorio della Repubblica), fino alla sua piena integrazione nella nostra società e, a conclusione di questo iter di inserimento, fino all'eventuale ottenimento della cittadinanza italiana in via di naturalizzazione.
  Il sistema generale dell'accoglienza e dell'integrazione dei richiedenti asilo nella legislazione italiana appare sostanzialmente ben congegnato, anche per quanto concerne la previsione di misure in grado di contrastare l'abuso dello strumento dell'asilo. Si rileva, tuttavia, che il sistema è caratterizzato da una strutturale carenza di Pag. 138risorse. Alcune criticità emergono poi nella prassi della gestione delle emergenze migratorie, durante le quali risulta molto difficoltoso separare nettamente il trattamento riservato ai richiedenti asilo (probabili, ma spesso incerti titolari del diritto) da quello destinato invece agli stranieri irregolari. Ciò ha determinato situazioni di promiscuità all'interno degli stessi Centri di identificazione ed espulsione (v. il caso di Lampedusa), cosa che per il futuro deve essere assolutamente evitata.
  Il principale nodo critico del sistema è costituito dal fatto che mancano a tutti gli effetti canali legali di presentazione della domanda di asilo, che non prevedano come condizione l'arrivo (quasi sempre irregolare) sul nostro territorio. Il Comitato ritiene essenziale che il Governo studi, in collaborazione con gli organismi internazionali deputati alla tutela dei rifugiati, l'eventuale possibilità di istituire Uffici all'estero in grado di raccogliere ed esaminare le domande di asilo già al di fuori del territorio dell'Unione europea, in modo da abbattere le difficoltà e i costi della gestione degli ingressi misti e dell'accoglienza dedicata, e soprattutto in modo da evitare che molti aspiranti all'asilo si imbarchino per le nostre coste a costo di enormi rischi per la propria incolumità.

C. Sull'accoglienza predisposta a favore dei richiedenti asilo.

  Come obiettivo generale il Comitato rileva la necessità di ricondurre a sistema le varie strutture di accoglienza a favore dei richiedenti asilo presenti sul territorio (Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR, Centri assistenza richiedenti asilo – CARA, nonché i CIE per la parte che interessa la permanenza occasionale e temporanea di richiedenti asilo, ed ogni altra risorsa disponibile). In particolare, sembra opportuna una razionalizzazione dei soggetti responsabili coinvolti nell'assistenza e nell'espletamento delle procedure di esame delle domande di asilo, realizzando più marcate forme di coordinamento al vertice, come un centro unico di gestione dei vari centri e soggetti: CARA, attualmente sotto diretta gestione del Ministero dell'interno, SPRAR, gestito dall'ANCI, e un'altra tipologia di centri nelle città metropolitane, il tutto in connessione con il sistema emergenziale della protezione civile. Quest'ultima, pur caratterizzata da una notevole efficacia e capacità organizzativa, non è per sua natura adatta a gestire interventi di natura prettamente sociale.
  In particolare, il Comitato, pur mostrando grande apprezzamento per il lavoro continuamente svolto dal Ministro dell'interno e da tutti gli Uffici coinvolti nella gestione dei richiedenti asilo, particolarmente dal Dipartimento libertà civili e immigrazione, conviene sul fatto che alcuni aspetti nella gestione dei rifugiati potrebbero forse essere meglio collocati presso il Ministero delle politiche sociali o necessiterebbero di un coordinamento ad hoc, di livello superiore (come potrebbe essere un Ministero con specifiche competenze di gestione dei flussi migratori di ogni tipo).
  Anche in considerazione dei giudizi largamente positivi raccolti sull'esperienza dello SPRAR, il Comitato condivide l'opinione degli auditi circa la necessità di allargarne la capacità complessiva di Pag. 139accoglienza per i richiedenti asilo, sia dal punto di vista dell'accoglienza abitativa (aumentando la rete SPRAR di 2.000 posti), sia sotto il profilo dei percorsi di inserimento socio-lavorativo dei richiedenti asilo.
  All'allargamento della capacità dello SPRAR potrebbe altresì corrispondere, ad opinione del Comitato, l'introduzione di un più intenso criterio di responsabilizzazione di tutti gli enti regionali, nonché un rafforzamento della cooperazione regionale in questo ambito, eventualmente creando un tavolo di coordinamento a livello centrale e vari tavoli di coordinamento regionali.
  Il Comitato ha raccolto le osservazioni avanzate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nelle quali si rimarca la necessità che sia garantita integralmente da parte del Governo la copertura finanziaria di tutti gli interventi già attuati o da attuare.
  Sull'attività delle commissioni territoriali per l'asilo, sono riscontrabili numerosi progressi, conseguenti, tra l'altro, al loro decentramento sul territorio. Alcune criticità riguardano qualche carenza nell'opera di formazione continua degli operatori, la scarsità dei mediatori culturali, la necessità di operare per accorciare le procedure. Queste criticità si sono aggravate durante il periodo emergenziale del 2011. Un maggiore investimento per aggiungere efficienza all'attività delle Commissioni può, tra l'altro, generare risparmi per quanto attiene ai costi di trattenimento nei CARA.

D. Sulla gestione dei flussi migratori misti e delle crisi umanitarie.

  Sulla gestione dei flussi migratori misti in occasione di gravi crisi umanitarie, il Comitato ha registrato le numerose proposte tendenti a individuare nel rilascio di un permesso umanitario per tutti i migranti provenienti dalla Libia (a prescindere dalla rispettiva nazionalità) una delle possibilità per accelerare l'uscita dallo stato emergenziale susseguente alla guerra in Libia e favorire un percorso di normalizzazione e di integrazione dei rifugiati nel tessuto sociale e lavorativo italiano. Prevale tuttavia l'opinione che una sistematica e generalizzata regolarizzazione dei flussi misti in occasione di gravi emergenze migratorie non costituisca una sufficiente ed efficace misura di contenimento e di regolazione dei flussi stessi. Anche il controllo delle frontiere, nel quadro di una rigorosa ottemperanza all’acquis di Schengen e considerata la particolare posizione dell'Italia come frontiera esterna dell'Unione, appare insufficiente in situazioni emergenziali.
  Per una migliore gestione delle rilevanti «bolle di irregolarità» che si costituiscono periodicamente nel Paese, e altrettanto periodicamente risolte mediante sostanziali sanatorie, alcuni componenti del Comitato suggeriscono di introdurre meccanismi di regolare emersione (fondati su una valutazione caso per caso). L'esistenza di un canale di questo tipo potrebbe risultare utile per ricondurre a un livello fisiologico la presenza degli stranieri in posizione di irregolarità in Italia.
  Sulle procedure di identificazione condotte all'interno dei CIE, il Comitato condivide (con vari gradi di dissenso rispetto all'attuale Pag. 140situazione) l'opinione che la permanenza all'interno di questi centri eccessivamente lunga e disagiata. La situazione è poi particolarmente insostenibile per i richiedenti asilo effettivamente titolari dello status di rifugiati e per coloro che hanno diritto alla protezione sussidiaria, considerato che le strutture appaiono insufficienti a gestire questi soggetti sia dal punto di vista della tutela dei loro diritti, sia dal punto di vista materiale dell'abitabilità e della ristrettezza degli spazi, che rischia di farli somigliare a centri di detenzione.
  Il Comitato rileva altresì che un ulteriore elemento di criticità all'interno dei CIE è costituito da un persistente grado di promiscuità dell'accoglienza, per la quale spesso convivono nella stessa struttura immigrati in possesso di un permesso di soggiorno scaduto (ma che magari hanno seguito un percorso di integrazione regolare), immigrati entrati illegalmente, ma con una lecita aspirazione lavorativa, insieme a soggetti caratterizzati da un'esperienza criminale a volte molto grave. Tutto questo rende la convivenza all'interno dei CIE difficoltosa e talvolta pericolosa. È infine inaccettabile che nei CIE vengano immessi soggetti in uscita dal carcere, dove hanno scontato una pena ma per i quali non si sia proceduto all'identificazione. Il Comitato è unanime nel ritenere che tale identificazione debba essere fatta nel carcere e non nei CIE, ad evitare intollerabili promiscuità e conflittualità all'interno dei medesimi.

E. Sulle procedure di esame delle domande di asilo.

  Per quanto concerne l'ipotesi di un primo screening del richiedente asilo in fase di presentazione della domanda, alcuni membri del Comitato valutano con interesse il fatto che in altri Paesi europei si faccia ricorso alle cosiddette «procedure preliminari» (anche dette «procedure accelerate» o «procedure aeroportuali»), finalizzate a individuare domande manifestamente infondate, evitando così di ingorgare gli organi decisori – soprattutto in periodi di forti flussi di entrata. In Francia sono addirittura in vigore procedure aeroportuali che trattengono il richiedente asilo all'aeroporto in attesa di questo rapido esame preliminare, dopo il quale, se il richiedente non lo supera, viene immediatamente rispedito nel Paese di origine. Altri membri del Comitato ritengono che queste procedure non tutelino adeguatamente i diritti dei migranti e si prestino ad abusi.
  Sembra opportuno che il Governo valuti con maggiore attenzione l'eventuale richiamo alla cosiddetta clausola della sovranità di cui all'articolo 3, c. 2, del Regolamento Dublino II, in base alla quale uno Stato può decidere autonomamente di esaminare una domanda di asilo di competenza di altro Stato. Ciò consentirebbe infatti in certi casi di fissare tempi certi per lo svolgimento della procedura, contribuendo contestualmente ad abbattere i costi della prolungata permanenza del richiedente asilo in attesa della decisione sullo Stato competente.
  A giudizio del Comitato, influisce sull'efficacia e sulla razionalità della procedura anche la già citata caratteristica di frammentarietà del nostro sistema d'asilo, che, già rilevata nell'ambito del Ministero dell'interno, si proietta anche nella fase successiva all'accoglienza: il Pag. 141rigetto della domanda d'asilo comporta conseguenze che sfuggono sia alle commissioni territoriali o alla Commissione nazionale, sia al dipartimento delle libertà civili, essendo completo appannaggio della pubblica sicurezza.
  Entrando nel merito specifico della procedura, il Comitato constata che se sono stati snelliti i tempi di esame delle domande presso le commissioni territoriali, non sono stati potenziati a sufficienza né i servizi di supporto della pubblica sicurezza né i servizi di segreteria tecnica, impedendo una ulteriore accelerazione delle procedure.
  Il Comitato rileva la persistente difficoltà di eseguire le espulsioni (con accompagnamento), procedura tuttora complessa e onerosa, che presuppone uno specifico accordo con il Paese di provenienza, in assenza del quale si ricorre all'espulsione per intimazione. L'inefficacia anche di quest'ultima tipologia di provvedimento crea grossi bacini di irregolarità, anch'essi misti (cioè formati da persone entrate irregolarmente, o il cui permesso di soggiorno è scaduto, o la cui domanda d'asilo è stata rigettata, che non ha le condizioni per lavorare e non è entrato attraverso i flussi programmati, ecc.), con pesanti ricadute anche sul sistema dell'accoglienza per i richiedenti asilo.

RELAZIONI
SULLE MISSIONI SVOLTE DAL COMITATO

Allegate al documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sul diritto di asilo, immigrazione e integrazione in Europa.

Relazione sulla missione svolta in Tunisia
(18 e 19 gennaio 2012)

  Mercoledì 18 e giovedì 19 gennaio 2012 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, guidata dalla Presidente Margherita Boniver (PdL) e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dalla senatrice Diana De Feo (PdL) e dal senatore Massimo Livi Bacci (PD), si è recata in missione a Tunisi, per incontrare i massimi rappresentanti delle autorità locali e del nuovo Governo tunisino, risultante dalle elezioni per l'Assemblea Nazionale Costituente del 23 ottobre 2011.
  Nel corso della visita la delegazione del Comitato ha incontrato il Segretario di Stato agli Affari Esteri della Repubblica tunisina Touhami Abdouli; il Ministro degli esteri, Rafik Abdessalem; il Sottosegretario agli affari sociali e emigrazione, Hassine Jaziri; il Ministro dei diritti umani, giustizia transitoria e Portavoce del Governo della Repubblica tunisina, Samir Dilou; infine il Ministro degli interni, Ali Laaridh.
  La missione rispondeva all'interesse primario del Comitato di stabilire un primo e tempestivo contatto con i rappresentanti del Pag. 142nuovo Governo tunisino nato dagli esiti di quella che i media hanno chiamato la «rivoluzione dei gelsomini», i moti di protesta iniziati alla fine del 2010 che in pochi mesi hanno completamente trasformato il volto politico del Paese.
  A seguito della rapida evoluzione della protesta di carattere inizialmente socio-economico, ma successivamente estesasi a tutto il Paese in forma di rivendicazioni anche politiche, il Presidente tunisino Ben Ali ha abbandonato il territorio tunisino il 14 gennaio 2011, dopo aver tentato inutilmente di riprendere il controllo del Paese. Successivamente alla formazione di un Governo di unità nazionale sotto la guida del Primo Ministro uscente Gannouchi, la situazione politica del Paese ha subito ulteriori rivolgimenti, che hanno progressivamente condotto all'accantonamento di tutte le personalità politiche connesse al vecchio regime di Ben Ali e all'affermazione del Governo di Caid Essersi, garante della transizione del Paese verso le elezioni dell'Assemblea Nazionale svoltesi il 23 ottobre del 2011. Da queste elezioni, caratterizzate da una notevole parcellizzazione del voto, è emerso maggioritario il partito di ispirazione islamica moderata Ennhada, di cui è espressione il Primo Ministro Hamadi Jebali.
  La delegazione del Comitato nel corso degli incontri ha avuto l'opportunità di incontrare i massimi rappresentanti delle nuove istituzioni tunisine emerse dai rivolgimenti politici e sociali del 2011, espressione in particolare del partito emergente e maggioritario di Ennhada. La tempestività della visita (la seconda visita istituzionale italiana in ordine di tempo a partire dalla formazione del nuovo Governo tunisino) ha garantito il massimo interesse e una grande visibilità degli incontri svolti, consentendo alla delegazione del Comitato di svolgere una significativa funzione di trait d'union in rappresentanza dell'Italia nei confronti di un Paese che necessita di legittimazione internazionale e di stabilizzazione, anche sul fronte estero oltre che sul piano interno.
  Il processo di transizione verso nuove elezioni ha visto prolungati momenti di criticità economica in un quadro di sicurezza interna permanentemente instabile: tali condizioni, all'origine del sensibile incremento dei flussi migratori verso Lampedusa già dalla primavera del 2011, hanno ulteriormente consigliato lo svolgimento di una visita tempestiva della delegazione del Comitato, non solo per acquisire elementi di conoscenza nello specifico ambito di competenza sull'immigrazione, ma anche per rafforzare e incoraggiare le autorità tunisine preposte al controllo delle coste e instaurare quanto prima proficui rapporti di collaborazione su questo versante, anche in vista del prossimo futuro.
  Gli incontri svolti dalla delegazione del Comitato hanno evidenziato una perdurante condizione di criticità dell'economia, caratterizzata da un forte tasso di disoccupazione, un significativo calo del PIL e delle principali fonti di reddito del Paese (principalmente legate al turismo), un preoccupante deterioramento delle condizioni di sicurezza interna.
  Il quadro politico economico tunisino è caratterizzato da un sensibile calo del turismo (solo verso l'Italia nell'ordine del 67%), un calo generale del 7% del PIL, 800.000 disoccupati (di cui 200.000 laureati) su una forza lavoro di 3.700.000 persone. A ciò si aggiungono Pag. 143alcuni problemi di sicurezza e microcriminalità, in precedenza sconosciuti alla Tunisia, dovuti anche ad un insufficiente controllo del territorio da parte delle autorità di polizia tunisine, oltre che probabilmente alla volontà – da parte del nuovo governo – di accreditarsi come espressione di democrazia e non come strumento di repressione, in rapporto di evidente discontinuità rispetto all’ancien régime. Non mancano in questo contesto alcuni rigurgiti di matrice salafita, soprattutto nelle scuole e nelle università, che tuttavia restano ai margini di un quadro politico dominato dalla matrice islamica moderata e tollerante di Ennhada, sulla quale gli interlocutori tunisini hanno più volte posto l'accento.
  In tutti gli incontri del Comitato sono emerse chiaramente le tre priorità individuate dal Governo tunisino come base per la propria azione: stabilizzazione della situazione politica, rilancio dell'economia e miglioramento della sicurezza interna. Al primo obiettivo gli interlocutori tunisini hanno sin dall'inizio attribuito grande importanza, chiarendo come il rafforzamento e la conferma dei rapporti bilaterali esistenti (particolarmente con l'Italia) rientrino nel quadro della stabilizzazione politica, attraverso il recupero della credibilità del Paese a livello internazionale, e costituiscano anche la premessa essenziale per il ristabilimento dell'equilibrio economico e della sicurezza.
  Nell'incontro con il Sottosegretario agli Affari esteri Touhami Abdouli, la Presidente Boniver ha invitato la controparte tunisina a formulare gli auspici del Governo in materia di cooperazione bilaterale finalizzata al controllo dei flussi migratori: in questa sede è emerso che il Governo tunisino auspica la conclusione di accordi di cooperazione allo sviluppo finalizzati ad alleviare il forte tasso di disoccupazione (particolarmente giovanile) delle regioni più disagiate della Tunisia, da cui proviene la gran parte dei flussi migratori verso l'Italia, con l'obiettivo di una gestione concordata del fenomeno migratorio.
  Sul fronte del controllo dei flussi migratori i tunisini hanno sottolineato che il loro concetto di politica migratoria poggia su tre pilastri: lotta contro l'immigrazione clandestina, gestione coordinata dell'immigrazione regolare e cooperazione economica con l'estero. Il Sottosegretario ha evidenziato che i danni del precedente regime sono ancora visibili nell'alto tasso di corruzione della vita pubblica e nella presenza di forti masse di giovani disoccupati, per troppo tempo trascurati dal regime. Il Governo attuale è dunque concentrato sulla necessità di attirare gli investimenti stranieri, di favorire processi di migrazione «circolare», riducendo quanto prima il tasso di disoccupazione, e di controllare i flussi migratori evitando tuttavia che la Tunisia si trasformi nel «poliziotto» del Maghreb.
  Il Sottosegretario ha anche ventilato l'ipotesi che la Tunisia possa essere con qualche formula associata al Trattato di Schengen, come soluzione strategica per tamponare i flussi migratori incontrollati provenienti dall'Africa sub sahariana; ha sottolineato la priorità della stabilizzazione politica del Paese da raggiungere anche attraverso il ristabilimento dei rapporti bilaterali pregressi; ha infine espressamente chiesto che il Governo italiano consideri l'opportunità di Pag. 144rinnovare i permessi di soggiorno degli 11.000 tunisini attualmente presenti sul nostro territorio per alleviare la tensione interna della disoccupazione giovanile.
  Il Comitato ha avuto poi l'opportunità di incontrare fuori programma il neo Ministro degli esteri Rafik Abdessalem, con il quale la Presidente Boniver ha potuto congratularsi per il modello di cambiamento politico ed epocale che la Tunisia ormai incarna nei confronti di tutto il Maghreb dall'inizio della primavera araba. Il Ministro per parte sua ha ribadito più volte la priorità di stabilizzare il Paese sul fronte interno, rafforzando la sua immagine all'estero, in modo da ripristinare le condizioni per l'afflusso dei capitali stranieri e per una ripresa immediata del turismo, fonte essenziale di reddito per il Paese.
  L'incontro con il Sottosegretario agli Affari Sociali e Emigrazione, Hassine Jaziri, si è incentrato prevalentemente sulle cause economiche dei grandi flussi migratori, menzionando anche la questione dei centinaia tunisini scomparsi nel canale di Sicilia, questione che nell'opinione pubblica locale è fortemente sentita. La delegazione del Comitato ha assicurato anche in questo frangente l'impegno italiano a sostenere il processo di transizione della Tunisia verso la democrazia e la stabilizzazione politica, anche attraverso il rafforzamento dei rapporti economici bilaterali.
  In particolare la Presidente Boniver ha sottolineato la necessità di affrontare l'agenda dell'immigrazione clandestina in modo diverso a causa della crisi economica globale, affiancando al controllo di questi flussi un adeguato aiuto allo sviluppo diretto verso i Paesi di origine dei migranti. Il senatore Livi Bacci ha invece avanzato l'ipotesi che i tunisini predispongano strutture adeguate affinché i migranti provenienti dall'Africa sub sahariana possano presentare domanda di asilo in territorio tunisino invece di affrontare la rischiosa traversata del Mediterraneo, che ha visto più di 1500 perdite di vite umane nei soli primi sei mesi del 2011.
  I tunisini hanno auspicato il potenziamento degli strumenti di cooperazione con l'OIM, FRONTEX e l'UNHCR, applicando concretamente gli strumenti internazionali esistenti per la gestione dei flussi migratori e il controllo delle frontiere marittime. È stato messo in rilievo anche il grave problema relativo alla presenza di più di 4000 immigrati libici nei centri di raccolta ai confini con la Libia, che non possono essere rinviati nel loro Paese, né istradati verso l'Unione europea.
  Il Ministro dei diritti umani, Giustizia transitoria e Portavoce del Governo Samir Dilou ha assicurato che il risultato delle urne in Tunisia non può in alcun modo alimentare il timore – diffuso all'estero – di una possibile deriva politica verso l'integralismo islamico. Ha anche ammesso che la situazione economica e sociale è ancora estremamente fragile, così come deve essere ancora avviato il processo di radicamento di una nuova cultura dei diritti umani e civili, da estendere anche ai settori della sicurezza pubblica e del trattamento carcerario.
  Particolarmente denso di contenuti politici e umani è stato l'incontro con il Ministro degli interni Ali Laaridh, il quale ha definito Pag. 145la condizione in cui attualmente versa la Tunisia come un immenso cantiere economico, sociale e politico, cui occorre mettere mano quanto prima.
  Da ex militante oppositore di Ben Ali (detenuto per 15 anni nelle carceri del regime) e alla luce delle umiliazioni e delle violazioni subite in quella veste, il Ministro si è detto consapevole della cruciale importanza del Ministero degli interni per la vita politica del Paese, dichiarando il suo impegno a trasformarlo in un punto di riferimento amato dalla popolazione, anziché identificato (come invece avveniva in precedenza), con la longa manus di uno stato poliziesco responsabile di gravi violenze e sistematiche violazioni di diritti umani. La sensibilità e l'attenzione al rispetto della dignità della persona e dei diritti umani, con l'obiettivo di evitare i gravi errori del passato, sono stati perciò da lui individuati come il cardine fondamentale nella conduzione del Ministero e nella costruzione della nuova democrazia tunisina.
  Il Ministro ha evidenziato la necessità di un cambiamento della mentalità nel Paese sotto il profilo politico, culturale: nel tempo necessario a questo salto qualitativo la Tunisia potrà diventare un Paese nel quale gli oppositori di altri Paesi potranno trovare rifugio.
  Ricordando che il Paese è passato da un regime sostanzialmente dittatoriale ad una nuova realtà politica fondata su libere elezioni e sulla manifestazione del dissenso, il Ministro ha fatto intendere che il Governo è molto attento a mantenere un giusto equilibrio fra ordine pubblico e libertà di manifestazione anche nelle piazze, nella consapevolezza che alle origini del malcontento sociale e popolare – così come dell'immigrazione di massa verso l'estero – vi sono sempre ragioni economiche su cui è necessario intervenire adeguatamente. Nonostante ciò il Ministro ha voluto sottolineare che in questa fase storica la Tunisia necessita prioritariamente di una radicale riforma a livello politico generale, prima di procedere ad un altrettanto ampio programma di riforme economico-sociali.
  Il Ministro ha dichiarato che, contrariamente alle notizie diffuse dai mass media all'estero, la Tunisia intende aprirsi al mondo esterno – europeo e non europeo – non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello culturale. Esiste la ferma volontà di consolidare e rafforzare i rapporti con i Paesi dell'Unione europea, che stanno accompagnando la Tunisia nel percorso di democratizzazione; è necessario snellire la burocrazia e affrontare quanto prima le ripercussioni che l'attuale congiuntura mondiale avrà sull'economia del Paese, ripristinando al più presto la piena funzionalità dell'industria turistica.
  In replica alla senatrice Diana De Feo, che poneva alcuni quesiti sulla sicurezza interna della Tunisia e sull'opportunità di estendere i permessi di soggiorno per lavoro stagionale, i tunisini hanno assicurato che i siti turistici tunisini in particolare non sono mai stati a rischio criminalità o terrorismo e che il flusso di lavoro stagionale verso l'Italia non è sufficiente ad alleviare il problema della disoccupazione interna.
  Per quanto concerne il controllo delle frontiere marittime verso l'Italia, è stata ribadita la volontà del nuovo Governo tunisino di Pag. 146mantenere e rafforzare gli impegni presi nell'ambito dell'accordo bilaterale con l'Italia, stipulato con il Ministro Maroni il 5 aprile 2011.
  Esponenti dello staff del Ministro hanno confermato la volontà nel perseguire la lotta all'immigrazione irregolare, a partire dalla terraferma, specificando che i rimpatri finora effettuati sono stati 4.000, al ritmo di due voli a settimana. I tunisini hanno confermato la necessità che gli aiuti promessi dall'Italia nell'ambito dell'accordo del 2011 siano erogati con tempestività, essendo essenziali al controllo dell'immigrazione irregolare già sul suolo tunisino.
  Sul fronte della gestione dei flussi migratori provenienti dall'esterno della Tunisia e diretti verso l'Italia, invece il Ministro ha messo in evidenza il grave impegno rappresentato per le forze di polizia tunisine dal controllo degli oltre 500 km di frontiera con la Libia, da cui continua a provenire una forte pressione migratoria, mentre è stata indicata come comparativamente più agevole la gestione della frontiera con l'Algeria.
  Su questo punto, l'Ambasciatore Pietro Benassi ha ricordato che l'Italia ha contribuito alla lotta all'azione di controllo delle frontiere con 4 motovedette, 14 pezzi di ricambio delle stesse, 600 vetture terrestri e materiale informatico.
  Il Vice Presidente Ivano Strizzolo ha sottolineato il comune interesse italo-tunisino ad una efficiente gestione del fenomeno migratorio nel rispetto dei diritti umani, della legalità e della trasparenza, assicurando che l'Italia apprezza la nuova fase politica della Tunisia ed ha interesse a rafforzare il percorso di transizione democratica in atto, come modello per gli altri Paesi nordafricani.
  Il Ministro, nel ringraziare l'Italia per l'assistenza sinora prestata alla Tunisia anche in virtù degli speciali legami tra i Paesi, ha poi espresso una precisa richiesta affinché il nostro Paese riservi agli immigrati tunisini un trattamento rispettoso dei loro diritti, poiché sono pervenute lamentele da cittadini tunisini ospitati nei centri di accoglienza italiani. Su questo punto la Presidente Boniver ha dato ampie assicurazioni, respingendo ogni ipotesi di violenza sugli immigrati tunisini o di violazione dei loro diritti all'interno dei CIE: ha chiarito con fermezza che le delegazioni del Comitato, che hanno più volte visitato i Centri per immigrati sparsi sul territorio italiano nell'ultimo anno, hanno spesso riscontrato carenze di spazi e di risorse, ma mai violazioni di diritti umani o trattamenti degradanti a danno degli immigrati ospitati.

Relazione sulla missione svolta in Bulgaria
(14 e 15 marzo 2012)

  Mercoledì 14 e giovedì 15 marzo 2012 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, guidata dalla Presidente Margherita Boniver (PdL) e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dall'onorevole Teresio Delfino (UdC) e dal senatore Massimo Livi Bacci (PD), si è recata in missione a Sofia in Bulgaria, per incontrare i Pag. 147rappresentanti delle istituzioni e delle autorità locali, con l'obiettivo di approfondire la questione del prossimo ingresso della Bulgaria nell'area Schengen e verificare sul posto lo stato di preparazione del Paese sul fronte del controllo delle frontiere.
  Nel corso della visita, la delegazione ha incontrato la Presidente dell'Assemblea Nazionale Tsetska Tsacheva; il Vice Presidente dell'Assemblea Nazionale e Presidente della Commissione per la sicurezza interna e l'ordine pubblico Anastas Anastasov; il Ministro della giustizia Diana Kovacheva; il Vice Ministro degli interni Dimitar Georgiev; il Vice Ministro degli esteri Konstantin Dimitrov; i Presidenti ed alcuni membri delle Commissioni del parlamento bulgaro competenti per gli affari interni, l'immigrazione, gli affari esteri ed europei, la sicurezza; la Signora Megleva Kuneva, ex Ministro degli affari europei ed ex Commissario europeo per la tutela dei consumatori.
  La visita aveva un preminente carattere di studio, volto ad approfondire la concreta situazione della Bulgaria in vista del suo prossimo ingresso nell'area di libera circolazione di Schengen, confermando contestualmente la posizione dell'Italia che ha sempre manifestato il suo aperto sostegno alla Bulgaria in tal senso (a differenza di alcuni partner europei, come i Paesi Bassi, che si oppongono all'accesso di Sofia). Da parte bulgara tuttavia, l'accoglienza riservata alla delegazione, con la predisposizione di un programma molto fitto e di minuziose presentazioni tecniche, ha lasciato intendere la preoccupazione delle autorità bulgare di accreditare presso il Comitato e il Parlamento italiano in generale l'immagine di una Bulgaria perfettamente pronta, sotto ogni profilo politico e tecnico, a sostenere il ruolo di custode delle frontiere esterne dell'Unione europea, una volta entrata a pieno titolo nell'area Schengen.
  Nell'incontro con la Presidente dell'Assemblea Nazionale Tsetska Tsacheva sono stati immediatamente affrontati i nodi politici del ritardato ingresso della Bulgaria nell'area Schengen, che a giudizio della parte bulgara dipenderebbero principalmente da problemi di politica interna di alcuni Paesi aderenti all'Accordo che si oppongono attualmente all'ingresso di Romania e Bulgaria (in particolare i Paesi Bassi). Su questo punto la Presidente Tsacheva ha criticato apertamente la commistione di criteri tecnici e politici nella valutazione del grado di preparazione della Bulgaria a questo ingresso e il moltiplicarsi di richieste che l'Unione europea avanza al Governo bulgaro per accordare ai cittadini bulgari la libera circolazione in Europa.
  La posizione bulgara in particolare insiste sul fatto che la valutazione del soddisfacimento dei criteri tecnici fissati per l'ingresso della Bulgaria nell'area di libera circolazione a livello europeo si sovrappone, quando non si confonde, con i rapporti di monitoraggio (interim report) che la Commissione europea pubblica (dal gennaio 2007, a seguito dell'adesione del Paese all'UE) nel quadro del Meccanismo di Cooperazione e Verifica e che nulla dovrebbero avere a che fare con la capacità tecnica delle autorità bulgare di garantire la tenuta delle frontiere. La Presidente Boniver in questa occasione ha ribadito la posizione fin all'inizio apertamente favorevole dell'Italia rispetto al processo di adesione della Bulgaria prima all'Unione Pag. 148europea ed ora all'area Schengen, specificando che l'Italia ha appena proceduto (gennaio 2012) ad abolire il regime transitorio in precedenza previsto per la circolazione dei lavoratori bulgari nei territori di alcuni Stati membri di Schengen. Ha tuttavia suggerito di contestualizzare il processo di ingresso di Bulgaria e Romania nell'area Schengen in presenza di significativi fattori geopolitici, come la recente insorgenza di eccezionali flussi migratori provenienti dal Medio Oriente che in questo momento inducono a riconsiderare attentamente la fissazione di nuovi confini esterni dell'Unione europea.
  Gli incontri con i rappresentanti delle principali Commissioni dell'Assemblea Nazionale bulgara competenti per i temi dell'immigrazione, degli affari europei e della sicurezza hanno confermato i timori dei bulgari di essere oggetto di un monitoraggio politico troppo penetrante da parte dell'Unione europea e la loro diffidenza nei confronti della progressiva moltiplicazione dei criteri da soddisfare in vista dell'entrata nello Spazio Schengen. Tale moltiplicazione non si spiega a loro avviso con l'esigenza, asseritamente tecnica, di verificare l'effettiva capacità del Paese di tutelare adeguatamente le proprie frontiere – capacità a giudizio dei bulgari ampiamente accertata – ma piuttosto con un atteggiamento diffidente, se non apertamente sfavorevole verso il Paese, che va superato attraverso l'applicazione imparziale dei criteri tecnici già stabiliti a questo scopo in sede europea. Per questo la Bulgaria si aspetta che nella riunione del Consiglio Giustizia e Affari interni prevista per settembre 2012 sia deliberato definitivamente il suo ingresso in Schengen, senza ulteriori condizionalità.
  In risposta ai bulgari, i quali ponevano l'accento sul fatto che «solo» all'interno di Schengen la Bulgaria potrà pienamente ed efficacemente assolvere al compito di tutelare le frontiere europee verso l'Asia minore (in particolare sulla linea di confine con la Turchia) e sull'opportunità di favorire l'adesione all'Unione europea di tutti i Paesi balcanici, l'onorevole Strizzolo è intervenuto per manifestare la convinzione che la Bulgaria, opportunamente sostenuta in questo processo di inclusione nell'area Schengen, potrà costituire un potente elemento di stabilizzazione dell'area balcanica, contribuendo al rafforzamento delle frontiere esterne dell'Unione europea, piuttosto che al loro indebolimento. L'onorevole Delfino ha invece posto l'accento sulla necessità di fare pressione sull'Unione europea, con la collaborazione di Sofia e di Tirana, per accelerare la realizzazione dei corridoi paneuropei, in particolare del Corridoio 8. Il senatore Livi Bacci ha infine concluso manifestando la sua solidarietà per le preoccupazioni bulgare, ma sottolineando che anche il processo di adesione dell'Italia all'area Schengen non è stato né breve né agevole e che proprio per questo occorre avere pazienza e resistere ai rigurgiti di nazionalismo e xenofobia che in alcuni Paesi europei rischiano di mettere in pericolo la preziosa conquista di civiltà rappresentata dall'Accordo di Schengen.
  Nell'incontro con il Ministro della giustizia Diana Kovacheva, i colloqui si sono incentrati quasi esclusivamente sui contenuti del disegno di legge sul sequestro dei beni di provenienza illecita che l'Assemblea Nazionale bulgara dovrebbe approvare entro la fine di Pag. 149marzo, per ottemperare a quanto richiesto nell'ultimo rapporto di monitoraggio periodico effettuato dalla Commissione europea, che insiste sulla necessità che la Bulgaria acceleri il processo di revisione della legislazione in materia di lotta contro la corruzione e il riciclaggio.
  Questo disegno di legge contiene norme particolarmente stringenti volte al sequestro di beni probabile frutto di attività illecite o di reati come associazione a delinquere, corruzione, appalti truccati, reati tributari, contrabbando o riciclaggio. Poiché nel progetto si prevede che la confisca del bene avvenga con procedimento civile, indipendentemente da una sentenza penale passata in giudicato, sulla base dell'indagine condotta da un'apposita Commissione (di nomina sostanzialmente politica), sono stati posti seri dubbi di legittimità costituzionale all'interno delle stesse forze politiche bulgare, soprattutto per quanto concerne la tutela dei diritti individuali e della proprietà privata. Sul piano della politica europea, che qui interessa, è stata rilevata anche dalla delegazione del Comitato la delicatezza di un intervento legislativo dettato dall'esterno (nella fattispecie dalla Commissione europea), che rischia di comprimere i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini bulgari, sotto la minaccia virtuale di escludere il Paese dai benefici dell'appartenenza all'Unione europea e all'area Schengen. Si tratta di un vulnus alla sovranità nazionale che non solo pone seri interrogativi sulla legittimità democratica di tali imperativi europei, ma rischia anche di sollevare nelle forze politiche e nell'opinione pubblica bulgare (come già in altri Paesi europei) spinte fortemente antieuropee o derive nazionaliste, di cui è opportuno che le istituzioni europee tengano debitamente conto.
  Alcune serie critiche a questo disegno di legge sono state avanzate, nel corso dell'incontro avuto con la delegazione del Comitato, anche dalla Signora Megleva Kuneva, personalità emergente nel quadro politico interno bulgaro, che raccoglie la vecchia opposizione al regime comunista rappresentata dal partito dell'ex-sovrano ed ex Premier Simeone II e che sta per formare un proprio raggruppamento politico in vista delle prossime elezioni previste per il 2013.
  L'incontro con la Signora Kuneva ha evidenziato davanti al Comitato le diverse sfaccettature del panorama politico bulgaro, dominato dall'agenda dei temi europei (di cui l'attuale Governo fa un punto di onore), ma in realtà assillato dai molti problemi derivanti da un apparato giudiziario ancora scarsamente indipendente, da un tessuto economico relativamente fragile e da una debole coesione sociale. Il colloquio non ufficiale con Megleva Kuneva ha indirettamente posto il luce – ancora una volta – il potenziale conflitto esistente in alcuni Paesi membri dell'Unione europea fra obiettivi di armonizzazione dettati da un'agenda esterna europea (spesso frettolosamente realizzati dai Governi nazionali sotto pena di essere esclusi dal nucleo qualificante dell'Unione stessa) e più urgenti esigenze democratiche di Paesi – come la Bulgaria – che ancora attraversano una difficile fase di transizione politica ed economica.
  Il Vice Ministro degli interni Dimitar Georgiev ha concentrato l'attenzione del Comitato sulla presentazione tecnica dell'attività e delle strutture del Ministero dell'interno, volta ad illustrare diffusamente lo stato dei progressi compiuti dalla Bulgaria nella predisposizione Pag. 150di tutte le misure atte a garantire l'assoluta impermeabilità dei suoi confini esterni, in ottemperanza a quanto richiesto per la sua entrata nello Spazio Schengen. Sono anche emersi tuttavia, su richiesta specifica della delegazione, alcuni problemi irrisolti relativi alla criminalità organizzata, nonché una situazione ancora embrionale per quanto riguarda la gestione e l'organizzazione dei Centri di accoglienza per gli immigrati e i richiedenti asilo, che evidentemente rappresentano ancora numeri troppo limitati per consentire di valutare la reale capacità delle autorità di frontiera bulgare di gestire efficacemente eventuali emergenze migratorie.
  Delle condizionalità che sono ancora al centro del sofferto processo di avvicinamento della Bulgaria all'area Schengen (lotta alla corruzione, riforma della giustizia e rafforzamento dei controlli alle frontiere), l'incontro con il Vice Ministro si è incentrato quasi esclusivamente sullo stato di avanzamento dei controlli tecnici e delle procedure di identificazione dei migranti alle frontiere (marittime e terrestri), piuttosto che su una esposizione politica degli altri profili rilevanti per il Consiglio Giustizia e Affari Interni del prossimo settembre (che dovrebbe deliberare sull'idoneità della Bulgaria ad entrare in Schengen). In questo incontro, ulteriormente supportato dalle successive presentazioni tecniche illustrate al Comitato dagli organi della polizia di frontiera, è emersa ancora una volta la preminente preoccupazione dei bulgari di accreditare un'immagine efficiente e affidabile anzitutto sul piano burocratico e tecnico, ancor prima che politico, nella convinzione che la delegazione del Comitato svolgesse una attività di verifica per conto delle istituzioni europee piuttosto che di studio per la propria funzione parlamentare di indirizzo.
  Le dettagliate presentazioni tecniche che la Polizia di frontiera bulgara ha svolto davanti al Comitato per illustrare le modalità del monitoraggio tecnico sui confini di terra e di mare (in particolare sul confine con la Turchia) hanno evidenziato una preparazione tecnica presumibilmente adeguata ad affrontare un prevedibile aumento dei flussi migratori provenienti dall'Asia minore, una volta che la Bulgaria sarà entrata nell'area Schengen.
  I dati acquisiti dalla delegazione in questi incontri parlano di 1170 ingressi sul territorio bulgaro nel corso del 2011, provenienti in ordine decrescente da Iraq, Turchia, Siria, Palestina, Marocco ed altri Paesi. Dal novembre 2010 la polizia di frontiera bulgara utilizza il sistema SIS e nelle procedure di identificazione opera secondo le best practices già in uso presso gli altri Stati membri di Schengen.
  Il Vice Ministro degli esteri Konstantin Dimitrov è ritornato sul punto politico più qualificante, già emerso negli altri incontri svolti dalla delegazione, cioè sulla necessità di non sovrapporre la valutazione meramente tecnica del soddisfacimento dei requisiti per l'ingresso della Bulgaria nello Spazio Schengen con il rapporto di monitoraggio che la Commissione redige nel quadro del Meccanismo di Cooperazione e Verifica, di carattere squisitamente politico, che coinvolge profili più ampi di politica europea e di armonizzazione delle legislazioni. Se sotto quest'ultimo profilo la Bulgaria deve ancora percorrere una parte della strada che la separa dalla piena integrazione Pag. 151europea, il profilo relativo alla sua idoneità a far parte dell'area Schengen è – almeno a giudizio della parte bulgara – pienamente acclarato.
  La delegazione del Comitato Schengen si reputa soddisfatta del bagaglio di informazioni acquisite nel corso della missione di studio a Sofia, prendendo atto che per le istituzioni bulgare l'ingresso della Bulgaria a pieno titolo nell'area Schengen rappresenta un punto di onore, che l'Unione europea non può trascurare senza urtare la sensibilità di un Paese che molto ha fatto (e ancora farà) per venire incontro alle difficili condizioni di volta in volta poste per la sua adesione.
  Permangono tuttavia alcune perplessità che riguardano una possibile sottovalutazione da parte della Bulgaria del carico di responsabilità e di oneri materiali che potrebbe verosimilmente comportare lo slittamento dei confini esterni dell'Unione europea sulla frontiera turco-bulgara. Questo slittamento potrebbe a sua volta indurre un aumento della pressione migratoria proveniente dall'Asia e far emergere complicati problemi di gestione di masse di migranti all'interno dei pochi centri di accoglienza bulgari, con le connesse difficoltà relative all'eventuale respingimento o espulsione di molti di essi e soprattutto – punto non sufficientemente chiarito nel corso dei colloqui – all'espletamento delle procedure di identificazione dei richiedenti asilo.
  La delegazione del Comitato si è trovata altresì d'accordo sulla funzione politicamente stabilizzante e di controllo che la Bulgaria potrebbe svolgere sull'intera area balcanica, una volta ammessa nello Spazio Schengen, considerato che nei Balcani operano attualmente le più grandi reti della criminalità transnazionale impegnate nel traffico di droga e di persone, sulle quali sarebbe perciò opportuno stabilire un'adeguata attività di contenimento.
  Infine, la delegazione ha rilevato la necessità di procedere quanto più speditamente possibile nel percorso di armonizzazione legislativa fra i vari Stati membri dell'Unione europea, evitando tuttavia l'effetto perverso in base al quale i Governi dei Paesi maggiormente svantaggiati – come Bulgaria e Romania – rischiano di comprimere i diritti dei loro cittadini, se non addirittura lo stesso interesse nazionale, nello sforzo di corrispondere a richieste onerose in termini di adeguamento della legislazione interna e di rispetto del Patto di stabilità, avanzate dalle istituzioni europee.

Relazione sulla missione svolta in Turchia
(dal 16 al 18 maggio 2012)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, da mercoledì 16 a venerdì 18 maggio 2012 una delegazione del Comitato, guidata dalla Presidente Boniver e composta dall'onorevole Ivano Strizzolo e dai senatori Massimo Livi Bacci e Diana De Feo, si è recata in missione in Turchia, per Pag. 152incontrare i rappresentanti delle istituzioni competenti per le politiche europee e il controllo dell'immigrazione.
  Il primo giorno, giunta ad Ankara, la delegazione del Comitato ha incontrato il sottosegretario per gli Affari Europei Mehmet Haluk Ilicak.
  Il sottosegretario ha espresso gratitudine nei confronti dell'Italia per l'appoggio che il nostro Paese ha manifestato in relazione al processo di adesione della Turchia all'Unione europea, che ha espresso il suo interesse ad entrare in Europa fin dal 1959. Sottolineando che una buona parte dell'economia turca dipende dai rapporti con i Paesi dell'Unione europea, si è augurato che l'Europa esca presto dalla crisi economica in cui si trova: un crisi che ha ridotto il volume delle esportazioni dalla Turchia verso i Paesi europei dal 50% del 2010 al 41% del 2011, rischiando così di ripercuotersi negativamente anche sulla bilancia commerciale turca.
  Quanto alle questioni più strettamente connesse all'accordo di Schengen, è emerso fin dal principio che il nodo cruciale dei rapporti fra Turchia ed Unione europea attualmente è rappresentato dal duplice scoglio della politica europea di concessione dei visti di ingresso sul territorio dell'Unione a cittadini turchi (sempre più restrittiva) e delle contemporanee negoziazioni della stesse istituzioni di Bruxelles con la Turchia per la conclusione di accordi di riammissione relative ai migranti che varcano le frontiere clandestinamente le frontiere dell'Unione provenendo dal territorio turco.
  Su questo punto il Sottosegretario agli Affari europei ha subito chiarito la ferma posizione della Turchia, in base alla quale le due negoziazioni devono procedere parallelamente: nella fattispecie, la Turchia è disponibile alla conclusione degli accordi di riammissione (che l'Europa considera essenziali per esercitare un efficace controllo delle frontiere europee) solo a patto che l'Unione europea riveda la sua politica di concessione dei visti ai cittadini turchi, che allo stato attuale i turchi considerano del tutto immotivata, se non addirittura punitiva nei confronti del loro Paese. In particolare, l'introduzione del visto, avvenuta dopo il colpo di stato militare del 1980, contrasterebbe con un processo di segno opposto che ha visto il progressivo avvicinamento della Turchia all'Europa, sia in termini di progresso politico e civile, sia in termini economici e di flussi migratori: da Paese di emigrazione la Turchia si è infatti trasformata in Paese di immigrazione per una vasta area che va dal Caucaso al Medio Oriente e che rappresenta oggi il principale bacino di influenza economica e politica della Turchia stessa, senza menzionare il fatto che molti dei flussi di uscita di lavoratori turchi verso l'Europa si sono radicalmente ridotti, a causa dell'alto tasso di disoccupazione attualmente esistente nei Paesi dell'Unione.
  Sotto questo profilo, i rappresentanti delle istituzioni e delle autorità competenti per l'immigrazione che il Comitato ha avuto modo di incontrare nel corso della visita hanno ripetutamente manifestato la loro contrarietà a quello che viene considerato un atteggiamento di chiusura pregiudiziale dell'Unione europea – se non di vera e propria diffidenza – nei confronti della Turchia, la quale, oltre a non essere più per parte sua un Paese di origine di immigrazione clandestina, ha anche dimostrato di essere un valido partner nel controllo delle Pag. 153frontiere dell'Unione. La ricorrente espressione di questo malumore da parte degli interlocutori turchi (fondamentalmente da attribuire allo stallo che sta scontando il processo di adesione della Turchia, soprattutto se confrontato, ad esempio, con i negoziati intrapresi con Paesi dell'area balcanica giunti molto più tardi alla richiesta di adesione), ha trovato un appiglio concreto nel fatto che l'Unione europea sta effettivamente avviando una politica dei visti molto più favorevole nei confronti di alcuni Paesi emergenti (Russia e Brasile), trascurando il ruolo chiave della Turchia in questo ambito, nonché sottovalutando quella che i turchi hanno definito come una maggiore efficienza delle autorità turche rispetto alla stessa Grecia nel controllo dei confini. Per questi motivi, la delegazione del Comitato ha ritenuto di esprimere in più occasioni il fermo sostegno italiano ai negoziati di adesione della Turchia e la volontà delle autorità diplomatiche e consolari italiane di garantire la massima flessibilità possibile nella concessione di visti a cittadini turchi che si recano in Italia per turismo o affari e che pertanto non meritano di essere discriminati rispetto a cittadini di altri Paesi terzi.
  In particolare, il Sottosegretario ha fatto presente che il rischio di una migrazione di massa dalla Turchia verso l'Europa è da considerare infondato, mentre invece i dati statistici confermano piuttosto un'inversione di tendenza del fenomeno.
  Da sondaggi effettuati da istituti universitari risulta ad esempio che la percentuale degli studenti turchi che si trasferirebbero in Europa ammonta attualmente al 25%, grazie al basso tasso di disoccupazione della Turchia odierna, contro il 75% registrato negli anni passati. Fonti tedesche hanno dimostrato che nel 2011 27.000 cittadini turchi si sono trasferiti in Germania, mentre dalla Germania in Turchia il flusso registrato è stato di 35.000 unità.
  Sul versante degli accordi di riammissione, il Sottosegretario ha chiarito che la copertura finanziaria di questi accordi costituisce un forte onere per la Turchia, rispetto al quale i finanziamenti offerti da parte europea appaiono del tutto insufficienti. Ha ricordato che se l'Europa continua a non rispettare le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di concessione di visti ai cittadini turchi sarà difficile trovare un accordo anche sui temi della riammissione dei migranti. Peraltro, ha fatto presente che, nonostante i suoi confini non siano quelli dell'area Schengen, la Turchia intercetta molti più clandestini rispetto alla Grecia: l'Unione europea dovrebbe allora domandarsi perché continua a servirsi di un partner – la Grecia – che non è in grado di bloccare il traffico di migranti irregolari in entrata nel proprio territorio, anziché usufruire del sostegno e dell'efficace azione di contenimento che ha dimostrato di poter esercitare in questo ambito la Turchia.
  Secondo il Vice Presidente Ivano Strizzolo la Turchia ha una funzione strategica per il Medio oriente e l'area del Mediterraneo soprattutto in relazione ai Paesi protagonisti della «Primavera araba», rispetto ai quali la Turchia rappresenta un modello politico ed economico; pertanto è auspicabile e necessaria la collaborazione tra la Turchia e l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea, più Pag. 154nell'interesse di questi ultimi che della Turchia stessa. L'Italia del resto ha sempre sostenuto l'ingresso della Turchia nel contesto europeo e l'accelerazione del processo di adesione.
  Nel suo intervento il senatore Massimo Livi Bacci ha dichiarato che l'Italia – a differenza dell'Unione europea – non è intimorita dallo divario demografico con la Turchia (la cui popolazione nel 2050 sarà il doppio di quella italiana), ma piuttosto preoccupata dell'aumento della migrazione irregolare di transito sul territorio turco: in vista di un suo ingresso in Europa, la Turchia dovrebbe necessariamente rafforzare le proprie frontiere con la Siria e l'Iraq, in modo sufficiente a rassicurare anche gli altri Paesi europei sulla questione del controllo dei flussi migratori.
  La senatrice Diana De Feo ha sostenuto che alla base dell'atteggiamento europeo vi sono, oltre che differenze di natura religiosa e culturale, preoccupazioni che derivano dall'importante peso anche economico che la Turchia avrà in futuro in termini di dimensioni e popolazione.
  Il sottosegretario ha replicato che la Turchia è fonte di ispirazione per i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente in virtù del proprio modello politico in cui Islam e democrazia possono pacificamente convivere: la dimostrazione è nella realizzazione delle riforme attuate, anche nel campo della giustizia e del rispetto dei diritti umani. Rappresenta, in ordine di grandezza, il secondo esercito dei Paesi aderenti alla Nato ed il primo in Europa. Nel processo di adesione della Turchia nell'Unione europea ogni ostacolo e offesa frapposte non sono solo dirette alla Turchia, ma ad ogni Paese che ad essa si ispira: per evitare un conflitto tra civiltà occorre dimostrare che al rispetto delle regole consegue un uguale trattamento.
  Per quanto concerne i traffici illeciti connessi ai flussi dell'immigrazione clandestina, anche la Turchia è seriamente preoccupata dal fenomeno, aggravato anche dal fatto che in molti i casi i migranti che arrivano in Turchia decidono di rimanervi, anziché defluire verso altri Paesi. Per rafforzare i confini turchi sono stati pianificati investimenti per 6.500 milioni di euro fino al 2018.
  In particolare, per quanto concerne il contrabbando di armi, l'immigrazione clandestina e il terrorismo, il Sottosegretario ha posto in rilievo quelle che a suo giudizio sono pesanti responsabilità del PKK, il movimento politico clandestino armato incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'UE. Ha stigmatizzato l'atteggiamento tollerante di alcuni Paesi membri dell'UE nei confronti del PKK (in Danimarca ad es. l'organizzazione dispone addirittura di un canale televisivo tuttora attivo, nonostante sia stato riconosciuto in sedi giudiziali che si tratta di un mezzo di propaganda), rimarcando come in generale la cooperazione giudiziaria con i Paesi europei sul fronte della lotta al PKK sia insoddisfacente.
  Sulla questione siriana, il Sottosegretario ha tenuto a sottolineare che la Turchia ha cambiato il proprio iniziale atteggiamento nei confronti di Assad, divenendo capolista del blocco antisiriano, ma solo per ragioni umanitarie. La Siria resta un interlocutore importante per i turchi, anche perché rappresenta il Paese con il confine più lungo (800 chilometri), ma la Turchia non interverrà mai nel conflitto interno, se non per legittima difesa, e comunque non prima di una Pag. 155decisione multilaterale. Ha infine segnalato che attualmente il Governo turco sta sostenendo la permanenza di circa 35.000 rifugiati siriani all'interno di campi di accoglienza considerati tra i migliori al mondo, dotati di strutture come scuole, ospedali, luoghi di culto, servizi di vario genere.
  Il secondo giorno della missione (17 maggio 2012) ha avuto luogo l'incontro con il Vice Ministro degli affari esteri Naci Koru, il quale ha immediatamente affrontato la questione dei flussi migratori successivi alla crisi nordafricana diretti verso la Turchia: il Governo turco sta predisponendo nuove misure amministrative e legislative per garantire un approccio più efficace nella gestione dell'immigrazione irregolare e nel controllo delle frontiere, anche in ragione del lunghissimo confine asiatico – marittimo e terrestre – che fa della Turchia la porta di comunicazione fra Europa ed Asia.
  Su questo punto in particolare, il Vice Ministro ha segnalato il progressivo incremento dei centri di accoglienza per immigrati irregolari, che richiede molte risorse. Ha informato che dal 2010 è in uso il passaporto biometrico, che l'80% dei passaporti in uso sono stati rinnovati e 5 milioni di nuovi passaporti sono stati rilasciati. È anche all'esame del Parlamento un disegno di legge sullo status degli stranieri in Turchia.
  Tornando sulla questione dei visti, il Vice Ministro ha definito inconcepibile la politica che alcuni Paesi dell'Unione europea perseguono nei confronti dei cittadini turchi (artisti ed intellettuali compresi), in tempi in cui non esiste più il rischio che essi entrino clandestinamente in territorio europeo.
  Sul fronte dei rapporti con in Paesi dell'area, questione sollevata dall'Onorevole Strizzolo, il Vice Ministro ha tenuto a sottolineare il clima di buona collaborazione e gli ottimi rapporti di vicinato non solo con i Paesi caucasici (con la Georgia – oltre che con la Russia – è stato abolito l'obbligo di visto), ma anche con la Grecia e tutta l'area balcanica, legata alla Turchia da profondi legami culturali e storici da più di 400 anni. Esistono consistenti minoranze turche in tutti i Paesi balcanici (solo in Grecia vi sono 750.000 cittadini di origine turca); in Macedonia sono ancora evidenti le opere dell'Impero ottomano; in Romania la popolazione ha intensi rapporti con la Turchia.
  Sul tema dei visti è intervenuto il senatore Livi Bacci, per il quale l'accordo sui visti e quello sulle riammissioni rappresentano priorità da risolvere in tempi brevi, ma occorre trovare una ragionevole forma di compromesso perché la contemporaneità auspicata dalla Turchia non è praticabile. Il Senatore ha poi chiesto delucidazioni sulle procedure di espulsione e sulle modalità di trattenimento dei circa 50.000 immigrati irregolari fermati dalle autorità turche, chiedendo altresì conferma del reale numero di immigrati irregolari sul territorio turco (che a seconda degli studi effettuati oscillano fra i 200.000 e il milione di unità).
  Il Vice Ministro degli affari esteri Koru non ha fornito dati numerici precisi sul numero di immigrati clandestini presenti in Turchia, ma ha parlato di una drastica riduzione del flusso irregolare diretto in Grecia, ribadendo la ferma intenzione della Turchia di combattere il fenomeno anche per motivi di sicurezza interna. Pag. 156
  L'efficiente attività di controllo di sicurezza dei confini svolta dalla Guarda Costiera, continue consultazioni con le autorità greche e scambi tra le rispettive intelligence hanno ridotto del 70% il fenomeno degli ingressi clandestini dalla Turchia verso la Grecia. Nel contempo è aumentato il numero dei centri di accoglienza ed è prevista l'apertura di altri centri, mentre è in corso uno sforzo per migliorare le condizioni di tali strutture di accoglienza per risolverne il problema di sovraffollamento, sempre nell'ambito di stretti rapporti i cooperazione con i Paesi confinanti.
  Il 17 maggio si è svolto l'incontro con il Presidente della Commissione Affari Interni del Parlamento Turco, Muammer Guler, che si è principalmente incentrato sul problema dell'immigrazione clandestina in transito sul territorio turco, proveniente non solo dall'Ucraina e dai paesi caucasici limitrofi ma anche dall'Africa. Poiché la Presidente del Comitato, Onorevole Boniver, ha tenuto a sottolineare che la gestione dell'immigrazione richiede il massimo rispetto dei diritti dei migranti e del loro bisogno di trovare – ove possibile – un ragionevole inserimento lavorativo, il Presidente Guler ha assicurato che la Turchia garantisce il pieno rispetto dei diritti umani nella gestione dell'immigrazione irregolare. La maggiore criticità nella lotta a tale fenomeno è comunque rappresentata dalla loro identificazione, necessaria per un eventuale rimpatrio, dato che quasi sempre mancano i documenti di identità che accertino il Paese di origine al quale poter reindirizzare i soggetti irregolari.
  In questo quadro è particolarmente importante intercettare e controllare le navi in transito nelle acque territoriali turche: negli ultimi anni numerose navi provenienti dall'India, transitando dal Canale di Suez ed attraversando il Mar Egeo dirette verso la Grecia, sono state intercettate grazie all'azione di contrasto della Guarda Costiera turca.
  Nel corso dell'incontro il Vice Presidente Strizzolo ha evidenziato la difficoltà dell'Italia nel far comprendere ai Paesi del centro e nord Europa l'importanza e la necessità di una politica comune di contrasto al complesso problema dell'immigrazione irregolare (anche alla luce dei recenti fatti che hanno interessato il Nord Africa e il Medio Oriente), anche ai fini dell'ordine pubblico. Ha rimarcato che se la Turchia fosse già nell'Unione europea sarebbero possibili azioni più coordinate ed incisive nel Mediterraneo. Anche per questa ragione l'Italia auspica che l'ingresso della Turchia nel contesto europeo avvenga in tempi brevi.
  L'incontro successivo si è svolto con il Presidente della Commissione Affari Esteri Volkan Bozkir, il quale ha preliminarmente rimarcato come le recenti modifiche del Codice Penale turco abbiano inasprito le pene per l'ingresso illegale nel territorio turco. Fornendo un ampio quadro degli attuali flussi migratori che interessano il territorio turco, conseguentemente minacciando anche le frontiere di Schengen, il Presidente Bokzir ha parlato di 870.00 migranti fino al 2011 (in media 50.00 all'anno), soffermandosi sugli enormi profitti che questo traffico rappresenta per la criminalità organizzata e le organizzazioni terroristiche (fra cui naturalmente il PKK).
  Sottolineando come i suoi predecessori che la maggiore difficoltà di gestione dell'immigrazione irregolare consiste nel fatto che molti Pag. 157migranti distruggono i propri documenti di identità per impedire la loro identificazione (e conseguente espulsione verso il Paese di origine) Bokzir si è particolarmente soffermato sulla questione dei costi relativi alla gestione degli immigrati irregolari in caso di conclusione degli accordi di riammissione con l'Unione europea.
  A questo proposito, chiarendo che i costi da prevedere (circa 7 miliardi di dollari, secondo i turchi) riguardano non solo il trattenimento e l'accoglienza a tempo indeterminato di un numero crescente di migranti clandestini, ma anche il controllo materiale dei confini e l'addestramento delle forze dell'ordine, il Presidente Bokzir ha fatto presente che per la Turchia è essenziale che si trovi un accordo per un'equa condivisione di questi oneri (burden sharing), versante sul quale le proposte dell'Unione europea appaiono del tutto inadeguate. Per illustrare la disparità finanziaria, il Presidente Bokzier ha affermato che in base ad un accordo di riammissione con la Grecia la Turchia riceve 70 euro per ogni clandestino rimpatriato, mentre la Turchia nell'ambito di un analogo accordo con il Pakistan paga a questo Paese ben 1000 dollari per ogni migrante riammesso. È altresì necessario quindi, secondo i turchi, concludere preliminarmente adeguati accordi di riammissione fra la Turchia stessa e i Paesi confinanti, sui quali l'Ue potrebbe opportunamente esercitare la propria influenza politica in tal senso.
  Sul punto, il Presidente Bokzir, pur riconoscendo che la negoziazione con l'Unione europea sul fronte dell'accordo di riammissione sta portando i suoi frutti, pervenendo ad un testo condiviso, ha esplicitamente subordinato la firma di questo stesso accordo da parte turca ad una precisa svolta nella politica dei visti dell'area Schengen nei confronti dei cittadini turchi, nonché ad un'accelerazione del processo di adesione della Turchia all'Unione europea.
  Questo processo agli occhi degli interlocutori turchi che il Comitato ha avuto modo di incontrare appare infatti pretestuosamente rallentato, se non bloccato, dalle continue richieste rivolte dall'UE alla sola Turchia volte a soddisfare sempre nuovi requisiti per l'adesione, requisiti che invece – secondo i turchi – la stessa UE non ha il coraggio o l'intenzione di chiedere ad altri Paesi aspiranti all'adesione. Paesi che per dimensioni e peso strategico o economico non possono competere con la Turchia, ma che evidentemente, secondo i turchi, godono di un trattamento di favore motivato dalla sola contiguità geografica o – peggio – da una presunta maggiore omogeneità storica o religiosa.
  Inoltre, ha proseguito Bokzir, con lo sblocco della questione dei visti non sarebbe da escludere, a suo giudizio, un'inversione di tendenza del flusso migratorio non più dalla Turchia all'Europa, ma nella direzione inversa, a causa del crescente tasso di disoccupazione dei Paesi europei.
  Infine ha avuto luogo l'incontro della delegazione del Comitato con il Ministro degli interni Idris Naim Sahin, reduce dal vertice intergovernativo italo-turco di Roma, nel corso del quale è stato concluso un significativo Accordo di cooperazione contro la criminalità, come il Ministro stesso ha tenuto a sottolineare. In questa sede è stato altresì evidenziato il ruolo crescente della Turchia nella lotta contro l'immigrazione clandestina, in collaborazione con l'Unione Pag. 158europea e la Nato, nonché il rilevante numero di centri di accoglienza per i migranti costruiti dalle autorità turche (più di 40 su tutto il territorio turco). Il Ministro ha poi sottolineato la difficoltà di controllare un confine terrestre di circa 2.700 km (di cui 400 con l'area Schengen), cui si aggiungono altri 2.500 km di confini marittimi, riaffermando la necessità di garantire prioritariamente la sicurezza dei confini in un quadro di gestione integrata con l'Unione europea, cioè compatibile fin d'ora con l’acquis europeo.
  Il Ministro in particolare ha fornito alcuni dati sull'afflusso di immigrati clandestini sul territorio turco, specificando che negli ultimi 12 anni sono stati fermati sul suolo turco circa 850.000 clandestini, dei quali 33.000 nel 2010 e 41.000 nel 2011. Le autorità di pubblica sicurezza turche si concentrano maggiormente sull'attività di contrasto e cattura dei trafficanti, piuttosto che sui respingimenti: negli ultimi quindici anni sono state perciò arrestate 11.000 persone coinvolte nei traffici di persone connessi all'immigrazione clandestina, contemporaneamente sono state sensibilmente inasprite le sanzioni a carico dei trafficanti, motivo per cui attualmente la Turchia non rappresenta più una base operativa per il traffico di immigrati clandestini come in passato. Il Ministro ha altresì contestato le stime relative al numero di immigrati irregolari presenti sul territorio turco riferite dal senatore Livi Bacci (tra i cinque e i dieci milioni), affermando che il numero complessivo di queste persone non supera i 150.000 (di 1 o 2 immigrati irregolari al massimo per ogni 1000 abitanti). Ha inoltre precisato che il maggior numero di immigrati irregolari sul suolo turco si concentra nelle aree metropolitane, dove il controllo sociale è normalmente più alto: a Istanbul ad esempio sarebbero presenti non più di 70.000 immigrati irregolari. A domanda del senatore Livi Bacci, ha poi risposto che l'abolizione dei visti d'ingresso in Turchia con i Paesi limitrofi non ha aggravato la presenza di immigrati irregolari, ma al contrario ha consentito un più corretto monitoraggio del fenomeno. In particolare, ha chiarito che le autorità turche non hanno registrato significativi flussi da e per la Siria negli ultimi otto mesi.
  Il 18 maggio, in conclusione della missione, la delegazione parlamentare si è recata a visitare la frontiera con la Grecia, in località Edirne, attraverso la quale transitano circa 65.000 autovetture l'anno. Si tratta di una piccola dogana per la quale non passano mezzi pesanti. La frontiera terrestre misura 13 chilometri, mentre quella naturale, delineata dal fiume Evros misura 190 chilometri. Attraverso questo punto del confine transita ogni anno l'80% del traffico di migranti irregolari diretto verso l'area Schengen (25.000 persone nel 2011).
  Sulla questione della costruzione da parte della Grecia di una frontiera artificiale con la Turchia (un muro di 12 chilometri per 3 metri di altezza), gli interlocutori si sono dichiarati contrari perché convinti, da un lato, dell'incisività della sorveglianza messa in atto dalle forze di polizia turche e, dall'altro, dell'inefficacia di tale tipo di misura per fermare il traffico di esseri umani. Ai fini dei controlli vengono utilizzati pattugliamenti organizzati da cinque posti di Polizia e telecamere sensibili termiche. Gli immigrati fermati lungo questa Pag. 159frontiera rappresentano un decimo rispetto a quelli intercettati nelle altre postazioni della frontiera greca. Secondo le autorità greche gli irregolari transitano per lo più attraverso Edirne.
  Nell'incontro con il Governatore di Edirne, è emerso quindi che i Paesi di maggiore provenienza dei migranti irregolari sono la Palestina, la Birmania, l'Afghanistan e la Somalia. Anche il Governtatore, come gli altri interlocutori si è detto certo che l'adesione della Bulgaria all'area Schengen comporterà un aumento del flusso di clandestini in transito per la Turchia.
  Infine la delegazione ha brevemente visitato il centro di accoglienza situato nel Governatorato di Edirne, costruito con fondi turchi, che ha una capienza di 656 posti, dei quali attualmente sono occupati solo 400.

Relazione sulla missione svolta in Romania
(10 e 11 ottobre 2012)

  Il 10 e 11 ottobre 2012 una delegazione del Comitato Schengen guidata dalla Presidente Margherita Boniver e composta dei deputati Ivano Strizzolo, Teresio Delfino e Vincenzo Taddei, si è recata in missione a Bucarest, in Romania, per svolgere incontri con le autorità locali di livello parlamentare e governativo, con lo scopo di approfondire i temi di competenza del Comitato e di reciproco interesse bilaterale, in vista del previsto ingresso della Romania nell'area Schengen. 
  Nel corso della visita, che si è incentrata su una fitta agenda di incontri al massimo livello istituzionale, la delegazione del Comitato ha potuto incontrare in ordine di tempo il Ministro dell'interno e dell'amministrazione pubblica, Mircea Dusa; il capo del Dipartimento Schengen, affari europei e relazioni internazionali, Marian Tutilescu; il Presidente della Romania, Traian Basescu; il Presidente della Camera dei deputati, Valeriu Zgonea; il Vice Presidente del Senato, Petru Filip; i Presidenti ed i membri della Commissione per la politica estera del Senato e della Camera dei deputati e della Commissione difesa, ordine pubblico e sicurezza nazionale del Senato e della Camera dei deputati; il Primo Ministro, Victor Ponta; il Segretario della Commissione romeni all'estero, Senatore Viorel Badea; il Vice Ministro degli affari esteri con delega agli affari europei, Luminita Odobescu; il Ministro della giustizia, Mona Pivniceru.
  Nell'incontro con il Ministro dell'interno Mircea Dusa, cui è intervenuto anche il capo del Dipartimento Schengen, Affari europei e Relazioni internazionali, Tutilescu, sono stati preliminarmente sottolineati gli sforzi compiuti dalla Romania per ottemperare a tutti i requisiti – non solo tecnici – necessari per l'ingresso nell'area Schengen, inclusa la costruzione di infrastrutture e la conclusione di Accordi di riammissione con la Serbia e la Bosnia-Erzegovina, In questo frangente è stato chiarito che i richiedenti asilo in Romania (tra cui molti Serbi, anche se questi ultimi sono per lo più senza titolo a richiedere l'asilo) sonno stati nel 2011 circa 800, in prevalenza provenienti da Afghanistan, Iraq e Palestina. Pag. 160
   Il Direttore Tutilescu in particolare ha fatto presente che la difficoltà nell'assorbimento dei Fondi europei di coesione manifestata dalla Romania è spesso dipesa, oltre che per l'inesperienza delle autorità rumene competenti, dalle scadenze talora molto brevi di utilizzo degli stessi Fondi, che perciò non sono stati adeguatamente sfruttati (questo è vero soprattutto per la costruzione di aeroporti, come invece si sperava che fosse). Sono invece stati acquisiti gli strumenti e le strutture tecnologicamente più avanzate per l'ammodernamento dei sistemi di sorveglianza delle frontiere, inclusi macchinari molto sofisticati in grado di rivelare il passaggio di persone sul confine terrestre.
  Il Ministro Dusa ha assicurato che la cooperazione di polizia con i Paesi circostanti per il controllo delle frontiere è particolarmente intensa: il modello di cooperazione trilaterale promosso dalla Romania nei confronti di Grecia e Turchia sembra aver portato dei buoni risultati finora, in termini di controllo dei flussi e soprattutto di lotta alle reti internazionali della criminalità organizzata e del traffico di persone. Il Ministro ha perciò posto l'accento sul ruolo essenziale svolto dalla cooperazione giudiziaria e di polizia a livello regionale, soffermandosi particolarmente sul recente sviluppo di un rapporto privilegiato fra Romania e Turchia, Paese da cui proviene il maggior numero di migranti che entrano in Unione europea attraverso il territorio greco.
  La Romania ha anche previsto un pacchetto di misure compensative, consistenti in un rafforzamento delle forze di polizia sui confini interni (particolarmente con la Bulgaria), nel momento in cui venissero meno i controlli di polizia a seguito dell'ingresso nello spazio Schengen (e sarà comunque opportuno non abbassare la guardia sul quel tratto di territorio), o nel caso di eventi eccezionali che comportino ingenti flussi migratori. Rimane in ogni caso un fondamentale interesse nazionale rumeno quello di mettere in sicurezza i propri confini terrestri, marittimi e fluviali.
  Il Ministro Dusa ha infine espresso la contrarietà all'ipotesi – ventilata in sede europea – di consentire alla Romania un ingresso in due tempi nell'area Schengen, riguardante cioè separatamente le frontiere marittime e quelle terrestri.
  Nell'incontro con il Primo Ministro Victor Ponta ci si è anzitutto soffermati sul principale ostacolo politico che si frappone all'ingresso della Romania nell'area Schengen, rappresentato dall'opposizione della Germania e dei Paesi Bassi, e soprattutto sull'indebito (secondo i rumeni) collegamento, operato dalle autorità europee, fra l'ingresso della Romania in Schengen e il soddisfacimento di condizioni eminentemente politiche, rappresentate dal Meccanismo di cooperazione e verifica con il quale la Commissione europea monitora periodicamente lo stato di avanzamento delle riforme nei Paesi di recente adesione. Si tratta infatti di un monitoraggio politico, che di fatto esula dalle regole concordate in precedenza per l'ingresso del Paese nell'area Schengen (consistenti nel soddisfacimento di requisiti meramente tecnici), e che invece costituisce un corpo di consistenti condizioni politiche aggiuntive. La Romania – come è emerso ripetutamente anche nel corso dei colloqui successivi – respinge decisamente questo mutamento di linea dell'Unione europea, interpretandolo Pag. 161come una mancanza di fiducia, se non addirittura come una forma di discriminazione nei confronti dei rumeni, che ne ricavano anzitutto ingenti danni economici.
  Il Primo Ministro ha fatto presente che la Romania ha investito ben due miliardi di euro (di cui uno proveniente da fondi europei) nella costruzione delle infrastrutture e per l'acquisizione dei macchinari necessari alla soddisfazione dei requisiti tecnici per il controllo delle frontiere: un ulteriore ritardo del suo ingresso nello spazio Schengen a questo punto non è più frutto di una valutazione tecnica, ma è una decisione chiaramente politica, che si auspica possa essere presa il prima possibile in sede europea.
  La delegazione del Comitato è stata poi ricevuta dal Presidente della Repubblica, Traian Basescu, protagonista nella scorsa estate un scontro istituzionale che lo ha posto in conflitto con il Primo Ministro e il partito di riferimento dell'attuale Governo. A seguito delle gravi forzature costituzionali che sono derivate da questo scontro per opera di entrambe le parti è scaturita da parte della Commissione europea la richiesta di adempiere ad una specifica agenda di avanzamento delle riforme istituzionali, che si è concretata in una lettera del Presidente Barroso contenente undici specifiche condizioni politiche da soddisfare (concernenti principalmente il rispetto della separazione dei poteri, la garanzia dell'indipendenza della magistratura, un maggiore efficacia nella lotta alla corruzione).
  Il Presidente Basescu si è detto consapevole delle preoccupazioni che il grave conflitto istituzionale rumeno ha destato in sede europea e ha affermato la necessità di fugare questo tipo di timori attraverso un rapido ritorno alla normalità costituzionale (già realizzatosi peraltro) e un forte recupero di credibilità, volto a rassicurare i partner europei sulla effettiva rispondenza della Romania all’acquis europeo. Anche Basescu tuttavia ha stigmatizzato la decisione europea di trasformare i requisiti tecnici di ingresso della Romania nello spazio Schengen in condizioni aggiuntive di natura politica da soddisfare per il futuro immediato, condizioni del tutto estranee al testo del Trattato di adesione all'Unione europea firmato dalla Romania e che pertanto sono interpretate dai rumeni alla stregua di vere e proprie «sanzioni» nei confronti del loro Paese.
  Il Presidente si è poi diffuso sulla situazione economica del Paese, all'origine anche delle tensioni politiche dell'estate: l'adozione di misure anticrisi estremamente impopolari (dai tagli alla spesa pubblica all'introduzione di nuove tasse) ha scatenato una forte reazione popolare, che ha messo in crisi la maggioranza di governo e innescato una sensibile instabilità politica. Gli alti tassi di interesse seguiti alla crisi del 2008 hanno determinato un ridotto ricorso al mercato, da cui è scaturita la necessità di ulteriori tagli al bilancio dello Stato, per i quali i partiti del momento hanno pagato un alto prezzo politico. Pur in presenza di un sensibile calo degli investimenti esteri, il processo di modernizzazione del Paese tuttavia è proseguito, con misure di liberalizzazione del mercato del lavoro (maggiore flessibilità in entrata nel mercato del lavoro), con una riduzione del livello di welfare (giudicato troppo alto dal Presidente Basescu). La crescita del PIL nel 2012 si è attestata all'1%, il debito pubblico ha raggiunto il livello del 30% in rapporto al PIL e l'inflazione è intorno al 3%.Pag. 162
  L'incontro con il Presidente della Camera dei deputati rumena Valeriu Stefan Zgonea ha ancora una volta sottolineato gli enormi sforzi compiuti dalla Romania per adeguarsi ai requisiti tecnici di accesso all'area Schengen, rispetto ai quali un ulteriore decisione di ritardarne l'ingresso è percepita come una forma di sanzione ingiustificata. L'Unione europea rappresenta per il mondo un modello sociale ed economico da emulare, ma proprio per questo le regole per entrare a farne parte devono essere uguali per tutti e rispettate nello stesso modo: un dossier eminentemente tecnico come quello di adesione all'area Schengen non deve diventare uno strumento di pressione politica nei confronti della Romania, che ha compiuto e sta ultimando importanti progressi in campo economico, di consolidamento fiscale, di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
  Il Vice Presidente del Senato Petru Filip si è invece soffermato nei colloqui con la delegazione sul problema dell'immagine e della credibilità della Romania in Unione europea, che a suo giudizio risulta particolarmente danneggiata da isolati episodi di criminalità commessi da alcuni cittadini rumeni, nonché dalla presenza di consistenti insediamenti di rom in molti Paesi membri dell'UE. Di fronte al timore che in conseguenza di ciò possa diffondersi in Europa un atteggiamento ingiustificatamente ostile o addirittura discriminatorio nei confronti dei cittadini rumeni, la Presidente Boniver ha rassicurato il Vice Presidente Filip sul fatto che in Italia alcune manifestazioni di ostilità presenti sul web nei confronti dei cittadini rumeni sono attribuibili ad una ristretta minoranza di persone, mentre il pessimismo che si diffonde sul futuro dell'Europa in alcuni Paesi membri dipende largamente dalla crisi economica e dalla percezione del pericolo rappresentato da alcune ridottissime frange di immigrazione islamica non sufficientemente integrata, problema che ovviamente non riguarda la Romania.
  La delegazione del Comitato ha quindi incontrato alcuni membri e i rispettivi presidenti delle Commissioni esteri e difesa della Camera e del Senato rumeni, in un ampio colloquio che ha avuto principalmente ad oggetto la qualità eccezionale delle relazioni italo-rumena e lo stato di avanzamento del dossier Schengen, ulteriormente rallentato dai recenti sommovimenti politici rumeni.
  In particolare il Presidente della Commissione esteri del Senato Mircea Geoana ha parlato di una strategia politica nazionale rumena di integrazione delle minoranze rom, che costituiscono oggettivamente anche un problema di visibilità all'estero della Romania; dell'obiettivo nazionale di potenziare la lotta alle reti della criminalità organizzata, in considerazione della posizione geografica che fa della Romania un crocevia fra traffici criminali da est verso ovest e viceversa; della necessità che l'Unione europea sia fondata anche sul principio della solidarietà, fra Sud e Nord, fra vecchi e nuovi membri.
  Il presidente della Commissione difesa del Senato (ed ex Ministro dell'interno) Cristian David si è invece soffermato sul ruolo svolto dalla numerosa comunità rumena presente in Italia, fattore di importante sviluppo economico che non può essere messo in ombra da isolati episodi di criminalità; nonché sulle prospettive di accesso all'eurozona, attualmente previsto per il 2015, ma obiettivamente Pag. 163ancora piuttosto lontano da raggiungere, soprattutto in ragione dell'ancora limitato livello di competitività dell'economia rumena.
  La delegazione del Comitato ha poi chiesto ai propri interlocutori di esprimere un'opinione in merito al ruolo e al futuro di FRONTEX: tutti si sono trovati d'accordo nella necessità di potenziare l'Agenzia sia sotto il profilo tecnico e delle risorse, sia sul versante istituzionale, rimarcando l'opportunità di una reale interoperabilità delle forze di polizia di tutti i Paesi UE sui confini dell'Unione, in modo che il carico del controllo delle frontiere non ricada unicamente sui governi dei Paesi membri periferici.
  Nell'incontro con il Ministro degli esteri con delega agli Affari europei Luminita Odobescu si è ritornati sulla questione dell'opposizione politica di alcuni Paesi membri dell'UE (segnatamente della Germania e dei Paesi Bassi) all'ingresso della Romania nello spazio Schengen e del sopravvenuto collegamento fra il soddisfacimento dei requisiti tecnici di adesione e l'esito dei Report della Commissione europea in base al Meccanismo di cooperazione e verifica. L'applicazione di questo Meccanismo infatti, a giudizio della parte rumena, non dovrebbe influire sulla tempistica di abolizione dei controlli alle frontiere già prevista per la Romania e ripetutamente spostata in avanti proprio in ragione del prolungarsi di queste verifiche di natura eminentemente politica.
  Il Ministro ha fatto presente che, in vista dell'obiettivo temporale di marzo 2013, che il Governo rumeno si è posto per entrare a far parte dello spazio Schengen (e che si auspica possa essere la data definitiva), è stato deciso di adottare alcune misure supplementari (cd. flanking measures), per confermare la volontà della Romania di ottemperare a tutti i requisiti dell’acquis di Schengen. Sono stati così ricevuti esperti provenienti da vari Paesi membri dell'Unione europea (tra cui i Paesi Bassi), per consentire loro di verificare sul posto il grado di preparazione raggiunto dal sistema rumeno di controllo delle frontiere (in particolare negli aeroporti e al confine con la Serbia). Anche le verifiche aggiuntive di questi esperti hanno dato esito positivo. Contemporaneamente è stata rafforzata la cooperazione di polizia e giudiziaria con Grecia, Bulgaria e Turchia, nella consapevolezza che il punto debole da potenziare non è il confine con la Bulgaria sul Danubio, ma quello che corre fra Grecia e Turchia.
  I rapporti con la Bulgaria confermano, secondo le dichiarazioni del Ministro, il comune intento di Romania e Bulgaria di entrare contemporaneamente nello spazio Schengen, rigettando ogni ipotesi di ingresso separato di uno dei due Paesi. Per quanto invece riguarda un futuro accesso all'eurozona, i principali indicatori macroeconomici della Romania confermano che il Paese si sta preparando all'adesione: il Governo prevede di farcela per il 2015, pur nella consapevolezza che occorre ancora fare molti passi sulla via della completa integrazione economica. Da parte italiana si è sottolineata anche in questo frangente la necessità che si proceda ad una profonda e completa integrazione economica europea nell'interesse del futuro della stessa Unione europea, che solo così potrà fare fronte alla concorrenza dell'economia globale.
  Da ultimo la delegazione del Comitato ha incontrato il Ministro della giustizia, Mona Pivniceru, la quale ha fornito un ampio ed Pag. 164esaustivo quadro del complesso processo di transizione che la Romania sta sperimentando nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento giuridico, richiesto dal Trattato di adesione all'Unione europea. In particolare, è in atto nel sistema giuridico rumeno una colossale operazione di revisione dei quattro codici (penale, civile, di procedura penale e civile), che implica una rifondazione completa dei rapporti giuridici nella società rumena per adeguarli all’acquis europeo. Questa grande opera di trasformazione sta richiedendo un enorme dispendio di energie e risorse, lungo un arco temporale molto ampio, che deve tenere conto delle difficoltà connesse all'esame e alla revisione delle cause e dei processi in corso, della grande volatilità di molte norme giuridiche emanate dopo la rivoluzione (con grave danno alla credibilità internazionale del Paese), del pesante sovraccarico di lavoro che pesa su ogni giudice, considerata anche la (preesistente) notevole lunghezza dei processi. Si tratta di uno straordinario sforzo di adeguamento, di cui occorre rendere merito alla Romania, che richiede un tempo commisurato alla difficoltà di riconvertire le cause pendenti e di condurre le necessarie campagne informative per aiutare la popolazione in questo senso.
  Il Ministro si è poi soffermato sullo stato di avanzamento degli adempimenti richiesti alla Romania nel quadro del Meccanismo di cooperazione e di verifica, per quanto concerne non soltanto la revisione dei quattro codici, ma anche l'efficienza dell'intera macchina giudiziaria, l'inasprimento delle misure contro la corruzione, la garanzia di indipendenza dei giudici, la situazione delle carceri. Ha contestualmente auspicato che la severità con cui la Commissione europea ha attivato il Meccanismo di cooperazione e verifica nei confronti della Romania sia analoga a quella applicata per tutti i Paesi membri, consentendo altresì alla Romania di giungere quanto prima ad una definitiva normalizzazione dell'attività giudiziaria a tutti i livelli come presupposto di progresso giuridico e sociale.
  Nel corso dei diversi incontri la delegazione italiana ha sempre fermamente espresso l'incondizionato sostegno italiano alla posizione della Romania per quanto riguarda un suo rapido ingresso nello spazio Schengen: sostegno, che – come ha ripetutamente sottolineato la Presidente Boniver – è tanto più solido in quanto è condiviso da tutte le forze politiche.
  Gli altri componenti della delegazione hanno più volte posto l'accento sul prezioso apporto che la Romania all'interno di Schengen può fornire non solo alla messa in sicurezza dei confini dell'Unione, ma anche alla stabilizzazione democratica dell'area balcanica e alla lotta alle reti della criminalità organizzata che transitano per il suo territorio (onorevole Strizzolo). In particolare, il processo ineludibile che condurrà la Romania all'interno dell'area Schengen accrescerà il peso politico ed economico dell'Unione europea, accelerando il passaggio verso quelli che dovrebbero diventare gli Stati Uniti d'Europa (onorevole Delfino). Semplificando ed abbattendo i costi degli scambi commerciali interni, si rafforzerà sensibilmente anche la fiducia reciproca fra gli Stati membri dell'Unione, contribuendo così a fare dell'Europa un soggetto politico ed economico più adeguato ad affrontare la competizione globale e la concorrenza dei mercati emergenti (onorevole Taddei).Pag. 165
  La Presidente ha altresì auspicato che al convinto sostegno politico italiano alla posizione rumena possano corrispondere più intensi legami economici e commerciali fra i due Paesi, anche considerato il grande numero di imprese italiane da tempo stabilmente insediate in Romania.

Relazione della missione svolta nei Paesi Bassi
(5 e 6 dicembre 2012)

  Una delegazione del Comitato, guidata dalla Presidente Boniver e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dall'onorevole Ida D'IPPOLITO VITALE (UdCpTP) e dal senatore Massimo LIVI BACCI (PD), si è recata in missione a L'Aja per incontrare esponenti del Parlamento e del Governo dei Paesi Bassi, con lo scopo di approfondire temi di comune interesse relativamente alla gestione delle politiche migratorie e alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo.
  Era altresì intenzione del Comitato visitare la sede e incontrare il Presidente ed altri esponenti della Corte penale internazionale, istituzione di grande rilievo internazionale e di particolare interesse per il Comitato, data anche la recente nomina a Vice Presidente del giudice italiano Cuno Tarfusser.
  Infine il Comitato ha avuto la possibilità di visitare la sede di Europol e confrontarsi con i rappresentati di vertice dell'organismo, sulla cui attività il Comitato esercita le sue funzioni di vigilanza per espressa attribuzione di legge.
  Oltre a questo duplice obiettivo di confronto su temi di comune interesse e di approfondimento di questioni di livello internazionale, il programma della visita era concepito con l'intento di rafforzare la cooperazione parlamentare tra Italia e Paesi Bassi nel contesto di generale interdipendenza delle politiche migratorie fra Stati membri dell'Unione europea, anche in considerazione delle diverse posizioni sostenute dai rispettivi Governi. La visita assumeva una valenza speciale in considerazione della ventilata revisione del Regolamento Dublino II, del dibattito sulle linee di riforma della governance di Schengen, nonché per orientare in generale il perdurante negoziato sulla costruzione del Sistema europeo comune di asilo.
  Il primo incontro del Comitato si è svolto presso la sede del Parlamento con l'onorevole Sharon Gesthuizen, membro della Commissione parlamentare per la Sicurezza e la Giustizia e componente del Partito socialista.
  Il colloquio ha riguardato i temi dell'asilo politico e dell'immigrazione, con uno scambio reciproco di opinioni – anche informali – e di valutazioni sulle rispettive situazioni interne in materia di gestione ed integrazione degli stranieri immigrati. Una particolarità da sottolineare in questa occasione: è emerso che il modello olandese di integrazione sociale e culturale degli immigrati, conosciuto in Europa per la sua particolare apertura alle culture straniere e per la grande tolleranza che lo caratterizza, sembra essere in progressivo declino, almeno nella percezione dei cittadini olandesi, (alcuni dei quali lo valutano addirittura come «fallimentare», secondo l'onorevole Gesthuizen). Pag. 166A questi orientamenti non sarebbe però estranea, a suo giudizio, l'influenza esercitata particolarmente sull'opinione pubblica dal Partito per la libertà di Geert Wilders, conosciuto in Europa per essere fortemente contrario alle politiche di integrazione degli immigrati stranieri sia nei Paesi Bassi che in generale in Unione europea.
  Alla domanda avanzata dal senatore Livi Bacci sulla posizione olandese nei confronti delle ipotesi di revisione del Regolamento Dublino II, la deputata olandese ha assicurato che il suo partito (socialista) si è dichiarato favorevole alla costruzione di Centri di accoglienza per i rifugiati nei Paesi di frontiera dell'Unione europea, prima di reindirizzarli fra i vari Paesi membri dell'UE in base al principio di burden sharing. Ha altresì aggiunto che il suo partito sarebbe favorevole ad una revisione in senso restrittivo della normativa europea in materia di ricongiungimenti familiari per gli immigrati; è inoltre a favore di una politica di relazioni esterne diretta ad esercitare pressioni sui Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, per limitarne l'impatto sulle frontiere Schengen, attraverso la conclusione di opportuni accordi di riammissione e di cooperazione economica.
  L'onorevole Gesthuizen non ha mancato di illustrare con esempi molto concreti tratti dall'attualità politica e sociale olandese alcuni problemi di convivenza fra olandesi e specifiche comunità di immigrati non integrate o particolarmente problematiche.
  Nella visita alla sede della Corte penale internazionale, il Comitato ha avuto l'opportunità di incontrare sia il Presidente Sang-Hyun Song, sia i due Vice presidenti, fra cui il giudice altoatesino Cuno Tarfusser. In questa occasione, sono stati forniti interessanti delucidazioni e aggiornamenti su alcune questioni giuridiche (fra cui la recente evoluzione del diritto penale internazionale e la natura non politica ma tecnica della Corte) e, nel contempo, un aggiornamento su alcuni dei casi di maggiore attualità, fra cui quello che concerne la posizione internazionale del Presidente sudanese Bashir.
  Nel corso della visita alla sede di Europol il Comitato ha incontrato sia il Direttore di Europol, Rob Wainwright, sia il Vice Direttore del Capabilities Department, Eugenio Orlandi, con i quali sono stati affrontati i temi relativi alla natura e al funzionamento della struttura, definibile come una vera e propria Law Enforcement Agency dell'Unione europea,
  L'organizzazione di Europol, che risulta priva di funzionari esecutivi, si fonda sull'attività di 150 funzionari di collegamento con le autorità di polizia nazionali, che hanno la missione di contrastare il crimine internazionale attraverso lo scambio di informazioni e la cooperazione fra le forze di polizia dei Paesi membri dell'Unione europea. Dall'incontro con il Direttore Wainwright in particolare è emerso che la cooperazione con le forze di polizia italiane soffre di una certa frammentazione di competenze, dipendente in gran parte dal fatto le singole indagini sul territorio italiano sono coordinate da magistrati del tutto indipendenti fra di loro. In questo senso il Direttore ha auspicato che migliori anche l'informazione preventiva che proviene ad Europol dalle autorità nazionali italiane. Funziona Pag. 167invece molto bene la cooperazione a livello di lotta al crimine organizzato di stampo mafioso, particolarmente per quanto concerne il riciclaggio di denaro sporco.
  L'ultimo incontro ufficiale della missione si è svolto infine con il Ministro della giustizia, Ivo Opstelten, rappresentante del Partito conservatore liberale, durante il quale il focus dei colloqui ha nuovamente riguardato le politiche migratorie, nel confronto reciproco fra esperienza italiana e olandese. In questa occasione, il Ministro ha chiarito che il Governo olandese non fa uso di politiche di controllo dei flussi migratori attraverso la fissazione di quote annuali, ma sta modificando le linee della politica dell'immigrazione in senso maggiormente restrittivo rispetto al passato. In particolare, saranno a breve modificate le norme che fissano i requisiti di età per poter usufruire del ricongiungimento familiare, su imitazione del modello danese; il Governo attualmente in carica ha anche intenzione di trasformare l'ingresso clandestino di uno straniero sul territorio olandese in un reato penale, seguendo l'esempio della legislazione italiana. A precisa richiesta della Presidente Boniver, il Ministro ha infine confermato l'atteggiamento ancora molto prudente – per non dire diffidente – dei Paesi Bassi nei confronti del previsto ingresso della Romania e della Bulgaria nell'area Schengen.

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