CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 4 aprile 2012
634.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

5-06406 Gnecchi: Situazioni di disparità di trattamento derivanti dalla recente riforma pensionistica.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con la presente interrogazione l'onorevole Gnecchi chiede al Governo di ampliare il novero delle deroghe previste dall'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (cosiddetto «decreto Salva Italia»), come peraltro integrato in sede di conversione dal decreto-legge di proroga termini, al fine di ricomprendere quei lavoratori collocati in mobilità che, esaurito il periodo di mobilità collettiva, avrebbero raggiunto i 40 anni di contribuzione previsti dalla precedente normativa attraverso un breve periodo di contribuzione volontaria.
Al riguardo, faccio presente che, al fine di individuare possibili soluzioni alle situazioni di disagio come quella descritta dall'onorevole interrogante, compatibilmente con i vincoli finanziari previsti dal cosiddetto «decreto Salva Italia», ieri, 3 aprile 2012, si è insediato un tavolo tecnico composto da rappresentanti del Ministero del lavoro e dell'economia e finanze e dell'INPS presso il Ministero che rappresento.
Il tavolo, riunito con l'obiettivo di sciogliere ogni possibile dubbio e dare certezze alle stime, fornirà al Ministro del lavoro entro 7 giorni le indicazioni utili a emanare il previsto decreto interministeriale lavoro/economia, entro il termine del 30 giugno fissato dalla legge.
Con riferimento, in particolare, al caso citato dall'onorevole interrogante, riguardante un lavoratore di 57 anni nel 2011, collocato dal 1o novembre 2010 in mobilità collettiva per crisi aziendale a seguito di un accordo tra azienda e sindacato stipulato antecedentemente al 30 aprile 2010 che, esauriti i 3 anni di mobilità (1o novembre 2013), in base alla previgente disciplina pensionistica avrebbe dovuto sostenere 3 mesi di contribuzione volontaria per raggiungere i 40 anni di contribuzione, maturando così il diritto alla pensione nel mese di gennaio 2014, con decorrenza dal mese di agosto 2015, ricordo che con l'entrata in vigore della riforma pensionistica adottata dall'articolo 24 del cosiddetto «decreto Salva Italia», tale lavoratore non rientrerebbe in nessuna delle deroghe previste dal Governo a protezione di alcune categorie di lavoratori in quanto:
non matura il diritto alla pensione durante il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità;
non è stato autorizzato alla prosecuzione volontaria della contribuzione antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011;
in base al decreto-legge di proroga termini, non matura i requisiti anagrafici e contributivi che gli avrebbero consentito di andare in pensione in base alla previgente disciplina pensionistica entro i ventiquattro mesi successivi alla data di entrata in vigore del cosiddetto «decreto Salva Italia» (6 dicembre 2011).

Ricordo che il Governo, nella definizione della manovra previdenziale, si è preoccupato di riconoscere una speciale tutela a quelle categorie di lavoratori che, alla data di entrata in vigore della riforma, in virtù di accordi di mobilità o di mobilità lunga o di contratti di solidarietà, si trovano

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senza pensione e senza retribuzione. Tali salvaguardie, riconosciute solo in presenza di stringenti requisiti, devono necessariamente tenere conto dei vincoli di finanza pubblica sottesi al decreto-legge «Salva Italia». Pertanto non sono in grado, al momento, di poter ipotizzare un ulteriore ampliamento della platea dei soggetti ammessi alle salvaguardie previste a legislazione vigente.

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ALLEGATO 2

5-06461 Gatti: Sull'attuazione della direttiva comunitaria concernenti le agenzie di lavoro interinale.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'onorevole Gatti - con il presente atto parlamentare - chiede all'amministrazione che rappresento di verificare se il decreto legislativo n. 24 del 2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 22 marzo 2012, n. 69), di recepimento della direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, violi, o meno, il principio di parità di trattamento tra lavoratori somministrati e i dipendenti del soggetto utilizzatore, contemplato dalla medesima direttiva.
Ad avviso dell'interrogante, tale violazione sussisterebbe in quanto - ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 24 del 2012 - è consentito il ricorso alla somministrazione a termine dei lavoratori svantaggiati in deroga agli obblighi di indicazione delle causali e del rispetto dei limiti quantitativi di utilizzazione, sanciti dall'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Al riguardo occorre precisare, in via preliminare, che la Comunità europea mediante il recepimento della citata direttiva 2008/104/CE, richiedeva agli Stati di riesaminare «le restrizioni e i divieti sul ricorso al lavoro tramite agenzia interinale» al fine «di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili».
In questa prospettiva, assicurando tutte le misure di tutela per i lavoratori, è stato avviato un processo di semplificazione di alcuni aspetti di gestione della somministrazione a tempo determinato, nell'ottica di promuovere in modo graduale l'occupazione dei lavoratori svantaggiati, fino ad oggi scarsamente intermediati dalle agenzie per il lavoro private, sulla scorta della positiva sperimentazione già attuata per i lavoratori in mobilità, soprattutto in questo momento di grave crisi occupazionale.
Più ancora nello specifico, non può essere sottovalutato - specialmente nell'attuale contesto di crisi economica ed occupazionale, certificata anche dalle rilevazioni statistiche di questi ultimi giorni -, che l'introduzione per i lavoratori in mobilità del medesimo meccanismo di semplificazione normativa oggi esteso anche agli altri lavoratori svantaggiati ha consentito l'assunzione di oltre 70.000 lavoratori.
Risultato, questo, doppiamente significativo. In primo luogo perché è stato così realizzato un ingente risparmio in termini di prestazioni previdenziali da erogare, con possibilità di ridestinare ad altri soggetti bisognosi di ammortizzatori sociali le medesime risorse.
In secondo luogo perché sono tornati ad una occupazione soggetti espulsi dal mercato del lavoro e di difficilissima ricollocazione per i servizi per l'impiego pubblici.
L'intervento normativo in materia di causali riferito ai lavoratori svantaggiati tra l'altro si pone in linea con la tendenza europea, considerato che in numerosi ordinamenti, tra cui Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia, Danimarca, non è previsto il sistema delle causali per il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale. Da ultimo si ricorda, altresì, che il legislatore tedesco ha voluto ampliare il campo di applicazione del contratto di lavoro a termine rispetto ai lavoratori anziani. Ha introdotto, infatti, la riduzione da 58 a 52 anni della soglia di età per la

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stipulazione di contratti a tempo determinato senza la necessità di un motivo specifico e senza un limite massimo per la relativa durata del contratto.
Quanto poi al regime di parità di trattamento va detto che in accoglimento di un'osservazione formulata dalla stesse Commissioni lavoro di Camera e Senato, nonché dalle parti sociali, per garantire ai lavoratori maggior tutela, è stato precisato, andando, dunque, oltre il testo della direttiva da recepire, che le «condizioni di base di lavoro e d'occupazione» consistono nel medesimo «trattamento economico, normativo e occupazionale» previsto da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, da contratti collettivi o da altre disposizioni vincolanti di portata generale in vigore presso l'utilizzatore.
Sull'argomento occorre chiarire che se il Governo si fosse limitato a tradurre la direttiva, che, come detto, faceva riferimento a «condizioni di base di lavoro e d'occupazione», proprio la locuzione «minimalista» «di base» avrebbe potuto dare adito ad una interpretazione penalizzante, con conseguente possibile arretramento degli standard di protezione.
Diversamente l'esecutivo, raccogliendo la sollecitazione proveniente dal parlamento e dalle organizzazioni sindacali, ha ritenuto di evitare equivoci e confermare il tradizionale rinvio all'integrale trattamento economico, normativo ed occupazionale goduto dai dipendenti dell'utilizzatore.
Venendo poi alla previsione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 2003, va invece considerato che - nella sua stesura originaria - la disposizione richiamata dall'interrogante prevedeva fin dal 2003 la possibilità di operare in deroga al principio di parità di trattamento tra i lavoratori somministrati e i dipendenti del soggetto utilizzatore, previa stipula di apposite convenzioni con comuni, province e regioni e l'ausilio delle agenzie del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (poi identificate - con la circolare del Ministero 23 ottobre 2004 - in Italia Lavoro).
Successivamente, la legge n. 80 del 2005 ha eliminato la necessità della convenzione lasciando deregolata l'applicazione della normativa. Senonché la legge n. 183 del 2010 (cosiddetta Collegato lavoro) ha infine reintrodotto nella norma la necessità della stipula della convenzione ai fini della predetta deroga (comma 5-bis, articolo 13, decreto legislativo n. 276 del 2003).
Inoltre, il predetto articolo 13 viene richiamato dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che, al comma 2, prevede una deroga al principio di parità di trattamento, con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati, nell'ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati.
Ciò posto, la disciplina introdotta dal decreto legislativo 2 marzo 2012, n. 24 non è intervenuta in alcun modo sull'articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 2003, ma - con l'introduzione dei commi 5-ter e 5-quater - ha operato, limitatamente alle fattispecie dei lavoratori svantaggiati, sul regime delle causali e dei limiti quantitativi previsti, per la somministrazione a tempo determinato, dall'articolo 20 del decreto da ultimo citato.
Pertanto, il decreto legislativo n. 24 del 2012 non ha inciso minimamente sulla possibilità per le agenzie di somministrazione di derogare al principio di parità di trattamento, in quanto tale possibilità era, come visto, già riconosciuta in presenza dei presupposti e delle condizioni stabilite dagli articoli 13 e 23, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Occorre, peraltro, considerare che la possibilità di deroga al principio di parità di trattamento appare comunque conforme allo spirito perseguito dalla direttiva 2008/104/CE.
Infatti, i «considerando» n. 17 e 18 della predetta direttiva prevedono la possibilità di derogare - sulla base di un accordo concluso con le parti sociali a livello nazionale - al principio di parità di trattamento nonché di effettuare un riesame delle eventuali restrizioni o divieti

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imposti al ricorso al lavoro interinale, in quanto eventuali limiti devono essere giustificati da ragioni di interesse generale. Inoltre, l'articolo 1, comma 3, della direttiva prevede la possibilità - previa consultazione delle parti sociali - di non applicare la direttiva medesima ai contratti di lavoro conclusi nell'ambito di un programma specifico di formazione, d'inserimento e di riqualificazione professionale, pubblico o sostenuto da enti pubblici, come nel caso della convenzione tra Italia Lavoro e Manpower spa, citata dall'interrogante.
Sotto diverso profilo, anche i commi 5-ter e 5-quater - introdotti all'articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003 dal decreto di recepimento - si pongono in linea con il «considerando» 17 e con l'articolo 4 della direttiva. Quest'ultimo, infatti, ribadisce la necessità che i divieti o le restrizioni al ricorso al lavoro interinale debbano essere giustificati soltanto da ragioni di interesse generale.
La soluzione adottata nel decreto legislativo n. 24 del 2012 appare, quindi, un contemperamento tra il riconoscimento dei limiti causali e quantitativi previsti dal comma 4 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003 per la somministrazione a termine e le finalità di ampliamento del ricorso alla somministrazione perseguito dalla direttiva.
Venendo, poi alla possibilità rimessa anche alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale di individuare ipotesi ulteriori di acausalità va, anzitutto, osservato che, in realtà, la formulazione adottata con il recente decreto legislativo rinvia anche al contratto collettivo aziendale e territoriale, ma lo fa soltanto per coerenza sistematica con quanto già prevede la lettera i) del comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Del resto, se il contratto collettivo aziendale e territoriale può stabilire i casi ulteriori di staff leasing non si vede perché non possa individuare anche i casi ulteriori (oltre quello dei lavoratori in mobilità, dei percettori di ammortizzatori sociali e dei lavoratori svantaggiati) nei quali non trovano applicazione le causali della somministrazione a tempo determinato.
Diverso sarebbe stato, però, consentire al contratto collettivo aziendale e territoriale anche di derogare alla seconda parte del comma 4 dell'articolo 20 ove si stabilisce che il contratto nazionale fissa i «limiti quantitativi (cosiddetti "tetti") di utilizzazione della somministrazione».
E questo non è stato fatto, anzi è stato accuratamente evitato.
La formulazione che è stata adottata nel recente decreto legislativo, infatti, evita espressamente di concedere la possibilità ai contratti aziendali e territoriali di vanificare lo sforzo di contenimento dell'uso dell'istituto effettuato a livello di contrattazione nazionale.
E lo fa circoscrivendo la facoltà di deroga concessa alla contrattazione collettiva alle sole causali, senza estenderla anche al regime dei tetti.
Ne discende che, anche all'indomani del recente decreto legislativo, il contratto collettivo aziendale e territoriale può certo immaginare ipotesi ulteriori di acausalità, ma lo stesso quelle ipotesi dovranno essere contenute all'interno del tetto massimo di utilizzazione della somministrazione stabilito «a monte» dal contratto collettivo nazionale.
Si deve infine considerare che - durante la predisposizione della bozza di decreto - è stata assicurata la massima attenzione alle diverse posizioni rappresentate dalle parti sociali, nel corso delle riunione indette dall'amministrazione che rappresento.
Allo stesso modo mi preme sottolineare che la legge di delega (legge n. 96 del 2010, articoli 1 e 2) prevedeva in modo espresso che il decreto di recepimento fosse adottato dopo aver consultato le parti sociali, dopo aver acquisito il parere della Conferenza unificata e dopo aver acquisito il parere delle Commissioni parlamentari.
In particolare, nel pieno rispetto istituzionale del parlamento, si ricorda che il Governo ha adottato il presente decreto solo dopo che le competenti commissioni

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parlamentari hanno espresso il parere e previo recepimento di tutte le osservazioni formulate, sia pure entro i limiti del potere di delega comunitaria.
Alla luce della ricostruzione innanzi esposta, non si ravvisa pertanto la necessità di adottare iniziative - anche di carattere normativo - in ordine a quanto previsto dal comma 5-quater, richiamato dall'interrogante, anche perché l'attuazione dello stesso è rimessa all'autonomia contrattuale delle parti sociali.
Inoltre, si fa presente che nel documento presentato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali - al Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012 - è stata manifestata l'intenzione di abrogare l'articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Nondimeno resta fermo l'impegno del Ministero che rappresento nella direzione di una attenta e continua vigilanza onde impedire che la applicazione pratica dell'istituto della acausalità da strumento per favorire il reimpiego assistito dei lavoratori svantaggiati possa degenerare nelle forme di abuso paventate dall'interrogante. Forme di abuso che ove riscontrate saranno certamente perseguite e represse dai competenti organi di vigilanza.

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ALLEGATO 3

7-00790 Moffa: Salvaguardia dei diritti lavorativi e previdenziali dei parlamentari cessati dal mandato.

NUOVA VERSIONE DELLA RISOLUZIONE

La XI Commissione,
premesso che:
occorre assicurare - in tema di diritto al lavoro, pubblico e privato - il rispetto degli articoli 51 e 98 della Costituzione, oltre che della legge 31 ottobre 1965, n. 1261;
è, infatti, sempre più frequente il caso di ex parlamentari che - una volta cessati dal mandato - hanno visto interrompere unilateralmente il precedente rapporto di lavoro da parte di amministrazioni o aziende, pubbliche e private;
al contempo, si sono registrati casi di deputati o senatori ai quali, cessato il mandato parlamentare, è stato negato il reintegro nella posizione di lavoro occupata prima dell'inizio del mandato stesso ovvero non sono state rispettate, ove esistenti, le graduatorie in cui era inserito il dipendente eletto parlamentare e non è stato riconosciuto il diritto alle qualifiche spettanti in termini di carriera e mansioni, con un danno economico evidente, non essendo stato neanche adottato - in taluni casi - un provvedimento di ricostruzione di carriera, con inquadramento anche in soprannumero, come invece previsto dalla citata legge n. 1261 del 1965;
la violazione dei principi e delle disposizioni sopra richiamate appare particolarmente grave, non soltanto a causa degli evidenti profili di incostituzionalità (che derivano, per l'appunto, dall'inosservanza dell'articolo 51 e dell'articolo 98 della Costituzione), ma anche perché si configura la palese violazione di diritti previdenziali e contributivi,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di possibili iniziative, anche di carattere normativo, dirette ad assicurare il rispetto della normativa vigente in tema di diritti del lavoratore e di salvaguardia della contribuzione previdenziale per i casi di cui in premessa.
«Moffa, Pelino».