CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 28 marzo 2012
630.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO
Pag. 120

ALLEGATO 1

5-06505 Barbato: Questioni relative all'ipotizzata nomina del dottor Alessandro Profumo alla presidenza del gruppo Monte dei Paschi di Siena.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Barbato, in relazione alla possibile nomina del dottor Alessandro Profumo in qualità di Presidente del Gruppo Monte dei Paschi di Siena, chiede che vengano assunte iniziative volte a rafforzare la disciplina sui conflitti di interesse e sui requisiti di onorabilità in capo agli esponenti aziendali nel settore finanziario nonché a prevedere, sotto un profilo più generale che la selezione di tali esponenti sia improntata a logiche di merito.
Al riguardo, la Segreteria del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, sentita anche la Banca d'Italia, ha comunicato che, al fine di assicurare la sana e prudente gestione, il Testo Unico Bancario (TUB) richiede il possesso di specifici requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza in capo ai soggetti che svolgono finzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche e società finanziarie capogruppo di gruppi bancari.
A norma dell'articolo 26 del citato Testo Unico, la verifica dei suddetti requisiti è rimessa in prima istanza agli stessi intermediari. In particolare, spetta al Consiglio di Amministrazione, al Consiglio di sorveglianza o al Consiglio di gestione dichiarare la decadenza per difetto dei requisiti di onorabilità nel caso di condanna definitiva per i reati previsti dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 161 del 1998, entro trenta giorni dalla nomina o dalla conoscenza del difetto sopravvenuto.
La Banca d'Italia interviene in caso di inerzia degli intermediari, pronunciando la decadenza degli esponenti privi dei requisiti.
Analoga impostazione regola la sospensione della carica ai sensi dell'articolo 26 del Testo Unico Bancario e dell'articolo 6 del citato decreto ministeriale n. 161 del 1998 nel caso di condanna con sentenza non definitiva per uno dei reati previsti dal predetto articolo 5 ovvero nel caso di sottoposizione a misure cautelari di tipo personale.
Con specifico riferimento al caso in questione, il Monte dei Paschi di Siena dovrà attenersi alle citate disposizioni in occasione del rinnovo degli organi sociali.
Per quanto concerne, poi, il presunto «conflitto d'interessi» derivante dal ruolo ricoperto dal dottor Profumo precedentemente in Unicredit, la Segreteria del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio ha precisato che lo stesso non ricopre più alcuna carica presso il citato intermediario dal settembre 2010. In un report in materia di compensi corrisposti agli organi aziendali, reperibile sul sito internet del gruppo Unicredit, viene riportato che, in occasione dell'accordo individuale di cessazione raggiunto con la banca milanese in data 21 settembre 2010, il dottor Profumo ha sottoscritto una clausola di non concorrenza in base alla quale si è impegnato a non svolgere per un anno alcuna attività per aziende operanti nel settore finanziario in Italia, Germania e Austria.

Pag. 121

ALLEGATO 2

5-06500 Cera e Ciccanti: Procedure per la nomina di dirigenti presso l'Agenzia delle entrate.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con il documento di sindacato ispettivo in esame gli interroganti lamentano in particolare:
l'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari;
il mancato scorrimento delle graduatorie di precedenti concorsi per dirigente;
i criteri di selezione previsti nel concorso per dirigenti bandito dall'Agenzia delle Entrate il 29 ottobre 2010.

Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate ha comunicato quanto segue:

L'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari.

L'amministrazione finanziaria ha sempre sofferto di gravi carenze di personale dirigente che, di conseguenza, si sono riversate anche nel nuovo assetto organizzativo voluto dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fin dal suo avvio, pertanto, l'Agenzia delle Entrate aveva tra le sue priorità quella di bandire un concorso per dirigenti.
Coerentemente con le peculiari caratteristiche del modello organizzativo delle agenzie fiscali e, in particolare, con l'autonomia ad esse attribuita in materia di gestione e sviluppo del proprio personale, l'articolo 71, comma 3, lettera d), tuttora in vigore, del decreto legislativo n. 300/1999 prevede che ogni Agenzia con il proprio regolamento di amministrazione «determini le regole per l'accesso alla dirigenza». Introducendo tale disposizione, il Legislatore aveva evidentemente ritenuto che la disciplina delle modalità di selezione dei dirigenti non potesse rimanere estranea alla sfera di autonomia delle agenzie fiscali, trattandosi - analogamente ad altre materie riguardanti la gestione del personale e l'ordinamento degli uffici, demandate, sempre dal decreto legislativo n. 300/1999, al regolamento di amministrazione - di una leva fondamentale per assicurare la funzionalità e lo sviluppo dell'organizzazione.
Tale disposizione si attagliava bene alle peculiari esigenze dell'Agenzia delle Entrate. La direzione degli uffici operativi dell'Agenzia richiede infatti, da un lato, ampie e approfondite conoscenze in materie di notevole complessità tecnica e, dall'altro, solide competenze manageriali, perché occorre indirizzare, coordinare, motivare e monitorare, nello svolgimento di una variegata gamma di processi di lavoro, l'attività di un gran numero di addetti (buona parte dei soppressi uffici locali aveva non meno di 100 addetti ciascuno, e nelle grandi aree metropolitane, dove si concentra la parte maggiore del personale, mediamente non meno di 150; il recente riassetto organizzativo, che ha visto l'istituzione delle direzioni provinciali, ha comportato la costituzione di strutture di dimensioni ancora maggiori). Molti di questi operatori hanno poi un'elevata qualificazione professionale e il modulo organizzativo essenziale della loro attività è quello del lavoro in team, che, se da una parte, può assicurare maggiore qualità dei servizi a fronte di una forte varianza delle richieste da soddisfare, dall'altra, però, mette in gioco dinamiche di

Pag. 122

cooperazione spesso critiche, che richiedono al dirigente della struttura doti di leadership, capacità relazionali e abilità di gestione manageriale.
Per fare fronte a compiti di direzione di tale natura, sulla base delle disposizioni del decreto legislativo n. 300/1999 l'Agenzia delle Entrate (al pari delle altre agenzie fiscali) aveva previsto nel proprio regolamento di amministrazione procedure concorsuali innovative in base alle quali, dopo una prima selezione concorsuale pubblica, i candidati avrebbero dovuto seguire un periodo di tirocinio teorico-pratico di congrua durata, volto a verificare sul campo il possesso delle capacità necessarie per svolgere le funzioni di dirigente. Solo se la valutazione di tale periodo fosse stata positiva il candidato avrebbe potuto conseguire la qualifica dirigenziale.
Il percorso selettivo che la norma regolamentare prefigurava si è avviato alla fine del 2001, ma si è subito interrotto e non è più ripreso. Il TAR del Lazio, adito dal sindacato Dirpubblica, con sentenze n. 1601 e n. 1602 del 2002 ha infatti ritenuto che, in assenza di una specifica norma di deroga, il decreto legislativo n. 300/1999, facendo richiamo ai «principi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29» (ora decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), abbia voluto recepire l'intera disciplina dettata da tale decreto per il reclutamento dei dirigenti, con un rinvio dinamico anche alle disposizioni di carattere regolamentare cui lo stesso decreto demanda la normativa di dettaglio delle modalità di reclutamento (in altre parole, il TAR ha affermato che la previsione contenuta nel decreto legislativo n. 300/1999, che demanda ai regolamenti di amministrazione delle agenzie fiscali la determinazione delle regole di accesso alla dirigenza, deve interpretarsi come meramente riproduttiva della normativa generale in materia).
Le sentenze in questione hanno sostanzialmente vanificato lo specifico e importante spazio di autonomia gestionale previsto dal decreto legislativo n. 300/1999, riconducendo anche le agenzie fiscali alla pedissequa osservanza delle modalità di selezione previste in modo dettagliato, per tutte le pubbliche amministrazioni, dall'articolo 28, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001. Tale ultima norma è stata oggetto di riscrittura ad opera della legge 15 luglio 2002, n. 145, che demandava a un apposito regolamento governativo (emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 24 settembre 2004, n. 272) la definizione dei criteri e delle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali per l'accesso alla dirigenza pubblica.
L'impossibilità di avviare procedure di reclutamento che rispondessero in maniera ottimale alle esigenze funzionali dell'Agenzia, l'evoluzione della normativa di riferimento e i perduranti blocchi delle assunzioni nella pubblica amministrazione hanno dato luogo a una situazione di stallo. Nel frattempo, per assicurare il regolare svolgimento dell'attività degli uffici, l'Agenzia ha dovuto necessariamente conferire incarichi dirigenziali a propri funzionari. La possibilità di affidare incarichi dirigenziali a funzionari è prevista dall'articolo 24, comma 2, del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia; la portata della norma - limitata inizialmente al triennio 2001-2003 - è stata necessariamente più volte prorogata, da ultimo sino al 31 maggio 2012. I funzionari prescelti sono soggetti dei quali sono state sperimentate sul campo, per un congruo periodo di tempo, le competenze professionali e l'attitudine a svolgere funzioni di maggiore responsabilità.
I funzionari incaricati, per via delle cessazioni dal servizio dei dirigenti, coprono ormai ben oltre la metà delle posizioni dirigenziali attive.

Il mancato scorrimento delle graduatorie di vecchi concorsi.

Nell'interrogazione si lamenta il fatto che l'Agenzia delle Entrate, per far fronte alla carenza di personale con qualifica dirigenziale, non ha utilizzato lo strumento dello scorrimento delle graduatorie

Pag. 123

di vecchi concorsi per dirigenti, tuttora valide in base a ripetute proroghe disposte dalla legge.
Il motivo per cui l'Agenzia non intende fare ricorso a questa soluzione va cercato nel fatto che le graduatorie in questione - relative a concorsi banditi più di dieci anni fa e con requisiti di anzianità di servizio la cui data di possesso si riferisce a quasi venti anni fa - sono obsolete e ormai inaffidabili: i criteri selettivi all'epoca adottati erano riferiti a un contesto che ha subito da allora profonde evoluzioni, per cui lo scorrimento delle graduatorie non consentirebbe di reclutare dirigenti con caratteristiche corrispondenti alle attuali esigenze dell'Agenzia.
È importante sottolineare che in tali graduatorie non sono collocati candidati «vincitori» (che sono stati tutti assunti a suo tempo) ma solamente candidati «idonei», classificati in posizioni successive a quelle di vincitore: lo scorrimento delle graduatorie contrasterebbe con lo sforzo perseguito dell'Agenzia di selezionare sempre i soggetti migliori e quindi è del tutto inappropriato fare richiamo a ragioni di economicità gestionale per giustificare lo scorrimento stesso. D'altra parte, trattandosi di concorsi molto vecchi, la maggioranza degli idonei è ormai avanti negli anni e perciò rivestirebbe l'ipotetico incarico dirigenziale per un limitato periodo di tempo: il problema delle vacanze di organico si riproporrebbe così a brevissimo termine, con relativa duplicazione delle connesse attività amministrative, per non parlare dei riflessi negativi in termini di efficienza gestionale conseguenti a incarichi affidati a persone con una limitata prospettiva temporale di servizio.
Gli interroganti sostengono che lo scorrimento delle graduatorie sarebbe un obbligo previsto dalla legge e non una mera facoltà dell'amministrazione, e che questa tesi avrebbe trovato autorevole avallo nella sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 3055 del 9 febbraio 2009. In realtà nella circostanza - trattandosi di ordinanza (non di sentenza) relativa a regolamento preventivo di giurisdizione - la Corte non ha preso posizione sulla questione, limitandosi a constatare l'esistenza di due diversi orientamenti: secondo una tesi, essendo la procedura concorsuale il mezzo maggiormente idoneo ad individuare il personale più qualificato, l'amministrazione sarebbe attributaria del potere di valutazione discrezionale circa la scelta se emanare un nuovo bando, ovvero se utilizzare la graduatoria ancora efficace attuando lo scorrimento (questa è la tesi sostenuta dall'Agenzia); secondo l'altra tesi, invece, le norme che stabiliscono l'ultrattività della graduatoria non conferirebbero la semplice facoltà di farvi ricorso, ma, per il carattere imperativo di regole di organizzazione, obbligherebbero l'amministrazione a realizzare la semplificazione e l'economia connesse all'utilizzo delle graduatorie approvate in precedenza, escludendo senz'altro l'espletamento di nuove procedure (questa seconda interpretazione, peraltro, costituisce un'indiretta conferma del fatto che la legge non prevede esplicitamente l'obbligo di scorrimento).
L'Agenzia delle Entrate, richiamandosi a una giurisprudenza che può considerarsi prevalente e all'orientamento recentemente espresso sulla questione dalla Corte dei Conti con riferimento specifico a concorsi per funzionari banditi dalla stessa Agenzia, ritiene che lo scorrimento di graduatorie di cui la legge ha prorogato la validità non sia obbligatorio bensì costituisca una mera facoltà demandata alla valutazione discrezionale dell'amministrazione interessata. Sulla base di tale convincimento, e delle argomentazioni di merito precedentemente illustrate, l'Agenzia non ha ritenuto opportuno né utile designare come propri dirigenti candidati che hanno riportato l'idoneità in vecchissimi concorsi.

Il concorso per 175 dirigenti.

Come precedentemente rilevato, per via delle cessazioni dal servizio dei dirigenti i funzionari incaricati coprono ormai ben oltre la metà delle posizioni dirigenziali attive. Molti funzionari ricoprono incarichi

Pag. 124

dirigenziali fin dall'avvio dell'Agenzia o addirittura (in circa 80 casi) anche da prima. È una situazione obiettivamente atipica, che l'Agenzia intende risolvere; allo stesso tempo, l'Agenzia non intende rinunciare all'obiettivo di reclutare i propri dirigenti sulla base di una valutazione delle conoscenze professionali, dell'esperienza e delle competenze effettivamente maturate dagli interessati.
La possibilità di perseguire entrambi questi obiettivi è stata offerta dall'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296: in base a tale disposizione, il reclutamento di personale dell'amministrazione economico-finanziaria, compreso quello delle agenzie fiscali, può avere luogo con modalità speciali, stabilite con decreto del Ministro.
Con riferimento all'Agenzia delle Entrate, un decreto in tal senso è stato firmato dal Ministro il 10 settembre 2010; il decreto è stato registrato dalla Corte dei Conti il successivo 8 ottobre. Il relativo bando, emanato il 29 ottobre e pubblicato il 5 novembre 2010, riguardava un concorso per 175 dirigenti, che avrebbe potuto costituire il primo passo per avviare a soluzione il problema delle reggenze.
La procedura di reclutamento era mutuata da quella adottata in occasione di un analogo concorso per dirigenti indetto dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. Essa mirava a un esame complessivo delle competenze specifiche possedute dai candidati, con particolare riferimento alla verifica delle esperienze professionali maturate nelle peculiari aree di attività dell'Agenzia, nonché all'accertamento delle capacità manageriali, dell'attitudine a lavorare per obiettivi e risultati, delle motivazioni professionali e della capacità di sviluppare competenze e livelli di performance in linea con la missione istituzionale dell'Agenzia. In relazione a queste finalità, la procedura sarebbe dovuta consistere nella valutazione di titoli e nella verifica dei requisiti e delle attitudini professionali, integrata da un colloquio.
La procedura prevedeva una riserva di posti fino al 50 per cento per i funzionari di ruolo dell'Agenzia, appartenenti alla posizione economica F3 o a quelle superiori della terza area funzionale, muniti di laurea, che alla data di emanazione del bando stesso, risultavano in servizio presso la medesima Agenzia e avessero compiuto, anche complessivamente, almeno otto anni di servizio nelle suddette posizioni economiche.

Gli sviluppi più recenti.

Nuovamente adito dal sindacato Dirpubblica, il TAR del Lazio con due distinte sentenze - rispettivamente del 1o agosto e del 18 ottobre 2011 - ha dichiarato illegittima la previsione contenuta nell'articolo 24 del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia (attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari) ed ha annullato il concorso per 175 dirigenti. L'Agenzia ha tempestivamente interposto appello ed ha ottenuto dal Consiglio di Stato la sospensione dell'esecutività della sentenza riguardante l'articolo 24, la cui udienza di merito, inizialmente fissata per il 20 marzo scorso, è stata poi rinviata al 3 luglio.
Secondo il TAR, l'articolo 24 del menzionato Regolamento di amministrazione sarebbe illegittimo in quanto conterrebbe una previsione non supportata da una disposizione normativa di rango primario. In sostanza il TAR, muovendo dall'assunto che l'affidamento di compiti dirigenziali a funzionari costituisce una fattispecie di attribuzione di mansioni superiori, ritiene che l'ordinamento non contenga norme di legge che contemplino una fattispecie del genere, prevedendo il conferimento di mansioni superiori esclusivamente nell'ambito delle funzioni non dirigenziali (articolo 52 del decreto legislativo n. 165/2001). Sempre in quest'ordine di considerazioni, il TAR ha successivamente annullato il concorso per dirigenti prima accennato, in considerazione appunto del fatto che prevede l'attribuzione di un punteggio anche per gli incarichi dirigenziali affidati in applicazione del citato articolo 24 del Regolamento di amministrazione.
Le censure del TAR devono considerarsi superate a seguito della recente entrata

Pag. 125

in vigore del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento». Nello specifico, l'articolo 8, comma 24, del decreto reca le seguenti previsioni:
autorizza l'Agenzia delle Entrate ad espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità speciali già richiamate nel precedente concorso;
fa salvi, nelle more della conclusione del concorso, gli incarichi dirigenziali attualmente affidati a funzionari e prevede che altri potranno esserne affidati in relazione al tempo necessario per la copertura dei posti vacanti tramite il concorso stesso;
stabilisce che, una volta assunti i vincitori del concorso, l'Agenzia non potrà più attribuire nuovi incarichi dirigenziali a funzionari.

Pag. 126

ALLEGATO 3

5-06501 Causi e Fluvi: Iniziative per chiarire la natura della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con il documento di sindacato ispettivo in oggetto gli Onorevoli interroganti hanno chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze «quali misure intenda mettere in atto al fine di chiarire definitivamente la natura della vigente tariffa per la gestione dei rifiuti urbani ed evitare che le imprese d'igiene ambientale debbano continuare a sostenere gli ingenti costi delle azioni legali innescate dai milioni di utenti aventi diritto».
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si evidenzia quanto segue.
La questione interpretativa circa la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani prende le mosse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 24 luglio 2009, che ha giudicato su una questione di legittimità costituzionale riguardante l'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, che prevede la giurisdizione del giudice tributario per le controversie relative alla debenza della tariffa di igiene ambientale (cosiddetta TIA 1) di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (cosiddetto «decreto Ronchi»).
Con detta pronuncia la Corte ha rigettato l'eccezione di incostituzionalità asserendo la natura tributaria di detta tariffa; nelle motivazioni la stessa Corte afferma che la tariffa in questione non è neanche soggetta ad IVA in quanto non ricorre il requisito della sinallagmaticità della prestazione.
Successivamente, è intervenuto sulla materia il comma 33 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale ha previsto, in ordine alla tariffa integrata ambientale (cosiddetta TIA 2), di cui al citato articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che dette disposizioni si interpretano nel senso che la natura della TIA 2 non è tributaria e, conseguentemente, è soggetta ad IVA.
In merito al trattamento tributario applicabile alla cosiddetta TIA 1, in sede di conversione del decreto-legge n. 78/2010, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/3638/55 presentato alla Camera dei deputati dall'onorevole Bruno Murgia, in base al quale il citato comma 33 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010 deve essere interpretato, fino all'entrata in vigore della TIA 2, nel senso che anche la TIA 1 non ha natura tributaria ed è, pertanto, soggetta ad IVA.
A tal riguardo, il Dipartimento delle finanze, nella circolare n. 3 dell'11 novembre 2010, ha espresso il parere che la TIA 1 debba continuare ad essere assoggettata all'IVA, come già sostenuto dall'Amministrazione finanziaria nei diversi interventi che si sono succeduti nel corso del tempo, in particolare nella circolare n. 111 del 21 maggio 1999 della Direzione centrale fiscalità locale del Dipartimento delle entrate, nella risoluzione della Direzione centrale Normativa e contenzioso dell'Agenzia delle entrate n. 25 del 5 febbraio 2003 e nella risoluzione della stessa Direzione dell'Agenzia delle entrate n. 250 del 17 giugno 2008.

Pag. 127

A tale conclusione si perviene sulla base della lettura sistematica delle seguenti disposizioni:
l'articolo 14, comma 33, del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha confermato la natura di corrispettivo della TIA 2 già enunciata nell'articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
l'articolo 5, comma 2-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, il quale consente ai comuni di adottare la TIA 2 ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.

Nella citata circolare n. 3 dell'11 novembre 2010 si precisa, altresì, che la circostanza che la TIA 2 possa in definitiva essere regolata dalle disposizioni inerenti la TIA 1, porta a concludere che tali prelievi presentano caratteristiche analoghe e che la volontà del legislatore è stata, con l'articolo 14, comma 33, anche quella di dare una nuova configurazione giuridica alla TIA 1, nelle more dell'emanazione del regolamento di cui all'articolo 238, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Pertanto, se i due prelievi sono regolati dalle stesse fonti normative, non appare razionale attribuire alla TIA 1 una natura giuridica diversa da quella della TIA 2.; di conseguenza, se la TIA 2 ha natura di corrispettivo, ed in quanto tale è assoggettabile all'IVA, la medesima natura va attribuita alla TIA 1.
Inoltre, nella predetta circolare è stato chiarito che i Comuni che applicano attualmente la TIA 1 in concreto adottano già il regime TIA 2 e, pertanto, non appare necessaria alcuna innovazione regolamentare, a meno che i Comuni stessi non ritengano opportuno esplicitare in maniera formale, attraverso i riferimenti normativi, l'adozione della TIA 2.
Da ultimo, giova dar conto della recente pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V, del 9 marzo 2012, n. 3756, espressamente richiamata dagli Onorevoli interroganti, nella quale i giudici di legittimità, prendendo le mosse da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza succitata n. 238 del 2009, considerano l'assimilazione della TIA 1 alla TI A 2 come «frutto di una forzatura logica del tutto inaccettabile».
La Corte conclude affermando che «stante la mancanza di disposizioni legislative suscettibili di esser richiamate a presidio della affermata soggezione a IVA della prestazione del servizio di smaltimento in sé e per sé considerata (disposizione che oltre tutto, ove esistenti, determinerebbero fondati dubbi di legittimità alla luce della normativa comunitaria - direttiva 2006/112/Ce - che esclude in via generale l'assoggettamento a IVA di diritti, canoni e contributi percepiti da enti pubblici "per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità"), devesi confermare la statuizione di cui all'impugnata sentenza. Nel senso che gli importi pretesi a titolo di tariffa d'igiene ambientale non sono assoggettabili a IVA».
Al riguardo, il Dipartimento delle Finanze, segnala che l'eventuale emanazione di una norma di interpretazione autentica, similare a quella già approvata con l'articolo 14, comma 33, del decreto-legge n. 78/2010, che ponga rimedio alla carenza di norme legislative lamentata dalla Corte di cassazione e chiarisca la natura di corrispettivo della TIA 1, è questione rimessa a valutazioni squisitamente politiche.
Nondimeno, l'Amministrazione finanziaria evidenzia che non possono condividersi eventuali dubbi sulla compatibilità comunitaria di una norma del genere, alla luce della circostanza che le prestazioni di servizi in questione sono rese, normalmente, non dagli enti pubblici ma dalle società private affidatane dei servizi di smaltimento.
Fra l'altro, nel caso in questione una disposizione di interpretazione autentica esplicherebbe i suoi effetti solo per le operazioni fatturate nel passato e da effettuarsi fino al 31 dicembre 2012, in quanto l'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 dicembre

Pag. 128

2011, n. 214, ha abrogato, a decorrere dal 1o gennaio 2013, i prelievi sui rifiuti attualmente in vigore ed ha istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, destinato a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani avviati allo smaltimento.
Inoltre, lo stesso articolo 14 del decreto-legge n. 201/2011, al comma 29, stabilisce che i Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti possono, con regolamento, prevedere, in luogo del tributo, l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva e, come tale, soggetta ad IVA.
L'introduzione del nuovo tributo comporterà, quindi, una razionalizzazione del sistema ed il superamento delle questioni connesse all'applicazione dell'IVA, atteso che la medesima sarà applicabile solo nel caso in cui il Comune si avvalga della facoltà di istituire la tariffa corrispettiva sopra illustrata.

Pag. 129

ALLEGATO 4

5-06502 Soglia e Ventucci: Regime IVA delle forniture effettuate per il rifornimento di navi utilizzate per la prestazione di servizi di trasporto pubblico locale marittimo in acque territoriali.

TESTO DELLA RISPOSTA

In merito all'interrogazione a risposta immediata dell'onorevole Soglia, con la quale è stato rappresentato il dubbio di carattere interpretativo della disposizione contenuta nella lettera a), del primo comma, dell'articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, l'Agenzia delle Entrate ha rappresentato quanto segue.
Il citato articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 è stato modificato dall'articolo 8, comma 2, lettera e), n. 4, della legge 15 dicembre 2011, n. 217, legge comunitaria 2010.
La modifica normativa si è resa necessaria a seguito della procedura d'infrazione avviata nell'anno 2009 dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese. In particolare, la Commissione ha ritenuto la normativa nazionale (articolo 8-bis) non in linea con la direttiva 2006/112/CE (articolo 148), per quello che qui interessa, in quanto prevedeva, in relazione alle navi adibite ad attività commerciali, l'applicazione del regime di non imponibilità IVA senza richiedere l'ulteriore condizione che le navi fossero adibite alla navigazione in alto mare. Condizione richiesta in quanto il regime di non imponibilità nella normativa comunitaria è connesso, in linea di principio, alle operazioni relative alle esportazioni o ai trasporti internazionali.
In riferimento a tale modifica, l'onorevole Soglia chiede di chiarire cosa si intenda per navi «adibite alla navigazione in alto mare» e se tale requisito debba sussistere o meno con la destinazione delle navi ad attività commerciale.
L'onorevole interrogante chiede di chiarire se sia possibile continuare ad applicare il regime di «non imponibilità» alle navi che effettuano navigazione costiera, ed in particolare prestazioni di trasporto pubblico locale marittimo in acque territoriali, auspicando una soluzione positiva al fine di evitare l'aggravio dell'IVA nei confronti delle compagnie di navigazione che offrono servizi di trasporto passeggeri tra porti nazionali e di collegamento con le isole.
L'onorevole Soglia evidenzia in proposito che le attività di trasporto marittimo di passeggeri nell'ambito dello stesso comune o tra comuni distanti tra loro non più di cinquanta chilometri sono esenti da IVA, ai sensi dell'articolo 10, primo comma, n. 14), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e che tale condizione impedirebbe agli operatori di detrarre l'IVA eventualmente dovuta sugli acquisti di beni e servizi.
Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate ritiene che il regime di non imponibilità in questione sia applicabile solo alle navi che rispondono alle caratteristiche indicate nell'articolo 8-bis citato, il quale riprende le stesse presenti nell'articolo 148 della direttiva 2006/112/CE.
In particolare, per quanto concerne le navi adibite ad attività commerciale (attività industriale, commerciale, trasporto passeggeri), trattasi delle sole navi adibite alla navigazione in alto mare.

Pag. 130

La modifica normativa introdotta comporta, quindi, che anche per le navi impiegate in attività economiche, il regime di non imponibilità si può applicare solo se le stesse sono adibite alla navigazione in alto mare.
Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, il regime di non imponibilità si applica, oltre che alle cessioni delle navi aventi le richieste caratteristiche, anche a determinate cessioni di beni (apparati motori e loro componenti, parti di ricambio degli stessi, beni destinati a dotazione di bordo e le forniture destinate al loro rifornimento, eccetera), nonché a determinate prestazioni di servizi (l'uso di bacini di carenaggio relativi alla costruzione, manutenzione, riparazione, modificazione, trasformazione, assiemaggio, allestimento, arredamento, locazione e noleggio) a condizione che siano destinate alle navi per le quali opera il regime agevolato.
In conclusione, allo stato attuale, l'Agenzia ritiene che il regime di non imponibilità in questione non sembra applicabile alle navi adibite alla navigazione costiera, né alle forniture e prestazioni ad esse relative.

Pag. 131

ALLEGATO 5

5-06503 Savino: Unificazione dei criteri per la determinazione del canone per la concessione di aree del demanio marittimo utilizzate per attività di pesca e acquacoltura.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con il documento in esame, l'onorevole interrogante chiede al Governo di intraprendere le opportune iniziative per eliminare la difformità di trattamento tra cooperative di pescatori e le altre imprese operanti nel settore relativamente alla determinazione del canone per la concessione di specchi acquei demaniali per attività di pesca ed acquacoltura, anche al fine di scongiurare una possibile procedura d'infrazione da parte delle Istituzioni Europee.
Al riguardo, per quanto di competenza, l'Agenzia del Demanio evidenzia che la questione posta dall'interrogante è emersa a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 26 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154 (Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38), che ha abrogato la legge 17 febbraio 1982, n. 41 (Piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima) il cui articolo 27-ter prevedeva l'estensione del canone demaniale marittimo ricognitorio anche alle imprese di acquacoltura diverse dalle cooperative.
Risulta all'amministrazione finanziaria che siano state formulate diverse proposte parlamentari tese alla reintroduzione della disposizione abrogata, che tuttavia non hanno avuto seguito.
L'Agenzia segnala, infine, che di recente è intervenuto il decreto legislativo n. 9 gennaio 2012 n. 4, attuativo della delega di cui all'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96, recante «Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca ed acquacoltura».
In particolare, l'articolo 4, comma 8, del predetto provvedimento, nel confermare la disciplina speciale prevista per le imprese di pesca ed acquacoltura, ha previsto che la durata del regime concessorio di aree demaniali marittime e loro pertinenze destinate all'esercizio delle attività di acquacoltura, non potrà essere inferiore «...a quella del piano di ammortamento dell'iniziativa cui pertiene la concessione».
In merito alle difformità di trattamento relative all'applicazione del canone di concessioni demaniali marittime destinate all'attività di pesca ed acquacoltura tra cooperative di pescatori e altri operatori che esercitano l'attività di pesca, «il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti» segnala che, pur condividendo l'esigenza di eliminare tale disparità, un'eventuale modifica del regime attualmente in vigore in materia è suscettibile di determinare effetti negativi a carico della finanza pubblica.
Infine, «il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e forestali» riferisce quanto segue.
La materia di cui si discute è stata oggetto di particolare approfondimento nel corso di numerosi incontri con i rappresentanti delle Regioni, delle Associazioni di settore, e delle Amministrazioni interessate.
Il citato Dicastero, reputando che la problematica in questione sia risolvibile solo colmando il vuoto normativo creato dall'abrogazione disposta dal citato articolo

Pag. 132

26 del decreto legislativo n. 154 del 2004, ha in diverse occasioni proposto e sostenuto l'inserimento, nei provvedimenti in materia, di un apposito articolo volto a ricondurre alla misura ricognitoria (anche per le imprese non cooperative) il canone per le concessioni demaniali marittime per la pesca e l'acquacoltura.
Da ultimo, il predetto Ministero rappresenta che attraverso la competente Direzione Generale ha provveduto a convocare, per il 29 marzo, un apposito Tavolo unico con le Amministrazioni interessate, al fine di delineare compiutamente la situazione esistente, acquisendo i dati relativi al numero delle imprese di acquacoltura a mare, alle concessioni rilasciate alle imprese cooperative non cooperative, nonché ai relativi fatturati ed importi dei canoni corrisposti.

Pag. 133

ALLEGATO 6

5-06504 Fugatti: Proroga del termine per la presentazione della comunicazione relativa ai beni in godimento ai soci e decorrenza delle modifiche normative in tema delle comunicazioni rilevanti ai fini IVA.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con il documento in esame gli onorevoli interroganti chiedono al Governo se non ritenga opportuno prorogare la scadenza prevista per il 2 aprile 2012 relativa alla presentazione della comunicazione all'Agenzia delle entrate dei dati dei beni dell'impresa concessi in godimento ai soci o loro familiari, ai sensi dell'articolo 2, commi 36-terdecies e seguenti, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, tenuto conto dell'impossibilità da parte dei soggetti interessati di adempiere al suddetto obbligo in mancanza della modulistica appropriata o del relativo software.
Inoltre, gli onorevoli interroganti chiedono al Governo quale sia l'esatta decorrenza delle modifiche normative introdotte dal decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, che eliminano la soglia di 3.000 euro quale importo minimo di riferimento per l'inclusione delle operazioni nella comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva, confermando la soglia di 3.600 euro per quelle operazioni per le quali non sussiste l'obbligo di emissione di fattura.
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si riferisce quanto segue.
Con specifico riferimento alle recenti disposizioni in materia di assegnazione dei beni ai soci ed alla relativa comunicazione che i soggetti interessati devono presentare all'Amministrazione finanziaria, si rappresenta che il Direttore dell'Agenzia delle entrate, con provvedimento del 13 marzo 2012, ha prorogato al 15 ottobre 2012 il termine per l'espletamento del suddetto obbligo di comunicazione.
Con riguardo alla esatta decorrenza delle modifiche apportate all'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010, dall'articolo 2, comma 6, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, in corso di conversione, concernenti l'obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, si osserva che la novella normativa - il cui intento è la semplificazione degli adempimenti previsti a carico dei soggetti passivi IVA - produce effetti con riferimento alle comunicazioni relative alle operazioni effettuate dal 1o gennaio 2012 da trasmettere entro il 30 aprile 2013.
Per quanto concerne le operazioni poste in essere fino al 31 dicembre 2011, l'obbligo della comunicazione, da effettuare entro il 30 aprile 2012, riguarda le operazioni di importo pari o superiore a 3.000 euro al netto dell'IVA.
A questo fine l'Agenzia delle entrate ha predisposto e sono già disponibili, sul proprio sito internet per la consultazione, due distinte sezioni riguardanti, l'una, le operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2011 e l'altra le operazioni effettuate dal 1o gennaio 2012.
Pertanto, la comunicazione dei dati delle operazioni IVA effettuate nel 2012 sarà inviata nel 2013, secondo modalità e specifiche tecniche che saranno stabilite con apposito Provvedimento.