CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 28 febbraio 2012
613.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (I e XI)
ALLEGATO
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ALLEGATO

Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439).

PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI

Le Commissioni riunite I e XI,
esaminato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati dall'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (atto n. 439);
premesso che lo scopo del provvedimento è quello di dare attuazione al citato articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale, al comma 1, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sia definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche in virtù di un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo, con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi incluso il personale non contrattualizzato, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione;
premesso, altresì, che la finalità generale della disposizione di legge citata risponde all'esigenza ineludibile di attuare una revisione dei trattamenti retributivi erogati dalle pubbliche amministrazioni nell'ambito di rapporti di lavoro autonomo o dipendente e che tale finalità, nel rispetto dei principi costituzionali, deve essere realizzata con tempestività, anche al fine di rispondere ad una razionale riduzione dei costi relativi agli apparati pubblici e più in generale dei costi derivanti da attività poste a carico della finanza pubblica;
considerato, quanto all'ambito di applicazione della disciplina e alle categorie di destinatari, che:
in materia di limitazione di trattamenti economici risultano in vigore disposizioni riconducibili a fonti di diverso rango (legge, decreto-legge, regolamento di delegificazione) che danno luogo ad un assetto normativo composito e caratterizzato da sovrapposizioni di regimi e di assetti normativi differenziati;
con riferimento all'ambito di applicazione della disciplina legislativa recata dal citato articolo 23-ter, risulta inclusa solo una parte delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 2 del d.lgs. n. 165 del 2001; l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201/2011 si riferisce, infatti, alle pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 e in base alla formulazione letterale dell'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le amministrazioni dello Stato sembrano costituire solo una parte delle amministrazioni pubbliche indicate nell'articolo stesso, il quale riconduce espressamente a tale categoria - oltre alle amministrazioni statali in senso stretto (in particolare, le amministrazioni centrali dello Stato) - solo gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative

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e le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, mentre le altre amministrazioni pubbliche indicate dall'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 (le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999, compreso il CONI) non appaiono riconducibili al novero delle pubbliche amministrazioni statali cui fa riferimento tanto l'articolo 23-ter, quanto lo schema in oggetto;
tale esclusione potrebbe dare luogo ad una disparità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere prestazioni simili, in assenza di una ragionevole giustificazione del trattamento differenziato;
l'articolo 23-ter ha espressamente incluso tutto il personale di cui all'articolo 3 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001 e che per effetto di tale rinvio risultano assoggettati alla disciplina dell'articolo 23-ter anche «i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287» e che in queste materie operano soltanto alcune Autorità indipendenti;
lo schema in oggetto, all'articolo 1 include invece indistintamente tutte le Autorità amministrative indipendenti nel novero dei soggetti destinatari delle disposizioni da esso recate, ponendosi in tal modo al di fuori dei limiti e delle prescrizioni normative contenute nel citato articolo 23-ter;
l'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 201/2011, rinvia all'adozione di un decreto del Ministro dell'economia, da emanare - a seguito delle modifiche apportate dal decreto legge di proroga di termini n. 216 del 2011 - entro il 31 maggio 2012, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, l'individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, con determinazione per ogni fascia del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile.
tale sfasamento temporale - oltre che la differenziata geometria della platea dei destinatari - non consente di definire un quadro complessivo omogeneo e coerente con riferimento a tutti gli emolumenti che nei diversi ambiti e all'interno di distinti regimi vengono erogati a coloro che sono chiamati a svolgere attività al servizio di pubbliche amministrazioni, enti o società a carico della finanza pubblica;
la definizione di tale quadro complessivo di disciplina in termini di omogeneità, coerenza e completezza è indispensabile, anzitutto, per non introdurre immotivate differenze di trattamento tra soggetti che svolgono analoghe funzioni, nonché al fine di stimolare la competitività, di promuovere il merito e di assicurare l'equità nei trattamenti - a parità di impegno profuso e di livello di responsabilità assunto - fra coloro che sono chiamati a vario titolo a svolgere funzioni o attività in settori a carico della finanza pubblica;
la fissazione di un tetto massimo dei trattamenti retributivi dovrebbe essere oggetto di ulteriore riflessione, proprio per valutare i profili di ingiustificata disparità di trattamento che si potrebbero determinare alla luce della composita e stratificata legislazione vigente e i profili di irragionevole incidenza sull'attuale assetto

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del sistema retributivo, con evidente lesione del principio di buona organizzazione delle pubbliche amministrazioni;
tutti i profili di incertezza esposti non possono considerarsi risolti alla luce della documentazione presentata dal Governo alle Commissioni riunite, che appare - per un verso - incompleta sotto il profilo delle amministrazioni interessate e che - per altro verso - include talune delle posizioni sopra richiamate, senza chiarire in base a quale disposizione di legge esse possano considerarsi inserite nella platea dei destinatari; la predetta documentazione, inoltre, non sembra tenere conto di tutti gli emolumenti corrisposti, a qualsiasi titolo, alle posizioni interessate e, in particolare, non sembra in alcun modo in grado di fare chiarezza sul tema del cumulo di più incarichi (e delle correlative retribuzioni percepite), con ciò rischiando di porre sul medesimo piano figure professionali la cui retribuzione - in tal caso, da ritenersi senza dubbio onnicomprensiva - è legata allo svolgimento, in via esclusiva e assorbente, di un unico incarico di responsabilità con quelle figure professionali che, invece, assommano una pluralità di emolumenti legati a una pluralità di incarichi;
è da ritenersi, pertanto, necessario un intervento correttivo della disciplina recata dall'articolo 23-ter, per definire, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, un ambito di applicazione il più coerente possibile, disponendo, altresì, che la disciplina medesima costituisca un indirizzo al quale le Regioni devono conformare il proprio ordinamento;
è necessario peraltro che l'intervento legislativo correttivo abbia carattere di stabilità e di organicità, al fine di evitare che l'assenza di una disciplina coerente e razionale determini una condizione di destrutturazione dell'assetto delle pubbliche amministrazioni, che - a causa del susseguirsi di interventi episodici e frammentari che rendono incerto lo stato giuridico ed economico di quanti operano nella pubblica amministrazione - rischia di minare il buon andamento dell'azione amministrativa;
considerato, quanto alla fissazione del parametro massimo di riferimento per gli emolumenti e le retribuzioni a carico della finanza pubblica, che:
l'articolo 23-ter del citato decreto n. 201 del 2011 demanda testualmente ad un atto emanato sotto forma di decreto del presidente del consiglio dei ministri la «definizione del trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni», stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione;
la «definizione del trattamento economico» di coloro che percepiscono una retribuzione da parte di pubbliche amministrazioni costituisce materia oggetto di contrattazione collettiva o individuale o materia dei singoli ordinamenti propri del personale in regime di diritto pubblico;
una corretta interpretazione del dettato normativo porta a ritenere che oggetto del DPCM non possa essere propriamente la «definizione del trattamento economico» e che esso debba limitarsi a indicare specificamente il limite massimo retributivo da assumere come riferimento nella determinazione dei trattamenti del personale delle pubbliche amministrazioni;
questa impostazione è fatta propria dall'articolo 1 dello schema in esame, nella parte in cui chiarisce e delimita il proprio oggetto, stabilendo che «il presente decreto, adottato in attuazione..., fissa il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo degli emolumenti..., fermo restando che la definizione, al di sotto del suindicato limite, dei rispettivi trattamenti economici resta di competenza del contratto collettivo nazionale e della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale»;

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la fissazione di un livello massimo per le retribuzioni del pubblico impiego, se correttamente intesa come misura volta a generare un riequilibrio complessivo nella determinazione degli emolumenti spettanti ai pubblici dipendenti, non può che costituire il presupposto di un processo di adeguamento che deve avvenire nel rispetto dei principi costituzionali posti a presidio della piena e razionale funzionalità delle amministrazioni pubbliche, nonché dei principi costituzionali che attengono alla determinazione della retribuzione e alla ragionevolezza, proporzionalità e ponderazione dell'azione amministrativa;
l'articolo 3 dello schema in oggetto, nel determinare il limite massimo retributivo, stabilisce che il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei soggetti destinatari delle disposizioni del decreto, qualora superiore al limite stesso, «si riduce al predetto limite»;
tale disposizione, qualora venga interpretata come idonea a incidere in maniera immediata sui trattamenti in essere, non può comunque applicarsi in via immediata ai trattamenti stipendiali correlati ad attività lavorative stabili, esclusive e continuative, fondate su un incardinamento del personale nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni e, dunque, sulla determinazione di livelli retributivi tabellari o di base, attribuiti dalla legge o dalla contrattazione collettiva in ragione dell'appartenenza a carriere definite a presidio della specifica funzione pubblica esercitata;
tale impostazione discende dai principi generali e dalle regole che disciplinano le modalità di definizione dei trattamenti dei dipendenti e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni; fra tali principi assume particolare rilievo nell'esame dello schema in oggetto, il divieto di reformatio in peius dei trattamenti spettanti ai lavoratori dipendenti; tale principio, elaborato dalla giurisprudenza sulla base dell'articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, è stato costantemente inteso come espressione del generale principio di imparzialità e buon andamento nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni, che impone, in particolare, il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive consolidate;
il divieto di reformatio in peius è posto a protezione dei diritti quesiti intangibili da parte della pubblica amministrazione, la quale non può incidere in senso negativo sul maturato economico raggiunto dal pubblico dipendente delle cui prestazioni lavorative intenda continuare a valersi;
il divieto di reformatio in peius trova applicazione per tutte le amministrazioni pubbliche e il suo radicamento nell'ordinamento giuridico è confermato dalla Corte Costituzionale, che ha avuto modo di affermare (cfr., tra le altre, sentenza n. 153 del 1985) che «il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza»; valutato, inoltre, che la Corte nella propria giurisprudenza, ha successivamente precisato che il principio si lega al carattere di «stabilità» e di continuità del rapporto di lavoro, ammettendosi interventi idonei ad incidere negativamente su trattamenti economici in essere unicamente in caso di rapporti di lavoro «precari» o in caso di mutamenti nell'organizzazione e nella disciplina dei rapporti di lavoro a seguito dei quali venga a mutare il rapporto tra prestazione resa e retribuzione percepita;
considerato, con riferimento al contenuto degli articoli 3 e 4, che:
pur non essendo espressamente previsto dallo schema di decreto, l'articolo 3, che si riferisce al trattamento economico annuo omnicomprensivo, non può che interpretarsi nel senso che tale trattamento

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deve riferirsi al totale dei compensi complessivamente percepiti dal dipendente, a qualsiasi titolo, e conseguentemente non può comprendere anche l'ammontare dei contributi versati dallo stesso, i quali - come risulta del tutto evidente - non rientrano neanche nella base imponibile ai fini della determinazione del reddito della singola persona fisica;
l'articolo 3, comma 3, stabilisce che il «trattamento economico annuo onnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie spettanti al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non può superare l'ammontare di cui al comma 1», disponendo che qualora il trattamento sia superiore, esso si riduce entro il limite massimo fissato al comma 1 del medesimo articolo;
i componenti e i presidenti delle Autorità amministrative indipendenti non possono essere considerati in senso proprio «personale», né possono ritenersi parti di un «rapporto di lavoro subordinato o autonomo», restando pertanto esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina in esame;
qualora si ritenesse la disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, applicabile esclusivamente al «personale» dipendente di pubbliche amministrazioni statali chiamato a rivestire la carica di presidente o di componente di una Autorità amministrativa indipendente, si darebbe luogo ad una violazione del principio di parità di trattamento tra soggetti chiamati a svolgere identiche funzioni;
sono da considerarsi esclusi dalla disposizione di cui all'articolo 4, relativa al limite alla retribuzione o indennità riconosciuta ai pubblici dipendenti in servizio presso Ministeri o enti pubblici nazionali, i componenti e i Presidenti delle Autorità amministrative indipendenti, i quanto l'articolo 23-ter fa riferimento, al comma 2, esclusivamente al «personale» delle medesime Autorità;
occorrerebbe, sempre con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 4 dello schema, modificare - in occasione dell'intervento legislativo correttivo sopra auspicato - il comma 2 del citato articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale - nel prevedere che il personale chiamato all'esercizio di funzioni direttive, anche in posizione di fuori ruolo o aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l'incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito - non tiene conto delle posizioni oggettivamente diverse che è dato riscontrare nelle posizioni apicali delle amministrazioni e negli uffici di diretta collaborazione all'interno dei quali si rinvengono forme di collaborazione differenziate, sia sotto il profilo della quantità di apporto lavorativo (in quanto alcune sono svolte in forma continuativa, altre in forma discontinua e talora saltuaria), sia sotto il profilo dell'assunzione di responsabilità (dovendosi distinguere tra incarichi di consulenza e incarichi apicali);
occorrerebbe pertanto prevedere un'opportuna differenziazione tra queste posizioni mediante una graduazione dei diversi trattamenti che tenga conto del carattere continuativo o meno della collaborazione e della natura della stessa anche sotto il profilo dell'assunzione diretta di responsabilità; per conseguire efficacemente tale obiettivo si potrebbero prevedere in via normativa percentuali differenziate, nel rispetto delle quali la graduazione dei singoli trattamenti potrebbe essere affidata ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione che tenga conto, anche in ossequio all'articolo 36 della Costituzione, dei diversi apporti lavorativi e della loro natura; la norma, inoltre, dovrebbe essere volta ad evitare che, quando i titolari degli uffici di diretta collaborazione sono dipendenti

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interni, l'applicazione della disciplina comporti per essi retribuzioni inferiori a quelle normalmente percepite;
considerato, con riguardo all'articolo 5, che:
esso introduce una disposizione relativa al personale dirigenziale al quale non si applica il limite massimo di cui all'articolo 3, stabilendo che «le pubbliche amministrazioni valutano se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale, alla ridefinizione del relativo trattamento economico»;
essendo stata posta, da più deputati nel corso del dibattito, la questione del valore giuridico e sostanziale dell'articolo in esame, che non sembra trovare alcun fondamento nell'articolo 23-ter e sembrerebbe, pertanto, risultare ultra vires, occorre precisare che questa disposizione non appare lesiva dell'autonomia negoziale delle parti del rapporto di lavoro pubblico, soltanto se si interpreta nel senso che essa non viola la competenza contrattuale alla definizione dei trattamenti economici, ma anzi chiarisce, proprio nel rispetto di tale competenza, che l'eventuale revisione dei trattamenti medesimi è possibile solo in occasione del rinnovo del contratto;
è evidente, dunque, che la norma in questione mira unicamente a precisare che la predetta revisione (da compiersi in sede di rinegoziazione contrattuale) potrebbe avvenire solo al di sotto del limite massimo retributivo;
è evidente, altresì, che la fissazione di un livello massimo per le retribuzioni del pubblico impiego comporta inevitabilmente una complessiva verifica con eventuale riparametrazione di tutti i livelli retributivi, al fine di non stravolgere i rapporti tra i trattamenti retributivi delle diverse categorie di personale, fondati sulla connessione tra livelli economici e livelli di responsabilità assunti, nel rispetto dei principi di valorizzazione del merito e di buon andamento della pubblica amministrazione, scongiurando inaccettabili fenomeni di appiattimento retributivo;
considerato, infine, con riferimento ad eventuali deroghe alla disciplina in esame, che:
sebbene consentito dalla norma primaria (articolo 23-ter, comma 3, del decreto-legge n. 201/2011), il Governo non ha inteso, allo stato, prevedere deroghe motivate per le posizioni apicali delle pubbliche amministrazioni;
in proposito deve riconoscersi che la previsione o meno di tali deroghe costituisce esercizio di una facoltà del Governo, il quale può legittimamente provvedere in tal senso purché dia atto, con rigorosa motivazione, delle ragioni giustificative della deroga;
ove il Governo intendesse esercitare tale facoltà, la deroga potrebbe riguardare unicamente le «posizioni di più alto livello di responsabilità», con esclusione degli uffici di diretta collaborazione ministeriale, conformemente alla disciplina già contenuta nell'articolo 3, comma 44, della 24 dicembre 2007, n. 244;
preso atto, infine, dei rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario espressi, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, dalla V Commissione (Bilancio), ai quali si fa espresso rinvio;
con le valutazioni di cui in premessa e raccomandando al Governo di apportare al testo le opportune modifiche,
esprimono

PARERE FAVOREVOLE