CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 25 maggio 2011
484.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Ambiente, territorio e lavori pubblici (VIII)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

7-00545 Margiotta: Sulle risorse necessarie per sostenere la regione Basilicata nella gestione delle conseguenze della calamità naturali che hanno colpito recentemente la regione Basilicata.

NOTA DEPOSITATA DAL GOVERNO

L'Onorevole proponente prende spunto dagli eventi alluvionali verificatisi in Basilicata nel marzo 2011 per proporre un impegno al Governo volto a reperire le risorse necessarie al sostegno dei territori danneggiati, nonché a valutare la modificazione della recente normativa di cui all'articolo 2 (commi da 2-quater a 2-octies) del decreto-legge n. 225 del 29 dicembre 2010, in materia di calamità naturali.
L'Onorevole proponente solleva altresì dubbi circa la dinamica applicativa delle predette disposizioni.
Il Ministero dell'ambiente ha fornito elementi di risposta evidenziando che l'area del materano e del basso Bradano risulta tra quelle già individuate a rischio e pericolosità idrogeologica nel vigente Piano di Assetto idrogeologico.
Il Ministero aggiunge che, in attuazione delle previsioni di cui all'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria per il 2010 (in materia di Piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico), ha già sottoscritto con la regione Basilicata, in data 14 dicembre 2010, un Accordo di Programma finalizzato all'individuazione, finanziamento ed attuazione di interventi di difesa del suolo urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio anzidetto.
L'importo complessivo dell'Accordo di Programma è di circa 27 milioni di euro e prevede il finanziamento di 85 interventi prioritari per la mitigazione del rischio da frana, da alluvione e per la difesa della costa nella Basilicata.
Tra questi interventi ne figurano alcuni relativi anche alle aree colpite dai fenomeni di dissesto idrogeologico per i quali OPCM 10 marzo 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione alle avversità atmosferiche occorse fra il 18 febbraio e il 1o marzo 2011.
Sono stati previsti interventi di prevenzione per la difesa costiera nel Metaponto, per un importo di 3 milioni di euro ed un intervento di difesa da frane nel rione Sassi di Matera, per un importo pari a circa mezzo milione di euro.
Gli interventi sono stati individuati dalla Regione e condivisi con la Direzione Generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentite le Autorità di bacino interessate.
Il Commissario delegato, nominato per l'attuazione degli interventi anzidetti, ha comunicato di essersi già attivato per la realizzazione di quelli previsti nel Comune di Matera.
Come stabilito per tutti gli Accordi di programma, conclusi ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria 2010, anche per l'Accordo concluso con la Basilicata, sono state previste procedure per eventuali riprogrammazioni delle risorse economiche anche sulla base di eventi sopravvenuti.
Le novità legislative introdotte dalla legge di conversione del cosiddetto «milleproroghe» non comporteranno riduzioni dei finanziamenti stabiliti nell'Accordo di programma sottoscritto con la Regione Basilicata, i quali saranno invece incrementati

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a seguito di una rimodulazione dello stesso al quale il Ministero dell'Ambiente, come anche per altri Accordi di programma, sta attualmente procedendo.
Nel procedere alla rimodulazione si terrà presente il criterio di ripartizione territoriale, già precedentemente adottato, di cui all'articolo 18, comma 3, del decreto-legge n. 185 del 2008 (85 per cento alle Regioni del Mezzogiorno - 15 per cento alle restanti Regioni). Si terrà cosi conto del fatto che le risorse assegnate con tale disposizione provenivano originariamente dai Fondi per le aree sottoutilizzate.
La rimodulazione terrà altresì conto, come avvenuto nella programmazione oggetto degli Accordi di programma, dei fattori che rappresentano in maniera più significativa il rischio per il territorio, integrando - in ottemperanza alle raccomandazioni formulate dalla Corte dei Conti - i tradizionali coefficienti superficie-popolazione con appositi coefficienti relativi al rischio idrogeologico (rischio frane ed alluvioni) ed all'erosione delle coste calcolati sulla base di uno studio effettuato dagli Uffici del Ministero dell'ambiente.
Il Dipartimento della protezione civile, relativamente all'episodio emergenziale in discorso, ha riferito che tutte le procedure di allerta e monitoraggio previste per casi analoghi sono state tempestivamente attivate nei giorni dell'evento.
Quanto alle nuove disposizioni legislative citate dall'Onorevole interrogante e alla relativa dinamica applicativa, può riferirsi quanto segue.
Occorre una premessa, fondamentale per inquadrare il tema.
Il sistema di Protezione civile e, in particolare, quello del suo intervento - attraverso dichiarazioni di stati di emergenza effettuate mediante deliberazioni del Consiglio dei Ministri e successiva adozione di Ordinanze di Protezione civile per disciplinarne gli aspetti operativi di intervento, specie di somma urgenza, anche dal punto di vista delle risorse finanziarie che vanno conseguentemente impiegate - ha nel tempo, specie negli ultimi anni, assunto dimensioni enormi.
Dimensioni enormi hanno specificamente assunto anche le risorse finanziarie che vengono impiegate per procedere (in via amministrativa e derogatoria rispetto alle usuali procedure che dovrebbero altrimenti seguirsi) agli interventi - che peraltro dovrebbero essere sempre, in primo luogo, di somma urgenza - che si rendono necessari per effetto delle dichiarazioni di stati di emergenza.
Nel tempo, peraltro, la prassi di stati emergenziali che non si concludono nei tempi ristretti che la stessa natura di «emergenza» delle fattispecie lascerebbe ragionevolmente presupporre, e che piuttosto si protraggono per tempi assai lunghi, si è dimostrata niente affatto occasionale.
Di contro, si è andata constatando una prassi diffusa da parte dei Governi locali - soprattutto a base regionale - tesa, da un lato, a non investire ovvero ad investire assai poco nel e sul rispettivo territorio, onde prevenire situazioni suscettibili di determinare stati di emergenza, e, dall'altro, ad invocare subito da parte loro il concorso di risorse statali non appena si realizzano le condizioni per poter invocare interventi emergenziali di Protezione civile.
Alcuni dati possono bene riassumere i tratti del fenomeno.
Nel corso del solo anno 2010 risultano adottate 79 OPCM, per un totale di 568 articoli ed 11 allegati. Di queste ordinanze, poi:
a) in un caso (OPCM n. 3839/2010, recante ulteriori disposizioni di Protezione civile per fronteggiare lo stato di criticità conseguente agli eventi sismici del mese di ottobre 2002 verificatisi nel territorio delle province di Campobasso e di Foggia), si è trattato addirittura di provvedimento regolatorio di situazioni giuridiche riconducibili a situazioni emergenziali dichiarate ben nove anni (!) addietro;
b) in diversi altri casi, si è trattato di provvedimenti regolatori di fattispecie emergenziali comunque riferibili ad anni pregressi.

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Alle disposizioni emanate con OPCM vanno comunque aggiunte, per lo stesso anno (come del resto accaduto in anni precedenti), numerose disposizioni in materia di protezione civile, a propria volta implicanti spese, emanate attraverso fonti legislative, dunque primarie.
Sempre dal solo anno 2010 si registrano (fra interventi di Protezione civile assunti in via di OPCM ovvero attraverso norme primarie) flussi di spesa aggiuntivi pari ad oltre 1 miliardo e 700 milioni di euro!
E si tenga conto che da questo quadro di spesa - riferibile, si ripete, soltanto ad una frazione temporale decorrente dall'anno 2010 - restano comunque escluse grandi ed enormemente costose emergenze «nazionali» quali, ad esempio, quelle riferibili allo tsunami di Haiti, ai flussi migratori dal Nord Africa, agli interventi post sisma Abruzzo 2009, nonché le disposizioni che prevedono risorse regionali ovvero l'utilizzo di risorse già disponibili per la stessa emergenza.

Il «gigantismo» (riferibile, per quanto qui rileva ed interessa, al profilo della spesa e pertanto a quello del reperimento e dell'impiego di risorse finanziarie pubbliche) assunto nel tempo dal sistema di Protezione civile ha determinato uno stato delle cose - tanto più percepibile in un momento di congiuntura finanziaria negativa, quale quella attuale - tale da far ritenere necessari urgenti rimedi.
Si è cosi avuto modo di riflettere sulla circostanza che la legge 24 febbraio 1992, n. 225, recante l'istituzione del Servizio nazionale della protezione civile, distingue al proprio articolo 2, riguardante la tipologia degli eventi e gli ambiti di competenze, fra:
a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.

Si è potuto inoltre constatare che l'articolo 5 della medesima legge contempla e disciplina lo «stato di emergenza» e il «potere di ordinanza» del Presidente del Consiglio dei ministri al verificarsi degli eventi di cui al predetto articolo 2, comma 1, lettera c), della legge.
Si è potuto comunque ricavare che il fatto che le situazioni ed i poteri di natura emergenziale vengano dalla legge riferiti soltanto alle fattispecie di cui alla lettera c), del comma 1, del predetto articolo 2 non significa affatto che tali fattispecie vengano implicitamente e per forza qualificate dalla legge come di emergenza nazionale (in contrapposizione ad «emergenze locali» che, a contrario, dovrebbero allora relegarsi alle previsioni di cui alle lettere a) e b) del citato comma 1 dell'articolo 2 della legge).
La circostanza che il riferimento a «singoli enti ed amministrazioni» figuri litteris esclusivamente nelle predette lettere a) e b) - non dunque anche nella lettera c) - non conduce, in altri termini, ad una differenziazione fra emergenze locali ed emergenze nazionali, ove queste ultime sarebbero soltanto quelle di cui alla lettera c).
La differenziazione, piuttosto, è sul piano della gravità ed intensità dell'evento emergenziale, tale da implicare - questa volta sì esclusivamente nei casi di cui alla lettera c) - il ricorso all'esercizio di poteri eccezionali e derogatori.
Si ricava allora da ciò che anche tra le fattispecie di cui alla sola lettera c) predetta è possibile distinguere tra eventi di ambito locale ed eventi di rilevanza nazionale.
È del resto l'esperienza pratica accumulata negli anni a fornire una riprova di questo assunto.

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Pensando solo - a titolo di esempio - agli eventi alluvionali, è possibile invero ricordare episodi che, per quanto gravi o intensi dal punto di vista fenomenico, hanno tuttavia pur sempre interessato soltanto territori di singole regioni (esempio, alluvione Piemonte) ovvero territori di più regioni bene individuate o individuabili (esempio, straripamento del lago di Massaciuccoli).

Le recenti disposizioni legislative ora censurate muovono, dunque, da considerazioni ben precise e convergenti fra loro:
a) da un lato, il fatto che si registrano eventi calamitosi che, per quanto eccezionali, si caratterizzano pur sempre per una loro delimitazione territoriale ben precisa;
b) dall'altro, il fatto che la funzione di Protezione civile non è affatto funzione di rilievo esclusivamente nazionale quanto, piuttosto, funzione che si ripartisce fra livello regionale e statale. Non è dunque innanzi tutto concepibile, e poi giuridicamente sostenibile, che il verificarsi di un evento locale, implicante esercizio di funzioni di Protezione civile, per quanto eccezionali, diventi automaticamente (dal punto di vista della conseguente spesa per interventi) un evento di rilievo nazionale, implicante una generale «socializzazione» dei relativi costi;
c) da un altro lato ancora, il fatto che la particolare intensità ed onerosità di un singolo evento su base locale non può giustificare un intervento finanziario diretto dello Stato omisso medio ossia un intervento finanziario statale che prescinde, in primo luogo, dall'assunzione di una preliminare responsabilità finanziaria da parte dello stesso livello regionale direttamente interessato;
d) che la stessa logica della sussidiarietà implica l'intervento di un livello (di governo) superiore solo dopo che quello inferiore, direttamente interessato, risulti oggettivamente nell'impossibilità di fare ulteriormente fronte agli oneri implicati dal verificarsi di un determinato evento calamitoso.

Le considerazioni sub c) e d), in particolare, muovono dalla più generale constatazione che si è ormai conclusa l'era dello «Stato centrale» in cui si concentrano l'insieme delle attribuzioni e soprattutto delle risorse finanziarie necessarie ad esplicarle. Si è piuttosto nell'era dello Stato ad attribuzioni e, soprattutto, risorse ripartite.
I livelli di governo substatale - specie quelli regionali - sono ormai pienamente titolari dei poteri occorrenti ad esercitare proprie «leve» di reperimento di risorse finanziarie, i cui gettiti affluiscono ai rispettivi bilanci, non certo al bilancio dello Stato.
È ben singolare perciò il fatto che, al bisogno, tali livelli di governo «risparmino» l'esercizio concreto delle proprie leve, pretendendo al tempo stesso che gli oneri tutti connessi a loro bisogni si spalmino sulla generalità dei contribuenti.
Piuttosto, è proprio questa «tecnica di gestione» (ossia, la generale socializzazione) dell'onere finanziario a matrice locale ad avere determinato nel tempo una progressiva deresponsabilizzazione dei diversi livelli di governo, una scarsa attenzione alla valutazione della effettiva «durata dell'emergenza», una minima attenzione al rapporto fra costo effettivo dell'emergenza ed entità delle risorse invece pretese, e, in pratica, alla crescita dei flussi di spesa pubblica per le «emergenze» fino a livelli pari a quello sopra esemplificativamente ricordato.

Queste considerazioni, in sintesi, giustificano l'impianto logico, giuridico ed operativo sotteso dalle recenti disposizioni legislative ora censurate.
Giova allora attirare l'attenzione su alcuni profili della dinamica applicativa derivante delle disposizioni di cui ai nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, introdotti dalla legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010.
Occorre ripetere che uno degli eventi contemplati dall'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, per quanto lo si voglia qualificare ed intendere di portata nazionale (per risonanza, ricadute,

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caratteristiche proprie dell'evento in sé, eccetera), è pur sempre evento che in ogni caso interessa solo una data, precisa porzione del territorio nazionale.
Ne consegue, perciò, che uno di tali eventi potrà riguardare il perimetro di una sola regione ovvero quello di due o più regioni.
Dato ciò, occorre allora considerare che, per il coordinato disposto dei citati commi 5-quater e 5-quinquies, a fronte di uno di siffatti eventi, è la Regione esclusivamente interessata ovvero sono le Regioni interessate (in tal caso pro-quota) a doversi fare carico in primo luogo del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a fare fronte ai fabbisogni occorrenti.
A tal fine, la singola Regione (ovvero le diverse Regioni interessate, ciascuna in proporzione alla quota di risorse necessarie a fronteggiare gli oneri derivanti dalla porzione di evento che le riguarda) avrà l'onere (ai sensi del comma 5-quater):
a) innanzi tutto di reperire all'interno del proprio bilancio le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero per la copertura degli oneri conseguenti allo stesso;
b) poi, qualora il bilancio non rechi tali disponibilità, di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla Regione, sino al limite massimo consentito dalla legislazione vigente;
c) nonché (i.e., inoltre) - sia nel caso che gli aumenti deliberati ai sensi della lettera b) non assicurino comunque il reperimento di tutte le disponibilità occorrenti sia in quello della impossibilità di deliberare aumenti giacché gli stessi sono già stati precedentemente operati nei limiti massimi consentiti dalla legislazione vigente - di elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.

Che per la singola Regione interessata (ovvero per le Regioni interessate, cosi come sopra detto) le iniziative di cui alle precedenti lettere a)-c) costituiscano un vero e proprio onere, e non piuttosto una mera facoltà lasciata alla libera iniziativa discrezionale della Regione, lo si ricava interpretativamente dall'incipit del successivo comma 5-quinquies, laddove esso prevede che (solo) «qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti (...) può essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile».
In altri termini, perché si possa utilizzare il predetto Fondo occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale sopra descritte.

Né si può ignorare che il regime normativo di cui viene ora contestata la legittimità costituzionale si colloca invece pur sempre - anche solo logicamente - all'interno di un percorso di realizzazione del federalismo fiscale, nonché all'interno di un quadro di realizzazione compiuta dei principi di auto responsabilità ed autodeterminazione dei governi, nonché di quello della sussidiarietà.
I pilastri logico-giuridici su cui fonda il federalismo fiscale, proprio in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, prevedono, in ordine alla spesa, la massima responsabilizzazione di tutti i livelli di governo anche al fine di garantire la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti, nonché, quanto alle fonti di entrata, l'attribuzione di risorse autonome in relazione alla rispettive competenze e secondo il principio di territorialità.
Ciò comporta per le Regioni la necessità di reperire, attraverso l'esercizio del potere di imposizione fiscale, da un lato, e di una politica di spesa oculata dall'altro, tutte le risorse necessarie al finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite (e, ai fini che qui interessano, anche quelle di protezione civile).
L'articolo 2, comma 2, lettera ee), della legge n. 42 del 2009 prevede, del resto, tra i criteri direttivi della delega al Governo,

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proprio «la riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata delle regioni e degli enti locali...e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali: la eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province e comuni».
Pertanto le recenti disposizioni in materia di Protezione civile, nel disporre che le funzioni di settore debbano essere finanziate dai governi regionali attraverso i propri bilanci, mediante la leva della fiscalità regionale, e, solo in via residuale, attraverso il ricorso al Fondo statale di protezione civile, in quanto finalizzate a garantire la certezza delle risorse occorrenti in situazioni di emergenza (che seppur di portata nazionale per risonanza, in ogni caso interessano una precisa porzione del territorio nazionale, ricadente nel territorio di una o più regioni), appare ragionevole e comunque in linea con le previsioni costituzionali.
Peraltro, l'attivazione della leva fiscale è solo eventuale, in quanto la stessa è necessaria solo qualora le disponibilità di bilancio (che invero - in ossequio in primo luogo ad un principio di prudenza e di buon governo - dovrebbero venire fisiologicamente accantonate nel tempo, a garanzia della copertura degli oneri di possibili emergenze) non risultino sufficienti a garantire la copertura delle spese per fronteggiare la situazione di emergenza.
Occorre inoltre considerare che il reperimento delle risorse finanziarie necessarie a fronteggiare gli eventi calamitosi è scandito dalla norma, come detto, secondo un percorso graduale di iniziative di competenza regionale, che prevede:
a) in primo luogo l'obbligo della regione di reperire all'interno del proprio bilancio le disponibilità per la copertura delle spese conseguenti all'evento emergenziale;
b) qualora il bilancio non rechi tale disponibilità, la possibilità di deliberare aumenti di tributi, sino al limite massimo consentito dalla legislazione vigente;
c) nonché, sia nel caso che gli aumenti deliberati non assicurino comunque il reperimento di tutte le disponibilità occorrenti sia in quello della impossibilità di deliberare gli aumenti giacché gli stessi sono stati già precedentemente deliberati nei limiti massimi consentiti, di elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino ad un massimo di cinque centesimi al litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.

Si evince, dunque, che le Regioni, attraverso una serie di iniziative gradualmente assunte, hanno l'onere di fronteggiare con le proprie risorse le funzioni pubbliche in questione, eventualmente - ma non necessariamente - anche attraverso il ricorso ad aumenti di tributi regionali. Nell'ipotesi in cui le predette iniziative risultino insufficienti a garantire la copertura dell'evento emergenziale ovvero degli oneri dallo stesso derivanti, la norma consente comunque il ricorso al Fondo nazionale di protezione civile.
Affinché si possa utilizzare questo Fondo, occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale descritte dalla norma; ma ciò non esclude l'intervento solidaristico dello Stato a favore delle regioni, intervento che, torna a ripetersi, dovrà però costituire una «extrema ratio», secondo la logica federalista dell'integrale finanziamento da parte degli enti territoriali delle funzioni pubbliche loro attribuite e del principio della responsabilità finanziaria.
Pertanto, dalla disposizione censurata non emerge, contrariamente a quanto assunto, l'esclusivo coinvolgimento della finanza regionale al ripiano delle spese conseguenti all'emergenza, bensì un concorso di enti di diverso livello: le regioni in primo luogo, in quanto obbligate a finanziare con i propri fondi le funzioni pubbliche

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loro attribuite; lo Stato, in via sussidiaria e attraverso un concorso di tipo solidaristico.
Appare inoltre non di poco conto considerare che l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione comprende la «protezione civile» (così come del resto «il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario») tra le materie oggetto di legislazione concorrente, con la conseguenza che è riservata comunque alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali della materia. Pertanto anche sotto il delineato profilo, la norma censurata appare costituzionalmente legittima perché rispettosa delle sfere di competenza legislativa.

Alla luce e nel contesto di quanto precede, non si ignori infine che la Regione Basilicata:
a) a quanto consta, dispone di risorse di bilancio utilizzabili per finalità di Protezione civile, dunque anche per concorrere al rimedio dei danni derivanti dall'evento calamitoso ricordato;
b) pur potendolo, non ha attivato le leve fiscali previste dalle più recenti disposizioni introdotte nella legge n. 225 del 1992;
c) in particolare, pur potendolo, non ha attivato la leva fiscale relativa a prodotti petroliferi;
d) gode, per effetto di altre fonti legislative, di un particolare regime giuridico idoneo a consentire alla popolazione titolata all'utilizzo di mezzi di trasporto alimentati da prodotti petroliferi il recupero di quota dell'accisa che grava su tali prodotti;
e) è perfettamente in grado, in altri termini, di assicurare alla popolazione locale sub d) una sostanziale neutralizzazione dell'effetto dell'aumento che deriverebbe dall'attivazione della leva fiscale riferita ai prodotti petroliferi.

Ove dunque si accedesse agli auspici segnalati dall'Onorevole interrogante, si determinerebbe allora, tra l'altro, quanto segue: a fronte del mantenimento a favore della popolazione locale di questo particolare vantaggio fiscale proprio di questa sola Regione, tutto il resto della popolazione nazionale dovrebbe farsi carico, attraverso l'eventuale aumento generalizzato del prelievo fiscale sui prodotti petroliferi per autotrazione, di tutti gli oneri finanziari conseguenti agli eventi alluvionali introduttivamente ricordati.

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ALLEGATO 2

Modifica della denominazione del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (C. 2780 Mario Pepe).

NUOVO TESTO ADOTTATO COME TESTO BASE

Art. 1.

1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede alla modifica della denominazione del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, prevista dallo statuto del medesimo Parco adottato con decreto del Ministro dell'ambiente 22 dicembre 1998 di cui al comunicato del Ministro dell'ambiente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 2 giugno 1999, nonché alla modifica della denominazione dell'Ente parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano istituito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1995, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 181 del 4 agosto 1995. Le nuove denominazioni disposte ai sensi del presente comma sono, rispettivamente, Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni ed Ente parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
2. Entro l'anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, gli organi dell'Ente parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano provvedono alle conseguenti modifiche dello statuto e degli altri atti ufficiali del medesimo Ente.