CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 28 aprile 2011
473.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).

PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAL RELATORE, ON. BERNINI BOVICELLI

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante «attuazione dell'articolo 16 della legge della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali», approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 18 giugno 2010,
considerato che
il provvedimento prefigura un nuovo quadro di strumenti procedurali e di assetti organizzativi volti a superare le criticità che finora hanno ostacolato il raggiungimento di risultati soddisfacenti nell'utilizzo delle risorse destinate alla promozione delle aree sottoutilizzate;
la nuova disciplina appare idonea rendere più efficace la politica di coesione ed a promuovere le innovazioni utili, sia sul piano dei contenuti che delle regole di programmazione ed attuazione, a conseguire risultati più tempestivi ed incisivi;
in tale finalità, l'introduzione del Documento di indirizzo strategico individua criteri e requisiti secondo cui destinare le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione che consentiranno, attraverso una attenta selezione dei progetti ammissibili, a concentrare le risorse medesime in interventi di forte significatività;
nell'ambito di tali criteri appare di rilievo la espressa previsione di indicatori che soddisfino requisiti di affidabilità statistica, prossimità all'intervento tempestività di rilevazione, nonché il riferimento a meccanismi sanzionatori, che in relazione al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto del cronoprogramma, possono ricomprendere la revoca - anche parziale - dei finanziamenti; revoca che può costituire un ulteriore strumento volto ad una migliore concentrazione delle nei settori con maggiori capacità di utilizzo;
risulta altresì importante lo strumento del Contratto istituzionale di sviluppo, che definendo in forma vincolante tempi, obiettivi e compiti di ciascuno dei contraenti che operano l'intervento, sostanzia in maniera efficace la responsabilità di ciascuno di essi, prevedendo a tal fine anche le condizioni di definanziamento dei progetti ovvero la attribuzione delle relative risorse ad altro livello di governo, nel rispetto del principio della sussidiarietà. In tal senso operano anche le disposizioni introdotte nel provvedimento in ordine alla tracciabilità dei flussi finanziari;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

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con la seguente condizione:
provveda il Governo a riformulare il testo dello schema di decreto legislativo sulla base del seguente articolato:

Art. 1.
(Oggetto).

1. Il presente decreto, in conformità al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione e in prima attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, definisce le modalità per la destinazione e l'utilizzazione di risorse aggiuntive, nonché per l'individuazione e l'effettuazione di interventi speciali, al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali del Paese e di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona.
2. Gli interventi individuati ai sensi delpresente decreto sono finalizzati a perseguire anche la perequazione infrastrutturale.

Art. 2.
(Princìpi e criteri della politica di riequilibrio economico e sociale).

1. Le finalità di cui all'articolo 1 sono perseguite prioritariamente con le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 e con i finanziamenti a finalità strutturale dell'Unione europea e i relativi cofinanziamenti nazionali, esclusivamente destinati alla spesa in conto capitale per investimenti nonché alle spese per lo sviluppo ammesse dai regolamenti dell'Unione europea, sulla base dei seguenti princìpi e criteri:
a) leale collaborazione istituzionale tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali e coinvolgimento del partenariato economico-sociale per l'individuazione delle priorità e per l'attuazione degli interventi, tenendo conto delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alle condizioni socio-economiche, al deficit infrastrutturale e ai diritti della persona;
b) utilizzazione delle risorse secondo il metodo della programmazione pluriennale, tenendo conto delle priorità programmatiche individuate dall'Unione europea, nell'ambito di piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione, contemperando gli obiettivi di sviluppo con quelli di stabilità finanziaria e assicurando in ogni caso la ripartizione dell'85 per cento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15 per cento alle regioni del Centro-Nord;
c) aggiuntività delle risorse, che non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza e nel rispetto del principio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea;
d) programmazione e attuazione degli interventi finalizzate ad assicurarne la qualità, la tempestività, l'effettivo conseguimento dei risultati, attraverso il condizionamento dei finanziamenti a innovazioni istituzionali, la costruzione di un sistema di indicatori di risultato, il ricorso sistematico alla valutazione degli impatti e, ove appropriato, la previsione di riserve premiali e meccanismi sanzionatori, nel rispetto dei criteri di concentrazione territoriale e finanziaria e assicurando le necessarie attività di sorveglianza, monitoraggio e controllo delle iniziative.

Art. 3.
(Disposizioni in materia di finanziamenti dell'Unione europea).

1. Il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, di seguito «Ministro delegato», cura il coordinamento di tale politica e dei relativi fondi a finalità strutturale dell'Unione Europea, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, e assicura i relativi

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rapporti con i competenti organi dell'Unione.
2. Per le finalità di cui al comma 1 e nel rispetto dei poteri e delle prerogative delle Regioni e delle autonomie locali, il Ministro delegato, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e, per quanto di competenza, con gli altri Ministri eventualmente interessati, adotta gli atti di indirizzo e quelli di programmazione rimessi dai regolamenti dell'Unione europea agli Stati membri, assicurando la coerenza complessiva dei conseguenti documenti di programmazione operativa da parte delle amministrazioni centrali e regionali.
3. Al fine di garantire la tempestiva attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali di cui al comma 1 e l'integrale utilizzo delle relative risorse dell'Unione europea assegnate allo Stato membro, il Ministro delegato, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, adotta, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi.

Art. 4.
(Fondo per lo sviluppo e la coesione).

1. Il Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, assume la denominazione di Fondo per lo sviluppo e la coesione, di seguito «Fondo». Il Fondo è finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese.
2. Il Fondo ha carattere pluriennale in coerenza con l'articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, garantendo l'unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi strutturali dell'Unione europea.
3. Il Fondo è destinato a finanziare interventi speciali dello Stato e l'erogazione di contributi speciali, secondo le modalità stabilite dal presente decreto. L'intervento del Fondo è finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale.

Art. 5.
(Programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione).

1. La legge di stabilità relativa all'esercizio finanziario che precede l'avvio di un nuovo ciclo pluriennale di programmazione incrementa la dotazione finanziaria del Fondo, stanziando risorse adeguate per le esigenze dell'intero periodo di programmazione, sulla base della quantificazione proposta dal Ministro delegato, compatibilmente con il rispetto dei vincoli di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica. Allo stesso modo, la legge di stabilità provvede contestualmente alla ripartizione della dotazione finanziaria per quote annuali, collegate all'andamento stimato della spesa.
2. La legge annuale di stabilità, anche sulla scorta delle risultanze del sistema di monitoraggio unitario di cui all'articolo 6, può aggiornare l'articolazione annuale, ferma restando la dotazione complessiva del Fondo. Trascorso il primo triennio del periodo di riferimento, si può procedere alla riprogrammazione del Fondo solo previa intesa in sede di Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
3. Entro il mese di ottobre dell'anno che precede l'avvio del ciclo pluriennale di programmazione, con delibera del Comitato

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interministeriale per la programmazione economica (CIPE), tenendo conto degli indirizzi comunitari, degli impegni assunti nel Programma Nazionale di Riforma e dei documenti relativi al Documento di economia e finanza, su proposta del Ministro delegato, d'intesa con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, nonché con la Conferenza unificata, sono definiti in un Documento di indirizzo strategico:
a) gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate, le finalità specifiche da perseguire, il riparto delle risorse tra le priorità e le diverse macro-aree territoriali, nonché l'identificazione delle Amministrazioni attuatrici;
b) i principi di condizionalità, ossia le condizioni istituzionali, generali e relative a ogni settore di intervento, che devono essere soddisfatte per l'utilizzo dei fondi;
c) i criteri di ammissibilità degli interventi al finanziamento riferiti in particolare:
1) ai tempi di realizzazione definiti per settore, per tipologia d'intervento, di soggetto attuatore e di contesto geografico;
2) ai risultati attesi, misurati con indicatori che soddisfino requisiti di affidabilità statistica, prossimità all'intervento, tempestività di rilevazione, pubblicità dell'informazione;
3) all'individuazione preventiva di una metodologia rigorosa di valutazione degli impatti;
4) alla sostenibilità dei piani di gestione;
d) gli eventuali meccanismi premiali e sanzionatori, ivi compresa la revoca, anche parziale, dei finanziamenti, relativi al raggiungimento di obiettivi e risultati misurabili e al rispetto del cronoprogramma;
e) la possibilità di chiedere il cofinanziamento delle iniziative da parte dei soggetti assegnatari, anche attraverso l'apporto di capitali privati.

4. Entro il 1o marzo successivo al termine di cui al comma 3, il Ministro delegato, in attuazione degli obiettivi e nel rispetto dei criteri definiti dalla delibera del CIPE di cui al comma 3, propone al CIPE per la conseguente approvazione, in coerenza con il riparto territoriale e settoriale ivi stabilito e d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, nonché con le amministrazioni attuatrici individuate, gli interventi o i programmi da finanziare con le risorse del Fondo, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente.

Art. 6.
(Contratto istituzionale di sviluppo).

1. Per le finalità di cui all'articolo 1, nonché allo scopo di accelerare la realizzazione degli interventi di cui al presente decreto e di assicurare la qualità della spesa pubblica, il Ministro delegato, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, stipula con le Regioni e le amministrazioni competenti un «contratto istituzionale di sviluppo» che destina le risorse del Fondo assegnate dal CIPE e individua responsabilità, tempi e modalità di attuazione degli interventi.
2. Il contratto istituzionale di sviluppo, esplicita, per ogni intervento o categoria di interventi o programma, il soddisfacimento dei criteri di ammissibilità di cui all'articolo 5, comma 3, e definisce il cronoprogramma e le responsabilità dei contraenti, prevedendo anche le condizioni di definanziamento anche parziale degli interventi ovvero la attribuzione delle relative risorse ad altro livello di governo, nel rispetto del principio di sussidiarietà. In caso di partecipazione dei concessionari di servizi pubblici, competenti in relazione all'intervento o alla categoria di interventi o al programma da realizzare, il contratto istituzionale di sviluppo definisce le attività che sono eseguite dai predetti concessionari, il relativo cronoprogramma, meccanismi di controllo delle attività loro

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demandate, sanzioni e garanzie in caso di inadempienza, nonché apposite procedure sostitutive finalizzate ad assicurare il rispetto degli impegni assunti. Il contratto istituzionale di sviluppo può prevedere, tra le modalità attuative, che le amministrazioni centrali e regionali si avvalgano di organismi di diritto pubblico in possesso dei necessari requisiti di competenza e professionalità.
3. La progettazione, l'approvazione e la realizzazione degli interventi individuati nel contratto istituzionale di sviluppo è disciplinata dalle norme di cui alla parte II, titolo III, capo IV, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163. Nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione degli interventi individuati nel contratto istituzionale di sviluppo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 125 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104.
4. Le risorse del Fondo sono trasferite ai soggetti assegnatari, in relazione allo stato di avanzamento della spesa, in appositi fondi a destinazione vincolata alle finalità approvate, che garantiscono la piena tracciabilità delle risorse attribuite, anche in linea con le procedure previste dall'articolo 3 della legge 13 agosto 2010 n. 136 e dall'articolo 30 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
5. L'attuazione degli interventi è coordinata e vigilata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, di seguito «Dipartimento», che controlla, monitora e valuta gli obiettivi raggiunti anche mediante forme di cooperazione con le amministrazioni statali, centrali e periferiche, regionali e locali e in raccordo con i Nuclei di valutazione delle amministrazioni statali e delle Regioni, assicurando, altresì, il necessario supporto tecnico e operativo. Le amministrazioni interessate effettuano i controlli necessari al fine di garantire la correttezza e la regolarità della spesa e partecipano al sistema di monitoraggio unitario di cui al Quadro Strategico Nazionale 2007/2013 previsto, a legislazione vigente, presso la Ragioneria Generale dello Stato secondo le procedure vigenti e, ove previsto, al sistema di monitoraggio del Dipartimento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
6. In caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi individuati ai sensi del presente decreto, anche con riferimento al mancato rispetto delle scadenze del cronoprogramma e, comunque, ove si renda necessario al fine di evitare il disimpegno automatico dei fondi erogati dall'Unione europea, il Governo, al fine di assicurare la competitività, la coesione e l'unità economica del Paese, esercita il potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione secondo le modalità procedurali individuate dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131,anche attraverso la nomina di un commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il quale cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche occorrenti all'autorizzazione e all'effettiva realizzazione degli interventi programmati, nel limite delle risorse allo scopo finalizzate.

Art. 6-bis.
(Relazione annuale).

1. La Relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate e sui risultati conseguiti, di cui all'articolo 10, comma 7, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, fornisce elementi informativi di dettaglio in merito all'attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto ed è trasmessa dal Ministro delegato, contestualmente alla presentazione alle Camere, alla Conferenza unificata.

Art. 7.
(Disposizioni transitorie e finali).

1. In sede di prima attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, restano comunque ferme le disposizioni vigenti che disciplinano i contributi speciali e gli interventi diretti dello Stato in favore dei territori confinanti con le Regioni

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a statuto speciale, dei territori montani e delle isole minori, nonché gli altri contributi e interventi diretti dello Stato comunque riconducibili all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che perseguono finalità diverse da quelle indicate all'articolo 1. Con uno o più decreti legislativi adottati ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42 sono introdotte ulteriori disposizioni attuative dell'articolo 16 della citata legge con riferimento ai predetti contributi e interventi.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).

PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAL RELATORE, SEN. D'UBALDO

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante «attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali» (atto n. 328);
premesso che:
lo schema di decreto al nostro esame, nel disciplinare le modalità di finanziamento degli interventi speciali volti a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale e a rimuovere gli squilibri economici e sociali, non affronta taluni contenuti dell'articolo 16 della legge 42 del 2009, con ciò rendendo difficile il raggiungimento degli obiettivi oggetto della delega, ma anche la piena attuazione di quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 119 della Costituzione con particolare riguardo alle tematiche della solidarietà sociale, della rimozione degli squilibri sociali e dell'effettivo esercizio dei diritti della persona;
la delega doveva essere esercitata per definire le modalità di attuazione degli interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione e per stabilire le loro modalità di finanziamento, secondo il metodo della programmazione pluriennale, attraverso i contributi speciali dello Stato, i finanziamenti dell'Unione europea (non sostitutivi dei contributi speciali dello Stato) e i cofinanziamenti nazionali. Tali risorse, secondo la delega, sarebbero dovuti confluire in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni;
gli interventi speciali oggetto della delega, inoltre, dovevano essere predisposti anche tenendo conto delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori, all'esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale;
su tali questioni, lo schema di decreto legislativo al nostro esame è parziale, lasciando aperte alcune delle problematiche che in passato hanno impedito lo sviluppo economico delle aree sottoutilizzate, la coesione sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali tra le diverse parti del Paese;
considerato che:
uno degli elementi di criticità dello schema di decreto in esame è la mancata individuazione di interventi speciali finalizzati a promuovere la solidarietà sociale e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona previsti dalla lettera d), comma 1 dell'articolo 16 della legge 42 del

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2009, nonché dal quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione che impongono allo Stato e di destinare a tali scopi risorse aggiuntive ed interventi speciali in favore di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;
gli interventi speciali dello Stato prefigurati nella legge delega in puntuale attuazione del dettato costituzionale sono finalizzati a rimuovere i fattori strutturali di divario tra le diverse parti della Repubblica. Siamo quindi su un piano diverso rispetto alle attività ordinariamente affidate agli Enti territoriali il cui finanziamento integrale, a norma dell'articolo 119, comma 4, della Costituzione, deve essere assicurato con i tributi e le entrate propri, le compartecipazioni ai tributi erariali ed eventualmente i trasferimenti perequativi. Qui si assegna allo Stato il dovere di rimuovere i fattori strutturali e, dunque, storicamente persistenti degli squilibri economici e sociali che caratterizzano ancora oggi le diverse parti nostro Paese;
a questi fini non possono bastare gli interventi relativi allo sviluppo economico e alla coesione sociale e territoriale oggetto del provvedimento, secondo quanto specificato dall'articolo 1 dello schema di decreto. Per rimuovere gli squilibri e il divario ancora drammatico tra diverse aree del Paese sono indispensabili interventi che promuovano la solidarietà sociale e favoriscano l'effettivo esercizio dei diritti della persona. La previsione del quinto comma dell'articolo 119 è, infatti, strettamente connessa al dettato dei due principi fondamentali della Costituzione italiana: l'articolo 2 nel quale si «richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; l'articolo 3 per il quale «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» È pertanto chiaro che i precetti contenuti nell'articolo 119 della Costituzione rappresentano lo svolgimento dei principi fondamentali enunciati negli articoli 2 e 3, disciplinando in concreto le modalità secondo le quali lo Stato, chiamato a svolgere la primaria funzione unificante dell'ordinamento repubblicano, agisce ed interviene;
nel processo di riordino della fiscalità regionale e locale ogni tassello riveste la sua importanza. Non si può dire che la delega conferita al governo contempli una gerarchia di provvedimenti, secondo una rigida scala di valori politicamente determinata. A maggior ragione, di fronte a questo schema di decreto legislativo urge disporsi con lo sguardo attento all'insieme della proposta di riforma dell'ordinamento finanziario e fiscale dei governi territoriali. Se finora si è lavorato soprattutto sulla ricerca dei meccanismi più idonei a garantire l'attribuzione di risorse proprie, ciò nondimeno dobbiamo oggi riconoscere e inquadrare correttamente la previsione costituzionale relativa ai cosiddetti interventi speciali;
la convergenza attorno alla definizione di un elemento strategico di unità, quale quello rappresentato dagli interventi speciali e delle risorse aggiuntive di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione e all'articolo 16 della legge di delega n. 42 del 2009, è indispensabile se si vuole portare avanti l'intero percorso di riforma del nostro ordinamento istituzionale in senso più marcatamente autonomistico e pluralistico;
rilevato che:
la lacuna evidenziata si ripercuote nel procedimento individuato nel decreto per la predisposizione degli interventi. Infatti, richiamando soltanto le finalità relative allo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale e la rimozione dei relativi squilibri, il provvedimento sembra ritenere che l'attuazione dell'articolo 16 della legge 42, del 2009, si risolva solo in una diversa procedura per l'utilizzo degli stanziamenti del Fondo per le aree

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sottoutilizzate, che è appositamente «ribattezzato» Fondo per la coesione sociale;
tale impostazione produce una serie di conseguenze negative: innanzitutto limita gli interventi speciali esclusivamente agli ambiti in cui opera il Fondo per lo sviluppo e la coesione. Ciò costituisce una forte autolimitazione degli interventi sia dal punto di vista della tipologia, sia sotto il profilo geografico. Se infatti è positiva la previsione di cui all'articolo 2, secondo il quale l'utilizzazione delle risorse deve in ogni caso assicurare una ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione nella quota dell'85 per cento alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15 per cento alle regioni del Centro-Nord, non si può pensare - come invece sembra evincersi dall'articolo 4 comma 1 del decreto - che gli interventi speciali e le risorse aggiuntive previste da tale Fondo esauriscano le finalità previste dalla delega di cui all'articolo 16 della legge 42 del 2009;
d'altra parte proprio le risorse dei Fondi assegnati alle «aree sottoutilizzate» di cui di cui si propone la riforma, sono stati negli ultimi tre anni falcidiati con tagli definitivi in termini di competenza di poco inferiori a 20 miliardi sui 64 stanziati a partire dal 2007. In questo quadro proporne una riforma e farne il punto centrale dell'attuazione dell'articolo 16 della legge 42, del 2009 implica quantomeno, che risorse stanziate per il 2007-2013 siano ristorate e la nuova programmazione post 2013 riparta da volumi analoghi di risorse. Come appare necessario per dare certezza di continuità di tali interventi che tali risorse siano comunque vincolate a parametri quantitativi certi quali possono essere una percentuale sul Pil o sulla spesa pubblica complessiva;
non si comprende appieno se il nuovo Fondo andrà collegato esclusivamente alla programmazione delle risorse successive al 2013 ovvero anche alla riprogrammazione delle risorse 2007-2013, che sarà certamente ancora fungibile dopo il 2013, da dove partirà la dotazione del nuovo Fondo, posto che il FAS ha subito ingenti decurtazioni originariamente stanziati dalla Legge Finanziaria 2007 ed infine quale parametro quantitativo verrà utilizzato;
uno degli insegnamenti del passato è che la piena coerenza fra programmazione comunitaria e programmazione nazionale ingessa in modo eccessivo e farraginoso la seconda. La programmazione comunitaria procede dall'alto verso il basso e presenta molte rigidità. È generica, limitata alla tipologia e al settore d'intervento. Il Fondo per lo sviluppo e la coesione dovrebbe potersi muovere su obiettivi propriamente nazionali e con logiche che tengano conto dell'effettiva fattibilità dei progetti e del coinvolgimenti degli attori (nazionali o locali) di volta in volta più adatti. È quindi necessario che non venga interamente stabilita dagli indirizzi dell'Unione europea la coerenza tra la programmazione comunitaria e quella nazionale e che il Fondo per lo sviluppo e la coesione, per la parte non destinata al cofinanziamento dei fondi comunitari in senso stretto, sia indirizzata ad obiettivi più propriamente nazionali, destinando almeno una quota del 30 per cento dello stesso ad un fondo di riserva da programmare in relazione agli obiettivi di convergenza dei fabbisogni standard e lasciando la restante parte alla programmazione dettata dai regolamenti europei;
per i documenti programmatici di rilievo comunitario va ripristinata l'intesa con le Regioni, oltre che il principio del partenariato sociale, obbligatorio per i regolamenti comunitari. Il Documento di indirizzo strategico, che riassume gli elementi fondamentali della programmazione che ha origine da indirizzi sia comunitari che nazionali, dovrebbe avere una maggiore importanza politica, ad esempio attraverso un parere delle competenti Commissioni parlamentari;
la nuova programmazione degli interventi del Fondo non sembra risolvere la questione - nella prospettiva del nuovo ciclo di politica di coesione europea - di una governance che assicuri unitarietà e

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strategicità della programmazione, in quanto da nessuna parte viene individuato l'ambito di cooperazione istituzionale. Poiché l'analisi degli insuccessi degli ultimi anni ha molto a che fare con la governance, si dovrebbe di conseguenza: rafforzare e dare ruoli di terzietà al Dipartimento per le politiche di sviluppo, che dovrebbe essere messo in condizione di esprimere un vero potenziale di coordinamento, in particolare per la valutazione della condizionalità e della premialità; sviluppare nuove forme di affiancamento e di assistenza tramite veri e propri apparati tecnici, costituiti in partenariato fra Stato e Regioni, che valorizzino i bacini di competenze esistenti nelle strutture ordinarie; dare un ruolo più ampio agli enti pubblici territoriali in fase di programmazione e di attuazione;
osservato che:
il combinato disposto dei diversi provvedimenti di attuazione delle deleghe contenute nella legge n. 42 del 2009, suscita alcuni interrogativi. Non è del tutto chiaro - e lo schema di decreto al nostro esame contribuisce ampiamente in tale direzione - con quali strumenti, e secondo quali regole, saranno finanziate le spese infrastrutturali di regioni e di enti locali e soprattutto non appare del tutto chiara la distinzione tra risorse di natura straordinaria e quelle di natura ordinaria destinate a tali finalità;
sotto questo profilo il decreto interministeriale sulla perequazione infrastrutturale del 26 novembre 2010 non contribuisce a fornire elementi di chiarezza. Se da una parte l'articolo 22 della legge 42 prevede una fase di ricognizione «in sede di prima applicazione», dall'altra il decreto varato dal Governo introduce una metodologia di calcolo puramente legata a parametri fisici di offerta e totalmente scollegata dall'»architrave» di riferimento del federalismo fiscale, e cioè i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Anche in assenza di LEP, sarebbe utile introdurre il riferimento agli obiettivi e/o ai livelli di servizio, che sono presenti sia nel decreto sui fabbisogni standard di Comuni e Province sia in quello sulle Regioni. L'indagine sulle dotazioni infrastrutturali territoriali deve essere estesa sia ai tradizionali settori dei «servizi essenziali» (sanità, assistenza, istruzione) sia ai servizi pubblici locali cui sono collegati importanti funzioni fondamentali di Comuni e Province (servizio idrico, ciclo dei rifiuti, trasporto pubblico locale e regionale, viabilità, illuminazione pubblica). Occorrerebbe considerare non solo indicatori di offerta, ma anche di domanda;
non essendoci ancora stata l'attuazione della legge 42 sul versante degli investimenti ordinari, il testo del decreto in esame risulta insoddisfacente, potendo avere come effetto quello di scaricare sui fondi degli interventi speciali esigenze che dovrebbero trovare risposta nel ciclo finanziario ordinario. Si corre il rischio che, in assenza di una chiara definizione e di un'adeguata copertura della spesa «ordinaria», si utilizzino a questi fini le risorse per gli interventi speciali e per la rimozione degli squilibri economici e sociali, con il risultato di avere una spesa «straordinaria» sostitutiva e non aggiuntiva rispetto a quella «ordinaria»;
è necessario quindi chiarire il rapporto fra interventi ordinari e interventi speciali. Non c'è dubbio che nei settori coperti da LEP debba esistere un legame fra convergenza ai fabbisogni standard e perequazione infrastrutturale «ordinaria». In settori come sanità, istruzione, asili nido, assistenza, acqua, rifiuti, viabilità, trasporto su ferro, ecc. dovranno essere definiti appositi piani pluriennali di investimento con precisi obiettivi da raggiungere nelle diverse aree territoriali. In ciascuno di questi piani si dovranno stabilire obiettivi di investimento propedeutici al raggiungimento, a seconda dei casi, di obiettivi di efficienza (costi standard) e/o di obiettivi di miglioramento del livello e della qualità dei servizi. Nel ciclo ordinario di decisione della finanza pubblica (DEF, legge di stabilità e provvedimenti collegati) si dovrà, nel corso del tempo,

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stabilire ciò che è raggiungibile, per dati periodi temporali, tramite i meccanismi ordinari di perequazione, presidiati dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica;
in un tale quadro andrebbe previsto il concorso dell'intervento «speciale» al finanziamento dei piani di investimento collegati ai percorsi di convergenza definiti dalle procedure ordinarie, con il vincolo che le risorse aggiuntive debbano essere utilizzate per permettere il raggiungimento di obiettivi più elevati, per dati periodi temporali, di quelli fissati dalla perequazione ordinaria. Una tale impostazione darebbe priorità, nei «nuovi» interventi speciali per la rimozione degli squilibri territoriali, a obiettivi di riduzione del divario fra infrastrutture disponibili e quelle necessarie ad assicurare un'adeguata qualità dei servizi pubblici;
gli interventi speciali possono avere ad oggetto anche le funzioni ordinariamente affidate agli Enti territoriali, purché si traducano in maggiori livelli (aggiuntivi, rispetto agli ordinari) delle prestazioni che lo Stato ritiene debbano essere assicurati, allo scopo di ridurre gli squilibri economici e sociali oppure per favorire l'effettivo esercizio dei diritti delle persone; in questo senso l'aggiuntività degli interventi speciali non può essere limitata alla spesa in conto capitale per investimenti, specie quando sia in gioco l'effettivo esercizio dei diritti delle persone;
la necessità di garantire il principio di aggiuntività delle risorse da destinare alla politica di riequilibrio, da accogliersi positivamente andrebbe supportata dall'indicazione di parametri per la determinazione dell'entità complessiva delle risorse, legati all'andamento di variabili macroeconomiche e da una più chiara individuazione del perimetro della «ordinarietà» all'interno del nuovo assetto del federalismo fiscale: all'affermazione del principio dell'aggiuntività delle risorse non fa seguito l'individuazione effettiva di quali interventi considerare aggiuntivi;
ritenuto che:
il testo, come si è già evidenziato, sembra considerare che l'attuazione del 119, quinto comma, della Costituzione possa risolversi in una diversa procedura per l'utilizzo degli stanziamenti del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nell'ambito della quale si privilegia il rapporto Stato-Regioni. Ciò determina l'estromissione del livello locale in chiaro contrasto con il dettato costituzionale ed il sostanziale mantenimento della fisionomia del vecchio fondo quanto ai soggetti destinatari, alla dimensione degli interventi e alle regole procedurali; in conseguenza di questa impostazione, il testo del decreto estromette clamorosamente il livello locale privilegiando il rapporto Stato-Regioni, proprio laddove il testo costituzionale e lo stesso articolo 16 della legge 42 del 2009 - coerentemente principio di pari ordinazione sancito dall'articolo 114 Cost. - individuano equiparandoli i destinatari di risorse aggiuntive e di interventi speciali in determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni;
dal testo dello schema di decreto, in particolare dall'articolo 4, emerge un forte accentramento delle procedure decisionali in capo al Governo. In ogni passaggio attuativo, il Ministro delegato può agire solo d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze; il ruolo delle regioni, delle province e dei comuni, nell'attuazione delle politiche di riequilibrio economico e sociale è fortemente compresso rispetto all'attuale situazione configurando un curioso accentramento in un decreto attuativo di una legge di decentramento;
in tale ambito sarà opportuno chiarire le modalità di collaborazione istituzionale tra Stato, regioni e autonomie locali tenendo presente che Comuni e Province sono spesso più efficienti di altri soggetti istituzionali nelle spese per investimenti pubblici, e comunque il loro apporto è inevitabile per gli interventi di rango «locale» che ricadono nel loro ambito operativo. Per incidere con efficacia sugli squilibri economici e sociali del nostro

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Paese andrebbero assicurati il costante coinvolgimento delle autonomie territoriali nelle varie fasi procedurali individuate e nella destinazione degli stanziamenti speciali, al fine anche di responsabilizzare appieno tali enti sugli interventi da effettuare. Una soluzione che, ponendo tutti gli attori coinvolti sullo stesso piano, consentirebbe anche di evidenziare le responsabilità di ciascuno;
preso atto che:
lo schema di decreto in esame contiene alcune innovazioni che, tuttavia, necessitano di essere rafforzate e precisate. L'intento di apprestare un più efficace apparato sanzionatorio va esteso a tutti i soggetti attuatori, compresi quelli centrali quali le amministrazioni statali ed i concessionari nazionali. Lo stesso «Contratto istituzionale di sviluppo» deve essere accolto favorevolmente, ma al contempo ne vanno definiti i contenuti con maggiore dettaglio: per ciascun singolo impegno del Contratto devono essere chiari il crono programma, la valutazione, la responsabilità attuativa, i criteri di monitoraggio. Inoltre, deve essere chiaro che l'introduzione di elementi di condizionalità ha la funzione esclusiva di garantire l'efficacia e la rapida procedibilità degli interventi, e non possono riguardare obbiettivi di diversa natura non direttamente legati all'intervento previsto. Infine va garantita la piena tracciabilità contabile delle risorse trasferite ai soggetti attuatori ai fini dell'applicazione alla fonte» ma non «a valle» del patto di stabilità interno;
allo stato degli atti, pur a fronte delle osservazioni formulate da più parti, non si ravvisano concrete modifiche volte al miglioramento dell'impianto complessivo dello schema di decreto legislativo all'esame della Commissione;
alla luce delle osservazioni formulate, si ritiene opportuno avviare una fase di valutazione utile non solo a chiarire il complesso dei problemi evidenziati, sia sotto il profilo tecnico che politico, ma ad apportare ampie modifiche condivise allo schema di decreto legislativo al fine di riportare al centro della riflessione, e conseguentemente del testo, il tema di come assicurare un'effettiva attuazione degli interventi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione e le modalità di finanziamento dei medesimi interventi, fondata sui principi già chiaramente esplicitati nell'articolo 16 della legge n. 42 del 2009.

Tutto ciò premesso

ESPRIME PARERE CONTRARIO

e formula, comunque, la seguente proposta volta all'individuazione di una posizione più adeguata alla completezza e alla profondità dei contenuti del testo in esame:
Dopo l'articolo 1, inserire il seguente:

«Art. 1-bis. - 1. Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi e delle finalità di cui all'articolo 1, le risorse destinate alla promozione dello sviluppo economico, alla coesione sociale e territoriale, alla rimozione degli equilibri economici e sociali del Paese, all'effettivo esercizio dei diritti della persona, nonché per l'individuazione e l'effettuazione di interventi speciali, devono essere aggiuntive rispetto agli ordinari stanziamenti di bilancio. A tal fine, la definizione dell'ammontare delle risorse di natura aggiuntiva sono fissate, su base pluriennale e con adeguamento annuale, nell'ambito del documento di economia e finanza.
2. Per gli interventi speciali aventi ad oggetto funzioni ordinariamente affidate agli enti territoriali, l'aggiuntività delle risorse di cui al comma 1 non può essere limitata alla spesa in conto capitale per investimenti qualora gli interventi abbiano ad oggetto l'effettivo esercizio dei diritti delle persone, il miglioramento del livello delle prestazioni e della qualità dei servizi pubblici. Le risorse in conto capitale relative agli interventi speciali possono essere utilizzate anche per il finanziamento di piani di investimento collegati a percorsi di convergenza definiti dalle procedure

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ordinarie, nel rispetto del vincolo che tali risorse siano utilizzate esclusivamente per consentire il raggiungimento di obiettivi più elevati, per dati periodi temporali, di quelli fissati dalla perequazione ordinaria.
3. La dotazione delle risorse da assegnare al Fondo di cui all'articolo 4, destinata agli interventi per la programmazione pluriennale successiva al 2013, non può essere inferiore a quella inizialmente prevista per il periodo 2007-2013 e comunque non inferiore, in ragione di anno, allo 0,6 per cento del PIL.
4. Il Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4, per la parte non destinata al cofinanziamento dei fondi comunitari in senso stretto, destina almeno una quota del 30 per cento delle proprie risorse ad un fondo di riserva da programmare in relazione agli obiettivi di convergenza dei fabbisogni standard. La restante parte delle risorse è destinata alla programmazione pluriennale, tenendo conto delle priorità individuate dall'Unione europea.
5. Al fine di garantire la piena realizzazione degli obiettivi e delle finalità di cui all'articolo 1, nelle varie fasi procedurali riguardanti l'attuazione del presente decreto legislativo, ivi comprese le decisioni assunte in ambito CIPE, è garantita una costante concertazione con le autonomie territoriali, con riguardo all'individuazione degli obiettivi, delle priorità e dei progetti a cui destinare le risorse, al monitoraggio sulle modalità di adempimento e di investimento delle risorse assegnate».

Il tutto, con l'auspicio del relatore che nelle prossime ore possa manifestarsi, proprio per l'importanza del decreto che dovrebbe sancire l'equilibrio tra i pilastri del federalismo fiscale, una convergenza ed uno spirito costruttivo e di apertura verso le argomentazioni sollevate dai gruppi di opposizione.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).

DOCUMENTO PRESENTATO DAL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Un decreto per il Sud?

Il decreto di riforma delle politiche territoriali di sviluppo e di coesione, incardinato nella forma di decreto attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, viene venduto dalla macchina propagandistica del Governo come il versante meridionalista dell'attuazione della legge n. 42. Non a caso accanto al Ministro Calderoli, titolare dell'iniziativa governativa in materia di attuazione del federalismo, è sceso in campo il Ministro Fitto, con una opportunistica divisione del lavoro che cerca di far dimenticare come il Governo Berlusconi-Lega, a partire dal 2008, sia stato di gran lunga il più antimeridionalista che la storia repubblicana d'Italia ricordi.
Lo schema di decreto, purtroppo, non è in grado di ribaltare questo giudizio. Non si tratta solo di assenza di garanzie sulle risorse finanziarie, anche se questo punto non è secondario, considerato che il Governo in carica ha tagliato le risorse stanziate nel 2007 dal Governo Prodi destinate agli interventi di riequilibrio territoriale di quasi 20 miliardi in termini di competenza e di ben 38,5 miliardi tenendo conto anche delle rimodulazioni e delle modifiche allocative, sui 64 miliardi originariamente disponibili.
Si tratta anche, e soprattutto, di una proposta molto modesta sul piano dell'innovazione, di cui ha tanto bisogno questo settore alla luce delle difficoltà attuative riscontrate in passato e di una proposta separata, perfino nel linguaggio oltre che nelle categorie normative, dal resto dei decreti collegati alla legge n. 42.
Insomma, la divisione del lavoro e della comunicazione politica fra i Ministri Calderoli e Fitto ha generato una proposta di decreto che non si riallaccia in modo organico con la legge delega e con le potenziali innovazioni in esse contenute, in particolare sul versante del raccordo fra interventi ordinari e interventi speciali connessi ai processi di perequazione di tipo infrastrutturale. Con il rischio che, per effetto di questo decreto, non emerga una vera politica per il Sud, ma piuttosto un'ulteriore grave ghettizzazione degli interventi di riequilibrio territoriale all'interno delle politiche pubbliche italiane.
Il Partito Democratico esprime quindi un giudizio fortemente critico e avanza una serie di proposte mirate a una profonda riscrittura dello schema di decreto che il Governo ha inviato al Parlamento.

Nord e Sud: un destino comune

Alla base del nostro giudizio critico sta innanzitutto un'analisi dei divari territoriali di sviluppo in Italia e dei loro recenti andamenti totalmente diversa da quella che il Governo ha fatto propria, e che è emersa reiteratamente, sia in occasione della presentazione del cosiddetto «Piano Sud», sia nei Documenti di programmazione economica, come anche il recente Documento di Economia e Finanza e il Piano Nazionale di Riforme ivi contenuto.

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È da rigettare, perché errato anche nei fondamenti economici, un approccio che contrappone le esigenze del sistema produttivo delle aree più sviluppate del Nord con le necessità di sviluppo delle regioni meridionali: è l'approccio del Governo, in cui si ipotizza l'esistenza di due sistemi economici distinti - quello del Nord, che funziona e ha bisogno solo di aggiustamenti e quello del Sud, completamente da ridefinire. In realtà gli andamenti dell'ultimo decennio hanno dimostrato come la dipendenza dagli scenari internazionali ed europei, quella dalle scelte nazionali e le interrelazioni economiche tra le due aree sono così profonde da condizionare i risultati di tutti i territori da cui l'Italia è composta.
L'analisi delle dinamiche economiche dell'ultimo decennio mostra, infatti, accanto ad una interruzione del processo di convergenza tra Sud e Nord del paese, un declino dell'intero sistema economico nazionale rispetto alla media dei paesi dell'Unione europei. Nella tabella allegata si riporta la dinamica del PIL per abitante delle ripartizioni italiane rispetto alla media europea nell'ultimo decennio. Si evidenzia chiaramente come tutte le aree del paese mostrino una perdita relativa; un arretramento che ha riguardato con particolare intensità le regioni del Nord del Paese che, pur mantenendosi significativamente al di sopra del livello medio europeo, hanno ceduto nel decennio oltre 10 punti percentuali.

Tab. 1 - Pil per abitante delle Ripartizioni italiane: Media UE 27 = 100

1998 2000 2001 2005 2006 2007
Nord-Ovest140,0136,0137,0133,0130,0127,0
Nord-est137,0135,0135,0129,0128,0125,0
Centro124,0121,0122,0122,0119,0116,0
Meridione74,072,073,072,071,069,0
Isole75,072,074,073,072,070,0
Italia113,0110,0111,0109,0107,0104,0

Nord, Centro e Sud d'Italia hanno insomma un destino comune: crescono insieme o insieme declinano, ed è sbagliato dal punto di vista analitico, prima ancora che da quello politico, pensare a strategie divaricate fra le diverse macro-aree territoriali. L'integrazione del sistema paese e l'interdipendenza fra le diverse aree territoriali fanno ampiamente premio sui fenomeni e sulle tendenze centrifughe. Basti soltanto ricordare che ogni anno le esportazioni nette del Centro-Nord verso il Sud superano 80 miliardi di euro (una cifra di gran lunga maggiore a quella del residuo fiscale che il Centro-Nord vanta al riguardo del Sud), un dato addirittura superiore, in rapporto al PIL, a quello precedente all'integrazione economica e monetaria d'Europa.
Dunque è l'intero Paese che necessita di strategie in grado di invertire il declino e rilanciare lo sviluppo. Una politica che miri a sostenere e rafforzare l'esistente è del tutto insufficiente. Occorre procedere a sostanziali modifiche del modello di specializzazione, con un recupero anche della questione dimensionale, come del resto stanno facendo altre economie in vista della ripresa. Qui deve tornare in gioco, da protagonista attivo, il Mezzogiorno.

Fallimento delle politiche di sviluppo territoriale? Sgombrare il campo dalle ipocrisie

Per giustificare i tagli ai fondi destinati allo sviluppo e alla coesione territoriale il Governo utilizza l'argomento che queste politiche stiano funzionando poco e male,

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e che necessitino di una rivisitazione e di una messa a punto. Si tratta di una questione importante, su cui è necessaria una vera riflessione politica, che esca dalla semplice propaganda. Se davvero si volesse fare di questo decreto un momento di passaggio e di vera riforma, sarebbe per prima cosa necessario sgombrare il campo della discussione pubblica da diverse ipocrisie.
È vero infatti che le percentuali di impegno e di spesa sul primo quadriennio dei piani 2007-2013 relativi ai programmi comunitari sono molto basse. Ma lo sono sensibilmente di più di quanto avvenuto nel ciclo precedente di programmazione, il 2000-2006. Rendendo comparabili i dati 2000-2006 con quelli 2007-2013 (per tenere conto delle diverse posizioni assunte da Molise e Sardegna) l'avanzamento sugli impegni al dicembre del 2003 (e cioè alla fine del quarto anno del periodo di programmazione) è stato pari al 46,8 per cento, contro un dato del 18,9 per cento al dicembre del 2010. Per quanto riguarda i pagamenti, si passa dal 21,6 per cento al 10,1 per cento.
Da questi dati emerge il grande problema dell'incapacità realizzativa. Ma emerge anche che l'incapacità realizzativa non è uniforme nel tempo, come se fosse una legge bronzea della storia, ma sta invece notevolmente peggiorando. Peggiora soprattutto nell'ultimo triennio, dominato dalle politiche antimeridionaliste del Governo Berlusconi, periodo in cui è certamente mancato un indirizzo prioritario sull'attuazione di quei piani, non sono stati attivati i programmi basati sull'intervento nazionale del FAS, mentre i vincoli del patto di stabilità interno inserivano nuovi colli di bottiglia per le amministrazioni beneficiarie dei fondi.
L'incapacità realizzativa è stata ampiamente usata come arma contro le Regioni e gli altri enti decentrati. Dimenticando, però, che le cifre di impegno e di spesa dei programmi a gestione centrale (Ministeri, Anas, Ferrovie, ecc.) non sono affatto migliori (con la lodevole eccezione dei programmi gestiti dal Ministero dell'Istruzione). Ciò non basta, ovviamente, ad assolvere le Regioni e gli enti locali dalle loro mancanze, ma ci dice che l'incapacità realizzativa coinvolge pienamente anche lo Stato e, soprattutto, i suoi concessionari nazionali di servizi pubblici. Ed ha quindi a che fare con elementi (regole inefficienti, normative farraginose, programmazioni deboli, difficoltà di progettazione, procedimenti di selezione dei progetti poco efficaci, ecc.) comuni a tutti i livelli della Repubblica.
Non è questa la sede per indagare i motivi che hanno reso (relativamente) più efficace il periodo di programmazione 2000-2006 al confronto con quello successivo. Tuttavia, si tratta di un'indagine che andrà fatta, traendone senza remore le conclusioni. Ad esempio, potrebbe essere stato un errore scorporare le funzioni di programmazione e di coordinamento delle politiche di sviluppo territoriale dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, dove nacquero nel 1998 con Ciampi, ed accorparle al Ministero dello Sviluppo economico. Si tratta infatti di funzioni meglio esercitate da un Ministro un po' più «primus inter pares» degli altri. Anche la nuova soluzione di un Ministro delegato dal Presidente del Consiglio, i cui uffici peraltro restano in forza al Ministero dello Sviluppo economico, non appare convincente.

Interventi speciali, federalismo fiscale, Mezzogiorno

Il decreto è il primo, in attuazione della legge n. 42, ad affrontare il tema della spesa in conto capitale, e in particolare degli investimenti in infrastrutture. Emergono così, fin dall'inizio, due difetti.
Primo, il decreto non si intreccia in modo organico con la legge delega, e anche sul piano lessicale e del linguaggio utilizzato è collegato più alla storia passata e presente delle politiche di sviluppo e di coesione territoriali che alla nuova «sintassi» del federalismo fiscale (ad esempio: quale relazione fra perequazione infrastrutturale, fabbisogni standard e livelli essenziali delle prestazioni?).

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Secondo, il decreto arriva dentro un vero e proprio vuoto pneumatico, perché l'attuazione della legge n. 42 non si è finora misurata con le spese in conto capitale (ad esempio: come si trasformano gli attuali trasferimenti ordinari in conto capitale? Come si trattano le fonti di entrata tipiche degli investimenti pubblici locali, come il ricorso al debito o i proventi straordinari?).
D'altra parte, le politiche per lo sviluppo e la coesione delle aree sottoutilizzate e per la rimozione degli squilibri strutturali non esauriscono la gamma degli «interventi speciali» previsti dalla Costituzione e dall'articolo 16 della legge n. 42. E la struttura (lessicale e finanziaria) della legge n. 42 si applica a tutto il Paese, e non alle sole aree in ritardo di sviluppo.
Potrebbe allora nascere la tentazione di «annegare» le politiche per lo sviluppo territoriale nel mare più ampio degli «interventi speciali» e di considerare l'operazione della perequazione infrastrutturale alla stregua di un «intervento speciale» senza particolari vincoli territoriali. Si tratterebbe di un gravissimo e inaccettabile errore, perché le politiche territoriali di sviluppo e di coesione devono restare comunque la parte principale degli «interventi speciali» e devono continuare ad avere una logica legata all'obiettivo del superamento delle condizioni di dualismo strutturale del sistema Italia, come peraltro riconosce la stessa legge n. 42, grazie a una proposta di emendamento presentata dal PD e approvata dal Parlamento.
Le proposte che il PD avanza servono proprio a superare questi difetti. Da un lato, riteniamo necessario innovare le politiche di sviluppo territoriale, imparando dagli errori del passato, e anche proponendo interventi più radicali di quelli, abbastanza modesti, proposti dal Governo. Dall'altro lato, riteniamo necessario incardinare in modo organico le nuove politiche di sviluppo territoriale nella intelaiatura riformata della finanza pubblica multilivello che l'attuazione della legge n. 42 ha cominciato a costruire.

Perequazione infrastrutturale

La prima critica va rivolta al decreto interministeriale sulla perequazione infrastrutturale del 26 novembre 2010. L'articolo 22 della legge n. 42 prevede una fase di ricognizione «in sede di prima applicazione» delle dotazioni infrastrutturali territoriali, ma sarebbe bene che il decreto di riforma si occupasse anche della fase di «regime», su cui invece il testo del Governo è silenzioso.
Il decreto «di prima applicazione» varato dal Governo introduce una metodologia di calcolo legata a parametri fisici di offerta e scollegata dall'»architrave» di riferimento del federalismo fiscale, e cioè i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Anche in assenza di LEP, sarebbe utile introdurre il riferimento agli obiettivi e/o ai livelli di servizio, che sono presenti sia nel decreto sui fabbisogni standard di Comuni e Province sia in quello sulle Regioni. In altri termini, deve essere chiarito che gli «standard» a cui fa riferimento il decreto interministeriale non sono cosa diversa dagli standard introdotti negli altri decreti di attuazione della legge n. 42.
L'indagine sulle dotazioni infrastrutturali territoriali deve essere estesa sia ai tradizionali settori dei «servizi essenziali» (sanità, assistenza, istruzione) sia ai servizi pubblici locali cui sono collegati importanti funzioni fondamentali di Comuni e Province (servizio idrico, ciclo dei rifiuti, trasporto pubblico locale e regionale, viabilità, illuminazione pubblica). Occorre considerare non solo indicatori di offerta, ma anche di domanda.

Interventi ordinari e interventi speciali: come ridefinire l'«aggiuntività» dentro la grammatica della legge n. 42

Il rapporto fra «ordinario» e «straordinario», ovvero fra «ordinario» e «aggiuntivo», è da sempre uno dei punti critici delle politiche nazionali e comunitarie destinate ai territori sottoutilizzati.

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Visto che ancora non c'è stata attuazione della legge n. 42 sul versante degli investimenti ordinari, la versione del decreto proposta dal Governo è molto insoddisfacente e pericolosa, potendo avere come effetto quello di scaricare sui fondi degli interventi speciali esigenze che dovrebbero trovare risposta nel ciclo finanziario ordinario. È necessario quindi chiarire il rapporto fra interventi ordinari e interventi speciali.
Non c'è dubbio che nei settori coperti da LEP debba esistere un legame fra convergenza ai fabbisogni standard e perequazione infrastrutturale «ordinaria». In settori come sanità, istruzione, asili nido, assistenza, acqua, rifiuti, viabilità, trasporto su ferro, ecc. dovranno essere definiti appositi piani pluriennali di investimento con precisi obiettivi da raggiungere nelle diverse aree territoriali. In ciascuno di questi piani si dovranno stabilire obiettivi di investimento propedeutici al raggiungimento, a seconda dei casi, di obiettivi di efficienza (costi standard) e/o di obiettivi di miglioramento del livello e della qualità dei servizi.
Nel ciclo ordinario di decisione della finanza pubblica (DEF, legge di stabilità e provvedimenti collegati) si dovrà, nel corso del tempo, stabilire ciò che è raggiungibile, per dati periodi temporali, tramite i meccanismi ordinari di perequazione, presidiati dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. E va fortemente stigmatizzata l'assenza di questi elementi nel Documento di Economia e Finanza che il Governo ha fatto approvare alla sua maggioranza nell'ambito della prima applicazione delle nuove procedure europee di bilancio.
Occorre a questo punto evitare due opposti estremismi. Il primo sarebbe di mettere a carico della finanza ordinaria l'obiettivo dell'integrale perequazione nei territori più svantaggiati. Viste le difficoltà della finanza ordinaria, i tempi della convergenza risulterebbero lunghissimi, mentre dall'altro lato le risorse «speciali» dovrebbero cercare allocazioni non più collegate ai LEP, rischiando così di non cogliere alcune priorità fondamentali per lo sviluppo e la coesione territoriale. All'opposto di questo, va evitata l'idea che i fondi destinati agli interventi speciali di perequazione infrastrutturale non debbano più considerare la specificità delle aree territoriali più svantaggiate.
Una posizione equilibrata è di ammettere il concorso dell'intervento «speciale» al finanziamento dei piani di investimento collegati ai percorsi di convergenza definiti dalle procedure ordinarie, con il vincolo che le risorse aggiuntive debbano essere utilizzate per permettere il raggiungimento di obiettivi più elevati, per dati periodi temporali, di quelli fissati dalla perequazione ordinaria.
Questa proposta fornisce una traduzione operativa al principio proposto dalla Banca d'Italia nel corso della sua audizione in Parlamento, e cioè di dare priorità, nei «nuovi» interventi speciali per la rimozione degli squilibri territoriali, a obiettivi di riduzione del divario fra infrastrutture disponibili e quelle necessarie ad assicurare un'adeguata qualità dei servizi pubblici.

Dal FAS al Fondo per lo sviluppo e la coesione

Il Governo propone di sostituire il FAS con un nuovo Fondo per lo sviluppo e la coesione. Ma non inserisce nel decreto due elementi fondamentali:
a) non è chiaro se il nuovo Fondo andrà collegato esclusivamente alla programmazione delle risorse successive al 2013 ovvero anche alla riprogrammazione delle risorse 2007-2013, che sarà certamente ancora fungibile dopo il 2013;
b) nulla è detto sulla dotazione del nuovo Fondo e sui parametri quantitativi a cui ancorarla, posto che il FAS ha subito decurtazioni (per competenza) di circa 20 miliardi fra 2008 e 2010 sui 64,4 originariamente stanziati dalla Legge Finanziaria 2007;

È vero che i parametri quantitativi inseriti per legge nel passato non hanno quasi mai funzionato (se non nei primissimi

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anni dalla loro istituzione, nel 2000-2001), ma è altrettanto vero che sul piano politico si tratta di un impegno di grande importanza, irrinunciabile per il PD, che propone una forchetta variabile fra lo 0,6 e lo 0,4 per cento del PIL in ragione d'anno, a seconda che si debba quantificare lo stanziamento di competenza o il consuntivo di cassa. Va inoltre garantita la stabilità della dimensione finanziaria del Fondo lungo il ciclo, innanzitutto prevedendo che le risorse non possano essere facilmente rimodulate.
Inoltre:
a) per i documenti programmatici di rilievo comunitario va ripristinata l'intesa con le Regioni, oltre che il principio del partenariato sociale, obbligatorio per i regolamenti comunitari;
b) il Documento di indirizzo strategico (articolo 5, comma 3), che riassume gli elementi fondamentali della programmazione che ha origine da indirizzi sia comunitari che nazionali, dovrebbe avere una maggiore importanza politica, ad esempio attraverso un parere delle competenti Commissioni parlamentari;
c) va garantita la piena tracciabilità contabile delle risorse trasferite ai soggetti attuatori ai fini dell'applicazione «alla fonte» ma non «a valle» del patto di stabilità interno.

Lo schema di decreto contiene alcune innovazioni, che vanno però rafforzate e precisate:
a) va bene un nuovo e più efficace apparato sanzionatorio, ma esso va esteso a tutti i soggetti attuatori, compresi quelli centrali (amministrazioni statali, concessionari nazionali);
b) va bene il «Contratto istituzionale di sviluppo», ma ne vanno definiti i contenuti con maggiore dettaglio (per ciascun singolo impegno del Contratto devono essere chiari il crono programma, la valutazione, la responsabilità attuativa, i criteri di monitoraggio, le sanzioni per eventuali inadempienze, ecc.);
c) va bene l'introduzione di elementi di condizionalità, ma deve essere chiaro che la funzione di questo nuovo principio è di garantire l'efficacia e la rapida procedibilità degli interventi, e quindi a questo ci si deve riferire e non ad altro (ad esempio, si può condizionare un intervento sul trasporto all'esistenza di un piano regionale per i trasporti, ma non al raggiungimento di obiettivi finanziari nel campo della spesa sanitaria).

Programmazione comunitaria e programmazione nazionale

Uno degli insegnamenti del passato è che la piena coerenza temporale fra programmazione comunitaria e programmazione nazionale, pur essendo un obiettivo teoricamente ragionevole, ha finito per penalizzare la seconda. Infatti non è tecnicamente possibile impostare davvero una programmazione formalmente unica, poiché i vari fondi mantengono le proprie diverse strumentazioni attuative. È stato anche per il dilatarsi delle tempistiche programmatorie sul FAS 2007-2013 che si è avuto buon gioco a sottrarre ad esso le risorse originariamente allocate.
Inoltre, fino ad oggi il modello di programmazione comunitaria tende a procedere dall'alto verso il basso e presenta di fatto caratteristiche al tempo stesso molto generiche e molto rigide. L'Unione Europea limita gli aspetti programmatici alle tipologie e ai settori d'intervento, ed è flessibile sulla scelta dei progetti da inserire nei diversi contenitori settoriali. Ciò ha indotto in passato pratiche di selezione progettuale non sempre ottimali, pur di dimostrare la capacità di spesa nei settori predeterminati. Inoltre, e probabilmente sempre più in futuro, la programmazione comunitaria dovrà rispondere a obiettivi e priorità europee, e questi si concentreranno su pochi settori strategici d'intervento.
Il Fondo per lo sviluppo e la coesione dovrebbe invece potersi muovere anche su obiettivi propriamente nazionali e con logiche che privilegino l'individuazione puntuale

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delle iniziative fin dalla fase programmatoria, definendo tempestivamente l'effettiva fattibilità dei progetti e la necessità del coinvolgimento degli attori (nazionali o locali) di volta in volta più adatti. Se, pertanto, la programmazione del Fondo deve avere insieme caratteristiche molto puntuali e un respiro programmatorio almeno di medio termine, noi pensiamo che sia bene accettare la sfida con una necessaria dose di realismo.
La proposta è di mantenere il principio della programmazione pluriennale per cicli temporali medio-lunghi in armonia con quanto previsto per la programmazione europea, ma di destinare il 30 per cento delle risorse del Fondo a una riserva da programmare lungo il ciclo in relazione agli obiettivi di convergenza agli standard definiti dalla perequazione infrastrutturale, lasciando la maggior quota restante, il 70 per cento, nel quadro di una programmazione pluriennale più generale, come quella connessa alle procedure comunitarie.

Governance

Gli interventi proposti dal Governo per riformare la governance appaiono deboli, e si riducono in sostanza a una parziale centralizzazione delle procedure di programmazione. Poiché l'analisi degli insuccessi degli ultimi anni ha molto a che fare con la governance, si dovrebbe essere più incisivi. Queste le nostre proposte:
a) rafforzare e dare ruoli di terzietà al Dipartimento per le politiche di sviluppo, che dovrebbe essere messo in condizione di esprimere un vero potenziale di coordinamento, in particolare per la valutazione della condizionalità e della premialità;
b) sviluppare nuove forme di affiancamento e di assistenza tramite veri e propri apparati tecnici «federali» (»agenzie»), costituiti in partenariato fra Stato e Regioni, che valorizzino i bacini di competenze esistenti nelle strutture ordinarie;
c) dare un ruolo più ampio agli enti pubblici territoriali in fase di programmazione e di attuazione;
d) riconoscere in sede di Conferenza delle Regioni appropriate forme di coordinamento e di condivisione che coinvolgano l'insieme delle Regioni del Mezzogiorno;
e) prevedere adeguate innovazioni per attivare il partenariato sociale nel ciclo di decisione e di attuazione sia della programmazione comunitaria che di quella nazionale.

Per quanto riguarda il punto c), Comuni e Province sono più efficienti delle Regioni nelle spese per investimenti pubblici, e comunque il loro apporto è inevitabile per gli interventi che ricadono nel loro ambito operativo. Naturalmente, si parla qui di progetti che hanno rango «locale», e non sovraregionale o nazionale. Ma se l'obiettivo è quello di migliorare la qualità e gli standard dei servizi pubblici, non si tratta certo di un'area residuale.