CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 28 aprile 2011
473.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO
Pag. 88

ALLEGATO 1

5-01296 Cenni: Iniziative per la sospensione delle tariffe stabilite dal D.Lgs. n. 194 del 2008 sulla disciplina delle modalità di rifinanziamento dei controlli sanitari sugli alimenti.

TESTO DELLA RISPOSTA

Il decreto legislativo 19 novembre 2008, n. 194, relativo alla disciplina delle modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali è stato adottato in attuazione del Regolamento (CE) 882/2004, che rappresenta l'ultimo passaggio del cosiddetto «pacchetto igiene», ovvero di una serie di Regolamenti Comunitari (78/2002 - 852/2004 - 853/2004 - 854/2004 - direttiva 2004/41), tesi a riordinare e rendere maggiormente efficace la disciplina comunitaria in tema di sicurezza alimentare. Tali Regolamenti comunitari si applicano a tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti e dei mangimi.
Il regolamento CE n. 882/2004 rappresenta una sorta di «normativa quadro» in materia di controlli ufficiali sugli alimenti, i mangimi, la sanità ed il benessere animale, in quanto definisce i criteri, le modalità e gli strumenti di esecuzione di questi ultimi, nonché individua gli obiettivi da perseguire e le modalità di finanziamento.
Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, della citata norma comunitaria, detti controlli ufficiali sono finalizzati a prevenire, eliminare o ridurre i rischi per gli esseri umani e gli animali, in ogni fase del ciclo produttivo. È chiaro quindi che l'attività agricola finalizzata alla produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti primari rientra a tutti gli effetti nell'ambito di applicazione delle suddette norme in materia di igiene degli alimenti e di sicurezza alimentare e deve, pertanto, essere sottoposta ai controlli ufficiali stabiliti dal Regolamento (CE) 882/2004.
L'unica deroga all'applicazione del Regolamento 882/2004, riguarda la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari al consumatore finale o ai dettaglianti e non riguarda, quindi, in nessun modo l'attività di produzione primaria né le attività attinenti la macellazione di capi di bestiame destinati all'alimentazione.
Tale deroga è presente in tutte le norme di livello comunitario del pacchetto igiene alimentare (Regolamenti (CE) 178/2002, 852/2004, 853/2004, 854/2004).
Con particolare riferimento a quanto chiesto con l'atto parlamentare in oggetto, si sottolinea che il decreto legislativo n. 194/2008, emanato in attuazione dell'articolo 26 del Regolamento (CE) 882/2004, stabilisce che le tariffe per i controlli sanitari ufficiali, relativi a tutte le fattispecie rientranti nell'ambito di applicazione del medesimo Regolamento comunitario, siano poste a carico degli operatori dei settori interessati.
Il citato articolo 26 stabilisce, infatti, che per i controlli ufficiali «gli Stati membri garantiscano... che siano resi disponibili adeguati finanziamenti con ogni mezzo ritenuto appropriato, anche mediante imposizione fiscale generale o stabilendo diritti o tasse».
Al riguardo si evidenzia, inoltre, che la scelta di approntare un sistema di finanziamento dei controlli ufficiali basato sull'imposizione di tariffe poste a carico degli operatori, piuttosto che afferente a fondi pubblici, è stata adottata su precisa indicazione del Ministero dell'economia e delle finanze, competente per materia, sulla base di valutazioni attinenti a questioni di

Pag. 89

contabilità pubblica e di partecipazione degli operatori agli obiettivi di sicurezza dei prodotti.
Si precisa, poi, che a livello comunitario è stato attivato un «working group» finalizzato ad una revisione del Regolamento (CE) 882/2008, per una maggiore armonizzazione nell'attuazione delle disposizioni in esso contenute, anche con riferimento alla problematica inerente il finanziamento dei controlli ufficiali, in attuazione degli articoli 26-29, sulla base delle difficoltà riscontrate da vari Paesi nella copertura dei costi sostenuti per i controlli ufficiali, anche qualora sia prevista la partecipazione parziale o totale degli operatori al finanziamento degli stessi.
Da un documento elaborato dalla DGSANCO (Directorate - General for Health and Consumer Protection) a seguito di lavori preparatori finalizzati alla suddetta revisione, e proprio con riguardo alle modalità di finanziamento, risulta che, attualmente, 18 Stati membri non riescono a coprire i costi dei controlli ufficiali, mentre 6 riescono a coprirli solo in alcuni settori. La prospettiva è quella di rivedere il sistema attualmente previsto attraverso varie ipotesi, tra cui quella di ampliare il novero delle attività per le quali prevedere l'imposizione di tasse o tariffe per sostenere i costi dei controlli ufficiali. Pertanto l'Italia non è l'unico Paese europeo che ha provveduto a recepire le indicazioni del citato regolamento, e non è neanche il solo a riscontrare difficoltà nel finanziamento dei controlli ufficiali, nonostante l'imposizione di tasse e tariffe attualmente quantificate nelle modalità e con il sistema previsto nel decreto legislativo n. 194 del 2008, comunque, si ripete, coerente con le previsioni comunitarie.
Infatti, l'attuale formulazione del decreto legislativo 194/2008, con specifico riguardo alla quantificazione e definizione delle tasse e tariffe finalizzate al finanziamento dell'attività di controllo ufficiale, è già in linea con i principi fissati dall'articolo 27, comma 5, del citato Regolamento (CE) 882/2004.
L'articolo 3 del predetto decreto legislativo, al comma 4, dispone «Ai fini delle operazioni di calcolo degli importi di cui al comma 1 si applicano i paragrafi 5 e 6 dell'articolo 27 del Regolamento (CE) n. 882/2004, sempre che sia comunque garantita la copertura del costo effettivo del servizio».
L'ammontare delle tariffe previste negli allegati al decreto legislativo 194/2008 è, infatti, definito in proporzione alla capacità produttiva dell'azienda.
Per quanto riguarda l'allegato A «Tariffe riscosse per i controlli sanitari ufficiali effettuati negli stabilimenti nazionali ai sensi del Regolamento (CE) 882/04» tutte le tariffe sono determinate in base alla capacità ed attività dell'azienda operante nel settore alimentare, in ossequio al principio sancito dall'articolo 27, comma 3 del Regolamento, in base al quale «... le tasse riscosse per... le attività specifiche di cui agli allegati IV sezione A) e V sezione A) non sono inferiori agli importi minimi specificati nell'allegato IV sezione B) e nell'allegato V sezione B...».
Nello specifico, per i controlli sugli stabilimenti di macellazione, gli importi dovuti sono calcolati in tot euro per capo macellato sulla base di fasce produttive individuate grazie al numero di capi macellati nell'anno. Per ogni fascia c'è poi la possibilità di applicare importi ridotti rispetto a quelli minimi stabiliti dal Regolamento (CE) 882/2004, qualora gli stabilimenti siano dotati di efficaci sistemi di autocontrollo e di rintracciabilità, classificati con una valutazione del livello del rischio medio basso, con un elevato livello di conformità riscontrato durante i controlli ufficiali. E comunque le tariffe così individuate, anche applicando gli importi ridotti, non possono superare il costo orario del servizio.
Con riferimento poi alla richiesta di revisione delle tariffe per agevolare i macelli a limitata capacità, si precisa che in realtà tale categoria differenziata non esiste più. A seguito dell'entrata in vigore del Regolamento (CE) 853/2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, tutti gli

Pag. 90

stabilimenti di macellazione e, pertanto, anche quelli a capacità limitata previsti dall'articolo 5 del decreto legislativo 286/1994 (emanato in attuazione delle Direttive 91/497/CEE e 91/498/CEE), devono necessariamente essere riconosciuti ai sensi dell'articolo 4 dello stesso Regolamento, secondo le procedure descritte all'articolo 3 del Regolamento (CE) 854/2004.
Al fine di consentire l'adeguamento dei macelli, già esistenti e riconosciuti ai sensi del decreto legislativo 286/94, alle prescrizioni previste dalla nuova normativa comunitaria, è stato emanato il Regolamento (CE) 2076/2005 che fissa disposizioni transitorie per l'attuazione dei regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio CE n. 853/2004, n. 854/2004 e 882/2004 e che modifica i regolamenti CE n. 853/2004 e n. 854/2004.
Il Regolamento 2076/2005 ha fissato un periodo transitorio di quattro anni, con scadenza 31 dicembre 2009, durante il quale gli operatori del settore che fossero stati autorizzati ad immettere i loro prodotti sul mercato nazionale prima del 1o gennaio 2006 (data in cui sono divenuti operativi su tutto il territorio nazionale i regolamenti comunitari costituenti il «pacchetto igiene» tra cui anche l'853/2004), erano autorizzati a continuare la stessa attività, all'ottenimento del riconoscimento a pieno titolo, purché i prodotti commercializzati fossero contrassegnati con un apposito marchio nazionale, tale da non essere confuso con il marchio CE.
I macelli a limitata capacità hanno potuto, dunque, continuare ad operare sul mercato nazionale, utilizzando per i loro prodotti un bollo rettangolare, riportante il numero progressivo regionale assegnato con l'indicazione della Regione e della ASL di riferimento. Ciò fino alla data del 31 dicembre 2009, data alla quale, ove gli stessi non avessero ottenuto il riconoscimento CE, avrebbero subìto il ritiro del relativo numero di registrazione regionale provvisorio e, di conseguenza, avrebbero dovuto cessare ogni attività, sulla base delle linee guida applicative del Regolamento in questione, oggetto dell'Accordo Stato-regioni del 17 dicembre 2009.
Le indicazioni operative al riguardo sono state fornite con nota circolare della Direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione, datata 10 luglio 2008, avente ad oggetto «Indicazioni relative ai requisiti minimi per il rilascio del riconoscimento ai sensi del Regolamento CE 853/2004 agli stabilimenti di macellazione e di sezionamento a ridotta capacità produttiva».
Analogamente anche per i controlli sugli impianti di sezionamento, sulla selvaggina cacciata, sul latte crudo e sui prodotti della pesca e dell'acquicoltura (sezione 3, 4, 5 dell'allegato A), il decreto legislativo 194/2008 prevede che le tariffe siano riferite al numero dei capi o alle quantità di prodotto sul quale si svolge il controllo.
Anche con riferimento alla sezione 6, che riguarda più da vicino le attività inerenti al settore agro-alimentare, le tariffe prescritte sono calcolate su base annua, differenziate secondo una categorizzazione, calcolata in base all'entità produttiva degli stabilimenti e per fasce produttive (intese in rapporto al prodotto finito e/o alla commercializzazione), nel pieno rispetto di quanto sancito dalla normativa comunitaria di riferimento.

Pag. 91

ALLEGATO 2

5-04213 Di Biagio: Casi di aborto terapeutico praticati dopo i primi 90 giorni di gravidanza.

TESTO DELLA RISPOSTA

A seguito del grave episodio concernente una avvenuta interruzione di gravidanza effettuata dopo i primi novanta giorni e una condizione di vitalità del feto riscontrata nelle ore successive presso l'ospedale di Rossano (Cosenza), sono stati incaricati i tecnici del Ministero della salute di avviare una ispezione amministrativa presso il Presidio ospedaliero di Rossano dell'ASP di Cosenza e dell'Azienda ospedaliera di Cosenza, che ha interessato il reparto di degenza dell'ostetricia e ginecologia ed il blocco parto dell'ospedale di Rossano.
All'esito dell'ispezione ministeriale sono emersi i seguenti punti critici:
interruzione volontaria di gravidanza con diagnosi errata di morte del neonato: la mancata e precisa diagnosi di morte ha comportato l'assenza di cure compassionevoli e, se del caso, l'inizio più precoce di cure atte a sostenere i parametri vitali;
scarsa esperienza del centro ad affrontare parti di neonati pretermine. Il punto nascita dell'ospedale di Rossano è una struttura di primo livello che oggi non raggiunge i 500 parti/anno, e ciò anche grazie alla chiusura, circa un paio di anni fa, del punto nascita dell'ospedale di Corigliano che ha contribuito a far aumentare i parti a Rossano. Questo livello di punto nascita prevede che qui si svolgano i parti di gravidanze fisiologiche ed a termine di gravidanza. Quindi la nascita di un neonato pretermine e soprattutto di un neonato gravemente pretermine (<32 settimane) rappresenta in questa struttura un evento eccezionale, anzi un evento che non dovrebbe mai verificarsi. Anche l'assistenza pediatrica va di conseguenza: ci sono 2 pediatri che uno al turno della mattina, uno al turno del pomeriggio, sono presenti in ospedale. Questa considerazione va infatti sommata all'assenza, in regione, dello STAM (Servizio di trasporto assistito materno) e dello STEN (Servizio di trasporto d'emergenza neonatale) collegato alla rete di emergenza.

Va peraltro evidenziato che la stessa ASP di Cosenza ha provveduto, con apposita delibera, ad istituire una Commissione interna finalizzata alla verifica delle circostanze che hanno caratterizzato questo evento. È stato altresì avviato apposito procedimento disciplinare a carico di alcuni dei soggetti in esso coinvolti.
A tal riguardo, in aggiunta a quanto già illustrato nel corso dello svolgimento di un'interpellanza sul medesimo tema, si forniscono i seguenti aggiornamenti acquisiti dalla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Cosenza, che ha trasmesso una relazione del Commissario Straordinario dell'ASP di Cosenza.
Le risultanze della predetta Commissione d'inchiesta dell'ASP di Cosenza hanno tra l'altro evidenziato che il caso esaminato può qualificarsi come un caso di «feto dotato di possibilità di vita autonoma».
«Tale affermazione di feto con possibile vita autonoma» discende dalla considerazione che «alla data del 24 aprile 2010, giorno in cui la paziente espelleva il feto, l'epoca della gravidanza era di 23 settimane o più». Questa certezza deriva «dal calcolo dell'età gestazionale fetale garantito dall'esame ecografico effettuato

Pag. 92

il 14 aprile 2010, quando l'epoca gestazionale è risultata essere di 22 settimane, in contrapposizione all'epoca di amenorrea che era di 21 settimane più due giorni. Peraltro il feto pesava alla nascita 600 gr, il che depone per un'epoca gestazionale intorno alla 23a settimana - quindi in pieno accordo con l'epoca gestazionale segnalata nell'esame ecografico del 14 aprile 2010, dovendosi aggiungere gli ultimi successivi 10 giorni».
«Trattandosi di feto con possibilità di vita autonoma», continua la relazione della Commissione di inchiesta, «l'IVG poteva essere praticata soltanto facendo riferimento al dettato normativo corrispondente alla lettera a) dell'articolo 6 della legge n. 194 del 1978, richiamato specificamente dall'articolo 7 della stessa legge», ovvero solo nel caso di «ineludibile pericolo di vita della madre».
La medesima relazione rileva due ordini di inadempienze. La prima «riguarda la mancanza di un valido consenso previa corretta informazione all'atto operativo da parte del medico esecutore dell'IVG, secondo quanto previsto dall'articolo 14 della legge n. 194 del 1978». Ciò è emerso «verificando il prestampato allegato alla cartella clinica della gestante che risulta privo della tipologia dell'intervento per cui era stato richiesto il consenso, rimanendo in bianco la sezione specificamente dedicata».
La seconda inadempienza riguarda «le mancate cure al nato».
Si deve infine precisare che, oltre al suddetto procedimento disciplinare, è stata immediatamente avviata un'indagine dalla competente Procura della Repubblica.
Tanto premesso, occorre sottolineare che, per quanto riguarda l'interruzione volontaria di gravidanza dopo i primi novanta giorni, essa può essere praticata, come previsto dalla legge 194/78, all'articolo 6, nei seguenti casi:
«a) quando la gravidanza o il parto comportino grave pericolo per la vita della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».

L'articolo 7, terzo comma, specifica però che, «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6», cioè «quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna». In tale ipotesi, lo stesso articolo 7 statuisce che «il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto».
Peraltro, la legge 194 non stabilisce l'epoca gestazionale al di sopra della quale sussiste la possibilità di vita autonoma e quindi non fissa una soglia definita entro cui poter eseguire l'intervento. L'indicazione del legislatore, pertanto, rinvia alla continua evoluzione del progresso medico la previsione della possibilità di vita autonoma del feto, cosa che si è dimostrata sino ad oggi rispettosa della tutela della salute della donna e anche della vita del nascituro. Gli sviluppi delle terapie neonatali ripropongono, nei casi di interruzione volontaria della gravidanza in periodi superiori ai 90 giorni, la necessità di cercare di stabilire, sulla base dei dati scientifici, da un lato quale sia la soglia oltre la quale non effettuare IVG per via di una possibile vita autonoma del feto, dall'altro quali misure porre in atto dopo l'espulsione del feto con presunta vitalità: la soglia critica attualmente individuata dalla letteratura scientifica, è quelle di 22 settimane di epoca gestazionale, quando i dati dei network delle terapie intensive neonatali nazionali ed internazionali riportano una probabilità di sopravvivenza alla dimissione dall'ospedale rispettivamente del 10 per cento su 60 casi e del 6.6 per cento su 1.142 casi.
In data 4 marzo 2008 il Consiglio superiore di sanità ha peraltro emanato un parere che fornisce raccomandazioni agli operatori in merito alle cure più appropriate per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse (22-25

Pag. 93

settimane), utili anche per una migliore applicazione della legge 194/78 e per modalità di assistenza più adeguate per la tutela del neonato.
Per quanto concerne le cure neonatali, in tali casi le raccomandazioni prevedono quanto segue:
«Al neonato, dopo averne valutate le condizioni cliniche, sono assicurate le appropriate manovre rianimatorie, al fine di evidenziare eventuali capacità vitali, tali da far prevedere possibilità di sopravvivenza, anche a seguito di assistenza intensiva.
Qualora l'evoluzione clinica dimostrasse che l'intervento è inefficace, si dovrà evitare che le cure intensive si trasformino in accanimento terapeutico. Al neonato saranno comunque offerte idratazione ed alimentazione compatibili con il suo quadro clinico e le altre cure compassionevoli, trattandolo sempre con atteggiamento di rispetto, amore e delicatezza.
Le cure erogate al neonato dovranno rispettare sempre la dignità della sua persona, assicurando i più opportuni interventi a tutela del suo potenziale di sviluppo e della migliore qualità di vita possibile.
Infine, fermo restando che il trattamento rianimatorio richiede decisioni immediate ed azioni tempestive e indifferibili, ai genitori devono essere fornite informazioni comprensibili ed esaustive sulle condizioni del neonato e sulla sua aspettativa di vita, offrendo loro accoglienza, ascolto, comprensione e il massimo supporto sul piano psicologico.
In caso di conflitto tra le richieste dei genitori e la scienza e coscienza dell'ostetrico-neonatologo, la ricerca di una soluzione condivisa andrà perseguita nel confronto esplicito ed onesto delle ragioni esibite dalle parti, tenendo in fondamentale considerazione, la tutela della vita e della salute del feto e del neonato».

Si ribadisce pertanto la necessità di rispettare la piena applicazione della legge citata.
Non si ritiene peraltro necessario intervenire per integrare la legge 194 con una esplicita imposizione dell'obbligo di monitoraggio delle condizioni del feto. Tale obbligo è infatti da considerarsi implicito, laddove la norma dell'articolo 7, comma 3, specifica che «il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto». È chiaro infatti che non si può salvaguardare la vita del nato senza monitorarne le condizioni.
Con riguardo specifico alla determinazione dell'età gestazionale che faccia presumere la possibilità di vita autonoma del feto, è intenzione del Governo, pur senza modificare sul punto la legge n. 194/1978 - al fine di non irrigidire in una norma primaria valutazioni che invece sono troppo legate all'evoluzione delle conoscenze scientifiche - individuare delle soluzioni convenzionali, condivise con le regioni, per porre un limite alla possibilità di effettuare l'aborto tardivo oltre un certo periodo di gravidanza, secondo quanto già stabilito, nell'esercizio della propria autonomia, da molti presidi ospedalieri, come ad esempio la clinica Mangiagalli a Milano.
Tale intenzione è già stata preannunciata alle regioni nel corso di una riunione della Commissione Salute svoltasi presso il Ministero della salute.
Infine, occorre sottolineare l'innegabile importanza della prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza, attraverso una modalità di prevenzione attiva e per target mirati di popolazione.