CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 20 aprile 2011
471.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Attività produttive, commercio e turismo (X)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2011. Doc. LVII, n. 4.

PARERE APPROVATO

La X Commissione Attività produttive, commercio e turismo,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
preso atto delle modifiche apportate alle procedure di bilancio in relazione al coordinamento strategico degli strumenti di programmazione richiesto dalla Commissione europea al fine di consentire un pieno allineamento fra la programmazione nazionale e quella europea;
valutati con qualche preoccupazione i dati macroeconomici che testimoniano di una grave difficoltà della crescita della nostra economia, con una revisione al ribasso della previsione di crescita;
apprezzato comunque lo sforzo del Governo, pur in un contesto di grandi difficoltà a livello internazionale, di contenere il più possibile il già pesante debito pubblico ereditato dal nostro Paese,
delibera di esprimere

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
a) in relazione alle misure finalizzate a rafforzare la concorrenza, previste nel PNR, si impegni il Governo a presentare in tempi ravvicinati al Parlamento il disegno di legge annuale sulla concorrenza, ai sensi della legge n. 99 del 2009, in modo da affrontare, nella duplice finalità di garantire un mercato aperto e concorrenziale e la tutela del consumatore, le vaste aree di inefficienza esistenti in settori strategici della legislazione nazionale in un'ottica di reale liberalizzazione dei mercati;
b) in relazione alle misure previste nel PNR in favore delle PMI, si impegni il Governo a dare concreta attuazione alla Comunicazione della Commissione Europea sullo Small Business Act per l'Europa, anche attraverso il fattivo sostegno al progetto di legge, già approvato dalla Camera e attualmente all'esame del Senato, concernente lo Statuto delle imprese;
c) sempre nell'ottica di favorire il contesto amministrativo in cui operano le PMI, si impegni il Governo a dare tempestiva attuazione alla direttiva europea concernente i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, nonché a contribuire all'esame e all'approvazione di proposte di legge vertenti sulla medesima problematica attualmente all'esame di questa Commissione;
d) in relazione alle politiche volte allo sviluppo della competitività del sistema Paese e dell'occupazione, si impegni fattivamente il Governo per sostenere a livello europeo misure finalizzate alla difesa del Made in, di contrasto alla contraffazione e al dumping sociale e ambientale dei Paesi del Far East;
e) con riferimento al settore energetico, anche in relazione all'annunciata rinuncia all'attuazione del programma nucleare, il Governo provveda ad elaborare in tempi rapidi il piano energetico nazionale, dando adeguate indicazioni in merito alla complessiva problematica degli approvvigionamenti energetici, nonché un'adeguata risposta alle problematiche recentemente scaturite in relazione all'incentivazione degli impianti fotovoltaici.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2011. Doc. LVII, n. 4.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL PARTITO DEMOCRATICO

La X Commissione Attività produttive, commercio e turismo,
esaminato il Documento di economia e finanza;
premesso che:
nello spirito della Nuova Strategia Europa 2020 (EU2020), la Commissione europea ha previsto un coordinamento strategico dei diversi momenti di definizione programmatica per i Paesi membri attraverso l'introduzione del c.d. «Semestre europeo» che ha inizio ad aprile di ogni anno, con la presentazione contestuale dei Piani nazionali di riforma (PNR) e dei Programmi di stabilità (PS);
il nuovo PNR, documento che assume un ruolo fondamentale in questo processo, deve contenere i seguenti elementi: lo scenario macro-economico, come definito nel PS; l'analisi degli squilibri macroeconomici nazionali e l'identificazione degli ostacoli principali alla crescita e all'aumento dell'occupazione; le misure strategiche di riforma da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali da perseguire di crescita produttiva e occupazionale;
la legge 196/2009 incardina la discussione del PNR all'interno di quella più generale della DEF di cui costituisce la terza parte, la prima sezione reca invece lo schema del Programma di stabilità;
nella fase transitoria, in sede di predisposizione della bozza di PNR, da presentare alla Commissione entro il 12 novembre, il Governo ha trasmesso il documento alle Camere a ridosso della data in cui si chiedeva la conclusione della discussione, limitando fortemente la possibilità del Parlamento di procede ad una ampia disamina del testo;
nell'Analisi annuale della crescita, la Commissione ha evidenziato che molti progetti di PNR indicano tra le proposte previste dagli Stati membri per raggiungere gli obiettivi nazionali, misure già attuate o a uno stadio piuttosto avanzato, oppure alquanto vaghe, con poche precisazioni circa la natura esatta delle norme, il calendario di attuazione, l'impatto previsto, il rischio di applicazione parziale o di insuccesso, il costo per il bilancio e l'uso dei Fondi strutturali dell'UE,

considerato che:
anche nella versione definitiva, il PNR appare vago, di difficile lettura, spesso ripetitivo e scevro di un impianto strategico, di impegni dettagliati e di scadenze precise. Una «cornice del nulla» come è stato efficacemente definito, in cui si contano complessivamente misure programmatiche di cui alcune sono semplici piani, altre titoli vuoti, altre ancora passibili di un iter lunghissimo o di difficile realizzazione;
se dalle enunciazioni teoriche del PNR si passa ai dati macroeconomici e di finanza pubblica del Programma di stabilità, si rileva che nel prossimo triennio la crescita è rivista al ribasso rispetto alla DFP del settembre 2010 ed è stimata all'1,1 per cento per il 2011, all'1,3 per cento per il 2012 e all'1,5 per cento per il 2013;

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nonostante la revisione delle stime della crescita, il Governo mantiene invariati i saldi di finanza pubblica in termini tendenziali: l'indebitamento netto è confermato al 3,9 per cento per il 2011 e al 2,7 per cento per il 2012, come nella DFP;
se non si affronta il problema della crescita, non solo gli investimenti pubblici continueranno a diminuire (da 48,6 miliardi di euro nel 2011 a 45,9 miliardi nel 2014) e la pressione fiscale rimarrà invariata (42,5 per cento nel primo e nell'ultimo anno del quadriennio) ma per consentire il rispetto degli obiettivi europei sarà necessaria anche una manovra correttiva per il 2,3 per cento del PIL (oltre 35 miliardi di euro); come anticipato dal DEF, per il biennio 2013/2014;
poiché il riequilibrio duraturo dei conti pubblici passa soprattutto per il rafforzamento del potenziale di sviluppo dell'economia, sarebbe stata necessaria l'individuazione di misure strategiche precise anziché una poco convincente politica dei due tempi che, senza garantire la riduzione del debito (per la quale la Banca d'Italia considera necessario un PIL del 2 per cento annuo), rimanda sine die il problema della crescita;
valutato che, per le parti di competenza:
la perdita di competitività del sistema Paese viene liquidata nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) come pura e semplice responsabilità degli imprenditori, troppo piccoli, troppo arretrati, poco propensi all'innovazione, tutto ciò per coprire l'assoluta inconsistenza delle politiche del Governo in materia di ricerca, sviluppo e innovazione, per la mancanza di un quadro strategico nazionale che detti le linee di fondo del futuro del Paese e in assenza di risorse economiche dedicate;
le imprese italiane avevano, già prima della recessione, iniziato a riorganizzarsi, cercando in alcuni casi di consolidare posizioni legate alla qualità e al marchio, e concentrandosi quindi su produzioni di nicchia meno aggredite dalla concorrenza dei prodotti a basso costo, soprattutto provenienti dall'area asiatica, ma tale riorganizzazione ha subito una brusca battuta d'arresto con l'arrivo della crisi;
la limitata efficacia dell'attività di Governo è chiaramente espressa nell'allegato al PNR che descrive le misure adottate o in via di adozione, nel quale prevalgono di gran lunga quelle in fase di implementazione, legiferate ma non ancora applicate o esclusivamente programmatiche, che rendono evidente la scarsa attitudine dell'attuale esecutivo nel passare dagli annunci ad effetto alla concreta attuazione delle norme;
per accrescere la produttività, gli investimenti e l'innovazione è necessario operare in modo coordinato su quattro fronti prioritari:
la riforma del fisco, in direzione di una maggiore efficienza, coerenza ed equità, e di una promozione del lavoro, dell'impresa, dell'investimento produttivo;
la realizzazione di una politica industriale rivolta a rafforzare i settori produttivi che costituiscono la spina dorsale della nostra economia, puntando sull'innovazione e sull'ambiente;
un ampio programma di liberalizzazioni per rimuovere le barriere al corretto svolgersi della concorrenza e mettere al centro il consumatore;
un investimento nella formazione e nel sapere, ingrediente essenziale ai fini dell'innalzamento del capitale umano, risorsa chiave per lo sviluppo;
si intende invece perdere altro tempo, mettendomano inutilmente alla modifica degli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione, con il Disegno di Legge presentato dal Governo al Parlamento, una pura e semplice scorciatoia che non costa nulla in termini di risorse e non è in grado di creare quell'ambiente favorevole alla libera iniziativa privata, che solo un Programma strategico nazionale di sviluppo

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economico e di implementazione infrastrutturale, dotato di adeguate risorse, può assicurare;
la legge annuale sulla Concorrenza, che dovrebbe costituire lo strumento centrale della politica di rafforzamento, innovazione e crescita dell'economia nazionale attraverso l'ulteriore apertura dei mercati, la tutela dei consumatori e il sostegno alle piccole e medie imprese non è stata ancora presentata alle Camere, a riprova dello scarso interesse da parte del Governo per questo genere di iniziative;
le politiche per la concorrenza debbono porre al centro il consumatore attraverso la liberalizzazione dei mercati con particolare riguardo allo sviluppo e all'accesso delle infrastrutture fisiche, nell'energia, nei trasporti, nelle comunicazioni elettroniche, quali punti nodali per l'affermazione di un mercato unico delle reti;
avviare una nuova stagione di liberalizzazioni vuol dire non solo aprire alla concorrenza mercati in precedenza riservati, ma anche e soprattutto dare più potere e libertà ai consumatori nei mercati caratterizzati dalla presenza di operatori in regime di monopolio e dotarsi di autorità di regolazione realmente indipendenti e meno vulnerabili;
occorre porre mano a un riordino delle autorità di regolazione, definendo nuovi modelli omogenei di nomina, ripresi dalle best practices nazionali e comunitarie al fine di salvaguardarne i requisiti di indipendenza e competenza;
occorre modificare l'attuale legge sulla class action per riportarla allo spirito originario, voluto dal Governo Prodi, superando l'attuale versione del tutto depotenziata, entrata in vigore il 1o gennaio 2010, eliminando in particolare le storture che hanno prodotto rilevanti costi di accesso per il singolo consumatore che finiscono per ridurre la potenzialità dello strumento sia come forma di tutela che come strumento di deterrenza nei confronti delle imprese;
nell'ottica di una maggiore tutela del consumatore, ma anche con l'intento di offrire maggiori opportunità occupazionali, specialmente alle giovani generazioni, è necessario proseguire con gli interventi di liberalizzazione dei servizi avviati nel biennio 2006-2008;
per quanto riguarda la rete dei distributori di carburanti, occorre garantire un'effettiva libertà di approvvigionamento dei gestori della rete dei carburanti, anche assegnando in via straordinaria e temporanea alla società pubblica «Acquirente unico», che attualmente svolge funzioni analoghe nel mercato dell'energia elettrica, il compito di acquisire elevate quantità all'ingrosso di carburante, mettendo in concorrenza le compagnie petrolifere, per la successiva rivendita alle migliaia di punti di vendita al dettaglio, eliminando altresì tutti i residui vincoli regionali esistenti in merito alla liberalizzazione della distribuzione dei carburanti, anche offrendo la possibilità ai gestori degli attuali impianti in comodato di diventare imprenditori autonomi;
quanto ai servizi bancari, il settore risulta particolarmente ingessato rispetto ad assetti concorrenziali, nel 2007, al fine di ridurre i costi transattivi legati alla sostituzione del fornitore dei servizi bancari, il Governo Prodi introdusse misure volte a favorire la portabilità gratuità dei mutui;
occorre estendere queste misure di «portabilità gratuita» o a minor costo possibile per tutti gli altri servizi bancari e finanziari, quale leva concorrenziale per far abbassare i costi per la clientela, procedere all'abolizione della clausola di massimo scoperto e di altre commissioni analoghe nei c/c bancari, che hanno determinato un innalzamento dei costi a carico dei correntisti e dare la libertà al cliente di scegliersi sul mercato la polizza assicurativa collegata al mutuo, vietando alle banche che offrono il mutuo di imporre l'obbligo ai mutuatari ad accettare la copertura assicurativa offerta dalle stesse;

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nel settore dei servizi assicurativi, si registra la totale assenza di meccanismi concorrenziali e la crescita dei costi per gli assicurati, la possibilità di modifica unilaterale imposta ogni anno dalle compagnie assicurative alla propria clientela non ha generato alcun effetto di sostituzione del fornitore o di concorrenza di prezzo, è pertanto necessario abrogare il tacito rinnovo del contratto RC auto, consentendo forme di rinegoziazione in favore della clientela anche attraverso la costituzione di gruppi di acquisto tra automobilisti a livello territoriale, favorita da misure incentivanti da parte dell'azione pubblica, al fine di ottenere condizioni più favorevoli dalle compagnie assicurative, e vietando modifiche unilaterali del contratto RC auto;
quanto al settore dei farmaci, occorre rilanciare e rafforzare il processo di liberalizzazione della distribuzione dei farmaci avviato nel 2006 dal Governo Prodi, come dimostrato dall'apertura alla concorrenza della vendita dei medicinali che non hanno bisogno di prescrizione medica che ha permesso alle parafarmacie e alla grande distribuzione di realizzare 3.300 punti di vendita che oggi occupano circa 6.000 farmacisti, con un importante effetto di riduzione dei prezzi medi rispetto al prezzo di listino;
il successo di questo esperimento deve incoraggiare ad estendere la liberalizzazione anche a tutti i medicinali non dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale, i cosiddetti farmaci di fascia C che, da soli, rappresentano circa 3 miliardi di euro in termini di fatturato e gravano sulla spesa privata delle famiglie garantendo altresì la facoltà a tutti i punti vendita dei farmaci di stabilire autonomamente i propri orari di apertura, oltre cioè il minimo orario di apertura oggi regolamentato;
il biennio 2008-2010 ha segnato un deciso passo indietro in merito alla liberalizzazione delle professioni, le nuove tariffe approvate dall'ordine dei commercialisti e diversi disegni di legge promossi dalla maggioranza parlamentare sulla disciplina delle professioni legali sono il risultato di forti spinte lobbistiche volte a mantenere chiuso il mercato delle professioni, generando maggiori costi per gli assistiti e crescenti difficoltà all'accesso alla professione da parte dei giovani;
devono essere riviste le attuali forme di remunerazione dei servizi legali che inducono all'ingiustificato procrastinare dei tempi delle controversie, contribuendo alla inefficienza della giustizia civile nel nostro paese e proseguire, occorre invece proseguire nella modernizzazione del ruolo e dell'assetto degli ordini professionali, assicurando, accanto agli obblighi di corretta e trasparente informazione agli utenti, una vera concorrenza e l'apertura delle professioni alle giovani generazioni;
quanto alla semplificazione burocratica, ancora una volta il Governo si limita nel PNR a un richiamo all'esigenza di una «drastica semplificazione di obblighi formali e oneri burocratici per le imprese», dopo aver più volte messo mano a tale materia con una serie infinita di norme, a partire dall'introduzione della Scia, fino alla creazione delle Agenzie delle imprese, e alla revisione della normativa sullo Sportello unico, alla revisione del codice dell'amministrazione digitale, tutte misure rimaste in gran parte sulla carta;
si è passati così dalla «semplificazione procedimentale» alla «superfetazione procedimentale» con grande confusione degli operatori e degli enti locali;
per il rilancio della crescita, è necessario che la politica industriale torni a essere, a tutti gli effetti, una delle componenti della più generale strategia di politica economica dell'Italia attraverso una effettiva semplificazione amministrativa; la rimozione degli ostacoli alla crescita, una rimodulazione del carico fiscale in senso favorevole alla crescita e all'investimento; il riconoscimento fiscale dell'attività di innovazione, il superamento

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dell'attuale situazione di razionamento del credito, che penalizza le imprese più innovative;
nulla si dice nel PNR in merito alla grave crisi di settori industriali strategici quali, la chimica, la navalmeccanica, il settore dell'edilizia e conseguentemente quello dei materiali di base per le costruzioni, e dei molti siti produttivi che rischiano la chiusura o hanno già chiuso lasciando a casa migliaia di lavoratori;
è necessario rivedere le procedure relative agli interventi di politica industriale accorpando i fondi e selezionando gli opportuni strumenti e dando vita a politiche fondate:
sulla certezza delle risorse, fondi sicuri, non dirottabili su altri campi di intervento della politica economica;
sulla certezza nei tempi, perché le imprese hanno necessità di attuare subito le proprie strategie, dovendo seguire il mercato e non potendo sottostare a ingiustificate lentezze burocratiche;
sul superamento della discrasia temporale, ma spesso anche operativa, fra concessioni ed erogazioni, essendo solo quest'ultimo il momento rilevante per l'attività di impresa;
sul superamento dell'accessibilità a risorse scarse attraverso meccanismi di selezione del tutto casuali, che ha portato negli ultimi anni all'aberrazione del click day;
il Documento, inoltre, non si impegna concretamente nell'attuazione della Comunicazione della Commissione Europea del 25 giugno 2008 'Pensare anzitutto in piccolo, uno Small Business Act (SBA) per l'Europa', cita esclusivamente la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 maggio 2010 contenente linee direttrici di azione riprese dalla Comunicazione e prive di ciò che più può interessare in questo momento alle piccole e medie imprese, ovvero un intervento economico di sostegno;
la Camera ha approvato il progetto di legge «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese» attualmente in discussione al Senato (S. 2626), che contiene, tra l'altro, una serie di indirizzi per l'applicazione dello Small Business Act, tra i quali un primo passo avanti verso l'applicazione della normativa europea in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
il 16 febbraio 2011 è stata approvata la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese, che si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale tra imprese e tra imprese e pubbliche amministrazioni;
in sede comunitaria è avvertita l'esigenza di mettere ordine in questo delicato ambito per offrire maggiore protezione ai creditori e tra questi soprattutto ai più deboli, come le piccole e medie imprese, per questa ragione la direttiva fissa obblighi, scadenze precise e restrittive per i pagamenti, prevede il pagamento di interessi di mora in caso di ritardo e 40 euro di indennizzo fisso dei costi di recupero del credito, viene garantita una maggiore trasparenza e la possibilità per le imprese di contestare più facilmente termini e pratiche manifestamente inique,
è necessario attuare immediatamente l'articolo 3 della citata direttiva per quanto riguarda le transazioni commerciali tra imprese, ed attuare invece l'articolo 4 relativo alle transazioni commerciali tra imprese e pubbliche amministrazioni entro un anno anziché due anni dalla data di entrata in vigore della direttiva medesima, facendo salve le eventuali disposizioni vigenti del codice civile e delle leggi speciali che contengono una disciplina più favorevole per il creditore;
quanto ai distretti industriali sono necessari provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, in particolare per il tessile-abbigliamento-calzaturiero, sostenere il made in Italy con l'introduzione di

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un sistema di etichettatura obbligatoria per i prodotti commercializzati nell'Unione europea e promuovere un tessile «etico» per rilanciare i distretti del tessile, incrementare il credito d'imposta in ricerca e sviluppo ripristinando l'automaticità del credito, integrandone la dotazione finanziaria per garantire l'agevolazione;
particolare attenzione deve essere prestata alla strategia delle reti, che già costituisce uno dei fattori vincenti del modello italiano, in questo ambito deve essere prevista una politica per la crescita dimensionale, l'aggregazione e la capitalizzazione delle imprese, intervenendo con strumenti finanziari flessibili e alla portata delle PMI, accompagnata da una politica fiscale che favorisca la capitalizzazione e la quota indivisibile dell'utile d'impresa;
per conseguire l'obiettivo di un fisco più equo ed efficiente è necessario ridurre in modo costante l'evasione fiscale e i suoi costi, dare coerenza, equità ed efficienza all'intero sistema prevedendo, tra l'altro regimi semplificati e i modalità particolari di accertamento per le micro imprese, il supporto all'investimento, all'innovazione, all'adozione di tecnologie e consumi sostenibili dal punto di vista ambientale, l'eliminazione gradualmente dell'Irap sul costo del lavoro, rivendendo gli studi di settore per le attività di minore dimensione;
quanto al tema dei distretti tra le priorità del PNR, con riferimento al settore del turismo, è prevista l'istituzione lungo le coste dei «Distretti turistico-balneari» (e/o reti), attraverso la ridefinizione del demanio marittimo e l'introduzione sistematica di «zone a burocrazia zero», una disciplina della quale non si specificano i termini e che andrebbe a sovrapporsi a quella vigente sui Sistemi turistici locali ( Legge 135 del 2001), senza risolvere il problema ben più rilevante dell'impegno del Governo a rivedere la collocazione delle concessioni demaniali nella Direttiva servizi, richiedendone in sede Europea l'esclusione o un'apposita deroga come richiesto recentemente da numerose Mozioni presentate da maggioranza e opposizione al Senato;
in materia di energia l'Italia deve stare al passo con gli ambiziosi obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia, il Paese soffre di un gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, in tale contesto le micro e piccole imprese hanno un ulteriore svantaggio nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni che pagano il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio;
deve essere rivista la disciplina che prevede l'annullamento dell'imposizione fiscale per le attività che superano la soglia dei duecentomila kilowattora/mese, a discapito delle attività che operano al di sotto di tale soglia; deve essere sostenuta la competitività delle imprese nazionali con una politica mirante a una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore; deve essere favorita la concorrenzialità nel mercato del gas, dell'accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
quanto ai permanenti divari territoriali nel PNR vengono richiamati grandi progetti strategici, grandi assi ferroviari, un programma di miglioramento del sistema formativo, il rafforzamento della sicurezza e della legalità, la riqualificazione dell'Amministrazione Pubblica e dei servizi pubblici locali (con particolare riguardo al trattamento dei rifiuti), l'istituzione di una Banca specializzata in credito a medio e lungo termine per le imprese che operano nel Mezzogiorno, al rafforzamento delle politiche d'inserimento al lavoro, «zone a burocrazia zero», il tutto senza che siano previste le relative risorse;

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il Governo si appropria della filosofia europea della «crescita inclusiva» senza trarne le debite conseguenze, limitandosi ad aderire in termini retorici alle politiche definite dalle istituzioni europee senza realmente puntare a ripensare sulla base delle stesse gli ambiti essenziali del processo di sviluppo;
la decrescita nel Mezzogiorno si deve a una pluralità di circoli viziosi, che si rafforzano e aggravano vicendevolmente e che creano il depauperamento del capitale sociale, la perdita di capitale umano, un livello ancora più grave della condizione femminile rispetto al resto del Paese, anche per l'inadeguatezza del sistema di welfare;
il Mezzogiorno è la cartina di tornasole della necessità non più rinviabile di una strategia di riforme nazionali che risponda ai bisogni dell'intero paese, a partire dalle aree più deboli del Mezzogiorno, oltre che dalle tante aree deboli presenti nel Centro e nel Nord del Paese;
oltre alle riforme di portata nazionale, è necessario rilanciare strumenti specifici per le aree più deboli del Paese, quali i contratti di programma, impostando un piano industriale incardinato sulla realizzazione delle infrastrutture ferroviarie, portuali e idriche, sulla manutenzione e la messa in sicurezza del territorio, nell'ottica di una ripresa e intensificazione degli scambi con i paesi della «sponda sud» del Mediterraneo, in tale contesto, vanno pienamente ripristinati il credito d'imposta per l'occupazione, il credito d'imposta per gli investimenti e le Zone Franche Urbane;
il ruolo della ricerca pubblica, una fiscalità che premi l'innovazione, la definizione di standard qualitativi, la capacità di anticipare gli scenari futuri, la riconversione ambientale dell'economia possono rappresentare, oltre che una necessità dettata dal senso di responsabilità per le generazioni future, una vera opportunità di crescita economica, al pari delle discontinuità determinate in passato dall'elettrificazione, dalle telecomunicazioni, dalla rivoluzione informatica;
per l'insieme di queste ragioni, sarebbe urgente e necessario un vero progetto per rilanciare lo sviluppo economico, l'equità e la coesione sociale strettamente connesso con le linee di sviluppo europeo, contrariamente a quanto disposto dal provvedimento in esame,
delibera di esprimere

PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2011.
Doc. LVII, n. 4.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DELL'ITALIA DEI VALORI

La Commissione X Attività Produttive, commercio eturismo,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
rilevato che:
il dibattito sul DEF italiano va inquadrato nella cornice europea dopo la sostituzione del Patto di stabilità (e crescita) siglato a Maastricht nel 1991 con uno strumento molto più stringente: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) da approvare a giugno da parte del Consiglio europeo. Questo dovrebbe prevedere, tra l'altro, interventi automatici di un Fondo europeo dotato di risorse pari a 500 miliardi di euro in cambio di cure drastiche. Il primo passo in questa direzione è già stato compiuto nel Consiglio europeo del 24/25 marzo con l'accordo sul Patto Euro Plus (PEP);
le economie più in difficoltà del Continente saranno messe sotto amministrazione controllata da parte della Banca centrale europea secondo i principi di un nuovo «Frankfurt consensus»;
l'interesse a stabilizzare i sistemi finanziari di alcuni paesi europei è così forte perché, stando agli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (giugno 2010), il sistema bancario tedesco è esposto sulla Grecia per 65,4 miliardi, sull'Irlanda per 186,4, sul Portogallo per 44,3 e sulla Spagna per 216,6, e che solo prestiti internazionali possono salvare le banche tedesche per le quali un crack finanziario dei propri debitori avrebbe effetti devastanti;
si sta in pratica edificando, come da tempo chiedevano i più illuminati fra gli economisti, un governo dell'economia europeo che si affiancherà alla moneta unica;
l'obiettivo non è più quello di un indebitamento annualmente non superiore al 3 per cento del Pil, ma è ora il pareggio annuale. E il 2015 non sarà l'anno di avvio per l'applicazione delle nuove regole, ma l'anno in cui si comincerà a verificare come le si è applicate nel triennio precedente, e quindi a partire dal 2012;
sarà introdotta la regola che qualunque entrata ulteriore a quelle poste in bilancio dovrà andare a riduzione del disavanzo, mai a copertura di nuove o maggiori spese.
c'è anche l'impegno ad introdurre in Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio;
rileviamo un paradosso: i debiti pubblici sono fortemente cresciuti durante la crisi più che altro per gli interventi di salvataggio delle banche e di sostegno ai mercati finanziari. In sostanza, i debiti privati sono stati scaricati sugli Stati e i debiti privati sono dunque diventati debito pubblico. I mercati finanziari si rivolgono oggi proprio contro i governi che li hanno salvati (a spese dei contribuenti) perché oberati da troppi debiti. Oltretutto i Paesi in difficoltà (con l'eccezione della Grecia)

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erano Paesi con i conti pubblici in ordine secondo i dettami del Trattato di Maastricht;
la soluzione che viene proposta è semplice: tagliare la spesa pubblica a partire dagli sprechi e dalle spese inutili. Andranno naturalmente valutati l'impatto sulla crescita, garantendo comunque la spesa sociale insopprimibile;
serve dunque una riflessione più approfondita. La crisi attuale è figlia sia dell'incapacità delle politiche keynesiane sia di quelle liberiste ad affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell'economia;
considerato che:
il Governo sostiene che non ci sarà bisogno di manovre correttive né quest'anno né per il prossimo: in questo biennio si farà soltanto manutenzione contabile ordinaria. La Banca d'Italia ha calcolato che se si ritiene di concentrare la manovra per raggiungere il pareggio di bilancio tra il 2013 ed il 2014, questa non potrà essere inferiore ai 35 miliardi di euro nel biennio;
infatti, fra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica al netto degli interessi dovrà scendere di 5,5 punti di Pil. Di questi 3,2 punti stanno già (secondo il Governo) nel quadro tendenziale della seconda sezione del DEF. Altri 2,3 punti deriveranno da ulteriori manovre sul 2013-2014 basate su ulteriori tagli alla spesa pubblica;
una riduzione così drastica della spesa, nonché del disavanzo al netto degli interessi, non sarà facilmente realizzabile anche in relazione al tasso di crescita previsto, di poco superiore all'1 per cento;
non è vero che l'aggiustamento è tutto rinviato ad un futuro lontano. Infatti, nel 2011 e nel 2012 la spesa al netto degli interessi dovrebbe rimanere pressoché invariata a prezzi correnti, il che ne comporta una notevole riduzione in termini reali. In gran parte i tagli sono già stati inseriti nelle tabelle approvate dal Parlamento con la legge di stabilità 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220), ma quelle per ora sono scritture contabili. Sarà quindi necessario valutare chi sarà colpito e quale sarà l'impatto sull'intera economia;
i tagli non sembrano accompagnati da misure capaci di incidere sui meccanismi di spesa ed è dunque ben concreto il rischio che essi si traducano in rinvii di spese necessarie - si pensi alla spese di manutenzione degli edifici pubblici o dei beni culturali -, o in debiti sommersi verso i fornitori;
il migliore indicatore dell'azione governativa è il saldo di bilancio primario aggiustato per il ciclo economico, cioè il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito (il cui livello dipende solo minimamente dal governo attuale, e soprattutto dallo stock di debito accumulato in precedenza) e depurato dagli effetti del ciclo economico (il saldo peggiora automaticamente se l'economia è in recessione, senza colpa del Governo);
il Governo prevede un miglioramento costante di tale saldo, di circa tre punti percentuali da qui al 2014, in gran parte dovuto a riduzioni di spesa. Ma questo dato è da prendere con molta cautela, perché si basa su stime ottimistiche, ed è frutto in gran parte di misure saltuarie o non specificate, non di cambiamenti strutturali alla dinamica della spesa;
prendendo il 2012 come esempio, il Governo stima che i provvedimenti presi nel 2010 ridurranno il disavanzo di circa 25 miliardi, oltre 1,7 punti di Pil. Ma gran parte degli effetti sono imputati a due misure, la lotta all'evasione e il patto di stabilità con gli enti locali, entrambe basate su assunzioni da verificare;
un'altra fonte di risparmi riguarda i salari pubblici, frutto del blocco del turnover, che non può essere ripetuto all'infinito. Il Governo continua a prevedere cospicui risparmi su questa voce fino al 2014, ma non è chiaro su che base concreta;

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tutto questo rende il miglioramento del saldo primario estremamente aleatorio. Ma se anche si realizzasse, poco o niente in queste misure ha la natura di una riforma strutturale che riduca finalmente il peso della spesa pubblica;
il punto più dolente è rappresentato dalla bassa crescita prevista ad un livello che si attesta a poco più o poco meno di un punto percentuale: la metà di quel due per cento che il Governatore Draghi ha indicato come il livello minimo per potere interrompere ed invertire la corsa all'aumento del debito pubblico, e nel contempo assorbire almeno in parte una disoccupazione sempre crescente;
la disoccupazione in Italia, se viene calcolata correttamente (computando anche una grossa fetta dei cassaintegrati), supera il 10 per cento e non vi sono prospettive realistiche di un recupero. In Italia, peraltro non ci sono state crisi bancarie e necessità di salvataggi, eppure il nostro debito pubblico ha raggiunto di nuovo i livelli massimi della prima metà degli anni '90 (120 per cento del Pil rispetto ad una media europea dell'84 per cento). Il Pil pro-capite italiano a parità di potere d'acquisto è ritornato sostanzialmente ai livelli del 1999. Abbiamo perso 10 anni, e se il nostro tasso di crescita resterà inchiodato all'1 per cento, ci vorranno 6 anni per ritornare al punto di partenza;
la «scossa» all'economia che il Governo aveva promesso non c'è propria stata e il surplus di crescita necessario non può essere assicurato da un documento in cui non c'è un impegno preciso, una data, ed in cui si ritirano fuori le grandi opere infrastrutturali bloccate da questo stesso Governo e per le quali si riducono drasticamente le risorse;
le oltre 160 pagine del Piano nazionale delle riforme (PNR) indicano le misure programmatiche del Governo da qui alla fine della legislatura. Delle quattordici misure elencate come programmatiche, cioè ancora da realizzare da qui alla fine della legislatura, alcune sono semplici piani (il piano triennale del lavoro, il programma di inclusione delle donne, etc.). Altre misure sono titoli vuoti come la promozione delle energie rinnovabili;
manca qualsiasi indicazione operativa (e come tale controvertibile) a quelle generiche enunciazioni, vaghe e sommarie anche sul tema della riforma tributaria;
la bassa crescita non ha impedito che nel 2010 l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni fosse più basso del previsto, grazie al contenimento delle spese;
negli anni a venire si prevede un ulteriore contenimento della spesa rispetto al Pil: dopo un collasso di oltre il 16 per cento nel 2010, gli investimenti fissi pubblici continueranno a cadere, anche in termini assoluti (con buona pace delle imprese di costruzione); si ridurranno in quota i redditi dei dipendenti. La pressione tributaria e quella fiscale (che include i contributi) resterà invariata al notevole livello del 42 e mezzo per cento del prodotto;
secondo gli esponenti del Governo, il testo del PNR contiene interventi organici in funzione della crescita. Con due direttrici principali: la grande riforma fiscale e una pervasiva revisione dell'impianto regolatorio dall'altra. Ma la riforma fiscale è una delega senza copertura finanziaria rinviata alle cure del prossimo Governo nel 2013, ripetendo il trucco che lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze fece nel 2003 (legge n. 80 del 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale); l'unica misura per la crescita rimane dunque la deregolamentazione di appalti, la costituzione di aree a «burocrazia zero» nel Sud e di distretti turistico-balneari attraverso una non ben definita intenzione di ridefinire il demanio marittimo;
prosegue dunque l'unica politica «per lo sviluppo» di questo Governo: una spinta verso il lassismo. Come le misure adottate in precedenza: abolizione del

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falso in bilancio, condoni, finanza creativa, tassazione dei redditi da capitale più bassa di quelli da lavoro;
il problema del perpetuarsi dell'uno virgola di crescita resta dunque irrisolto: la vaghezza del Pnr pone la sordina a una seria discussione di riforme mirate e non costose. «Tenere i conti» è necessario, ma non basta; alla lunga, se non riparte la crescita, non si risolve neanche il problema del debito;
non c'è solo la disoccupazione, né c'è solo la maldistribuzione delle risorse di cui il Paese dispone per finalità primarie come gli investimenti, la formazione e la ricerca. C'è la questione stessa del debito pubblico, che in assenza di crescita può finire per avvitarsi su se stessa. Se non cresciamo, il debito totale non scende neppure con un indebitamento annuo pari a zero. Mentre con un indebitamento annuo sotto controllo e un Pil che cresce di più, tutto il portato della crescita si traduce in riduzione percentuale del debito totale;
considerato, inoltre, che nell'ambito specifico delle materie di competenza della X Commissione il Documento di economia e finanza 2011:

non prevede, come invece avrebbe dovuto, un progetto di riforma fiscale che porti ad una sostanziale riduzione del prelievo sul costo del lavoro sulle imprese;

non prevede misure efficaci volte a realizzare, entro tempi certi, interventi tesi a realizzare una concreta liberalizzazione dei mercati. Su questo punto il PNR non soddisfa poiché si limita a prevedere, in modo generico, l'emanazione della legge annuale per il mercato e la concorrenza. Inoltre, su questo tema, l'attuale Esecutivo dimostra di continuare ad essere in grave ritardo. Il disegno di legge sulla concorrenza, che andava presentato entro il 31 maggio 2010, ancora non è stato licenziato. Le liberalizzazioni sono al palo, mentre il loro rilancio è cruciale per tornare a crescere. Nella relazione annuale trasmessa al Parlamento il 30 marzo scorso, l'Antitrust ha lanciato un allarme sulla concorrenza a trecentosessanta gradi. Il rilancio del processo delle liberalizzazioni, secondo l'Autorità guidata da Antonio Catricalà, è un «tassello cruciale di una vigorosa politica per la crescita» e «l'attuale situazione deve, in particolare, essere l'occasione per incidere sulle cause strutturali del deficit di produttività del Paese». In particolare, è «prioritario aumentare la produttività e il modo migliore, perché duraturo, per garantire il raggiungimento di tale obiettivo è consentire ai meccanismi di mercato di operare pienamente, adottando quegli interventi di riforma degli assetti regolatori la cui urgenza, in tempi normali, non viene avvertita con la necessaria intensità». Si tratta, sostiene l'Antitrust, di una scelta «non soltanto corretta, ma obbligata per il Paese». L'attivazione di efficaci dinamiche concorrenziali «richiede un generale processo di riforma della regolazione in senso pro-concorrenziale, una rigorosa applicazione della disciplina antitrust e un'altrettanto incisiva azione a tutela del consumatore». Se questi ultimi due versanti sono di competenza diretta dell'Autorità, i processi di apertura dei mercati ricadono nella responsabilità esclusiva della politica, che deve rimuovere le tante "zavorre" che opprimono il Paese. L'analisi a oltre due anni e mezzo dall'inizio della legislatura, secondo l'Antitrust, «evidenzia che il processo di apertura dei mercati è» quindi «rimasto largamente incompiuto»;

non prevede misure adeguate tese a ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese. Il PNR, sempre a pagina 2, si pone come obiettivo la drastica semplificazione degli obblighi formali e degli oneri burocratici per le imprese, mentre a pagina 6 dedica un intero capitolo al disegno di legge recentemente presentato dal Governo alla Camera dei Deputati ove si propongono le modifiche agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione in materia di libertà di iniziativa economica privata e buon funzionamento della pubblica amministrazione. Sotto tale profilo appare

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opportuno evidenziare che, nonostante l'attuale Governo non manchi di vantarsi ad ogni occasione di essere riuscito a contribuire significativamente a ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese -grazie anche all'approvazione delle recentissime disposizioni in materia di SCIA-, l'Italia continua a rappresentare il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67, 2 per cento rispetto alla media europea;
non innova minimamente dal punto di vista degli interventi attesi in materia di accesso al credito e rafforzamento patrimoniale delle imprese. Il PNR, infatti, si limita ad esaltare il ruolo e la funzione dal Fondo Centrale di garanzia e dal Fondo italiano di investimento: fondo quest'ultimo nato il 18 marzo 2010, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, che, tuttavia, risulta operativo solo da ottobre 2010 e sino ad oggi ha solo approvato pochissime operazioni di investimento. Eppure l'Indagine trimestrale Banca d'Italia - Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita pubblicata, il 17 gennaio scorso, aveva evidenziato come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate da settembre 2010 ad oggi, « La quota di imprese che segnala invarianza di condizioni di accesso al credito - si legge nel rapporto - rimane superiore all'80 per cento. Risulta lievemente aumentata sia l'incidenza delle imprese che segnalano un peggioramento di tali condizioni (13, 9 per cento, dal 12, 4 per cento del trimestre precedente) si quella di coloro che indicano un miglioramento 85,1 per cento che indicano un miglioramento (5, 1 per cento per cento, da 3, 4 per cento)». Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia, si è ridotto nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
non affronta le problematiche relative ai ritardi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese . Si parla genericamente della necessità di attuare la Small Business Act e le indicazioni ivi contenute ma, di fatto, non prevede misure concrete al riguardo, nonostante la recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 23 febbraio scorso della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
non prevede alcun intervento mirato in materia di imprenditoria giovanile e femminile. Il PNR parla genericamente della necessità di attuare le indicazioni contenute nella Small Business Act, ma non si parla né di rifinanziamento del Fondo per l'imprenditoria femminile, né di misure concrete per sostenere l'imprenditoria giovanile. Eppure a pag.51 del PNR si legge - nero su bianco - che l'Italia si posiziona in generale al di sotto della media europea, con peggioramenti in termini di performance relativamente alle politiche per la promozione della concorrenza e di un ambiente favorevole, sia in termini di barriere all'imprenditorialità, sia in termini di start up, mentre non si registrano progressi per la regolazione specifica dei settori;
in materia di energia nucleare, nonostante la drammatica tragedia che ha investito recentemente il Giappone, si limita a parlare di una semplice «sospensione dell'opzione nuclearista». In particolare, nel testo del PNR si legge «Nonostante il riconoscimento del ruolo sempre più ampio che potranno investire le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, il

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Governo ha riaperto al possibilità di riprendere la produzione nucleare, come tecnologia in grado di coniugare la sicurezza degli approvvigionamenti, l'economicità e la sostenibilità ambientale, economica e sociale. La profonda riflessione che si è aperta a livello europeo e anche mondiale sulla sicurezza dell'energia nucleare a seguito della tragedia di Fukushima in Giappone ha indotto il Governo, pur ritenendo che non siano venute meno le ragioni che avevano portato a riconsiderare l'opzione nucleare, a non procedere per il momento, all'attuazione del programma nucleare fino a che le iniziative già avviate a livello europeo non forniranno elementi in grado di dare piene garanzie sotto il profilo della sicurezza». Con questa pericolosissima manovra, il Governo non fa altro che sminuire la portata del referendum abrogativo della disposizione che ammette la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia giudicato pienamente ammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza n. 28 del 2011;
non fornisce adeguate certezze in merito alla necessità che attraverso il pieno recepimento del «Terzo pacchetto mercato interno» venga migliorata significativamente la legislazione sulla regolazione del mercato energetico. E ciò sia sotto il profilo della conformità delle norme ivi contenute al dettato delle direttive e dei regolamenti comunitari, sia e soprattutto sotto il profilo della piena realizzazione nel nostro Paese dei principi dell'Unione in materia di concorrenza e liberalizzazione dei mercati, con particolare riferimento a quello del Gas dove manca il principio della separazione proprietaria delle attività relative alle reti di trasporto da quelle di produzione e fornitura del gas;
non contiene interventi credibili in materia di investimenti in ricerca e innovazione. Su questo punto Il Documento di Economia e Finanza 2011 ed il relativo PNR non sembra essere altro che l'ennesimo libro dei sogni di Tremonti e della sua fantapolitica. Intanto il World Economic Forum (WEF), proprio in questi giorni, ha bocciato l'Italia in tecnologia e innovazione ed ha stroncato senza mezze misure le politiche adottate sin ora dal Governo. L'impietosa pagella è contenuta nell'ultimo rapporto dell'organizzazione indipendente internazionale. È il decimo anno che il WEF pubblica un Global Information Technology Report e ogni volta va sempre peggio per l'Italia, nella classifica che analizza 138 Paesi mondiali. Ora siamo i cinquantunesimi, sotto Paesi come India, Tunisia, Malesia. Abbiamo perso tre posizioni nell'ultimo anno. Nel 2006 eravamo trentottesimi: un tracollo costante;
in materia di turismo, non prevede interventi idonei a rilanciare in modo significativo l'intero comparto, se non attraverso l'istituzione dei c.d. «Distretti turistico-balneari» ed una non meglio precisata ridefinizione del demanio marittimo finalizzata alla introduzione sistematica lungo le coste di «zone a burocrazia zero»;
in materia di banda larga, conferma la totale assenza nella programmazione del Governo di rendere efficace una volta per tutte un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione della infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche; si conferma altresì l'assenza di volontà di realizzare l'asta digitale in tempi congrui e nel pieno rispetto della legislazione vigente che, come noto, riserva alle tv locali almeno un terzo delle frequenze televisive,
delibera di esprimere

PARERE CONTRARIO.