CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 23 marzo 2011
457.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per le autorizzazioni
ALLEGATO
Pag. 21

ALLEGATO 1

DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI RESE DAL PRESIDENTE NELLA SEDUTA DEL 9 MARZO 2011 (lettera degli onorevoli Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli).

PROPOSTA DI PARERE

Il conflitto d'attribuzione proposto dai Presidenti dei gruppi di maggioranza è inammissibile per diversi ordini di ragioni.

1) Esso viene proposto dai capigruppo di maggioranza con una specifica richiesta scritta, indirizzata al Presidente della Camera dei deputati, oggi all'esame della Giunta per il parere e prende le mosse da un fatto falso.
Infatti, nella lettera si dice che il Presidente del Consiglio ha «chiesto informazioni a un dipendente della questura». Si tratta di un dato che stride con il capo d'imputazione e con la realtà fattuale accertata negli atti allegati alla missiva (v. per tutte dichiarazione dottor Ostuni).
È come se si volesse elevare conflitto sulla base della considerazione che un certo parlamentare fosse in Italia mentre invece si trovava all'estero. Si pensi ancora se un deputato presentasse un'interrogazione parlamentare basata su un fatto palesemente falso o comunque non sorretto da adeguate fonti; oppure se fosse presentata una proposta di legge o una mozione basata su evidenti fraintendimenti di fatto e di diritto. Il Presidente della Camera dichiarerebbe certamente inammissibile l'atto di cui si parla.

2) Il conflitto d'attribuzione è un rimedio istituzionale previsto dall'articolo 134 della Costituzione. Esso si atteggia in due modi:
a) a vindicatio potestatis: in tal caso il potere ricorrente contesta in radice la possibilità che l'altro potere possa intervenire nella materia contestata;
b) a conflitto da menomazione: qui il potere che eleva conflitto non contesta in astratto la spettanza dell'altro potere ma sostiene che - nel caso concreto - le modalità del relativo esercizio siano lesive delle proprie.
Da questo punto di vista, il conflitto nel caso in esame è motivato sulla base della contestazione dell'astratta titolarità del potere di stabilire la ministerialità in capo all'autorità giudiziaria (e cioè come vindicatio potestatis).
Diverso sarebbe stato se il conflitto fosse stato motivato in concreto.
Per esempio, se la magistratura avesse qualificato come comune e non 'ministeriale' il reato dello scandalo Lockheed o il reato di favoreggiamento nei fatti di Sigonella, si sarebbe potuto argomentare che la magistratura aveva in astratto il potere di dire quale reato sia ministeriale o non, ma - nel caso concreto - avrebbe usato male quel potere e avrebbe errato nella qualificazione del fatto.
Ma - si ripete - nel caso Ruby la maggioranza non contesta in concreto l'uso del potere di qualificare i fatti come ministeriali o non; lo contesta in astratto e sostiene che la Camera abbia un potere di filtro preliminare di stabilire se il reato sia pertinente alle funzioni ministeriali o meno.

3) Sotto questo profilo, il conflitto è inammissibile perché tende a sovvertire l'ordine costituzionale, fissato nella riforma dell'articolo 96 della Costituzione, del 1989. Dai lavori preparatori a quella

Pag. 22

legge, nel 1988, si evincono chiaramente tre questioni fondamentali:
i. dopo il referendum sulla c.d. giustizia giusta del 1987, la Commissione inquirente (organo parlamentare di filtro sulle accuse ai ministri) era stata abolita. Si trattava quindi di trovare un nuovo meccanismo per i procedimenti contro i ministri. Si scelse quindi di togliere al Parlamento ogni ruolo di filtro o d'interdizione. Vale la pena peraltro ricordare quello che affermò il deputato Calderisi nella seduta dell'Assemblea del 7 marzo 1988: «oggetto della dura condanna espressa dall'opinione pubblica, anche prima del voto popolare, non era tanto la messa in stato d'accusa da parte del Parlamento in seduta comune o gli altri aspetti successivi del procedimento d'accusa ma era l'operato della commissione inquirente, che in virtù dei suoi poteri non previsti dalla Costituzione, ha operato da porto delle nebbie, da grande insabbiatrice, da ombrello protettore a difesa di tutti i reati commessi dai membri dei Governi. [...] Questa legge così com'è è destinata a riprodurre una situazione di paralisi della giustizia in questa materia [...] è gravissimo che si dia il segnale che la classe politica possa invocare per i suoi ministri non la contestazione di un reato che la magistratura asserisce essere stato compiuto e su cui bisogna indagare ma il diritto di violare la legge. Si stabilisce che coloro che vengono eletti perché attuino le norme possano ergersi al di sopra delle norme stesse»;
ii. il nuovo testo dell'articolo 96 della Costituzione non prevede l'autorizzazione a procedere per qualsiasi reato commesso da un ministro ma solo per quelli commessi da un ministro nell'esercizio delle specifiche funzioni esercitate. La verifica della sussistenza di questo doppio requisito fu affidata alla magistratura. Lo si deduce senza equivoci dall'articolo 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989 e dall'articolo 2 della legge n. 219 del 1989;
iii. nella seduta dell'Assemblea dell'8 marzo 1988, la Camera respinse un emendamento a firma Mellini, Calderisi e altri che volevano prevedere - accanto al meccanismo del «tribunale dei ministri» - la possibilità per il ministro di eccepire la ministerialità e di provocare una pronunzia della Camera d'appartenenza. La reiezione dell'emendamento era significativa della volontà dell'Aula di non concepire altro ruolo per le assemblee parlamentari che quello di autorizzare o meno il procedimento già qualificato dal tribunale dei ministri come ministeriale.

4) Ma il conflitto è inammissibile anche per un quarto motivo: la carenza di un interesse ad agire. È noto il principio di cui all'articolo 100 c.p.c.: per proporre una domanda in giudizio o per contraddire alla stessa occorre avervi un interesse.
È noto al riguardo che l'unico interesse che la Camera potrebbe avere ad elevare conflitto e - dopo averlo vinto - a vedersi chiedere l'autorizzazione per reato ministeriale è quello di ravvisare nella fattispecie sottopostale la ragion di Stato o l'alta discrezionalità governativa di cui all'articolo 9, comma 3, della l. cost. n. 1 del 1989. Solo sulla base di queste due scriminanti (e a maggioranza assoluta dei componenti) la Camera potrebbe denegare l'autorizzazione.
Ma - come giova ripetere - i colleghi Cicchitto e altri non sostengono che il fatto rientrerebbe nella ragion di Stato o nell'alta discrezionalità governativa. Essi, anzi, non solo travisano il fatto (parlano di una semplice richiesta d'informazione e non di un'azione volta alla consegna della Ruby alla consigliera Minetti) ma chiedono che la Camera rivendichi in astratto il potere di qualificare giuridicamente il fatto come reato ministeriale (dunque: una vindicatio potestatis e non un conflitto da menomazione in concreto). Questa tesi è del tutto destituita di fondamento anche alla luce della recente sentenza della Suprema Corte sul caso Mastella, che ha statuito che «il potere di qualificazione del reato, anche con riferimento alla sua natura, ministeriale o meno, spetta sempre all'autorità giudiziaria». E infatti - sempre secondo la sentenza del 3 marzo 2011

Pag. 23

- «l'affermazione della Corte costituzionale, secondo cui all'organo parlamentare non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria, non può essere intesa - così come assume la difesa dell'imputato - nel senso di negare all'autorità giudiziaria procedente la potestà esclusiva di qualificare la natura del reato, ovvero di attribuirla sullo stesso piano al Parlamento».

5) Inoltre, ove si volesse sostenere il potere della Camera di sollevare il conflitto d'attribuzione in via preventiva, si dovrebbe prendere atto del fatto che gli organi giudiziari (il tribunale di Milano, che celebrerà il processo a partire dal 6 aprile) non si sono ancora espressi definitivamente sull'eccezione d'incompetenza sollevata dai difensori del Presidente del Consiglio. Sicché, anche da questo punto di vista, non esiste un interesse attuale della Camera ad agire nel giudizio costituzionale.

6) Infine, non è affatto conducente e persuasivo il riferimento - tanto insistito quanto fallace - che i capigruppo della maggioranza fanno al passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 2009 sulla pretesa potestà della Camera di svolgere una propria e autonoma valutazione della ministerialità.
Infatti, quella frase viene estrapolata e assolutizzata in modo errato, posto che essa si riferisce in realtà alla sola ipotesi del tribunale dei ministri che abbia archiviato - ai sensi dell'articolo 2 della l. n. 219 del 1989 - il fascicolo ministeriale, vuoi per non ministerialità del reato vuoi per ogni altro motivo. La comunicazione alla Camera dell'avvenuta archiviazione (dovuta ai sensi dell'articolo 8, comma 4, l. cost. n. 1 del 1989) infatti è tesa a consentire l'esercizio di un controllo parlamentare o l'elevazione di un conflitto in caso di mancata condivisione della valutazione del Collegio per i reati ministeriali. Si tratterebbe in questo caso non di una vindicatio potestatis ma di un conflitto da menomazione.

In conclusione, tenuto conto degli utili approfondimenti svolti nelle audizioni, la Giunta esprime parere negativo sulla richiesta dei colleghi Cicchitto e altri.

«Lo Presti, Mantini, Dionisi e Consolo»
Roma, 22 marzo 2011.

Pag. 24

ALLEGATO 2

DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI RESE DAL PRESIDENTE NELLA SEDUTA DEL 9 MARZO 2011 (lettera degli onorevoli Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli).

PROPOSTA DI PARERE

La Giunta per le autorizzazioni,
letta la lettera degli onorevoli Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli, trasmessa dal Presidente della Camera il 2 marzo 2011;
udite le comunicazioni del Presidente Castagnetti del 9 e del 16 marzo 2011;
ascoltate le personalità che si sono presentate per l'audizione del 22 marzo 2011;
considerato che:
la lettera si riferisce alla questione dell'eventuale riconduzione dei fatti ascritti al deputato Berlusconi nel procedimento penale pendente a Milano alla sfera delle sue funzioni ministeriali;
la Camera dei deputati - nella seduta del 3 febbraio 2011 - ha disposto la restituzione degli atti alla magistratura milanese perché - a maggioranza e con tre relazioni di minoranza - ne ha sostenuto l'incompetenza funzionale;
nella lettera dei predetti colleghi ci si duole che tale statuizione sia stata ignorata dagli uffici giudiziari milanesi;
nondimeno la lettera medesima incorre in molti errori di fatto e di diritto;
essa travisa il fatto contestato in sede penale al deputato Berlusconi e lo definisce alla stregua di una mera richiesta d'informazioni alla questura di Milano nell'esercizio di funzioni ministeriali;
è invece accertato che nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 il Presidente del Consiglio telefonò o fece telefonare molte volte alla questura di Milano per esercitare pressioni affinché una minorenne (Karima el Marough) in stato di fermo fosse rilasciata e affidata a Nicole Minetti;
tale fatto è certamente riconducibile allo schema - da accertare in concreto - della concussione con abuso della qualità (e non del potere) ai sensi dell'articolo 317 del codice penale;
la stessa documentazione allegata dagli onorevoli Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli smentisce nei fatti la tesi avanzata nella lettera da loro sottoscritta, in particolare che vi fosse il fumus della parentela di Karima con il presidente egiziano Mubarak. Dall'interrogatorio difensivo dell'interprete egiziano - svolto dall'avvocato Dinacci - si capisce che questi non conosceva Karima el Marough e che mai Mubarak ha dato da intendere che sue parenti vivessero in Italia;
del resto nella lettera non si afferma in modo alcuno che il reato contestato sia ministeriale né lo ha affermato alcuna delle personalità interpellate;
nella lettera si contesta soltanto il potere dell'autorità giudiziaria di qualificare il fatto-reato,
come già esposto nella relazione di minoranza del 31 gennaio 2011, il procuratore della Repubblica è un «passacarte» solo se la notizia di reato gli appare concernere la materia dell'articolo 96 della Costituzione (cfr. F. POSTERARO, 1988, p. 100): non deve infatti dimenticarsi che al procuratore della Repubblica

Pag. 25

è riconosciuto il compito di formulare all'avvio del procedimento un preventivo inquadramento giuridico della fattispecie di reato e di compiere una preliminare qualificazione della «ministerialità» di quest'ultimo. Il procuratore della Repubblica ha dunque una «funzione fondamentale di impulso» del procedimento (così D. CENCI, Profili problematici dell'attività del pubblico ministero nei procedimenti d'accusa, in Giur. it., 1997, p. 17): in capo ad esso sussiste un «potere-dovere di formulare un preventivo inquadramento giuridico della fattispecie, con qualche effetto di vincolo - assolutamente non previsto dal legislatore, ma, in realtà, inevitabile - rispetto all'ambito d'azione» del Collegio (così A. TOSCHI, Commento alla l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, in Leg. pen., 1989, p. 493; ma si vedano in tal senso anche le riflessioni di A. CARIOLA, La responsabilità penale del Capo dello Stato e dei Ministri: disegno costituzionale e legge di riforma, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, p. 48; R. ORLANDI, Aspetti processuali dell'autorizzazione a procedere, Torino, 1994, p. 158; A. CIANCIO, Il reato ministeriale. Percorsi di depoliticizzazione, Milano, 2000, p. 215; P. DELL'ANNO, Il procedimento per i reati ministeriali, Milano, 2001, p. 148);
d'altronde, come riconosciuto dalla Corte di cassazione, da un lato «l'obbligo di trasmissione al c.d. tribunale dei Ministri degli atti concernenti i reati indicati nell'articolo 96 della Costituzione previsto dall'articolo 6, l. cost. del 1989 sussiste a condizione che venga ravvisata l'ipotizzabilità di un reato «ministeriale»» (Sez. VI, 6 agosto 1992, n. 3025); dall'altro, «non è configurabile alcuna competenza del [tribunale dei Ministri], allorché non esista, nei loro confronti, una notitia criminis qualificata. Tale verifica spetta, sotto la sua responsabilità, al p.m. pur privo, una volta che abbia ricevuto rapporto, referto o denuncia, di poteri di indagine, spettanti solo al predetto collegio» (Sez. I, 22 maggio 2008, n. 28866). Alla luce delle pronunce richiamate, si ricava che, una volta acquisita una notitia criminis da parte del pubblico ministero nei confronti del Presidente del Consiglio o di un Ministro, la qualificazione circa la natura ministeriale del reato o meno spetta inderogabilmente a lui - non essendovi alcuna sentenza della giurisprudenza di legittimità di contrario avviso;
in definitiva, con la decisione della procura di Milano di non inviare gli atti al tribunale dei Ministri (decisione che, come si è ampiamente dimostrato,rientrava pienamente nelle competenze della procura di Milano), non ha avuto avvio il procedimento per i reati ministeriali indicati nell'articolo 96 della Costituzione ma si è incardinato un procedimento di fronte al giudice ordinario;
quanto poi alla tesi sostenuta dalla maggioranza relativa alla presunta statuizione del diritto delle Camere a un'autonoma e propria valutazione sulla ministerialità o non del reato, contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 2009, si tratta - nel migliore dei casi - di un abbaglio in buona fede; altrimenti di una voluta forzatura;
nella sentenza n. 241 del 2009, la Corte ha solo stigmatizzato il comportamento del tribunale dei ministri di Firenze che era incorso nell'omissione della comunicazione dell'avvenuta archiviazione, prevista dall'articolo 8, comma 4, della l. cost. n. 1 del 1989, che sancisce un obbligo di informazione in capo ad un organo terzo. Tale previsione fa nascere in capo alla Camera il diritto ad essere informata dell'avvenuta archiviazione;
invece nel procedimento di cui ci si occupa non sussiste nessuna attribuzione costituzionale in capo alla Camera. Invano i membri della Giunta hanno chiesto agli esperti auditi di indicare la fonte normativa per avallare la tesi sostenuta dai capigruppo di maggioranza;
tale impostazione è totalmente priva di fondamento, anche alla luce di molte sentenze della Corte di cassazione, da ultimo la n. 10130 dello scorso 3 marzo 2011 (VI sezione) che afferma: «l'obbligo

Pag. 26

informativo (nei confronti della Camera: n.d.r.) non è richiesto né dalla legge, né dalla sentenza n. 241/2009. ciò proprio perché, non essendo mai stato chiamato in causa il collegio per i reati ministeriali, non è neppure profilabile un interesse giuridicamente qualificato e, per di più, attuale della Camera di appartenenza dell'inquisito ad interloquire all'interno del procedimento, non venendo in considerazione la natura ministeriale del reato, ma soltanto la qualità soggettiva dell'imputato; una qualità da sola irrilevante al fine dell'esercizio dei poteri di cui all'articolo 9, comma 3, della legge cost. n. 1 del 1989». E aggiunge la S.C.: «Ne deriva allora che il "coinvolgimento" parlamentare 'per via istituzionale ed in forma ufficiale' è ipotizzabile, nello specifico, solo in presenza dell'archiviazione, soprattutto quella c.d. asistematica, disposta dal collegio per i reati ministeriali». Con il che è la stessa S.C. ad escludere che nella specie si possa ragionare a fortiori, argomentando dalla sentenza n. 241 del 2009;
peraltro, è ictu oculi errato contestare alla giurisdizione il potere di interpretare i fatti e le norme, giacché questo significa contestare in radice l'esistenza del potere giurisdizionale;
il conflitto quindi appare del tutto inammissibile, anche alla luce di quanto correttamente affermato dal professor Pace nell'audizione del 22 marzo 2011, presso la Giunta delle autorizzazioni riguardo alla tesi fatta propria dal Senato, secondo la quale anche i rapporti, i referti e le denuncie concernenti reati extrafunzionali commessi dal Presidente del Consiglio e dai ministri dovrebbero essere trasmessi al tribunale dei ministri. Tale tesi urta infatti non solo contro la lettera degli articoli 96 della Costituzione e 6, commi 1 e 2, della l. cost. n. 1 del 1989 ma anche contro il nuovo articolo 68, comma 2, della Costituzione, il quale ha escluso in via generale la previa autorizzazione a procedere. Opinando come ha fatto il Senato, l'autorizzazione a procedere verrebbe fatta surrettiziamente rivivere con riferimento a tutti i reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai ministri;
per quanto riguarda la presunta menomazione delle attribuzioni della Camera dei deputati da parte della procura di Milano, per la omessa trasmissione degli atti al tribunale dei Ministri, il pregiudizio per la Camera dei deputati è solo indiretto. Ad essere pregiudicato è infatti un terzo organo dello Stato, il tribunale dei Ministri, il quale non è stato investito di alcun reato e quindi non ha nessun titolo per lamentare una qualsiasi sua menomazione. In ogni caso non si tratterebbe certo di un conflitto di attribuzione ma solo di un conflitto di competenza interno all'ordine giudiziario:

ESPRIME PARERE CONTRARIO ALLA LEVATA DEL CONFLITTO.

«Samperi, Palomba, Ferranti,
Rossomando e Turco».
Roma, 23 marzo 2011.

Pag. 27

ALLEGATO 3

DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI RESE DAL PRESIDENTE NELLA SEDUTA DEL 9 MARZO 2011 (lettera degli onorevoli Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli).

PROPOSTA DI PARERE

La Giunta per le autorizzazioni,
presa cognizione della lettera dei deputati Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli - Presidenti, rispettivamente, dei Gruppi parlamentari del Popolo della libertà, della Lega nord Padania e di Iniziativa responsabile - pervenuta al Presidente della Camera il 1o marzo scorso e da questi trasmessa, secondo prassi, alla Giunta per le autorizzazioni al fine di acquisirne le relative valutazioni, nonché dei relativi allegati;
posto che, con tale lettera, si sottopone alla valutazione del Presidente della Camera e della Camera nel suo complesso di accertare «la sussistenza delle condizioni per sollevare un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale, a tutela delle prerogative della Camera, lese - secondo quanto sopra illustrato - dall'operato omissivo della magistratura procedente (procura della Repubblica e giudice per le indagini preliminari di Milano) che sta procedendo nei confronti dell'onorevoli Silvio Berlusconi»;
svolto l'esame della questione nelle sedute del 9, 16, 22 e 23 marzo, comprendente, fra l'altro, alcune audizioni informali di esperti di diritto costituzionale;
condivise integralmente le considerazioni contenute nella lettera;
condivisa la preoccupazione, espressa nella lettera dei richiedenti, che una rinuncia da parte della Camera ad una ferma reazione di fronte a questa lesione delle sue prerogative possa introdurre, se trascurata e ripetuta, «una modifica implicita della Costituzione quanto ai rapporti fra poteri dello Stato»;
ribadita la necessità di una presa di posizione da parte dell'Assemblea della Camera - in quanto sede ultima delle decisioni della Camera medesima, in particolare quando tali decisioni involgono rapporti con altri poteri dello Stato - attraverso una iniziativa coerente e conseguente rispetto alle precedenti deliberazioni da essa stessa assunte nella seduta del 3 febbraio 2011, sorrette da valutazioni poi del tutto ignorate dai giudici;
esprime il convincimento che la Camera, a tutela delle sue prerogative costituzionali, debba elevare un conflitto d'attribuzioni nei confronti dell'Autorità giudiziaria di Milano, essendo stata da quest'ultima lesa nella sfera delle sue attribuzioni riconosciute dall'articolo 96 della Costituzione.

«Paniz, Paolini».
Roma, 23 marzo 2011.