CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 23 marzo 2011
457.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Bilancio, tesoro e programmazione (V)
ALLEGATO
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ALLEGATO

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi (COM(2011)11 definitivo).

PROPOSTA DI DOCUMENTO FINALE

Premessa

La Commissione bilancio ha svolto l'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'Analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi, COM(2011)11 definitivo, pubblicata il 12 gennaio 2011, che rappresenta il primo atto della procedura relativa al semestre europeo, avviato per la prima volta nell'anno in corso sulla base di una decisione del Consiglio Ecofin del 7 settembre 2010.
In merito ai temi oggetto della Comunicazione la Commissione bilancio ha già avuto modo di esprimersi attraverso la risoluzione Toccafondi (8-00095), approvata il 12 novembre 2010, a conclusione dell'esame del progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020, nonché, congiuntamente con la Commissione politiche della Unione europea, attraverso il documento finale relativo alle proposte di atti normativi dell'Unione europea sulla riforma della governance economica approvato nella seduta del 10 dicembre 2010.
Nel corso dell'esame dell'analisi annuale della crescita, la Commissione bilancio ha acquisito informazioni ed elementi di valutazione attraverso le audizioni del presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, dell'amministratore delegato di Enel S.p.A., Fulvio Conti, dell'amministratore delegato di Finmeccanica S.p.A., Pier Francesco Guarguaglini, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL, del direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, dell'amministratore delegato di ENI S.p.A., Paolo Scaroni, di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Casartigiani e CNA, del presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, Antonio Marzano, del professor Franco Bruni, ordinario di teoria e politica monetaria internazionale. Come richiesto dalla Commissione bilancio, dando luogo ad una procedura innovativa, sulla Comunicazione hanno inoltre espresso un parere - oltre alla Commissione politiche dell'Unione europea - la Commissione affari esteri, difesa, finanze, cultura, ambiente, attività produttive e agricoltura.

I contenuti dell'analisi annuale della crescita

L'analisi annuale della crescita è composta da una parte generale, ove sono delineate le dieci azioni ritenute prioritarie per l'economia europea, da una relazione sui progressi compiuti per quanto riguarda l'attuazione della strategia per la crescita e l'occupazione Europa 2020, da una relazione che illustra le prospettive macroeconomiche e indica le misure più

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idonee a produrre effetti favorevoli alla crescita e da un progetto di relazione comune sull'occupazione.
La Commissione europea osserva come prerequisiti fondamentali per la crescita siano l'attuazione di un risanamento di bilancio rigoroso, la correzione degli squilibri macroeconomici e la garanzia della stabilità del settore finanziario. Nella relazione macroeconomica vengono esaminate le politiche da attuare per il risanamento della finanza pubblica ed è inoltre posto l'accento sulle riforme strutturali necessarie per correggere gli squilibri macroeconomici e consentire la crescita. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, si pone l'accento, in particolare, sulla riforma dei sistemi pensionistici, sul reinserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro e sulla conciliazione di sicurezza e flessibilità. Con riferimento alle politiche volte ad accelerare la crescita, la Commissione europea raccomanda di sfruttare le potenzialità del mercato unico, attrarre capitali privati e creare un accesso all'energia a costi inferiori agli attuali.
La relazione sulla strategia Europa 2020 reca, tra l'altro, una valutazione dei progetti dei Programmi nazionali di riforma (PNR) presentati dagli Stati membri nel mese di novembre. La Commissione rileva come i PNR riservino scarsa attenzione alle riforme strutturali e l'azione strategica venga illustrata in modo assai vago. Osserva inoltre come gli scenari macroeconomici risultino eccessivamente ottimistici a fronte di scenari occupazionali eccessivamente pessimistici perché influenzati da fattori negativi a breve termine. La relazione rileva quindi come la maggior parte degli Stati membri incontri seri problemi nella riduzione dei disavanzi strutturali e nel migliorare il rapporto debito/PIL, evidenzi un indebitamento eccessivo delle famiglie e la necessità di un'efficace vigilanza sul sistema bancario. Tutti gli Stati membri concordano in merito alla necessità di promuovere la capacità di innovazione e di investire sul capitale umano, riconoscono inoltre che occorre migliorare le condizioni della domanda interna mediante l'adeguamento dei salari e dei prezzi relativi, nonché la partecipazione al mercato del lavoro e le condizioni di occupazione.

Implicazioni generali per l'Italia

Il semestre europeo e, in particolare, l'analisi annuale della crescita rappresentano per l'Italia l'occasione per un'attenta messa a punto della politica di bilancio e della politica economica nazionali in una prospettiva di medio termine, volta a consolidare la ripresa dell'economia, incrementare la produttività e la crescita e accelerare il risanamento della finanza pubblica.
Sul piano generale, sembra sussistere una piena coincidenza tra istanze e obiettivi della strategia europea e istanze e obiettivi da perseguire nell'interesse dell'Italia, a partire dall'evidenziazione del nesso esistente tra stabilità finanziaria e crescita economica. Il vincolo esterno rappresentato dall'Unione europea si rivela, anche in questo caso, di carattere virtuoso ed idoneo ad orientare nella giusta direzione le politiche nazionali, finalizzandole ad affrontare quei nodi che sono all'origine delle attuali difficoltà economiche e sociali. Occorre tuttavia assicurare che il percorso che l'Italia dovrà intraprendere nel contesto europeo tenga conto, nei tempi e nelle modalità di attuazione, delle peculiarità del nostro Paese e consenta di verificare con attenzione l'impatto delle singole scelte.
Nel corso dell'esame della Comunicazione, la Commissione bilancio ha avuto modo di affrontare tutte le diverse tematiche oggetto dello stesso e che attengono peraltro ai contenuti che, nel quadro della nuova governance economica europea, dovranno assumere i Programmi di stabilità e convergenza e i Programmi nazionali di riforma.

La finanza pubblica

Per quanto riguarda i problemi di risanamento della finanza pubblica, è opinione

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diffusa, a livello internazionale ed europeo, che l'Italia abbia assorbito con successo gli effetti della crisi economica, mantenendo sotto controllo i conti pubblici e deviando nella misura strettamente necessaria dal perseguimento degli obiettivi originariamente concordati in sede europea. La fiducia nutrita dai mercati nei confronti dello stato della finanza pubblica e nella possibilità per l'Italia di portare a compimento il risanamento finanziario è dovuta anche alla solidità del sistema bancario e creditizio e alle dimensioni contenute del debito privato. Per queste ragioni, le modifiche e le integrazioni al Patto di stabilità e crescita e le nuove disposizioni in materia di sorveglianza sugli squilibri macroeconomici in via di definizione in ambito europeo appaiono in linea con gli orientamenti in materia di politica di bilancio adottati a livello nazionale.
In questi mesi si è molto discusso in sede europea riguardo all'opportunità di prevedere una disciplina automatica o discrezionale in materia di riduzione dei deficit e dei debiti dei Paesi membri. L'Italia potrebbe guardare con favore ad una disciplina con un elevato grado di automaticità applicata a livello comunitario che non comporti l'adozione di piani di rientro uguali per tutti, ma rispetti le condizioni specifiche di ciascun Paese e si accordi con i suoi programmi di riforma. Andrebbe, in particolare, tenuto conto delle condizioni di equilibrio finanziario del nostro settore privato, ossia del risparmio, del debito e della ricchezza delle famiglie e delle imprese, nonché della liquidità e della solvibilità degli intermediari finanziari. I piani di rientro andrebbero definiti ex ante in modo trasparente e dovrebbero basarsi su regole certe, definite secondo il metodo comunitario. Sembrerebbe inoltre opportuno introdurre meccanismi non solo di tipo sanzionatorio, ma anche premiali, al fine di indurre i singoli Paesi a concentrarsi, oltre che sul quantum della riduzione della spesa pubblica, sulla qualità della medesima, privilegiando riduzioni della spesa corrente mirate e selettive e, con il coinvolgimento delle parti sociali, gli interventi strutturali, i quali, pur producendo importanti risparmi di spesa nel medio e nel lungo periodo, richiedono nella fase iniziale taluni investimenti. A tale riguardo, va sottolineato come risulterebbe del tutto coerente con il nuovo modello di governance introdurre regole che consentano di affiancare al risanamento dei bilanci oculate politiche di investimenti.
È opportuno sottolineare, infatti, che, specialmente nella presente congiuntura economica e finanziaria, la sostenibilità dei bilanci pubblici passa ineludibilmente attraverso il raggiungimento di adeguati obiettivi di crescita del prodotto interno lordo e, pertanto, alla definizione di nuove e più severe regole in materia di debito e di deficit, si devono necessariamente accompagnare misure di sostegno allo sviluppo economico. A tale ultimo riguardo è possibile, in particolare, immaginare il ricorso a strumenti diversi e già ipotizzati, a partire dall'introduzione di una golden rule per gli investimenti nazionali in ricerca e infrastrutture sino all'emissione di eurobond per finanziare il perseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020.
Poiché nel medio termine si prevede per il nostro Paese una crescita moderata, è verosimile che gli obiettivi di correzione strutturale e di riduzione del debito pubblico determinino la necessità di ridurre la percentuale della spesa corrente rispetto al PIL e il conseguimento di consistenti avanzi primari.

Le riforme strutturali

La priorità che, anche nei prossimi anni, dovrà essere data all'obiettivo del risanamento della finanza pubblica renderà difficile destinare risorse aggiuntive agli investimenti volti ad aumentare la competitività e la produttività. È quindi essenziale definire quanto prima quelle riforme strutturali ritenute in grado di fornire un contributo significativo alla crescita dell'economia nazionale.
Per aumentare la competitività del nostro sistema produttivo è necessario completare

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la riforma della pubblica amministrazione puntando sulla semplificazione, sullo snellimento delle procedure e sulla riduzione degli oneri burocratici. La semplificazione, a livello legislativo ed amministrativo, deve realizzarsi con modalità convergenti a livello nazionale e locale. Tra gli interventi possibili vanno evidenziati: una riforma della conferenza dei servizi volta a ridurre i tempi procedimentali; la trasformazione dello sportello unico delle attività produttive in una struttura amministrativa in grado di gestire, attraverso un unico procedimento, tutte le procedure relative alle imprese; la riduzione degli oneri amministrativi in materia di fisco, previdenza, appalti, ambiente, lavoro ecc.; la valutazione sistematica dell'impatto della regolamentazione sul tessuto produttivo; la previsione di tempi certi per il riconoscimento dei diritti e l'avvio di nuove attività.
Una indubbia centralità assume inoltre per il sistema produttivo la riforma del sistema giudiziario civile che dovrebbe garantire la tutela dei diritti in tempi certi e ragionevoli e con modalità tali da non compromettere i rapporti imprenditoriali. Occorrerebbe inoltre eliminare gli incentivi ad agire in giudizio, incentivare la produttività dei giudici e una gestione più orientata ai risultati degli uffici giudiziari, nonché promuovere strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie. Tali obiettivi sono stati in parte perseguiti dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, e dal decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
Particolare attenzione occorre inoltre riservare al fenomeno dei ritardi dei pagamenti nei confronti delle imprese da parte di privati ma, soprattutto, delle pubbliche amministrazioni, che rappresenta il maggior fattore anticompetitivo per le piccole e medie imprese. In materia si dimostra inefficace la disciplina prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, di recepimento della direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000, che ha introdotto la presunzione di termini per il pagamento, quando non espressamente contemplati dalle parti, e disposto l'applicazione di interessi moratori particolarmente onerosi. Nella prassi ha infatti prevalso l'esigenza, da parte delle piccole e medie imprese, di preservare le relazioni commerciali nonché i tempi della giustizia civile che vanificano qualsiasi forma di tutela. Si attende adesso, entro il 2013, il recepimento della direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, che prevede un termine massimo pari a 60 giorni per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, il cui recepimento lascerebbe peraltro aperto il problema degli effetti deterrenti conseguibili solo attraverso una riduzione dei tempi per ottenere giustizia.
Alcuni degli interventi che sono stati sin qui prospettati sono contenuti nella proposta di legge «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese» (C. 2754), approvata dalla Camera ed attualmente all'esame del Senato.
Positivi effetti sistemici avrebbe inoltre una riforma delle professioni che introducesse una regolamentazione aperta e flessibile che, sulla scorta di quanto avviene in altra Paesi europei, renda operative discipline alternative delle attività professionali al fine di assicurare una maggiore competitività dell'Italia nell'economia globale. La nuova normativa dovrebbe essere diretta a valorizzare e internazionalizzare i professionisti italiani, mettendoli nelle condizioni di competere con le società di consulenza e gli studi professionali esteri diffusamente presenti sul territorio nazionale.
La Comunicazione della Commissione europea pone inoltre l'accento sulla necessità di riformare i sistemi previdenziali, al fine di favorire una maggiore durata della vita lavorativa. A tal proposito, l'Italia ha già adottato significative riforme strutturali, a partire dall'introduzione del sistema contributivo nel 1995, e recentemente ha provveduto all'introduzione di meccanismi volti ad aumentare l'età pensionabile e il criterio di calcolo della pensione, in ragione dell'aspettativa di vita, al fine di mantenere in equilibrio costante il sistema, come riconosciuto anche dalle Istituzioni europee. In tale quadro, occorre tuttavia dare un impulso alla realizzazione di un efficiente sistema di previdenza

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complementare, anche al fine di evitare l'aumento, in prospettiva, dei livelli di povertà della popolazione.

La questione energetica

Nell'esame delle misure a sostegno della crescita la Comunicazione della Commissione europea individua una specifica azione riferita alla creazione di un accesso all'energia economicamente efficiente, sottolineando come, da un lato, il prezzo dell'energia rappresenti una voce fondamentale dei costi delle imprese e, dall'altro, per i consumatori le bollette energetiche costituiscano, specialmente per le famiglie a basso reddito, una voce importante del bilancio familiare. Il particolare rilievo del settore energetico è, del resto, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, che attribuisce particolare rilevanza all'utilizzo efficiente delle risorse energetiche e alla riduzione delle emissioni di carbonio, fissando come obiettivo dell'Unione Europea per il 2020 il raggiungimento dei traguardi «20/20/20» in materia di clima ed energia, particolarmente ambiziosi per il nostro paese che partiva da una situazione di minore produzione di inquinamento rispetto ad altri partner europei.
In questo contesto, l'Italia sconta tuttavia alcune deficienze strutturali, dovute essenzialmente alla scarsa disponibilità nel territorio nazionale di fonti di energia primaria ed alle scelte di approvvigionamento energetico fatte in passato. L'effetto di questa situazione è che l'Italia registra una bassa competitività dei prezzi dell'energia rispetto ai principali partner continentali, che può, quindi, essere attributo in primo luogo alla più elevata dipendenza dagli approvvigionamenti dall'estero e allo sbilanciamento delle fonti di approvvigionamento, tra le quali predominano il gas e il petrolio. Non mancano, tuttavia, ulteriori fattori di debolezza del nostro sistema energetico, che è caratterizzato dalla presenza di un ritardo in termini di infrastrutture di trasporto e di stoccaggio, che ha contribuito a determinare lo sviluppo di un mercato nel quale si registrano differenze, talvolta anche sensibili, dei prezzi praticati a livello territoriale.
A fronte di tale situazione, l'Italia dovrebbe proseguire sulla strada di una maggiore indipendenza e diversificazione nella produzione dell'energia, al fine di contenere il rischio derivante da eventuali crisi, anche di natura politica, negli Stati fornitori, tenendo comunque conto dell'impatto ambientale delle scelte compiute. In tale quadro, occorrerebbe sviluppare, anche nell'utilizzo delle fonti tradizionali, tecnologie che ne riducano fortemente le emissioni nocive, come nel caso delle centrali elettriche a carbone «pulito».
La bozza di Programma nazionale di riforma, presentato a novembre dal Governo, prevedeva un forte impulso nella direzione della reintroduzione della tecnologia nucleare per la produzione dell'energia. A tal proposito, anche alla luce delle recenti decisioni assunte da diversi paesi europei, in conseguenza della tragedia giapponese, appare apprezzabile la posizione del Governo di svolgere una riflessione estremamente approfondita sulla sicurezza delle centrali nucleari, al fine di evitare ogni rischio per la salute dei cittadini.
Con riferimento alle fonti energetiche rinnovabili, ferma restando l'opportunità di una politica incentivante per tale settore, è necessaria una revisione della medesima volta a favorire, in linea con la normativa europea, il costante aggiornamento tecnologico delle imprese operanti nel comparto e la riduzione del prezzo dell'energia, garantendo un carattere il più possibile stabile alle diverse forme di incentivo, al fine di dare alle imprese un orizzonte di programmazione sufficiente. A tal proposito, si potrebbe valutare anche un maggiore utilizzo di fonti rinnovabili come quelle idroelettriche, termiche e quelle derivanti dalle biomasse.
Al fine di ridurre i costi dell'energia e quindi lo squilibrio competitivo che grava sul nostro paese ed a complemento delle politiche finalizzate alla maggiore indipendenza e diversificazione delle fonti energetiche,

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occorre favorire il constante sviluppo di nuove tecnologie e proseguire la liberalizzazione dei mercati.

Ricerca e innovazione

È auspicabile che nella versione definitiva del PNR che verrà presentata nel mese di aprile venga individuato un obiettivo in termini di spese per la ricerca e lo sviluppo più prossimo all'obiettivo del 3 per cento del PIL individuato nell'ambito della strategia Europa 2020. Il tema della ricerca e dell'innovazione non può tuttavia essere declinato solo in termini quantitativi. Appare generalizzata, e del tutto comprensibile, la richiesta da parte delle imprese di potere disporre di incentivi di carattere automatico, in particolare attraverso i crediti di imposta, che diano precise garanzie in termini di ritorni attesi dagli investimenti. Un esito piuttosto deludente ha invece avuto l'assegnazione fondi per la ricerca e lo sviluppo tramite bandi, che hanno tempi di erogazione incompatibili con le dinamiche imprenditoriali.
Andrebbe tuttavia anche valutata con maggiore attenzione l'opportunità di promuovere la crescita in settori strategici per il futuro del nostro sistema produttivo. In un quadro di collaborazione tra settore pubblico e privato, potrebbero essere in particolare individuate le aree in cui appare più urgente una ristrutturazione del sistema produttivo, da attuare attraverso l'innovazione e finalizzata alla crescita della produttività. Andrebbero, in particolare, rafforzati i punti di forza dei settori high-tech, favorite nuove specializzazioni produttive e stimolati gli investimenti in ricerca e sviluppo anche nei settori tradizionali. In questo modo potrebbe essere tra l'altro favorita l'ascesa di nuove imprese a più alto contenuto tecnologico, evitando che l'economia nazionale divenga eccessivamente dipendente da prodotti tradizionali e da settori a bassa produttività. Ciò presuppone una distribuzione mirata delle risorse disponibili idonea a garantire un ritorno più significativo in termini di innovazione e, indirettamente, di competitività sui mercati internazionali. Non potrebbe, infine, essere trascurato lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che hanno un effetto moltiplicatore degli investimenti.
Sotto un altro aspetto, andrebbero approfondite le ragioni del modesto concorso dei capitali privati alla spesa per la ricerca e lo sviluppo, verificando in quale misura ciò sia dovuto alle caratteristiche del sistema produttivo ove predominano le piccole e medie imprese. Per quanto riguarda le piccole e medie imprese andrebbe superato il concetto di settori innovativi, prendendo atto di come l'innovazione afferisca oramai a filiere, reti e processi trasversali multisettoriali. Ciò suggerisce tra l'altro la creazione di punti di accesso e di condivisione delle conoscenze (imprese, università, reti di centri di competenze), nonché la valorizzazione delle innovazioni che si sviluppano all'interno di aggregazioni imprenditoriali.
Sul piano istituzionale, andrebbe sottoposta ad un'attenta verifica l'attuale articolazione delle competenze tra Stato e regioni al fine di verificare se essa, per le modalità attraverso le quali si manifesta, possa ritenersi in grado di assicurare un'efficiente allocazione delle risorse e la definizione di politiche nazionali efficaci e coerenti.

Il mercato del lavoro

Dalla Comunicazione in esame emerge con forza la necessità di adottare politiche che aumentino il potenziale di crescita dell'economia italiana attraverso incrementi della produttività. Tale obiettivo può essere perseguito realizzando una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro. In Italia si è fino ad oggi investito soprattutto sulla flessibilità esterna, che consente di variare il numero dei lavoratori occupati ricorrendo al mercato del lavoro esterno all'impresa. Tratto tipico di questa forma di flessibilità è la temporaneità dell'impiego dei lavoratori, che si realizza attraverso un'articolata tipologia di contratti di

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lavoro (co.co.co, contratti a progetto ecc.), l'utilizzo di lavoratori forniti da agenzie di somministrazione, l'attenuazione dei vincoli relativi ad assunzioni e licenziamenti. La crisi economica ha dimostrato la particolare vulnerabilità dell'occupazione atipica e l'ampliamento dell'occupazione si e rivelato limitato al breve periodo. Inoltre, riducendo il costo del lavoro rispetto a quello del capitale, ha diminuito la propensione delle imprese all'innovazione attraverso gli investimenti e ha comportato una riduzione della dotazione di capitale per lavoratore.
Andrebbe a questo punto valutato se non incentivare piuttosto, sul modello tedesco, la flessibilità interna all'impresa nella duplice forma della flessibilità numerica e della flessibilità funzionale. La prima si basa sulla capacità di variare le modalità di impiego dei lavoratori adeguando l'orario di lavoro alle esigenze produttive, attraverso strumenti quali gli straordinari, i turni aggiuntivi, il part-time. La seconda consente alle aziende di adattare l'organizzazione del lavoro ai cambiamenti del mercato, spostando i lavoratori tra differenti attività e compiti all'interno dell'azienda. In Germania il ricorso alla flessibilità interna ha consentito di affrontare la crisi economica essenzialmente attraverso una riduzione del numero di ore lavorate per addetto ed ha inoltre sostenuto l'accumulazione di capitale e l'innovazione, determinando un significativo incremento del tasso medio di crescita della dotazione di capitale innovativo.
È auspicabile che le relazioni industriali si sviluppino in senso collaborativo e partecipativo coinvolgendo in maniera crescente le rappresentanze dei lavoratori nelle problematiche attinenti alla gestione delle imprese. Le parti sociali dovrebbero affrontare inoltre i temi dello sviluppo territoriale, del rapporto tra impresa, lavoratori e territori, approfondendo le condizioni in termini di infrastrutture, trasporti, servizi locali, formazione e amministrazioni pubbliche in cui viene esercitata l'attività imprenditoriale.
Ad oggi per l'Italia l'obiettivo di un tasso di occupazione pari al 75 per cento definito nel quadro della strategia Europa 2020 appare, per un insieme di fattori che attengono alle condizioni del sistema economico e produttivo, assai ambizioso. Nello schema di Piano nazionale di riforma è stato individuato l'obiettivo del 65/69 per cento che potrà essere rivisto al rialzo solo sulla base dell'andamento di un complesso di variabili che non attengono solo al mercato del lavoro. In questo quadro, destano preoccupazione i dati relativi alla disoccupazione giovanile, che nelle più recenti rilevazioni dell'ISTAT supera il 29 per cento, con punte significativamente maggiori nelle regioni del Mezzogiorno. A tal proposito, occorrerebbe razionalizzare i meccanismi di incentivazione all'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, evitando frammentazioni, e sviluppando anche gli istituti contrattuali a tal fine previsti dall'ordinamento.

Istruzione e formazione

La marcata tendenza all'invecchiamento della popolazione, il protrarsi della vita lavorativa e la necessità di competere utilizzando nuove tecnologie e concentrandosi sulle produzioni più avanzate impone di privilegiare gli investimenti nel capitale umano, quale fattore essenziale per il futuro del Paese, nell'istruzione e nella formazione, con l'obiettivo di incrementare il numero dei laureati, la cui incidenza è percentualmente inferiore, e il divario continua ad aumentare, rispetto a quello che si registra nei Paesi avanzati, ma anche di rafforzare la qualità del ciclo dell'obbligo scolastico e di assicurare la formazione permanente dei lavoratori. In particolare, occorre colmare il divario tra ciò che si impara a scuola e quanto viene richiesto dal mondo del lavoro.
Nell'ambito della strategia Europa 2020 sono stati definiti due obiettivi in materia di istruzione: un livello di istruzione terziaria pari al 40 per cento e un tasso di abbandono scolastico non superiore al 10

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percento. In entrambi i casi, lo schema di Piano nazionale di riforma presentato dal Governo nello scorso mese di novembre stabilisce due obiettivi di livello inferiore: il 26-27 per cento per l'istruzione terziaria ed il 16 per cento per l'abbandono scolastico. L'Italia, in realtà, denuncia livelli di istruzione assai più bassi della media europea. La quota di popolazione che ha completato l'istruzione secondaria è di 18 punti percentuali inferiore alla media OCSE mentre i possessori di un titolo di studio universitario risultano la metà rispetto a tale media. In Italia, tuttavia, nella scuola secondaria la spesa per studente è superiore a quella della media OCSE mentre quella per studente universitario è inferiore ma solo qualora si considerino anche il 33 per cento degli studenti fuori corso. Anche nell'ambito dell'istruzione sembra esservi dunque spazio per riforme di natura strutturale che promuovano la qualità dell'istruzione e il merito con riferimento sia agli studenti che al corpo docente.