CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 9 marzo 2011
450.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
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ALLEGATO

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PROPOSTE DI MODIFICA ALLO SCHEMA DI DECRETO PRESENTATE DAL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

La nostra valutazione è che l'attuazione della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale continua a procedere per compartimenti stagni, i quali non comunicano tra loro, senza una cornice unitaria che faccia da collante.
Lo schema di decreto legislativo relativo al fisco regionale e provinciale e ai costi e fabbisogni standard in sanità nasce dentro questo contesto monco e distorto, nonostante l'intesa sancita in Conferenza unificata il 16 dicembre 2010 che modifica in positivo il testo originario. Molte parti fondamentali della legge risultano ancora non attuate. Lo schema di decreto è condizionato anche dal precedente decreto legislativo, quello sul fisco municipale, respinto in Commissione parlamentare per il federalismo fiscale, per il quale il Governo è stato costretto ad attivare la procedura di comunicazioni alle Camere prevista dalla legge.
La mancanza di qualunque forma di coordinamento tra i due decreti legislativi è già un limite molto grave.
Vi è poi un altro difetto fondamentale. Il testo dello schema di decreto legislativo non tiene conto, al pari degli altri atti proposti dal Governo, del legame fra i livelli essenziali delle prestazioni e i fabbisogni standard nei servizi essenziali erogati da Regioni ed enti locali. È un grande buco nero nell'attuazione della legge n. 42, poiché rende impossibile definire le modalità di finanziamento per settori di importanza strategica, come l'assistenza, la non autosufficienza, l'istruzione, il diritto allo studio, il trasporto pubblico locale, le funzioni fondamentali di comuni e province.
Il testo non tiene neanche conto, sempre seguendo in ciò l'errore originario di tutti gli atti finora proposti dal Governo, dei meccanismi dinamici di adeguamento e di aggiustamento del «welfare locale» contenuti nella legge n. 42 e nella legge n. 196 del 2009 di riforma della contabilità e della finanza pubblica (coordinamento dinamico fra finanza locale e finanza centrale, obiettivi di servizio, patto di convergenza, adeguamento a costi e fabbisogni standard, eccetera).
Lo schema di decreto legislativo non affronta il vero «cuore» della legge n. 42, e cioè come ottenere più efficienza nell'erogazione dei servizi, attraverso il metodo dei costi standard, come ottenere più efficacia, attraverso il metodo dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi di servizio, e come gestire dinamicamente il rapporto fra efficienza ed efficacia, attraverso l'utilizzo, ad esempio, dei risparmi derivanti dai costi standard per migliorare le prestazioni nei settori e/o nei territori dove i servizi sono sottodimensionati.
Si tratta di una mancanza che ha ricadute operative rilevanti e concrete, che rendono impossibile l'attuazione di quanto previsto nella legge n. 42. Un solo esempio: poiché nella legge delega i meccanismi di finanziamento sono differenti a seconda che i servizi siano «essenziali» o «non essenziali», è cruciale conoscere la ripartizione

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fra le due categorie degli attuali trasferimenti erariali alle Regioni. Questa ripartizione, invece, è tuttora sconosciuta. E ciò ha effetti negativi sui meccanismi di finanziamento e sui fondi perequativi, e a questo le nostre proposte cercano di porre rimedio.
Il Parlamento viene sostanzialmente chiamato ad esaminare lo schema di decreto legislativo al buio. Non sappiamo se si tratta di fiscalizzare trasferimenti per 6,4 miliardi circa, come quantificato dalla COPAFF con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, o per meno di 2 miliardi, considerando i 4,5 miliardi di tagli del decreto legge n. 78 del 2010 e l'esclusione dei trasferimenti in conto capitale. Non sappiamo inoltre in che misura i capitoli dei trasferimenti che si andranno a fiscalizzare sono attualmente destinati a funzioni LEP o non LEP, né è nota la distribuzione territoriale delle risorse che saranno oggetto di sostituzione con l'addizionale IRPEF.
Se queste informazioni di base non si possono avere allo stato attuale, sarà necessario almeno prevedere che il DPCM che individuerà i trasferimenti da sopprimere sia corredato di una apposita relazione tecnico-illustrativa la quale deve contenere le informazioni sopra menzionate (ricognizione puntuale dei trasferimenti di parte corrente oggetto di soppressione, relativa classificazione tra finanziamenti a funzioni LEP e non LEP e relativa distribuzione territoriale) fornendo altresì elementi informativi sui trasferimenti di parte capitale aventi carattere di generalità e permanenza che potrebbero essere oggetto di fiscalizzazione in una seconda fase di implementazione della riforma. Il DPCM, corredato di relazione, deve essere sottoposto, prima della sua emanazione, all'esame degli appositi organi parlamentari, inclusa la Commissione per il federalismo fiscale.
Questo contesto risulta ulteriormente aggravato a causa degli effetti della manovra di finanza pubblica per il triennio 2011-2013. Il decreto legge n. 78 del 2010, convertito con la legge n. 122, toglie alle Regioni e agli enti locali quasi 7 miliardi nel 2011 e quasi 10 a partire dal 2012, stabilendo peraltro che l'asticella sarà riportata al livello iniziale in occasione dell'attuazione del federalismo (articolo 14, comma 2, ultimo periodo). Ciò non sta avvenendo, e si tratta di una inadempienza grave del dettato di legge, in quanto senza queste risorse le Regioni, ad esempio, si trovano nella impossibilità di finanziare gran parte delle loro competenze ulteriori rispetto alla sanità.
La Conferenza delle Regioni e delle province autonome ha anche denunciato di recente il mancato rispetto da parte del Governo dell'accordo del 16 dicembre scorso, che riguarda in modo particolare il finanziamento del trasporto pubblico locale per il 2011. È necessario che il Governo dia immediata attuazione a quell'accordo, per ripristinare la necessaria collaborazione tra i diversi livelli istituzionali e per consentire una proficua discussione in Commissione dello schema di decreto legislativo.
In base al testo al nostro esame, l'addizionale IRPEF regionale inciderebbe sulla struttura dell'IRPEF (progressività, scaglioni, base imponibile). Questa incidenza, che già oggi esiste, sarebbe molto più negativa in futuro con il potenziale aumento dell'addizionale fino al 4 per cento (1,9 «di base» e 2,1 discrezionale). Il compito dell'addizionale regionale IRPEF non è quello di intervenire sull'equità e sulla redistribuzione del reddito ma quello di fornire alle Regioni un margine sufficiente di «sforzo fiscale locale» cui attingere, se lo ritengono, per il finanziamento dei servizi al di fuori e al di sopra degli standard fissati dai livelli essenziali delle prestazioni.
La facoltà attribuita alle Regioni di ridurre l'IRAP fino ad azzerarla è semplice propaganda, poiché non ne esistono né le condizioni né i presupposti. Altra cosa è prospettare interventi mirati per determinati settori produttivi.
Parti importanti del testo al nostro esame, come quelle relative ai fondi perequativi, sono in realtà la semplice riproduzione delle norme già contenute nella legge delega, e rimandano a ulteriori fonti

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amministrative la loro vera attuazione, con grave danno alla trasparenza e al ruolo del controllo parlamentare. Altre parti, come ad esempio quelle relative al fisco delle Regioni e ai costi standard della sanità, sono molto conservative e inerziali e, a nostro parere, non utilizzano pienamente le vere potenzialità innovative suggerite dalla legge n. 42.
Come è accaduto per i precedenti decreti legislativi, anche questo rischia di essere una scatola vuota, pieno di rimandi a ulteriori decreti, DPCM e atti di natura amministrativa.
Anche la parte relativa alla fiscalità delle province risente del taglio alle loro risorse previsto dal decreto legge n. 78, non consente di avere un reale ambito di autonomia impositiva e non fornisce nessuna indicazione sulla fiscalizzazione delle risorse in conto capitale che Stato e Regioni trasferiscono alle province. La stessa grave carenza vale per i comuni, per i quali il decreto sul fisco municipale, appena approvato, rimanda al futuro la definizione del funzionamento dei fondi perequativi
Il gruppo del Partito Democratico nella Commissione parlamentare per il federalismo fiscale ritiene che siano necessarie profonde modifiche allo schema di decreto attualmente al nostro esame, come condizione per dare effettiva attuazione alla legge n. 42. Perciò, come è accaduto anche per gli altri schemi di decreti legislativi proposti all'attenzione della Commissione, avanza di seguito le proposte che intende sottoporre all'attenzione degli altri gruppi parlamentari e del Governo.
Siamo comunque d'accordo, com'è stato proposto nel corso delle audizioni in Commissione, sull'inserimento in questo decreto legislativo delle norme per l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

1. Livelli essenziali delle prestazioni

Proponiamo di definire una procedura per la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori che ne sono ancora privi (assistenza, istruzione, trasporti pubblici locali, eventuali altri settori). I LEP vanno definiti indipendentemente dal livello di governo che concretamente fornisce o fornirà i servizi corrispondenti, siano essi le Regioni o gli enti locali. Ciò crea più di un problema nel settore delle politiche sociali, dove convivono interventi di tutti i livelli di governo, ma occorre affrontare il problema e avviare le procedure e le metodologie per risolverlo.
La nostra proposta si articola in tre punti:
a) Definire le metodologie. Per ciascun settore vanno individuate macro-aree omogenee dal punto di vista delle tecnologie e dell'organizzazione per l'offerta dei servizi, e va fatta una ricognizione dell'esistente, in termini quantitativi e di quanto già riconosciuto dalle leggi regionali. Ad esempio non è conosciuto con esattezza neppure l'ammontare globale della spesa pubblica per assistenza. In ciascuna macro-area vanno poi definiti indicatori di costo standard, di livello delle prestazioni, di appropriatezza, oltre che indicatori per il monitoraggio e la valutazione. Sulla base di queste analisi si possono determinare i fabbisogni standard. A questo scopo, così come nel decreto sui fabbisogni standard di comuni e province si è affidato un compito di ricerca analitica a SOSE-IFEL, proponiamo di affidare con questo decreto il medesimo compito a ISTAT, di concerto con la struttura tecnica della Conferenza Stato-regioni che già si occupa di valutazioni analoghe per la sanità. Nei settori e nelle macro-aree in cui coesistono interventi di Regioni, di comuni e province, l'analisi che sta svolgendo SOSE-IFEL si deve integrare con quella relativa all'intervento regionale, in modo da fornire risultati omogenei;
b) Avviare il processo anche in assenza di LEP. La fissazione dei nuovi LEP si può fare solo con legge statale, mentre la ricognizione di quelli esistenti deve essere fatta con DPCM sottoposti al parere rafforzato delle Commissioni parlamentari competenti. Ma ciò non significa che nulla

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possa essere fatto in occasione dell'approvazione di questo decreto, anche perché in assenza di una stima, per quanto ancora provvisoria, dei fabbisogni standard nei settori diversi dalla sanità è praticamente impossibile attuare i principi e criteri direttivi della legge delega in materia di basi finanziarie e di perequazione. A questo scopo possono essere utilizzati gli obiettivi di servizio, che fanno pienamente parte della legge n. 42. La nostra proposta è che con decreto correttivo e integrativo della legge n. 42 il Governo sia tenuto a fissare gli obiettivi di servizio per assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale, in base alle metodologie di cui al punto (a). I costi e fabbisogni standard vengono, in attesa dei LEP, ancorati agli obiettivi di servizio, sempre seguendo le procedure illustrate nel punto (a);
c) Convergenza. Nel processo dinamico di coordinamento della finanza pubblica (Decisione di finanza pubblica, legge di stabilità, collegati alla legge di stabilità) gli obiettivi di servizio vengono stabiliti per un triennio e aggiornati di anno in anno, insieme ai loro costi e fabbisogni standard. Si effettua altresì il monitoraggio e la valutazione del conseguimento degli obiettivi. Questo processo avverrà comunque, anche quando i LEP saranno fissati, poiché in vaste zone del Paese essi sono da conseguire con un processo necessariamente graduale, compatibile con i vincoli di finanza pubblica.

2. Tagli del decreto legge n. 78 del 2010

La clausola di salvaguardia contenuta nel decreto legge n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122, deve essere riconosciuta nel decreto legislativo (articolo 14, comma 2, ultimo periodo). La soppressione dei trasferimenti statali stabilita nel decreto legge n. 78 del 2010 deve essere rimessa in discussione, tramite il calcolo di costi e di fabbisogni standard corretti e tramite un processo di adeguamento che cominci fin dal 2012, compatibilmente con l'evoluzione della situazione finanziaria complessiva, e comunque entro il 2014, quando il nuovo sistema di finanziamento entrerà a regime.

3. IRPEF

L'addizionale IRPEF regionale non deve incidere sulla struttura complessiva dell'IRPEF, sulla sua progressività, sugli scaglioni e sulla base imponibile. Questa incidenza, che già oggi esiste, sarebbe molto negativa con il potenziale aumento dell'addizionale fino al 4 per cento (1,9 di base e 2,1 discrezionale). Compito dell'addizionale regionale IRPEF non è quello di intervenire sull'equità e sulla redistribuzione del reddito ma quello di fornire alle Regioni un margine sufficiente di «sforzo fiscale locale» cui attingere, se lo ritengono, per il finanziamento dei servizi al di fuori e al di sopra degli standard fissati dai LEP.
I margini di autonomia regionale sull'addizionale IRPEF devono riferirsi alla manovrabilità dell'aliquota flat, cioè costante per tutti i contribuenti, e va eliminata di conseguenza la possibilità di introdurre detrazioni o differenziazioni di aliquota per scaglioni. Riconoscere questa possibilità, come avviene con il testo attuale del decreto legislativo, introduce forme di progressività specifiche per regione che fanno aumentare i costi di adempimento per i sostituti di imposta, e rendono difficile la determinazione della capacità fiscale standard che è alla base del funzionamento del sistema dei trasferimenti perequativi.
In ogni caso, proponiamo l'eliminazione dell'equivalenza fra detrazioni e voucher, poiché si tratta di strumenti non sostituibili l'uno con l'altro (la detrazione è il riconoscimento di una spesa, il voucher è un «buono» che di per sé rappresenta una spesa).

4. IRAP

La facoltà di ridurre l'IRAP fino ad azzerarla è mera propaganda, poiché non

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sono definite né le condizioni né i presupposti. La nostra proposta è di ampliare i margini attuali di manovrabilità dell'aliquota IRAP (oggi +/- 0.92 per cento) portandoli a +0,92/- 1.5 per cento. Per manovre di entità maggiore, se la riduzione IRAP è differenziata fra settori di attività produttiva e si motiva con obiettivi di politica industriale, come ad esempio l'aumento nei settori protetti dalla concorrenza internazionale per finanziare riduzioni a vantaggio dei settori più esposti, allora la Regione può procedere autonomamente. Se invece la riduzione IRAP è generale, essa può innestare una pericolosa spirale di concorrenza fiscale fra le Regioni, e in questo caso è necessario un coordinamento. Proponiamo che manovre di riduzione generale siano sottoposte all'autorizzazione del Ministro dell'economia e delle finanze e all'intesa con le altre Regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni.

5. Fase transitoria, aliquota «di base» dell'addizionale IRPEF, perequazione nella fase transitoria

Chiediamo la fissazione già in questo decreto, oppure in un successivo decreto integrativo da emanare entro la stessa data del DPCM (30 giugno 2011), dell'aliquota media di equilibrio per l'addizionale IRPEF obbligatoria ovvero «di base», in linea con quanto è stato fatto con l'aliquota base dell'IMU nel decreto sul fisco municipale.
Occorre poi che il decreto dica esplicitamente che a regime (2014) l'addizionale IRPEF all'aliquota base concorrerà insieme ad altri tributi:
a) per una quota, da specificare successivamente, a determinare la capacità fiscale relativa alle spese regionali assistite dai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nella sanità, nell'assistenza, nell'istruzione e nel trasporto pubblico locale;
b) per un'altra quota, da specificare successivamente, a determinare la capacità fiscale relativa alle spese regionali diverse da quelle assistite dai LEP.

Si sconta, qui, una grave inadempienza del Governo e della COPAFF, che sono stati finora incapaci di distinguere, fra i trasferimenti da fiscalizzare, quelli di tipo LEP e quelli di tipo non LEP.
A ben riflettere, comunque, la fiscalizzazione nell'addizionale IRPEF di tutti i trasferimenti relativi sia alle spese LEP che alle spese non-LEP, oltre ad eccedere la delega (che all'articolo 8, comma 1, lettere h), stabilisce che l'addizionale IRPEF deve sostituire i trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese non essenziali LEP), non è funzionale alla realizzazione del sistema a regime che prevede una perequazione verticale per i fabbisogni standard attraverso la compartecipazione IVA e una perequazione orizzontale per le capacità fiscali attraverso l'addizionale IRPEF. Un approccio alternativo, che è quello da noi proposto, è di partire fin d'ora con il sistema a regime fondato su tributi e fondi perequativi.
In ogni caso, l'attuale versione del decreto è totalmente priva di previsioni circa le modalità di attribuzione alle Regioni delle risorse derivanti dall'addizionale IRPEF «di base». Se ciascuna Regione trattiene la sua IRPEF «di base», gli attuali trasferimenti verranno fiscalizzati nell'aggregato, ma non Regione per Regione, lasciando gravemente e inaccettabilmente scoperte le Regioni con capacità fiscali inferiori, con una brutale «territorializzazione» della base imponibile IRPEF, incompatibile con la Costituzione e con la legge n. 42 nel caso delle spese LEP. Se anche si volesse perseguire la strada di un fondo provvisorio di riequilibrio, esso sarebbe di tipo «orizzontale» e non «verticale», contravvenendo così ai principi della legge per ciò che concerne le spese LEP.
La via più lineare è di cominciare fin d'ora con la fiscalizzazione tramite compartecipazione IVA. Nel corso del periodo provvisorio potrà avvenire il processo di adeguamento delle spese LEP dai valori storici verso i fabbisogni standard, e il processo di identificazione delle spese non LEP su cui assegnare il ruolo previsto dalla legge all'addizionale IRPEF.

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In ogni caso, è necessario chiarire che la perequazione parte sulla base della spesa storica e gradualmente si adatta ai fabbisogni standard per le spese coperte da LEP e alle capacità fiscali per le altre spese.

6. Finanziamento e perequazione spese non LEP

Proponiamo che il decreto specifichi la misura in cui i trasferimenti perequativi per le funzioni non-LEP dovrebbero ridurre le differenze interregionali di capacità fiscale misurate sui tributi destinati al loro finanziamento. Fa una grande differenza, infatti, se la perequazione sulle capacità fiscali viene fissata al 5 oppure al 90 per cento, e questo non può essere lasciato alla discrezionalità del Governo. La misura che proponiamo è dell'80 per cento.
Per il finanziamento delle spese non LEP, calcolate all'inizio in base alla spesa storica, il decreto legislativo prevede che vengano utilizzate «quote» dell'addizionale regionale IRPEF più gli altri tributi propri derivati non già utilizzati per le funzioni LEP più i tributi istituiti ex novo dalle Regioni. Il decreto tuttavia successivamente prevede che la perequazione parziale sulle capacità fiscali venga attivata soltanto con riferimento all'addizionale IRPEF.
Proponiamo che tutte le fonti tributarie destinate al finanziamento delle funzioni non LEP siano perequate alla capacità fiscale media pro capite misurata sull'insieme di quei tributi.
Inoltre proponiamo di escludere dal finanziamento delle funzioni non LEP i nuovi tributi propri che la Regione decida di istituire su presupposti non assoggettati all'imposizione statale, dato che su questi tributi, se venissero attivati soltanto da alcune Regioni, o venissero attivati con caratteristiche non omogenee tra Regioni, non sarebbe possibile calcolare capacità fiscali confrontabili tra Regioni.

7. IVA territoriale

È necessario tornare sulla questione dell'IVA legata al territorio. Questo ha rilievo anche per il decreto legislativo sul fisco municipale, visto che in quella sede è prevista una compartecipazione IVA per i comuni. La questione implica problemi rilevantissimi di conoscenza statistica. I dati del quadro VT dell'IVA non sono mai stati pubblicati dal Ministero dell'economia e delle finanze, perché ritenuti non affidabili, e infatti, ancora oggi, non sono disponibili.
Chiediamo che il criterio di territorialità basato sul luogo del consumo per la ripartizione della compartecipazione regionale IVA sia applicato solo a condizione di disporre effettivamente di informazioni affidabili sulla distribuzione tra territori regionali dell'ammontare delle vendite effettuate nei confronti di consumatori finali e della corrispondente imposta IVA incassata. Chiediamo che si tenga poi conto dell'IVA versata dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti non obbligati alla redazione del quadro VT. Proponiamo che si proceda a una valutazione di affidabilità di questa fonte, affidando il compito ad un'entità indipendente come l'ISTAT.
Il riferimento al criterio di territorialità è giustificato solo se le minori risorse attribuite via compartecipazione IVA alle Regioni nei cui territori esistano livelli elevati di evasione non siano compensate con maggiori trasferimenti perequativi per garantire l'integrale copertura dei fabbisogni standard o della capacità fiscale standard.
Se davvero si vuole incentivare il coinvolgimento nel contrasto all'evasione IVA da parte delle Regioni, sempreché queste abbiano effettivamente, come in realtà non sembra, gli strumenti appropriati per parteciparvi fattivamente, oppure se non si vogliono premiare i soggetti che evadono l'IVA in misura maggiore nei diversi territori regionali, è in realtà necessario determinare

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due diverse compartecipazioni IVA per ciascuna Regione:
1) la prima, rilevante per l'assegnazione effettiva delle risorse compartecipate, calcolata sulla base delle informazioni sulle vendite effettive a consumatori finali, in modo da riflettere l'evasione reale, per cui i territori più virtuosi riceverebbero maggiori risorse;
2) la seconda, rilevante per il calcolo dei trasferimenti perequativi, calcolata sulla base dei consumi ISTAT o di un livello medio o standard di evasione fiscale, e comunque non specifico di quella Regione.

In linea di principio, un approccio analogo dovrebbe essere adottato anche per i tributi propri regionali, ad esempio l'IRAP, nel caso in cui su tali tributi ci sia evidenza di una forte differenziazione nei livelli di evasione tra regioni. Anche per questi tributi bisognerebbe calcolare una capacità fiscale «potenziale», cioè depurata dall'evasione, diversa da quella «effettiva», cioè quella, più bassa, che riflette l'evasione.
La verità è che, mentre ha molto senso coinvolgere i comuni nel contrasto all'evasione con riguardo alle basi imponibili immobiliari, poiché i comuni conoscono il territorio meglio dello Stato, non è altrettanto chiaro che senso abbia coinvolgere le Regioni sull'IVA, su cui le Regioni non hanno nessun vantaggio informativo nei confronto dello Stato.

8. Finanziamento sanità

Proponiamo di uscire dall'ipocrisia con cui è scritto il decreto. Un'ipocrisia che impedisce di sviluppare una discussione pubblica trasparente e bene informata sulla questione della spesa sanitaria.
Proponiamo di distinguere con chiarezza il «Fabbisogno sanitario nazionale finanziabile» dal «Fabbisogno sanitario nazionale standard». Il primo deriva dai vincoli di finanza pubblica e ad esso si applicano i criteri di riparto. Siamo d'accordo che tali criteri restino uguali a quelli stabiliti dall'intesa fra Governo e Regioni, e possano essere modificati solo in seguito ad una nuova intesa.
Nella nostra proposta, il criterio di riparto è una quota percentuale, definita in base al rapporto fra fabbisogni sanitari regionali standard e totale del fabbisogno sanitario nazionale standard, ottenuto come somma dei fabbisogni sanitari regionali standard. Chiediamo di restituire chiarezza e logicità al processo. Non è possibile che il «fabbisogno», come è oggi scritto nel decreto legislativo, sia una quota. Una cosa è il fabbisogno, altra cosa sono le quote percentuali del riparto.
Proponiamo di applicare al Fabbisogno sanitario nazionale finanziabile i criteri di riparto che derivano dalle quote del fabbisogno sanitario regionale standard di ciascuna Regione sul totale del fabbisogno sanitario nazionale standard. Proponiamo, di conseguenza, un processo di monitoraggio e di valutazione dinamica degli scostamenti fra Fabbisogno sanitario nazionale finanziabile e Fabbisogno sanitario nazionale standard, utilizzando l'insieme degli strumenti già esistenti (indicatori, eccetera) e le previsioni di legge sulla convergenza. Gli esiti di tale processo restano, nelle nostre proposte, nella piena disponibilità delle Regioni, e vengono prioritariamente orientati agli interventi di investimento ritenuti necessari per riconfigurare in modo efficiente la rete del servizio sanitario
Per la costruzione dei fabbisogni sanitari regionali e nazionale standard proponiamo che, accanto alle valutazioni già consuete e riprodotte dal decreto sulla spesa pro capite ponderata per età, si prendano in considerazione indicatori delle condizioni socioeconomiche dei territori con particolare riferimento alle spese in conto capitale ai fini della perequazione infrastrutturale. Proponiamo inoltre che le Regioni assunte come benchmark siano individuate dalla Conferenza Stato-Regioni, che esse siano cinque, e che siano rappresentative delle ripartizioni territoriali nazionali e delle classi di dimensione demografica.

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9. Finanziamento assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale

È necessario coordinare la costruzione dei fabbisogni standard in sanità con il sistema più generale del finanziamento e della perequazione dei fabbisogni standard per le funzioni regionali assistite dai LEP. In particolare, i commi 3 e 5 dell'articolo 11 vanno coordinati dicendo che anche per la determinazione della prima aliquota di compartecipazione IVA bisogna fare riferimento ai fabbisogni standard calcolati sulle funzioni LEP della regione benchmark, quella che con l'aliquota minima di compartecipazione diventa autosufficiente, tenendo conto che per ciò che concerne i fabbisogni sanitari si rimanda al riparto come definito all'articolo 21.
Analogamente va previsto l'inserimento delle funzioni LEP diverse dalla sanità non collegate esclusivamente alle funzioni fondamentali degli enti locali (assistenza sociale, istruzione e trasporti) nel sistema di finanziamento e di perequazione dei fabbisogni standard delle funzioni regionali assistite dai LEP.
Oltre a fissare un percorso per la determinazione dei LEP, ovvero degli obiettivi di servizio relativi a queste funzioni, è necessario che il decreto legislativo preveda per ciascuna di queste funzioni un meccanismo di riparto dei fondi nazionali tra Regioni sulla linea di quanto stabilito per la sanità, attraverso l'individuazione di indicatori di bisogno rilevanti paralleli alla quota capitaria pesata adottata nel comparto sanitario.

10. Coordinamento con il decreto legislativo relativo al fisco municipale

Riteniamo necessario inserire una norma di coordinamento fra i fondi di riequilibrio provvisori previsti per i comuni e le province ai fini della fiscalizzazione dei trasferimenti statali e i fondi di riequilibrio previsti per la fiscalizzazione dei trasferimenti regionali a comuni e province.
Per i primi il decreto sulla fiscalità comunale prevede che i trasferimenti vengano fiscalizzati attraverso un pacchetto di imposte erariali compartecipate (fase 1) che poi sono sottoposte a perequazione mediante un Fondo sperimentale di riequilibrio secondo criteri equitativi da determinare. Per i secondi il decreto sulla fiscalità regionale prevede che i trasferimenti siano fiscalizzati mediante una compartecipazione comunale all'addizionale regionale all'IRPEF (addizionale che a sua volta fiscalizza i trasferimenti statali alle Regioni), che poi è sottoposta a perequazione mediante un altro Fondo sperimentale di riequilibrio secondo criteri equitativi da concordare tra Regione e comuni.
La nostra proposta è che i fondi di riequilibrio regionali per comuni e province siano stabiliti con criteri che tengano conto della perequazione di origine statale e che si coordinino con essa, in modo da valutare l'impatto complessivo delle due operazioni su ciascun territorio comunale e provinciale.
Riteniamo indispensabile che in questo decreto legislativo si torni sul meccanismo perequativo lasciato aperto nel decreto sul fisco municipale. Presenteremo, con l'occasione, lo stesso emendamento di attuazione della perequazione statale nei confronti dei comuni che non è stato approvato nel parere sul decreto relativo al fisco municipale.

11. Fiscalità provinciale

Oltre al ripristino anche per le province dei tagli operati con il decreto legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122, proponiamo di rafforzare la loro autonomia impositiva e di semplificare il sistema, garantendo che gli aumenti di gettito dei tributi compartecipati restino nella disponibilità delle province, come prevede il decreto sul fisco municipale per i comuni.

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12. Sistema finanziario delle città metropolitane

La legge n. 42, all'articolo 15, prevede che, con apposito decreto legislativo, debba essere assicurato il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane «in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni».
Poiché finora il Governo non ha ancora predisposto uno specifico decreto legislativo sul sistema finanziario delle città metropolitane, proponiamo, vista l'attinenza della materia, che tali norme siano comprese in questo decreto legislativo.
Esse devono riguardare un rafforzamento delle compartecipazioni attualmente previste per comuni e province (all'IVA, all'IRPEF, al gettito delle accise sui carburanti), un'attribuzione ad esse di specifici tributi di scopo com'è previsto per i comuni, e una possibilità di compartecipazione al gettito del sistema delle tariffe dei servizi pubblici locali del territorio.