CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 29 luglio 2010
361.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (articolo 2, comma 6, della legge 5 maggio 2009, n. 42). (Doc. XXVII, n. 22).

NUOVA PROPOSTA DI DOCUMENTO PREDISPOSTA DAL RELATORE, ON. NANNICINI

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,
esaminata la Relazione sull'attuazione del federalismo fiscale - e i relativi allegati tecnici - che il Governo ha presentato alle Camere ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2, comma 6, della legge 5 maggio 2009, n.42;
preso atto dei chiarimenti e delle indicazioni forniti dal Ministro dell'economia e delle finanze nell'audizione svoltasi presso la Commissione il 21 luglio 2010;
esaminate le ulteriori informazioni e ricostruzioni contabili fornite dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale;
ascoltate le dichiarazioni rilasciate nelle diverse audizioni dai soggetti interessati, e in particolare in base all'audizione del 28 luglio del Comitato di rappresentati delle autonomie territoriali;
formula, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, lettera b), della legge n. 42/2009, le seguenti osservazioni e valutazioni utili alla predisposizione dei decreti legislativi di attuazione della delega.

1. Il contesto europeo

La citata Relazione sull'attuazione del federalismo fiscale (d'ora in avanti semplicemente Relazione) - presentata all'attenzione del Parlamento in data 30 giugno 2010 - interviene in una fase congiunturale di particolare delicatezza e in un contesto che registra una significativa evoluzione, a livello nazionale e comunitario, degli strumenti di governo della finanza pubblica e di coordinamento delle politiche economiche.
Nella medesima data del 30 giugno la Commissione europea, facendo seguito alla richiesta del Consiglio europeo del 17-18 giugno, ha, infatti, presentato una Comunicazione (1) che propone una serie di misure, legislative e non, volte a definire una più forte sorveglianza macroeconomica; un quadro nazionale di bilancio più rigoroso; un'applicazione più stringente del Patto di stabilità e crescita, nonché a introdurre un «semestre europeo» che definisca una cornice per le politiche economiche nazionali.
È evidente come le determinazioni che saranno assunte in sede comunitaria non possano che riflettersi sul processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e sulle nuove modalità di coordinamento dinamico della finanza pubblica desumibili dal combinato disposto della legge n. 42 e della nuova legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009.

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È, infatti, la stessa Commissione europea che prospetta, con particolare riferimento ai Paesi con assetti decentrati, l'adozione di un quadro di bilancio nazionale che comprenda l'intero sistema di finanza pubblica, nell'ambito del quale le regole di bilancio dovranno sempre più perseguire obiettivi di medio termine, ispirandosi ad un criterio di pianificazione pluriennale, che richiede l'indicazione delle entrate e delle spese programmate e degli aggiustamenti richiesti per realizzare l'obiettivo di finanze pubbliche solide.
A tal fine, si propone sia un'applicazione più rigorosa degli strumenti preventivi e correttivi già previsti dal Patto di stabilità e crescita europeo, sia l'introduzione di un nuovo sistema di sanzioni e di incentivi a favore degli Stati membri che attuano politiche di bilancio virtuose.
Quanto alle prime, facendo leva su talune voci del bilancio UE destinate agli Stati membri (essenzialmente fondi strutturali, della politica agricola comune e fondo europeo della pesca), la Commissione prospetta, tra l'altro, un meccanismo in base al quale l'avvio della procedura per disavanzo eccessivo comporterebbe la sospensione degli stanziamenti di impegno connessi ai programmi pluriennali relativi a tali fondi, mentre nel caso di mancata attuazione delle raccomandazioni adottate nell'ambito della procedura, verrebbe disposta la cancellazione degli stanziamenti di impegno (2).
Sotto altro versante, è opportuno rilevare come sempre in sede comunitaria sia altresì emersa l'esigenza di introdurre nella politica di coesione un principio di condizionalità ex ante, in base al quale l'allocazione dei relativi finanziamenti dovrebbe essere vincolata all'adozione di riforme strutturali mirate ad accrescerne l'efficacia e l'efficienza; riforme nell'ambito delle quali non può che essere annoverata la stessa legge n. 42, che rappresenta, in effetti, il più moderno e articolato tentativo di coniugare in modo nuovo l'equità e l'efficienza della spesa nei diversi livelli territoriali.
A tal proposito, la Commissione invita il Governo a definire con tempestività e con chiarezza le modalità con cui le nuove regole europee debbano interfacciarsi con le nuove regole nazionali di coordinamento della finanza pubblica multilivello prevista dalla Costituzione e definite nel combinato disposto delle leggi n. 42 e n. 196 del 2009.

2. Lo scenario nazionale

Alla luce dell'accennata evoluzione politico-istituzionale che si registra a livello comunitario - che le citate leggi n. 42 e n. 196 hanno a ben vedere in un certo senso preceduto - le osservazioni su principi, obiettivi e strumenti di stabilità finanziaria contenute nella parte conclusiva della Relazione appaiono ancora non conclusive.
In questa prospettiva, la stessa Relazione evidenzia altresì la necessità - che la Commissione condivide - di strutturare in modo compiuto la nuova formula di governance della finanza pubblica sottesa alla legge n. 42/2009, dando in particolare attuazione all'articolo 5 della medesima legge, che prevede, com'è noto, l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, configurato quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica» che concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica «per comparto».
A tal fine, la Commissione sollecita la costituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
In proposito, appare utile svolgere alcune considerazioni, rilevando, in primo luogo, come nella Relazione non vi sia un richiamo alle procedure di coordinamento della finanza pubblica delineate dalla nuova legge di contabilità n. 196/2009, nonostante tale legge si integri in modo sistematico e complementare con il disposto della stessa legge n. 42.

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Il corpus normativo e l'architettura complessa di organi e procedure delineati dalle due leggi sono, infatti, volti a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, Autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di governo.
In questa cornice si innestano sia le Linee guida per il riparto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica (articolati per i sottosettori del conto della PA - amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza sociale) - che il Governo è chiamato ad inviare alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere da esprimere entro il 10 settembre, e alle Camere - sia il nuovo Patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge 42 - teso a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché a delineare un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - il quale, assieme al tradizionale Patto di stabilità interno, è destinato ad essere trasfuso, ai sensi della nuova legge contabilità, prima nella Decisione di finanza pubblica, da presentare alle Camere entro il 15 settembre, e successivamente, entro il 15 ottobre, nella Legge di Stabilità. Un sintetico quadro della spesa discrezionale della PA, ripartita per sottosettori istituzionali, è riportato nella Tavola 1 al presente documento.
Di tali nuove e avanzate regole di disciplina fiscale multilivello - che attribuiscono, peraltro, al Parlamento un importante ruolo di sintesi e compensazione tra le diverse istanze territoriali - non si tiene conto nella Relazione presentata dal Governo, anche laddove si evidenzia, come un obiettivo fondamentale sia quello di assicurare «l'appropriato grado di perequazione infraregionale che, garantendo livelli appropriati di assistenza sanitaria e sociale a livello nazionale, sia governato da meccanismi di solidarietà responsabile, economicamente sostenibile, ispirati allo spirito mutualistico (e quindi di copertura temporanea di rischi imprevedibili) e non basato sul presupposto di trasferimenti irrazionalmente operati ex post».
Quest'ultimo obiettivo presuppone il passaggio dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard, che la legge n. 42 intende realizzare con gradualità proprio attraverso la definizione del Patto e del percorso di convergenza degli obiettivi di servizio sopra richiamati, che costituiscono elementi qualificanti della medesima legge i quali dovranno consentire, in prospettiva, attraverso la previsione di appositi stanziamenti ad opera delle leggi annuali di stabilità, di elevare la quantità e la qualità dell'offerta delle prestazioni nei territori attualmente meno dotati e nei settori sotto standard per poter raggiungere i livelli essenziali delle prestazioni.
Alla luce di tali considerazioni, la Commissione auspica in primo luogo che il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali contenuto nell'allegato 2 alla Relazione possa essere utilmente aggiornato ed arricchito da ulteriori elementi informativi in occasione della trasmissione al Parlamento delle suddette Linee guida e, soprattutto, dello schema di Decisione di finanza pubblica (di seguito DFP), nell'ambito del quale potranno essere affrontate, in una prospettiva di medio termine, le ipotesi di evoluzione dell'intero comparto della finanza locale, con l'espressa indicazione «dell'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva, coerente con il livello massimo di spesa corrente», nonché delle «misure atte a realizzare il percorso di convergenza», così come del resto previsto dall'articolo 10, comma 2, lettere e) e g), della legge n. 196/2009.
Nell'ambito della DFP potrà, inoltre, trovare adeguato spazio la programmazione dettagliata - enunciata come obiettivo dalla Relazione - di un «quadro pluriennale delle azioni di governo nazionale e regionale volte ad assicurare l'equilibrio economico e finanziario del sistema sanitario e delle pensioni di invalidità, sia

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complessivo che per ogni singola Regione, in compatibilità con i vincoli di bilancio nazionali imposti dal Patto Europeo di Stabilità e Crescita e dalle nuove procedure Europee rafforzate di vigilanza sul deficit e debito pubblico».
Occorre, infatti, tenere presente che il concorso delle autonomie territoriali agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, determinato in 6.300 milioni nel 2011 e in 8.500 milioni a decorrere dal 2012, è stato già definito, ai sensi dell'articolo 14, commi 1 e 2, del citato decreto-legge, mediante una riduzione delle risorse statali a qualunque titolo spettanti alle regioni ed enti locali, senza inquadrare pertanto la definizione del riparto degli obiettivi di finanza tra i diversi livelli di governo nell'ambito delle procedure di concertazione, sopra richiamate, definite dalla nuova legge di contabilità (Linee Guida - parere Conferenza - DFP).
Occorre peraltro tenere presente che, a differenza di quanto si è verificato negli anni precedenti, il raggiungimento dei risparmi previsti per i singoli comparti non risulti affidato all'applicazione dello strumento del Patto di stabilità interno (3), bensì ottenuto direttamente attraverso la riduzione delle risorse, spettanti agli enti. I vincoli previsti dalla vigente normativa del Patto (articoli 77-bis e 77-ter del decreto-legge n. 112/2008), che copre un arco temporale che arriva fino al 2011, sono rimasti pertanto invariati, salvo alcune pur apprezzabili deroghe allo stesso introdotte dal decreto medesimo al fine, tra l'altro, di sostenere la spesa per investimenti degli enti locali.
È innegabile che tali decisioni, contenute nella manovra economica congiunturale, generano un quadro di grave preoccupazione e incertezza presso gli amministratori regionali e locali, come emerso chiaramente nell'audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009 presso la Commissione. La mancata concertazione della manovra da parte del Governo e il mancato avvio delle nuove procedure di costruzione del bilancio previste dalla legge 196 attraverso il varo di linee guida della DFP entro il 15 luglio sono peraltro stigmatizzati in un ordine del giorno presentato in aula alla Camera dei Deputati e sottoscritto dal presidente della V Commissione bilancio. Il quadro prospettico fornito dal Governo con la Relazione non sembra in grado, per effetto delle sue lacune, di ristabilire certezza agli amministratori regionali e locali in merito ad un processo di attuazione della legge 42 pienamente coerente con i principi e il dettato della stessa legge.
La Commissione ritiene, in particolare, che la riduzione di risorse finanziarie previste nel biennio 2011-2012, pari a 14.800 milioni di euro per il settore delle regioni e degli enti locali, debba trovare un'adeguata copertura nell'attuazione della legge 42, come previsto nel sopra citato decreto.
Il decreto-legge n.78/2010 prevede, inoltre, un inasprimento delle sanzioni vigenti in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, che si sostanzia, per gli enti locali, in una riduzione dei trasferimenti erariali in misura pari allo scostamento tra saldo obiettivo e saldo conseguito, mentre per le regioni è richiesto il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un importo pari allo scostamento tra l'obiettivo ed il risultato conseguito.
Particolare rilievo assume, infine, la previsione, assai innovativa e la cui portata andrà debitamente approfondita, di cui all'articolo 14, comma 6, del decreto-legge n. 78, in base alla quale, il Governo, proprio «in funzione della riforma» - sopra richiamata - «del Patto europeo di stabilità e crescita ed in applicazione dello stesso nella Repubblica italiana», ha disposto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottare «sentita la Regione interessata», possa essere disposta la «sospensione dei trasferimenti

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erariali nei confronti delle Regioni che risultino in deficit eccessivo di bilancio
Appare dunque evidente come la valenza qualitativa e quantitativa del quadro normativo testè richiamato - che si completa con le misure previste in favore del Comune di Roma e con quelle finalizzate a promuovere, ai fini del contenimento delle spese, l'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali dei comuni - inciderà in modo sensibile sul processo di attuazione del federalismo fiscale, a partire dai profili concernenti l'individuazione dei trasferimenti erariali alle regioni e agli enti locali da sostituire con forme di autonomia e fiscalità territoriale, di cui tratta la Relazione e l'allegato 2 predisposto dalla Copaff.
Al fine di conferire un carattere sistematico alle diverse misure di riordino della finanza locale, la Commissione invita pertanto il Governo, in conformità con quanto previsto dal combinato disposto delle leggi n. 42 e n. 196, ad adoperarsi affinché nello schema di DFP da presentare alle Camere entro il prossimo 15 settembre siano delineati in modo compiuto gli indirizzi di riforma - concernenti anche le modifiche inerenti alla tempistica del ciclo di bilancio definito dalla legge n. 196/2009 che si rendano eventualmente necessarie a seguito degli sviluppi sopra richiamati del contesto europeo - che si intendono adottare in relazione all'esigenza di:
• assicurare i caratteri di «stabilità, coerenza, conformità ai parametri europei e rispetto dell'autonomia gestionale degli enti», che l'articolo 8, comma 2, della legge n. 196/2009 enuncia in relazione al Patto di stabilità interno, tenendo conto anche dell'esigenza di garantire, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera c) della legge n. 42/2009, che le regioni, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, possano adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;
• garantire il rispetto degli equilibri di bilancio e un'elevata qualità dei servizi pubblici resi dagli enti territoriali attraverso meccanismi di carattere premiale ovvero sanzionatorio da affiancare ai tradizionali meccanismi di monitoraggio e controllo della spesa e dei saldi degli, come previsto ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e) della legge n. 42/2009. Occorre, infatti, tenere presente che il sistema premiante contemplato dalle citate disposizioni è, tra l'altro, riservato in favore degli enti che assicurino un livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, nonché a quelli che partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.

A tale ultimo proposito, la Commissione osserva come nel corso dell'esame del decreto-legge di manovra presso il Senato, siano state introdotte (all'articolo 14, comma 2), alcune disposizioni, ai fini della riduzione delle risorse spettanti alle autonomie territoriali per il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, che sembrano prefigurare l'applicazione di nuovi principi di premialità a favore delle regioni e degli enti locali più virtuosi in termini di equilibri di bilancio e minore incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva; per le regioni, in particolare, si fa riferimento anche dell'adozione di misure di contenimento della spesa sanitaria e di azioni di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi, questione, quest'ultima, più volte richiamata nella Relazione, mentre per gli enti locali si fa riferimento al conseguimento di «adeguati indici di autonomia finanziaria».
Si osserva, inoltre, come le modifiche apportate dal Senato abbiano altresì attribuito

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un ruolo delle autonomie nella definizione del riparto dei sacrifici finanziari imposti agli enti territoriali ai fini del consolidamento dei conti: rispetto alla formulazione vigente del decreto - che prevede solo forme di consultazione, ancorando il riparto delle risorse sostanzialmente ad un semplice principio di proporzionalità - le innovazioni introdotte prevedono che le riduzioni di risorse siano ripartite secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e province autonome (per le regioni) e in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali (per gli enti locali), e recepiti, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro dell'interno, secondo principi che tengano conto dei profili di premialità sopra evidenziati.
In caso di mancata deliberazione delle predette Conferenze entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 78 - e, per gli anni successivi al 2011, entro il 30 settembre dell'anno precedente - si prevede che i citati decreti governativi siano comunque emanati, entro i successivi trenta giorni, ripartendo la riduzione dei trasferimenti secondo un criterio proporzionale.
Anche in tal caso, la Commissione ravvisa dunque l'opportunità di ricondurre le fattispecie richiamate nell'ambito delle procedure di coordinamento della finanza pubblica previste dalla legge n. 196/2009, sottolineando altresì l'esigenza di definire quanto prima in modo permanente, attraverso l'adozione di un apposito decreto legislativo, il sistema premiante e sanzionatorio previsto dai criteri direttivi della legge delega n. 42/2009.

3. Il quadro di finanziamento degli enti territoriali e il processo di omogeneizzazione dei dati contabili

La Relazione presentata dal Governo si sofferma, in una prima parte, sull'evoluzione della finanza locale italiana, ripercorrendo le vicende che dal testo unico della finanza locale del 1931, passando attraverso la riforma fiscale del 1971 e i successivi decreti Stammati del 1977, hanno condotto prima al decentramento amministrativo disposto dalle leggi Bassanini e, successivamente, alle recenti modifiche del Titolo V della Costituzione.
In proposito, la Commissione in questa sede si limita a rilevare come, nonostante durante gli anni '90 si sia realizzata una positiva evoluzione nella composizione delle fonti di finanziamento della spesa pubblica locale - con una decisa riduzione dei trasferimenti (finanza derivata) a vantaggio delle entrate proprie (autonomia impositiva) (4) - non si sia ancora pervenuti ad un compiuto e coerente assetto atto a garantire un'effettiva autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali; il processo di superamento del sistema di finanza derivata si è infatti sviluppato in modo discontinuo e tale da rendere non più differibile l'attuazione della legge n. 42/2009.
Una seconda parte della Relazione reca, invece, alcune prime indicazioni, riferite in particolare al comparto dei comuni, relative alla possibile tipologia delle fonti di gettito e dei cespiti tributari che potranno sostituire i trasferimenti erariali da sopprimere, nonché alcuni criteri e orientamenti, di carattere prevalentemente metodologico, relativi alla tempistica e alla modalità di attuazione del federalismo fiscale.
La base quantitativa è rinvenibile nell'Allegato 2 alla Relazione, laddove si può individuare l'ammontare delle risorse, attualmente attribuite agli enti territoriali sotto forma di trasferimenti, in relazione alle quali dovrà essere attribuita la titolarità di gettito fiscale ai diversi comparti degli enti territoriali.
Elementi di interesse per la Commissione sono altresì ravvisabili negli altri allegati alla Relazione, in particolare nell'Allegato 3, recante alcuni approfondimenti tecnici di particolare rilievo in ma

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teria, tra gli altri, di fabbisogni standard di Province e comuni e di costi standard delle Regioni, i quali, tuttavia, al pari dei dati e delle ipotesi di lavoro contenuti nel predetto Allegato 2, assumono una valenza di carattere esclusivamente tecnico, che in quanto tale, come specifica la stessa Relazione, non è impegnativa né per il Governo, né per il Parlamento.
In questo senso, la Relazione non fornisce ipotesi compiute di «definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali», né provvede ad indicare in modo puntuale gli scenari di possibile «distribuzione delle risorse» conseguenti all'attuazione della legge delega.
Tale circostanza appare riconducibile a due ordini di ragioni, l'una di carattere tecnico, l'altra di carattere politico-istituzionale.
Quanto alla prima, nonostante gli apprezzabili sforzi compiuti dalle strutture tecniche, e in particolare dalla Copaff, la piattaforma dei dati contabili a tutt'oggi a disposizione non appare ancora completa e tale da poter essere utilizzata per esercizi di simulazione e con finalità operative, tant'è che la stessa Copaff ha preannunciato la presentazione di ulteriori documenti di approfondimento di alcune questioni di carattere contabile.
Quanto alla seconda, la Relazione e i documenti ad essa allegati sembrano voler lasciare impregiudicate alcune determinazioni fondanti da assumere in via preliminare ai fini dell'attuazione della delega - in relazione, ad esempio, ai criteri di perequazione da adottare in sede di fiscalizzazione dei trasferimenti e alle metodologie per la definizione dei costi e dei fabbisogni standard. Pur potendosi questo dato leggere sulla base di una volontà del Governo di attendere indicazioni e osservazioni da parte del Parlamento, ed in particolare della Commissione, in questa sede chiamata a offrire al Governo elementi di stimolo e riflessione utili ad addivenire a scelte quanto più possibile condivise, ciò nondimeno non può sottacersi che la suddetta Relazione non sembra adempiere pienamente agli obblighi di legge.

3.1 La base dei dati contabili

Per quanto concerne, in particolare, il primo dei suddetti aspetti, occorre evidenziare come da una disamina dei dati contenuti nel predetto Allegato 2 elaborato dalla Copaff si evince che, sia sul versante della spesa, che su quello dell'entrata, la riclassificazione dei bilanci operata ai sensi dell'articolo 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009 richieda un'integrazione ed un ampliamento della base di dati contabili ai fini della definizione delle predette ipotesi di carattere quantitativo e su base territoriale di attuazione della delega; tale riclassificazione è stata, infatti, effettuata dalle Regioni in mancanza di un'armonizzazione dei principi contabili - che la Commissione auspica realizzarsi quanto prima - e ciò ha determinato l'applicazione di criteri non uniformi di classificazione delle poste da parte degli enti: da qui l'insorgere di incongruenze e aspetti problematici e suscettibili di approfondimento, anche in sede di predisposizione dello schema di DFP, quali ad esempio:
• l'elevata incidenza delle contabilità speciali, che rappresentano in media il 38 per cento della spesa ordinaria del complesso delle Regioni, con un peso, all'interno di ciascuna Regione, che presenta un'alta variabilità, dal 4 per cento del Piemonte al 77 per cento della Puglia;
• l'elevata quota delle spese non attribuite (25 per cento in media, con estremi di 50 per cento in Liguria e 0 per cento in Abruzzo, Molise e Campania), la cui variabilità si riflette inevitabilmente sulle altre voci di spesa, (si pensi, ad esempio, agli oltre 6 miliardi di spesa per amministrazione generale in Campania, contro i circa 560 milioni della Lombardia, scostamenti che appaiono difficilmente interamente riconducibili a differenti comportamenti di spesa, quanto piuttosto all'imperfetta

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omogeneizzazione dei criteri di riclassificazione degli impegni di spesa per funzioni);
• lo stesso assetto contabile della spesa regionale corrente, che prende la forma di trasferimenti per una percentuale vicina al 90 per cento per gran parte delle Regioni a Statuto ordinario (RSO), indirizzati prevalentemente verso i sistemi sanitari regionali, rendendo complessa l'individuazione, a partire dai bilanci regionali, della destinazione funzionale della spesa;
• i differenziali regionali dei valori procapite, che appaiono difficilmente riconducibili ad una effettiva variabilità dei comportamenti di spesa, come nel caso della spesa per la salute - caratterizzata da una struttura di finanziamento prevalentemente regolata dalla numerosità della popolazione che dovrebbe comportare una sostanziale omogeneità della spesa complessiva procapite - che evidenzia invece una sensibile variabilità della spesa procapite a livello regionale (la spesa corrente procapite dell'Abruzzo per la salute risulta, ad esempio, circa il doppio dello stesso aggregato rilevato nel Veneto);

Analoghi problemi possono, altresì, essere rinvenuti sul versante della classificazione delle poste di entrata delle regioni, in relazione alle quali non si osservano differenziali sistematici nord-sud nelle entrate tributarie procapite (che comprendono la compartecipazione IVA, connotata da finalità perequative), mentre i trasferimenti procapite (correnti e in conto capitale) risultano generalmente più elevati al sud (con l'esclusione di Basilicata e Calabria per quanto riguarda la parte corrente); nelle regioni del nord risulta, inoltre, prevalente il finanziamento attraverso tributi propri o devoluti, mentre nel sud, corrispondentemente ad una più elevata quota di spesa in conto capitale, è in evidenza la quota dei trasferimenti in conto capitale; modesto risulta l'apporto delle entrate extra-tributarie nel complesso delle entrate regionali delle RSO (2 per cento) rispetto a quanto riscontrabile in quelle a statuto speciale (RSS) (8 per cento), mentre molto eterogeneo appare il peso dei trasferimenti di parte corrente, particolarmente elevato in Molise, Campania, Abruzzo e Liguria; è, infine, elevato il peso delle entrate per contabilità speciali, la cui entità è in generale corrispondente, Regione per Regione, alle spese per contabilità speciali.
Per una ricognizione del ruolo dei trasferimenti e della compartecipazione Iva sulle entrate correnti per regione si rinvia alla tabella di cui alla Tavola 2 del presente documento.
Profili suscettibili di approfondimento emergono altresì in relazione alla sezione 4 del predetto Allegato 2 concernente i bilanci degli enti locali; con particolare riferimento, in tale ambito, all'esigenza di assicurare una sufficiente omogeneità dei criteri applicati dagli enti per il ricalcolo delle spese per funzioni e, in particolare, per le informazioni relative alle esternalizzazioni dei servizi, anch'essi previsti dal citato articolo 19-bis, comma 2, del decreto-legge n. 135/2009.
Anche tale circostanza testimonia, ad avviso della Commissione, l'esigenza di pervenire quanto prima ad un'armonizzazione contabile che consenta un effettivo consolidamento dei bilanci degli enti locali con le società partecipate.
In linea generale, la Commissione auspica, inoltre, che il lavoro istruttorio di preparazione del decreto di attuazione della legge n. 42/2009 concernente l'armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali possa essere al più presto portato a compimento, così come il processo di costruzione della banca dati unitaria della PA previsto dalla recente legge di riforma della contabilità.

3.2 La quantificazione dei trasferimenti da fiscalizzare - Regioni

Particolare rilievo assumono inoltre le problematiche, segnatamente di carattere metodologico, relative all'individuazione dei trasferimenti erariali alle regioni e agli enti locali da sostituire con forme di fiscalità locale.

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In proposito, va rilevato, come sia lo stesso allegato alla Relazione ad evidenziare il carattere provvisorio delle stime fornite - le quali costituiscono una prima ipotesi di lavoro che necessita di ulteriori approfondimenti che saranno oggetto di successive comunicazioni della Copaff - e la presenza di alcune zone di incertezza nella delimitazione dell'area dei trasferimenti che, in attuazione della legge n. 42/2009, andranno soppressi e sostituiti con risorse fiscali.
Con riferimento, segnatamente, alle regioni, l'Allegato 2, sez. 1, della Relazione opera un primo tentativo di individuazione dei trasferimenti statali alle Regioni da fiscalizzare, utilizzando a tal fine tre criteri metodologici (generalità, permanenza e riferibilità dei trasferimenti alle funzioni di competenza regionale) che possono essere interpretati, secondo quanto affermato dalla stessa Copaff, in senso più o meno restrittivo; per ciascuna delle possibili interpretazioni sussistono profili problematici in merito ai quali occorrerà adottare soluzioni idonee anche al fine di limitare possibili contenziosi.
In particolare, rispetto alla determinazione dell'entità del Fondo unico, operata adottando in termini stringenti i predetti criteri di generalità e permanenza, la Commissione sottolinea l'esigenza, alla luce dei criteri di delega previsti dalla legge n. 42/2009 e dello stesso dettato costituzionale del Titolo V, di un'interpretazione flessibile del criterio della permanenza volta ad ampliare il volume delle risorse da considerare ai fini della fiscalizzazione, al fine di includervi:
• i trasferimenti dal bilancio dello Stato a favore delle regioni per i quali non è attualmente previsto un finanziamento permanente, quantificati in un importo pari a 1.591 milioni di euro ; fra le diverse finalità cui tali risorse sono attualmente destinate vi sono il fondo per le non autosufficienze, il trasporto pubblico locale, l'edilizia agevolata, l'edilizia scolastica, l'accesso allo studio. Ai fini di una fiscalizzazione di tali somme la Commissione condivide quanto rilevato dalla Copaff in ordine alla necessità di reperire preventivamente un'adeguata copertura a regime per il finanziamento delle suddette funzioni e attività, ancorandone il livello ad appropriati parametri quantitativi e qualitativi in conformità ai criteri enunciati dalla legge delega in ciascun ambito;
• alcuni fondi, attualmente attribuiti alle amministrazioni centrali, ma la cui gestione è rivendicata dalle regioni, che ammontano, complessivamente, a 243 milioni; tali risorse sono attualmente gestite dai Ministeri delle infrastrutture e trasporti (Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione), della salute (risorse per i centri regionali e interregionali per i trapianti) e del Lavoro e delle politiche sociali (prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro);
• i trasferimenti permanenti alle regioni provenienti della Presidenza del Consiglio, che ammontano a 515 milioni, destinati, principalmente, alle funzioni inerenti alle politiche giovanili e alla famiglia, i servizi socio-educativi e il settore turistico, nonché i trasferimenti di carattere non permanente, per i quali, ai fini di una loro eventuale fiscalizzazione, sarebbe comunque necessario reperire una copertura a regime, relativi al Fondo nazionale per la montagna e al Fondo regionale di protezione civile, che ammontano a 241 milioni.

La Commissione conviene, inoltre, con l'esigenza di adottare un'interpretazione restrittiva del criterio della generalità, al fine di escludere dalla fiscalizzazione i trasferimenti non destinati alla totalità del comparto degli enti territoriali, posto che, altrimenti, occorrerebbe definire criteri di perequazione di particolare complessità.
In via generale, la Commissione sottolinea come la stima dei trasferimenti da fiscalizzare sembri finalizzata unicamente a delimitare l'ammontare di risorse per le quali occorre individuare cespiti tributari sostitutivi, ma non sembra poter esaurire l'ammontare delle risorse per le quali troveranno applicazione i nuovi criteri di finanziamento delle funzioni regionali previsti

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dalla legge n. 42/2009; tali criteri - riassumibili nel finanziamento sulla base dei fabbisogni connessi ai LEP, valutati ai costi standard, per le funzioni soggette a livelli essenziali delle prestazioni o fondamentali e sulla base della perequazione parziale delle capacità fiscali per le altre funzioni - dovranno infatti trovare applicazione anche con riferimento alle funzioni già attualmente finanziate a valere sulla compartecipazione al gettito di tributi erariali (rispettivamente IVA e accisa sul gasolio), nonché a valere sugli altri cespiti tributari di competenza regionale; rispetto alla futura definizione dell'ammontare complessivo delle risorse in relazione alle quali dovranno trovare applicazione i nuovi criteri di attribuzione, potrebbe dunque essere utile acquisire un'indicazione circa la significatività, limitatamente all'ammontare dei trasferimenti in oggetto, della somma delle compartecipazioni già previste - destinate a finanziare la sanità (IVA) e il trasporto pubblico locale (accisa sul gasolio) - con l'ammontare dei trasferimenti da fiscalizzare individuati dagli allegati Copaff.
In proposito, occorre peraltro evidenziare come l'articolo 14, comma 2, del citato decreto-legge n.8, abbia disposto l'abrogazione della normativa che prevedeva l'incremento, a decorrere dal 2011, della compartecipazione regionale al gettito dell'accisa sul gasolio per autotrazione, al fine di sostituire anche i trasferimenti statali alle regioni relativi ai servizi ferroviari in concessione a Trenitalia S.p.a. di interesse regionale e locale (5).
Anche in tale ultima fattispecie, la Commissione ravvisa l'opportunità definire quanto prima, con appositi decreti legislativi da adottare ai sensi degli articoli 2 e 8, comma 2, lettera c), della legge n. 42/2009, le modalità in base alle quali nella determinazione dell'ammontare del finanziamento concernente la spesa per il trasporto pubblico locale si tiene conto della «fornitura di un livello adeguato del servizio» su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard.
Sotto altro profilo, occorre rilevare come nell'ambito della quantificazione dei trasferimenti fiscalizzabili (7.486 milioni, di cui indicativamente 6.770 riferibili alle RSO), il citato allegato non fornisca una ripartizione delle risorse destinate a finanziare funzioni fondamentali e di quelle destinate a finanziare le altre funzioni (alcune informazioni in merito possono desumersi dalle finalizzazioni dei capitoli dei trasferimenti, da cui si evidenziano alcune voci sicuramente riferibili al primo tipo - quali ad esempio il fondo per le non autosufficienze - mentre altre sembrano riferibili al secondo tipo di funzioni (settore turistico, federalismo amministrativo); una tale classificazione risulterebbe di particolare utilità, sia ai fini dell'individuazione dei tributi che dovranno sostituire i finanziamenti, sia ai fini della perequazione cui il relativo gettito dovrà essere sottoposto. La legge delega prevede, infatti, che tutti i trasferimenti destinati al finanziamento delle funzioni non fondamentali dovranno essere sostituiti, per pari importo, con il gettito dell'addizionale regionale all'IRPEF, senza escludere peraltro che il medesimo tributo sostituisca anche trasferimenti destinati a finanziare funzioni fondamentali. Una distinzione tra i due aggregati dei trasferimenti, anche qualora venissero sostituiti dal medesimo tributo, appare rilevante in quanto il relativo gettito dovrà essere separatamente considerato ai fini dell'applicazione dei due diversi criteri di perequazione previsti dalla legge delega per le due classi di funzioni (perequazione integrale e verticale sui fabbisogni per le funzioni fondamentali e perequazione parziale e orizzontale sulle capacità fiscali per le altre).
In merito ai profili di copertura, si evidenzia, infine, la necessità, ai fini della fiscalizzazione dei trasferimenti oggetto di rifinanziamento annuale, di individuare preventivamente un'adeguata copertura a regime. Occorre, infatti, considerare che le quantificazioni indicate nella Relazione non tengono conto della riduzione trasferimenti

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operata dal più volte richiamato articolo 14 del decreto-legge n. 78/2010, del quale il medesimo provvedimento prevede non debba tenersi conto in sede di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale.
La Commissione condivide pertanto quanto affermato nell'allegato 2 della Copaff, laddove si evidenzia la necessità di individuare adeguate soluzioni per garantire le compatibilità finanziarie; il citato decreto-legge n. 78/2010, con riferimento alla riduzione delle risorse prevista per il comparto delle regioni, quantifica risparmi per un importo pari a 4,5 miliardi per il periodo 2011-2013; ove si preveda che la fiscalizzazione dei trasferimenti individuati debba avvenire nel corso del predetto triennio, andrebbe chiarito quali mezzi di copertura, ulteriori rispetto all'importo relativo ai trasferimenti non permanenti da fiscalizzare, siano destinati a finanziare la riduzione dei trasferimenti alle regioni operata dal citato decreto.
Tale problematica si estende, peraltro, anche alle previsioni contenute nella manovra del decreto 78 relativa a comuni e province.

3.3 La quantificazione dei trasferimenti da fiscalizzare - Enti locali

L'allegato 2 redatto da Copaff opera, altresì, una prima quantificazione dei trasferimenti da sopprimere spettanti a comuni e province, evidenziando anche in tal caso talune problematiche ai fini dell'individuazione della componente da fiscalizzare.
In proposito, mentre per i trasferimenti derivanti dal Ministero dell'interno non si sono riscontrate particolari difficoltà, in quanto facendo riferimento alle «spettanze» si è potuto agevolmente determinarsi la natura del trasferimento, negli altri casi sussiste la necessità di un ulteriore lavoro di indagine per la quantificazione della componente fiscalizzabile, che si dovrà strutturare attraverso la dimostrazione, da parte delle regioni e delle altre amministrazioni centrali, degli elementi per i quali i trasferimenti non si ritengono fiscalizzabili in quanto rientranti nei criteri di esclusione previsti dall'articolo 11 della legge delega.
Per quanto riguarda i trasferimenti dal Ministero dell'interno, nell'individuazione delle componenti da escludere ai fini della fiscalizzazione, profili suscettibili di approfondimento sono rinvenibili per i trasferimenti di carattere permanente, ma che non sono destinati alla totalità degli enti, per i quali sembra opportuno fare ricorso ad un meccanismo perequativo in grado di riequilibrare le risorse anche in relazione a gruppi ristretti di enti.
Aspetti problematici per i quali la Commissione auspica ulteriori approfondimenti sussistono anche in relazione ai trasferimenti dalle regioni agli enti locali, per i quali si evidenziano sensibili scostamenti tra i dati dei bilanci regionali e quelli dei bilanci consuntivi degli enti locali, a testimonianza di come il processo di armonizzazione contabile attualmente in corso, anche grazie all'esercizio parallelo della delega della legge n. 42 e di quello della legge n.196 di riforma della contabilità pubblica, sia un passaggio essenziale per ottenere la necessaria coerenza tra i dati contabili degli enti della P.A., anche in raccordo con le regole europee di contabilità nazionale.
Fra le motivazioni che incidono sullo scollamento tra i bilanci regionali e quelli degli enti locali, la Copaff ricorda le diverse modalità di applicazione del patto di stabilità che incentivano comportamenti asimmetrici tra la regione e l'ente locale nella contabilizzazione; l'analisi di tali differenze dovrà essere oggetto di particolare approfondimento.
I medesimi profili problematici già evidenziati in relazione alle regioni possono in larga parte essere riferiti anche in relazione alla fiscalizzazione dei trasferimenti agli enti locali; tra questi, si richiamano l'esigenza di una ripartizione delle risorse destinate a finanziare le funzioni fondamentali rispetto a quelle destinate alle funzioni non fondamentali, nonché alcune questioni più specifiche, quali la necessità di chiarire se nel caso degli enti

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locali la quantificazione delle risorse da sostituire con cespiti tributari includa anche la compartecipazione IRPEF.
Da ultimo, la Commissione sottolinea l'esigenza di adottare ogni iniziativa utile al fine di pervenire ad una fiscalizzazione dei trasferimenti concernenti anche gli enti locali situati nelle regioni a statuto speciale. Al riguardo, è noto che la legge delega delinea, in ragione del particolare regime di autonomia statutaria riservato a tali enti, modalità peculiari di coordinamento della finanza degli enti medesimi, che prevedono, tra l'altro, appositi tavoli di confronto tra il Governo e ciascuna regione e provincia autonoma, volti ad assicurare il rispetto delle norme fondamentali della stessa legge e dei princìpi che da essa derivano.
Occorre pertanto evidenziare come stante l'entità degli attuali trasferimenti agli enti locali e, segnatamente, a quelli della Sicilia e della Sardegna - che nel complesso ammontano a circa 2,8 miliardi di euro - una non applicazione, pur con le specifiche modalità previste, dei principi generali di delega contenuti nell'articolo 2 della legge inficerebbe il processo di attuazione del federalismo fiscale, rendendo parziale il superamento della spesa storica.
A ciò occorre aggiungere il diverso impatto tra le regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, e tra gli enti ricadenti nei rispettivi territori, delle riduzioni di risorse previste dal decreto-legge n. 78. Per tali ragioni, la Commissione auspica che non vi sia alcuna inerzia nella definizione delle norme di attuazione previste per le autonomie speciali dall'articolo 27 della legge n. 42.

4. I criteri per la fiscalizzazione dei trasferimenti

La Relazione sottolinea come la soppressione e conseguente trasformazione in forme di fiscalità dei trasferimenti statali alle regioni e dei trasferimenti statali e regionali agli enti locali configuri un passaggio fondamentale per attivare il circuito della piena responsabilizzazione delle realtà territoriali, evitando al contempo l'insorgere di contenziosi su criteri e tempi di assegnazione delle risorse.
La fiscalizzazione, come precisa la Relazione, «permette al contrario una maggiore tracciabilità della spesa e della imposizione, favorendo quindi il controllo democratico da parte degli elettori
Tale impostazione, che la Commissione sostiene, non è accompagnata dall'indicazione di un quadro dettagliato delle modalità di sostituzione dei trasferimenti con forme di autonomia finanziaria territoriale, indicando piuttosto la Relazione un percorso di carattere metodologico, in base al quale alla soppressione degli attuali trasferimenti statali a Comuni e Province - cui dovrebbe corrispondere un aumento importante della autonomia impositiva locale e una conseguente riduzione della pressione fiscale statale - dovrà poi successivamente seguire l'abolizione e fiscalizzazione dei trasferimenti regionali.

Il federalismo municipale

In particolare, per quanto attiene gli enti locali ed in particolare la finanza comunale, la Relazione evidenzia come il processo di sostituzione dei trasferimenti debba avvenire in modo graduale, attraverso una prima fase in cui si opererebbe attribuendo ai Comuni la titolarità dei tributi statali attualmente connessi al comparto immobiliare (quali, ad esempio, le imposte di registro, le imposte ipotecarie e catastali e l'IRPEF sugli immobili), che dovrebbero generare un gettito di entità analoga all'ammontare dei trasferimenti di risorse statali che verrebbero simmetricamente ridotti.
Per assicurare la gradualità del processo di fiscalizzazione, in luogo dei trasferimenti erariali soppressi dovrebbe essere istituito un apposito fondo perequativo, il cui ammontare sarebbe destinato a decrescere annualmente.
A corollario e complemento di tale costruzione, la Relazione ricorda, infine, come il decreto-legge n. 78/2010, attualmente all'esame del Parlamento, preveda

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la partecipazione dei Comuni all'attività di accertamento e al contrasto all'evasione fiscale e contributiva (articolo 18), nonché l'aggiornamento del catasto con l'istituzione dell'anagrafe immobiliare integrata (articolo 19).
La Commissione ritiene che il Governo debba impegnarsi per proseguire il processo di decentramento della gestione del Catasto ai Comuni.
La Relazione sottolinea, infine, come in prospettiva, in una seconda e successiva fase, da svilupparsi non per vincolo legale, ma sulla base del consenso comunale, agli attuali tributi statali e municipali che a vario titolo insistono sul comparto immobiliare potrebbero essere concentrati in un unico titolo di prelievo, che potrebbe essere istituito, su iniziativa di singoli Comuni «previa verifica di consenso popolare».
In tale prelievo unico potrebbe essere concentrata una platea di tributi eterogenei (non meno di 17, suscettibili di arrivare per delibera comunale fino a 24), ferma restando l'esclusione dall'imposizione degli immobili adibiti ad abitazione principale - come del resto esplicitamente previsto dalla legge di delega - e con la possibilità, ventilata, di introdurre una cedolare secca sugli affitti.
Rispetto alla situazione attuale, la Relazione sottolinea come in entrambe le fasi l'onere fiscale complessivo resterebbe comunque invariato, salvo il prevedibile «fortissimo recupero di evasione fiscale, con i conseguenti effetti di possibile sgravio fiscale e/o incremento di servizi a favore dei cittadini».
Con riferimento alla fase di transizione, la relazione fornisce alcune limitate indicazioni in merito alle modalità e ai tempi di sostituzione dei trasferimenti con risorse tributarie, prefigurando un criterio di gradualità nella sostituzione dei trasferimenti con gettito tributario.
Al riguardo, la Commissione condivide, in via generale, l'orientamento volto a ricondurre in capo ai comuni i prelievi collegati al comparto immobiliare, pur rilevando alcuni profili problematici rispetto a quanto prefigurato nella Relazione.
In particolare, per quanto concerne la prima fase, essa sembra doversi esaurire di fatto nell'introduzione di un vincolo di destinazione sui gettiti derivanti da una serie di imposte erariali (che sembrerebbero rimanere tali anche in termini di possibilità, da parte dello Stato, di modificarne i parametri fondamentali) attualmente in vario modo gravante sugli immobili.
Pur in mancanza di informazioni dettagliate, da quanto è dato conoscere sembrerebbe che i gettiti corrispondenti ai suddetti tributi affluirebbero a un fondo statale che alimenterebbe i trasferimenti statali a favore dei singoli comuni determinati secondo le attuali regole di riparto (spesa storica). Tecnicamente, non si tratterebbe pertanto di una compartecipazione comunale al 100 per cento sui gettiti delle imposte sopra ricordate attribuita ai singoli comuni secondo un criterio di territorialità (localizzazione delle diverse basi imponibili), ma soltanto di un modo particolare di alimentare il fondo che finanzia i trasferimenti a favore dei comuni che evidenzi il legame con la materia tributaria «privilegiata» a livello municipale, ossia quella immobiliare.
Tale soluzione non sembrerebbe potere adeguatamente garantire l'autonomia dei comuni, posto che la tassazione immobiliare dovrebbe essere alla base della capacità fiscale comunale (da perequare fra comuni) con il riconoscimento di spazi di manovrabilità, e non invece esser utilizzata per raccogliere risorse da assegnare via trasferimenti (perequativi o meno) ai comuni stessi. Per questa seconda funzione viene in evidenza la fiscalità generale dello Stato, che dovrebbe garantire al fondo perequativo tutte le risorse necessarie per portare ciascun comune, data la propria capacità fiscale standard, al pieno finanziamento dei fabbisogni standard, senza vincolare le dimensioni del fondo in relazione all'alimentazione di uno specifico tributo.

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Se la ricostruzione testè illustrata dovesse essere confermata, rispetto alla situazione attuale, per i comuni non vi sarebbero differenze in termini di ammontare di risorse, tranne il fatto che il fondo che finanzierebbe i trasferimenti attuali dello Stato ai comuni verrebbe alimentato non dalla fiscalità generale ma da un insieme di specifiche imposte (quelle «immobiliari», appunto).
Sul punto occorrerebbe comunque verificare se questa diversa configurazione offerta ai comuni maggiori garanzie rispetto a possibili riduzioni delle risorse complessive loro attribuite dallo Stato.
Occorre, inoltre, tenere presente che far dipendere l'alimentazione del fondo dai tributi erariali collegati alle transazioni immobiliari avrebbe la controindicazione che la dimensione del fondo dipenderebbe da entrate fortemente cicliche (a meno di una revisione frequente delle relative aliquote) con la necessità di attivare altri trasferimenti con una valenza «complementare» per garantire la spesa storica. Infine, non sarebbe concesso ai comuni alcun nuovo spazio di variazione autonoma delle aliquote rispetto all'attuale situazione determinata dai provvedimenti adottati degli scorsi anni.
È necessario, infine, rilevare come, per ragioni di efficienza e di economicità, sussista comunque l'esigenza di mantenere la gestione di tributi quali l'imposta di registro, le ipocatastali e l'Irpef sugli immobili in capo all'Agenzia delle Entrate, che già oggi gestisce tali forme di prelievo, fatti ovviamente salvi i meccanismi di collaborazione interistituzionale in materia di accertamento su cui il legislatore è intervenuto anche nella manovra attualmente all'esame della Camera.
A tal proposito, la Commissione evidenzia la circostanza che il gettito delle imposte devolute al fondo è distribuito in modo asimmetrico per aree geografiche (con forti divari non solo fra nord e sud, ma anche fra grandi e piccole città, fra centri urbani e periferie metropolitane, fra aree urbane e aree rurali) e si evolve in modo idiosincratico nel tempo, essendo legato in prevalenza alla dinamica contrattuale del settore immobiliare. La Commissione invita pertanto il Governo a prevedere adeguate misure correttive e di compensazione, ad esempio diversificando il trattamento dei Comuni di piccola dimensione al confronto con quelli di dimensione media e grande.
Profili problematici di particolare rilevanza possono essere evidenziati in relazione alla seconda fase prefigurata dalla Relazione, ossia l'istituzione di un'imposta unica comunale.
In proposito, va anzitutto sottolineata l'estrema eterogeneità dei presupposti degli attuali tributi che sono in qualche misura connessi agli immobili.
All'Ici sulle seconde case (e sulle prime di lusso), che è un'imposta patrimoniale, dovrebbero aggiungersi, in un'unica forma di prelievo, l'imposta di registro e le imposte ipocatastali, tributi sui trasferimenti immobiliari, nonché l'Irpef sui redditi promananti, anche in modo figurativo, dagli immobili, e, addirittura la Tarsu, che non è nemmeno un'imposta, ma piuttosto una tassa il cui presupposto va ravvisato nella fruizione di un servizio, quello dell'asporto e dello smaltimento dei rifiuti, fornito in regime di privativa dall'ente locale.
Questo mix di forme di prelievo non sembra poter soddisfare le esigenze di autonomia impositiva dei comuni, anche in ragione del fatto che i gettiti corrispondenti di alcune imposte che sarebbero incluse nel prelievo unico (quali l'imposta di registro e quella ipo-catastale) sono, come noto, fortemente sperequati tra comuni e variabili in termini temporali, con la conseguente necessità di aggiustamenti mediante trasferimenti perequativi da un lato e revisioni di aliquote delle compartecipazioni dall'altro.
La portata della nuova imposta municipale, in termini di ampiezza della base imponibile e di gravosità dell'aliquota, dovrebbe inoltre essere valutata in relazione alla razionalità del disegno generale del sistema tributario nazionale e, in particolare, dell'esigenza di trasferire parte del carico fiscale dai redditi da lavoro al capitale, in particolare quello immobiliare.

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A tal proposito la Commissione rileva che la Relazione del Governo non fornisce indicazioni sul punto più importante e delicato dell'intera materia, e cioè sulle forme di fiscalizzazione dei 3,4 miliardi di trasferimenti statali ai Comuni derivanti dal ristoro delle entrate venute a mancare in conseguenza dell'abolizione dell'Ici sulla prima casa.
Se, infatti, la nuova imposta municipale dovesse avere l'obiettivo di assorbire anche questa somma, l'esito inevitabile sarebbe la reintroduzione di uno sforzo fiscale locale al posto di quello nazionale oggi sotteso a quella categoria di trasferimenti. La natura di tale sforzo fiscale locale e i suoi effetti in termini di equità e di efficienza vanno attentamente valutati, nello specifico e all'interno del generale scenario di riforma del sistema fiscale.
In particolare il Governo dovrebbe fornire elementi di valutazione su due aspetti sui quali la relazione non si sofferma: (a) quale ripartizione operare del detto sforzo fiscale locale fra le persone residenti e le altre basi imponibili potenzialmente utilizzabili dai Comuni e relative alle «cose» (suolo, sottosuolo, popolazione fluttuante, valore creato dalle autorizzazioni urbanistiche, ecc.); (b) per ciò che concerne lo sforzo fiscale a carico dei residenti, come evitare una ripartizione meramente capitaria, che avrebbe evidentemente risultati fortemente regressivi al confronto con l'imposta che, di fatto, verrebbe sostituita, e cioè con l'Ici prima casa.
Per ciò che concerne il punto (a) del precedente paragrafo, la Commissione invita il Governo a valutare, proprio all'interno della riforma dell'autonomia impositiva dei Comuni, la possibilità di sperimentare l'indirizzo più volte emerso verso lo spostamento delle imposte «dalle persone alle cose», a partire da basi imponibili già esistenti, dalle previsioni della legge n. 42 in merito alle imposte di scopo, oltre che da alcune innovazioni introdotte nel decreto n. 78 del 2010 a vantaggio del solo Comune di Roma.
Se invece la nuova imposta municipale non è destinata ad assorbire per intero i trasferimenti originati dall'abolizione dell'Ici prima casa, la Commissione invita il Governo a valutare la possibilità di utilizzare lo strumento della compartecipazione al gettito di un grande tributo erariale per fornire una «chiusura» più stabile e certa alla riforma della finanza comunale.
La Relazione affida il passaggio dalla prima fase alla seconda fase (e quindi l'effettiva istituzione dell'Imu) «ad una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni». Tale approccio appare assai discutibile, posto che in un paese che conta 8.000 comuni, potrebbe capitare che alcuni di essi adottino il prelievo unico, altri no. Accadrebbe quindi che l'assoggettamento ad imposta di registro o al tributo unico, con modalità al momento ignote, dipenderebbe dal luogo in cui è collocato l'immobile trasferito, con conseguenti evidenti effetti di complicazione del sistema. Occorre, inoltre, rilevare che sarebbe invero singolare sottoporre direttamente ai cittadini la decisione su una questione fortemente tecnica, in un contesto ordinamentale in cui il referendum, per il vero abrogativo, non è ammesso in materia tributaria.
Occorre inoltre valutare il possibile esito di una situazione in cui alcuni comuni decidano di passare all'Imu, mentre altri scelgano di rimanere legati ai trasferimenti derivati, secondo le regole attuali, dal fondo di cui alla fase uno. A parte la questione non secondaria dell'adeguatezza della dimensione del fondo a finanziare i trasferimenti richiesti nel caso di uscita di comuni con basi imponibili particolarmente consistenti, va sottolineato come il sistema perequativo comunale dipenda criticamente, oltreché dalla determinazione dei fabbisogni standard per ciascun comune, dalla parallela determinazione della loro capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni.
Occorre quindi rilevare come la non obbligatorietà del passaggio all'Imu renderebbe impossibili le valutazioni, richieste dalla legge n. 42, connesse alla standardizzazione delle entrate ad aliquota e basi imponibili uniformi.

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La Commissione sottolinea pertanto che un'imposta municipale unica attivata da alcuni comuni ma non da altri potrebbe porre al sistema impositivo e quello perequativo comunale seri problemi di funzionalità. Auspica, inoltre, che sia definito con chiarezza in quali forme verranno fiscalizzati i trasferimenti compensativi derivanti dal venir meno del gettito Ici sulla prima abitazione, se con nuove imposte aggiuntive oppure con forme di compartecipazione, e con quale impatto sotto il profilo della distribuzione delle risorse.
Per quanto concerne l'ipotesi di istituire un'imposta sostitutiva sui redditi da locazione immobiliare - la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti, tale scelta dovrebbe costituire un incentivo alla riduzione del fenomeno dell'evasione degli affitti percepiti, e, quindi, da questo punto di vista, la valutazione non può che essere positiva, anche in ragione del fatto che la destinazione del relativo gettito ai comuni consente di attivare una più efficace attività di contrasto ai fenomeni di evasione.
Alcune perplessità potrebbero, peraltro, sorgere in relazione all'entità dell'aliquota dell'imposta sostitutiva, la quale, per evidenti ragioni di equità e di salvaguardia della progressività del sistema tributario, dovrebbe poter coniugare l'esigenza di promuovere un recupero di basi imponibili con quella di non favorire fiscalmente in modo eccessivo forme di rendita in un contesto generale caratterizzato da un elevato livello della tassazione del lavoro e delle imprese, senza peraltro che ciò trovi giustificazione nella mobilità dell'oggetto da sottoporre a tassazione.
Va in ogni caso valutato favorevolmente l'incremento di risorse di carattere tributario che risulteranno a disposizione dei comuni, garantendo tale circostanza una più sicura realizzazione del principio di responsabilità.
Al tempo stesso, va affrontato a parere della Commissione con maggiore prudenza il tema del totale assorbimento degli attuali trasferimenti via tributi locali e senza utilizzo di compartecipazioni. Infine, va affrontato il tema dell'articolo 15 della legge n. 42 sul finanziamento delle aree metropolitane.

5. La fiscalità regionale

Quanto al comparto regionale, la Relazione ribadisce come il combinato effetto dell'applicazione dei costi standard e della razionalizzazione delle fonti di gettito sia suscettibile di attivare un processo progressivo di responsabilizzazione, nel cui ambito le ipotesi di lavoro allo studio sono volte all'obiettivo prioritario di consentire ai governi regionali di effettuare manovre «virtuose» rispetto a standard di aliquota fissati a livello nazionale.
Al riguardo, la Relazione richiama l'articolo 40 del decreto-legge n. 78/2010, attualmente all'esame del Parlamento, che prevede la possibilità, per le Regioni del Sud, di rimodulare, con propria legge, le aliquote IRAP, fino ad azzerarle, nonché di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive.
Anche in tal caso, la Commissione non può che auspicare una riconduzione entro la cornice unitaria stabilita dalla legge delega delle disposizioni volte a consentire la manovrabilità sui tributi propri derivati, invitando altresì il Governo a dare una compiuta attuazione - attraverso un decreto delegato - al criterio direttivo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera mm), della legge n. 42/2009, al fine di individuare, in conformità con il diritto comunitario, «forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate».
Per quanto concerne, in via generale, l'autonomia impositiva delle regioni, l'approfondimento tecnico n. 6 allegato alla Relazione sottolinea come il quadro definito dalla legge delega sia piuttosto preciso, non lasciando ai decreti legislativi margini di attuazione ampi come quelli previsti invece per la finanza locale.
Nel sistema di finanziamento delle Regioni previsto dalla legge di delega la possibilità di introdurre tributi regionali

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autonomi è del resto minore, non essendo possibile introdurre prelievi regionali su presupposti già oggetto di imposizione statale; tale circostanza deve essere valutata alla luce dell'esigenza di non creare, almeno nella fase di avvio del federalismo fiscale, un'eccessiva frammentazione del sistema tributario.
Una significativa novità sarà peraltro connessa al sistema delle compartecipazioni, il cui ancoraggio al principio della territorialità consentirà di renderle «intelligenti», inducendo altresì un recupero di basi imponibili evase, posto che alla singola Regione dovrà essere destinato il gettito effettivamente percepito sul territorio e non, come attualmente previsto per la compartecipazione all'IVA, quello virtuale calcolato secondo i consumi ISTAT, superando la fase transitoria aperta dal decreto 56 del 2000.
Tale impostazione consentirà di superare una delle anomalie del sistema della finanza derivata, ed in particolare di evitare, in futuro, la logica di negoziazione, più che discutibile, che in questi anni ha caratterizzato, ad esempio i vari «Patti per la salute», in cui l'aliquota di compartecipazione all'Iva prevista dal decreto legislativo n. 56 del 2000 - «che viene peraltro sempre determinata con decreto ministeriale ex post rispetto alla spesa concordata» - è «quasi raddoppiata in 10 anni» - passando dal 25,7 per cento al 44,72 per cento - dimostrando con ciò che «l'aggancio tributario »versione IVA« del finanziamento della spesa per la sanità contribuisce, in realtà, un trasferimento sostanzialmente incondizionato dal bilancio statale».
Appare pertanto condivisibile il fatto che nel sistema della legge delega la compartecipazione all'IVA sia destinata - secondo quanto riportato nel predetto allegato - ad assumere una dimensione importante, ciò in quanto si tratta di un'imposta distribuita in modo uniforme sul territorio nazionale. In ogni caso, possono essere previste quote percentuali di compartecipazione differenziate regione per regione in coerenza con i fabbisogni e i costi standard da finanziare.
Un ruolo probabilmente maggiore rispetto a quello attuale sarà inoltre ricoperto dall'addizionale IRPEF - cui dovrà corrispondere una contemporanea riduzione dell'IRPEF nazionale - ciò anche perché non viene più prevista, come modalità ordinaria di finanziamento, l'ipotesi della compartecipazione regionale all'IRPEF.
Nell'ambito dell'addizionale IRPEF, la Commissione auspica peraltro che possano svilupparsi in modo adeguato anche le politiche regionali a favore della famiglia, cui fanno riferimento i principi direttivi di cui all'articolo 2, lettere ff) e gg) della legge di delega n. 42.
Si osserva, infine, che la Relazione non fornisce indicazioni in merito alle modalità e ai tempi di attuazione della sostituzione dei trasferimenti con risorse tributarie.
In proposito, pur considerando che l'argomento in questione, al pari di altri non approfonditi dalla Relazione, sarà presumibilmente oggetto di successive analisi, appare opportuno acquisire alcuni chiarimenti di carattere preliminare.
Con riferimento ai tempi di transizione, mentre per gli enti locali la parte introduttiva della Relazione prevede un criterio di gradualità nella sostituzione dei trasferimenti con gettito tributario, analoga indicazione non è esplicitamente fornita con riferimento alle regioni.
Appare pertanto opportuno che sia chiarito se - ferma restando la gradualità della transizione dal finanziamento sulla base della spesa storica a quello sulla base dei nuovi parametri, su un arco temporale che la legge delega fissa in 5 anni - anche per le regioni sia prevista una sostituzione graduale dei trasferimenti con gettito tributario o se, invece, sia previsto che la predetta sostituzione possa avvenire integralmente in una fase antecedente rispetto al successivo percorso di transizione verso i nuovi criteri di riparto del gettito.

5.1 I fabbisogni standard di Province e Comuni

La Commissione prende atto della decisione del Governo di avvalersi, come

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struttura tecnica di supporto per l'individuazione dei fabbisogni standard degli enti locali, della SOSE S.p.a., società a partecipazione interamente pubblica, che gestisce e aggiorna circa 206 studi di settore e che possiede adeguati strumenti modellistici e competenze di elaborazione dati per effettuare approfondite analisi statistiche finalizzate all'analisi dei fattori che determinano l'elevata variabilità osservabile nei dati dei comuni, anche attraverso tecniche campionarie.
La Commissione ritiene però che lo schema di decreto governativo recentemente presentato, prevedendo un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri conclusivo da parte del Governo, sia lesivo delle autonomie territoriali e del Parlamento.
Tale metodologia, come è accaduto per gli studi di settore, dovrebbe partire dalla valorizzazione dei dati promananti da questionari che le autonomie dovrebbero fornire, per poi addivenire, grazie all'utilizzo di funzioni di regressione similari a quelle utilizzati per gli studi di settore, all'individuazione dei vari fabbisogni connessi alla fornitura dei servizi e all'espletamento delle funzioni da parte degli enti locali.
L'applicazione della metodologia degli studi di settore, utilizzata da circa un decennio dall'Amministrazione finanziaria, consentirebbe di superare alcuni dei limiti dei metodi tradizionali, presentando dei punti di forza, che la Commissione ritiene debbano essere valorizzati, quali:
• la condivisione delle scelte tecniche nelle diverse fasi della procedura, che consentirebbe, nella determinazione del fabbisogno standard, di assicurare una notevole solidità politico-istituzionale alle fondamenta del federalismo; la procedura postula peraltro un significativo ruolo collaborativo da parte degli enti locali nell'inoltro del questionario che la Commissione auspica manifestarsi;
• il perseguimento graduale di un criterio di efficienza, come obiettivo di medio-lungo periodo, e dinamico, da realizzare sulla base di una rideterminazione periodica degli standard al fine di tener conto dei cambiamenti nel contesto di riferimento, nonché delle innovazioni nelle tecniche di produzione dei servizi.

Incidentalmente, si rileva come l'esigenza di consentire alle autonomie - al pari di quello che avviene per gli studi di settore - di dare dimostrazione che un determinato fabbisogno per una determinata funzione si situa al di sopra dello standard non per ragioni di inefficienza ma, piuttosto, per ragioni collegate a particolari e specifiche situazioni locali - con un eventuale conseguente mantenimento del finanziamento al di sopra dello standard - rischierebbe di incrementare oltre ogni limite la complessità di sistema, determinando estenuanti trattative che certamente seguirebbero ai tentativi di sottrarsi alle maglie uniformizzanti dei dati emergenti dalle elaborazioni statistiche affidate alla SOSE S.p.a.. L'intervento delle autonomie andrebbe quindi concertato al momento dell'elaborazione del metodo di determinazione dei fabbisogni.
La Commissione tuttavia ritiene che debbano essere maggiormente enfatizzati, nel lavoro di costruzione degli indicatori di fabbisogno, due aspetti su cui la Relazione del Governo non contiene indicazioni: (a) all'interno delle funzioni fondamentali dei Comuni operano anche livelli essenziali delle prestazioni, come la legge n. 42 indica, e in questi casi la definizione degli standard dovrà fare riferimento ai «l.e.p.» e agli obiettivi di servizio; (b) una più chiara separazione fra la fase di analisi statistica e la fase di definizione degli strumenti operativi.
Sembra opportuno alla Commissione che il Parlamento sia informato sugli esiti dall'analisi di tipo statistico, prima che si passi alla fase di lavoro più propriamente operativa. E che comunque alla fine della seconda fase le determinazioni in merito ai criteri di calcolo dei fabbisogni standard siano anch'esse valutate nell'appropriata sede parlamentare.
Infine, la Commissione invita il Governo a valutare l'opportunità di associare all'intero procedimento anche l'ISTAT, il

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quale, oltre ad essere depositario di un adeguato know how sul piano statistico-metodologico, è anche l'Istituto depositario delle banche dati sugli obiettivi di servizio a livello territoriale, che saranno certamente da utilizzare durante il lavoro di analisi statistica e di valutazione dei modelli.

5.2 I costi standard delle Regioni

Con riferimento ai costi standard delle regioni, la Relazione pone un'attenzione particolare al settore della sanità, anche in considerazione dell'elevata incidenza della spesa sanitaria sui bilanci regionali e per la presenza di notevoli margini di recupero di efficienza e di risparmio realizzabili con l'applicazione dei costi standard.
Al riguardo, occorre anzitutto rilevare come la crescita della quota di spesa pubblica locale sul totale della spesa della PA sia un fenomeno dovuto alla sola crescita della spesa sanitaria. Secondo un'analisi dei dati Istat, esclusa la sanità, le spese dei Comuni, Province e Regioni si riducono in quota durante gli anni '80, restano costanti durante gli anni '90, si divaricano negli andamenti durante il primo decennio del 2000: i Comuni scendono di un punto, le Regioni restano costanti, le Province aumentano, come può evincersi dalla seguente tabella (fonte: Istat, Conti amministrazioni pubbliche per sottosettore).

Spesa delle amministrazioni locali in % sul totale delle amministrazioni pubbliche

 1980199020002008
Comuni11,8%9,5%9,6%8,6%
Province 2,4%1,1%1,1%1,4%
Regioni esclusa sanità 5,0%4,3%4,5%4,4%
Sanità 6,5%11,3%12,5%14,1%
Totale amministrazioni locali 25,7%26,2%27,7%28,5%

Se è evidente che la dinamica del totale «amministrazioni locali» è determinata dalla spesa sanitaria, per la quale è dunque giustificabile un'analisi specifica, che tenga conto delle variabili strutturali rilevanti (ad esempio, invecchiamento della popolazione), occorre peraltro rilevare come in base ai confronti internazionali, la quota sul Pil della spesa sanitaria italiana non sia affatto fuori linea rispetto a quanto emerge nei principali paesi avanzati, e come il nostro sia riconosciuto unanimemente come uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.
Così come onestà intellettuale impone di sottolineare come l'incremento delle spese imputate dalla Relazione alle pensioni di invalidità sia in realtà riferibile all'aumento delle spese concernenti le «indennità», le quali sono in larga parte determinate dalle indennità di accompagnamento per gli anziani non autosufficienti, che sono aumentate in modo rilevante in tutto il territorio nazionale anche in relazione a motivi demografici. Per tali ragioni, la Commissione ritiene necessario svolgere un'approfondita riflessione sui sistemi di assistenza alle persone anziane non autosufficienti, al fine di definire in questo campo appropriati «l.e.p.» e valutare il ruolo delle esistenti indennità in questo contesto.
Con riferimento al comparto della sanità, la Commissione condivide l'analisi della Copaff, laddove sottolinea come uno dei limiti più rilevanti dell'attuale sistema sanitario sia strettamente connesso alla definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e al loro sistema di finanziamento, poiché è vero in effetti che i

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LEA sono oggi «un mero elenco di servizi», che ogni ASL deve offrire ai cittadini, senza alcuna connotazione quantitativa degli stessi e privo di un chiaro e definito legame con le modalità di finanziamento.
Quanto ai possibili approcci metodologici per la quantificazione di costi standard, la Commissione ritiene che l'approccio analitico - che postula la costruzione dal basso dei fabbisogni standard - sia allo stato difficilmente percorribile per la mancanza di dati affidabili e uniformi nel Paese sui volumi di attività e consumi efficienti, nonché sui costi ottimali di erogazione dei servizi.
Quello che definisce «a cascata» fabbisogni e costi standard a livello nazionale e regionale sembrerebbe pertanto il metodo più affidabile e realistico, in quanto prevede in una prima fase la fissazione del fabbisogno standard nazionale (in rapporto normalmente al PIL) e del perimetro dei LEA economicamente sostenibili e, successivamente, la definizione dei fabbisogni standard regionali.
Per quanto attiene alla determinazione dei fabbisogni regionali, le metodologie allo studio che prevedono l'utilizzazione degli attuali criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale (FSN) con l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi al fine di eliminarne le distorsioni, con particolare riferimento alla pesatura della popolazione, debbono essere attentamente approfondite.
Pur condividendo l'esigenza di superare le problematiche connesse al criterio di ponderazione sperimentato nella ripartizione del FSN - nell'ambito del quale la sovra pesatura della popolazione anziana, unitamente all'utilizzo della media nazionale di costo, in luogo delle migliori pratiche, potrebbe alimentare il rischio che siano inglobati nella spesa per la popolazione anziana anche i costi dei sistemi meno efficienti - occorre considerare come la bontà di un modello fondato sulla «determinazione di una quota capitaria ponderata, con pesatura del 100 per cento delle componenti di spesa» - nell'ambito della quale la quota capitaria ponderata viene pesata per classi di età e sesso, con pesi determinati dai consumi delle principali variabili della spesa sanitaria (farmaceutica, ricoveri ospedalieri, specialistica ambulatoriale, etc...) - sia anch'essa fortemente condizionata dalla qualità dei dati disponibili.
In questo ambito, meritevole di ulteriore approfondimenti è anche la metodologia che utilizza i DRG/ROD (Diagnosis Related Group / Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), già utilizzata in Italia dalle aziende ospedaliere per calcolare il saldo della mobilità interregionale ed anche come parametro per la remunerazione delle prestazioni sanitarie sulla scorta di tariffe dei DRG fissate dalle singole regioni sulla base dei costi di produzione dei servizi.
Sempre in ambito sanitario, appaiono in linea generale condivisibili sia l'ipotesi di adottare un diverso parametro di riferimento per calcolare il fabbisogno regionale che prevede la definizione di uno «standard ottimale di riferimento», da costruire sulla base del comportamento di spesa delle «Regioni ad alto livello di prestazioni», sia l'orientamento volto a definire «un nuovo modello di governo responsabile», in base al quale la definizione delle linee guida per la messa a punto dei costi standard dovrebbe essere affidata alla Conferenza Stato-regioni, con la collaborazione dell'A.I.F.A. e dell'AGE.NA.S., nonché di altri soggetti come le citate SOSE ed ISTAT.
Occorre in particolare ammodernare un sistema di governance del comparto sanitario nel quale, di norma, il controllo sulle attività ospedaliere è affidato alle ASL, che gestiscono direttamente anche i presidi ospedalieri, determinando una concentrazione nello stesso soggetto delle attività di programmazione, acquisto, erogazione e controllo delle prestazioni specialistiche ospedaliere.
In tal senso, la costruzione di una governance territoriale (DRG e costi standard), strutturata sulla base di un sistema di forte responsabilizzazione, da realizzare

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attraverso l'attivazione di nuovi strumenti di monitoraggio e controllo sulle gestioni sanitarie e di nuovi meccanismi di certificazione non potrà che contribuire a migliorare la qualità della spesa ed il livello delle prestazioni in tutto il territorio nazionale.
La Commissione rileva, da ultimo, la necessità di addivenire tempestivamente alla definizione dei LEA/LEP nella sanità e anche a quella delle metodologie per la fissazione dei livelli essenziali e dei costi standard riferibili agli altri settori contemplati dalla legge delega, ed in particolare quelli dell'istruzione e dell'assistenza sociale.

5.3 Rapporto fra livelli essenziali dei servizi e costi standard

I livelli essenziali dei servizi costituzionalmente garantiti assumono un valore preliminare nel processo di attuazione del federalismo e devono essere collegati ai costi standard, in modo da garantire un livello uniforme dei servizi su tutto il territorio nazionale.
In linea generale, la Commissione sottolinea con forza l'esigenza di far sì che gli eventuali risparmi derivanti dal passaggio ai costi standard siano utilizzati, in conformità al combinato disposto delle leggi n. 42 e n. 196, nell'ambito del processo dinamico di coordinamento della finanza pubblica volto a delineare un percorso di convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo e di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, che sia altresì assistito da indicatori di efficienza e adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi ai cittadini.
Come conseguenza, ferma restando l'esigenza di garantire comunque l'equilibrio ed il consolidamento dei conti pubblici, le eventuali economie derivanti dal superamento della spesa storica potranno essere utilizzate per raggiungere gli standard di servizio nei settori e nei territori che potrebbero restare al di sotto dei livelli essenziali delle prestazioni stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi statali.

L'idea che esistano in Italia aree sociali e territoriali che siano stabilmente in grado di garantire un moderno e avanzato sistema di servizi pubblici di livello europeo finanziato unicamente dalle basi fiscali locali senza un intervento pubblico fondato sul principio di coesione nazionale, è sbagliato sul piano culturale, non è coerente non soltanto con i dati effettivi a nostra disposizione ma anche con la legge n. 42, e anzi mette a rischio l'attuazione del federalismo in Italia.

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TAVOLA 1
La spesa discrezionale divisa per sottosettori istituzionali della P.A
(milioni di euro)

 2009
Conto economico consolidato delle PA - spese complessive 798.854
Il dato rappresenta il complesso delle spese delle Amministrazioni pubbliche che, secondo il sistema dei conti SEC95, sono articolate in tre sottosettori: Amministrazioni centrali, Amministrazioni locali, Enti di previdenza.
L'elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, e ripartite nei suddetti sottosettori, è predisposto annualmente dall'ISTAT e pubblicato sulla G.U. (l'ultimo disponibile è pubblicato nella G.U. 31 luglio 2009, n. 176).
Il conto economico si dice consolidato in quanto vengono eliminati tutti i rapporti di flussi finanziari tra le amministrazioni pubbliche nell'ambito del settore.
Il conto viene costruito dall'ISTAT entro la fine del mese di febbraio di ciascun anno al fine di trasmettere alla Commissione UE le statistiche richieste in applicazione del protocollo sui deficit eccessivi annesso al Trattato di Maastricht.
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici

- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
171.578
71.288

0
0
 2009
Conto economico delle Amministrazioni centrali - spese complessive 467.193
Secondo il SEC95, nella definizione di Amministrazioni centrali rientrano:
- gli organi amministrativi dello Stato (vedi tab. seguente)
- gli altri enti centrali la cui competenza si estende alla totalità del territorio economico, esclusi gli enti centrali di previdenza e assistenza sociale
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
96.263
67.346
194.763
12.586

di cui:

 2009
Conto economico dello Stato - spese complessive
Si intende, per Stato, il settore statale.
Secondo il SEC95, vi rientrano: la Presidenza del Consiglio dei Ministri e tutti i Ministeri, gli Organi costituzionali e di rilievo costituzionale, gli interessi attivi e passivi per mutui erogati dalla Cassa depositi e prestiti ad Amministrazioni pubbliche (c.d. gestione conto MEF)
458.866
Pag. 280

(milioni di euro)

 2009
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici:
(di cui: agli enti di previdenza)
(di cui: alle Amministrazioni locali)
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
92.659
67.254
199.618
(82.611)
(112.145)
15.491
Spesa c.d. discrezionale nella Relazione83.844
 2009
Conto economico delle Amministrazioni locali - spese complessive 255.055
Secondo il SEC95, nelle Amministrazioni locali rientrano:
- regioni, province, comuni e unioni di comuni,
- tutte le unità istituzionali che hanno un ambito locale, dunque le ASL, le Aziende ospedaliere, i Policlinici universitari, gli Enti locali produttori di servizi assistenziali (es. Università, Parchi, Fondazioni lirico-sinfoniche ed enti di diritto allo studio),
- gli enti economici locali (ad es. Camere di commercio, Comunità montane, ATO - Ambiti territoriali ottimali sia relativi ai rifiuti, che all'acqua)
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
71.720
4.641
979
6.060
Spesa discrezionale indicata nella Relazione171.655

di cui:

 2009
Amministrazioni regionali - spese complessive 171.926
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici (per la gran parte destinati alle ASL)
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
6.064
1.579
117.807
15.768
Spesa c.d. discrezionale nella Relazione30.708
Amministrazioni comunali - spese complessive 68.699
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
16.331
2.354
1.551
163
Spesa c.d. discrezionale nella Relazione48.300
Pag. 281

(milioni di euro)

 2009
Amministrazioni provinciali - spese complessive 12.840
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
2.362
325
571
224
Spesa c.d. discrezionale nella Relazione9.358
Enti sanitari locali - spese complessive 111.332
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
36.700
333
764
0
Spesa discrezionale 73.535
 2009
Conto economico degli Enti di previdenza - spese complessive 298.310
Secondo il SEC95, il sottosettore degli Enti di previdenza ricomprende tutte le unità istituzionali sia centrali sia locali, che erogano prestazioni sociali obbligatorie in forza di disposizioni legislative o regolamentari e a cui determinati gruppi della popolazione sono tenuti a versare contributi. Vi si classificano l'Inps, l'Inail, l'Inpdap e altri enti (Casse previdenziali aziendali, enti di previdenza di varie categorie professionali, le Casse previdenziali privatizzate, ecc.).
di cui:
- Spesa per redditi da lavoro dipendente
- Spesa per interessi passivi
- Trasferimenti correnti ad enti pubblici
- Trasferimenti c/capitale ad enti pubblici
3.595
192
6.425
0
Pag. 282

TAVOLA 2
RUOLO DEI TRASFERIMENTI E DELLA COMPARTECIPAZIONE IVA SULLE ENTRATE CORRENTI PER REGIONE

Anno 2008 - Valori assoluti

 Tributi propri o devoluti (al netto compart. IVA) Compartecipazione IVA Entrate proprie Trasferimenti di parte corrente da amministrazioni centrali Altri trasferimenti di parte corrente TOTALE ENTRATE correnti
Milioni di euro
Piemonte4.7204.0153166041279.782
Lombardia12.1239.6792931.56412823.787
Veneto5.0633.99615990311610.237
Liguria1.4761.626103761233.989
Emilia Romagna4.9213.8821451.0418610.074
Toscana3.7713.722165770998.526
Marche1.4141.58355273323.358
Umbria9597843225172.034
Lazio7.7593.9056501.10810013.522
Abruzzo1.09996332806152.915
Molise247185214340887
Campania3.7863.509414.8402112.198
Basilicata4588625611841.498
Puglia2.3664.9561042.066229.515
Calabria1.1722.692293001174.310
Totale R.S.O.51.33446.3592.20215.839898116.632
Valle D'Aosta1.40003725141.475
Trentino Alto-Adige8.4010235631518.850
Friuli Venezia Giulia5.3260190229175.762
Sardegna5.598020829416.102
Sicilia11.28104842.8599114.714
Totale R.S.S.32.00501.1543.47027336.902
Totale complessivo83.34046.3593.35619.3091.171153.534
Pag. 283

ALLEGATO 2

Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (articolo 2, comma 6, della legge 5 maggio 2009, n. 42). (Doc. XXVII, n. 22).

NUOVA PROPOSTA DI DOCUMENTO PREDISPOSTA DAL RELATORE, SEN. PAOLO FRANCO

La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,
esaminata la Relazione sull'attuazione del federalismo fiscale - e i relativi allegati tecnici - che il Governo ha presentato alle Camere ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2, comma 6, della legge 5 maggio 2009, n. 42;
preso atto dei chiarimenti e delle indicazioni fornite dal Ministro dell'economia e delle finanze nell'audizione svoltasi presso la Commissione il 21 luglio 2010 e valutata con favore la volontà del Governo, ribadita in tale sede, di continuare ad operare in stretto raccordo con il Parlamento, seguendo il medesimo costruttivo approccio di leale collaborazione interistituzionale adottato in occasione dell'esame del primo schema di decreto legislativo in materia di federalismo demaniale;
esaminate le ulteriori informazioni e ricostruzioni contabili fornite dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale;
formula, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, lettera b), della legge n. 42/2009, anche sulla base delle attività conoscitive svolte, le seguenti osservazioni e valutazioni utili alla predisposizione dei decreti legislativi di attuazione della delega.

1. Il contesto europeo

La citata Relazione sull'attuazione del federalismo fiscale (d'ora in avanti semplicemente Relazione) - presentata all'attenzione del Parlamento in data 30 giugno 2010 - interviene in una fase congiunturale di particolare delicatezza e in un contesto che registra una significativa evoluzione, a livello nazionale e comunitario, degli strumenti di governo della finanza pubblica e di coordinamento delle politiche economiche.
Nella medesima data del 30 giugno la Commissione europea, facendo seguito alla richiesta del Consiglio europeo del 17-18 giugno, ha, infatti, presentato una Comunicazione (6) che propone una serie di misure, legislative e non, volte a definire una più forte sorveglianza macroeconomica; un quadro nazionale di bilancio più rigoroso; un'applicazione più stringente del Patto di stabilità e crescita, nonché a introdurre un «semestre europeo» che definisca una cornice per le politiche economiche nazionali.
È evidente come le determinazioni che saranno assunte in sede comunitaria non possano che riflettersi sul processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione e sulle nuove modalità di coordinamento

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dinamico della finanza pubblica desumibili dal combinato disposto della legge n. 42/2009 e della nuova legge di contabilità e finanza pubblica n.196 del 2009.
È infatti la stessa Commissione europea che prospetta, con particolare riferimento ai Paesi con assetti decentrati, l'adozione di un quadro di bilancio nazionale che comprenda l'intero sistema di finanza pubblica, nell'ambito del quale le regole di bilancio dovranno sempre più perseguire obiettivi di medio termine, ispirandosi ad un criterio di pianificazione pluriennale, che richiede l'indicazione delle entrate e delle spese programmate e degli aggiustamenti richiesti per realizzare l'obiettivo di finanze pubbliche solide.
A tal fine, si propone sia un'applicazione più rigorosa degli strumenti preventivi e correttivi già previsti dal Patto di stabilità e crescita europeo, sia l'introduzione di un nuovo sistema di sanzioni e di incentivi a favore degli Stati membri che attuano politiche di bilancio virtuose.
Quanto alle prime, facendo leva su talune voci del bilancio UE destinate agli Stati membri (essenzialmente fondi strutturali, della politica agricola comune e fondo europeo della pesca), la Commissione prospetta, tra l'altro, un meccanismo in base al quale l'avvio della procedura per disavanzo eccessivo comporterebbe la sospensione degli stanziamenti di impegno connessi ai programmi pluriennali relativi a tali fondi, mentre nel caso di mancata attuazione delle raccomandazioni adottate nell'ambito della procedura, verrebbe disposta la cancellazione degli stanziamenti di impegno (7).
Sotto altro versante, è opportuno rilevare come sempre in sede comunitaria sia altresì emersa l'esigenza di introdurre nella politica di coesione un principio di condizionalità ex ante, in base al quale l'allocazione dei relativi finanziamenti dovrebbe essere vincolata all'adozione di riforme strutturali mirate ad accrescerne l'efficacia e l'efficienza; riforme nell'ambito delle quali non può che essere annoverata la stessa legge n. 42, che rappresenta, in effetti, il più moderno e articolato tentativo di coniugare in modo nuovo l'equità e l'efficienza della spesa nei diversi livelli territoriali.
In tal senso, non può che essere pienamente condiviso l'assunto, enunciato nella Relazione, in base al quale il riordino della finanza pubblica italiana - da realizzare naturalmente in chiave federalista sulla base del «controllo democratico e/o fiscale esercitato dai cittadini» - è necessario anche «per evitare l'irrogazione di sanzioni ed in particolare la perdita di finanziamenti europei», la quale «sarebbe tanto più negativa per le aree più deboli del nostro Paese, che ne hanno dunque più bisogno».

2. Lo scenario nazionale

Alla luce dell'accennata evoluzione politico-istituzionale che si registra a livello comunitario - che le citate leggi n. 42 e n. 196 hanno a ben vedere in un certo senso preceduto - le osservazioni su principi, obiettivi e strumenti di stabilità finanziaria contenute nella parte conclusiva della Relazione appaiono di particolare rilievo, in special modo laddove evidenziano la necessità di recepimento, a livello nazionale, delle nuove regole del Patto rafforzato di Stabilità e Crescita Europeo, ciò affinché «l'equilibrio di bilancio e la stabilità finanziaria sia assicurata a tutti i livelli di governo, da quello comunitario a quello locale», anche attraverso una «corresponsabilità tra Stato e Regioni, e tra le Regioni stesse, nella programmazione, attuazione e verifica dei vincoli di bilancio» e l'attuazione dei «principi di solidarietà responsabile e consapevole tra Regioni e tra Stato e Regioni».
In questa prospettiva, la stessa Relazione evidenzia altresì la necessità - che la Commissione condivide appieno - di strutturare in modo compiuto la nuova formula di governance della finanza pubblica

Pag. 285

sottesa alla legge n. 42/2009, dando in particolare attuazione all'articolo 5 della medesima legge, che prevede, com'è noto, l'istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, configurato quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica» che concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica «per comparto».
In proposito, appare utile svolgere alcune considerazioni, rilevando, in primo luogo, la necessità di evidenziare il raccordo con le procedure di coordinamento della finanza pubblica delineate dalla nuova legge di contabilità n. 196/2009, nonostante tale legge si integri in modo sistematico e complementare con il disposto della stessa legge n. 42.
Il corpus normativo e l'architettura complessa di organi e procedure delineati dalle due leggi sono, infatti, volti a definire un sistema di finanza multilivello che declina in modo nuovo ed originale i rapporti tra Stato, Autonomie ed Unione europea, al fine di assicurare un coordinamento unitario e coerente non solo della finanza pubblica, ma delle stesse politiche pubbliche che si dipanano oggi tra i diversi livelli di governo.
In questa cornice si innestano sia le Linee guida per il riparto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica (articolati per i sottosettori del conto della PA - amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza sociale) - che il Governo è chiamato ad inviare alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere da esprimere entro il 10 settembre, e alle Camere - sia il nuovo Patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge 42 - teso a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché a delineare un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - il quale, assieme al tradizionale Patto di stabilità interno, è destinato ad essere trasfuso, ai sensi della nuova legge contabilità, prima nella Decisione di finanza pubblica, da presentare alle Camere entro il 15 settembre, e successivamente, entro il 15 ottobre, nella Legge di Stabilità.
Le nuove e avanzate regole di disciplina fiscale multilivello - che attribuiscono, peraltro, al Parlamento un importante ruolo di sintesi e compensazione tra le diverse istanze territoriali - non costituiscono l'oggetto specifico della Relazione presentata dal Governo, dove peraltro si evidenzia, opportunamente, come un obiettivo fondamentale sia quello di assicurare «l'appropriato grado di perequazione infraregionale che, garantendo livelli appropriati di assistenza sanitaria e sociale a livello nazionale, sia governato da meccanismi di solidarietà responsabile, economicamente sostenibile, ispirati allo spirito mutualistico (e quindi di copertura temporanea di rischi imprevedibili) e non basato sul presupposto di trasferimenti irrazionalmente operati ex post».
Obiettivo, quest'ultimo, che presuppone il passaggio dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard, che la legge n. 42 intende realizzare con gradualità proprio attraverso la definizione del Patto e del percorso di convergenza degli obiettivi di servizio sopra richiamati, che costituiscono elementi qualificanti della medesima legge i quali dovranno consentire, in prospettiva, attraverso la previsione di appositi stanziamenti ad opera delle leggi annuali di stabilità, di elevare la quantità e la qualità dell'offerta delle prestazioni nei territori attualmente meno dotati e nei settori sotto standard per poter raggiungere i livelli essenziali delle prestazioni.
Alla luce di tali considerazioni, la Commissione auspica in primo luogo che il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali contenuto nell'allegato 2 alla Relazione possa essere utilmente aggiornato ed arricchito da ulteriori elementi informativi in occasione della trasmissione al Parlamento delle suddette Linee guida e, soprattutto, dello schema di Decisione di finanza pubblica (di seguito DFP), nell'ambito del quale potranno essere affrontate, in una prospettiva di medio termine, le ipotesi di evoluzione dell'intero comparto

Pag. 286

della finanza locale, con l'espressa indicazione «dell'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva, coerente con il livello massimo di spesa corrente», nonché delle «misure atte a realizzare il percorso di convergenza», così come del resto previsto dall'articolo 10, comma 2, lettere e) e g), della legge n.196/2009.
Nell'ambito della DFP potrà, inoltre, trovare adeguato spazio la programmazione dettagliata - enunciata come obiettivo dalla Relazione - di un «quadro pluriennale delle azioni di governo nazionale e regionale volte ad assicurare l'equilibrio economico e finanziario del sistema sanitario e delle pensioni di invalidità, sia complessivo che per ogni singola Regione, in compatibilità con i vincoli di bilancio nazionali imposti dal Patto Europeo di Stabilità e Crescita e dalle nuove procedure Europee rafforzate di vigilanza sul deficit e debito pubblico».
Analogamente, la Commissione auspica che nello schema di DFP possano essere inquadrate, secondo una visone prospettica ed evolutiva, anche le misure concernenti la finanza territoriale già adottate con il decreto-legge di manovra n. 78 del 2010, attualmente in corso di conversione.
Occorre infatti tenere presente che, in ragione della eccezionalità della crisi economica in atto e della necessità di rispettare il termine del 2 giugno 2010, raccomandato dalle istituzioni UE, per definire nel dettaglio la strategia di consolidamento necessaria per la correzione del disavanzo eccessivo, il concorso delle autonomie territoriali agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, determinato in 6.300 milioni nel 2011 e in 8.500 milioni a decorrere dal 2012, è stato già definito, ai sensi dell'articolo 14, commi 1 e 2 (come modificati in prima lettura dal Senato), del citato decreto-legge, mediante una riduzione delle risorse statali a qualunque titolo spettanti alle regioni ed enti locali.
Tale circostanza ha impedito, di fatto, quest'anno, di inquadrare la definizione del riparto degli obiettivi di finanza tra i diversi livelli di governo nell'ambito delle procedure di concertazione, sopra richiamate, definite dalla nuova legge di contabilità (Linee Guida - parere Conferenza - DFP).
Occorre peraltro tenere presente che, a differenza di quanto si è verificato negli anni precedenti, il raggiungimento dei risparmi previsti per i singoli comparti non risulti affidato all'applicazione dello strumento del Patto di stabilità interno (8), bensì ottenuto direttamente attraverso la riduzione delle risorse, spettanti agli enti, mentre i vincoli previsti dalla vigente normativa del Patto (artt. 77-bis e 77-ter del decreto-legge n. 112/2008), che copre un arco temporale che arriva fino al 2011, sono rimasti invariati, salvo alcune pur apprezzabili deroghe allo stesso introdotte dal decreto medesimo al fine, tra l'altro, di sostenere la spesa per investimenti degli enti locali.
Il decreto-legge n. 78/2010 prevede, inoltre, un inasprimento delle sanzioni vigenti in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, che si sostanzia, per gli enti locali, in una riduzione dei trasferimenti erariali in misura pari allo scostamento tra saldo obiettivo e saldo conseguito, mentre per le regioni è richiesto il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un importo pari allo scostamento tra l'obiettivo ed il risultato conseguito.
Particolare rilievo assume, infine, la previsione, assai innovativa e la cui portata andrà debitamente approfondita, di cui all'articolo 14, comma 6, del decreto-legge, in base alla quale, il Governo, proprio «in funzione della riforma» - sopra richiamata - «del Patto europeo di stabilità e crescita ed in applicazione dello stesso nella Repubblica italiana», ha disposto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottare «sentita la Regione interessata», possa essere disposta la «sospensione dei trasferimenti erariali nei confronti delle Regioni che risultino in deficit eccessivo di bilancio

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Appare dunque evidente come la valenza qualitativa e quantitativa del quadro normativo testè richiamato - che si completa con le misure previste in favore del Comune di Roma e con quelle finalizzate a promuovere, ai fini del contenimento delle spese, l'esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali dei comuni - inciderà in modo sensibile sul processo di attuazione del federalismo fiscale, a partire dai profili concernenti l'individuazione dei trasferimenti erariali alle regioni e agli enti locali da sostituire con forme di autonomia e fiscalità territoriale, di cu tratta la Relazione e l'allegato 2 predisposto dalla Copaff. Merita ricordare peraltro che, in base alla manovra, le risorse di cui tenere conto per l'attuazione del federalismo fiscale saranno necessariamente quelle antecedenti alle riduzioni dei trasferimenti prodotte dalla manovra medesima.
Al fine di conferire un carattere sistematico alle diverse misure di riordino della finanza locale, la Commissione invita pertanto il Governo, in conformità con quanto previsto dal combinato disposto delle leggi n. 42 e n. 196, ad adoperarsi affinché nello schema di DFP da presentare alle Camere entro il prossimo 15 settembre siano delineati gli indirizzi di riforma che si intendono adottare in relazione all'esigenza di:
• garantire il rispetto degli equilibri di bilancio e un'elevata qualità dei servizi pubblici resi dagli enti territoriali attraverso meccanismi di carattere premiale ovvero sanzionatorio da affiancare ai tradizionali meccanismi di monitoraggio e controllo della spesa e dei saldi degli enti decentrati, così come previsto ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e) della legge n. 42/2009; in base al quale il sistema premiante è, tra l'altro, riservato in favore degli enti che assicurino un livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, nonché a quelli che partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.

A tale ultimo proposito, la Commissione osserva come nel corso dell'esame del decreto-legge di manovra presso il Senato, siano state introdotte (all'articolo 14, comma 2), alcune disposizioni, ai fini della riduzione delle risorse spettanti alle autonomie territoriali per il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, che sembrano prefigurare l'applicazione di nuovi principi di premialità a favore delle regioni e degli enti locali più virtuosi in termini di equilibri di bilancio e minore incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva; per le regioni, in particolare, si fa riferimento anche dell'adozione di misure di contenimento della spesa sanitaria e di azioni di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi, questione, quest'ultima, più volte richiamata nella Relazione, mentre per gli enti locali si fa riferimento al conseguimento di «adeguati indici di autonomia finanziaria».
Si osserva, inoltre, come le modifiche apportate dal Senato abbiano altresì valorizzato il ruolo delle autonomie nella definizione del riparto dei sacrifici finanziari imposti agli enti territoriali ai fini del consolidamento dei conti, posto che rispetto alla formulazione vigente del decreto - che prevede solo forme di consultazione, ancorando il riparto delle risorse sostanzialmente ad un semplice principio di proporzionalità - le innovazioni introdotte prevedono che le predette riduzioni di risorse siano ripartite secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e province autonome (per le regioni) e in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali (per gli enti locali), e recepiti, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro dell'interno, secondo principi che tengano conto dei profili di premialità sopra evidenziati.
In caso di mancata deliberazione delle predette Conferenze entro 90 giorni dall'entrata

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in vigore della legge di conversione del decreto n. 78 - e, per gli anni successivi al 2011, entro il 30 settembre dell'anno precedente - si prevede che i citati decreti governativi siano comunque emanati, entro i successivi trenta giorni, ripartendo la riduzione dei trasferimenti secondo un criterio proporzionale.
Anche in tal caso, la Commissione ravvisa dunque l'opportunità di ricondurre le fattispecie richiamate nell'ambito delle procedure di coordinamento della finanza pubblica previste dalla legge n. 196/2009, sottolineando altresì l'esigenza di definire quanto prima in modo permanente, attraverso l'adozione di un apposito decreto legislativo, il sistema premiante e sanzionatorio previsto dai criteri direttivi della legge delega n. 42/2009.

3. Il quadro di finanziamento degli enti territoriali e il processo di omogeneizzazione dei dati contabili

La Relazione presentata dal Governo si sofferma, in una prima parte, sull'evoluzione della finanza locale italiana, ripercorrendo le vicende che dal testo unico della finanza locale del 1931, passando attraverso la riforma fiscale del 1971 e i successivi decreti Stammati del 1977, hanno condotto prima al decentramento amministrativo disposto dalle leggi Bassanini e, successivamente, alle recenti modifiche del Titolo V della Costituzione.
In proposito la Commissione in questa sede si limita a rilevare come nonostante negli anni 90 si sia realizzata una positiva evoluzione delle fonti di finanziamento della spesa pubblica locale - con una decisa riduzione dei trasferimenti (finanza derivata) a vantaggio delle entrate proprie (autonomia impositiva) - non si sia ancora pervenuti ad un compiuto e coerente assetto atto a garantire un effettiva autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali; il processo di superamento del sistema di finanza derivata si è infatti sviluppato in modo discontinuo e tale da rendere non più differibile l'attuazione della legge n. 42/2009.
Una seconda parte della Relazione reca, invece, alcune prime indicazioni, riferite in particolare al comparto dei comuni, relative alla possibile tipologia delle fonti di gettito e dei cespiti tributari che potranno sostituire i trasferimenti erariali da sopprimere, nonché alcuni criteri e orientamenti, di carattere prevalentemente metodologico, relativi alla tempistica e alla modalità di attuazione del federalismo fiscale.
La base quantitativa è rinvenibile nell'allegato 2 alla Relazione, laddove si può individuare l'ammontare delle risorse, attualmente attribuite agli enti territoriali sotto forma di trasferimenti, in relazione alle quali dovrà essere attribuita la titolarità di gettito fiscale ai diversi comparti degli enti territoriali. È necessario sottolineare come dai dati presenti nell'Allegato 2 di provenienza COPAFF, può essere poi desunto il sistema di finanziamento attualmente esistente e i criteri per l'individuazione dei trasferimenti da fiscalizzare al fine di «attivare nella trasparenza il circuito della piena responsabilizzazione delle realtà territoriali».
Elementi di interesse per la Commissione sono altresì ravvisabili negli altri allegati alla Relazione, in particolare nell'Allegato 3, recante alcuni approfondimenti tecnici di particolare rilievo in materia, tra gli altri, di fabbisogni standard di Province e comuni e di costi standard delle Regioni, i quali, tuttavia, al pari dei dati e delle ipotesi di lavoro contenuti nel predetto allegato 2, assumono una valenza di carattere esclusivamente tecnico, che in quanto tale, come specifica la stessa Relazione, non è impegnativa né per il Governo, né per il Parlamento.
In questo senso, la Commissione auspica vengano fornite ipotesi compiute in senso stretto e specifico di «definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali», e che si provveda ad indicare in modo puntuale gli scenari di possibile «distribuzione delle risorse» conseguenti all'attuazione della legge delega.

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Tale circostanza appare riconducibile a due ordini di ragioni, l'una di carattere tecnico, l'altra di carattere politico-istituzionale.
Quanto alla prima, nonostante gli apprezzabili sforzi compiuti dalle strutture tecniche, e in particolare dalla Copaff, la piattaforma dei dati contabili a tutt'oggi a disposizione potrebbe essere ulteriormente affinata al fine di poter essere meglio utilizzata per esercizi di simulazione e con finalità operative, tant'è che la stessa Copaff ha preannunciato la presentazione di ulteriori documenti di approfondimento di alcune questioni di carattere contabile.
Quanto alla seconda, la Relazione e i documenti ad essa allegati sembrano voler lasciare impregiudicate alcune determinazioni fondanti da assumere in via preliminare ai fini dell'attuazione della delega - in relazione, ad esempio, ai criteri di perequazione da adottare in sede di fiscalizzazione dei trasferimenti e alle metodologie per la definizione dei costi e dei fabbisogni standard - e ciò risponde, ad avviso della Commissione, allo spirito di leale collaborazione interistituzionale sotteso alla legge delega, in base al quale potrà essere proprio il Parlamento - ed in particolare la Commissione in questa sede - ad offrire al Governo elementi di stimolo e riflessione utili ad addivenire a scelte quanto più possibile condivise.

3.1 La base dei dati contabili

Per quanto concerne, in particolare, il primo dei suddetti aspetti, occorre evidenziare come da una disamina dei dati contenuti nel predetto Allegato 2 elaborato dalla Copaff si evinca come sia sul versante della spesa, che su quello dell'entrata, la riclassificazione dei bilanci operata ai sensi dell'articolo 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009 non consenta di avere una base dati esaustiva da utilizzare come strumento immediatamente operativo ai fini della definizione delle predette ipotesi di carattere quantitativo e su base territoriale di attuazione della delega; tale riclassificazione è stata, infatti, effettuata dalle Regioni in mancanza di un'armonizzazione dei principi contabili e ciò ha determinato l'applicazione di criteri non uniformi di classificazione delle poste da parte degli enti: da qui l'insorgere di aspetti suscettibili di approfondimento.
Analoghe osservazioni possono, altresì, essere rinvenute sul versante della classificazione delle poste di entrata delle regioni, in relazione alle quali non si osservano differenziali sistematici nord-sud nelle entrate tributarie procapite (che comprendono la compartecipazione IVA, connotata da finalità perequative), mentre i trasferimenti procapite (correnti e in conto capitale) risultano generalmente più elevati al sud (con l'esclusione di Basilicata e Calabria per quanto riguarda la parte corrente); nelle regioni del nord risulta, inoltre, prevalente il finanziamento attraverso tributi propri o devoluti, mentre nel sud, corrispondentemente ad una più elevata quota di spesa in conto capitale, è in evidenza la quota dei trasferimenti in conto capitale; modesto risulta l'apporto delle entrate extra-tributarie nel complesso delle entrate regionali delle RSO (2 per cento) rispetto a quanto riscontrabile in quelle a statuto speciale (RSS) (8 per cento), mentre molto eterogeneo appare il peso dei trasferimenti di parte corrente, particolarmente elevato in Molise, Campania, Abruzzo e Liguria; è, infine, elevato il peso delle entrate per contabilità speciali, la cui entità è in generale corrispondente, Regione per Regione, alle spese per contabilità speciali.
Profili suscettibili di approfondimento emergono altresì in relazione alla sezione 4 del predetto allegato 2 concernente i bilanci degli enti locali; con particolare riferimento, in tale ambito, all'esigenza di assicurare una sufficiente omogeneità dei criteri applicati dagli enti per il ricalcolo delle spese per funzioni e, in particolare, per le informazioni relative alle esternalizzazioni dei servizi, anch'essi previsti dal citato articolo 19-bis, comma 2, del decreto-legge n. 135/2009.
Anche tale circostanza testimonia, ad avviso della Commissione, l'esigenza di pervenire quanto prima ad un'armonizzazione contabile che consenta un effettivo

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consolidamento dei bilanci degli enti locali con le società partecipate. Il fenomeno della proliferazione delle società pubbliche partecipate dagli enti territoriali, in molte occasioni strumento per collocare soggetti collegati agli ambienti della politica, con conseguente ulteriore ed irresponsabile incremento delle spese pubbliche è, infatti, una delle anomalie della attuale sistema di finanza pubblica.

3.2 La quantificazione dei trasferimenti da fiscalizzare - Regioni

In merito all'individuazione dei trasferimenti erariali alle regioni e agli enti locali da sostituire con forme di fiscalità locale, va rilevato, come l'allegato alla Relazione evidenzi il carattere provvisorio delle stime fornite - le quali costituiscono una prima ipotesi di lavoro che necessita di ulteriori approfondimenti che saranno oggetto di successive comunicazioni della Copaff - e la presenza di alcune zone di incertezza nella delimitazione dell'area dei trasferimenti che, in attuazione della legge n. 42/2009, andranno soppressi e sostituiti con risorse fiscali.
Con riferimento, segnatamente, alle regioni, l'allegato 2, sez. 1, della Relazione opera un primo tentativo di individuazione dei trasferimenti statali alle Regioni da fiscalizzare, utilizzando a tal fine tre criteri metodologici (generalità, permanenza e riferibilità dei trasferimenti alle funzioni di competenza regionale) che possono essere interpretati, secondo quanto affermato dalla stessa Copaff, in senso più o meno restrittivo; per ciascuna delle possibili interpretazioni si osservano alcune perplessità in merito ai quali occorrerà adottare soluzioni idonee anche al fine di limitare possibili contenziosi.
In particolare, rispetto alla determinazione dell'entità del Fondo unico, operata adottando in termini stringenti i predetti criteri di generalità e permanenza, la Commissione sottolinea l'esigenza, alla luce dei criteri di delega previsti dalla legge n. 42/2009 e dello stesso dettato costituzionale del Titolo V, l'opportunità di un'interpretazione flessibile del criterio della permanenza volta ad ampliare il volume delle risorse da considerare ai fini della fiscalizzazione, al fine di includervi:
• i trasferimenti dal bilancio dello Stato a favore delle regioni per i quali non è attualmente previsto un finanziamento permanente, quantificati in un importo pari a 1.591 milioni di euro ; fra le diverse finalità cui tali risorse sono attualmente destinate vi sono il fondo per le non autosufficienze, il trasporto pubblico locale, l'edilizia agevolata, l'edilizia scolastica, l'accesso allo studio. Ai fini di una fiscalizzazione di tali somme la Commissione condivide quanto rilevato dalla Copaff in ordine alla necessità di reperire preventivamente un'adeguata copertura a regime per il finanziamento delle suddette funzioni e attività, ancorandone il livello ad appropriati parametri quantitativi e qualitativi in conformità ai criteri enunciati dalla legge delega in ciascun ambito;
• alcuni fondi, attualmente attribuiti alle amministrazioni centrali, ma la cui gestione è rivendicata dalle regioni, che ammontano, complessivamente, a 243 milioni; tali risorse sono attualmente gestite dai Ministeri delle infrastrutture e trasporti (Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione), della salute (risorse per i centri regionali e interregionali per i trapianti) e del Lavoro e delle politiche sociali (prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro);
• i trasferimenti permanenti alle regioni provenienti della Presidenza del Consiglio, che ammontano a 515 milioni, destinati, principalmente, alle funzioni inerenti alle politiche giovanili e alla famiglia, i servizi socio-educativi e il settore turistico, nonché i trasferimenti di carattere non permanente, per i quali, ai fini di una loro eventuale fiscalizzazione, sarebbe comunque necessario reperire una copertura a regime, relativi al Fondo nazionale per la montagna e al Fondo regionale di protezione civile, che ammontano a 241 milioni.

La Commissione conviene, inoltre, sull'opportunità di un'attenta valutazione

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circa la necessità di adottare un'interpretazione restrittiva del criterio della generalità, al fine di escludere dalla fiscalizzazione i trasferimenti non destinati alla totalità del comparto degli enti territoriali, posto che, altrimenti, occorrerebbe definire criteri di perequazione di particolare complessità.
La Commissione ravvisa, inoltre, l'opportunità di definire, con appositi decreti legislativi da adottare ai sensi degli articoli 2 e 8, comma 2, lettera c), della legge n. 42/2009, le modalità in base alle quali nella determinazione dell'ammontare del finanziamento concernente la spesa per il trasporto pubblico locale si tiene conto della «fornitura di un livello adeguato del servizio» su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard.
Sotto altro profilo, occorre rilevare come nell'ambito della quantificazione dei trasferimenti fiscalizzabili (7.486 milioni, di cui indicativamente 6.770 riferibili alle RSO), il citato allegato non fornisca una compiuta ripartizione delle risorse destinate a finanziare funzioni fondamentali e di quelle destinate a finanziare le altre funzioni (alcune informazioni in merito possono desumersi dalle finalizzazioni dei capitoli dei trasferimenti, da cui si evidenziano alcune voci sicuramente riferibili al primo tipo - quali ad esempio il fondo per le non autosufficienze - mentre altre sembrano riferibili al secondo tipo di funzioni (settore turistico, federalismo amministrativo); una tale classificazione risulterebbe di particolare utilità, sia ai fini dell'individuazione dei tributi che dovranno sostituire i finanziamenti, sia ai fini della perequazione cui il relativo gettito dovrà essere sottoposto. La legge delega prevede, infatti, che tutti i trasferimenti destinati al finanziamento delle funzioni non fondamentali dovranno essere sostituiti, per pari importo, con il gettito dell'addizionale regionale all'IRPEF, senza escludere peraltro che il medesimo tributo sostituisca anche trasferimenti destinati a finanziare funzioni fondamentali. Una distinzione tra i due aggregati dei trasferimenti, anche qualora venissero sostituiti dal medesimo tributo, appare rilevante in quanto il relativo gettito dovrà essere separatamente considerato ai fini dell'applicazione dei due diversi criteri di perequazione previsti dalla legge delega per le due classi di funzioni (perequazione integrale e verticale sui fabbisogni per le funzioni fondamentali e perequazione parziale e orizzontale sulle capacità fiscali per le altre).
La Commissione condivide pertanto quanto affermato nell'allegato 2 alla Relazione, laddove si evidenzia la necessità di individuare adeguate soluzioni per garantire le compatibilità finanziarie; il citato decreto-legge n. 78/2010, con riferimento alla riduzione delle risorse prevista per il comparto delle regioni, quantifica risparmi per un importo pari a 4,5 miliardi per il periodo 2011-2013, senza specificare se tali risparmi siano iscritti anche per gli anni successivi a tale arco temporale; ove si preveda che la fiscalizzazione dei trasferimenti individuati debba avvenire nel corso del predetto triennio, andrebbe chiarito quali mezzi di copertura, ulteriori rispetto all'importo relativo ai trasferimenti non permanenti da fiscalizzare, siano destinati a finanziare la riduzione dei trasferimenti alle regioni operata dal citato decreto.

3.3 La quantificazione dei trasferimenti da fiscalizzare - Enti locali

L'allegato 2 della Relazione opera, altresì, una prima quantificazione dei trasferimenti da sopprimere spettanti a comuni e province, evidenziando anche in tal caso talune problematiche ai fini dell'individuazione della componente da fiscalizzare.
In proposito, mentre per i trasferimenti derivanti dal Ministero dell'interno non si sono riscontrate particolari difficoltà, in quanto facendo riferimento alle «spettanze» si è potuto agevolmente determinarsi la natura del trasferimento, negli altri casi sussiste la necessità di un ulteriore lavoro di indagine per la quantificazione della componente fiscalizzabile, che si dovrà strutturare attraverso la dimostrazione, da parte delle regioni e delle

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altre amministrazioni centrali, degli elementi per i quali i trasferimenti non si ritengono fiscalizzabili in quanto rientranti nei criteri di esclusione previsti dall'articolo 11 della legge delega.
Per quanto riguarda i trasferimenti dal Ministero dell'interno, nell'individuazione delle componenti da escludere ai fini della fiscalizzazione, profili suscettibili di approfondimento sono rinvenibili per i trasferimenti di carattere permanente, ma che non sono destinati alla totalità degli enti, per i quali sembra opportuno fare ricorso ad un meccanismo perequativo in grado di riequilibrare le risorse anche in relazione a gruppi ristretti di enti.
Aspetti problematici per i quali la Commissione auspica ulteriori approfondimenti sussistono anche in relazione ai trasferimenti dalle regioni agli enti locali, per i quali si evidenziano sensibili scostamenti tra i dati dei bilanci regionali e quelli dei bilanci consuntivi degli enti locali, a testimonianza di come il processo di armonizzazione contabile attualmente in corso, anche grazie all'esercizio parallelo della delega della legge n. 42 e di quello della legge n. 196 di riforma della contabilità pubblica, sia un passaggio essenziale per ottenere la necessaria coerenza tra i dati contabili degli enti della P.A., anche in raccordo con le regole europee di contabilità nazionale.
Fra le motivazioni che incidono sullo scollamento tra i bilanci regionali e quelli degli enti locali, la Copaff ricorda le diverse modalità di applicazione del patto di stabilità che incentivano comportamenti asimmetrici tra la regione e l'ente locale nella contabilizzazione; l'analisi di tali differenze dovrà essere oggetto di particolare approfondimento.
Le medesime osservazioni già evidenziate in relazione alle regioni possono in larga parte essere riferiti anche in relazione alla fiscalizzazione dei trasferimenti agli enti locali; tra questi, si richiamano l'esigenza di una ripartizione delle risorse destinate a finanziare le funzioni fondamentali rispetto a quelle destinate alle funzioni non fondamentali, nonché alcune questioni più specifiche, quali la necessità di chiarire se nel caso degli enti locali la quantificazione delle risorse da sostituire con cespiti tributari includa anche la compartecipazione IRPEF.

4. I criteri per la fiscalizzazione dei trasferimenti.

La Relazione sottolinea come la soppressione e conseguente trasformazione in forme di fiscalità dei trasferimenti statali alle regioni e dei trasferimenti statali e regionali agli enti locali configuri un passaggio fondamentale per attivare il circuito della piena responsabilizzazione delle realtà territoriali, evitando al contempo l'insorgere di contenziosi su criteri e tempi di assegnazione delle risorse.
La fiscalizzazione, come precisa la Relazione, «permette al contrario una maggiore tracciabilità della spesa e della imposizione, favorendo quindi il controllo democratico da parte degli elettori
Tale impostazione, che la Commissione sostiene convintamente, non è accompagnata dall'indicazione di un quadro dettagliato delle modalità di sostituzione dei trasferimenti con forme di autonomia finanziaria territoriale, indicando piuttosto la Relazione un percorso di carattere metodologico, in base al quale alla soppressione degli attuali trasferimenti statali a Comuni e Province - cui dovrebbe corrispondere un aumento importante della autonomia impositiva locale e una conseguente riduzione della pressione fiscale statale - dovrà poi successivamente seguire l'abolizione e fiscalizzazione dei trasferimenti regionali.

Il federalismo municipale

La Commissione osserva come siano in stato di positivo avanzamento le ipotesi relative alla fiscalità comunale.
Si individuano infatti due fasi, la prima in cui «si opera l'attribuzione ai Comuni della titolarità dei tributi oggi statali inerenti al comparto territoriale ed immobiliare (ad esempio: imposte di registro, imposte ipotecarie e catastali, IRPEF su immobili, ecc.)», realizzandosi in questo

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modo direttamente «il passaggio dalla finanza derivata a quella propria», la seconda e successiva fase, in cui «gli attuali tributi statali e municipali che a vario titolo e forma insistono sul comparto immobiliare potrebbero essere concentrati in un unico titolo di prelievo, da attivarsi, previa verifica di consenso popolare, su iniziativa dei singoli Comuni».
Sui comuni si concentrerebbero quindi, e si tratta di scelta condivisibile, tutti i prelievi collegati agli immobili, in un primo momento per via di attribuzione, in un secondo mediante la creazione di un prelievo unico di carattere immobiliare.
Ora, il primo passaggio non sembra particolarmente problematico, anche se sarebbe senz'altro il caso, se non altro per ragioni di efficienza e di costi, di mantenere la gestione dei tributi quali l'imposta di registro, le ipocatastali e l'Irpef sugli immobili in capo all'Agenzia delle Entrate, che già oggi gestisce tali forme di prelievo, fatti ovviamente salvi i meccanismi di collaborazione interistituzionale in materia di accertamento su cui il legislatore è intervenuto anche nella manovra attualmente all'esame della Camera (articolo 18 del decreto-legge n. 78 del 2010, su cui la relazione, nella stessa lettera F) del paragrafo 5, si sofferma).
Più problematico appare invece il secondo passaggio, e ciò, innanzitutto, per l'estrema eterogeneità dei presupposti degli attuali tributi che sono in qualche misura connessi agli immobili.
All'Ici sulle seconde case (e sulle prime di lusso), che è un'imposta patrimoniale, dovrebbero aggiungersi, in un'unica forma di prelievo, l'imposta di registro e le imposte ipocatastali, tributi sui trasferimenti immobiliari, nonché l'Irpef sui redditi promananti, anche in modo figurativo, dagli immobili, e, addirittura la Tarsu, che non è nemmeno un'imposta, ma piuttosto una tassa il cui presupposto va ravvisato nella fruizione di un servizio, quello dell'asporto e dello smaltimento dei rifiuti, fornito in regime di privativa dall'ente locale.
Da valutare attentamente la proposta che il passaggio al tributo unico debba avvenire «previa verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni»: ed invero, in un paese che conta 8.000 comuni, potrebbe, se si è ben compreso, capitare che alcuni comuni adottino il prelievo unico, altri no.
Accadrebbe quindi che l'assoggettamento ad imposta di registro o al tributo unico, con modalità per il momento più che nebulose, dipenderebbe dal luogo in cui è collocato l'immobile trasferito, con effetti di complicazione più che evidenti.
Infine, la cedolare secca sugli affitti.
Evidentemente, dovrebbe trattarsi più che di una cedolare, termine con cui si è soliti riferirsi ad una ritenuta a titolo di imposta, che presuppone dunque la presenza di un sostituto, di un'imposta sostitutiva, che il proprietario andrebbe a versare, non sommando quindi il reddito da affitto agli altri redditi.
La scelta adottata dovrebbe costituire incentivo alla riduzione del fenomeno dell'evasione degli affitti percepiti, e, quindi, da questo punto di vista, la valutazione non può che essere positiva.
Altrettanto positivamente va valutata l'ipotizzata scelta di destinare il gettito della «cedolare» ai comuni, che, certamente, hanno una maggiore possibilità di verificare se le unità immobiliari sono o meno affittate.
La Commissione ritiene sia opportuno valutare attentamente il valore dell'aliquota dell'imposta sostitutiva che, secondo le anticipazioni dovrebbe attestarsi al 23 per cento, con l'aliquota che può gravare sui redditi di lavoro o di impresa (45 per cento): la rendita è favorita, senza che tutto ciò trovi giustificazione nella mobilità dell'oggetto da sottoporre a tassazione. Né si dimentichi che una siffatta scelta attenua ulteriormente la già debole progressività del sistema.
D'altro canto a favore dell'ipotesi della «cedolare» deve essere considerato l'incremento di risorse di carattere tributario che risulteranno a disposizione dei comuni, garantendo tale circostanza una più sicura realizzazione del principio di responsabilità.
Condivisibili, anche se dal chiaro sapore programmatico, risultano infine le

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osservazioni su principi, obiettivi e strumenti di stabilità finanziaria, così come le osservazioni conclusive sul ruolo del federalismo fiscale nel processo di superamento delle surricordate anomalie.

5. La fiscalità regionale

Quanto al comparto regionale, la Relazione ribadisce come il combinato effetto dell'applicazione dei costi standard e della razionalizzazione delle fonti di gettito sia suscettibile di attivare un processo progressivo di responsabilizzazione, nel cui ambito le ipotesi di lavoro allo studio sono volte all'obiettivo prioritario di consentire ai governi regionali di effettuare manovre «virtuose» rispetto a standard di aliquota fissati a livello nazionale.
Al riguardo, la Relazione richiama l'articolo 40 del decreto-legge n. 78/2010, attualmente all'esame del Parlamento, che prevede la possibilità, per le Regioni del Sud, di rimodulare, con propria legge, le aliquote IRAP, fino ad azzerarle, nonché di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive.
Anche in tal caso, la Commissione non può che auspicare una riconduzione entro la cornice unitaria stabilita dalla legge delega delle disposizioni volte a consentire la manovrabilità sui tributi propri derivati.
Per quanto concerne, in via generale, l'autonomia impositiva delle regioni, l'approfondimento tecnico n. 6 allegato alla Relazione sottolinea come il quadro definito dalla legge delega sia piuttosto preciso, non lasciando ai decreti legislativi margini di attuazione ampi come quelli previsti invece per la finanza locale.
Nel sistema di finanziamento delle Regioni previsto dalla legge di delega la possibilità di introdurre tributi regionali autonomi è del resto minore, non essendo possibile introdurre prelievi regionali su presupposti già oggetto di imposizione statale; tale circostanza deve essere valutata alla luce dell'esigenza di non creare, almeno nella fase di avvio del federalismo fiscale, un'eccessiva frammentazione del sistema tributario.
Una significativa novità sarà peraltro connessa al sistema delle compartecipazioni, il cui ancoraggio al principio della territorialità consentirà di renderle «intelligenti»(secondo quanto evidenzia la Relazione), inducendo altresì un recupero di basi imponibili evase, posto che alla singola Regione dovrà essere destinato il gettito effettivamente percepito sul territorio e non, come attualmente previsto per la compartecipazione all'IVA, quello virtuale calcolato secondo i consumi ISTAT.
Tale impostazione consentirà di superare una delle anomalie del sistema della finanza derivata evidenziate dalla Relazione, ed in particolare di evitare, in futuro, la logica di negoziazione, più che discutibile, che in questi anni ha caratterizzato, ad esempio i vari «Patti per la salute», in cui l'aliquota di compartecipazione all'Iva prevista dal decreto legislativo n. 56 del 2000 - «che viene peraltro sempre determinata con decreto ministeriale ex post rispetto alla spesa concordata» - è «quasi raddoppiata in 10 anni» - passando dal 25,7 per cento al 44,72 per cento - dimostrando con ciò che «l'aggancio tributario »versione IVA« del finanziamento della spesa per la sanità contribuisce, in realtà, un trasferimento sostanzialmente incondizionato dal bilancio statale».
Appare pertanto condivisibile il fatto che nel sistema della legge delega la compartecipazione all'IVA sia destinata - secondo quanto riportato nel predetto allegato - ad assumere una dimensione importante, ciò in quanto si tratta di un'imposta distribuita in modo uniforme sul territorio nazionale.
Un ruolo probabilmente maggiore rispetto a quello attuale sarà inoltre ricoperto dall'addizionale IRPEF - cui dovrà corrispondere una contemporanea riduzione dell'IRPEF nazionale - ciò anche perché non viene più prevista, come modalità ordinaria di finanziamento, l'ipotesi della compartecipazione regionale all'IRPEF.
Nell'ambito dell'addizionale IRPEF, la Commissione auspica peraltro che possano svilupparsi in modo adeguato anche le

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politiche regionali a favore della famiglia, cui fanno riferimento i principi direttivi di cui all'articolo 2, lettere ff) e gg) della legge di delega n. 42.
Si osserva, infine, che la Relazione non fornisce indicazioni in merito alle modalità e ai tempi di attuazione della sostituzione dei trasferimenti con risorse tributarie.
In proposito, pur considerando che l'argomento in questione, al pari di altri non approfonditi dalla Relazione, sarà presumibilmente oggetto di successive analisi, appare opportuno acquisire alcuni chiarimenti di carattere preliminare.
Con riferimento ai tempi di transizione, mentre per gli enti locali la parte introduttiva della Relazione prevede un criterio di gradualità nella sostituzione dei trasferimenti con gettito tributario, analoga indicazione non è esplicitamente fornita con riferimento alle regioni.
Appare pertanto opportuno che sia chiarito se - ferma restando la gradualità della transizione dal finanziamento sulla base della spesa storica a quello sulla base dei nuovi parametri, su un arco temporale che la legge delega fissa in 5 anni - anche per le regioni sia prevista una sostituzione graduale dei trasferimenti con gettito tributario o se, invece, sia previsto che la predetta sostituzione possa avvenire integralmente in una fase antecedente rispetto al successivo percorso di transizione verso i nuovi criteri di riparto del gettito.

5.1 I fabbisogni standard di Province e Comuni

La Commissione condivide la metodologia individuata dalla Relazione - e dettagliatamente articolata in uno schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri - ai fini dell'individuazione dei fabbisogni standard degli enti locali, la quale si sostanzierebbe nell'utilizzo delle competenze acquisite dalla SOSE S.p.a., società a partecipazione interamente pubblica che gestisce e aggiorna circa 206 studi di settore.
Tale metodologia, come è accaduto per gli studi di settore, dovrebbe partire dalla valorizzazione dei dati promananti da questionari che le autonomie dovrebbero fornire, per poi addivenire, grazie all'utilizzo di funzioni di regressione similari a quelle utilizzati per gli studi di settore, all'individuazione dei vari fabbisogni connessi alla fornitura dei servizi e all'espletamento delle funzioni da parte degli enti locali.
L'applicazione della metodologia degli studi di settore, utilizzata da circa un decennio dall'Amministrazione finanziaria, consentirebbe di superare alcuni dei limiti dei metodi tradizionali, presentando dei punti di forza, che la Commissione ritiene debbano essere valorizzati, quali:
• la condivisione delle scelte tecniche nelle diverse fasi della procedura, che consentirebbe, se nella determinazione del fabbisogno standard, di assicurare una notevole solidità politico-istituzionale alle fondamenta del federalismo; la procedura postula peraltro un significativo ruolo collaborativo da parte degli enti locali nell'inoltro del questionario che la Commissione auspica manifestarsi;
• il perseguimento graduale di un criterio di efficienza, come obiettivo di medio-lungo periodo, e dinamico, da realizzare sulla base di una rideterminazione periodica degli standard al fine di tener conto dei cambiamenti nel contesto di riferimento, nonché delle innovazioni nelle tecniche di produzione dei servizi.

Si rileva l'esigenza di consentire alle autonomie un intervento che contribuisca all'elaborazione del metodo di determinazione dei fabbisogni.

5.2 I costi standard delle Regioni

Con riferimento ai costi standard delle regioni, la Relazione pone un'attenzione particolare al settore della sanità, anche in considerazione dell'elevata incidenza della spesa sanitaria sui bilanci regionali e per la presenza di notevoli margini di recupero di efficienza e di risparmio realizzabili con l'applicazione dei costi standard.

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Al riguardo, occorre anzitutto rilevare come la crescita della quota di spesa pubblica locale sul totale della spesa della PA sia un fenomeno dovuto alla sola crescita della spesa sanitaria. Secondo un'analisi dei dati Istat, esclusa la sanità, le spese dei Comuni, Province e Regioni si riducono in quota durante gli anni '80, restano costanti durante gli anni '90, si divaricano negli andamenti durante il primo decennio del 2000: i Comuni scendono di un punto, le Regioni restano costanti, le Province aumentano, come può evincersi dalla seguente tabella (fonte: Istat, Conti amministrazioni pubbliche per sottosettore).

Spesa delle amministrazioni locali in % sul totale delle amministrazioni pubbliche

 1980199020002008
Comuni11,8%9,5%9,6%8,6%
Province 2,4%1,1%1,1%1,4%
Regioni esclusa sanità 5,0%4,3%4,5%4,4%
Sanità 6,5%11,3%12,5%14,1%
Totale amministrazioni locali 25,7%26,2%27,7%28,5%

Se è evidente che la dinamica del totale «amministrazioni locali» è determinata dalla spesa sanitaria, per la quale è dunque giustificabile un'analisi specifica, che tenga conto delle variabili strutturali rilevanti (ad esempio, invecchiamento della popolazione), occorre peraltro rilevare come in base ai confronti internazionali, la quota sul Pil della spesa sanitaria italiana non sia affatto fuori linea rispetto a quanto emerge nei principali paesi avanzati, e come il nostro sia riconosciuto unanimemente come uno dei migliori sistemi sanitari al mondo.
Si può osservare poi che il sensibile incremento delle spese imputate, dalla Relazione, alle «pensioni d'invalidità», potrebbe in realtà essere riferito all'aumento delle spese concernenti le «indennità», le quali sono in larga parte determinate dalle indennità di accompagnamento per anziani non autosufficienti, che sono aumentate in modo rilevante in tutto il territorio nazionale per motivi demografici. Per tali ragioni, la Commissione ritiene necessario svolgere una approfondita riflessione sui sistemi di assistenza alle persone anziane non autosufficienti , al fine di definire, in questo campo, appropriati LEP, e valutare il ruolo delle esistenti indennità in questo contesto, fermo restando ovviamente la necessità di contrastare duramente ogni abuso, come peraltro si è già fatto con norme che impegnano in via diretta l'Inps accanto alle Regioni nelle procedure di accertamento del diritto al beneficio.
Con riferimento al comparto della sanità, la Commissione condivide l'analisi della Copaff, laddove sottolinea come uno dei limiti più rilevanti dell'attuale sistema sanitario sia strettamente connesso alla definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e al loro sistema di finanziamento, poiché è vero in effetti che i LEA sono oggi «un mero elenco di servizi», che ogni ASL deve offrire ai cittadini, senza alcuna connotazione quantitativa degli stessi e privo di un chiaro e definito legame con le modalità di finanziamento.
Quanto ai possibili approcci metodologici per la quantificazione di costi standard, la Commissione ritiene, conformemente alla Relazione, che l'approccio analitico - che postula la costruzione dal basso dei fabbisogni standard - sia allo stato difficilmente percorribile per la mancanza di dati affidabili e uniformi nel

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Paese sui volumi di attività e consumi efficienti, nonché sui costi ottimali di erogazione dei servizi.
Quello che definisce «a cascata» fabbisogni e costi standard a livello nazionale e regionale sembrerebbe pertanto il metodo più affidabile e realistico, in quanto prevede in una prima fase la fissazione del fabbisogno standard nazionale (in rapporto normalmente al PIL) e del perimetro dei LEA economicamente sostenibili e, successivamente, la definizione dei fabbisogni standard regionali.
Per quanto attiene alla determinazione dei fabbisogni regionali, le metodologie allo studio che prevedono l'utilizzazione degli attuali criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale (FSN) con l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi al fine di eliminarne le distorsioni, con particolare riferimento alla pesatura della popolazione, debbono essere attentamente approfondite.
Pur condividendo l'esigenza di superare le problematiche connesse al criterio di ponderazione sperimentato nella ripartizione del FSN - nell'ambito del quale la sovra pesatura della popolazione anziana, unitamente all'utilizzo della media nazionale di costo, in luogo delle migliori pratiche, potrebbe alimentare il rischio che siano inglobati nella spesa per la popolazione anziana anche i costi dei sistemi meno efficienti - occorre considerare come la bontà di un modello fondato sulla «determinazione di una quota capitaria ponderata, con pesatura del 100 per cento delle componenti di spesa» - nell'ambito della quale la quota capitaria ponderata viene pesata per classi di età e sesso, con pesi determinati dai consumi delle principali variabili della spesa sanitaria (farmaceutica, ricoveri ospedalieri, specialistica ambulatoriale, etc...) - sia anch'essa fortemente condizionata dalla qualità dei dati disponibili.
In questo ambito, meritevole di ulteriore approfondimenti è anche la metodologia che utilizza i DRG/ROD (Diagnosis Related Group / Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi), già utilizzata in Italia dalle aziende ospedaliere per calcolare il saldo della mobilità interregionale ed anche come parametro per la remunerazione delle prestazioni sanitarie sulla scorta di tariffe dei DRG fissate dalle singole regioni sulla base dei costi di produzione dei servizi.
Sempre in ambito sanitario, appaiono in linea generale condivisibili sia l'ipotesi di adottare un diverso parametro di riferimento per calcolare il fabbisogno regionale che prevede la definizione di uno «standard ottimale di riferimento», da costruire sulla base del comportamento di spesa delle «Regioni ad alto livello di prestazioni», sia l'orientamento volto a definire «un nuovo modello di governo responsabile», in base al quale la definizione delle linee guida per la messa a punto dei costi standard dovrebbe essere affidata alla Conferenza Stato-regioni, con la collaborazione dell'A.I.F.A. e dell'AGE.NA.S., nonché di altri soggetti come la citata SOSE.
Occorre in particolare ammodernare un sistema di governance del comparto sanitario nel quale, di norma, il controllo sulle attività ospedaliere è affidato alle ASL, che gestiscono direttamente anche i presidi ospedalieri, determinando una concentrazione nello stesso soggetto delle attività di programmazione, acquisto, erogazione e controllo delle prestazioni specialistiche ospedaliere.
In tal senso, la costruzione di una governance federalista, strutturata sulla base di un sistema di forte responsabilizzazione, da realizzare attraverso l'attivazione di nuovi strumenti di monitoraggio e controllo sulle gestioni sanitarie e di nuovi meccanismi di certificazione non potrà che contribuire a migliorare la qualità della spesa ed il livello delle prestazioni in tutto il territorio nazionale.
In questa prospettiva, la Commissione non può che condividere l'introduzione, quale strumento, benché indiretto, di governo del settore, del c.d. inventario di fine mandato, la dichiarazione certificata da parte degli organi di controllo interno, delle responsabilità del Presidente della

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Regione, da far approvare in Consiglio regionale sei mesi prima delle elezioni regionali.
In linea generale, la Commissione sottolinea l'esigenza di far sì che gli eventuali risparmi derivanti dal passaggio ai costi standard siano utilizzati, in conformità al combinato disposto delle leggi n. 42 e n. 196, nell'ambito del processo dinamico di coordinamento della finanza pubblica. Ferma restando l'esigenza di garantire comunque l'equilibrio ed il consolidamento dei conti pubblici, le eventuali economie derivanti dal superamento della spesa storica del corrispondente livello di governo potranno essere utilizzate per interventi finalizzati alla riduzione del debito pubblico e della pressione fiscale nonché per il raggiungimento di obiettivi atti ad elevare la qualità e la quantità dei servizi.
La Commissione rileva, da ultimo, la necessità di addivenire tempestivamente anche ad una definizione delle metodologie per la definizione dei costi standard riferibili agli altri settori contemplati dalla legge delega, ed in particolare quelli dell'istruzione e dell'assistenza sociale.

(1) «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita ed i posti di lavoro - Strumenti per una governance economica più forte in ambito UE» (COM(2010)367).

(2) Alcuni incentivi potrebbero, invece, derivare da una rimodulazione dei tassi di cofinanziamento, oppure dall'introduzione di una riserva di fondi (finanziata con gli stanziamenti di impegno cancellati nell'ambito della procedura sopra esposta) a favore degli Stati membri che attuano politiche di bilancio virtuose.

(3) Fatta eccezione per le autonomie speciali, per le quali come in passato, lo strumento utilizzato per il conseguimento dei risparmi resta affidato al patto di stabilità interno, mediante accordi tra lo Stato e le regioni stesse.

(4) Il finanziamento via trasferimenti, pari all'81 per cento nel 1980 e al 72,6 per cento nel 1990, si riduce al 40,4 per cento nel 2000. Di converso, il finanziamento via imposte sale dal 14,9 per cento del 1990 al 43,1 per cento nel 2000.

(5) Ai sensi del comma 296 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008 a decorrere dal 2011 la quota di compartecipazione spettante a ciascuna regione avrebbe dovuto garantire anche la copertura dei trasferimenti soppressi.

(6) «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita ed i posti di lavoro - Strumenti per una governance economica più forte in ambito UE» (COM(2010)367).

(7) Alcuni incentivi potrebbero, invece, derivare da una rimodulazione dei tassi di cofinanziamento, oppure dall'introduzione di una riserva di fondi (finanziata con gli stanziamenti di impegno cancellati nell'ambito della procedura sopra esposta) a favore degli Stati membri che attuano politiche di bilancio virtuose.

(8) Fatta eccezione per le autonomie speciali, per le quali come in passato, lo strumento utilizzato per il conseguimento dei risparmi resta affidato al patto di stabilità interno, mediante accordi tra lo Stato e le regioni stesse.