CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 8 giugno 2010
333.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione
ALLEGATO
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ALLEGATO

RELAZIONE SULLA MISSIONE SVOLTA A TRIPOLI DA UNA DELEGAZIONE DEL COMITATO (26-27 MAGGIO 2010)

Conformemente a quanto deliberato dall'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, mercoledì 26 e giovedì 27 maggio 2010 una delegazione del Comitato si è recata in missione a Tripoli.
Il primo giorno la delegazione del Comitato ha incontrato il Vice Segretario del Comitato Popolare per le Relazioni Estere e la Cooperazione Internazionale Abdelati Al-Obeidi (viceministro degli esteri) che, dopo avere sottolineato l'ottimale cooperazione tra Italia e Libia nei settori economico, del contratto all'immigrazione clandestina e della lotta al terrorismo, si è fatto portavoce della richiesta, più volte rappresentata, che la Libia possa presto essere equiparata agli altri Paesi della regione del Maghreb per quanto concerne i tempi di rilascio dei visti per l'ingresso in uno Stato aderente allo spazio Schengen: si tratterebbe di ridurre questo lasso di tempo a 48 ore lavorative, in luogo degli attuali 10 giorni lavorativi che mediamente occorrono per la concessione dei visti ai cittadini libici.
Nell'occasione il viceministro ha altresì sollecitato l'Italia ad estendere l'accordo sull'esenzione dei visti per i passaporti diplomatici, recentemente siglato dai ministri degli Esteri, Franco Frattini e Musa Kusa, anche ad altre categorie, quali gli studenti e le persone malate che necessitano di cure appropriate.
In materia di contrasto all'immigrazione clandestina Al-Obeidi ha lamentato la mancata attuazione, da parte dell'Unione europea, del memorandum d'intesa siglato nel 2007 con l'allora commissario Ferrero Waldner, che prevedeva un controllo congiunto delle frontiere terrestri e dello spazio aereo: vi si prevedeva l'istituzione di un sistema di monitoraggio, anche con tecnologie satellitari, delle frontiere desertiche nel sud della Libia, per una spesa complessiva di 300 milioni di euro, da sostenersi al 50 per cento da parte italiana e al 50 per cento da parte europea. Il viceministro ha evidenziato al riguardo che, mentre l'Italia ha mantenuto tale impegno nell'ambito di quelli assunti con la stipula, nell'agosto 2008, del Trattato di Bengasi, l'Unione europea risulta tuttora non avere ancora cofinanziato, per la quota pattuita, la realizzazione del predetto sistema di sorveglianza.
La delegazione del Comitato ha condiviso il giudizio sull'eccellente stato delle relazioni bilaterali tra i due Paesi, soprattutto grazie alla stipula del Trattato di Bengasi che ha finora permesso di conseguire importantissimi risultati sul fronte della lotta al massiccio afflusso di immigrati clandestini sulle coste italiane, ed in generale dei Paesi europei rivieraschi. Per l'effetto dissuasivo dei pattugliamenti, nonché per l'efficacia degli scambi informativi e delle sinergie operative tra i rispettivi corpi di polizia, si può quindi parlare di una cooperazione di successo, che altri Stati vorrebbero prendere a modello delle loro relazioni con la Libia e che potrà concorrere all'implementazione delle relazioni tra l'Unione europea ed il Paese africano. Il Trattato di Bengasi rappresenta infatti una svolta strategica per gli equilibri di tutta l'area mediterranea, che potranno ulteriormente giovarsi di un necessario rafforzamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo negli Stati di origine dei principali flussi migratori.
Il viceministro degli esteri si è associato all'auspicio di più incisive iniziative di

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cooperazione allo sviluppo da condurre nelle aree più povere del mondo, che sono quelle da cui traggono origine flussi migratori per motivi economici: confida pertanto che, anche grazie all'apporto dell'Italia, il prossimo vertice euroafricano in programma a novembre 2010 possa fornire un significativo contributo in questa direzione. Rispondendo infine ad un quesito specifico, ha chiarito che i rimpatri di clandestini verso i Paesi di provenienza vengono realizzati con la collaborazione delle rispettive rappresentanze diplomatiche, ma si tratta di operazioni molto onerose e tanto più difficoltose quanto minore è il livello della cooperazione bilaterale.
Successivamente la delegazione italiana è stata ricevuta da Sulaiman Al-Shuhumi, Segretario per gli affari esteri del Congresso Generale del Popolo, che ha ringraziato il Presidente Boniver per avere accettato il suo invito a recarsi in visita in territorio libico, nella prospettiva di un ulteriore consolidamento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Con la firma del Trattato di Bengasi si è chiuso con il passato e sono stati compiuti molti sforzi da entrambe le parti, ma altre enunciazioni contemplate negli accordi devono trovare piena attuazione, auspicabilmente anche prima della decorrenza del secondo anniversario della stipula, che coincide con il prossimo 30 agosto.
Sul piano della lotta alla immigrazione clandestina la Libia si può considerare Stato di massicci transiti e di prima accoglienza: poiché le frontiere del Paese sono vastissime e la loro sorveglianza è piuttosto complessa, l'Unione europea deve concorrere ai dispositivi di controllo frontaliero che l'Italia ha già cofinanziato per la parte di sua competenza.
Non ci si può tuttavia limitare a varare solo misure di sicurezza per contenere flussi migratori alimentati da motivazioni economiche: la povertà va contrastata all'origine, con seri programmi di cooperazione allo sviluppo nei Paesi che ne hanno bisogno. In questo senso ritiene indispensabile una maggiore cooperazione tra l'Unione europea e l'Unione africana, o comunque un razionale ampliamento del cd. Dialogo 5 + 5, anche per superare alcuni empasse politici insiti nelle dinamiche dell'Unione euromediterranea.
Al dialogo non giovano però, a suo avviso, le recenti restrizioni che alcuni Paesi europei hanno deciso sulla costruzione di moschee e minareti sui propri territori, nonché sull'esibizione in pubblico del velo integrale da parte di donne ligie alle tradizioni islamiche: questi divieti, secondo Al-Shuhumi, non fanno altro che alimentare tensioni e tentazioni fondamentalistiche.
La delegazione del Comitato si è associata alle positive valutazioni espresse sullo stato delle relazioni tra Italia e Libia dopo la stipula del Trattato di Bengasi, di cui caldeggia una completa attuazione anche negli altri settori di intervento, ivi compreso quello degli investimenti, che auspica possa consolidarsi a condizioni di maggiore reciprocità.
Ha poi preso atto delle osservazioni critiche formulate nei confronti dell'Unione europea, chiamata ad attuare pienamente gli impegni assunti con il memorandum d'intesa del 2007: poiché il Trattato di Bengasi ha di fatto creato le condizioni per una finora drastica riduzione degli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, è facile immaginare che le rotte dei flussi migratori si sposteranno presto altrove. È pertanto necessario perseguire una politica di dialogo e collaborazione con la Libia e con il continente africano per rafforzare le iniziative di cooperazione allo sviluppo nei Paesi afflitti da povertà e crisi umanitarie: obiettivi per il cui conseguimento anche l'Unione europea deve fare la sua parte fino in fondo.
In questa direzione senz'altro si colloca la recente legislazione che la Libia ha varato in materia migratoria, la quale reca importanti disposizioni per combattere fenomeni criminali legati allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina ed alla tratta di esseri umani: si tratta di uno sforzo di rilievo, che contribuirà all'intensificazione delle relazioni multilaterali ed al consolidamento del partenariato euromediterraneo.

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Circa le questioni identitarie richiamate da Al-Shuhumi, non va dimenticato che l'Europa si contraddistingue proprio per l'estrema tolleranza nei riguardi delle diverse culture che la abitano: sul rispetto delle tradizioni si trova sempre un punto di equilibrio, mentre non si può transigere con quelle minoranze oltranziste che vorrebbero fare di alcune moschee luoghi non di culto ma di predicazione di sentimenti antioccidentali.
La mattina di giovedì 27 maggio la delegazione del Comitato ha potuto visitare, senza stampa al seguito, il centro di raccolta di immigrati di Twesha, alla periferia di Tripoli. La struttura contava al momento circa 800 ospiti, tutti uomini in giovane età in attesa del completamento delle procedure di identificazione, propedeutiche al rimpatrio verso i Paesi di origine.
Gli immigrati risultavano ammassati in grandi camerate, compartimentate con sistemi di chiusura e di sorveglianza propri di un regime di detenzione, ma senza la suddivisione di spazi abitativi interni e con limitate possibilità di deambulazione per motivi di sicurezza. In una di queste camerate erano allocati circa un centinaio di eritrei, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. All'esterno sono previsti uno spazio per attività ricreative, un punto di incontro per le visite dei parenti ed un ambulatorio medico che - oltre alla visita preliminare, cui segue la registrazione di ogni ospite - effettua mediamente circa 40 visite quotidiane, rimettendo al ricovero ospedaliero i casi sanitari più seri.
Successivamente la delegazione si è intrattenuta in colloquio con alcuni volontari italiani che operano nel centro per conto dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che con le autorità libiche sta realizzando un protocollo di cooperazione pilota.
In effetti, negli ultimi 4 anni si è potuta registrare una progressiva apertura dei centri di accoglienza (18 in tutto) al contributo delle organizzazioni non governative: grazie ad un progetto pari a 10 milioni di euro, finanziato dall'Unione europea ma con un ruolo di leadership da parte dell'Italia, l'OIM è presente in quasi tutte le strutture, alcune delle quali destinate ad ospitare solo donne e bambini, o viceversa interi nuclei familiari. Come è noto, invece, non sono ufficialmente riconosciute le attività da anni svolte in Libia dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che tuttavia - secondo quanto riferito alla delegazione - rilascerebbe agli aventi diritto elementi documentali che il Governo libico riconosce ai fini dell'osservanza del principio del non-refoulement.
L'OIM si occupa prevalentemente di supportare quanti intendono avvalersi del rimpatrio volontario assistito, che in genere va a buon fine soprattutto verso Paesi come Niger, Ghana, Senegal, Liberia, Mali e Nigeria: piuttosto che elargire danaro si preferisce optare per forme di incentivo alla reintegrazione dei rimpatriati nei territori di origine, ai fini del loro reinserimento in un'attività lavorativa. Ciononostante, la permanenza degli immigrati all'interno dei centri è spesso molto lunga, sia a causa di una legislazione priva di garanzie specifiche sui tempi di trattenimento, sia a causa della difficoltà di trasferire rimesse in patria una volta fallito il tentativo di approdare in territorio europeo.
Di ritorno dalla visita al centro di Twesha la delegazione è stata ricevuta dal Vice Segretario Generale del Comitato Popolare per la Sicurezza Pubblica (viceministro degli Interni), Al-Obeidi, che ha inteso premettere la sostanziale assenza, in Libia, di forme di criminalità organizzata, ad eccezione di quelle legate proprio allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina, che la recente legislazione in materia migratoria si prefigge di colpire con determinazione.
La Libia è un Paese di massicci transiti e risulta pertanto fondamentale la collaborazione con gli altri partner nella lotta alla clandestinità: se quella con l'Unione europea è ancora limitata, la cooperazione con l'Italia è invece stretta ed efficace, in quanto comune è l'approccio alla problematica migratoria e reciproco risulta il

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sostegno alle iniziative che i due Stati conducono nei fori multilaterali. In particolare, gli scambi e le sinergie tra le rispettive forze di polizia hanno prodotto risultati insperati sul fronte della prevenzione degli sbarchi, arrestando di fatto, finora, gli arrivi via mare di clandestini in Italia nonostante la particolare esposizione geografica dei due Paesi.
Tuttavia, né l'Italia né la Libia possono accontentarsi di affrontare il massivo fenomeno migratorio soltanto con metodi di polizia: per coniugare sicurezza, solidarietà e cooperazione occorrono ingentissimi investimenti economici, e dunque questi Paesi, come tutti quelli rivieraschi esposti ai flussi migratori, non possono essere lasciati soli dall'Europa.
Bisogna, piuttosto, implementare le politiche di cooperazione allo sviluppo nei territori più poveri, da cui originano le spinte migratorie, per ridurre il più possibile il gap economico tra il nord ed il sud del mondo. La Libia sostiene da tempo tali politiche in seno al gruppo di Dialogo cd. 5 + 5, ed è auspicabile che anche l'Italia solleciti fortemente l'Unione europea ad intensificare gli sforzi cooperativi, a partire dagli impegni già pattuiti con il memorandum d'intesa del 2007: quest'ultimo, in particolare, deve ancora trovare applicazione per quanto riguarda il finanziamento europeo del previsto sistema di sorveglianza satellitare delle frontiere desertiche, in ordine al quale l'Italia ha invece già onorato l'impegno economico assunto, attraverso il fattivo lavoro svolto dalla Direzione centrale della polizia dell'immigrazione e delle frontiere del Ministero dell'Interno, che il viceministro ha esplicitamente ringraziato.
La delegazione del Comitato ha espresso apprezzamento per il livello di cooperazione raggiunto tra le strutture operative dei due Paesi preposte al contrasto dell'immigrazione clandestina: grazie al Trattato di Bengasi gli sbarchi sono al momento diminuiti di oltre il 90 per cento, ma è illusorio pensare che ciò basti ad fermare i tentativi di fuggire da guerre e povertà. I flussi migratori cercheranno rotte alternative per l'ingresso in Europa, e ciò evoca la necessità imprescindibile che anche le organizzazioni internazionali prendano pienamente coscienza dei risvolti del fenomeno.
La visita al centro di Twesha ha permesso una attenta riflessione non solo sulla portata dell'immigrazione in Libia in rapporto ai numeri della sua popolazione, ma anche sulla consapevolezza che ormai le autorità libiche hanno maturato nell'affrontare la problematica: accanto all'insostituibile attività di contrasto propria delle forze di polizia, si riscontra una incoraggiante apertura al contributo dell'OIM, prezioso soprattutto per favorire rimpatri assistiti, nonché una significativa svolta nella repressione delle filiere criminali di sfruttamento della clandestinità.
Dalle istituzioni libiche si ascolta quindi un linguaggio di responsabilità, collaborazione e consapevolezza, che concorrerà certamente al rafforzamento della cooperazione tanto con l'Europa ed il Mediterraneo, destinatari dei flussi migratori, quanto con le aree a sud della Libia, da cui i flussi hanno origine.
Le solide relazioni bilaterali tra Italia e Libia costituiscono ormai un vero e proprio modello, cui devono guardare tutti gli attori politici chiamati ad esercitare responsabilità di governo del fenomeno migratorio. Il Trattato di Bengasi ha aperto, tra la Libia e l'Italia, una nuova fase politico-diplomatica che deve coinvolgere sempre di più l'Unione Europea e l'Unione africana, risultando strategico non solo per il bacino del Mediterraneo. L'odierna missione a Tripoli del Comitato parlamentare Schengen - Europol - Immigrazione testimonia anche il sostegno del Parlamento italiano al proprio Governo nel perseguimento di politiche europee sempre più comuni ed integrate in materia di immigrazione ed asilo, improntate al giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, solidarietà e rispetto dei diritti umani.
L'ultimo incontro in programma si è svolto con Mohamed Belgasem Al-Zwei, Segretario del Congresso Generale del Popolo (Presidente del Parlamento). Anche in tale colloquio è stato sottolineato l'ottimale

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stato delle relazioni bilaterali tra Italia e Libia all'indomani della firma del Trattato di Bengasi, che ha inaugurato una stagione politica del tutto nuova chiudendo difficili pagine di storia tra i due Paesi.
Il Segretario Al-Zwei ha espresso preoccupazione per le ricadute economiche dell'ingente massa migratoria che tuttora si riversa in Libia, che ha un'estensione territoriale cinque volte superiore a quella dell'Italia ed un numero di clandestini enorme in percentuale alla popolazione ufficiale: ciò spiega anche le difficili condizioni umanitarie in cui versano gli immigrati in territorio libico.
Poiché il mondo sta diventando un unico villaggio globale, le principali organizzazioni internazionali devono maturare un diverso approccio al fenomeno migratorio, anche nell'interesse del mondo occidentale: poiché colui che emigra lo fa per motivi soprattutto economici, bisogna superare una visione solo «securitaria» dell'immigrazione, che sconta soluzioni di breve periodo, e mettere piuttosto in campo credibili e lungimiranti programmi di cooperazione allo sviluppo. Certo, anche il monitoraggio delle frontiere corrisponde ad un interesse cruciale per difendersi da flussi incontrollati di ingresso, ed in questo auspica che l'Italia possa sensibilizzare fortemente l'Unione europea a fornire maggiormente il suo contributo.
La delegazione ha convenuto con le argomentazioni del Presidente Al-Zwei: specie nell'attuale congiuntura economica l'immigrazione non potrà essere fermata da pur efficaci accordi per il pattugliamento delle frontiere.
Nondimeno, nessun Paese, neanche il più avanzato, può permettersi di aprire le porte a tutti coloro che aspirano ad entrarvi: in questo senso, Italia e Libia risultano accomunati dall'esigenza di governare adeguatamente un fenomeno complesso, che postula il contemperamento tra gli interessi nazionali di ciascuno ed un equilibrio socio-economico generale. Ecco il motivo per cui, in quello che opportunamente è stato definito un unico villaggio globale, la cooperazione internazionale risulta strategica: alla medesima conclusione il Comitato Schengen - Europol - Immigrazione è giunto all'esito delle missioni svolte nei mesi scorsi in Paesi dell'Unione europea come Spagna, Francia, Grecia, Malta e Cipro, particolarmente sensibili alle tematiche migratorie.
La visita a Tripoli, svolta ad un elevato livello istituzionale, ha confermato l'esigenza di un approccio globale all'immigrazione, nonché la valenza assolutamente strategica di un partenariato euromediterraneo ed euroafricano che deve superare incertezze ed empasse politici per consacrare al più alto livello di sinergia istituzionale politiche di cooperazione rispettose della dignità dell'uomo, dei suoi bisogni di vita e dell'identità degli Stati nazionali.