CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 19 maggio 2010
326.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
ALLEGATO
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ALLEGATO

Indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera).

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell'indagine.
2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.
3. Conclusioni e proposte.

1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell'indagine.

La XI Commissione, nell'ambito della propria attività conoscitiva, ha ritenuto opportuno svolgere una approfondita indagine conoscitiva su taluni aspetti rilevanti del mercato del lavoro italiano, analizzando, in particolare, lo specifico rischio che si acuiscano, al suo interno, taluni elementi distorsivi. La Commissione ha, quindi, deliberato il programma dell'indagine, nella consapevolezza che la liberalizzazione dei servizi, la circolazione delle merci e delle persone, insieme ai processi di globalizzazione e alla profonda interconnessione tra le economie nazionali - oltre ad aver amplificato le opportunità di lavoro e di scambio commerciale, recando indiscussi benefici in termini di competizione, sviluppo economico e occupazionale - hanno anche favorito la produzione di alcuni effetti collaterali, legati spesso alla necessità di ridurre i costi del lavoro, in vista di una «tenuta sul mercato» delle aziende meno competitive. Tra questi effetti, il programma dell'indagine ha incluso anche - nell'ambito del mondo del lavoro - quelli connessi al lavoro nero e sommerso, nonché al cosiddetto «caporalato» e allo sfruttamento della manodopera immigrata, ossia a fenomeni che rischiano di sottoporre taluni settori produttivi ad un regime di concorrenza sleale, con aggressive forme di dumping sociale.
In particolare, la Commissione si è proposta di comprendere la dimensione di questi fenomeni distorsivi, che presentano rilevanti punti di contatto - prima che con aspetti di ordine pubblico e di diritto penale, legati anche alle procedure di ingresso degli immigrati nel nostro territorio - con profili economici, sociali, professionali, assicurativi e fiscali, richiedendo un'azione politica integrata da parte di tutte le istituzioni chiamate ad individuare una soluzione adeguata. Prima ancora di adottare qualsiasi tipo di misura, quindi, la XI Commissione ha giudicato importante poter avviare una riflessione circa la possibilità di misurare l'entità del problema e definire un quadro comune di norme e politiche che disciplinino l'accesso

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regolare al mercato del lavoro, favorendo anche l'indicazione di interventi in grado di rilanciare il capitale umano in vista di un sviluppo degli investimenti produttivi.
L'indagine, originariamente deliberata il 30 luglio 2009, è stata successivamente prorogata sino al 15 giugno 2010, in modo da consentire la conclusione delle principali audizioni incluse nel programma e favorire un approfondito esame del documento conclusivo.
Nell'ambito dell'indagine, la XI Commissione ha svolto un articolato e interessante ciclo di audizioni, che hanno avuto inizio nel settembre del 2009 e si sono concluse alla fine del mese di aprile 2010. In particolare, sono intervenuti rappresentanti delle parti sociali (Confindustria e organizzazioni sindacali, quali CGIL, CISL, UIL e UGL), delle associazioni di categoria dei settori maggiormente coinvolti (ANCE, Coldiretti, Confagricoltura e CIA), di operatori del mercato del lavoro (Consiglio nazionale consulenti del lavoro), di enti previdenziali e assistenziali (INAIL e IPSEMA), di istituzioni, anche pubbliche, e centri di studio, ricerca e statistica (ISTAT, Censis ed Eurispes), di associazioni che agiscono nel settore del volontariato (CARITAS e Medici senza frontiere), nonché del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL). Il ciclo di audizioni si è, quindi, esaurito con lo svolgimento, nella seduta del 29 aprile 2010, dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi.
Nel loro complesso, le audizioni hanno visto tutte un confronto costruttivo e collaborativo con i soggetti coinvolti, che ha permesso di delineare un quadro completo delle problematiche esistenti e dei principali dati in materia, ponendo in luce anche il positivo contributo che le istituzioni rappresentative, in primo luogo il Parlamento, possono fornire, in particolare attraverso forme di legislazione di integrazione e sostegno.
Per tali ragioni, il presente documento è stato elaborato in termini estremamente semplici ed è strutturato in due sole parti: con la prima, vengono illustrati i principali elementi di valutazione e di conoscenza forniti nel corso delle audizioni; con la seconda, invece, si punta ad evidenziare talune proposte conclusive, anche in vista della possibile adozione di specifiche iniziative in materia.

2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.

Il presente paragrafo intende realizzare una sintesi dei numerosi contributi forniti alla Commissione sul tema oggetto dell'indagine, fermo restando che - per quanto concerne l'enorme mole di dati ed elementi conoscitivi emersi nei quasi otto mesi di suo svolgimento - non può che farsi rinvio alla documentazione depositata dai soggetti intervenuti.
La ricostruzione dei principali elementi emersi, peraltro, è esposta - per ragioni sistematiche - nell'ordine cronologico di svolgimento delle rispettive audizioni, anche in modo da rispecchiare il contesto di riferimento nelle diverse fasi in cui le audizioni stesse hanno avuto luogo (si pensi, in particolare, all'audizione di rappresentanti delle associazioni agricole, svolta immediatamente dopo i «fatti di Rosarno»).

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Sotto questo profilo, si ricorda che le prime audizioni effettuate hanno visto la partecipazione di rappresentanti di Eurispes e Censis.
I rappresentanti di Eurispes, nel porre in evidenza la dimensione enorme raggiunta negli ultimi anni dal sommerso (più di un terzo del PIL), si sono soffermati ad analizzare le forme di impiego della manodopera immigrata, sottolineando come il lavoro nero - equamente distribuito sul territorio nazionale - coinvolge non solo gli immigrati clandestini (un quarto dell'immigrazione complessiva, pari a una quota di 800 mila persone), ma gli stessi extracomunitari legalmente presenti nel territorio. In quest'ultimo caso, peraltro, non di rado i datori di lavoro tendono a mantenere in nero anche forme di occupazione stabili e, addirittura, regolari, non dichiarando per intero le caratteristiche del lavoro. Emblematico, in tal senso, è il caso del rapporto di lavoro domestico che appare quello in cui si combina meglio l'interesse del datore di lavoro a pagare meno contributi.
È stato evidenziato, inoltre, come al fine di avere un quadro più chiaro dei fenomeni oggetto dell'indagine ed una stima più attendibile dei dati ad essi riferiti, si potrebbe valutare l'opportunità di prevedere forme di accertamento più penetranti attraverso un monitoraggio delle rimesse degli immigrati verso i Paesi di origine. Si è altresì fatto notare che interi settori e comparti dell'economia nel nostro Paese - agricoltura, edilizia, servizi, ristorazione e turismo - sono stati ormai completamente abbandonati dalla manodopera italiana, evidenziandosi, inoltre, come un peso sempre più rilevante in tale contesto sembra assumere il cosiddetto sommerso criminale - ovvero il «fatturato» prodotto da mafia, 'ndrangheta, camorra e sacra corona unita (circa 175 miliardi di euro annui) - che sembrerebbe coinvolgere non solo le regioni meridionali, ma anche quelle settentrionali, dal punto di vista della distribuzione o del reimpiego dei ricavi prodotti (se si somma il dato del sommerso a quello della criminalità si arriva a una dimensione del 50 per cento del PIL). Nella disamina dei dati della immigrazione del Paese, si è inoltre rilevato che essa non è più prevalentemente extracomunitaria, ma è, almeno per il 50 per cento, di origine europea, relativa a Paesi appena entrati o in procinto di entrare nell'Unione europea (evidente è il caso della Romania).
Passando ad analizzare la cause del sommerso, i rappresentanti di Eurispes hanno manifestato l'impressione che il sommerso venga utilizzato nel nostro Paese come ultima arma di difesa rispetto a un sistema spesso oppressivo e limitativo della libertà di impresa, indicando tra i motivi alla base del fenomeno l'eccessiva pressione fiscale e un apparato burocratico invadente che tende ad ingabbiare il sistema imprenditoriale. Il nostro mercato del lavoro, a loro avviso, essendo farraginoso ed eccessivamente regolato, produrrebbe, come conseguenza, forme alternative di prestazione d'opera nonché fenomeni dilaganti di dumping sociale, che potrebbero essere contrastate proprio avviando politiche di riduzione fiscale, in grado di interrompere quel sistema di convenienze tra datore di lavoro e lavoratore che li spinge a tenere nascosto il loro rapporto di lavoro. Si è comunque sottolineato che il sommerso è il prodotto di una situazione complessa, di un insieme di concause, non riconducibili

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direttamente all'immigrazione e alla criminalità, che fanno riferimento anche a fattori culturali nonché a mal costumi delle imprese e dei cittadini.
I rappresentanti del Censis hanno evidenziato i dati relativi alla presenza del lavoro sommerso nei diversi settori produttivi, individuando nel lavoro domestico il settore a più alta incidenza (37 per cento), seguito dall'agricoltura (26 per cento), dall'edilizia (circa il 24 per cento), dal tessile (13 per cento) e dalla meccanica (circa l'8 per cento). Si è altresì sottolineato che le categorie più coinvolte nel sommerso sono gli immigrati (pari al 27 per cento) e i giovani in cerca di prima occupazione.
Si è inoltre rilevato che il lavoro nero ha assunto una dimensione strutturale nelle regioni del Meridione, per fattori socio istituzionali - dal momento che nel Mezzogiorno esiste un problema di competitività di sistema - mentre nel Nord il lavoro sommerso sembra essere più collegato a forme di elusione ed evasione fiscale.
I rappresentanti del Censis hanno poi sottolineato la necessità di avvicinarsi allo studio del fenomeno del lavoro sommerso con un approccio integrato, che sia in grado di individuare soluzioni diverse in base alla tipologia di comparto produttivo coinvolto, alla categorie di lavoratore interessato, alla specifica dimensione territoriale individuata, mettendo in campo una forza anche comunicativa rispetto al valore del lavoro e coinvolgendo le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati, gli enti locali, in modo da stimolare la crescita di una cultura collettiva che sanzioni quasi in modo spontaneo tali comportamenti irregolari.
Si è poi evidenziato che il problema dell'irregolarità - soprattutto in taluni settori, come quello del lavoro domestico - è fortemente legato a talune complicazioni procedurali e burocratiche (ad esempio in relazione al rilascio del permesso di soggiorno), nonché al livello basso di redditi e trattamenti pensionistici, che inducono sia il datore di lavoro sia il lavoratore a stipulare un tacito accordo di convenienza in ordine al carattere occulto del loro rapporto.
Il CNEL stima che l'incidenza del lavoro irregolare sul PIL si attesti intorno al 18 per cento, percentuale molto superiore a quella registrata negli altri Paesi europei, ed evidenzia che in Italia si riscontrano nuove tipologie di sfruttamento, dissimulate da forme contrattuali flessibili, come il prolungamento dell'orario di contratti part time o l'impropria definizione di lavoro autonomo per rapporti, a tutti gli effetti, subordinati.
Si evidenzia, inoltre, che la composizione del sommerso varia a seconda del livello di sviluppo delle strutture economiche di riferimento, per cui si può configurare una tipologia di sommerso nelle aree del Nord, prevalentemente legato a forme di evasione fiscale e contributiva - connesse soprattutto al secondo lavoro e al «fuori busta» - e forme di lavoro irregolare diffuso nel Mezzogiorno, che assumono quasi un carattere endemico, a causa dei molteplici fattori di disagio che amplificano il sommerso in quelle zone.
Si evidenzia, tuttavia, che il fenomeno ha subito tra il 2001 e il 2006 una contrazione che, in presenza di una moderata espansione della occupazione totale, ha fatto scendere il tasso di irregolarità dal 13,8 al 12 per cento, grazie alle politiche poste in atto per favorire

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l'emersione, alla semplificazione degli adempimenti contributivi, alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro dipendenti regolari e alle sanatorie di legge a favore dei lavoratori extracomunitari.
Nel corso dell'audizione di rappresentanti del CNEL, è stata fornita una stima molto alta dell'irregolarità nell'agricoltura (nel 2006 si attestava al 22,7 per cento) e nel campo dei servizi - in particolare commercio e pubblici esercizi - dove il tasso di irregolarità sfiora il 20 per cento e si mantiene costante negli anni. In questo ambito, le attività in cui più si raccoglie il lavoro irregolare sono i servizi alle persone (collaboratori domestici, badanti e colf), la ristorazione, le attività di loisir, i servizi di pulizia e quelli di trasporto. Nel settore delle costruzioni, i dati dell'ISTAT mostrano un andamento decrescente negli ultimi anni da ricondurre principalmente alle politiche per la sicurezza del lavoro e al controllo della regolarità del lavoro nelle imprese.
Dopo aver osservato che la crisi in atto potrebbe aumentare la propensione verso il lavoro irregolare per coloro che perdono un lavoro regolare, il CNEL rileva che il fenomeno in oggetto coinvolge in modo particolare gli immigrati, dal momento che essi risultano disponibili ad accettare un'occupazione anche più dequalificata rispetto alla propria formazione, anche per questioni legate ad aspetti normativi, dal momento che lavorare è un requisito fondamentale per risiedere anche legalmente.
Quanto alle possibili soluzioni da individuare, il CNEL ritiene che il problema vada affrontato predisponendo in primo luogo una strategia complessiva, che faccia leva sulla vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa, di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali, forze sociali, scuola, università, enti di formazione e di ricerca. In secondo luogo, il CNEL ritiene necessario agire per la semplificazione delle normative e l'efficienza della pubblica amministrazione, nonché per potenziare e rendere più efficaci i servizi ispettivi, non soltanto nel loro aspetto repressivo, ma anche in quello informativo e preventivo.
Il CNEL ritiene pertanto essenziale favorire il passaggio da una normativa emergenziale, nata da circostanze e necessità eccezionali, ad una strategia complessiva in cui i provvedimenti a favore delle emersioni siano inseriti in un più ampio contesto di riforma del mercato del lavoro e di sviluppo dell'economia, precondizioni essenziali in vista del successo della lotta all'economia sommersa.
Infine, quanto al caporalato, il CNEL sostiene che esso si è andato diffondendo, anche sotto forme più raffinate, magari meno evidenti, che mettono in evidenza collegamenti fra «caporali» di carattere evoluto.
I rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, soffermandosi sulla questione del lavoro irregolare nel suo complesso, individuano l'esigenza di intraprendere una riduzione generalizzata della pressione contributiva, nella prospettiva di contrastare un fenomeno che ha assunto nel Paese dimensioni preoccupanti (particolarmente nel settore dell'agricoltura e dell'edilizia). Si sostiene altresì l'introduzione di agevolazioni legate a ciascuna assunzione a tempo indeterminato, nonché la previsione di un sistema sanzionatorio

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più proporzionato ed equo, soprattutto nel rapporto tra lavoro completamente in nero e lavoro «grigio», ovvero laddove il lavoratore sia irregolare solo parzialmente. Si propone, inoltre, la detassazione e la defiscalizzazione contributiva nell'ambito delle ore di straordinario effettuate nel 50 per cento dei limiti legali, dal momento che, allo stato attuale, è interesse reciproco, sia del datore di lavoro sia del lavoratore, non far figurare la retribuzione al di sopra delle quaranta ore settimanali. Si suggerisce, inoltre, la defiscalizzazione di una quota dei contributi inversamente variabile all'aumentare della retribuzione annua corrisposta.
I consulenti del lavoro ritengono poi opportuno agevolare dal punto di vista procedurale il lavoro a chiamata e, soffermandosi, in particolare, sul lavoro irregolare della manodopera immigrata, ritengono necessario snellire le pratiche burocratiche relative al rilascio dei permessi di soggiorno.
In relazione al tema più specifico del caporalato e dello sfruttamento della manodopera immigrata - fenomeno diffuso, a loro avviso, nel Nord-Est del Paese e nelle zone del Mezzogiorno - nel rilevare che sovente, nel settore dei servizi, si registra lo svolgimento di attività in regime di «pseudo-appalto», ovvero di mera fornitura di manodopera, i rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, dopo aver preso atto positivamente dei positivi effetti prodotti dalle recenti innovazioni legislative in materia di solidarietà fra committente e appaltatore e di documento unico sulla regolarità contributiva (DURC), ravvisano l'esigenza di alleggerire il carico burocratico e formale in capo alle agenzie di somministrazione, rendendo altresì meno stringenti i requisiti richiesti a tali soggetti per operare, aumentando in tal modo la concorrenza tra coloro che offrono il lavoro somministrato, che favorirà un abbassamento dei prezzi.
Si ritiene altresì auspicabile una riforma del codice civile che introduca - in caso di accertata somministrazione irregolare - la responsabilità civile, con tutto il patrimonio, del soggetto che ha esercitato di fatto l'amministrazione della società coinvolta, atteso che, sfruttando i margini di manovra concessi dall'attuale ordinamento, spesso i caporali tendono a celarsi dietro lo schermo di rappresentanti legali inesistenti e di persone giuridiche costituite ad arte ed estinte ciclicamente, al fine di evitare il fallimento e la conseguente individuazione delle relative responsabilità.
Si propone altresì una modifica all'attuale disciplina dei contratti a tempo determinato, eventualmente escludendo la stabilizzazione del rapporto di lavoro - prevista in caso di reiterati contratti a tempo determinato nell'arco dei trentasei mesi - per le imprese al di sotto di un certo limite dimensionale nonché in quei casi in cui si ricorra al contratto a tempo per sostituire lavoratori (in maternità o malattia) aventi diritto alla conservazione del posto. I consulenti del lavoro ritengono, inoltre, essenziale rafforzare il ruolo di garanzia da loro svolto nell'ambito della gestione della somministrazione di manodopera, al fine di verificare l'assenza di situazioni di caporalato o di forme di elusione o evasione contributiva e fiscale.
L'IPSEMA, soffermandosi su questioni specifiche relative al personale a bordo delle navi (il 30 per cento del quale è straniero), ritiene

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innanzitutto necessaria una modifica alla disciplina vigente, in base alla quale l'equipaggio extracomunitario, senza permesso di soggiorno e con divieto di sbarcare a terra, si vede riconosciuto un trattamento diverso rispetto agli altri lavoratori italiani per quanto concerne gli aspetti connessi alla sicurezza del lavoro e della salute. L'Istituto giudica pertanto opportuno che per tale personale marittimo si prevedano forme obbligatorie di copertura assicurativa, con il passaggio da un sistema privato ad uno a gestione pubblica, secondo quanto previsto dal comma 38 della Costituzione, in grado di garantire, inoltre, adeguate misure di prevenzione in ordine alla sicurezza sul lavoro, al momento non adeguatamente assicurate dalle compagnie private. L'IPSEMA indica anche la necessità di prevedere adeguate forme di comunicazione dei dati sugli infortuni sul lavoro relativi a tale tipo di personale presso il competente Casellario centrale dell'INAIL.
Quanto alla diffusione del lavoro nero tra il personale marittimo, si evidenzia una forte diffusione del fenomeno nel settore della pesca e del diporto, sulla base di rilevazioni compiute dalle Capitanerie di porto, dallo stesso IPSEMA e dalla Guardia di finanza. Si segnala, inoltre, l'esigenza di porre rimedio ad una carenza normativa che pone l'Istituto stesso in una situazione di difficoltà nel recupero dei crediti contributivi a seguito della cosiddetta dismissione di bandiera, realizzata proprio a fini di elusione ed evasione contributiva. In tal caso, infatti, la legislazione vigente prevede l'obbligo di comunicazione soltanto all'INPS e non anche all'Istituto di previdenza per il settore marittimo.
Un contributo importante è stato quello dei rappresentanti di Confindustria, che - nel far notare che il fenomeno del lavoro irregolare sembra interessare marginalmente l'industria e maggiormente le imprese di dimensioni più piccole - hanno posto in evidenza una diversa configurazione del fenomeno nell'ambito del territorio nazionale (nel Mezzogiorno si registra un tasso di irregolarità pari al 19,6 per cento, nel Nord-Ovest all'8,8 per cento, nel Nord-Est all'8,6 per cento, in Lombardia al 7,8 per cento). Dopo aver sottolineato il fortissimo aumento della popolazione immigrata degli ultimi anni (circa 650 mila unità irregolari) e la conseguente crescita della richiesta di personale straniero, anche qualificato, da parte dei rappresentanti industriali, si è evidenziato come i due fenomeni del sommerso e dell'immigrazione tendano a sovrapporsi.
Confindustria ritiene pertanto centrale il tema dell'incontro tra domanda e offerta di manodopera straniera, da favorire attraverso una semplificazione delle procedure di rilascio dei permessi di soggiorno e di reclutamento della manodopera, un potenziamento dei centri per l'impiego e il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali. A tale proposito, Confindustria giudica opportuno sostenere la presenza dell'immigrato nel nostro territorio attraverso l'avvio di adeguate politiche abitative e di formazione linguistica e scolastica.
Risulta poi importante, ad avviso della confederazione, agire sul versante imprenditoriale, prevedendo misure di riduzione del cuneo fiscale e contributivo e alleggerendo la pressione fiscale sulle imprese, portando a compimento il processo di semplificazione amministrativa

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e intervenendo sul piano delle sanzioni, attraverso l'assunzione di un approccio meno formalistico e più sostanziale sul terreno dei controlli, che si ritiene comunque necessario intensificare.
Confindustria prende atto con soddisfazione dei benefici effetti prodotti dalle ultime riforma del mercato del lavoro (cosiddetti «pacchetto Treu» e «legge Biagi»), che hanno contribuito negli ultimi anni alla diminuzione dei tassi di irregolarità, grazie alla diffusione crescente di rapporti di lavoro flessibili in termini di orario, durata e attivazione di nuovi contratti.
L'associazione delle imprese ritiene che serva comunque un coinvolgimento dei vari attori politici, sociali, istituzionali ed economici, che non deve essere limitato alla lotta all'illegalità intesa nel senso stretto del sommerso, ma deve estendersi ovviamente a tutte quelle forme di criminalità che ne agevolano la diffusione.
Si ritiene, infine, essenziale, favorire un coordinamento europeo nel campo delle politiche per l'immigrazione, affinché le problematiche che derivano da tale fenomeno siano affrontate con spirito unitario e non lasciate alle responsabilità dei singoli Paesi coinvolti.
Articolato e ricco di spunti è stato anche il contributo delle organizzazioni sindacali.
In questo contesto, la CGIL considera il lavoro sommerso - diffuso tra le mura domestiche, l'edilizia, l'agricoltura, il turismo - come fenomeno strutturale dell'economia italiana, che presenta una differenziazione territoriale molto rilevante (si parla di una incidenza del 30 per cento in Calabria). Il fenomeno, ad avviso della CGIL, non riguarda soltanto l'utilizzo di lavoratori immigrati - la cui presenza, peraltro, non può essere valutata in concorrenza rispetto ai lavoratori italiani - ma è riconducibile ad una tendenza generalizzata del nostro sistema ad una precarizzazione dei rapporti di lavoro (acuita con la crisi in atto), rispetto alla quale servirebbe un'azione complessiva delle autorità pubbliche e delle parti sociali.
La CGIL ritiene opportuno avviare - in luogo di un'azione di mera semplificazione amministrativa e burocratica a favore delle imprese e di affievolimento del controllo ispettivo, che sembrerebbe essere stata intrapresa dall'attuale Esecutivo - un mix di repressione mirata e di politiche di sostegno all'emersione, da ricomprendere in un'azione a tutto campo fondata sul rafforzamento dell'attività ispettiva, sulla previsione di ipotesi di reato per i casi di sfruttamento della manodopera, sull'aiuto alle imprese regolari nei rapporti con il credito, con le pubbliche amministrazioni, con le attività formative.
Quanto alla CISL, che si è soffermata anzitutto ad analizzare taluni fenomeni di lavoro «grigio» e nero connessi a pratiche di dumping sociale che rientrano nel tema più generale della somministrazione e intermediazione fraudolenta di manodopera (riguardante soprattutto i lavoratori transfrontalieri), essa ritiene necessario prestare attenzione ai casi dei lavoratori distaccati da imprese di somministrazione di manodopera insediati in altri Paesi dell'Unione europea, le cui condizioni di lavoro contrattuali non corrispondono in tutto o in parte alle condizioni contrattuali vigenti in Italia. La CISL inoltre ritiene inopportuno il ricorso al lavoro accessorio - come il voucher - che sovente nasconde solo l'intento di eludere la legislazione vigente e di ridurre il costo del lavoro.

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Tale confederazione, inoltre, sottolinea la particolare delicatezza del tema del caporalato, che riguarda in particolare il lavoro agricolo di migliaia di lavoratori stagionali impiegati in alcune zone del Mezzogiorno (in particolare in Puglia e in Campania), questione che si ricollega ad un processo competitivo di dumping scorretto, fondato su basso livello dei salari e scarse condizioni di sicurezza. Rispetto a tali problematiche, la CISL ritiene opportuno rafforzare l'attività ispettiva e prevedere misure specifiche, tra cui un'estensione dell'applicazione dell'articolo 18 del Testo unico in materia di immigrazione (permesso di soggiorno per la protezione sociale) anche ai casi di grave sfruttamento della manodopera. La CISL, inoltre, avverte l'esigenza di introdurre norme a tutela del lavoro stagionale e di prolungare la permanenza nel territorio dei lavoratori immigrati che hanno perso il lavoro, prevedendo il loro coinvolgimento in attività di formazione, al fine di evitare un loro progressivo scivolamento in situazioni di irregolarità ed illegalità.
La UIL, al fine di contrastare il lavoro nero (che riguarda sia lavoratori stranieri che italiani ed è diffuso soprattutto in agricoltura, edilizia e lavoro domestico), ritiene indispensabile una forte azione politica e amministrativa, attraverso un'efficace controllo e una semplificazione delle norme, che conduca altresì alla messa a sistema delle diverse banche dati esistenti (Ministero del lavoro, centri per l'impiego, INPS, INAIL, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate).
La UIL ritiene indispensabile, oltre che il rafforzamento dell'attività ispettiva e l'adozione di misure repressive (soprattutto prestando attenzione agli effetti prodotti dalla criminalità organizzata sull'economia del Paese), anche lo svolgimento di un'azione di prevenzione, attraverso la diffusione di una cultura della legalità e la messa in atto di campagne informative, che evidenzino la convenienza di lavorare regolarmente soprattutto in vista di un futuro pensionistico adeguato.
Tra i rimedi proposti, la UIL ritiene importante premiare le imprese virtuose che rispettano le regole e tutelare i lavoratori immigrati, prolungando il permesso di soggiorno fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione, facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento.
La stessa UIL giudica importante, poi, favorire accordi bilaterali con gli Stati di provenienza dei lavoratori immigrati, affinché i contributi versati in uno Stato possano essere fatti valere ai fini pensionistici nel loro Paese di provenienza.
La UGL ritiene che il fenomeno del lavoro sommerso sia stato aggravato dall'immigrazione non selezionata, che ha prodotto una forza di lavoro occulta, stimabile in circa 3 milioni di lavoratori irregolari, dei quali ben due terzi sono costituiti da donne. A fronte di tale problematica, si pone una questione connessa alla riduzione di risorse finanziarie per gli enti previdenziali, oltre che al danno per il lavoratore in termini di adeguate prestazioni pensionistiche.
La UGL rileva inoltre che il caporalato si esercita prevalentemente in agricoltura e nell'edilizia e richiede la messa in campo di efficaci forme di coordinamento sul territorio. È altresì opportuno distinguere tra imprese che nascono clandestine in vista della messa in atto di comportamenti illegali e imprese per le quali il sommerso può essere

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considerato quasi una necessità imposta, in vista della sopravvivenza delle attività: in questo caso sarebbero opportuni interventi per garantire la sopravvivenza dell' impresa e per il mantenimento dei livelli occupazionali, con adeguate misure di tipo fiscale, quali sgravi contributivi e incentivi.
Utili elementi conoscitivi sono stati forniti anche dall'ANCE, che ritiene essenziale promuovere le attività di formazione, di prevenzione e di controllo della regolarità attraverso lo strumento della bilateralità (rispetto al quale si pone la questione di certificare la regolarità dei requisiti delle casse), particolarmente sviluppato nel settore edile, dal momento che ha promosso l'adozione di efficaci misure di intervento, riguardanti, ad esempio, il DURC.
In un momento di crisi come quello attuale, l'Associazione considera auspicabile un sistema premiale, che aiuti le imprese a essere virtuose nella sicurezza e nella regolarità contributiva, nonché un intervento di riduzione del cuneo fiscale contributivo, atteso l'elevato costo del lavoro del settore edile, che tende a ricevere di meno - ad esempio in termini di trattamenti di integrazione salariale - in proporzione a quanto versa.
Al fine di contrastare la continua migrazione verso il falso lavoro autonomo, l'ANCE ritiene opportuno introdurre requisiti di accesso al settore edile e di qualificazione delle imprese, per impedire l'instaurarsi di un regime di concorrenza sleale, il proliferare delle partite IVA e la messa in atto di comportamenti che perseguono finalità elusive.
Si ritiene importante, altresì, affrontare la problematica del distacco delle imprese, soprattutto con riferimento alle imprese straniere che si muovono sul nostro territorio con la possibilità di versare le competenze contributive nei Paesi d'origine.
L'ANCE rileva inoltre che nel settore edile sono diffusi fenomeni di caporalato e di sfruttamento, osservando come le imprese ricevano offerte di manodopera a prezzi assolutamente irrisori, che hanno fatto scattare numerose denunce alla direzione generale dei servizi ispettivi.
L'INAIL, nella sua audizione, ha fornito un significativo novero di dati ed elementi di conoscenza sul profilo specifico degli infortuni sul lavoro. In particolare, l'Istituto evidenzia dal 2007 al 2008 un aumento del numero di lavoratori irregolari verificati, quantificando in circa 175.000 nel 2006 il numero degli infortuni non denunciati.
L'INAIL fa poi presente che i settori tradizionalmente delicati come le costruzioni continuano a essere i più a rischio e, per converso, i più seguiti dall'Istituto nella delicata verifica della regolarità dei lavoratori presenti non solo nei cantieri. A tale riguardo, si osserva che l'attività di prevenzione si sta concentrando in particolare nei settori in cui sono presenti maggiormente i lavoratori in nero, che risultano sottopagati o con contratti fortemente irregolari e spesso preda di organizzazioni malavitose, che ne gestiscono in maniera illecita le prestazioni d'opera.
L'INAIL sottolinea inoltre l'efficacia di un'attività di prevenzione svolta in collaborazione con il sindacato, gli enti locali, le forze dell'ordine e tutti i soggetti che devono intervenire nella prevenzione del fenomeno, al fine di evitare gli incidenti sul lavoro e di spingere gli stessi soggetti a richiedere una regolarizzazione efficace.

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Si ritiene comunque essenziale promuovere un'attività ispettiva gestita in modo univoco a livello nazionale, garantendo un efficace coordinamento dei servizi ispettivi. In proposito, l'Istituto ha approntato un piano industriale in vista di un'attività di prevenzione più efficace e della creazione di un polo della salute e della sicurezza sul lavoro.
Coldiretti, nell'ambito dell'audizione delle associazioni rappresentative delle imprese agricole, evidenzia come un corretto sviluppo delle relazioni sindacali, supportato da una confacente legislazione in materia del lavoro, dall'introduzione di innovazioni normative contrattuali - ad esempio, i voucher o il riconoscimento dell'utilizzo di parenti e affini - e dalla disponibilità di quote di manodopera per il lavoro stagionale, abbia favorito un incremento nell'utilizzo legale della manodopera nel settore dell'agricoltura nell'arco di tempo 2006-2008. Coldiretti pone altresì in evidenza che il fenomeno del lavoro nero presenta caratteristiche complesse tali da richiedere soluzioni adeguate al diverso contesto di riferimento. Si evince la necessità di introdurre una legislazione del lavoro di semplice applicazione, tale da sottrarre ogni possibile alibi e interesse a perseguire condotte illecite a entrambe le parti del rapporto, quindi sia al datore di lavoro che all'eventuale lavoratore.
Coldiretti ritiene che in un territorio che offre produzioni da primato per il made in Italy, più che altrove debba essere garantita la legalità, certificata la qualità e promossa la vendita diretta; deve essere, inoltre, assicurato un controllo efficace del territorio per combattere gli inquietanti fenomeni malavitosi di sfruttamento della manodopera - soprattutto immigrata - ed assicurare corrette condizioni di concorrenza tra le imprese che, al contrario, hanno intrapreso con decisione la strada dell'attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, a servizio del bene comune. Coldiretti osserva che tali forme di schiavizzazione poste in essere dalla criminalità organizzata sembrano trarre origine, più che da carenze normative, da un'assenza dello Stato in taluni contesti geografici.
In proposito, Coldiretti ritiene necessario prestare attenzione sia all'appalto di servizi che alla somministrazione di manodopera, strumenti pienamente legittimi nella gestione di un'impresa, ma che nel campo dell'agricoltura si prestano ad un utilizzo distorto ed illegale: occorre, in tali casi, tenere sotto stretta osservazione la presenza di taluni indicatori che rivelano la natura criminale dei soggetti, quali l'entità e la forma del corrispettivo dell'appalto (frequentemente si tratta di tariffa ad ora di prestazione), nonché la data di costituzione della società.
Coldiretti sottolinea poi che razionalizzare e semplificare gli adempimenti burocratici posti a carico dei datori di lavoro resta forse il più diretto ed efficace strumento per favorire le aziende maggiormente interessate ad operare all'interno dell'economia legale, in un contesto di occupazione regolare e per un prodotto di qualità che ne sia l'espressione finale.
Confagricoltura, dopo aver posto in evidenza che nel settore agricolo esiste tanto lavoro vero, sottolinea il forte impegno di tutte le organizzazioni agricole, insieme ai sindacati, in chiave di contrasto

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al lavoro nero, esprimendo condanna per qualunque forma di sfruttamento della manodopera, non giustificabile da alcuna particolare condizione economica.
La Confederazione osserva che in alcune parti del territorio il mercato del lavoro non è nelle mani delle istituzioni, degli organi preposti a svolgere queste funzioni, come i centri per l'impiego o le agenzie di intermediazione, ma di altri soggetti collegati con la criminalità organizzata, che svolgono una funzione illecita e illegittima di intermediazione. Occorre, pertanto, garantire un efficace monitoraggio del territorio, garantendo la concreta applicazione del quadro sanzionatorio già esistente, anche attraverso l'ausilio degli enti bilaterali. In relazione al sistema dei controlli, Confagricoltura evidenzia la necessità di abbandonare un approccio formalistico dei monitoraggi e di concentrare l'attenzione su violazioni sostanziali delle normative, garantendo la mobilità degli ispettori al fine di verificare in tutte le zone del territorio il rispetto delle leggi.
Confagricoltura ritiene poi necessaria una diminuzione della pressione fiscale e contributiva, nonché uno snellimento delle procedure e un'accelerazione dei tempi di smaltimento nelle richieste di autorizzazione all'assunzione di manodopera straniera, magari prevedendo agevolazioni o corsie preferenziali in favore di quelle aziende che abbiano già posto in essere in passato comportamenti virtuosi con riferimento all'assunzione di manodopera. Si tratta di agevolare comparti che hanno necessità in modo strutturale dell'apporto dei lavoratori extracomunitari
Si mette in evidenza, poi, il fenomeno del lavoro fittizio, che si traduce nell'esistenza di rapporti di lavoro mai svolti, ma denunciati all'INPS, al solo fine di far percepire indebitamente delle prestazioni a soggetti che non hanno mai lavorato.
La CIA ritiene essenziale intervenire per rimuovere tutti i vincoli e le difficoltà di natura legislativa e normativa, ma anche amministrativa, che rendono particolarmente complicato e difficile alle aziende operare nel rispetto delle regole, intervenendo sui costi di produzione, sugli oneri non salariali, sui costi del lavoro e abbassando la pressione fiscale e contributiva (il settore paga, ad esempio, un'aliquota contro gli infortuni sul lavoro molto elevata, pari al 13,24 per cento). La Confederazione ritiene inoltre importante effettuare un monitoraggio in ordine all'applicazione della legge sull'immigrazione (ad esempio, in ordine alla durata dei permessi di soggiorno), al fine di valutare l'opportunità di apportare delle correzioni che sappiano garantire una maggiore speditezza delle pratiche e snellezza delle procedure. A tale riguardo, giudica opportuno un maggiore coinvolgimento degli enti locali, in concertazione con le parti sociali, affinché il carico di lavoro per il disbrigo delle pratiche sia equamente distribuito tra i vari organi competenti, anche in vista di un più efficace svolgimento delle politiche di integrazione - alloggi, servizi, scuole, sanità - da mettere in campo con il necessario contributo dei soggetti istituzionali.
La CIA paventa il rischio che, a seguito di taluni episodi recenti (in particolare, il caso di Rosarno), vista l'emotività collegata ad essi, si decida una restrizione drastica sull'ingresso e sulle quote dei

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lavoratori extracomunitari, che, a suo avviso, penalizzerebbe esclusivamente quelle aziende che presentano la domanda tramite il decreto flussi e che operano nel rispetto della legalità.
L'associazione «Medici senza frontiere», impegnata in Italia in attività di assistenza sanitaria agli immigrati (si tratta soprattutto di immigrati senza permesso di soggiorno richiedenti asilo), ha fatto presente che per tali soggetti si pongono seri problemi di accesso alle strutture sanitarie. L'intervento di MSF, in questi anni, si è focalizzato prevalentemente nel prestare assistenza sanitaria diretta a queste persone con una clinica mobile (di norma l'immigrato arriva in Italia sano e si ammala per le condizioni di vita e di lavoro che sperimenta nel nostro territorio), attraverso un team di medici, infermieri, mediatori culturali e logistici di supporto alle operazioni.
MSF riferisce di una «fetta» consistente di popolazione che si muove lungo il territorio dell'Italia meridionale, inseguendo le stagioni delle raccolte (a cominciare dall'estate nel foggiano, nel sud della Puglia e in Basilicata, fino a concludersi in inverno in Calabria, nell'area di Rosarno e in Sicilia, nell'area del siracusano): si tratta di lavoratori sottopagati, costretti a vivere in condizioni disagiate e privati dei più elementari diritti.
Al lavoro di supporto medico di MSF è stato affiancato anche un lavoro di relazione con le autorità regionali e locali per stimolarle a garantire almeno gli standard minimi di accoglienza a questa popolazione, nonché con le autorità sanitarie locali per cercare di attivare, durante la stagione delle raccolte, alcuni presidi sanitari, gestiti direttamente dalle AASSLL, con caratteristiche fondamentali di accessibilità. MSF ritiene che si è ancora lontani, tuttavia, da standard di accoglienza accettabili.
MSF sostiene di aver ripetutamente denunciato in questi anni le condizioni estreme di degrado in cui vive questa popolazione, testimoniando l'assenza delle istituzioni nonché delle associazioni di categoria, come sindacati e associazioni datoriali.
La Caritas ritiene che la crisi economica in atto abbia favorito la crescita del numero di lavoratori immigrati divenuti irregolari a causa della perdita del lavoro e del venir meno dei requisiti di residenza regolare (con conseguente loro spostamento nel Sud del Paese dove sembra esser più facile mantenere lo status di lavoratore irregolare), pur riconoscendo che il lavoro in nero è un fenomeno difficilmente quantificabile, coinvolgendo soggetti che sfuggono a qualsiasi rilevazione. Tra le aree del meridione maggiormente colpite dal fenomeno di sfruttamento della manodopera immigrata, Caritas cita il territorio campano (San Nicola Varco, il Casertano), la Basilicata (Palazzo San Gervasio), la Puglia (area del Foggiano e Gallipoli) e la Calabria (Rosarno).
A fronte di un processo migratorio che non accenna a diminuire, la Caritas mette in rilievo la necessità di prendere provvedimenti elaborati a livello territoriale, affinché qualsiasi provvedimento di sgombero sia preceduto da un piano di concertazione locale o regionale - come avvenuto di recente in Sardegna - garantendo alloggi e assistenza materiale a tali persone.
Si ritiene che gli Stati membri dell'Unione europea - sulla base di una direttiva comunitaria che dispone di fondi europei - abbiano a disposizione un interessante strumento - il rimpatrio volontario

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assistito - che permetterebbe loro di alleggerire la tensione determinata dall'immigrazione irregolare; esso, tuttavia, risulta di fatto inapplicabile in Italia, a seguito della recente introduzione del reato di immigrazione clandestina, per il quale l'immigrato, chiedendo di essere rimpatriato, correrebbe il rischio di essere denunciato. La Caritas ritiene opportuno intervenire sulla materia al fine di consentire la corretta applicazione di tale importante istituto e l'attuazione della direttiva europea 2008/115/CE, recante «Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare».
Si ritiene che il fenomeno del caporalato sia un fenomeno a tutt'oggi diffusamente esistente. I caporali gestiscono la manodopera irregolare impiegando persone a 25 euro al giorno, di cui mediamente 5 euro vanno in mano al caporale (2-3 euro sono necessari per il trasbordo tra il luogo dove si sopravvive e il luogo di lavoro). Si fa notare, inoltre, che gli sgomberi provocano un ulteriore danno ai lavoratori immigrati, che non solo si trovano nelle condizioni di dover lasciare di corsa questi luoghi, ma non ricevono neanche il salario, atteso che il datore di lavoro, in questo modo, si libera del debito nei confronti del proprio lavoratore, risultando, successivamente, irrintracciabile.
La Caritas giudica opportuno cominciare ad ipotizzare decreti flussi più rispondenti alle reali esigenze delle imprese, elaborando a monte più adeguati progetti di regolazione dei flussi regolari. Viene altresì sottolineata la necessità di riflettere in che misura sia possibile estendere l'applicazione dell'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione anche allo sfruttamento sui luoghi di lavoro, prospettando anche l'opportunità di affrontare il tema dei minori stranieri non accompagnati (eventualmente attraverso la costruzione di una rete diffusa su tutto il territorio nazionale), che pongono anche un problema di sostenibilità per gli enti locali.
In un momento di crisi come quello attuale, la Caritas auspica un prolungamento del periodo di permanenza per la ricerca del lavoro, soprattutto con riferimento a contesti particolari, come ad esempio L'Aquila, dove molti immigrati, oltre a dover scontare le gravi conseguenze dell'evento sismico, hanno di fatto perduto il lavoro, la casa e, pertanto, anche la possibilità di rimanere nel territorio regolarmente. Si riconosce, infine, che il problema del disagio sociale e del lavoro nero coinvolge al sud in modo drammatico non soltanto gli immigrati, ma gli stessi lavoratori italiani.
L'ISTAT ha fornito numerosi dati di interesse, in particolare mettendo in evidenza come la rilevanza che assumono le piccole imprese nel tessuto produttivo, il persistere di forti divari territoriali di sviluppo, il peso economico dei settori produttivi labour-intensive rappresentino aspetti che rendono il nostro Paese permeabile alla presenza di lavoro non regolare.
Inoltre, si sottolinea il benefico effetto prodotto dalle innovazioni normative introdotte in materia di mercato del lavoro, che hanno condotto ad un aumento dell'occupazione e ad una diminuzione del tasso di irregolarità nel periodo 2001-2009 nonché del tasso d'incidenza del lavoro irregolare sul PIL. Si è altresì fatto notare come

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anche gli interventi legislativi volti a sanare l'irregolarità lavorativa degli stranieri extracomunitari abbiano agito positivamente sulla diminuzione del lavoro non regolare dei dipendenti.
Si fa presente, inoltre, che gran parte dei lavoratori irregolari è composta da lavoratori residenti, mentre gli stranieri clandestini rappresentano, invece, la componente più ridotta del lavoro non regolare (valutati in circa 377.000 unità di lavoro nel 2009). Nonostante gli interventi di sanatoria, tuttavia, è da rilevare che nel periodo 2001-2008 il numero di lavoratori stranieri irregolari è cresciuto subendo un'inversione di tendenza solo nel 2009.
L'ISTAT, dunque, mette in evidenza come la recente crisi economica abbia provocato una riduzione complessiva dell'occupazione (riguardante sia gli italiani sia gli stranieri), nonché una forte contrazione del lavoro regolare (il tasso di irregolarità è passato dall'11,9 per cento del 2008 al 12,2 per cento del 2009).
Con riferimento sempre al 2009, l'ISTAT evidenzia il minor tasso di irregolarità nell'industria in senso stretto, che assume invece una forte connotazione nelle costruzioni e ancor più nel settore del commercio, delle riparazioni, degli alberghi e ristoranti, dei trasporti e delle comunicazioni. Vengono poi sottolineate le pesanti differenziazioni territoriali che caratterizzano il fenomeno, dal momento che la quota di lavoro irregolare del Mezzogiorno è più che doppia rispetto a quella delle due ripartizioni settentrionali.
Viene poi rilevato che la contrazione della base occupazionale, per quanto riguarda i lavoratori stranieri, è stata finora contrastata dal sostegno fornito dal lavoro non qualificato che coinvolge larga parte degli stranieri; in questo senso si ritiene che l'immigrazione continui a rispondere, anche nella crisi, ai fabbisogni della domanda di lavoro non soddisfatti dalla manodopera locale.
Peraltro, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT ha fornito un quadro molto interessante e, al tempo stesso, preoccupante sull'aumento dell'irregolarità del lavoro in agricoltura, con punte impensabili in alcune regioni del Centro-Italia, tra le quali il Lazio; al tempo stesso, l'Istituto ha dimostrato come si registri anche una progressiva crescita della regolarizzazione di ampie fasce di popolazione straniera, la cui qualificazione professionale va tendenzialmente aumentando in tutte le zone del Paese.
Come detto in premessa, l'intervento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha concluso il ciclo di audizioni.
Il Ministro Sacconi ha evidenziato innanzitutto l'esigenza di concentrarsi sulle forme più odiose del lavoro nero, soffermandosi soprattutto sull'estrema pericolosità (legata all'assenza di tutele) del lavoro totalmente non dichiarato - particolarmente diffuso nel Meridione nell'ambito dell'agricoltura e dell'edilizia - che appare coniugarsi con i fenomeni del caporalato e dell'intermediazione abusiva, entrambi collegati peraltro alla criminalità organizzata.
Nell'ambito dell'agricoltura, il Ministro ha poi segnalato che, accanto al lavoro nero, esiste il fenomeno dell'abuso delle tutele - ammortizzatori e anche alcune forme di integrazione del reddito - da parte di falsi lavoratori (magari dipendenti da cooperative senza terra) che usufruiscono, senza averne titolo, delle forme di protezione.

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Il lavoro nero affligge il settore dell'edilizia (con situazioni di pericolo per la persona in presenza di contesti di lavoro non dichiarato), ma anche il terziario (soprattutto nella logistica, dove operano molte cooperative spurie), ed i servizi connessi all'economia turistica e alla cura e all'assistenza familiare.
Il Ministro ha posto in evidenza la particolare esposizione al fenomeno del lavoro nero degli immigrati (ancorché in prevalenza regolari e non necessariamente clandestini) e delle donne, particolarmente soggette a modalità di lavoro integralmente non dichiarate, anche a causa dell'assenza di servizi di conciliazione.
Si prospetta, quindi, l'esigenza di rafforzare l'attività di vigilanza, da combinare con forme di controllo sociale che il Governo vuole promuovere e sollecitare; a tale riguardo, evidenzia che lo sforzo del Governo in tale ambito è stato teso a individuare quali elementi di priorità - attraverso un'attività di selezione degli obiettivi (in collaborazione con le polizie statuali) - il lavoro totalmente non dichiarato e le violazioni sostanziali di leggi: ciò ha condotto ad un aumento della qualità dei controlli e ha consentito di concentrare l'azione ispettiva e l'intervento sanzionatorio verso quei fenomeni di maggiore gravità sul piano economico-sociale (come, appunto, il caporalato e lo sfruttamento di manodopera straniera).
È stato poi illustrato il programma straordinario di vigilanza in agricoltura e in edilizia che, a seguito dei «fatti di Rosarno», il Ministero ha promosso in talune regioni del Mezzogiorno, nell'ambito del quale è stata attivata forma di collaborazione con la Guardia di finanza per incrociare i dati relativi alle attività economiche con i possibili fenomeni distorsivi.
Il Ministro ha, dunque, rilevato l'importanza dell'elemento della bilateralità in chiave di collaborazione con i servizi ispettivi e di prevenzione dei fenomeni di lavoro nero, al fine di mettere sotto controllo sistemi produttivi fortemente frammentati, attraverso un controllo del territorio che tali organismi, soprattutto nel campo dell'edilizia, hanno dato dimostrazione di poter assicurare. Egli ha così auspicato, anche per altri settori, la costruzione di una rete territoriale bilaterale - in sussidiarietà rispetto alle funzioni pubbliche - che possa svolgere una serie di funzioni, tra cui quella di intermediazione nella fornitura di manodopera, di collocamento, di formazione, di promozione delle forme di prevenzione per la salute dei lavoratori
È stata, poi, richiamata la rilevanza dello strumento del voucher nei settori e per le attività per cui la legge ne ha previsto l'utilizzo - ovvero prestazioni occasionali, accessorie, di breve periodo, nell'ambito soprattutto dell'agricoltura e dei servizi di cura - che ha sicuramente contribuito alla tracciabilità dei rapporti di lavoro, soprattutto nel territorio settentrionale. Viene comunque evidenziata l'esigenza di promuovere forme di controllo con le parti sociali al fine di scongiurare ogni possibile distorsione nell'utilizzo di tale strumento, che si concretizzi in una destrutturazione del rapporto di lavoro preesistente.
Il Ministro non ritiene, infine, agevolmente applicabile - se non per casi eccezionali - una riduzione generalizzata degli oneri indiretti gravanti sul lavoro, considerati i vincoli di finanza pubblica e le

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esigenze di rapporto fra contribuzione e prestazione, che caratterizzano l'attuale modello previdenziale, valutando più opportuno rimettere alle parti, attraverso la stipula di intese decentrate, il compito di regolamentare le dinamiche salariali.

3. Conclusioni e proposte.

Dalle audizioni svolte nel corso dell'indagine conoscitiva emerge, in primo luogo, un dato di natura metodologica, ossia la necessità di inquadrare il fenomeno del lavoro nero e degli effetti distorsivi del mercato del lavoro (i quali, pur coinvolgendo in modo più significativo la manodopera straniera, riguardano direttamente anche i lavoratori italiani) nell'ambito di una più complessiva analisi, che abbia ad oggetto le dinamiche in atto nel mercato del lavoro, nell'economia e nei processi migratori. Si evidenzia, pertanto, l'esigenza di rifuggire dalla tentazione di fornire ricostruzioni astratte, avulse dai contesti sociali ed economici del Paese, peraltro fortemente differenziati a seconda della zona geografica presa a riferimento (il lavoro nero sembra, infatti, presentare caratteristiche più strutturali nel Mezzogiorno, mentre appare più legato a forme di evasione ed elusione fiscale nel Nord d'Italia); piuttosto, occorre concentrare l'attenzione sul concreto svilupparsi dei fenomeni in questione, diversificando gli approfondimenti di contenuto, in base alla tipologia dei settori produttivi esaminati, alla fattispecie contrattuali utilizzate, alle zone del Paese interessate, al tipo di azione politica da intraprendere.
L'indagine, inoltre, ha chiarito quanto sia indispensabile ricondurre i singoli aspetti dei fenomeni esaminati su un piano generale, cogliendo i nessi esistenti tra i vari contesti presi a riferimento e «spianando» la strada a quel tipo di approccio integrato, che prevede la proficua azione di collaborazione e concertazione di diversi soggetti istituzionali e non (tra cui, ad esempio, gli enti bilaterali, come suggerito dall'ANCE, da Confagricoltura e dallo stesso Ministro Sacconi), nonché la messa in campo di vari interventi di natura economica, culturale, politica, repressiva, preventiva, fiscale e di regolazione dei flussi migratori, che sappiano coesistere nell'ambito di un progetto di azioni coerenti e coordinate tra di loro, capaci di orientare le azioni pubbliche in un nuovo contesto internazionale, caratterizzato dalla liberalizzazione dei servizi e dalla libera circolazione delle persone. Bisogna, pertanto, sforzarsi di concentrare l'attenzione sui nessi causali dei fatti accertati, proprio per fornire chiavi interpretative quanto più oggettive possibile, al fine di sopperire a quella insufficienza di elementi diretti di conoscenza che da sempre caratterizza le metodologie di censimento di un fenomeno che, di per sé, presenta un elevata capacità di sfuggire ai rilevamenti ufficiali.
Va rilevato, quindi, che l'attuazione di adeguate riforme di più ampio respiro di natura economica, fiscale e del mercato del lavoro sembra rappresentare una condizione necessaria in vista di una efficace attività di contrasto al lavoro nero. In tal senso, a conferma di quanto le riforme possano incidere sul fenomeno, appare opportuno ricordare - come è stato ampiamente fatto nel corso della audizioni - come le più recenti innovazioni in materia di fattispecie

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contrattuali flessibili (cosiddetta «legge Biagi») abbiano favorito l'emersione dei rapporti di lavoro, nonostante in talune situazioni, soprattutto in contesti fortemente precarizzati, si sia talora assistito ad un uso distorto di tali fattispecie, teso a celare rapporti sostanzialmente subordinati, in vista di un ridimensionamento dei costi del lavoro.
Gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell'indagine, inoltre, hanno consentito alla Commissione di verificare la rilevanza strategica assunta dalla manodopera straniera nel nostro attuale sistema economico e produttivo, a causa di evidenti ragioni demografiche e culturali che hanno condotto i giovani italiani a rinnegare e ad abbandonare talune forme di impiego, ritenute non più qualificate e remunerative. I lavoratori immigrati, pertanto, per oggettivi motivi di necessità, riconducibili anche al fatto che il lavoro costituisce un requisito indispensabile ai fini di un loro regolare soggiorno nel Paese, risultano maggiormente disposti ad accettare lavori non rispondenti alla loro qualifica e al loro grado di preparazione culturale, con la conseguenza di essere più ricattabili e più esposti al rischio di un utilizzo distorto delle loro prestazioni professionali.
Appare opportuno, quindi, investire particolarmente sulla regolamentazione delle forme di impiego della manodopera straniera, atteso che la presenza di lavoratori extracomunitari risulta significativa proprio in quei settori in cui si registra una percentuale più elevata di lavoro sommerso. Infatti, i dati emersi dall'indagine innescano, su questo punto, una prima riflessione di merito riguardante l'esigenza di favorire un corretto incontro tra domanda ed offerta di lavoro straniero, partendo dal dato inconfutabile che la richiesta attuale di manodopera viene considerata come non adeguatamente soddisfatta. Le stesse modalità di ingresso nel Paese - secondo quanto riferito da molti dei soggetti auditi - risultano spesso di non facile applicazione e favoriscono il ricorso al lavoro sommerso (che riguarda sicuramente gli immigrati irregolari, ma in misura maggiore quelli regolari con lavoro stabile), ponendo con forza la questione relativa alle modalità di reclutamento di tale manodopera e a come regolamentarne la permanenza nel territorio. Nel corso dell'indagine si è così prospettata la necessità di semplificare le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno in favore dei lavoratori stranieri regolarmente presenti sul territorio italiano, agevolando la tempistica e le relative procedure e mettendo, altresì, a disposizione delle imprese una quota di ingressi più rispondente ai bisogni delle stesse. È emersa inoltre la preoccupazione di rendere più costante e qualificata la presenza di lavoratori immigrati sul territorio, estendendo il periodo di soggiorno per ricerca di lavoro, in caso di sopravvenuta disoccupazione (oggi limitato a 6 mesi), ricollegando la decorrenza di tale proroga non al giorno del licenziamento bensì a quello della scadenza del permesso di soggiorno e rendendo meno probabile lo scivolamento di tali lavoratori verso condizioni di irregolarità, anche attraverso il loro impiego in attività di formazione. Essenziale a tale riguardo risulta l'avvio di politiche sociali di integrazione adeguate, riguardanti gli alloggi, la formazione linguistica e scolastica, nell'ambito delle quali gli enti locali dovrebbero assurgere al ruolo di effettivi protagonisti. Sempre in tema di semplificazione

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della normativa relativa al reclutamento della manodopera straniera, si segnala poi l'esigenza di introdurre modifiche alla normativa dei rinnovi dei permessi di soggiorno stagionali, attesa la particolare delicatezza di tali forme di attività professionale, che, a causa dei periodi ristretti in cui si esercitano, rendono ancor più problematica la tematica del reclutamento e della permanenza dei lavoratori stranieri, spesso costretti a migrare da una un territorio all'altro all'inseguimento delle campagne della raccolta. Va comunque precisato che, dai dati statistici su lavoro irregolare riferiti nel corso delle audizioni, l'immigrazione non sembrerebbe essere caratterizzata significativamente da una dimensione di clandestinità, atteso che la maggioranza degli stranieri impiegati «in nero» risultano spesso regolarmente residenti nel territorio: ciò, tuttavia, non può condurre a negare l'esistenza di una problematica relativa alla loro particolare esposizione a forme di sfruttamento, che deriva da una situazione di precarietà connessa ad una mancata integrazione sociale e dalle stesse incertezze legate alla loro permanenza sul territorio.
Come detto anche in precedenza, è evidente, peraltro, che il fenomeno del lavoro nero presenta proporzioni più vaste, che non possono essere circoscritte alla regolamentazione dei flussi migratori: non va infatti dimenticato che risultano coinvolti altri soggetti deboli della società, come i giovani e le donne lavoratrici, cittadini italiani spesso vittime di una crisi economica e di un mercato del lavoro che non sembra sempre in grado di favorire i necessari raccordi con il mondo della scuola, efficaci attività di formazione ed adeguate politiche di conciliazione. In proposito, appare essenziale promuovere anche lo sviluppo di una rete di bilateralità, in sussidiarietà rispetto alle funzioni pubbliche, che sia capace di svolgere attività di collocamento, di formazione, di promozione delle forme di prevenzione per la salute dei lavoratori, sostituendosi in taluni casi allo Stato e garantendo una forma preventiva di controllo sociale sugli stessi fenomeni distorsivi del mercato del lavoro.
Sul versante più specifico delle imprese, in aggiunta rispetto ad una indispensabile operazione di semplificazione amministrativa e burocratica, dovrà anche accompagnarsi una generalizzata politica di omogeneizzazione della pressione fiscale e contributiva (partendo, tuttavia, dagli elementi di criticità che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha esposto alla Commissione, non ritenendo facilmente praticabile un intervento in materia): in particolare, si tratta di rendere sempre meno conveniente per il datore di lavoro e per il lavoratore stesso il ricorso al lavoro sommerso (avendo anche in mente l'idea di agevolare - in specifiche ipotesi da definire mediante accordi bilaterali - la possibilità, per i lavoratori stranieri, di versare i propri contributi agli enti del Paese di origine, al fine di fruire di trattamenti pensionistici di adeguata entità).
Dallo svolgimento delle varie audizioni, infatti, è emerso un quadro di competizione alterata tra le imprese, che costringe spesso le aziende rispettose delle regole a cedere il passo - a causa di un sistema di adempimenti fiscali e amministrativi definito «oppressivo» - rispetto a coloro che, al contrario, decidono di perseguire la strada della illegalità e del sommerso. È proprio in vista di una leale concorrenza tra le imprese che si propone di rivedere l'attuale quadro

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normativo, in modo da premiare comportamenti imprenditoriali virtuosi (centrati sulla qualità del prodotto e sulla tutela della manodopera, oltre che orientati agli investimenti) e rispettosi delle leggi, sanzionando invece, senza alcun indugio, i trasgressori delle normative in materia, purché si tratti di violazioni sostanziali e non meramente formali, come evidenziato dallo stesso Ministro Sacconi nel corso della sua audizione.
Proprio sul versante dei controlli, si evidenzia inoltre la necessità di mettere a regime il sistema delle banche dati esistenti (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, centri per l'impiego, INPS, INAIL, Guardia di finanza e Agenzia delle entrate), nonché di promuovere un'attività ispettiva gestita in modo univoco a livello nazionale, garantendo un efficace coordinamento dei servizi ispettivi, in vista di un'attività di prevenzione più efficace e della creazione di un polo della salute e della sicurezza sul lavoro. Risulta, infatti, essenziale assicurare un efficace controllo dello Stato su tutto il territorio nazionale, attraverso il rafforzamento delle attività ispettive e la garanzia di un'effettiva mobilità degli stessi ispettori. Sotto questo profilo, appare peraltro doveroso operare una distinzione tra situazioni di illegalità quasi imposte da contingenti ragioni di natura fiscale ed economica (per il cui contrasto, comunque, non si può prescindere da un mantenimento dei livelli di attenzione sul versante dei controlli e delle sanzioni), poste in essere per lo più ai fini della sopravvivenza stessa dell'impresa, ed ipotesi di criminalità diffusa messe in campo da soggetti societari senza scrupoli. Infatti, in relazione alla prima di tali tipologie, è ipotizzabile che - accanto alla pur doverosa attività di controllo e repressione - vi sia anche l'avvio di un processo di riduzione degli adempimenti a carico delle aziende, soprattutto in un contesto di crisi come quello attuale; al contrario, occorre non avere alcuna tolleranza nei confronti della seconda tipologia di illegalità, che è di fatto costituita, sin dall'origine, per perseguire profitti illeciti e per sfruttare la manodopera, non soltanto di provenienza extra-comunitaria.
È su questo, sia pur sottile, margine di distinzione che - ad avviso della Commissione - ben può inserirsi anche l'analisi del fenomeno del caporalato, che, secondo le ricostruzioni fornite dai soggetti auditi, risulta diffuso soprattutto nelle zone del Mezzogiorno (oltre che, in misura certamente meno marcata, nel Nord-Est del Paese). Su tale versante, il tema dei controlli e delle sanzioni appare ancor più centrale, così come l'introduzione di innovazioni legislative nel campo della responsabilità civilistica degli amministratori di fatto e in quello della protezione sociale di coloro che risultano soggetti a sfruttamento da parte dei cosiddetti «caporali», ad esempio attraverso il riconoscimento del permesso di soggiorno in caso di denuncia dei loro persecutori (mediante l'applicazione dell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione). È, del pari, evidente la necessità di tenere sotto costante monitoraggio anche il regime di «pseudo» appalti di servizi, che spesso nascondono una fraudolenta fornitura di manodopera, tesa ad alimentare il sistema del caporalato: a tale riguardo, si potrebbe prospettare la possibilità di alleggerire il carico burocratico e formale in capo alle agenzie di somministrazione, rendendo più flessibili i requisiti richiesti a tali soggetti per operare e creando un sistema più

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concorrenziale e meno oligopolistico, in modo da emarginare in sé le forme di intermediazione di manodopera fraudolenta (si rende necessario, in proposito, riflettere sull'opportunità di intervenire sul tema dei lavoratori distaccati da imprese di fornitura di manodopera, con sede in Paesi dove vige un regime contrattuale più favorevole).
A fronte dei casi più gravi di sfruttamento della manodopera, sarebbe poi utile ragionare sulla proposta - formulata da taluni soggetti auditi - di intervenire sul piano del diritto penale, introducendo un reato specifico per tali fattispecie, così come previsto peraltro da talune proposte di legge presentate nel corso di questa legislatura (si citano, in particolare, i progetti di legge A.C. 1220 e 1263 e A.S. 753), a conferma dell'idea che il fenomeno del caporalato deve essere affrontato anche mediante adeguate politiche di ordine pubblico, dal momento che esso ha preso piede anche a causa di una scarsa presenza dello Stato e delle istituzioni sul territorio.
Infine, a margine delle numerose proposte sopra illustrate, si segnala anche l'esigenza di studiare con attenzione il fenomeno del «lavoro in bianco», che si sostanzia in un abuso delle tutele da parte di soggetti che usufruiscono di prestazioni previdenziali o di integrazione del reddito pur non avendone alcun titolo: si tratta di una problematica - se vogliamo - di segno opposto a quella oggetto dell'indagine, ma ugualmente odiosa e da contrastare attraverso lo svolgimento di un'attenta attività di vigilanza.
In conclusione, nel rimettere alla riflessione comune dei gruppi presenti in Parlamento le proposte, le idee e i suggerimenti sinora esposti, la Commissione ritiene che i fenomeni del lavoro nero, del caporalato e dello sfruttamento della manodopera non possano che essere giudicati intollerabili, sia dal punto di vista umano - comportando in taluni casi gravi limitazioni alla libertà individuale nonché la negazione di fondamentali diritti sociali - sia da quello economico e produttivo, dal momento che le imprese rispettose delle regole risultano prevaricate da chi aggira le norme e dà luogo a forme «striscianti» di dumping sociale, sottraendo peraltro alle casse dello Stato ingenti risorse fiscali e contributive.
Un impegno nel combattere tali elementi distorsivi del mercato del lavoro richiede, tuttavia, la messa in campo di politiche di riforma di ampia prospettiva e il coinvolgimento nella loro definizione di diversi attori sociali ed istituzionali, che consentano di affrontare il problema da una prospettiva più estesa, che non sia circoscritta ad un solo settore di intervento. Su queste basi, la Commissione ritiene di poter dare il proprio contributo politico e legislativo.