CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 18 maggio 2010
325.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Bilancio, tesoro e programmazione (V)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio. Atto n. 196.

PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAL RELATORE

«La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (atto n. 196);
condivise le finalità del provvedimento, che intende fornire un significativo impulso alla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, in quanto la sua attribuzione agli enti territoriali costituisce un valido incentivo per una sua più efficiente gestione, in grado di produrre ricchezza e benefici per le collettività territoriali stesse, responsabilizzando inoltre gli amministratori locali;
considerato che le richiamate finalità di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico richiedono che l'utilizzo dei beni, ed in particolare del demanio idrico e marittimo, avvenga nel rispetto dei principi di tutela della concorrenza e assicurando condizioni di competitività nell'esercizio delle attività economiche;
rilevato che, su un piano generale, il patrimonio immobiliare dello Stato rappresenta un essenziale strumento di garanzia del debito pubblico, in quanto tali immobili risultano iscritti nell'attivo del conto patrimoniale dello Stato, a fronte del passivo, costituito dallo stock del debito pubblico relativo alle amministrazioni centrali;
attesa la necessità che il presente provvedimento tenga conto dell'esigenza di garantire il debito pubblico, contribuendo a consolidare nell'ordinamento il principio secondo il quale il medesimo debito è questione che investe tutti gli enti che costituiscono la Repubblica ai sensi dell'articolo 114, primo comma, della Costituzione;
ritenuto che occorre individuare procedure di attribuzione dei beni medesimi, assicurando, da un lato, che l'individuazione dei beni da trasferire alle collettività locali sia realizzata attraverso forme adeguate di concertazione tra i livelli di governo e, dall'altro, che l'attribuzione degli stessi avvenga con modalità tali da garantire un'effettiva valorizzazione dei beni trasferiti, evitando oneri impropri ed usi non produttivi dei beni medesimi, anche a garanzia del debito pubblico;
considerata inoltre a tal fine l'opportunità di escludere dal novero degli enti assegnatari dei beni gli enti locali in lo stato di dissesto ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
rilevato, al riguardo, che l'articolo 1, comma 5, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), dispone che, a decorrere dall'anno finanziario 2006, i maggiori proventi derivanti dalla dismissione o alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato siano destinati alla riduzione del debito e che, pertanto, i relativi proventi siano conferiti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
constatato che lo schema di decreto non reca indicazioni in ordine alla destinazione

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dei proventi derivanti dalla eventuale alienazione degli immobili attribuiti agli enti territoriali;
ritenuto necessario, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, preservare gli equilibri di bilancio e contribuire al risanamento dei conti pubblici, prevedendo che l'attribuzione degli immobili statali agli enti territoriali non pregiudichi la possibilità di incidere in senso riduttivo sulla consistenza del debito pubblico e, conseguentemente, sui relativi oneri di gestione;
rilevata, in questo contesto, l'esigenza che le risorse nette derivanti agli enti territoriali dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio loro attribuito e quelle derivanti dall'eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti siano acquisite in misura prevalente dall'ente territoriale interessato e destinate alla riduzione del debito dell'ente medesimo e, solo in assenza del debito o, comunque, per la parte eccedente il debito stesso, possano essere utilizzate con finalità di copertura delle spese per investimenti, escludendo in ogni caso la loro destinazione a spese di parte corrente;
ritenuto, altresì, necessario assicurare che una quota delle risorse rivenienti da tali alienazioni sia, comunque, destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui all'articolo 2 della legge 27 ottobre 1993, n. 432;
rilevata l'esigenza di introdurre meccanismi procedurali volti a garantire che, nelle eventuali operazioni di dismissione da parte degli enti territoriali degli immobili ad essi trasferiti, siano pattuiti corrispettivi per l'alienazione congrui rispetto al valore dei beni stessi;
preso atto della scelta dello schema di prevedere una riduzione delle risorse spettanti agli enti territoriali destinatari dei beni trasferiti in misura corrispondente ai proventi derivanti allo Stato dai beni oggetto del trasferimento;
rilevata, tuttavia, la necessità di garantire in modo certo la contestualità tra la riduzione delle entrate erariali derivanti dai beni trasferiti, da un lato, e la riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo a Regioni ed enti locali;
considerato inoltre necessario garantire agli enti territoriali la possibilità di sostenere le spese necessarie alla gestione e alla manutenzione dei beni oggetto di trasferimento, escludendo al contempo l'insorgere di maggiori oneri per la finanza pubblica nel suo complesso, in ragione di possibili duplicazioni delle spese dovute alla presenza nel bilancio delle amministrazioni centrali di stanziamenti destinati alla gestione dei beni trasferiti;
rilevato che, ai fini di assicurare un'efficace attuazione del provvedimento in esame, dovrà essere completato quanto prima il censimento dei fabbisogni allocativi disciplinati dall'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191;
ritenuto che i successivi schemi di decreto legislativo attuativi delle deleghe di cui alla legge n. 42 del 2009, destinati verosimilmente a presentare una maggiore complessità sotto il profilo finanziario, dovranno essere corredati da relazioni tecniche pienamente conformi alle disposizioni di cui all'articolo 17, commi 3 e 4, della legge n. 196 del 2009;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
all'articolo 2, al comma 2, aggiungere, in fine il seguente periodo: Agli enti locali in stato di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267non possono essere attribuiti beni ai sensi del presente decreto legislativo.
all'articolo 4, comma 1, sostituire le parole: e comunitarie di settore con le seguenti: e dalle norme comunitarie di settore, con particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza;

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all'articolo 7, comma 2, sostituire le parole: criteri e tempi con le seguenti: tempi e modalità;
conseguentemente, al medesimo comma:
sostituire le parole: in funzione della con le seguenti: in misura pari alla;
aggiungere, in fine, le seguenti parole:, assicurando la contestualità tra la riduzione delle entrate erariali e quella delle risorse spettanti agli enti territoriali;
all'articolo 7, dopo il comma 2, aggiungere i seguenti:
3. Alle procedure di spesa relative ai beni trasferiti ai sensi delle disposizioni del presente decreto non si applicano i vincoli relativi al rispetto del patto di stabilità interno, per un importo corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni trasferiti. Tale importo è determinato secondo i criteri e con le modalità individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare al bilancio dello Stato le variazioni occorrenti alla riduzione degli stanziamenti dei capitoli di spesa interessati.
4. Le risorse nette derivanti a ciascuna Regione ed ente locale dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del presente decreto, nonché quelle derivanti dall'eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti, sono acquisite dall'ente territoriale per un ammontare pari all'ottantacinque per cento delle stesse; dette risorse sono destinate alla riduzione del debito dell'ente e, solo in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento. La residua quota del quindici per cento è destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro per i rapporti con le Regioni ed il Ministro per le riforme per il federalismo, sono stabilite le modalità di applicazione del presente comma.
5. Ciascuna Regione o ente locale può procedere all'alienazione di immobili loro attribuiti ai sensi del presente decreto previa attestazione della congruità del valore del bene da parte dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze. L'attestazione è resa entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta»;
e con le seguenti osservazioni:
nella definizione delle procedure di attribuzione dei beni di cui all'articolo 3 dello schema, si tenga conto della necessità di individuare forme idonee alla effettiva valorizzazione dei beni medesimi, valutando l'opportunità di prevedere che gli enti richiedenti indichino analiticamente le finalità della richiesta e i relativi progetti di valorizzazione, da esaminare tenendo conto anche delle esigenze, delle dimensioni e delle capacità finanziarie degli enti stessi, nonché appropriati strumenti di verifica a posteriori dell'adempimento degli impegni assunti, introducendo rimedi sanzionatori;
venga previsto che, nell'ambito delle procedure volte all'individuazione dei beni da escludere dai trasferimenti, abbia luogo, a livello provinciale, una fase di concertazione tra i diversi livelli di governo potenzialmente interessati, al fine di garantire la migliore utilizzazione del patrimonio pubblico;
si valuti l'opportunità di prevedere, al fine di meglio garantire la certezza delle posizioni giuridiche, un'apposita procedura, eventualmente anche attraverso la redazione di un verbale di consegna, per la immissione nel possesso effettivo dei beni, che possa costituire il titolo in base al quale effettuare la trascrizione.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio. Atto n. 196.

PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAGLI ONOREVOLI GALLETTI E CICCANTI

«La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante «Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42», approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2009;
premesso che:
sullo schema di decreto non è stata acquisita l'intesa con la Conferenza Unificata prescritta dall'articolo 2, comma 2, secondo periodo, della legge n. 42;
conseguentemente, è stata trasmessa la relazione, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della medesima legge, che non indica «le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta» entro il termine di trenta giorni previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
infatti, la relazione si limita a prendere atto della impossibilità di riunire sul punto la Conferenza Unificata;
la relazione manca di un presupposto fondamentale, previsto dalla legge n. 42 del 2009, per l'esame dello schema di decreto e cioè la piena conoscenza delle ragioni del dissenso della Conferenza Unificata;
la Commissione è, pertanto, impossibilitata a svolgere la propria funzione consultiva secondo quanto previsto dalla legge delega;
inoltre, è allegato allo schema di decreto il parere favorevole della Conferenza Stato-città ed autonomie locali;
tale parere non è previsto dalla legge n. 42/2009 che, viceversa, impone il preliminare parere della Conferenza Unificata o, in sua assenza, una dettagliata relazione sulle ragioni della mancata intesa;
peraltro, è stato allegato un secondo schema di decreto legislativo che reca una serie di modifiche e integrazioni;
tale secondo schema contiene le osservazioni delle Conferenza Stato-città e autonomie locali ma non è stato fatto proprio dal Governo con una nuova deliberazione del Consiglio dei Ministri;
non è dato comprendere, quindi, su quale schema la Commissione parlamentare sia chiamata a esprimere parere e quale sia, sotto il profilo procedurale e sostanziale, la proposta normativa dell'Esecutivo;
si tratta, pertanto, di un'altra violazione del procedimento indicato dall'articolo 2, terzo comma, della legge n. 42 del 2009;
violazione confermata dal Governo che giustifica tale modo illegittimo di procedere con l'esigenza di approvare nei termini previsti dalla legge delega il primo decreto legislativo anche perché «L'ipotetica mancata adozione nei termini prescritti potrebbe infatti pregiudicare l'adozione dei successivi decreti legislativi.»;

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l'approvazione del cosiddetto «federalismo demaniale» non può essere derubricata, però, a mero adempimento formale per eludere la tempistica imposta dalla legge delega e i principi e criteri direttivi, seppur generici, ivi contenuti;
a conferma di quanto sopra evidenziato basta sottolineare che lo stesso relatore di maggioranza chiede, con il suo parere, una sostanziale ed integrale riscrittura dello schema di decreto;
allegata allo schema di decreto vi è, poi, la relazione tecnica prevista dal citato articolo 2, terzo comma, della legge n. 42/2009;
tale relazione dovrebbe evidenziare «gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico» e ciò per consentire alla commissioni parlamentari di esprimersi anche sulle «conseguenze di carattere finanziario» del «federalismo demaniale»;
la relazione tecnica non contiene tutti gli elementi necessari per verificare la reale portata dello schema di decreto rispetto ai conti pubblici;
è appena il caso di osservare, ad esempio, che il gettito erariale potenzialmente interessato da riduzioni, in conseguenza del trasferimento di beni previsto dalle disposizioni in esame, non riguarda solo la riduzione delle entrate derivanti dalla concessione di beni demaniali o patrimoniali (cui far corrispondere, in seguito, un corrispondente taglio dei trasferimenti a regioni ed enti locali) ma anche dalla riduzione del gettito I.C.I. per i comuni a seguito del trasferimento da parte dello Stato di beni appartenenti al patrimonio disponibile;
peraltro, gli effetti del provvedimento sui conti pubblici sono, certamente, di portata più ampia ove si consideri la perdita da parte dello Stato del valore patrimoniale dei beni trasferiti (dei quali manca comunque l'indicazione e la stima), e le plusvalenze determinate dall'inserimento in fondi immobiliari locali di beni statali;
considerato che:
lo schema di decreto ripropone alcune fondamentali questioni di merito proprie della legge delega che lo rendono inadeguato allo scopo per il quale viene adottato;
l'assenza di chiarezza dell'articolo 117 della Costituzione sul riparto di competenze e funzioni tra Stato e regioni rende, infatti, impossibile la predeterminazione dei costi delle funzioni amministrative delle regioni cui ancorare il nuovo assetto decentrato delle entrate e delle spese;
tale limite incide anche sulla assegnazione dei beni statali;
per rendersi conto di ciò, è sufficiente evidenziare che l'articolo 19, primo comma, lett. a) della legge n. 42 del 2009 indica, tra gli altri, quale principio e criterio direttivo per l'esercizio della delega l'attribuzione dei beni commisurata «alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali»;
l'incertezza sulle competenze regionali determina, pertanto, l'impossibilità di attribuire alle regioni beni commisurati alle funzioni effettivamente disimpegnate;
ad analoghe conclusioni si perviene con riguardo alla mancata approvazione del nuovo codice delle autonomie locali;
lo schema di decreto prevede un'attribuzione di beni statali che non tiene conto della necessaria e preliminare riscrittura delle competenze e delle funzioni di comuni, province e città metropolitane;
il nuovo codice delle autonomie locali è, infatti, ancora in discussione alla Camera dei Deputati senza che si possano fare previsioni certe sulla sua definitiva e rapida approvazione;
cosa ancor più grave, lo schema di decreto utilizza il trasferimento dei beni

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statali come strumento principale (se non esclusivo) per ripianare il debito pubblico locale e non per consentire al sistema delle autonomie di rendere più efficiente l'esercizio delle funzioni;
tale modo di procedere produce, quindi, un doppio e contemporaneo danno: l'indiscriminata sottrazione dei beni alla garanzia del debito pubblico statale e l'impossibilità di rendere efficiente il «federalismo istituzionale»;
inoltre, i beni del demanio e del patrimonio dello Stato servono a garantire il debito pubblico e la loro alienazione dovrebbe servire ad abbattere gli oneri derivanti dal pagamento degli interessi;
la legge delega non dice chi e come debba farsi carico degli oneri derivanti dal debito pubblico;
tale grave omissione produce effetti negativi anche sulla concreta attuazione del federalismo fiscale;
è, infatti, evidente che lo Stato deve sempre garantire il debito e pagarne gli interessi;
lo schema di decreto sottrae alla garanzia patrimoniale beni senza che sia predeterminata l'entità economica di una siffatta sottrazione e, quindi, la sua incidenza attuale e concreta sui conti pubblici;
ciò che emerge con chiarezza è che il passaggio di beni statali alle regioni e agli enti locali determina, comunque, un depauperamento del patrimonio nazionale e, quindi, un indebolimento della garanzia del debito;
la destinazione diretta del patrimonio trasferito alla dismissione, da parte dei destinatari della assegnazione, determina poi certamente l'abbattimento di una parte dei debiti contratti dagli enti locali, ma anche l'impossibilità per lo Stato di realizzare risorse sufficienti ad ammortizzare con efficacia il pagamento degli interessi sul debito;
si tratta, pertanto, di un provvedimento che opera uno squilibrio sul sistema dei conti pubblici rendendo in via permanente lo Stato più debole nell'adempimento degli obblighi di finanza pubblica derivanti da trattati e accordi internazionali e comunitari;
rilevato, in particolare, che:
il fine della valorizzazione del patrimonio immobiliare è definito «funzionale» nello schema di decreto, cioè diretto a favorire la massima valorizzazione dei beni anche con riferimento all'attribuzione diretta dei beni immobili dello Stato a fondi comuni di investimento immobiliare;
tuttavia non appare coerente con tale finalità la previsione di attribuire un medesimo bene per quote indivise agli enti che ne facciano richiesta;
basti pensare, infatti, alla difficoltà di raggiungere le necessarie intese sui piani di valorizzazione di beni che riguardano diversi livelli di governo;
il tema della valorizzazione del patrimonio è strettamente connesso, poi, con la facoltà riconosciuta agli enti di prevedere piani di dismissione del patrimonio immobiliare;
i piani di dismissione devono, comunque, tenere conto dei vincoli giuridici e della finalità di valorizzazione del patrimonio immobiliare;
di tutto ciò non vi è alcuna traccia nello schema di decreto;
al di là della confusione concettuale operata dallo schema di decreto in ordine alla distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali, sembra pacifico che i beni attribuiti entrano a far parte del patrimonio disponibile (per la vendita) degli enti fatta eccezione per quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, nei cui confronti rimangono in vigore i vincoli giuridici derivanti dalla disciplina prevista dal codice civile;
si tratta di una previsione generale così ampia e fuori controllo da mettere a rischio l'esistenza fisica del patrimonio nazionale;

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infatti, lo schema di decreto comporta la sdemanializzazione ope legis e il passaggio diretto al patrimonio disponibile di regioni ed enti locali di un numero non meglio definito di beni demaniali e patrimoniali indisponibili;
un tale sistema, se applicato massicciamente, compromette il bilancio dello Stato, la tenuta dei conti pubblici e la credibilità internazionale degli stessi;
il previsto trasferimento di beni al patrimonio disponibile degli enti (a parte le eccezioni relative al demanio) comporta la violazione della legge delega che impone la valorizzazione del patrimonio e la funzionalizzazione del patrimonio medesimo, di modo che il regime applicabile, in via generale ai beni trasferiti, è esclusivamente quello del patrimonio indisponibile, salvo una successiva, eventuale e motivata sclassificazione da parte dell'ente destinatario, con conseguente possibilità di cessione del bene sclassificato previo accertamento della non utilità del bene medesimo per lo svolgimento delle funzioni dell'ente e specificazione della destinazione a fini pubblici individuati, dei proventi di dismissione;
lo schema di decreto si rivela assolutamente carente sotto il profilo della correlazione tra assegnazione del bene e capacità finanziaria dell'ente destinatario dello stesso;
è, infatti, indispensabile evitare che gli enti assegnatari non abbiano risorse sufficienti per garantire una corretta gestione e tutela dei beni trasferiti;
è, altresì, necessario evitare che l'utilizzo dei proventi derivanti dai processi di dismissione serva a coprire disavanzi finanziari prima ancora di assicurare la valorizzazione del patrimonio assegnato;
lo schema di decreto non offre alcuna garanzia al riguardo perché mancano criteri puntuali e parametri predefiniti per valutare l'idoneità dell'ente destinatario di poter gestire, tutelare e valorizzare i beni assegnati;
manca nello schema di decreto qualsiasi indicazione sui criteri e le competenze per dirimere i contenziosi tra enti interessati ai trasferimenti, specialmente se questi ultimi appartengono agli stessi livelli di governo;
l'articolo 19, primo comma, lett. c) prevede il «ricorso alla concertazione in sede di Conferenza Unificata, ai fini della attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni,»;
lo schema di decreto, in violazione dei suddetti principi e criteri direttivi, sottrae allo Stato il potere esclusivo d'individuazione dei beni da trasferire;
lo schema di decreto prevede, infatti, che l'individuazione dei beni avvenga d'intesa con la Conferenza Unificata mentre la legge delega limita alla solo fase della assegnazione il confronto con la Conferenza Unificata;
confronto, peraltro, che non deve avere i requisiti di sostanza e di forma della «intesa» ma solo della «concertazione»;
si tratta, pertanto, di una grave violazione della delega in quanto la fase della individuazione è posta esclusivamente in capo allo Stato proprio perché quest'ultimo deve valutare «da solo» quali beni restano funzionali al perseguimento dei suoi fini istituzionali e quali, viceversa, possono essere destinati a migliorare il funzionamento di regioni ed enti locali;
attribuire alla Conferenza Unificata il compito di decidere con la Stato quali beni di proprietà di quest'ultimo dismettere introduce ulteriori elementi di disgregazione della unità giuridica ed economica della Repubblica;
lo schema di decreto è in contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 340 del 2009 nella parte in cui ritiene che la destinazione urbanistica sia determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme vigenti;

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l'articolo 6 dello schema di decreto è palesemente in contrasto con l'articolo 19 della legge n. 42/2009 perché il legislatore non ha autorizzato l'esecutivo a riformare la disciplina dei fondi immobiliari pubblici;
peraltro, una siffatta e illegittima riforma avverrebbe con una modifica di una disciplina di rango primario ad opera di una fonte di rango secondario e per lo più attuando una forma di delegificazione sulla base di una norma delegata;
l'articolo 6 prevede, inoltre, il conferimento a fondi immobiliari in proporzione al valore dei beni fissato al momento del loro trasferimento con superamento dei valori storici, senza che tuttavia sia prevista una procedura per l'aggiornamento dei valori di mercato;
tale carenza può comportare rischi distorsivi nella gestione dei fondi immobiliari connessi alla possibile sottovalutazione del valore reale dei beni trasferiti;
manca nello schema di decreto una ricostruzione complessiva del rilievo finanziario dei trasferimenti: siffatta ricostruzione è oggettivamente necessaria ai fini della omogenea distribuzione dei trasferimenti sul territorio nazionale;
una siffatta analisi è, infatti, preliminare a un processo equo ed efficace di «federalismo demaniale»;
manca una valutazione dei beni da trasferire appartenenti al demanio;
è noto, infatti, che non sono stati inseriti nel patrimonio con una propria valorizzazione i beni del demanio suscettibili di utilizzazione economica;
ne deriva che il mantenimento degli stessi nel regime giuridico dettato per i beni demaniali dal codice civile e da quello della navigazione per i beni trasferibili appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale riduce di molto il rilievo del loro valore;
molto limitato è l'apporto dei possibili trasferimenti dalla Difesa tenuto conto che la legge finanziaria per il 2010 esclude dal trasferimento i beni destinati alla Difesa s.p.a. (destinati ad una valorizzazione «separata»);
lo schema di decreto non tiene conto del fatto che, secondo i dati forniti dall'Agenzia del demanio e dal rendiconto generale dello Stato, è molto basso il rendimento dei fabbricati, con un livello inferiore al valore limite previsto per la manutenzione ordinaria (3 per cento);
l'incremento della redditività è, pertanto, connesso al contemporaneo incremento delle spese di manutenzione per garantirne l'utilizzabilità;
i proventi derivanti dalla gestione del demanio marittimo sono differenti nel territorio nazionale in considerazione della differente capacità dimostrata dalle amministrazioni locali di gestione del demanio stesso, della diversa attenzione nel dare attuazione alle vigenti normative in tema di adeguamento dei canoni nei confronti dei concessionari e dei numerosi contenziosi ancora oggi esistenti;
al riguardo, lo schema di decreto non offre sufficienti garanzie in ordine alla chiara definizione delle responsabilità gestionali e dei riferimenti programmatici;
ne deriva l'incertezza sull'effettivo miglioramento nell'utilizzo del patrimonio pubblico a seguito del «federalismo demaniale»;
lo schema di decreto prevede l'assoluta discrezionalità del Presidente del Consiglio nella individuazione e nella assegnazione dei beni;
tale meccanismo, unitamente alla assegnazione a domanda dei beni dello Stato, ne comporta una disomogenea e frazionata distribuzione sul territorio poco produttiva, non strettamente connessa alle strumentali funzioni trasferite, con il conseguente appesantimento dei costi sostenuti dalle amministrazioni destinatarie.

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considerato, inoltre, che:
le suesposte osservazioni critiche sono solo in parte recepite nella proposta di parere del relatore di maggioranza;
infatti, pur condividendo le osservazioni ivi contenute, la proposta del relatore non supera le questioni principali che rendono inidoneo lo schema di decreto alla efficace ed equa attuazione del «federalismo demaniale»;
né supera le questioni specifiche relative alla attribuzione di quote indivise dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni e alla loro valorizzazione funzionale; alla mancanza dei criteri per la valutazione dei beni (visto che la procedura di attivazione della conferenza di servizi per «la massima valorizzazione dei beni trasferiti» è esclusivamente indirizzata ad acquisire autorizzazioni, assensi e approvazioni necessarie per la variazione di destinazione urbanistica); alla questione dei vincoli giuridici esistenti; alla previsione dei fondi comuni di investimento e, in special modo, ai criteri ai quali riferire il conferimento ai fondi immobiliari in relazione al valore dei beni conferiti; alla mancanza di una ricostruzione complessiva del rilievo finanziario dei trasferimenti (necessaria per una omogenea distribuzione dei beni sul territorio nazionale che dovrebbe sovrintendere il processo di «federalismo demaniale»); alla possibile ridotta valenza finanziaria dei beni trasferiti; al mantenimento dei meccanismi discrezionali (del Presidente del Consiglio) che comportano una disomogenea e frazionata distribuzione nel territorio poco produttiva, non strettamente connessa alle strumentali funzioni trasferite, oltre all'inevitabile appesantimento dei costi sostenuti dalle amministrazione destinatarie; ad una più equa ripartizione delle risorse ottenute dagli enti locali in seguito alla dismissione degli immobili, che nella quota da destinare al fondo ammortamento dei titoli di stato è insufficiente (solo il 15 per cento);
osservato, inoltre, che:
il testo appare eccessivamente ricco di aspetti procedurali e assolutamente povero di regole e di principi efficaci alla corretta attuazione del «federalismo demaniale»;
il mancato trasferimento agli enti locali del demanio stradale e delle reti potrà creare parecchi problemi in ordine alla gestione economica di tali beni (si pensi ad esempio agli oneri concessori che andranno frazionati tra Stato ed enti locali in funzione dei territori attraversati);
lo schema di decreto non prevede alcuna disciplina per la futura gestione dei demani idrico e marittimo che, per loro natura, hanno valenza sovra regionale;
tale omissione rischia di compromettere la libertà di concorrenza (costituzionalmente protetta con una competenza esclusiva in capo allo Stato) con particolare riferimento agli usi pubblici e privati connessi alle captazioni e immissioni di acque;
lo schema di decreto legislativo manca d'indicazioni sul trasferimento delle competenze statali sugli usi e la gestione, oltre che sulla riscossione dei canoni dei demani trasferiti;
lo schema di decreto non offre alcuna indicazione sui criteri economici di valutazione del demanio idrico e marittimo e delle miniere (si pensi al fatto che il più delle volte il reddito prodotto è frutto degli investimenti statali);
il patrimonio disponibile trasferito, così come i demani, è localizzato in un numero limitato di Comuni e in proporzioni molto diverse sia in termini di valore che di potenzialità di valorizzazione senza che sia previsto alcun meccanismo risarcitorio o compensativo per gli enti locali cui non sarà trasferito alcun bene statale;
non è dato comprendere se il mancato introito dell'I.C.I. da parte dei comuni sul patrimonio disponibile dello Stato sarà considerato nella valutazione dei minori trasferimenti, calcolati in base al reddito prodotto;
non è dato comprendere se i costi di valorizzazione funzionale sono tutti a carico

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degli enti locali anche quando sono superiori al valore del bene immobile attribuito;
non viene fornito alcun chiarimento sulla esclusione dai vincoli del Patto di Stabilità Interno dei costi di gestione del patrimonio immobiliare da parte degli enti locali, per un importo pari a quello già sostenuto dall'amministrazione statale e su come ciò impatti sulle entrate fiscali, locali e statali;
non sono fissate regole chiare per la trasformazione di porzioni di demanio in patrimonio indisponibile;
non sono attribuite ai comuni quelle porzioni di demanio idrico e marittimo che sono all'interno del perimetro dei centri abitati così come definiti dal p.r.g.;
una siffatta ingiustificata sottrazione pregiudica senza motivo lo sviluppo ambientale ed economico locale;
appare ingiustificato il diverso regime giuridico riservato al patrimonio militare rispetto a quello previsto per il demanio e il patrimonio civile;
lo schema di decreto non prevede un termine per il perfezionamento degli accordi e delle intese per i quali si prevede la esclusione dal trasferimento gratuito obbligando in molti casi gli enti locali a pagare il bene dello Stato che, in caso di inerzia, gli sarebbe pervenuto gratuitamente;
non è previsto alcun sistema di raffreddamento o di risoluzione delle controversie tra enti e tra Stato ed enti relative ai trasferimenti dei beni;
esprime

PARERE CONTRARIO».