CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 10 marzo 2010
295.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (II e X)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Atto n. 171).

PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI

Le Commissioni riunite II Giustizia e X Attività produttive, commercio e turismo,
esaminato lo schema di decreto legislativo concernente attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (atto n. 171);
rilevato che non sembrano avere riscontro nello schema di decreto alcuni principi e criteri direttivi previsti dall'articolo 41, comma 1, della legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) e, in particolare, la promozione dell'elaborazione dei codici di condotta e disciplinari, finalizzati a promuovere la qualità dei servizi, di cui alla lettera b) del citato articolo 41, comma 1; il criterio di cui alla lettera e) che prevede un elenco allegato al decreto legislativo di eventuali regimi autorizzatori richiesti per l'accesso alle attività di servizi; il criterio di cui alla lettera s) che, nel garantire l'applicazione della normativa del luogo in cui viene effettuata la prestazione dei servizi, faceva salvi i trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi;
rilevato che, ai fini della determinazione della nozione di «professione regolamentata», l'articolo 8, comma 1, lett. m), rinvia alla definizione contenuta nell'articolo 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, attuativo della direttiva 2005/36/CE (cosiddetta «direttiva qualifiche»), definizione che non appare pienamente coerente con quella contenuta nell'articolo 3, paragrafo 1, lett. a) della medesima «direttiva qualifiche»;
evidenziata l'esigenza di un testuale recepimento della nozione comunitaria di «professione regolamentata» anche nell'ambito del decreto legislativo n. 206 del 2007;
considerato che già in questa sede occorre intervenire sulla nozione di «professione regolamentata», chiarendo all'articolo 8 che ad essa sono riconducibili tutte le prestazioni che la legge attribuisce ad una determinata categoria professionale, a prescindere dalla circostanza che esse configurino o meno una riserva;
richiamato l'ordine del giorno 9/03210/011 accolto dal Governo nella seduta del 24 febbraio 2010, che impegnava il Governo a tenere conto della unicità e singolarità del settore del turismo ricreativo balneare nazionale già nel decreto di recepimento della direttiva 123/2006/CE, valutando la possibilità dell'esclusione del settore dall'applicazione della medesima o di diverso trattamento rispetto al più generale campo dei «servizi»;
segnalata l'esigenza, emersa nel corso delle audizioni svolte, di evitare interpretazioni estensive della nozione di «risorse naturali» contenuta nell'articolo 16 dello schema di decreto legislativo, sia per ragioni di coerenza con la normativa comunitaria (articolo 12 e considerando n. 62 della direttiva) sia per non penalizzare - in particolare attraverso l'equiparazione,

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operata da alcune regioni, dei posteggi in aree di mercato alle risorse naturali - il settore del commercio ambulante e su aree pubbliche, caratterizzato dalla presenza di oltre 160.000 microimprese, quasi tutte a conduzione familiare;
evidenziata l'opportunità di apportare correzioni alla formulazione del testo e di inserire anche la categoria dei geometri tra le previsioni di modifica degli ordinamenti professionali;
rilevato che l'articolo 71, trasformando in dichiarazione di inizio attività l'autorizzazione attualmente prevista per l'apertura di un punto esclusivo e non esclusivo di vendita di quotidiani e periodici, potrebbe pregiudicare la possibilità di un effettivo accesso all'informazione da parte dei cittadini, anche in contrasto con principi riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
segnalata la necessità di mantenere il ruolo degli agenti di affari in mediazione, alla luce delle esigenze di tutela dei consumatori e di sicurezza della circolazione dei beni immobili, esigenze peraltro evidenti al legislatore comunitario allorché richiede l'inserimento nei codici di condotta elaborati a livello comunitario le condizioni cui sono soggette le attività degli agenti immobiliari (considerando n. 114 della direttiva);
rilevato che l'articolo 26 della direttiva prevede l'adozione da parte degli Stati membri di misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori a garantire, su base volontaria, la qualità dei servizi, in particolare facendo certificare o valutare le loro attività da organismi indipendenti o accreditati;
sottolineato che, in una prospettiva di miglioramento della qualità dei servizi e di tutela dei consumatori, occorre dare attuazione al sopra richiamato articolo 26, affidando - escludendo espressamente le professioni regolamentate - ad appositi organismi indipendenti compiti di valutazione e certificazione delle attività dei prestatori di servizi, nonché della loro idoneità allo svolgimento dell'attività sulla base dei requisiti previsti dalla normativa nazionale e comunitaria,
esprimono

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) all'articolo 8, concernente le definizioni, al comma 1, lettera m), dopo le parole: «attività professionali» siano aggiunte le seguenti: «, riservate e non riservate»;
b) nell'esercizio del potere regolamentare previsto dall'articolo 48, si provveda prioritariamente all'adeguamento dell'ordinamento professionale degli assistenti sociali, dei chimici, degli ingegneri e architetti, ai principi contenuti nel decreto legislativo, con disposizioni analoghe a quelle previste direttamente dallo schema di decreto legislativo per altre professioni regolamentate;
c) all'articolo 73, sia mantenuto il ruolo degli agenti di affari in mediazione, come disciplinato dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39;
e con le seguenti osservazioni:
a) all'articolo 48, che demanda a specifici regolamenti l'adeguamento della normativa secondaria vigente in materia di professioni regolamentate, sia precisato il rinvio all'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988;
b) dopo l'articolo 60, sia aggiunto il seguente: «60-bis. (Modifiche alla legge 7 marzo 1985, n. 75, recante modifiche all'ordinamento professionale dei geometri). 1. All'articolo 2 della legge 7 marzo 1985, n. 75, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, punto 1), le parole: «delle Comunità europee» sono sostituite dalle seguenti: «dell'Unione europea»; b) al comma 1, punto 3), dopo la parola: «anagrafica» sono inserite le seguenti: «o il domicilio professionale»; c) dopo il comma 2 è inserito il seguente «2-bis. Il decreto di riconoscimento della qualifica

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professionale ai sensi del titolo III, del decreto-legislativo 9 novembre 2007, n. 206, costituisce titolo per l'iscrizione nell'albo»; dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. Al procedimento per l'iscrizione nell'albo si applica l'articolo 45 del presente decreto legislativo;
c) agli articoli 63, 64, 65, 66, 67, 68 e 84 sia sostituito l'erroneo riferimento all'articolo 19, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990, con il riferimento al terzo periodo dello stesso comma;
d) all'articolo 63, comma 8, appare erroneo il riferimento all'articolo 6, commi 1 e 2, che tratta di altra materia (servizi di trasporto);
e) si valuti l'opportunità di sopprimere l'articolo 71 o, in subordine, di mantenere in capo ai comuni la facoltà di definire dei piani di localizzazione dei punti vendita esclusivi e non esclusivi di quotidiani e periodici;
f) all'articolo 84, comma 4, recante l'abrogazione di tutte le leggi e di regolamenti statali incompatibili con il contenuto della nuova disciplina attuativa della direttiva servizi, la formula abrogativa esplicita innominata appare una superflua e, al limite, equivoca ripetizione di quanto stabilito dall'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale.
g) sia data compiuta attuazione all'articolo 26 della direttiva, prevedendo idonee misure atte ad incoraggiare - escludendo espressamente le professioni regolamentate - i prestatori a garantire, su base volontaria, la qualità dei servizi facendo certificare o valutare la loro attività da organismi indipendenti o accreditati e promuovendo la elaborazione di carte di qualità, anche a livello comunitario.

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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Atto n. 171).

PROPOSTA DI PARERE DEL GRUPPO DEL PD

Le Commissioni riunite X (Attività produttive) e II (Giustizia);
esaminato, ai sensi dell'articolo 143, comma 4 del regolamento della Camera, lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, autorizzato ai sensi dell'articolo 41 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008);

La Commissione II (Giustizia);
in relazione all'articolo 4 del decreto legislativo 206/2007, che non sarebbe pienamente coerente con l'articolo 3 della direttiva qualifiche 2005/36/CE, osserva che ciò che rileva ai fini della clausola di specialità prevista nel citato articolo 3 della direttiva servizi è la prevalenza di altri atti comunitari che disciplinino professioni specifiche e non già i decreti legislativi di recepimento di detti atti comunitari.
In conseguenza, non appare opportuna alcuna modifica del decreto legislativo in parte de qua, essendo peraltro la materia delle professioni regolamentate oggetto di discussione nelle Commissioni II e X, anche al fine della emanazione di una legge quadro che disciplini tutte le professioni, ordinistiche e non.
A) considerati i principi ed i criteri direttivi specificati nella delega di cui all'articolo 41, comma 1 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) con cui è stato disposto che il Governo nella redazione dei decreti legislativi per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE sia tenuto a seguire, tra gli altri, i seguenti principi e criteri direttivi:
1. promuovere l'elaborazione di codici di condotta e disciplinari, finalizzati, in particolare, a promuovere la qualità dei servizi, tenendo conto delle loro caratteristiche specifiche (articolo 41, comma 1, lett. b);
2. definire puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione (articolo 41, comma 1, lett. d);
3. prevedere un allegato al decreto di recepimento che elenchi i regimi autorizzatori che si intende mantenere perché ricorrono specifici presupposti di necessità (articolo 41, comma 1, lett. e);
4. individuare espressamente, per tutti i servizi rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili con la direttiva medesima e necessari per l'accesso alla relativa attività e per il suo esercizio (articolo 41, comma 1, lett. i);
5. garantire l'applicazione della normativa legislativa e contrattuale del lavoro del luogo in cui viene effettuata la prestazione di servizi, fatti salvi trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi, evitando effetti discriminatori nonché eventuali danni ai consumatori in termini di sicurezza ed eventuali danni all'ambiente (articolo 41, comma 1, lett. s);

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B) considerati i principi ed i criteri direttivi della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno ed in particolare:
1. il considerando 7 della direttiva 2006/123/CE in cui si afferma che la direttiva «istituisce un quadro giuridico generale» (...) che «si basa su un approccio dinamico e selettivo che consiste nell'eliminare in via prioritaria gli ostacoli che possono essere rimossi rapidamente e nell'avviare un processo di valutazione, consultazione e armonizzazione (..) grazie al quale sarà possibile modernizzare progressivamente ed in maniera coordinata i sistemi nazionali che disciplinano le attività di servizi.»;
2. l'articolo 39 della direttiva 2006/123/CE che introduce un meccanismo di valutazione reciproca tra gli stati membri e la Commissione europea in cui risulta basilare il monitoraggio e l'elencazione dei regimi di autorizzazione esistenti nei vari stati membri al fine di valutarne i requisiti oggettivi e soggettivi per realizzare una normativa coordinata a livello nazionale indispensabile per realizzare un vero mercato interno dei servizi;
3. il considerando 17 in cui sia afferma che la «presente direttiva si applica soltanto ai servizi che sono prestati dietro corrispettivo economico» e che «i servizi di interesse generale (SIG) non rientrano nella definizione di cui all'articolo 50 del trattato e sono pertanto esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva.» Pertanto è fondamentale che gli Stati membri nella titolarità della propria legislazione definiscano precisamente i Servizi di interesse generale al fine di tutelare aspetti fondamentali del nostro modello sociale;
4. nel medesimo considerando 17 si afferma che al contrario dei Servizi di interesse generale, i Servizi di interesse economico generale (SIEG) sono servizi che essendo prestati dietro corrispettivo economico, rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. Tuttavia per alcuni di essi la direttiva prevede la non applicazione (trasporti) mentre per altri prevede delle deroghe specifiche solo in relazione alla libera prestazione dei servizi. Anche in questo caso la definizione dei SIEG appare fondamentale. Infatti il considerando 70 afferma che «possono essere considerati SIEG solo i servizi la cui fornitura costituisca adempimento di una specifica missione d'interesse pubblico affidata al prestatore dallo Stato mediante atti la cui forma è stabilita da ciascuno Stato membro, e precisare la natura di tale specifica missione.», mentre il considerando 72 afferma che sono correlati «ai compiti importanti relativi alla coesione sociale e territoriale.»;
5. l'articolo 10 in cui viene sancito il principio della libertà di accesso ed esercizio delle attività di servizi prefigurando il superamento della pianificazione regionale;
6. il considerando 40 della direttiva in cui viene esplicitata la nozione di «motivi imperativi di interesse generale» elaborata dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli 43 e 49 del trattato elencando quei motivi che rivestono un interesse generale e tra i quali sono ricompresi «la tutela dei lavoratori, compresa la protezione sociale dei lavoratori»;
7. l'articolo 6 in cui si afferma che «La presente direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro»;
8. l'articolo 3 «Relazione con le altre disposizioni del diritto comunitario» in cui si afferma che in caso di conflitto tra le disposizioni della direttiva e determinati altri atti comunitari questi ultimi prevalgono. Tra di essi vi è la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 72 che prevede che i prestatori debbano conformarsi alle condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello stato membro in cui viene prestato il servizio.

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9. l'articolo 26 della direttiva recante «Politica in materia di qualità dei servizi» in cui si prevede che gli stati membri adottino misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori di servizi a garantire volontariamente la qualità del servizio reso mediante certificazione da parte di un organismo indipendente o accreditato o con ricorso a carte di qualità o marchi predisposti da ordini professionali a livello comunitario;
10. l'articolo 25 recante la disciplina sullo Sportello Unico quale interlocutore unico per espletare le procedure e le formalità necessarie allo svolgimento delle attività di servizi;

C) rilevato che lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, autorizzato ai sensi dell'articolo 41 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) presenta dei profili problematici in relazione alle tematiche illustrate nei precedenti punti A) e B) ed in particolare:
1. con riferimento all'elaborazione volontaria di codici di condotta e disciplinari e all'adozione di misure di accompagnamento per la qualità dei servizi, prevista sia tra i criteri della legge delega (articolo 41 legge 88/09) sia all'articolo 26 della direttiva 2006/123/CE, lo schema di decreto legislativo non appare conforme in quanto non reca alcuna disposizione in materia;
2. con riferimento al processo di valutazione, consultazione ed armonizzazione della normativa nazionale e comunitaria e al meccanismo di valutazione reciproca di cui al considerando 7 ed all'articolo 39 della direttiva 2006/123/CE, il monitoraggio delle procedure autorizzatorie per il commercio a livello regionale risulta iniziato ma non concluso e questo implica una grande incertezza sulla modalità di applicazione regionale e locale delle previsioni della direttiva con probabili sfasature nel recepimento della direttiva. Infatti, anche alla luce di tali difficoltà la delega legislativa di cui all'articolo 41 della legge 88/09 ha indicato quale ulteriore criterio direttivo per il recepimento della delega quello di «definire puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione» della direttiva servizi. Lo schema di decreto non risulta conforme a tale criterio in quanto individua solo i settori esclusi e demanda ad un Decreto interministeriale l'individuazione di ulteriori settori che, a seguito di approfondimenti, saranno ulteriormente esclusi;
3. tale lacuna determina una grave opacità sulle concrete modalità applicative della direttiva servizi che, configurandosi come quadro giuridico generale, ha solo il compito di definire la struttura e le regole dell'istituendo sistema dei servizi del mercato interno europeo. Allo stato membro compete invece definire nel dettaglio per ciascun settore che rientra nell'ambito di applicazione della direttiva quali siano i servizi che ritiene di dover continuare a sottoporre a regime autorizzatorio e quali possono essere semplificati. In considerazione del mancato recepimento del criterio direttivo della delega e della mancata conclusione del monitoraggio delle procedure autorizzatorie per il commercio a livello regionale, sarebbe auspicabile che il Governo predisponesse un testo legislativo a parte, distinto dal recepimento del quadro giuridico generale della direttiva servizi, suddiviso per settori, in cui risulti in maniera univoca, per ciascun settore, quali procedure si semplificano e quali regimi autorizzatori si intendono mantenere;
4. inoltre, lo schema di decreto legislativo non recepisce nemmeno un altro criterio direttivo della legge delega, strettamente connesso al precedente, laddove si prevedeva «l'individuazione, in allegato al decreto di recepimento, di tutti i regimi autorizzatori che si intende mantenere». A riguardo si ribadisce quanto affermato al punto 3, ossia che lo schema di decreto recependo una direttiva «quadro» reca solo i principi generali attraverso cui effettuare, appunto in via di principio, una

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distinzione tra le attività che necessitano di autorizzazione e quelle per le quali è sufficiente la dichiarazione di inizio attività ad efficacia immediata che non costituisce regime autorizzatorio, senza fornire alcun elenco di quelle discipline o di quei settori in cui si intende mantenere un regime autorizzatorio;
5. lo schema di decreto legislativo non reca nessuna definizione dei Servizi di interesse generale laddove è fondamentale che vengano definiti con precisione nell'ambito del margine di manovra consentito dalla direttiva alla luce del valore sociale di tali servizi;
6. allo stesso modo manca una precisa definizione di Servizi di interesse economico generale ed anche in questo caso sarebbe opportuno precisare in maniera più dettagliata possibile il perimetro di tali servizi compresi nell'ambito di applicazione della direttiva ma sottoposti a regimi derogatori;
7. in relazione all'articolo 10 nonostante si possa concordare in senso generale con il principio ivi recato per cui l'accesso alle attività di servizio e il loro esercizio non è soggetto ad autorizzazione salvo che in alcuni casi (la salvaguardia di alcune disposizioni come quelle in materia fiscale, sanitaria, ambientale i motivi imperativi di interesse generale e le deroghe specifiche in attuazione di norme comunitarie) è necessario considerare attentamente quale sarà l'impatto sulla normativa nazionale e soprattutto regionale in materia di pianificazione commerciale, in particolare per quanto riguarda le strutture di distribuzione medio-grandi;
8. lo schema di decreto legislativo non recepisce tra i motivi imperativi di interesse generale «la protezione sociale dei lavoratori» prevista nella direttiva;
9. sul tema del regime giuslavoristico applicabile ai dipendenti del prestatore di servizi comunitario che agisce in regime di libera prestazione di servizi lo schema di decreto fa salve le regole definite dalla direttiva del 1996 sul distacco dei lavoratori, prevedendo all'articolo 23 che a tali lavoratori si applichino, per il tempo della loro utilizzazione in Italia, le medesime condizioni contrattuali garantite al lavoratore italiano. Tuttavia l'articolo 20 introduce un'altra fattispecie di prestazione definita «temporanea», i cui prestatori sembrerebbero assoggettabili ai «requisiti applicabili ai prestatori di servizi stabiliti in Italia (..) in caso di prestazione temporanea e occasionale solo se sussistono ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell'ambiente». A riguardo bisognerebbe approfondire vari aspetti. Innanzitutto è necessario chiarire se la norma comporti anche la non applicazione del diritto giuslavoristico italiano in caso di prestatore temporaneo o occasionale; in ogni caso è opportuno un approfondimento ulteriore dell'articolo 20 comma 2 che prefigura una «zona franca» per i prestatori occasionali e temporanei rispetto al sistema di regole e controlli delineato dalla direttiva e dal decreto di recepimento. Per tali ragioni risulta fondamentale definire la nozione di «temporaneo», in particolare qualora venisse confermata l'interpretazione che esclude tali soggetti dall'applicazione del diritto del lavoro italiano se non in casi specifici. È evidente altrimenti che a un prestatore di servizio che vincesse un appalto in Italia potrebbe convenire portare con sé «temporaneamente» (per quanto tempo?) e non distaccare i propri lavoratori. Sarebbe altresì opportuno inserire al comma 2 dell'articolo 20 tra le ragioni che determinano l'applicazione di regole nazionali anche quelle connesse alla tutela del lavoratore e alla protezione sociale del lavoratore. A riguardo la legge delega è molto chiara nei criteri direttivi disponendo che il decreto di recepimento deve «garantire l'applicazione della normativa legislativa e contrattuale del lavoro del luogo in cui viene effettuata la prestazione di servizi, fatti salvi trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi, evitando effetti

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discriminatori nonché eventuali danni ai consumatori in termini di sicurezza ed eventuali danni all'ambiente.»;
10. per quel che concerne lo Sportello Unico si rileva che l'articolo 25 si limita a ribadire e confermare quanto stabilito dall'articolo 38 del decreto-legge 112/2008 estendendo la competenza dello Sportello unico alle prestazioni di servizi oltre che alla realizzazione e trasformazione di impianti produttivi. Si rileva a riguardo che il regolamento di riordino dello Sportello unico previsto nel suddetto articolo 38 non è stato ancora emanato e quindi l'applicazione della norma risulta condizionata dall'assenza della disciplina attuativa. Si evidenzia come in mancanza di tale disciplina l'articolo 25 del decreto legislativo introduce un'innovazione, prevedendo che laddove i comuni non istituiscano tale Sportello le relative funzioni siano surrogate dalle sole Camere di commercio in maniera automatica. Tale previsione risulta in contrasto con quanto stabilito alla lettera c), comma 3 dell'articolo 38 del decreto-legge 112/08 in cui è previsto anche l'utilizzo delle agenzie per le imprese quali soggetti privati accreditati per l'attestazione della sussistenza di requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio di attività di impresa. Inoltre mentre la normativa del decreto-legge 112/08 prevede che per il passaggio delle funzioni dello sportello unico dai comuni alle camere di commercio sia necessaria una delega espressa, lo schema di decreto lo rende automatico. A riguardo si segnala che nel decreto legislativo di riordino del funzionamento delle camere di commercio, di recente approvazione definitiva, non compare nessun riferimento specifico all'esercizio delle funzioni dello sportello unico.
11. sempre in relazione allo Sportello unico si rileva una lacuna nella documentazione che i prestatori di servizi devono fornire all'amministrazione nazionale relativa alle condizioni contrattuali dei lavoratori impiegati. Occorre che i prestatori di servizio comunitari comunichino alle autorità italiane, anche attraverso lo sportello unico, tra i documenti da presentare previsti all'articolo 25 e segg., il numero, le qualifiche, il tipo e le condizioni contrattuali dei lavoratori che svolgeranno in Italia la loro opera. Senza tale comunicazione si rivelerebbe difficoltoso verificare la corretta applicazione delle norme di diritto del lavoro ma soprattutto difendersi dal pericolo di ricorso al lavoro nero. Di fronte a ispezioni nei luoghi di lavoro di prestatori di servizi non italiani si dovrebbe fare affidamento solo sulla collaborazione amministrativa tra autorità nazionali competenti, attraverso il sistema telematico di reciproca assistenza IMI (internal market information) il cui funzionamento potrebbe richiedere non poco tempo. In ogni caso il novero di informazioni necessarie e l'asimmetria delle norme giuslavoristiche tra i diversi paesi potrebbe causare lacune che favorirebbero il ricorso al lavoro nero di cittadini comunitari presenti in Italia che magari figurerebbero assunti nei paesi di provenienza;

D) considerato che il recepimento della direttiva 2006/123/CE al momento risulta effettuato solo in Spagna con una diversa modalità. Infatti la Spagna ha recepito la «direttiva quadro» 2006/123/CE con una «legge quadro» (Ley 17/2009) ed ha poi approvato la Ley 25/2009 di applicazione della «legge quadro» che contiene la modifica di oltre 40 leggi in diverse materie, tra cui procedimento amministrativo, tutela dei consumatori e utenti dei servizi, servizi professionali;
esprimono:

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) il Governo recepisca la direttiva servizi solo come una norma «quadro» e predisponga, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, ulteriori testi normativi, suddivisi per settori, in cui risulti in maniera univoca, per ciascun settore, quali procedure si semplificano

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e quali regimi autorizzatori si intendono mantenere sulla base di un accordo con la Conferenza Stato-Regioni nelle materie di competenza legislativa esclusiva e concorrente delle medesime;
2) si dia attuazione a quanto disposto dall'articolo 41, comma 1, lettera d) e lettera e) della legge 88/09 al fine di definire puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione del decreto legislativo e al fine di predisporre un allegato in cui siano indicati con precisione i regimi autorizzatori che si intende mantenere perché ricorrono specifici presupposti di necessità;
3) il Governo dia completa attuazione all'articolo 26 della direttiva, prevedendone il recepimento nel decreto legislativo al fine di incoraggiare i prestatori a garantire volontariamente la qualità dei servizi facendo certificare o valutare la loro attività da organismi indipendenti o accreditati e promuovendo l'elaborazione di carte di qualità, anche a livello comunitario;
4) si inserisca nello schema di decreto legislativo una chiara definizione dei Servizi di interesse generale (SIG) e di Servizi di interesse economico generale (SIEG) al fine di precisare il più possibile i casi di esclusione dall'ambito di applicazione della direttiva o di deroga, utilizzando il margine di manovra consentito dalla direttiva alla luce del valore sociale ed economico di tali servizi;
5) all'articolo 3 dello schema di decreto si sostituiscano le parole «associazioni caritative riconosciute come tali» con le seguenti: «ONLUS» in ragione del fatto che nel quadro giuridico nazionale tali associazioni caritative sono denominate Organizzazioni non lucrative di utilità sociale e disciplinate dal decreto legislativo 460/97;
6) all'articolo 7, dopo la lettera f) si aggiunga la seguente: f-bis) ai servizi offerti dalle imprese turistico ricreative gestite sul demanio in regime di concessione individuate dal comma 1, dell'articolo 1, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494;
7) all'articolo 8 comma 1, lettera h) si inserisca tra i motivi imperativi di interesse generale «la normativa urbanistica ed edilizia»;
8) si inserisca all'articolo 8 comma 1, lettera h) tra i motivi imperativi di interesse generale «la protezione sociale dei lavoratori» e, allo stesso modo si inserisca tale principio anche all'articolo 20, comma 2 tra le ragioni che determinano l'applicazione dei requisiti nazionali ai prestatori temporanei;
9) in relazione all'articolo 20 si chiarisca l'ambito di applicazione della norma in particolare per stabilire quanto segue: a) se la norma comporti anche la non applicazione del diritto giuslavoristico nazionale al ricorrere delle fattispecie ivi previste; b) se la norma prefigura una «zona franca» per i prestatori occasionali e temporanei rispetto al sistema di regole, controlli e requisiti delineato dalla direttiva e dal decreto di recepimento. In generale si definisca la nozione di «lavoratore temporaneo» così come è definito a livello comunitario e nazionale la nozione di «lavoratore distaccato»;
10) si dia attuazione all'articolo 41, comma 1, lettera s) della legge 88/09 garantendo l'applicazione della normativa legislativa e contrattuale del lavoro del luogo in cui viene effettuata la prestazione di servizi, fatti salvi trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi, evitando effetti discriminatori nonché eventuali danni ai consumatori in termini di sicurezza ed eventuali danni all'ambiente;
11) all'articolo 25 del decreto legislativo si preveda il coordinamento con quanto disposto alla lettera c), comma 3 dell'articolo 38 del decreto-legge 112/08 in cui è consentito anche l'utilizzo delle agenzie per le imprese quali soggetti privati

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accreditati per l'attestazione della sussistenza di requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio di attività di impresa;
12) con riferimento all'articolo 26 del decreto legislativo, siano inserite, tra le informazioni cui i prestatori ed i destinatari hanno accesso attraverso lo sportello unico, anche quelle relative alla normativa legislativa e contrattuale del lavoro;
13) si sopprima l'articolo 63 sulla somministrazione di alimenti e bevande alla luce degli indubbi motivi di tutela della salute che inducono ad una più attenta riflessione e necessitano di un più approfondito esame del settore ai fini del recepimento della normativa sui servizi del mercato interno;
14) si sopprima l'articolo 71 (Sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica);
15) all'articolo 69 sopprimere i commi 1 e 2 che prevedono l'estensione a società di capitali o cooperative dell'esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche al fine di evitare che gruppi economici con rilevanti disponibilità di capitali possano falsare totalmente l'essenza di tale esercizio connesso strutturalmente alle manifestazioni culturali sociali e storiche delle nostre città;
16) si subordini l'applicazione dell'articolo 16 dello schema di decreto legislativo ad una preventiva ricognizione dei settori interessati al fine di evitare pesanti ricadute economiche sugli stessi, accompagnando il passaggio dal sistema esistente a quello delineato nell'articolo 16 con norme transitorie di applicazione graduale con l'obiettivo di procedere ad una revisione normativa coordinata con le disposizioni legislative vigenti.
Lulli, Ferranti, Froner, Benamati, Colaninno, Fadda, Marchioni, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Testa, Vico, Zunino, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Farina, Melis, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi, Vaccaro.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Atto n. 171).

PROPOSTA DI PARERE DEL GRUPPO DELL'IDV

Le Commissioni riunite X (Attività Produttive) e II (Giustizia);
esaminato, ai sensi dell'articolo 143, comma 4 del Regolamento della Camera dei Deputati, lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, autorizzato ai sensi dell'articolo 41 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge Comunitaria 2008);
premesso che:
lo schema di decreto legislativo in esame reca attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato;
la direttiva 2006/123/CE si pone l'obiettivo di superare gli ostacoli di natura giuridica che si frappongono in concreto alla libertà di stabilimento dei prestatori ed alla libera circolazione dei servizi negli Stati membri;
il recepimento della direttiva 2006/123/CE viene previsto dall'articolo 41 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), che specifica anche i principi e i criteri direttivi della delega al Governo;
la direttiva 2006/123/CE si inserisce nel processo di riforme avviato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, che ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l'Unione europea consegua l'obiettivo di diventare «l'economia, basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo», in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Detta direttiva, infatti, fa parte della strategia adottata dalla Commissione Europea volta ad accelerare lo sviluppo del processo di integrazione europea da parte dei vari Stati Membri e ad assegnare ai settore dei servizi - che già producono nel complesso quasi il 70 per cento del prodotto nazionale lordo dell'Unione europea e dell'occupazione - un ruolo rilevante nell'economia europea, dato il notevole potenziale di crescita e di creazione di posti di lavoro nel settore;
rilevato che:
I) L'articolo 41 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge Comunitaria 2008) prevede espressamente che nella predisposizione dei decreti legislativi per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, il Governo è tenuto a seguire, tra gli altri, i seguenti principi e criteri direttivi:
a) garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato nonché assicurare agli utenti un livello essenziale ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma lettere e) ed m) della Costituzione;
b) promuovere l'elaborazione di codici di condotta disciplinari, finalizzati,

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in particolare, a promuovere la qualità dei servizi, tenendo conto delle loro caratteristiche specifiche;
c) definire puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione;
d) semplificare i procedimenti amministrativi per l'accesso alle attività di servizi, anche al fine di renderli uniformi sul piano nazionale, subordinando altresì la previsione di regimi autorizzatori al ricorrere dei presupposti dell'articolo 9 della direttiva e, prevedendo che, per tali regimi, da elencare in allegato al decreto legislativo, la dichiarazione di inizio attività rappresenti la regola generale salvo che motivate esigenze impongano il rilascio di un atto autorizzatorio esplicito;
e) individuare espressamente, per tutti i servizi rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, gli eventuali requisiti compatibili con la direttiva medesima e necessari per l'accesso alla relativa attività e per il suo esercizio;
f) prevedere che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanate in conformità ai principi e criteri di:
1) salvaguardia dell'unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa e chiara individuazione dei soggetti responsabili;
2) semplificazione, accorpamento, accelerazione, omogeneità, chiarezza e trasparenza delle procedure;
3) agevole accessibilità per prestatori e destinatari di servizi a tutte le informazioni afferenti alle attività di servizi, in attuazione degli articoli 7, 21 e 22 della direttiva;
4) adozione di adeguate forme di pubblicità, di informazione e di conoscibilità degli atti procedimentali anche mediante utilizzo di sistemi telematici;
5) garantire l'applicazione della normativa legislativa e contrattuale del lavoro del luogo in cui viene effettuata la prestazione di servizi, fatti salvi trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi, evitando effetti discriminatori nonché eventuali danno ai consumatori in termini di sicurezza ed eventuali danni all'ambiente;
II) La direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno:
1) all'articolo 39, recante la rubrica «Valutazione Reciproca», prevede che entro il 28 dicembre 2009, gli Stati membri presentino una relazione alla Commissione contenente le informazioni relative:
a) ai regimi di autorizzazione di cui all'articolo 9, paragrafo 2) della direttiva medesima in forza del quale, nella relazione di valutazione reciproca «Gli Stati membri indicano i propri regimi di autorizzazione e ne motivano la conformità alla condizione di non discriminazione nei confronti del prestatore di lavoro, alla necessità che il regime di autorizzazione sia giustificato da un motivo di interesse generale e infine alla condizione che l'obiettivo perseguito non possa essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia»;
b) ai requisiti da valutare di cui all'articolo 15, paragrafo 5) della direttiva medesima in forza del quale, nella relazione di valutazione reciproca. «Gli Stati membri precisano i requisiti che intendono mantenere e le ragioni per le quali ritengono che tali requisiti siano conformi alle condizioni di non discriminazione, necessità e proporzionalità»;
c) alle attività multidisciplinari di cui all'articolo 25, paragrafo 3) in forza del quale, nella relazione di valutazione reciproca «gli Stati membri precisano i prestatori soggetti ai requisiti che obblighino alcune categorie di prestatori di servizi ad

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esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l'esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse».
2) all'articolo 26, recante la rubrica «Politica in materia di qualità di servizi» prevede l'adozione di misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori di servizi a garantire la qualità del servizio reso, in particolare, mediante certificazione da parte di un organismo indipendente o accreditato o con ricorso a carte di qualità o marchi predisposti da ordini professionali a livello comunitario;
3) all'articolo 12, recante la rubrica «Selezione tra diversi candidati» prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. Alla stessa stregua il Considerando n. 62 della direttiva comunitaria prevede che la procedura di selezione «dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l'autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente....»;
4) all'articolo 13, recante la rubrica «Procedure di autorizzazione» prevede ai paragrafi 3 e 6 che «Le procedure e le formalità di autorizzazione sono tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sia trattata con la massima sollecitudine e, in ogni modo, entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente. Il termine decorre solo dal momento in cui viene presentata tutta la documentazione. Qualora giustificato dalla complessità della questione il termine può essere prorogato una volta dall'autorità competente per un periodo limitato. La proroga e la sua durata deve essere debitamente motivata e notificata al richiedente prima della scadenza del periodo iniziale». E ancora che «Qualora la domanda sia incompleta, i richiedenti sono informati quanto prima della necessità di presentare ulteriori documenti, nonché degli eventuali effetti sul termine di risposta di cui al paragrafo 3»;
5) al Considerando n. 17 prevede che la direttiva si applichi soltanto ai servizi che sono prestati dietro corrispettivo economico e che i servizi di interesse generale non rientrano nella definizione di cui all'articolo 50 del trattato e sono pertanto esclusi dall'ambito di applicazione della stessa direttiva. Inoltre il Considerando 17 prevede che i servizi di interesse economico generale sono servizi che, essendo prestati dietro corrispettivo economico, rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. Tuttavia, alcuni servizi di interesse economico generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore, si trasporti, sono esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva, mentre altri servizi di interesse economico generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore postale, sono oggetto di una deroga alla disposizione sulla libera prestazione di servizi stabiliti nelle direttiva;
6) al Considerando n. 40, recante la definizione di «motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea relativa agli articoli 43 e 49 del Trattato CE, annovera fra questi, anche «la tutela dei lavoratori» e «la protezione sociale dei lavoratori»;
7) l'articolo 1, al comma 6, prevede che la direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro, segnatamente le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto nazionale che rispetta il diritto comunitario. Parimenti la direttiva

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non incide sulla normativa degli Stati in materia di sicurezza sociale;
considerato che:
lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, presenta taluni aspetti problematici sia sotto il profilo della conformità dei contenuti ai principi ed i criteri direttivi sanciti dalla Legge Delega n. 88/09, sia sotto il profilo della conformità dei contenuti ai principi e le norme previste dalla medesima direttiva 2006/123/CE e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e sia, infine, sotto il profilo dei contenuti sostanziali con particolare riferimento alla materia di diritto al lavoro, della semplificazione delle procedure autorizzatorie e infine, dell'economia sociale;
I) sul piano dei principi generali e della conformità con la normativa nazionale e comunitaria vigente, si rileva:
a) la mancata conformità dello schema di decreto legislativo all'articolo 39 della Direttiva 2006/123/CE, con riferimento al processo di valutazione reciproca. Sotto tale profilo si evidenzia la grave assenza di un resoconto dettagliato da parte delle regioni e delle amministrazioni interessate delle procedure autorizzative attualmente in vigore che avrebbe consentito una verifica puntuale su quali tra queste rimuovere, semplificare o semplicemente modificare ai sensi dell'articolo 39 della direttiva. Tale mancanza va ad influire sulla valutazione della attuazione di altre parti importanti della direttiva, come tutta la parte concernente gli accessi alla prestazione di servizi, Titolo II e Titolo IV (Sportello Unico), e soprattutto produce un effetto negativo non assicurando la uniformità delle prestazioni a livello nazionale ed una condizione di reciprocità rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea. A tale assenza si deve aggiungere il mancato completamento del monitoraggio delle procedure per il commercio a livello regionale, avviato durante la scorsa legislatura dal Ministro per le Politiche Europee che non risulterebbe in alcun modo portato a termine;
b) la mancata conformità dello schema di decreto legislativo sia alla legge delega n. 88/09 (articolo 41, comma 1, lettera b) sia all'articolo 26 della direttiva 2006/123/CE in materia elaborazione di codici di condotta disciplinari, finalizzati a promuovere la qualità dei servizi e quindi l'adozione di misure di accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori di servizi a garantire la qualità del servizio reso. Nello schema di decreto legislativo, infatti, non risulta prevista l'adozione di tali misure.
c) la mancata conformità dello schema di decreto legislativo all'articolo 41, comma 1, lettera d) della legge delega 88/09 ove si prevede che il Governo nell'esercizio del potere legislativo delegato definisca puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione. Sotto tale profilo si evidenzia che il decreto legislativo reca una distinzione tra le attività che necessitano di autorizzazione e quelle per le quali è prevista la dichiarazione di inizio attività con efficacia immediata, ma di queste non viene riportato alcun elenco preciso. Inoltre il decreto legislativo, all'articolo 2, comma 3, demanda al Ministro per le politiche europee ed ai Ministri interessati dalle disposizioni del decreto (ovverosia il Ministro della Giustizia ed il Ministro dello Sviluppo Economico) la possibilità di adottare uno o più decreti interministeriali ricognitivi delle attività di servizi che, in applicazione delle disposizioni decreto, potrebbero essere escluse dall'ambito di applicazione del decreto;
d) la mancanza di una chiara definizione dei Servizi di Interesse Generale e dei Servizi di interesse Economico Generale. Sotto tale profilo si osserva la totale assenza nell'ambito del decreto legislativo di una chiara definizione dei «SIG» ovvero dei «Servizi di interesse generale» che risultano esclusi dal campo di applicazione del decreto di recepimento, a differenza dei «Servizi di Interesse

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Economico Generale» «SIGE» che invece vi rientrano ad eccezione di quelli che siano assicurati alla collettività in regime di esclusiva da soggetti pubblici o da soggetti privati, ancorché scelti con procedura ad evidenza pubblica, che operino in luogo e sotto il controllo di un soggetto pubblico (articolo 2, comma 1 lettera a dello schema di decreto). Tale mancanza appare particolarmente rilevante sia ai fini della corretta individuazione dell'ambito di applicazione del decreto legislativo stesso, sia ai fini della corretta individuazione dei servizi che ricadono nell'ambito di applicazione della direttiva ma che sono sottoposti a regimi derogatori. Sul punto si segnala che il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea non reca alcuna definizione né dei Servizi di interesse generale né dei Servizi di Interesse Economico Generale. Questi ultimi risultano semplicemente citati all'articolo 14 e all'articolo 106 del Trattato ed anche la definizione di Servizi di Interesse Economico Generale contenuta nel considerando 17 della Direttiva appare molto generica e comunque non viene declinata in modo opportuno nell'ambito del decreto legislativo. Per tali ragioni si ritiene fondamentale che il decreto legislativo di attuazione della direttiva sui servizi nel mercato interno rechi una chiara e puntuale definizione sia dei Servizi di Interesse Generale, sia dei Servizi di Interesse Economico Generale;
e) sempre con riferimento ai «Servizi di Interesse Economico Generale» si rileva che lo schema di decreto di attuazione della direttiva comunitaria prevede che le norme relative al regime di libera prestazione di prestazioni di servizi non si applichino a tale tipologia di servizi, ma tra questi non viene inclusa in modo espresso l'istruzione privata;
f) è riscontrabile una incongruenza di fondo tra quanto previsto dallo schema di recepimento della direttiva 2006/123/CE in materia di servizi postali che vengono esclusi - nel testo del decreto legislativo - dal regime di libera prestazione di servizi e le previsioni contenute nell'articolo 38 del Disegno di Legge Comunitaria 2009 che reca i principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva n. 2008/6, inserita nell'Allegato B, concernente il mercato interno dei servizi postali. Sotto tale profilo si osserva che quest'ultima direttiva, a differenza della direttiva 2006/123/CE, detta misure per la definitiva liberalizzazione dei servizi postali. Inoltre, l'articolo 38 del Disegno di Legge Comunitaria 2009 prevede che i decreti legislativi attuativi della delega legislativa dovranno prevedere che in caso di conflitto fra una disposizione del decreto di recepimento della medesima direttiva ed il decreto di recepimento della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, prevalgano le norme di cui al decreto di recepimento della direttiva n. 2008/6.
II) sul piano dei profili formali e sostanziali della disciplina del diritto del lavoro:
a) si rileva il mancato inserimento delle ragioni di «tutela dei lavoratori» e della «protezione sociale dei lavoratori» nell'ambito dell'articolo 20 dello schema di decreto legislativo che reca l'esercizio di attività di servizi in regime di libera prestazione. Sotto tale profilo si osserva che lo sviluppo del mercato interno dei servizi non può avvenire a discapito della coesione sociale dell'Unione Europea e deve essere invece accompagnato da un adeguato rafforzamento dei diritti dei lavoratori e in particolare della protezione sociale. Per tali ragioni il decreto legislativo dovrebbe evitare che - nell'atto di recepimento della direttiva 2006/123/CE - sia consentita una sorta di dumping sociale, nel senso di un utilizzo dei lavoratori nello Stato membro dove risultano «più convenienti» per trattamento economico e tutele assicurate dalla legislazione del paese di origine del prestatore di servizi con conseguente creazione di potenziali aree di caporalato legittimato, se non addirittura di conflitto sociale tra i lavoratori del luogo ed i lavoratori assunti in un altro Stato membro, con regimi contrattuali meno favorevoli

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ed in concorrenza sleale con i residenti;
b) la criticità più rilevante risiede nelle modalità con cui il decreto legislativo in esame recepisce l'articolo 16 della direttiva 2006/123/CE nell'ambito del Titolo III relativo alla libera prestazione dei servi. Tale articolo, rubricato nell'ambito della direttiva «Libera Prestazione di Servizi», ha in passato suscitato la contrarietà da parte di alcuni Stati Membri dell'Unione Europea - fra cui anche l'Italia - tanto da dover essere riscritto, in quanto sanciva il principio secondo cui un fornitore di servizi veniva sottoposto esclusivamente alla legge del Paese in cui aveva sede l'impresa, e non a quella del paese dove forniva il servizio (cosiddetto principio del paese d'origine), con la conseguenza che se un'impresa polacca distaccava alcuni lavoratori polacchi in Francia o in Belgio, non avrebbe dovuto più chiedere l'autorizzazione alle autorità francesi o belghe se avesse già ottenuto l'autorizzazione delle autorità polacche, e a quei lavoratori si sarebbe applicata solo la legislazione polacca. In buona sostanza, dunque, un'impresa avrebbe potuto assumere i lavoratori e poi trasferirli in un altro stato, mantenendo leggi, contratti, norme di sicurezza e di controllo del paese d'origine, realizzando così un inaccettabile caporalato europeo, perfettamente legalizzato, dove i lavoratori avrebbero corso il rischio di essere assunti nei paesi a più basso salario e con meno diritti per essere poi trasferiti nei paesi dove la legislazione in materia di lavoro offre maggiori garanzie, senza che questo potesse produrre nessun mutamento della loro condizione. Nella sua attuale formulazione l'articolo 16 della direttiva 2006/123/CE continua a destare alcune perplessità, nonostante i correttivi apportati al comma 1 dove si prevede che «Gli Stati membri non possono subordinare l'accesso a un attività di servizi o l'esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi; 1) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede; 2) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell'ambiente; 3) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il perseguimento dell'obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo» e al comma 3, dove si prevede che: «Allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre requisiti relativi alla prestazione di una attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell'ambiente, e in conformità del paragrafo 1. Allo stesso modo, a quello Stato membro non può essere impedito di applicare, conformemente al diritto comunitario, le proprie norme in materia di condizioni di occupazione, comprese le norme che figurano negli accordi collettivi». Non si comprende, infatti, il motivo per cui tra i requisiti di cui al citato articolo 16 della direttiva non rientrino esplicitamente anche le ragioni o i motivi di «tutela dei lavoratori» e di «protezione sociale dei lavoratori»: ragioni che il Considerando n. 40 della medesima direttiva 2006/123/CE riconduce alla nozione di «motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea relativa agli articoli 43 e 49 del Trattato CE e nonostante l'articolo 57 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea preveda espressamente che il prestatore di un servizio può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini;
c) il decreto legislativo in esame nel recepire le disposizioni previste dalla direttiva 2006/123/CE, all'articolo 20, ovvero quello relativo alla materia della libera prestazione di servizi, oltre ad utilizzare un linguaggio giuridico non del tutto idoneo ai fini dell'applicazione concreta del provvedimento stesso dispone che i requisiti applicabili ai prestatori di

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servizi stabiliti in Italia si applichino al ai presentatori di servizi «solo se sussistono» - come recita la direttiva comunitaria - «ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica, di sanità pubblica o di tutela dell'ambiente, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità», omettendo le ragioni «di tutela dei lavoratori» e «di protezione sociale del lavoratori», e comunque sovrapponendo, o meglio sostituendo la cogenza di un fatto, ovvero «la ragione», «il motivo», che può e deve essere valutato discrezionalmente dalla pubblica amministrazione, all'esistenza di una norma di diritto in materia di ordine pubblico, di sicurezza pubblica, di sanità pubblica... ecc. Inoltre, si evidenzia che nell'ambito delle definizioni contemplate nel decreto di attuazione all'articolo 8 tra «i motivi imperativi di interesse generale» (lettera h) rientra anche «la tutela dei lavoratori» e che l'articolo 1, al comma 6, della direttiva 2006/123/CE prevede, comunque, che la direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro;
d) alla luce di quanto precede appare evidente che anche gli articoli 22 (deroghe al regime della libertà della prestazione di servizi), 23 (condizioni di lavoro dei prestatori comunitari distaccati) e l'articolo 24, volto ad evitare le cosiddette discriminazioni nazionali al contrario di soggetti nazionali, omettono di offrire adeguate tutele e certezze giuridiche nei confronti dei lavoratori;
e) inoltre si rileva la una mancanza di conformità con quanto previsto dai criteri inseriti nella legge delega n. 88/09, che all'articolo 41 comma 1 lettera s) dispone che il Governo nell'esercizio del potere delegato preveda tra i propri principi e criteri direttivi quello di «garantire l'applicazione della normativa legislativa e contrattuale del lavoro del luogo in cui viene effettuata la prestazione di servizi, fatti salvi trattamenti più favorevoli al prestatore previsti contrattualmente, ovvero assicurati dai Paesi di provenienza con oneri a carico di questi ultimi, evitando effetti discriminatori nonché eventuali danni ai consumatori in termini di sicurezza ed eventuali danni all'ambiente»;
f) infine, il decreto legislativo omette di fornire una chiara definizione della figura del lavoratore «temporaneo» e «occasionale»;
III) sul piano delle disposizioni in materia di semplificazione amministrativa:
a) si rileva la mancata indicazione nell'ambito dell'elenco delle informazioni cui i prestatori e i destinatari hanno accesso attraverso lo sportello unico delle informazioni relative alla normativa legislativa e contrattuale del lavoro;
b) sono presenti talune criticità nella disciplina normativa relativa alla gestione dello sportello unico di cui all'articolo 25 del decreto legislativo. Detto articolo 25, infatti, recante la rubrica «Sportello Unico», non fa altro che ribadire semplicemente parte di quanto già previsto dall'articolo 38 del decreto legge 112/2008, convertito con modificazioni nella legge 133/08, inserendo, tuttavia, al comma 4, la previsione secondo cui «l'esercizio delle funzioni dello sportello unico possono essere delegate, anche in assenza di provvedimenti espressi, alle Camere di Commercio in caso di mancata istituzione del medesimo da parte del comune o di non rispondenza dello sportello ai requisiti di cui all'articolo 38 citato. Al riguardo si evidenzia che il legislatore, introducendo l'articolo 38 del decreto legge 112/2008, convertito con modificazioni nella legge 133/08, recante la rubrica «Impresa in un giorno» ha dettato norme volte a modificare la disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1998 attraverso un regolamento di delegificazione attualmente non ancora emanato -, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del ministro della semplificazione amministrativa, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8, decreto legislativo n. 281 del 1997. Detto regolamento di

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delegificazione dovrà essere adottato in base a specifici principi e criteri, espressamente indicati tra i quali rientra, in particolare, la previsione che, per i Comuni che non istituiscono lo sportello unico, le funzioni inerenti lo sportello unico siano esercitate mediante delega alle Camere di commercio le quali, a tal fine, mettono a disposizione un apposito portale denominato «impresainungiorno» gestito congiuntamente con l'ANCI. Non si comprende, dunque, cosa dovrebbe significare la locuzione «anche in assenza di provvedimenti espressi», alla luce della «delega» prevista dal decreto 112/08. Inoltre, si rileva un'ulteriore contraddittorietà con quanto previsto dal decreto legislativo, di recente approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri, recante la riforma dell'ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dove si prevede all'articolo 2 che «Le Camere di commercio svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali e delle economie locali, funzioni nelle materie amministrative ed economiche relative al sistema delle imprese, nonché le funzioni e i compiti di cui al comma 2, fatte salve le competenze attribuite dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato alle amministrazioni statali e alle regioni. Le camere di commercio, singolarmente o informa associata, esercitano inoltre le funzioni ad essa delegate dallo Stato e dalle regioni, nonché i compiti derivanti da accordi o convenzioni internazionali, informando la loro azione al principio di sussidiarietà.» Il secondo comma di tale articolo prevede inoltre che le Camere di Commercio, singolarmente o in forma associata, svolgono altresì le funzioni e i compiti relativi alla b) promozione della semplificazione delle procedure per l'avvio e lo svolgimento di attività economiche, ma non compare nessun riferimento all'«esercizio delle funzioni dello sportello unico». Più in particolare le parole «Sportello Unico» non vengono minimamente citate;
c) le criticità di cui al punto precedente contrastano in modo evidente con quanto previsto nei principi contenuti nella legge delega n. 88/09 ove si prevede che tutte le misure adottate in attuazione della direttiva siano emanate in conformità ai principi e criteri di salvaguardia dell'unitarietà dei processi decisionali, della trasparenza, dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa e chiara individuazione dei soggetti responsabili, nonché di semplificazione, accorpamento, accelerazione, omogeneità, chiarezza e trasparenza delle procedure;
IV) sul piano delle disposizioni generali in materia di procedure autorizzatorie si rileva:
a) la mancanza del riferimento alla «trasparenza» nelle procedure di rilascio del titolo autorizzatorio nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse o delle capacità tecniche, contenuto invece nella direttiva 2006/123/CE al Considerando n. 62, nonché all'articolo 12;
b) la mancanza dell'obbligo di informare in tempo congruo e sollecito i richiedenti della incompletezza della loro documentazione ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio. Al riguardo si osserva, con riferimento all'articolo 17 del decreto legislativo che disciplina i procedimenti di rilascio delle autorizzazioni, come la disposizione individui nell'ambito dei regimi autorizzatori sia quelli che prevedono la D.I.A. ad efficacia differita (ovvero la formazione del silenzio assenso trascorso un dato periodo di tempo: articolo 20, legge n. 241 del 1990) sia quelli che si concludono con un provvedimento espresso che autorizza l'attività. La previsione di un provvedimento espresso richiede la sussistenza di un interesse generale, in tutti gli altri casi il citato articolo 17 fissa la decorrenza del termine di conclusione del procedimento nel momento in cui il pretore ha presentato tutta la documentazione necessaria, prevedendo che la ricevuta della domanda contenga

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specifiche informazioni sul termine conclusivo dell'iter e sui possibili mezzi di ricorso esperibili. La domanda e la risposta possono essere, rispettivamente, inviate e ricevute anche per posta elettronica. Sul punto innanzitutto si rilevano alcune gravi omissioni. In primo luogo mancano i riferimenti ai paragrafi 3 e 6 dell'articolo 13 della direttiva 2006/123/CE che recitano: «Le procedure e le formalità di autorizzazione sono tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sia trattata con la massima sollecitudine e, in ogni modo, entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente. Il termine decorre sono dal momento in cui viene presentata tutta la documentazione. Qualora giustificato dalla complessità della questione il termine può essere prorogato una volta dall'autorità competente per un periodo limitato. La proroga e la sua durata deve essere debitamente motivata e notificata al richiedente prima della scadenza del periodo iniziale». E ancora «Qualora la domanda sia incompleta, i richiedenti sono informati quanto prima della necessità di presentare ulteriori documenti, nonché degli eventuali effetti sul termine di risposta di cui al paragrafo 3». Sulla base di quanto previsto dalla direttiva comunitaria, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei prestatori che presentano la domanda di autorizzazione, sarebbe dunque fondamentale riprendere nell'ambito del decreto legislativo l'obbligo, previsto dalla direttiva, di informare in tempo congruo i richiedenti della incompletezza della loro documentazione, in quanto il silenzio assenso decorre, secondo il decreto legislativo, solo dal momento in cui il prestatore ha presentato tutta la documentazione necessaria ai fini dell'accesso all'attività e al suo esercizio. In mancanza, dunque, di un limite temporale entro cui l'amministrazione sia tenuta a segnalare eventuali lacune della produzione documentale, il termine del silenzio assenso potrebbe essere allungato a dismisura.
c) la mancanza di una chiara distinzione nell'ambito del testo del decreto legislativo tra la riferibilità della dichiarazione di inizio attività ai procedimenti non soggetti ad autorizzazione ed il diverso regime applicabile, in via ordinaria, ai procedimenti che, viceversa, sono soggetti a titolo autorizzatorio. Va infatti evidenziata, la insufficiente chiarezza del testo di decreto in relazione alla disciplina generale dei titoli autorizzatori, derivanti dal combinato disposto dell'articolo 14 e dell'articolo 17 del decreto legislativo. Infatti, da un lato all'articolo 14 viene richiamato il meccanismo della dichiarazione di inizio attività e lo si qualifica come titolo autorizzatorio, dall'altro, invece, l'articolo 17 fa riferimento, come regola generale per le autorizzazioni, al diverso meccanismo del silenzio assenso. In buona sostanza, il testo del decreto non chiarisce e non distingue tra la riferibilità della dichiarazione di inizio attività ai procedimenti non soggetti ad autorizzazione ed il diverso regime applicabile, in via ordinaria, ai procedimenti che, viceversa, sono soggetti a titolo autorizzatorio.
V) sul piano delle disposizioni in materia di economia sociale:
a) appare rilevante la circostanza che il decreto legislativo in esame ometta di affrontare il problema delle «cooperative sociali» che chiedono di esser escluse dall'ambito applicativo del direttiva 2006/123/CE, ma allo stesso tempo contempli nell'ambito delle esclusioni le cosiddette «associazioni caritative», enti che non sono riconducibili ad alcun soggetto giuridico nell'ambito dell'ordinamento italiano;

esprimono

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente osservazione:
a) che sia riservata particolare attenzione all'impatto che il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE in materia di servizi del mercato interno, può produrre nei confronti di determinate

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categorie di lavoratori quali i commercianti al dettaglio su aree pubbliche.
e con le seguenti condizioni:
a) che il Governo si adoperi al fine di allegare al decreto legislativo de quo un resoconto dettagliato da parte delle Regioni e delle Amministrazioni interessate delle procedure autorizzative attualmente in vigore, tale da consentire una verifica puntuale su quelle che dovranno essere modificate o semplificate alla luce dei principi contenuti nell'articolo 39 della direttiva 2006/123/CE;
b) che il Governo si adoperi al fine di completare il monitoraggio delle procedure per il commercio a livello regionale, avviato durante la scorsa legislatura dal Ministro per le Politiche Europee;
c) che il Governo si adoperi al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute alla legge delega n. 88/09 (articolo 41, comma 1, lettera b) e nella direttiva 2006/123/CE (articolo 26) in materia elaborazione di codici di condotta disciplinari, finalizzati a promuovere la qualità dei servizi;
d) che il Governo si adoperi al fine di definire puntualmente l'ambito oggettivo di applicazione del decreto legislativo in esame, come pure le relative esclusioni, indicando con precisione quali siano le attività che necessitano di autorizzazione e quelle per le quali sia invece prevista la dichiarazione di inizio attività con efficacia immediata;
e) che il Governo si adoperi al fine di inserire nell'ambito del decreto legislativo de quo una chiara definizione dei «Servizi di Interesse Generale» e dei «Servizi di Interesse Economico Generale», includendo espressamente tra questi ultimi «l'istruzione privata»;
f) con riferimento all'articolo 20 del decreto legislativo, che venga sostituito il secondo comma con il seguente: 2. I requisiti applicabili ai prestatori di servizi stabiliti in Italia si applicano ai soggetti di cui al comma 1 in caso di prestazione temporanea e occasionale solo in applicazione di disposizioni normative in materia di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica, di tutela dell'ambiente, di tutela dei lavoratori e di protezione sociale dei lavoratori nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità;
o in alternativa, vengano inserite le ragioni di «tutela dei lavoratori» e della «protezione sociale dei lavoratori» tra quelle indicate dal secondo comma dell'articolo 20 del decreto legislativo de quo;
g) che il Governo si adoperi al fine di definire la figura del lavoratore «temporaneo» e «occasionale» nell'ambito del decreto legislativo de quo;
h) che il Governo si adoperi al fine di svolgere una adeguata valutazione d'impatto del decreto legislativo de quo, con particolare riferimento alle ricadute nei mercati e nei livelli occupazionali;
i) che, con riferimento all'articolo 25 del decreto legislativo de quo, vengano apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 4 sopprimere le parole: «anche in assenza di provvedimenti espressi»;
j) che, con riferimento all'articolo 26 del decreto legislativo de quo, vengano indicate, nell'ambito dell'elenco delle informazioni cui i prestatori e i destinatari hanno accesso attraverso lo sportello unico, anche quelle relative alla normativa legislativa e contrattuale del lavoro;
k) che venga riformulato l'articolo 16 del decreto legislativo de quo al fine di introdurre i riferimenti contenuti nell'articolo 12 e nel Considerando n. 62 della direttiva 2006/123/CE alla «trasparenza»;
l) che venga riformulato l'articolo 17 del decreto legislativo de quo in modo tale da recepire i principi sanciti dai paragrafi 3 e 6 dell'articolo 13 della direttiva 2006/123/CE e prevedere l'obbligo di informare in tempo congruo, e sollecito i richiedenti della incompletezza della documentazione presentata al fine di tutelare il legittimo affidamento dei prestatori di servizi;

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m) che venga distinto in modo chiaro, nell'ambito dei testo del decreto legislativo, la riferibilità della dichiarazione di inizio attività ai procedimenti non soggetti ad autorizzazione ed il diverso regime applicabile, in via ordinaria, ai procedimenti che, viceversa, sono soggetti a titolo autorizzatorio;
n) con riferimento all'articolo 3 del decreto legislativo, al comma 1, che vengano sostituite le parole: «associazioni caritative riconosciute come tali», con le seguenti : «ONLUS».
Cimadoro, Palomba, Razzi, Formisano, Borghesi.

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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Atto n. 171).

PROPOSTA DI PARERE DEL GRUPPO DELL'UDC

Le Commissioni riunite II e X
esaminato lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE dei Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (Atto n. 171);
atteso che lo sviluppo dei settore dei servizi deve comunque essere, equilibrato, sostenibile e tale da non pregiudicare i livelli occupazionali e di protezione sociale esistenti nei paesi membri dell'Unione, oltre a tener conto nel contempo delle specificità di ogni tipo d'attività o di professione e del loro sistema di regolamentazione esistente all'interno dei singoli Stati;
premesso che nel corso delle audizioni sono state segnalate alcune rilevanti problematiche da parte di associazioni ed organizzazioni di settore, connesse alle disposizioni contenute nello schema di decreto legislativo che potrebbero produrre gravi conseguenze economiche ed occupazionali all'interno dei distinti settori interessati;
esprime:

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
con riferimento al comma 4 dell'articolo 16 si esprimono serie perplessità alle applicazioni di tali disposizioni al commercio su aree pubbliche e alle sue concessioni. Tali disposizioni, infatti, limitando la durata del titolo autorizzatorio e non prevedendo un rinnovo automatico né condizioni di prelazione ai titolari di autorizzazioni uscenti, farebbero venir meno il sistema dei diritti acquisiti nell'attuale configurazione del settore senza che siano predisposti strumenti ammortizzatori e periodi transitori per attenuare l'impatto della norma. Si rileva, inoltre, che il sistema normativo italiano è giudicato uno dei più avanzati per quanto riguarda la tutela dei diritti delle imprese di commercio su aree pubbliche e per quanto concerne la trasparenza delle procedure ed li rapporto con gli enti locali. In via subordinata, pertanto, si potrebbe prevedere una moratoria di almeno cinque anni prima dell'entrata in vigore delle disposizioni, che mantenga in vigore l'attuale sistema normativo.
con riferimento al comma 1 dell'articolo 69, non si condivide l'estensione della possibilità dell'esercizio dell'attività del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, anche in considerazione dei principi di interesse generale di cui all'articolo 12 dello schema di decreto. È quindi opportuno disporre che l'attività di commercio su aree pubbliche continui ad essere riservata esclusivamente alle ditte individuali e alle società di persone e che venga ribadito il principio contenuto nella normativa vigente secondo cui il numero massimo di autorizzazioni

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concedibili ad un unico soggetto, su ogni singolo mercato, non possa superare le tre unità;
con riferimento all'articolo 73, si nutrono forti preoccupazioni per la soppressione del ruolo degli agenti immobiliari qualora non fossero mantenuti i requisiti contenuti nella legge 39/89 recante la disciplina della professione di mediazione. Tale previsione infatti comporterebbe un abbassamento del livello di garanzia e tutela dei consumatori stessi e non terrebbe conto delle modifiche intervenute nella legislazione nazionale che, dal 2006 al 2008, ha individuato dei nuovi vincoli legislativi tali da far rientrare l'attività di agente immobiliare nell'alveo delle attività ritenute sensibili a livello sociale e quindi tali da non essere oggetto di modifiche come specificato dalla direttiva medesima. Si ritiene, pertanto, opportuno e necessario che:
al comma 1 vengano indicate in modo corretto le categorie individuate dalla legge 39/89;
al comma 3 si specifichi che i requisiti necessari siano quelli previsti dalla legge 39/89, dal regolamento di attuazione e dall'articolo 18 della legge 57/01;
al comma 4 che la verifica del possesso dei requisiti sia svolta dalla Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, di concerto con le Associazioni di categoria aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative, a livello nazionale;
al comma 5 venga soppresse le parole: «lettera c)».
«Vietti, Anna Teresa Formisano, Rao, Ria, Pezzotta, Ruggeri».