CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 11 novembre 2009
245.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per le autorizzazioni
ALLEGATO
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ALLEGATO

INTERVENTO DI GIULIANO VASSALLI AL CONVEGNO ORGANIZZATO DALLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI «LE IMMUNITÀ PARLAMENTARI NEI PRIMI ANNI 2000.
Comunicazione politica e diritti nella società globalizzata»

Palazzo San Macuto Sala del Refettorio, 1o dicembre 2005
(Estratto dalla pubblicazione)

GIULIANO VASSALLI
Presidente emerito della Corte costituzionale e già Presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera dei Deputati(1)

(1) Giuliano Vassalli, professore ordinario di diritto penale nell'università la Sapienza di Roma, linceo, è stato deputato nella V legislatura (1968-1972) e senatore nella IX (1983-1987). Ministro della giustizia nei governi Goria, De Mita e Andreotti VI, è stato giudice costituzionale dal 13 febbraio 1991 al 13 febbraio 2000, eletto presidente della Corte stessa dall'11 novembre 1999. È stato spesso chiamato dalla Presidenza della Camera a intervenire in occasioni solenni da questa organizzata. Da ultimo, si ricorda la relazione nella commemorazione per l'ottantesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti, il 10 giugno 2004 (pubblicato in questa collana, n. 80).

Ringrazio di questo invito. Non posso avere la pretesa di concludere, con le mie modeste parole, questa prima fase dell'odierno convegno.
Ho ascoltato con estremo interesse non solo le relazioni introduttive dell'antico amico, avvocato onorevole Siniscalchi, e del senatore Giovanni Crema, ma soprattutto la relazione amplissima, molto penetrante sull'ordinamento italiano, fatta da Leopoldo Elia e i tre possenti contributi relativi all'ordinamento degli Stati Uniti d'America, di Israele e della Spagna.
Naturalmente, sarà poi espresso uno speciale ringraziamento, ma ho apprezzato anch'io enormemente detti contributi e ho potuto ascoltare le esposizioni su tre ordinamenti che, pur essendo nei punti di partenza forse un po' diversi dal nostro, pongono in sostanza gli stessi problemi che hanno travagliato la nostra giurisprudenza parlamentare, costituzionale e ordinaria in questi anni.
Pensavo di non dover esprimere nessuna conclusione, ma semplicemente ricordare certe mie partecipazioni come piccoli tasselli di contributo a materie che tutti gli illustri ascoltatori conoscono.
Sono stato effettivamente presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, nel quadriennio della quinta legislatura, la prima che si sciolse anticipatamente, dal 1968 al 1972. Poi ho passato nove anni alla Corte costituzionale nei quali,

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soprattutto negli ultimi, dalla metà degli anni '90 fino al 2001, quando me sono allontanato per scadenza del termine di durata novennale, si è trattato di questi problemi.
Il mondo, dall'epoca della quinta legislatura, in questa materia è molto cambiato. I problemi sono cambiati e la prospettiva è fatalmente diversa. Ciò è dovuto alla riforma del 1993.
Mi spiego. Vorrei fermarmi rapidissimamente soltanto sulla diffamazione, perché, praticamente, di questo si è sempre trattato. Ci sono stati altri temi, altri problemi, com'è noto, ma il tema dominante è stato questo della diffamazione.
Abbiamo sentito l'esposizione di quattro ordinamenti. Voi mi perdonerete se faccio riferimento ad un ordinamento diverso, del resto anch'esso a tutti noto, che taglia un po' la testa al toro. In quest'ordinamento penso - anche se non ne conosco gli sviluppi giurisprudenziali - che questi problemi siano tagliati fuori.
L'articolo 46 della Legge fondamentale di Bonn (la Costituzione tedesca) contiene - analogamente alla nostra Costituzione - una clausola relativa all'immunità, in senso stretto, all'insindacabilità, e una clausola relativa all'inviolabilità e all'autorizzazione a procedere.
Dice testualmente l'articolo 46, comma primo: «Un deputato non può mai essere perseguito in sede giudiziaria o disciplinare, né per altre vie essere reso responsabile al di fuori del Bundestag - della Camera - per i voti dati o le opinioni espresse nel Bundestag, o in una delle sue Commissioni. Ciò non vale nel caso di diffamazione».
La diffamazione è già a priori messa fuori dal problema della insindacabilità. Direi che sono stati profetici, sono stati preveggenti quegli autori della Costituzione tedesca federale rispetto a tutto quello che poi è avvenuto da noi. Che cos'è avvenuto da noi? Da noi è avvenuto che (per l'esperienza che ho avuto della quinta legislatura, ma che copre in gran parte anche il ricordo delle legislature precedenti) il problema della diffamazione era collocato, tutto quanto, nel secondo comma dell'articolo 68, relativo alla inviolabilità.
Abbiamo avuto, nella quinta legislatura, in quattro anni, solo un caso. Si trattava di un'interrogazione, il cui testo era stato pubblicato in modo quasi anonimo su di un giornale locale, che era interessato a questi fatti. Non c'era, quindi, stata procedura né contro il direttore del giornale né contro chi aveva pubblicato l'interrogazione.
Il querelante si affidò all'autorità giudiziaria, ma la Camera e la Giunta intervennero, una volta interpellate. Trattandosi puramente e semplicemente di un'interrogazione si poneva il problema, allora, se l'interrogazione rientrasse tra gli atti protetti da immunità, tra le opinioni e i voti espressi. Naturalmente, la risposta fu in senso affermativo; ma siamo lontani da quel tempo, in cui si discuteva di quel tipo di problema.
Oggi abbiamo fatto dei grandi progressi ed è giusto che la questione abbia un posto di rilievo. Dirò due parole proprio su questo, su ciò che ha evidenziato il senatore Elia circa la situazione patologica che si è venuta determinando in un certo senso, quando si guarda a quella che è la posizione dei due rami del Parlamento su questa questione, e a quella che è stata negli ultimi anni la posizione della Corte Costituzionale.

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Tuttavia, se guardiamo indietro, vediamo che sono stati fatti dei progressi enormi dal nostro Parlamento verso la certezza del diritto. Tutti sanno degli anni che si sono impiegati per la norma di attuazione dell'articolo 68, primo comma, per quella che, secondo alcuni, avrebbe dovuto essere una norma costituzionale integrativa dello stesso articolo 68, primo comma. Bene, è venuta la legge 140 del 2003. Essa ha definito puntualmente tutti quelli che sono, lo voglio ricordare a me stesso, i contenuti e gli atti prima di tutto, nei quali si deve ritenere che si estrinsechino le opinioni e i voti espressi dal parlamentare. Con questa legge si è fatto un grandissimo passo avanti.
Dirò che queste definizioni della legge 20 giugno 2003 sono state molto travagliate. Mi ricordo che noi alla Corte costituzionale seguivamo questi lavori per vedere fino a che punto avanzavano e in che modo il loro orientamento avrebbe potuto contribuire alle nostre valutazioni. È successo, invece, che alcune sentenze della Corte costituzionale hanno contribuito al lavoro parlamentare di messa a punto di queste posizioni.
Questo è stato, secondo me, un progresso verso la certezza, verso l'individuazione degli atti dei quali si tratta e dei luoghi in cui il problema deve essere trattato; deve essere segnalato come un progresso del nostro diritto costituzionale, parlamentare e giudiziario.
Quella volta, nella quinta legislatura, la Giunta dette semplicemente un parere. Al riguardo ho un altro ricordo. Allora si discuteva se c'era una qualsiasi competenza della Giunta fuori del tema dell'inviolabilità, fuori del tema dell'articolo 68, comma secondo, anche sulla base delle espressioni dei regolamenti. Mi ricordo che nel 1971, nell'anno prima della chiusura di quella legislatura, intervenne il regolamento parlamentare, su cui lavorò moltissimo il compianto deputato repubblicano Terrana.
Ricordo che Pertini, che era presidente della Camera, si impose e in un caso famoso (praticamente, ci incoraggiò anche in questo) volle estendere perlomeno la nostra facoltà di parere o il nostro dovere di parere verso l'Assemblea anche ai casi, eventuali e rarissimi, dell'articolo 68, primo comma. Come, ad esempio, fu questo che ho ricordato dell'interrogazione; nel quale caso l'autorità giudiziaria si uniformò al nostro parere con il decreto di archiviazione. Per la verità, nella fattispecie di merito la diffamazione non era certo pesante.
Comunque quando poi si trattò, purtroppo, di un caso grave, di un'imputazione di corruzione addirittura, per atti contrari ai doveri d'ufficio, fatta nei confronti di un'iniziativa parlamentare, il dissenso nell'ambito della Giunta fu enorme, fu esasperato, tra due ali che pensavano che si dovesse risolvere il caso in maniera diversa, e concludemmo con una dichiarazione di incompetenza. Questa dichiarazione di incompetenza della Giunta fu trasmessa alla presidenza della Camera ma non poté essere discussa perché eravamo già alla fine della legislatura, e si ridusse ad uno stampato che è rimasto negli atti della Camera(2).

(2) Il presidente Vassalli si riferisce ad Atti Camera - doc. IV, n. 136 - V legislatura.

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Quindi, si discuteva anche sulla competenza, adesso invece tutto è cambiato; è cambiato dal 1993.
La giurisprudenza parlamentare, perlomeno dell'epoca alla quale mi riferisco, della quinta legislatura, manifestava un orientamento volto a tener conto di classificazioni dei reati. All'epoca era vicepresidente della Giunta l'onorevole Galloni e realizzammo tutta un'elaborazione di carattere giuridico. Volemmo dare delle regole di diritto il più possibile penetranti, il più possibile chiare, il più possibile uniformizzanti, cosa che è difficilissima nella concretezza della materia, nella concretezza del dissenso politico, delle avversioni reciproche. Volemmo fare tutto questo lavoro, e lo facemmo.
Anche sulla competenza della Giunta delle autorizzazioni si è fatto un passo avanti perché oggi, chiaramente, la Giunta tratta anche la materia del primo comma. Del primo comma oltre che, evidentemente, delle autorizzazioni, là dove sono rimaste in piedi, cioè per gli arresti, per le perquisizioni, per le intercettazioni. Credo che vorrete trattare poi anche questo tema.
Nell'epoca a cui mi riferivo un certo orientamento classificatorio dei reati per cui concedere o non concedere l'autorizzazione fu pure manifestato e determinò profondi contrasti, politici e interpretativi. La linea che indicammo, in sostanza, era che per i reati comuni si doveva concedere l'autorizzazione a procedere, per i reati che fossero in qualche modo connessi all'attività politica del parlamentare la si doveva negare.
Questa, come enunciazione generale andava bene. Poi, però, ci fu un urto enorme in un caso di vilipendio delle forze della liberazione. Il capogruppo del MSI si era reso apparentemente colpevole di questo reato e il parere della Giunta, favorevole all'autorizzazione e accolto dalla Camera determinò un aggravarsi di tutti i rapporti interni.
La diffamazione, per tornare a noi, era inclusa tra i reati per i quali si doveva dare l'autorizzazione a procedere e noi procedevamo proponendo l'autorizzazione a procedere. Ricordo una sola eccezione, che riguardava genericamente una celebre famiglia napoletana sospettata di qualche cosa di non proprio corretto, in cui il relatore, l'onorevole Musotto, propose che non si desse l'autorizzazione anche per la genericità nel modo in cui queste attribuzioni diffamatorie erano state presentate dal deputato in questione.
L'Aula poi decideva, volta per volta, secondo tanti criteri anche diversi; e come voleva. La Giunta, però, si orientava nel modo che ho appena descritto.
Oggi, invece, non essendoci più dal 1993 questa collocazione del delitto di diffamazione nel comma secondo data la eliminazione della autorizzazione a procedere, tutto si è riversato, come voi mi insegnate, sul primo comma, data la natura della diffamazione, che è espressione in definitiva di opinione, di pensiero oppure qualche volta di voto, quando la cosa avvenga in un'interrogazione, in una mozione o in un'interpellanza. Tutto quanto è rifluito nel primo comma. Così è nata tutta la problematica alla quale vengo, rapidissimamente, per ricordare la seconda mia esperienza, quella della Corte Costituzionale.
Quello che ha descritto Leopoldo Elia è, come sempre, magistrale. Effettivamente, la Corte costituzionale ha passato due periodi nettamente distinti in questa materia.

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Il primo si è inaugurato proprio con la sentenza Mengoni n. 1150, che Elia ha ricordato. Notate che le date non sono lontane dalla svolta del 1993, perché con queste prime sentenze - quella di Mengoni è del 1988; le altre sono comprese tra il 1994 e il 1997 - si è determinato un preciso indirizzo della Corte Costituzionale, chiaramente enunciato nelle nostre riunioni ma espresso poi attraverso le decisioni, di rimettersi alle decisioni dei rami del Parlamento.
Mi ricordo, addirittura, che fu enunciato il criterio secondo il quale non si dovesse dare la prevalenza alle richieste delle parti di cui era latrice l'autorità giudiziaria che sollevava il conflitto se non quando vi fossero stati evidenti vizi del procedimento parlamentare - cosa che non si è mai verificata - oppure si fosse andati al di là di qualsiasi criterio di ragionevolezza e di tollerabilità. Sulla base di questo criterio si ha, praticamente, un completo rimettersi al Parlamento.
Sennonché, la spinta dell'opinione pubblica, la spinta delle parti interessate perché parti lese dalle diffamazioni, ha fatto emergere anche tra i giuristi della Corte costituzionale un indirizzo giuridico che è collegato a quanto Elia e gli altri insigni relatori che hanno preso la parola stamattina hanno rilevato, vale a dire il conflitto con il diritto costituzionale di accesso alla giustizia da parte del singolo, che nella specie è il diffamato. Allora, a poco a poco, si è addivenuti ad un cambiamento - siamo nel secondo periodo - di cui alcune delle espressioni massime sono cadute nel mio brevissimo momento di presidenza della Corte Costituzionale. La sentenza n. 10 e la n. 11 del 2000, ricordate da Leopoldo Elia, sono sentenze in cui mi trovai ad essere presidente e, posso dirlo senza violare il segreto della camera di consiglio, presidente consenziente. Abbiamo dato effettivamente una svolta in quegli anni.
Ho continuato a seguire la giurisprudenza della Corte costituzionale in questi quattro anni nei quali non ne ho più fatto parte. Secondo me si è andati un po' esagerando in quanto i conflitti sono aumentati sia con la Camera dei deputati sia col Senato.
Qualche volta c'è stata la difesa dell'inammissibilità per liberarsi del problema, ma sono state il più delle volte accolte le istanze dell'autorità giudiziaria che rivendicava e rivendica il proprio potere. Questo, come dice giustamente Elia, ha determinato una situazione di particolare e sgradevole difficoltà così che si dovrà trovare, in qualche modo, una soluzione.
Ho parlato della preveggenza dei tedeschi, degli autori della Costituzione tedesca nel tagliare fuori completamente la diffamazione addirittura da qualsiasi immunità, dall'insindacabilità. Ricordo, però, che ancora molto tempo addietro, parliamo di trent'anni fa, un costituzionalista italiano, Carlo Cereti, si espresse in questi termini: «Il fatto che l'insindacabilità accordata ai parlamentari possa dar luogo ad abusi, esponendo i cittadini ad attacchi, ingiurie e anche calunnie, contro le quali non possono reagire legalmente - ecco il diritto di accesso alla giustizia - non venne riconosciuto come buon argomento per la limitazione di questa insindacabilità assolutamente necessaria per il libero esercizio della funzione. Il rimedio contro eventuali abusi è da ricercare non nell'abolizione della prerogativa ma nella elevatezza del costume politico o nella sanzione della pubblica opinione o,

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eventualmente, in norme stabilite nel regolamento di ogni Camera, che consentano all'Ufficio di Presidenza di impedire gli abusi medesimi».
Mi pare che questo passo, che è di 30-35 anni fa - Carlo Cereti era mio rettore nell'Università di Genova e, quindi, lo ricordo con affetto - sia una traccia. Dobbiamo trovare un complesso di correttivi, un complesso di autodisciplina di ciascuno, un complesso di rispetto degli altrui diritti ma, nello stesso tempo, anche delle prerogative funzionali dei membri del Parlamento, per arrivare a quella composizione, che certamente tutti auspichiamo, nei confronti di crepe e difficoltà che Leopoldo Elia ci ha così bene denunciato al termine della sua relazione.